Il percepimento dell’una tantum in sede di divorzio legittima comunque il diritto alla pensione di reversibilità

Corte dei Conti Umbria 21 febbraio 2018 n° 5
REPUBBLICA ITALIANA
in nome del Popolo italiano
la Corte dei conti
sezione giurisdizionale per l’UMBRIA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso di G. Z., nata a omissis il omissis ed ivi residente alla omissis
(omissis), iscritto al n. 12743 del registro di segreteria e depositato il 27
ottobre 2017, rappresentata e difesa dall’Avv. Bernardo Rufini e dall’Avv. Pier
Paolo Davalli ed elettivamente domiciliata in Perugia in via del Sole 8
proposto contro l’INPS;
Vistol’atto introduttivo del giudizio.
Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale.
Uditi, nell’udienza del 17 gennaio 2018, gli Avvocati Pier Paolo Davalli e
Bernardo Rufini per la ricorrente nonché l’Avvocato Roberto Annovazzi per
l’INPS.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con il ricorso in epigrafe è stata impugnata la determinazione negativa con
cui l’INPS ha rigettato la richiesta di pensione di reversibilità avanzata dalla Z.
nella qualità di coniuge divorziato dell’Avv. M. R. ex art. 5, comma 2, legge
898/1970, come modificata dalla legge 6 marzo 1987, n. 74.
La ricorrente, invocando anche un precedente delle Sezioni riunite di questa
Corte (C. conti, sez. riun., 7 dicembre 2005, n. 7), ha segnalato di essere
titolare di assegno divorzile previsto dall’art. 5 della legge sul divorzio,
corrisposto in unica soluzione, giusta sentenza di cessazione degli effetti civili
del matrimonio del Tribunale di Perugia n. 11141/1988 (doc. 2) di
accoglimento della domanda congiunta di divorzio presentata dagli ex coniugi
il 18 agosto 1988, le cui condizioni sono state “integralmente trascritte e
riportate” nella sentenza (Trib. Perugia, sent. 11141/1988, pag. 3) la quale
menziona espressamente, ai fini della trascrizione immobiliare, anche la
“costituzione di usufrutto a favore della Sig.ra Z. G.”.
2. L’INPS, costituendosi con memoria depositata il 4 gennaio 2017, ha
contestato la fondatezza del ricorso confermando la legittimità dei
provvedimenti negativi adottati.
La difesa dell’INPS ha richiamato la giurisprudenza costituzionale e di
legittimità, formatasi in epoca risalente, che subordina la nascita del diritto alla
pensione di riversibilità al riconoscimento giudiziale della spettanza
dell’assegno divorzile, escludendolo in caso di corresponsione dello stesso
una tantum.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve preliminarmente affermarsi la giurisdizione di questa Corte trattandosi
di controversia di natura pensionistica (art. 1, comma 2, c.g.c.). Sulla natura
pensionistica del rapporto de quo si sono pronunciate anche le Sezioni riunite
di questa Corte (C. conti, sez. riun., 7 dicembre 2005, n. 7).
2. La pretesa è fondata per le ragioni di seguito indicate.
E’ noto quanto sia controversa la natura giuridica dell’assegno divorzile,
originariamente considerato polifunzionale (Cass., sez. un., 26 aprile 1974, n.
1194 e sez. un., 9 luglio 1974, n. 2008, che attribuivano a tale assegno una
funzione assistenziale, risarcitoria e compensativa), poi, a seguito della legge
di modifica 74/1987, monofunzionale ed in particolare assistenziale (Cass.,
sez. un., 29 novembre 1990, n. 11490; C. cost., 11 febbraio 2015, n. 11),
dovendo mirare a consentire all’ex coniuge il mantenimento di un tenore di
vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe
presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso, ovvero che
poteva ragionevolmente prefigurarsi sulla base delle aspettative esistenti nel
corso del rapporto matrimoniale. La Corte costituzionale ha rigettato la
questione di legittimità costituzionale evidenziando che il parametro del
“tenore di vita” rileva per determinare in astratto il tetto massimo della misura
dell’assegno, ma in concreto concorre, e va poi bilanciato, caso per caso, con
tutti gli altri criteri indicati nello stesso art. 5 legge 898/1970 che possono
anche condurre all’azzeramento dell’emolumento, come costantemente
enunciato dalla stessa Suprema Corte (così C. cost., 11 febbraio 2015, n. 11).
