Per il reato di violenza sessuale, va qualificato come “atto sessuale” anche il bacio sulla bocca che sia limitato al semplice contatto delle labbra.
Cass. pen. Sez. III, Sent., 21 gennaio 2020 n. 2201;
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.M.N.A., nato a (OMISSIS);
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SCARCELLA ALESSIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale CANEVELLI PAOLO,
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore presente, Avv. Massimiliano Capuzi, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza 11.02.2019, la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza
5.11.2012 del tribunale di Roma, appellata dal C., dichiarava n. d.p. in relazione al capo b) perché
estinto per prescrizione, eliminando la relativa pena, e, riconosciuta per il capo a), l’attenuante di cui
all’art. 609-bis c.p., u.c., rideterminava la pena in 2 anni di reclusione, riconoscendo al medesimo i
doppi benefici di legge.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di
fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, c.p.p., articolando tre motivi di ricorso, di
seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p.
2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione all’art. 609-bis c.p.
In sintesi, premesso che la fattispecie in esame atterrebbe ad un tentativo di bacio ad una prostituta
che i giudici di merito avrebbero ritenuto erroneamente inquadrabile nel reato consumato di
violenza sessuale, sostiene il ricorrente che la lettura della norma sarebbe stata erronea. Richiamata
dottrina sull’argomento secondo cui solo il bacio profondo connoterebbe sessualmente l’atto come
integrante gli estremi della violenza sessuale, sostiene che anche volendo applicare la più rigorosa
giurisprudenza in materia, deve comunque ribadirsi la necessità per il giudice, al fine di affermare la
configurabilità del delitto in esame, di operare una valutazione che tenga conto della condotta nel
suo complesso, del contesto in cui l’azione si è svolta e dei rapporti intercorrenti tra le parti (il
richiamo è a Cass. 10248/2014), ciò al fine di evitare eccessive dilatazioni della connotazione
sessuale del comportamento, contrarie ai principi di tassatività e determinatezza e contrarie al senso
comune. Nella specie, non vi sarebbe stato alcun bacio profondo, ed, anzi, il mero tentativo di
effusione non avrebbe integrato l’illecito penale applicando la richiamata giurisprudenza, trattandosi
di un’azione di routine irrilevante nell’ambito di un rapporto sessuale mercenario già iniziato.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 56 e 609-bis c.p. e
correlato vizio di motivazione.
In sintesi, sostiene il ricorrente che dagli atti processuali emergerebbe essersi trattato comunque di
un tentativo, come sarebbe provato dalle dichiarazioni dibattimentali rese dalla p.o. all’ud.
1.10.2012, di cui la difesa riporta un estratto.
La sentenza sarebbe quindi giuridicamente errata e manifestamente illogica nella parte in cui
confligge con le risultanze dibattimentali.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, vizio di motivazione sotto il profilo della mancanza e della
manifesta illogicità.
