L’attribuzione patrimoniale a favore del convivente “more uxorio” configura l’adempimento di un’obbligazione naturale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 3 febbraio 2020, n. 2392
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 14114/2017 proposto da:
B.M.C., elettivamente domiciliato in Roma al viale delle Milizie, n. 38, presso lo studio
dell’AVVOCATO PIERFILIPPO COLETTI, che la rappresenta e difende unitamente
all’AVVOCATO ROBERTO CATALDI;
– ricorrente –
contro
S.E.G., elettivamente domiciliato in Roma alla piazza di Pietra, n. 26, presso lo studio
dell’AVVOCATO DANIELA JOUVENAL, che lo rappresenta e difende unitamente agli
AVVOCATI ROBERTA DI MAGGIO, PAOLO PAUTRIE’;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 02839/2016 del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 29/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/09/2019 da Dott. Cristiano Valle;
udito l’Avvocato Pierfilippo Coletti, anche in sostituzione dell’Avvocato Roberto Cataldi per la
ricorrente e l’Avvocato Daniela Jouvenal per il controricorrente e ricorrente incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto.
Svolgimento del processo
B.M.C. impugna per cassazione, a seguito di ordinanza di inammissibilità dell’appello della Corte
territoriale di Torino, la sentenza del Tribunale della stessa sede di accoglimento parziale delle
domande proposte nei suoi confronti da S.E.G. e di condanna alla corresponsione, in favore dello
stesso, della complessiva somma di oltre Euro quattrocentosessantamila, oltre rivalutazione
monetaria ed interessi legali sulla somma rivalutate ed interessi dalla sentenza.
S.E.G. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato.
Entrambe le parti hanno depositato memorie nel termine di legge. Il P.G. ha concluso per il rigetto
del ricorso principale e assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
In via preliminare si rileva che nel ricorso per cassazione risultano riportati i motivi di appello ed il
tenore della decisione d’inammissibilità adottata dalla Corte territoriale di Torino, conformemente ai
precedenti specifici di questa Corte (segnatamente: Cass. n. 10722 del 15/05/2014 Rv. 630702-01 e
n. 8942 del 17/04/2014 Rv. 630332-01), cosicché deve escludersi che si sia formato giudicato
interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice
dell’impugnazione di merito.
La domanda di S.E.G. era stata originariamente proposta come derivante dall’associazione in
partecipazione che era intercorsa tra lo stesso e l’odierna ricorrente B.M.C..
Il Tribunale di Torino ha rigettato la domanda ai sensi dell’art. 2549 c.c. e, escludendo che fossero
applicabili le norme in tema di mandato e di obbligazioni naturali, qualificandola come azione di
arricchimento senza causa ai sensi dell’art. 2041 c.c., l’ha accolta nei limiti sopra riportati e con
riferimento a due delle operazioni di acquisto e ristrutturazione e rivendita di immobili poste in
essere dalla B. e dallo S. nel corso di oltre venti anni di convivenza.
I tre motivi del ricorso principale sono formulati il primo ai sensi dell’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3,
in relazione agli artt. 2549 e 2042 c.c., e per la non ritenuta sussidiarietà dell’azione di indebito
arricchimento; il secondo è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3, in relazione agli artt.
2034 e 2041 c.c., ed il terzo art. 360 c.p.c. comma 1, n. 4, in relazione ad art. 111 Cost. e art. 132
c.p.c., per nullità della sentenza per omessa motivazione.
In ordine al primo motivo del ricorso principale, che contesta violazione o falsa applicazione di
norme di legge, e segnatamente degli agli artt. 2549 c.c. e segg. art. 2042 c.c., per non avere il
Tribunale escluso l’esperibilità dell’azione di indebito arricchimento, in considerazione della
sussistenza di un titolo contrattuale, affermato dallo stesso attore in primo grado, si rileva quanto
segue.
La sentenza impugnata ha affermato, coerentemente con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n.
2350 del 31/01/2017 Rv. 642718-01: “La proponibilità dell’azione generale di indebito
arricchimento, in relazione al requisito di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., postula
semplicemente che non sia prevista nell’ordinamento giuridico altra azione tipica a tutela di colui
che lamenti il depauperamento, ovvero che la domanda sia stata respinta sotto il profilo della
carenza ab origine dell’azione proposta, per difetto del titolo posto a suo fondamento” e Cass. n.