Di recente la Corte di cassazione, in considerazione dell’evoluzione del
costume sociale, ha rivisitato il proprio orientamento con sentenza 10 maggio
2017, n. 11504, stabilendo che il riconoscimento del diritto all’assegno
divorzile postula che il giudice cui sia rivolta la corrispondente domanda
accerti che l’istante sia privo di indipendenza o autosufficienza economica
(desumibile – salvo altri rilevanti indici nelle singole fattispecie – dal possesso
di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari,
dalle capacità e possibilità effettive di lavoro personale, dalla stabile
disponibilità di una casa di abitazione), sicchè, solo ricorrendo tale
condizione, potrà procedere alla relativa quantificazione avvalendosi di tutti i
parametri indicati, dall’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, come
sostituito dall’art. 10 della l. n. 74 del 1987 (condizioni dei coniugi, ragioni
della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla
conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello
comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio).
Il diritto alla pensione di reversibilità previsto dall’art. 9 della legge sul divorzio
ha natura previdenziale ed è autonomo dall’assegno di divorzio, anche se la
spettanza di quest’ultimo costituisce presupposto imprescindibile per
l’ottenimento del primo (“Il diritto al trattamento di reversibilità, previsto,
dall’art. 9, comma secondo, della legge n. 898 del 1970 nel testo novellato
dall’art. 13 legge 6 marzo 1987, n. 74, a favore del coniuge divorziato, in
assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di
reversibilità, purché il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico
sia anteriore alla sentenza di divorzio, e purché sussistano gli ulteriori requisiti
della titolarità dell’assegno di divorzio e del mancato passaggio a nuove
nozze, sorge nel coniuge divorziato, in via autonoma ed automatica, nel
momento della morte del pensionato, in forza di un’aspettativa maturata,
sempre in via autonoma e preventiva, nel corso della vita matrimoniale,
sicché è insuscettibile di essere vanificato dal successivo decorso degli eventi
relativi al rapporto matrimoniale. Esso – inoltre – non rappresenta la
continuazione – mutato il debitore – del diritto all’assegno divorzile del quale
era titolare nei confronti dell’ex coniuge avanti la sua morte, ma un autonomo
diritto di natura squisitamente previdenziale, alla pensione di reversibilità,
collegato automaticamente alla fattispecie legale, di modo che prescinde da
ogni pronuncia giurisdizionale che, ove necessaria, ha natura meramente
dichiarativa. Nel caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite,
aventi entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, ai fini della
determinazione (ex art. 9, comma terzo, della legge n. 898 del 1970, nel testo
novellato dall’art. 13 della legge n. 74 del 1987) della quota da attribuirsi al
“coniuge divorziato” (o – più puntualmente – ai fini della ripartizione del
trattamento di reversibilità tra il coniuge superstite e quello divorziato) non
possono essere utilizzati criteri diversi da quello della “durata del rapporto”
matrimoniale, ossia dal semplice dato numerico rappresentato dalla
proporzione fra le estensioni temporali dei rapporti matrimoniali degli stessi
coniugi con l’ex coniuge deceduto: E tale durata del rapporto matrimoniale
non può essere intesa che come coincidente con la durata legale del
medesimo, e pertanto non possono assumere rilevanza , in pregiudizio del
“coniuge divorziato”, la eventuale cessazione della convivenza matrimoniale
ancora prima della pronuncia di divorzio, o (in favore – questa volta – del
“coniuge superstite”) l’eventuale periodo di convivenza “more uxorio” con l’ex
coniuge deceduto, che abbia preceduto la stipulazione del nuovo matrimonio .