In sintesi, si sostiene che i giudici di merito hanno ritenuto credibile la versione della p.o. laddove la
stessa ha affermato che, pur avendo concordato con l’imputato una prestazione sessuale a
pagamento ed il relativo importo, avrebbe poi deciso di recedere da tale accordo non intendendo
farsi baciare dall’uomo. Diversamente, i giudici non avrebbero creduto alla versione difensiva,
secondo cui la p.o., piuttosto che recedere dai propri intendimenti, aveva tentato di fuggire dopo
aver ricevuto una telefonata dai suoi protettori che verosimilmente l’avvisavano dell’arrivo delle
pattuglie dei vigili urbani. Da qui vi era stato il tentativo dell’uomo di trattenere la p.o. per
adempiere alla pattuizione sessuale, e la successiva “baruffa” con i protettori della ragazza che
avevano malmenato l’imputato. La motivazione offerta dalla Corte d’appello sul punto sarebbe
manifestamente illogica in quanto contraddetta dagli atti processuali. Ed invero, secondo la Corte
d’appello, la tesi difensiva non avrebbe tenuto conto della circostanza per cui l’abbigliamento solo
parzialmente indossato non le precludeva alcun tipo di movimento, laddove, diversamente, come
sostenuto da uno degli agenti operanti, tale F., sentito all’ud. 17.04.2012, la ragazza avrebbe avuto il
pantalone abbassato solo sulla gamba sx, mentre invece la gamba dx era libera, priva di slip, e con il
pantalone calato sulla gamba sx. L’illogicità, per il ricorrente, risulterebbe evidente, laddove
attribuisce piena liberà di movimento alla p.o. che, invece, era impedita dalla sua parziale
vestizione, tanto che gli operanti l’avevano trovata in loco, non riuscendo a fuggire come invece i
suoi protettori, sanzionandola con la multa prevista dalle ordinanze comunali emanate per
combattere la prostituzione su strada, verbale che viene allegato al ricorso. Inoltre, aggiunge il
ricorrente, i giudici avrebbero omesso di tenere in considerazione il referto del PS – allegato al
ricorso – ove erano annotate le lesioni riscontrate sull’imputato il giorno dei fatti, lesioni compatibili
con la riferita aggressione da parte dei protettori della donna, a riscontro della versione difensiva,
senza tuttavia che i giudici si fossero soffermati sul punto.
Motivi della decisione
4. Deve premettersi che tutti i motivi di ricorso presentano un vizio comune, in quanto affetti da
inammissibilità per genericità e manifesta infondatezza.
4.1. Sono anzitutto affetti da genericità per aspecificità, in quanto non si confrontano con le
argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con
considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive
svolte nei motivi di appello (che, vengono, per così dire “replicate” in questa sede di legittimità
senza alcun apprezzabile elementi di novità critica), esponendosi quindi al giudizio di
inammissibilità. Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il
ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che
ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che
risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del
09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
4.2. Gli stessi sono inoltre da ritenersi manifestamente infondati, atteso che la Corte d’appello ha,
con motivazione adeguata e del tutto immune dai denunciati vizi, spiegato le ragioni per le quali ha
disatteso le identiche doglianze difensive esposte nei motivi di impugnazione.
5. Ed invero, dalla lettura della sentenza emerge come i giudici, proprio tenendo conto delle
dichiarazioni della p.o., hanno scrupolosamente escluso che si potesse ritenere con rassicurante
certezza che vi fu un costringimento iniziale all’atto sessuale, atteso che la donna trovò comunque
opportuna l’esecuzione della prestazione ad un prezzo inferiore rispetto a quello pattuito, senza
esplicitare il dissenso, se non allontanandosi per ritornare alla propria postazione lavorativa,
recedendo dal dissenso subito dopo. Per i giudici di appello, dunque, l’attività invasiva della sfera
sessuale fu limitata all’iniziativa di baciarla e strapparle i vestiti indossati, non investendo l’intero
rapporto sessuale, ma con modalità di esecuzione non gradite perché al di fuori del perimetro delle
attività che la donna era solita consentire ai propri clienti. Del resto, come risulta dalla lettura della
prima sentenza (le cui motivazioni si integrano reciprocamente con quella d’appello e viceversa:
Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 – dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595), la dinamica dei fatti
ebbe svilupparsi secondo modalità che videro la donna reagire al comportamento dell’uomo che
