La mera riduzione del tenore di vita causata da momentanee difficoltà lavorative non è causa di giustificazione per non corrispondere l’assegno mensile di mantenimento dei figli minori

Cass. pen. Sez. VI, 28 novembre 2019, n. 48567
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
V.G., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 5/12/2018 della Corte di appello di Catanzaro;
esaminati gli atti, letto il ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita la relazione del Consigliere Dott.ssa VIGNA Maria Sabina;
udito il Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. ANIELLO Roberto, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla concessione del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale e la declaratoria di inammissibilità nel resto.
Udito il difensore della parte civile D.L.M., avvocato CAMPISE Sergio che ha depositato conclusioni scritte e nota spese.
Udito il difensore dell’imputato, avvocato MORASCHI Chiara in sostituzione dell’avvocato SOLURI Gioconda, che si è riportato ai motivi del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Catanzaro che condannava V.G. alla pena di mesi due di reclusione ed Euro duecento di multa per il reato di cuiall’art. 570 c.p., oltre che al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituita.
1.1. Si contesta a V. di avere fatto mancare alla figlia minore i mezzi di sussistenza omettendo di corrispondere, dal 2011 ad oggi, l’assegno mensile di Euro cinquecento stabilito con decreto del Tribunale di Catanzaro del 29 aprile 2008.
2. Il ricorrente, con motivi affidati al difensore di fiducia e di seguito sintetizzati ai sensidell’art. 173 disp. att. c.p.p., chiede l’annullamento della sentenza impugnata perché inficiata da plurimi vizi di violazione di legge e motivazionali. Denuncia, in particolare:
2.1. Vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, posto che l’imputato, dal 1996 curatore fallimentare presso il Tribunale di Roma, nel 2012 ha subito una sensibile riduzione del lavoro che lo ha costretto ad un tenore di vita nettamente inferiore a quello originario; anche la successiva occupazione presso il Ministero dello Sviluppo Economico veniva scarsamente retribuita e, nel 2013, era stato vittima di un incidente stradale.
2.2. Omessa motivazione in relazione alla richiesta di cuiall’art. 131-bis c.p..
2.3. Omessa motivazione in ordine alla quantificazione della pena.
2.4. Omessa motivazione sulla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato limitatamente alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna, mentre è inammissibile nel resto.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha bene argomentato, con considerazioni aderenti alle emergenze dell’incartamento processuale, lineari e conformi a logica – pertanto incensurabili nella sede di legittimità -, le ragioni per le quali abbia ritenuto integrato l’elemento soggettivo del reato, facendo ineccepibile applicazione dei principi di legittimità in materia. Giova invero rammentare che, affinché la condotta possa ritenersi scriminata non vale la dimostrazione della mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà economiche o la semplice indicazione dello stato di disoccupazione, ma è necessario fornire una dimostrazione rigorosa di una vera e propria impossibilità assoluta (Sez. 6, n. 8063 del 8/2/2012, G., Rv. 252427; Sez. 6, n. 2736 del 13/11/2008, L., Rv 242853; Sez. 6, n. 41362 del 21/10/2010, M., Rv. 248955), dimostrazione che, come evidenziato dalla Corte di appello, l’imputato non ha fornito, risultando, per contro, dagli atti, che V., per tutto il periodo per cui si è protratto l’inadempimento, ha continuato a svolgere attività lavorativa.
La Corte distrettuale ha, inoltre, dato corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cuiall’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 è a dolo generico e non è, quindi, necessario per la sua realizzazione che la condotta omissiva venga posta in essere con l’intenzione e la volontà di fare mancare i mezzi di sussistenza alla persona bisognosa (Sez. 6, n. 24644 del 08/05/2014, Rv. 260067).
3. Il motivo di ricorso con il quale si censura la omessa motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cuiall’art. 131-bis c.p.è inammissibile.
Deve evidenziarsi che la richiesta è stata solo genericamente formulata in una memoria depositata alla Corte di appello, non essendo state indicate le ragioni per le quali doveva essere riconosciuta la particolare tenuità del fatto e, quindi, era inammissibile.
Anche l’atto di appello, al pari del ricorso per cassazione, è, infatti, inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati ed argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016,, Galtelli, Rv. 268822).
La censura si rivela, pertanto, inammissibile, in quanto il motivo di appello da cui trae origine era, a sua volta, inammissibile per difetto di specificità.
Non costituisce, del resto, causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che per la sua assoluta indeterminatezza e genericità doveva essere dichiarato inammissibile (Sez. 4, n. 1982 del 15/12/1998, dep. 16/02/1999, Iannotta, Rv. 213230) o manifestamente infondato (ex plurimis: Sez. 6, n. 47983 del 27/11/2012, D’Alessandro, Rv. 254280).
4. La doglianza relativa alla omessa motivazione in ordine alla quantificazione della pena è manifestamente infondata.
Mette conto rilevare che al giudice è consentito far ricorso esclusivo a clausole di stile, così come a espressioni del tipo: “pena congrua” e “pena equa”, quando la stessa non si discosti molto dai minimi edittali (Sez. 3, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464; Sez. 1, n. 1059 del 14/02/1997, Gagliano; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri).
E’ stato anzi precisato che nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cuiall’art. 133 c.p.(Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 5, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).
La Corte di appello, uniformandosi correttamente a tale regula iuris, ha, quindi, ritenuto la pena di mesi due di reclusione ed Euro duecento di multa (decisamente al di sotto della media edittale) equa e proporzionata ai fatti di causa.
5. E’, invece, fondato il motivo relativo al vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
La Corte distrettuale, infatti, dopo avere riconosciuto corretta la valutazione effettuata dal giudice di primo grado in ordine alla concessione della pena sospesa e delle circostanze attenuanti generiche, e quindi avere espresso un giudizio positivo in ordine alla personalità del reo, anche in considerazione dello stato di incensuratezza dell’imputato, a fronte di specifico motivo di ricorso, ha omesso di indicare i parametri di cuiall’art. 133 c.p.sulla base dei quali ha, invece, discrezionalmente ritenuto V. non meritevole del beneficio in questione.
6. Ai sensidell’art. 620 c.p.p., lett. l), la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale può essere concessa dal Collegio, essendo superfluo un annullamento con rinvio sul punto.
Per il resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla costituita parte civile.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale, beneficio che concede. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla costituita parte civile, spese che si liquidano in complessivi Euro tremilacinquecentodieci oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003,art.52.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019