La posta elettronica certificata costituisce oggetto di un’informazione di carattere aggiuntivo destinata a surrogarsi e non a prevalere su una domiciliazione fatta dal difensore.
Cass. civ. Sez. III, Ord., 3 febbraio 2020, n. 2396
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5056/2018 proposto da:
M.A., B.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MEDAGLIE D’ORO 157, presso
lo studio dell’avvocato FRANCESCO SAULLE, rappresentati e difesi dall’avvocato
ALESSANDRO BENUSSI;
– ricorrenti –
contro
BANCA INTERPROVINCIALE SPA, successore a titolo universale della BANCA
EMILVENETA SPA, in persona del Dott. G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
ROBERTO SCOTT 62, presso lo studio dell’avvocato SANDRO CAMPAGNA, che la rappresenta
e difende unitamente all’avvocato EUGENIO FORNI;
CASSA RISPARMIO DI BOLOGNA SPA, in persona del suo procuratore speciale, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ACCIAIOLI N. 7, presso lo studio dell’avvocato PAOLO TAMIETTI,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ARMANDO SABATTINI;
– controricorrenti –
e contro
L.A., T.U., MPS GESTIONE CREDITI BANCA SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2526/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il
24/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/11/2019 dal Consigliere Dott.
STEFANO OLIVIERI.
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Modena, con sentenza n. 1327/2016 accoglieva la domanda di revocatoria ordinaria,
proposta da Banca Emilveneta s.p.a. nei confronti di B.S. e M.A., dichiarando inefficace l’atto in
data 31.3.2011 di costituzione del fondo patrimoniale anche nei confronti degli intervenuti creditori
avvocati L.A. ed T.U., nonchè Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., mentre dichiarava
inammissibile l’intervento spiegato da CARISBO s.p.a., successivamente alla maturazione delle
preclusioni della fase istruttoria, essendo stato contestato il relativo credito.
La Corte d’appello di Bologna, adita dal B. e dalla M., con sentenza 24.10.2017 n. 2526 dichiarava
inammissibile la impugnazione in quanto proposta oltre il termine breve di decadenza.
Osservava al riguardo il Giudice di merito che il difensore degli appellanti in primo grado, avv.
Elisa Ribola, nell’ambito dei poteri conferiti dalla procura ad litem, con la memoria depositata ai
sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, aveva eletto domicilio, ai fini delle comunicazioni e
notificazioni, presso lo studio dell’avv. Vittorio Cazzella, nominato quale domiciliatario, e presso il
quale risultava eseguita in data 31.8.2016 la notifica della sentenza di primo grado: con la
conseguenza che era da ritenere tradiva la proposizione dell’appello effettuata con notifica in data
30.1.2017.
Avverso la sentenza di appello, notificata in data 7.12.2017, B.S. e M.A. hanno proposto ricorso per
cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
Resistono con distinti controricorsi, anch’essi illustrati da memoria, INTESA San Paolo s.p.a.
(incorporante di Cassa di Risparmio in Bologna s.p.a. – CARISBO); ILLIMITY Bank s.p.a.
(derivata da fusione per incorporazione e mutamento di denominazione di Banca Interprovinciale
s.p.a. – BIP – a sua volta incorporante Banca Emilveneta).
Non hanno svolto difese gli intimati avvocati L.A. ed T.U., nonchè MPS Gestione crediti Banca
s.p.a. “in nome e per conto” di Banca MPS s.p.a., ai quali il ricorso è stato notificato,
rispettivamente in data 15.2.2018 e 13.2.2018, presso i difensori domiciliatari.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 170 c.p.c., in quanto la notifica
della sentenza di prime cure sarebbe stata effettuata nei confronti delle parti soccombenti in primo
grado presso lo studio del domiciliatario ma senza indicazione del procuratore costituito, ciò che
determinerebbe la insanabile nullità della notifica.
Il motivo è infondato.
Quando la parte non si costituisce personalmente, la elezione di domicilio è una mera facoltà
rimessa alla scelta della parte o del suo difensore – il quale fa propria la scelta della parte, nel caso
di elezione di domicilio effettuata contestualmente all’atto di conferimento della procura ad litem,
mediante la “autentica minor” della sottoscrizione della parte -, come si evince agevolmente tanto
dall’art. 163, comma 3, n. 2) – l’attore deve indicare la propria “residenza” – e n. 6 c.p.c.) -il
procuratore deve indicare soltanto il proprio “nome e cognome”, quanto dall’art. 125 c.p.c. (che
richiede soltanto la “indicazione delle parti” e del “codice fiscale” – del D.L. n. 193 del 2009, art. 4,
comma 8, lett. a, conv. in L. n. 24 del 2010 – e del “numero di fax” del difensore – D.L. n. 90 del
2014, art. 45bis, comma 1, conv. in L. n. 114 del 2014).