aveva iniziato a baciarla ed a strapparle i vestiti, provocando il tentativo di fuga della ragazza che,
bloccata dall’uomo, cadde rotolando per terra in mezzo alle spine, tanto che la ragazza aveva
iniziato ad urlare, tentativo che l’uomo aveva cercato di impedire, mettendole violentemente la
mano in bocca, colpendola con un pugno. Tale dinamica dei fatti, del resto, si legge nella sentenza
di primo grado, venne corroborata dalle dichiarazioni degli operanti che, allertati dalle urla,
notarono l’imputato e la donna, quest’ultima priva di slip, carponi per terra, mentre invocava aiuto e
che si presentava in lacrime, riferendo di essere stata malmenata dall’imputato, oltre che con vistosi
segni di violenza al collo, venendo accompagnata ad un presidio sanitario dove le vennero prestate
le prime cure, e diagnosticate lesioni compatibili con la violenza descritta dalla p.o. e non con la
dinamica dei fatti descritta dall’imputato che aveva riferito essersele procurate a causa del semplice
rotolamento nel prato. Inoltre, aveva aggiunto il primo giudice, non si comprendeva il motivo per
cui, secondo il racconto dell’imputato, la p.o., raggiunta dall’ipotetico protettore che avrebbe colpito
l’imputato e si era allontanato, non lo avesse seguito, quanto meno per non essere ritenuta
responsabile delle lesioni inferte dal suo protettore all’imputato. La credibilità della ragazza,
peraltro, non era stata incisa dalle fallaci dichiarazioni del teste indotto dalla difesa, il quale era
stato smentito dallo stesso imputato e dalla p.o., i quali avevano riferito di essersi trovati da soli
nello spazio apparato attiguo al giardino al momento della consegna della somma di denaro –
laddove il teste aveva riferito di essere stato presente all’atto della dazione -, come parimenti
inattendibile era stato il medesimo teste nel dichiarare di essere stato presente sui luoghi sino a che
non venne allontanato dalla polizia municipale, affermazione sconfessata dallo sviluppo
cronologico degli eventi. I giudici di appello, peraltro, si prendono carico anche di confutare, con
motivazione non manifestamente illogica, la versione difensiva dell’imputato resa in appello,
secondo cui la p.o. non era riuscita ad unirsi alla fuga dei suoi protettori, in quanto non avrebbe
tenuto conto della circostanza per cui l’abbigliamento solo parzialmente indossato non le precludeva
alcun tipo di movimento, cosicchè ben avrebbe potuto fuggire insieme ai protettori intervenuti.
6. Orbene, al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente appaiono del tutto
prive di pregio, in quanto tradiscono in realtà il “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla
valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di
legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge e per
vizi motivazionali con cui, in realtà, si propongono doglianze non suscettibili di sindacato da parte
di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di
cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile
ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, Moro, Rv.
215745).
E, sul punto, attraverso l’asserito travisamento probatorio (contestato nel secondo e nel terzo
motivo, senza peraltro nemmeno curarsi di allegare integralmente il verbale stenotipico delle
dichiarazioni rese dalla p.o. il 1.10.2012, né quelle del teste F. all’ud. 17.04.2012, ciò che preclude
l’esercizio del sindacato da parte di questa Corte, attesa la genericità di ciascun motivo, in
considerazione del ricorso alla censurabile tecnica del c.d. stralcio dichiarativo utilizzata per
costruire il vizio di travisamento della prova, laddove è invece pacifico nella giurisprudenza di
questa Corte che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio
di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di
contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative,
estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento
dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed
indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della
Suprema Corte: Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 – dep. 29/05/2015, Savasta e altri, Rv. 263601),
oltre che ad essere smentito dalla ricostruzione puntuale offerta dalla sentenza d’appello, più che
prospettare un reale vizio motivazionale della sentenza, costruisce la censura alla sentenza d’appello
chiedendo a questa Corte di scegliere quale delle due versioni, quella difensiva o quella seguita
dalla sentenza, fosse quella più convincente, operazione inibita davanti al giudice di legittimità.