Ne consegue che la quota della pensione di reversibilità spettante a ciascuno
dei coniugi, non può che essere data dal rapporto tra la durata legale del suo
matrimonio con l’ex coniuge e la misura costituita dalla somma dei due
periodi matrimoniali, e che rimane preclusa l’adozione di qualsiasi altro
criterio di valutazione, anche se in funzione di mera emenda o di mera
correzione del risultato conseguito. In presenza di un coniuge superstite
avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il diritto del coniuge divorziato
ad una quota del trattamento di reversibilità (art. 9, comma terzo, dell’art. 9,
legge n. 898 del 1970 nel testo novellato dall’art. 13 della legge n. 74 del
1987) dello ex coniuge deceduto, non costituisce soltanto un diritto vantato
nei confronti del coniuge superstite avente – in quanto tale – natura e funzione
di prosecuzione del precedente assegno di divorzio, ma costituisce un
autonomo diritto (avente natura previdenziale al pari di quel diritto che si
configura invece – ai sensi del secondo comma dell’art. 9 cit. – allorché
manchi un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità)
al trattamento di reversibilità, che l’ordinamento attribuisce al coniuge
superstite, con la sola peculiarità per cui un tal diritto è limitato –
quantitativamente – dall’omologo diritto spettante al coniuge superstite. Ne
consegue: 1) che sia il coniuge divorziato che quello superstite siano titolari di
un proprio diritto all’unico trattamento di reversibilità; diritto autonomo e
concorrente, in pari grado, e qualificantesi – per l’appunto – come diritto ad
una quota della pensione di reversibilità; 2) che il coniuge superstite non sia
più l’unico naturale destinatario della pensione di reversibilità spettante al
“coniuge sopravvissuto”; 3) che, anche nell’ipotesi in cui vi sia il concorso di
più coniugi divorziati ed il coniuge superstite, quel che viene diviso è l’unico
trattamento di reversibilità spettante, in astratto, al “coniuge superstite”, e non
un diritto di quest’ultimo; 4) che, nell’ipotesi di decesso o di passaggio a
nuove nozze del coniuge superstite, il coniuge divorziato ha diritto all’intero
trattamento di reversibilità” Cass., sez. un., 12 gennaio 1998, n. 159).
In altri termini, come precisato dalle Sezioni riunite di questa Corte (C. conti,
sez. riun., 7 dicembre 2005, n. 7), “l’esistenza di una pronuncia positiva sul
diritto all’assegno è sempre accertabile dal giudice delle pensioni mediante la
lettura ed interpretazione della sentenza del giudice del divorzio, concernendo
l’accertamento dell’esistenza – inesistenza di un fatto giuridico”.
Tra la tesi del diritto all’assegno in astratto e quella della spettanza in
concreto (“godimento effettivo dell’assegno di divorzio”) le Sezioni riunite
hanno optato, quindi, anche richiamando la giurisprudenza costituzionale
formatasi in materia (C. cost. 7/1980, 286/1987, 87/1995), per la seconda
imponendo al Giudice delle pensioni un giustificato accertamento della
spettanza del diritto come emergente dal titolo, essendo la sentenza civile di
attribuzione dell’assegno divorzile una pronuncia costitutiva, mentre quella del
giudice delle pensioni una pronuncia di accertamento e condanna.
Tale linea interpretativa è stata poi avallata dal Legislatore attraverso
l’approvazione di una norma di interpretazione autentica (art. 5, legge 28
dicembre 2005, n. 263, secondo il quale l’art. 9 legge divorzio, nella parte in
cui si riferisce alla “titolarità dell’assegno ai sensi dell’art. 5”, deve intendersi
come “avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del
Tribunale ai sensi del predetto articolo 5 della citata legge 898/1970”).
Ciò premesso la questione giuridica investe la corretta interpretazione dell’art.
9 della legge sul divorzio, con specifico riguardo alla corresponsione
dell’assegno divorzile una tantum, nella parte in cui prevede il diritto alla
pensione di reversibilità a favore del solo “coniuge rispetto al quale è stata
pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del
matrimonio […] se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di
assegno ai sensi dell’art. 5”.
La giurisprudenza di legittimità non ha dato soluzioni univoche a tale
problematica, tanto che di recente la questione è stata rimessa all’attenzione
delle Sezioni unite (Cass., sez. I, ord. rim., 10 maggio 2017, n. 11453).