Occorre tenere conto, peraltro, che, anche con la introduzione del processo telematico -nei gradi di
merito- e con la modifica dell’art. 366 c.p.c., commi 2 e 4 e della L. n. 53 del 1994, non si è
immutato al regime precedente, concernente la facoltà della parte di eleggere domicilio, in difetto di
esercizio della quale vale la regola generale secondo cui, dopo la costituzione, e salvo diversa
previsione espressa della legge, tutte le comunicazione e le notifiche debbono essere fatte al
procuratore della parte (art. 170 c.p.c., comma 1), e dunque presso il suo studio, ed ora presso il suo
indirizzo PEC desunto dai pubblici elenchi individuati dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 ter,
conv. con mod. in L. 17 dicembre 2012, n. 221.
E’ opportuno rammentare che questa Corte ha avuto modo di esaminare anteriormente alla
introduzione della previsione normativa di obbligatorietà della notifica telematica: D.L. n. 179 del
2012, art. 16 sexies, conv. in L. n. 221 del 2012, introdotto dal D.L. n. 114 del 2014, art. 52, conv.
in L. n. 114 del 2014, non applicabile alla fattispecie in esame – la ipotesi di concorrente indicazione
nell’atto difensivo, da parte del difensore, dell’indirizzo PEC e del domicilio eletto, presso i quali
ricevere le comunicazioni e le notificazioni degli atti processuali (cfr. Corte Cass. Sez. 6-3,
Sentenza n. 25215 del 27/11/2014; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 14969 del 16/07/2015; id. Sez. 6-2,
Sentenza n. 22892 del 10/11/2015; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 2133 del 03/02/2016 – in motivazione
-; id. Sez. 2, Sentenza n. 23412 del 17/11/2016), rilevando:
a) che l’indicazione della PEC, prevista per rendere più agevoli le comunicazioni di Cancelleria, non
rende inapplicabile l’intero insieme delle norme e dei principi sulla domiciliazione nel giudizio, non
potendo obliterarsi la volontà espressamente manifestata dalla stessa parte o dal suo difensore
diretta a designare l’elemento topografico dell’elezione di domicilio in maniera compatibile con le
regole del processo;
b) che la PEC costituisce, dunque, oggetto di un’informazione di carattere aggiuntivo finalizzata alle
comunicazioni di cancelleria, e che è destinata surrogarsi, anche agli effetti della notifica degli atti,
ad una domiciliazione mancante, ma non già a prevalere su di una domiciliazione che il difensore
abbia volontariamente effettuato c) che tale scelta volontaria prevaleva anche nel caso di elezione di
domicilio ex lege presso la cancelleria del giudice adito, in conformità del R.D. n. 37 del 1934, art.
82;
d) che se la indicazione dell’indirizzo PEC, senza ulteriori specificazioni, individuava il luogo
virtuale cui dovevano essere effettuate tanto le “comunicazioni”, quanto le “notificazioni” degli atti
processuali, diversamente la espressa destinazione del luogo virtuale soltanto alla ricezione delle
“comunicazioni” di Cancelleria, se accompagnata da una elezione di domicilio – tanto più se in
luogo diverso da quella dello studio del procuratore ad litem, concentrava esclusivamente sul
domicilio eletto il luogo di destinazione delle “notificazioni”: con la conseguenza che, qualora il
luogo indicato non fosse ricaduto nella circoscrizione dell’Ufficio giudiziario, doveva ritenersi
valida la notifica eseguita mediante deposito dell’atto presso la Cancelleria R.D. n. 34 del 1937, ex
art. 82.
In seguito alla introduzione del processo telematico ai gradi di merito – e solo parzialmente al
giudizio di legittimità, tutte le disposizioni che prevedono che le notificazioni siano eseguite
mediante deposito presso la Cancelleria dell’Ufficio giudiziario, trovano applicazione
esclusivamente nel caso in cui “per causa imputabile al destinatario” la notificazione non possa
essere eseguita presso l’indirizzo di posta elettronica, ossia presso il domicilio digitale (D.L. n. 179
del 2012, art. 16 sexies., conv. in L. n. 134 del 2012).
Nella specie non è controverso:
a) che vi sia stata – e sia stata ritualmente portata a conoscenza delle altre parti tramite deposito di
memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3), la elezione di domicilio presso lo studio (in (OMISSIS)
– PEC vittoriocazzella.ordineavvmodena.it – fax 0589346433) dell’avv. Vittorio Cazzella, indicato
quale domiciliatario dal difensore avv. Elisa Ribola, in nome e per conto dei convenuti, in base ai
poteri conferiti dalla procura ad litem (cfr. trascrizione parziale della memoria difensiva, riportata a
pag. 11 controricorso INTESA San Paolo s.p.a.) b) che la sentenza di prime cure sia stata notificata
e consegnata presso lo studio del domiciliatario.
Pacifico in giurisprudenza che la notifica in questione sia idonea a fare decorrere il termine breve di
impugnazione (cfr. Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 2220 del 04/02/2016; id. Sez. 5, Sentenza n.
