Per verificare la titolarità dell’assegno di divorzio occorre considerare tutti gli elementi indicati nella prima parte dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970.

Corte d’Appello Campobasso, Sent., 26 marzo 2019 – Presidente est. D’Errico
Corte d’Appello Campobasso, Sent., 26 marzo 2019 – Presidente est. D’Errico
L’accertamento in ordine alla spettanza di un contributo a titolo di assegno divorzile presuppone
l’esame di tutti gli elementi indicati nella prima parte dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del
1970 (Divorzio), con particolare attenzione al contributo fornito dal richiedente alla formazione
del patrimonio di ciascuno e di quello comune e in rapporto alla durata del matrimonio.
Divorzio – Assegno di divorzio – Rif. Leg. art. 5 comma 6 della L. n. 898 del 1970
LA CORTE DI APPELLO DI CAMPOBASSO
– Collegio civile – riunita in camera di consiglio, nelle persone dei Magistrati:
dr. Maria Grazia d’ERRICO – Presidente est.
dr. Gianfranco PLACENTINO – Consigliere
dr. Marco Giacomo FERRUCCI – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento civile iscritto al n. 66 del Ruolo 2018 R.G., di appello avverso la sentenza
definitiva n. 483/2017 emessa dal Tribunale di Campobasso in composizione collegiale nel proc. n.
681/’14 R.G., avente ad oggetto: scioglimento di matrimonio civile
TRA
P.M.M. (c.f. (…)), elettivamente domiciliata in Campobasso presso lo studio dell’avv. Luca Marcari,
che la rappresenta e difende in virtù di procura a margine della citazione in appello
APPELLANTE
E
B.G. (c.f. (…)), elettivamente domiciliato in Bojano (CB) presso lo studio dell’avv. Alfonso
Mainelli, che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce alla comparsa di costituzione in
appello
APPELLATO
con l’intervento del PROCURATORE GENERALE presso la Corte di Appello di Campobasso
INTERVENTORE NECESSARIO
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. — Con sentenza definitiva n. 483 del 14/08/2017, non notificata, il Tribunale di Campobasso in
composizione collegiale, pronunciando sulle statuizioni accessorie alla pronuncia di scioglimento
del matrimonio civile fra G.B. e M.M.P. (già emessa con sentenza non definitiva n.11/2015 dello
stesso giudice, corretta con ordinanza del 9/02/2015), ha rigettato le domande dell’attrice di imporre
al convenuto di corrisponderle un assegno divorzile di 500,00 Euro mensili e di assegnarle un
immobile di proprietà del B. da destinare a propria abitazione; il Tribunale ha dichiarato
compensate fra le parti le spese del giudizio.
M.M.P. ha proposto appello con citazione notificata il 9/02/2018, depositando l’atto notificato e la
nota di iscrizione a ruolo in data 14/02/2018, e chiedendo, in riforma della pronuncia impugnata: a)
la pronuncia dello scioglimento del matrimonio civile contratto fra le parti in Ferrazzano (CB) il
7/09/2005; b) l’assegnazione in proprio favore di una casa di proprietà del B.; c) l’imposizione a
carico dello stesso appellato di un assegno divorzile nella misura di 500,00 Euro mensili da
rivalutare annualmente in base all’Istat; d) la condanna del B. al rimborso delle spese di entrambi i
gradi di giudizio.
G.B. si è costituito in occasione della prima udienza di trattazione eccependo l’inammissibilità
dell’appello in rito e chiedendone il rigetto nel merito, con vittoria delle spese del doppio grado.
2. — Il rito prescritto per la trattazione in appello delle cause di divorzio è quello camerale, ai sensi
dell’art. 4, co. 15 della L. n. 898 del 1970, come integrato dalla L. n. 74 del 1987 e succ. modif.: la
presente impugnazione, pertanto, andava attivata con ricorso, da depositare nel termine di cui all’art.