7. A ciò, peraltro, va aggiunto come non meriti nemmeno favorevole valutazione, la prospettazione
difensiva tendente a sminuire la credibilità della p.o., attraverso il richiamo a presunte
contraddizioni logiche della sentenza nella parte in cui i giudici avrebbero ritenuto compatibile che
la donna non sarebbe stata impedita dal suo abbigliamento ove avesse voluto darsi alla fuga in
compagnia dei suoi protettori o ancora, laddove, non avrebbero tenuto conto delle lesioni refertate
sul corpo dell’uomo, compatibili con la riferita aggressione subita a riscontro della versione
difensiva. Deve, infatti, essere ancora una volta ribadito che il giudizio di Cassazione non è
configurato come terzo grado di giurisdizione di merito, ma ha precisi limiti, legati alla ordinaria
funzione di giudice della legittimità della Corte di Cassazione, che esclude il potere di riesaminare e
valutare autonomamente il merito della causa e consente solo di controllare, sotto il profilo logicoformale
e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice cui è riservato
l’apprezzamento dei fatti. Gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti
(giudizio valutativo) cui il giudice di merito sia pervenuto attraverso l’esame delle risultanze
processuali, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono dunque
sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di mancanza o
contraddittorietà di motivazione soltanto perchè contrari all’assunto del ricorrente il quale prospetti
una diversa ricostruzione e valutazione dei fatti. Le doglianze su tali accertamenti non rientrano,
perciò, tra quelle ammissibili in sede di ricorso per Cassazione, cui non sono soggette se non per un
controllo estrinseco sulla congruità e logicità della motivazione, giacché al di fuori dei casi
espressamente previsti il giudizio di Cassazione non è configurato come un terzo grado di
giurisdizione di merito (tra le tante: Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989 – dep. 11/01/1990, Bianchesi, Rv.
182961). Controllo, in questa sede, agevolmente superato dalla sentenza impugnata.
8. Infine, non coglie nel segno la tesi difensiva secondo cui i fatti o non costituirebbero reato o al
più sarebbero stati riconducibili nel tentativo. Ed invero, come emerso dalle decisioni di merito, non
si trattò di un approccio fallito dell’uomo, ma di un bacio non gradito dalla donna, accompagnato
dal comportamento del medesimo che le strappò i vestiti per porre in essere l-esecuzione coattiva”
della prestazione sessuale già pagata, anche se a prezzo inferiore a quello concordato.
Del resto, a ribadire la rilevanza penale del fatto, è sufficiente richiamate quanto questa Corte ha già
affermato, laddove si è precisato che va qualificato come “atto sessuale” anche il bacio sulla bocca
che sia limitato al semplice contatto delle labbra, potendosi detta connotazione escludere solo in
presenza di particolari contesti sociali, culturali o familiari nei quali l’atto risulti privo di valenza
erotica, come, ad esempio, nel caso del bacio sulla bocca scambiato, nella tradizione russa, come
segno di saluto (Sez. 3, n. 25112 del 13/02/2007 – dep. 02/07/2007, Greco, Rv. 236964).
Inoltre, quanto alla pretesa configurabilità del tentativo, a destituire di fondamento giuridico la tesi
difensiva soccorre la più recente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di reati
sessuali, anche il bacio sulla guancia, in quanto atto non direttamente indirizzato a zone chiaramente
definibili come erogene, configura violenza sessuale, nella forma consumata e non tentata,
allorquando, nell’ambito di una valutazione complessiva della condotta che tenga conto del contesto
ambientale e sociale in cui l’azione è stata realizzata, del rapporto intercorrente tra i soggetti
coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante, incida sulla libertà sessuale della vittima (Sez. 3,
n. 43423 del 18/09/2019 – dep. 23/10/2019, P., in corso di massimazione). E, nella specie, il bacio
venne dato alla p.o. dal reo nel contesto del rapporto sessuale, e, dunque, indubbiamente aveva una
connotazione sessuale, costituendo tuttavia una modalità di esecuzione non gradita perché, come
spiega con motivazione scevra da illogicità manifeste la Corte d’appello, al di fuori del perimetro
dell’attività che la donna era solita consentire ai propri clienti.
9. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di
Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
10. Segue l’oscuramento dei dati personali, attesa la natura del reato contestato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi,
a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto disposto d’ufficio e/o imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 19 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2020