7257 del 22/03/2017; id. Sez. 6-1, Ordinanza n. 30835 del 28/11/2018, che affermano tutte la
prevalenza del criterio topografico – domicilio eletto – su quello personale – dello studio del
procuratore ad litem – quando il domiciliatario non corrisponda al procuratore costituito per la parte
in giudizio, precisando peraltro che “La notifica della sentenza presso il procuratore domiciliatario,
effettuata in luogo diverso da quello indicato in sede di elezione di domicilio a seguito del
trasferimento dello studio professionale, è idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione
previsto dall’art. 326 c.p.c., atteso che la variazione di indirizzo non incide sulla relazione dello
studio con la parte interessata e con il procuratore costituito, sicché resta soddisfatta l’esigenza di
assicurare che la sentenza sia portata a conoscenza della parte per il tramite del suo rappresentante
processuale, professionalmente qualificato a valutare, nei termini prescritti, l’opportunità
dell’impugnazione”), la allegata nullità della notifica della sentenza per omessa indicazione del
nominativo del procuratore ad litem, non trova nella specie riscontro, in quanto la omissione di tale
indicazione non è elemento formale espressamente richiesto dalla legge la cui mancanza è
sanzionata a pena di nullità. Ne segue che la verifica della invalidità dell’atto di notificazione va
compiuta alla stregua del risultato pratico conseguito dall’atto, dovendo lo stesso ritenersi affetto da
nullità le volte in cui sia dimostrata “la mancanza dei requisiti indispensabili per il raggiungimento
dello scopo” (art. 156 c.p.c., comma 2). Orbene la indicazione del procuratore ad litem appare
necessaria le volte in cui non sia dato “aliunde” evincere, dalla stessa sentenza notificata, il
nominativo del difensore della parte – che è il destinatario dell’atto, in quanto soggetto
professionalmente competente a valutare la strategia difensiva da seguire ed a rappresentare alla
parte assistita le ragioni che rendano o meno opportuna la proposizione della impugnazione: solo in
tal caso, infatti, può manifestarsi una situazione di incertezza in ordine all’effettiva conoscenza da
parte del predetto difensore dell’atto notificato al domiciliatario. Nella specie, tale situazione
incertezza non risulta neppure allegata dalle parti ricorrenti (se non tautologicamente in relazione
alla tardiva proposizione dell’appello) le quali si sono limitate soltanto a lamentare di non avere
avuto personalmente contezza della avvenuta notifica della sentenza (circostanza irrilevante
dovendo la sentenza pervenire a conoscenza del procuratore ad litem), senza peraltro neppure
specificare in che modo e quando ed in base a quali circostanze fossero poi pervenute –
personalmente o tramite il loro difensore – a conoscere, solo in tempo successivo, la esistenza della
sentenza; nulla avendo, invece, dedotto in ordine ad eventuali dubbi od altre difficoltà che avrebbe
incontrato il legale domiciliatario nella identificazione del procuratore ad litem che assisteva le
parti.
Non appare, peraltro, dirimente il richiamo operato dai ricorrenti al precedente – non massimato – di
questa Corte Cass. Sez. 2 Sentenza 02/09/2015 n. 17452, atteso che la fattispecie colà esaminata era
diversa, essendo stata notificata la sentenza presso lo studio del legale domiciliatario che era stato
nominato a seguito di esclusiva iniziativa della parte, senza che fosse ravvisabile alcun
collegamento del domiciliatario con il procuratore ad litem della parte, presso il quale era stato
originariamente eletto domicilio all’atto del conferimento della procura, e che non era stato
revocato, né aveva mutato domicilio.
Diversamente nel caso sottoposto all’esame del Collegio è stato lo stesso procuratore ad litem (avv.
Elisa Ribola) a compiere e portare a conoscenza delle altre parti la nuova elezione di domicilio
(presso l’avv. Cazzella), attraverso il deposito di una memoria difensiva dallo stesso sottoscritta.
Tanto è sufficiente allora, unitamente alla inequivoca indicazione contenuta nella intestazione della
sentenza del Tribunale del nominativo dell’avv. Ribola quale procuratore ad litem di M.A. e B.S., a
ritenere che l’attività di partecipazione, nel che si risolve il procedimento notificatorio, abbia
raggiunto comunque il suo scopo, portando a legale conoscenza del procuratore ad litem la sentenza
di prime cure attraverso la notifica dell’atto presso il legale domiciliatario, dovendo ritenersi,
pertanto, tale notifica pienamente idonea a fare decorrere il termine breve ex artt. 325 e 326 c.p.c. In
conclusione il ricorso deve essere rigettato, quanto al primo motivo, assorbiti tutti gli altri motivi,
con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale, quanto al primo motivo e dichiara assorbiti gli altri motivi.
Condanna i ricorrenti al pagamento in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida, per ciascuno, in Euro 6.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie
nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del
2012, art.1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei
ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.