17317 del 11/10/2012 Rv. 623829-01: “L’azione generale di arricchimento ingiustificato costituisce
un’azione autonoma, per diversità della causa petendi, rispetto alle azioni fondate su titolo negoziale
ed ha natura sussidiaria, potendo essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale
possa essere fondato un diritto di credito”) alla quale si intende in questa sede dare seguito, che
sussiste il requisito della sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., non risultando configurabile, nel
complesso rapporto economico intercorso tra la B. e lo S., un’associazione in partecipazione ai sensi
degli artt. 2549 c.c. e segg..
Il primo motivo di ricorso non incide adeguatamente detta motivazione, che, come tratteggiato, ha
escluso, sulla base di adeguata ricostruzione in fatto delle articolate vicende patrimoniali intercorse
nell’arco di un ventennio tra la B. e lo S., che fosse sussistente tra i due predetti conviventi un
accordo qualificabile in termini di associazione in partecipazione e non si è, pertanto, limitata a
ritenere che l’associazione in partecipazione non fosse provata.
Il secondo mezzo è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2034 e
2041 c.c., per non avere la sentenza impugnata ritenuto di ricondurre le dazioni e comunque i
versamenti di denaro effettuati dallo S. al paradigma normativo dell’obbligazione naturale, di cui
all’art. 2041, ritenendo, viceversa che esse fosse assoggettabili all’azione di indebito arricchimento
in danno della B..
Il motivo non coglie nel segno. La sentenza in scrutinio ha affermato, con accertamento di fatto,
non adeguatamente censurato, che l’importo delle operazioni effettuate, del valore superiore alle
centinaia di milioni delle vecchie lire (nel vigore del precedente corso legale) e comunque superiore
a centinaia di migliaia di Euro (anche per importi di Euro cinquecentomila) non potevano essere
ricondotte all’adempimento di un dovere morale e sociale, così da rientrare nella previsione di
irripetibilità di cui all’art. 2034 c.c., in quanto esorbitanti “dalle esigenze familiari e che non
rispettano i minimi di proporzionalità ed adeguatezza” di cui all’art. 2034 c.c.. La conclusione della
sentenza impugnata è, peraltro, coerente con l’affermazione della giurisprudenza di questa Corte,
secondo la quale (Cass. n. 3713 del 13/03/2003 Rv. 561116-01): “Un’attribuzione patrimoniale a
favore del convivente “more uxorio” configura l’adempimento di un’obbligazione naturale a
condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del
patrimonio e alle condizioni sociali del solvens”. Sul punto, ed in via conclusiva, sul secondo
mezzo, si ribadisce che (Cass. n. 11330 del 15/05/2009 Rv. 608287-01): “L’azione generale di
arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia
avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa
qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto
di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale. E’, pertanto, possibile configurare
l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in
presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni
nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e
patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di
adeguatezza”).
Il terzo motivo di ricorso deduce nullità della sentenza per mancata statuizione su alcuni capi della
domanda (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione ad art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., per nullità
della sentenza per omessa motivazione), non avendo la sentenza del Tribunale esaminato le vicende
patrimoniali riguardanti tutti gli immobili acquistati ed alienati nell’arco di un ventennio.
Il mezzo è inammissibile: i beni immobili e le operazioni immobiliari dedotte in causa con la
domanda originaria da parte dello S. erano soltanto alcuni (precisamente: quello di (OMISSIS) e di
(OMISSIS)) di quelli costituenti oggetto dei complessi rapporti affettivi e patrimoniali intercorsi,
come si è detto, nell’arco di oltre un ventennio, tra la B. e lo S..
La B. non ha mai, e comunque qualora lo abbia fatto non ha specificato in ricorso come dove e
quando processualmente ciò sia avvenuto, ossia in quali atti difensivi in primo o secondo grado,
abbia dedotto in causa altre operazioni di acquisto e vendita di altri beni immobili, con la
conseguenza che la sentenza in esame si è correttamente limitata alla disamina di alcune soltanto
delle operazioni concluse e segnatamente di quelle originariamente comprese nella domanda dello
S..
Il ricorso principale è, pertanto, dichiarato inammissibile.
Il ricorso incidentale condizionato dello S. è basato su tre motivi relativi all’art. 2549 c.c., al
rendiconto ed alla domanda di restituzione.
Il ricorso incidentale è stato espressamente qualificato come condizionato, all’accoglimento del
ricorso principale. Ne consegue che il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento
dell’incidentale.
Alla soccombenza della ricorrente principale consegue la condanna al pagamento delle spese di lite,
liquidate come in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito l’incidentale;
condanna la parte ricorrente principale al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi
Euro 5.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA ed IVA
per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, il
10 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2020