327 c.p.c. di sei mesi dalla pubblicazione (in data 14/08/2017) della sentenza di primo grado,
scaduto il 28/02/2018 -trattandosi di procedimento soggetto all’art.46, co.17, L. 18 giugno 2009, n.
69, e non applicandosi il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c.v la sentenza impugnata non essendo
stata notificata.
Il gravame è stato inoltrato invece con citazione, il che non ne comporta la nullità, in applicazione
del principio generale di conservazione degli atti viziati, dal momento che il deposito della citazione
nella cancelleria di questa Corte con contestuale iscrizione a ruolo è avvenuto il 14/02/2018, e
dunque entro il predetto termine perentorio fissato dalla legge (cfr. Cass. civ. Sez. I, 26/10/2000, n.
14100; Cass. civ. Sez. I, 22/07/2004, n. 13660; Cass. civ. Sez. I, 13/10/2011, n. 21161).
3. — Si premette che il “filtro” dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. invocato dall’appellato ed
implicitamente disatteso da questa Corte è inapplicabile alla causa in esame, ai sensi del co.2, lett.
a) dello stesso articolo (trattandosi di causa rientrante nell’ipotesi di cui all’art. 70, co.1, c.p.c.).
In secondo luogo, l’appellante non ha alcun motivo per riproporre in questa sede la domanda di
scioglimento del matrimonio civile fra le parti, pronuncia già adottata dal Tribunale con la sentenza
non definitiva sullo status n. 11/2015, corretta con ordinanza del 9/02/2015, e che non andava
pertanto reiterata con la decisione definitiva, dal momento che nel vigente sistema processuale il
frazionamento della decisione comporta l’esaurimento dei poteri decisori per la parte della
controversia definita con la sentenza parziale, con la conseguenza che la prosecuzione del giudizio
non può riguardare altro che le questioni non coperte dalla prima pronuncia.
La decisione non definitiva sarebbe stata impugnabile unicamente con appello immediato, ai sensi
dell’art.4, co.12, l. div., che nella specie non risulta proposto, né sarebbe stato proponibile, avendo
entrambe le parti chiesto lo scioglimento del matrimonio.
La richiesta in questione è dunque inammissibile per carenza di interesse, anche a prescindere
dall’intervento o meno del giudicato sulla stessa.
Va invece dichiarata inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c. la richiesta dell’appellante di disporre
l’assegnazione in proprio favore di una casa di proprietà del B.: come eccepito dall’appellato e
comunque rilevabile anche d’ufficio, l’appellante è tenuto ad effettuare “una chiara individuazione
delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze,
affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte
dal primo giudice” (Cass. 16/11/2017 n. 27199).
Il Tribunale ha condivisibilmente motivato sul punto, qualificando tale domanda come
inammissibile in considerazione dell’assenza di figli della coppia, nel solo interesse dei quali
sarebbe stato possibile adottare un provvedimento di assegnazione della casa familiare e non di altra
abitazione al genitore collocatario.
L’appellante non contrappone alcuna critica a tale argomento, limitandosi a ripetere la richiesta
negli esatti termini in cui l’aveva avanzata al primo giudice.
4.– Per quanto riguarda l’ulteriore ragione di impugnazione (concernente la decisione di rigetto
della domanda di assegno divorzile proposta dalla P.), l’appellante ha invece sufficienti motivazioni,
come si esporrà, con indicazione delle ragioni per le quali ritiene ingiusta la decisione impugnata e
ne chiede la modifica; l’onere di specificità dei motivi non richiede che l’appellante svolga
argomentazioni diverse da quelle contenute negli atti di primo grado o che predisponga un progetto
di sentenza alternativa, purchè risultino chiare le ragioni della contestazione della decisione
impugnata.
Il Tribunale, in adesione all’orientamento espresso dalla Suprema Corte con la sentenza n. 11504 del
10/05/2017, delle quali ha richiamato le motivazioni, ha ritenuto non spettare alla P. l’assegno di
divorzio, revocando la statuizione provvisoria adottata dal Presidente, il quale aveva confermato la
previsione di cui alla separazione consensuale con la quale tale assegno era stato quantificato in
350,00 Euro mensili.
A fondamento della decisione adottata il giudice di primo grado, dopo aver sottolineato che non
risultava dagli atti che la richiedente si fosse impegnata a reperire un’attività lavorativa, ha
affermato di aver tenuto conto della durata del matrimonio e del tempo decorso dalla separazione
senza la dimostrazione da parte della P. dell’impossibilità di svolgere un lavoro idoneo a procurarsi
il sostentamento.
Quest’ultima assume che il Tribunale non avrebbe valutato debitamente la circostanza del mancato
svolgimento di qualsiasi lavoro da parte di essa appellante, avvalorata dal fatto di essere stata
ammessa per il giudizio di primo grado al patrocinio a spese dello Stato; sostiene inoltre la P. di
avere sempre cercato e di cercare tuttora un lavoro, ma senza risultati, attesa “la profonda crisi
economica mondiale” e la propria non più giovane età; il Tribunale avrebbe inoltre omesso di
valutare che, rispetto all’epoca della separazione, le sue condizioni economiche non erano mutate,
ed avrebbe inoltre trascurato la costante giurisprudenza secondo la quale l’assegno di mantenimento
deve essere determinato in modo da assicurare al beneficiario un tenore di vita analogo a quello
goduto in costanza di matrimonio.
Con la memoria conclusionale, l’appellante invoca poi la sopravvenuta pronuncia della Cassazione a
sez. unite n. 18287 dell’11/07/2018, che a suo dire avrebbe confermato il diritto all’assegno
divorzile, al fine del ripristino del tenore di vita fruito nel corso del matrimonio.
L’appello è infondato.
Non è in contestazione la sperequazione economica fra gli ex coniugi: il B. (dell’attuale età di circa
80 anni) fruisce di un reddito da pensione, che era pari nell’anno 2012 a 1.269,00 Euro mensili al
netto di imposta, ed è titolare della casa di abitazione e di altri tre immobili che ne costituiscono
pertinenze -cfr. dichiarazioni dei redditi allegate al fascicolo di parte di primo grado dell’appellato-.
La P. (attualmente 53enne) non risulta svolgere attività lavorativa, né consta che la stessa sia stata
occupata nel corso del matrimonio, pur rilevandosi dagli atti che la donna, originaria della
Repubblica Dominicana, prima delle nozze con il B. era stata assunta dallo stesso quale badante, e
che i due decisero di sposarsi anche per consentire alla P. di fare ricorso al ricongiungimento
familiare per fare entrare in Italia i propri figli minori, avuti da precedente relazione: tanto risulta
dalle dichiarazioni delle stesse parti, riportate nella relazione sul nucleo familiare redatta dal
Servizio sociale dell’ambito territoriale n.1 di Campobasso ed indirizzata alla Procura della
Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Campobasso, la quale seguiva la situazione dei
figli minori della donna -anch’essa agli atti del fascicolo di primo grado dell’appellato-.
A parte tali elementi evincibili dagli atti, come rilevato dal Tribunale, non risulta in alcun modo
dimostrato che la P. (la quale ha dichiarato al Presidente del Tribunale di essere in possesso della
licenza media inferiore) non sia in condizioni di svolgere attività lavorativa per ragioni di salute o di
altra natura, né che la stessa si sia concretamente attivata per trovare un’occupazione -eventualmente
avvalendosi della sua precedente esperienza-, essendosi la stessa limitata a riferirsi alle difficoltà di
reperire un lavoro anche in considerazione dell’età raggiunta, in sé tuttavia non ostativa a qualunque
possibilità di impiego; contrariamente a quanto asserito dall’appellante, il primo giudice ha peraltro
condivisibilmente ritenuto che l’impossibilità per la P. di reperire un’occupazione lavorativa non
fosse desumibile dalla circostanza dell’ammissione della stessa al patrocinio a spese dello Stato.
Ciò posto, va in primo luogo escluso che, come asserito dall’appellante, l’assegno divorzile debba
continuare ad esserle corrisposto secondo quanto concordato in sede di separazione, non essendo le
condizioni della P. mutate rispetto a quelle dell’epoca dell’omologazione dei patti di separazione:
“l’assegno di divorzio, che presuppone lo scioglimento del matrimonio o la cessazione dei suoi
effetti civili, è infatti determinato sulla base di criteri autonomi e distinti rispetto all’assegno
spettante al coniuge separato, il quale può costituire, nei congrui casi un utile elemento di
riferimento e non già il dato cui ancorare necessariamente il riconoscimento dell’assegno di
divorzio o parametrarne la determinazione, senza possibilità di discostarsene in assenza di
eventuali mutamenti nella situazione economica dei due coniugi” (così Cass. 2004/n.17128, la quale
ha anche precisato che la tesi sostenuta dal ricorrente si sarebbe risolta “sostanzialmente, nell’ipotesi
di parità di situazione economica nei due diversi frangenti (separazione e divorzio), in
un’inammissibile regolamentazione preventiva degli effetti patrimoniali del divorzio”).
Il primo giudice ha recepito l’interpretazione fornita da Cass. 2017/n. 11504, la quale aveva inteso
superare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità rimasto invariato per un trentennio (a
partire da Cass., sez. un., n. 11490/1990), secondo il quale il parametro di riferimento a cui ancorare
la valutazione riguardante la spettanza dell’assegno di divorzio e la sua quantificazione era costituito
dal tenore di vita, anche soltanto potenziale, goduto in costanza di matrimonio.
Cardine interpretativo della pronuncia del 2017 è il principio di autoresponsabilità economica di
ciascuno degli ex coniugi, in forza del quale il parametro da utilizzare per il giudizio di
inadeguatezza dei redditi e di impossibilità oggettiva di procurarseli è quello dell’indipendenza
economica del richiedente, da valutare sulla base di indici quali la disponibilità di redditi di
qualsiasi specie, di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, di una casa di abitazione e la
capacità e possibilità effettive di lavoro personale.
La tesi, fatta propria dal tribunale, per cui l’assegno divorzile avrebbe una funzione esclusivamente
assistenziale deve considerarsi superata alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema
Corte nelle more intervenuta (n. 18287 dell’11.7.2018), che tuttavia (diversamente da quanto
asserito dall’appellante in comparsa conclusionale) da un lato non ristabilisce la precedente linea
interpretativa ancorata alla valutazione del tenore di vita -che effettivamente rende possibili abusi e
rendite di posizione-, dall’altro riconosce che l’assegno divorzile ha una funzione, oltre che
assistenziale, “in pari misura compensativa e perequativa”.
L’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per
ragioni oggettive richiede l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte dell’art. 5 comma 6 della
L. n. 898 del 1970, come modificata dalla L. n. 74 del 1987, “i quali costituiscono il parametro di
cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce
della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in
considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla
formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla
durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.
Particolare rilievo viene dato alla necessità di valutare il contributo fornito da ciascuno dei coniugi
alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, in quanto una valutazione basata
soltanto sull’aspetto della mancanza o insufficienza oggettiva di mezzi adeguati rischierebbe di
produrre, allo scioglimento del vincolo, effetti vantaggiosi per una sola parte, fermo restando che
“la funzione equilibratrice dell’assegno … non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita
endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge
economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale”.
In forza dell’insegnamento delle Sezioni Unite -cfr. nello stesso senso Cass. sez. I, ord., 23/01/2019-
vanno quindi presi in considerazione tutti gli elementi indicati nella prima parte dell’art. 5 comma 6
della L. n. 898 del 1970, anche ai fini della valutazione sulla spettanza dell’assegno, con particolare
attenzione al contributo fornito dalla P. alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello
comune e in rapporto alla durata del matrimonio.
Ciò posto, non può trascurarsi che la convivenza matrimoniale fra i coniugi -in regime di
separazione dei beni-, dalla quale non sono nati figli, è durata circa cinque anni e mezzo (dal 7
settembre 2005 all’omologa della separazione consensuale del 7 aprile 2011), periodo di tempo non
particolarmente lungo, durante il quale l’appellante non risulta avere offerto un contributo effettivo
alla formazione del patrimonio del coniuge, all’epoca del matrimonio già titolare della casa di
abitazione ed avente diritto alla pensione di anzianità, come si evince dalla documentazione in atti.
Non vi sono dunque elementi per concludere che il mancato svolgimento di attività lavorativa
durante il matrimonio abbia avvantaggiato in maniera significativa il B., atteso che il risparmio di
spesa conseguente allo svolgimento delle attività casalinghe da parte della donna è stato quanto
meno compensato da quanto fruito dalla P. per la disponibilità dell’abitazione e per il sostegno
economico del coniuge, esteso peraltro ai due figli minori della donna che hanno coabitato con la
coppia.
La sentenza impugnata va quindi confermata.
5. — Non può prendersi in esame la richiesta dell’appellato di liquidazione delle spese di entrambi i
gradi del giudizio, in mancanza di proposizione di specifico ed autonomo motivo di appello
incidentale in ordine alla compensazione disposta dal Tribunale: il giudice d’appello che rigetti
l’impugnazione e confermi la sentenza di primo grado non può infatti riformare la statuizione sulle
spese in essa contenuta senza incorrere nel vizio di ultrapetizione (Cass. 2008/n.15483).
Per quanto attiene alle spese processuali del presente grado, pur essendovi la soccombenza
dell’appellante si ravvisa una delle ipotesi previste dall’art. 92 comma 2 c.p.c. che inducono a
dichiararne la compensazione fra le parti per la metà con condanna dell’appellante a rimborsarle per
la quota residua all’appellato, come liquidata in dispositivo in base al D.M. n. 55 del 014 per fasi di
studio, introduttiva e di trattazione (non essendovi stato deposito di memorie conclusionali),
parametri medi per controversia di valore indeterminabile di complessità bassa: la pronuncia delle
Sezioni Unite, sopravvenuta nel corso del presente grado, integra infatti un “mutamento della
giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”, che ha comportato la necessità della valutazione
della fattispecie sotto un profilo parzialmente differente rispetto all’oggetto della decisione
impugnata.
La pronuncia di inammissibilità e rigetto del gravame, a norma dell’art. 13, c. 1-quater del D.P.R. n.
115 del 2002, applicabile ai procedimenti iniziati successivamente al 31 gennaio 2013, implica che
l’appellante sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1-bis; la carenza di discrezionalità al
riguardo in capo al giudice che definisce l’impugnazione impone infatti al Collegio di dare atto del
presupposto per il suddetto versamento (cfr. Cass. 2014/n.5955), a prescindere dalla mancanza di
condanna della P. al pagamento di spese processuali.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Campobasso – Collegio civile,
pronunciando definitivamente sull’appello proposto da M.M.P., con citazione notificata il 9/02/2018
e depositata con la nota di iscrizione a ruolo in data 14/02/2018, avverso la sentenza definitiva
n.483/2017 emessa dal Tribunale di Campobasso in composizione collegiale, nei confronti di G.B.,
con l’intervento necessario del Procuratore Generale, così provvede:
1. dichiara l’appello inammissibile quanto ai primi due motivi e lo rigetta per il resto;
2. condanna l’appellante a rimborsare all’appellato la metà delle spese del presente grado di
giudizio, che liquida per tale quota in Euro 3.105,00 per compensi al difensore, oltre rimborso
forfettario in ragione del 15%, Iva e Cpa come per legge, dichiarando compensata fra le parti la
quota residua;
3. dichiara l’appellante tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Campobasso, nella camera di consiglio del 20 marzo 2019.
Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2019.