Per un primo orientamento la soluzione dovrebbe essere negativa. La
corresponsione una tantum renderebbe il coniuge non titolare dell’assegno
divorzile (Cass., 10458/2002; 3635/2012; 26128/2015; 9054/2016).
Altra tesi più recente, invece, opta per la soluzione opposta evidenziando che
l’adempimento dell’obbligo attraverso una prestazione unitaria attesterebbe
sostanzialmente la titolarità dell’assegno divorzile (Cass., 13108/2010;
11744/2011). La pronuncia del 2010 si riferisce proprio ad un caso di assegno
divorzile corrisposto in unica soluzione attraverso la costituzione di un diritto
di usufrutto (“In tema di divorzio e con riguardo al trattamento economico del
coniuge divorziato in caso di morte dell’ex coniuge, l’accordo intervenuto tra i
coniugi in ordine all’attribuzione dell’usufrutto sulla casa coniugale a titolo di
corresponsione dell’assegno di divorzio in unica soluzione, a norma dell’art. 5,
comma 8, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, è idoneo a configurare la
titolarità di detto assegno, alla stregua del principio della riconduzione ad
assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in sede od a seguito di
scioglimento del vincolo coniugale, dalle quali il beneficiario ritrae utilità
espressive della natura solidaristico-assistenziale dell’istituto; ne consegue
che tale costituzione di usufrutto soddisfa il requisito della previa titolarità di
assegno prescritto dall’art. 5 della legge ai fini dell’accesso alla pensione di
reversibilità, o, in concorso con il coniuge superstite, alla sua ripartizione”).
Si ritiene di dare seguito alla tesi progressista la quale è più corretta dal punto
di vista giuridico, sia alla luce dell’interpretazione letterale che di quella logicosistematica.
Il diritto alla pensione di reversibilità è un diritto proprio dell’ex coniuge che
discende direttamente dalla legge (nella specie l’art. 9 della legge sul
divorzio), tanto che la dottrina civilistica ascrive la figura alla categoria delle
vocazioni anomale trattandosi di poste escluse dall’oggetto della successione
mortis causa del de cuius.
Per tale ragione è fondamentale interpretare correttamente le previsioni della
legge sul divorzio alla luce dei principi generali del diritto delle obbligazioni e
dei contratti.
L’art. 9 attribuisce il diritto alla pensione di reversibilità al coniuge che sia
“titolare di assegno ai sensi dell’art. 5”.
Circa i presupposti in presenza dei quali sorge il diritto all’assegno divorzile si
è già detto in precedenza ricostruendo la problematica interpretazione dell’art.
5, comma 6, della legge sul divorzio (“Con la sentenza che pronuncia lo
scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale,
tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del
contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione
familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune,
del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto
alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare
periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha
mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”).
Trattasi, secondo le Sezioni riunite (C. conti, sez. riun., 7 dicembre 2005, n.7)
di un accertamento costitutivo che deve essere compiuto dal Giudice civile.
Risolto positivamente l’aspetto logicamente preliminare relativo all’an
debeatur, la legge sul divorzio, a seguito delle modifiche del 1987, prevede
che l’assegno possa essere corrisposto attraverso prestazioni periodiche
oppure in unica soluzione (art. 5, comma 8 “Su accordo delle parti la
corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa
dal Tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva
domanda di contenuto economico”).
L’identificazione delle modalità di soddisfacimento dell’obbligo di versamento
dell’assegno divorzile, dunque, è logicamente successiva ad ogni valutazione
relativa alla titolarità dell’assegno divorzile, il cui esito positivo
necessariamente presuppone.
Il versamento una tantum non può dunque escludere la spettanza della
pensione di reversibilità per carenza di titolarità dell’assegno divorzile, atteso
che, al contrario, esso, costituendo atto di adempimento di un obbligo ex lege,
ne assevera inequivocamente l’esistenza.
La prestazione che effettua il coniuge in favore dell’altro non è liberale, né
gratuita, ma posta in essere a titolo oneroso, in quanto finalizzata al
soddisfacimento una tantum dell’obbligo legale di corrispondere e versare
l’assegno divorzile (art. 5, comma 8, legge 898/1970). La prestazione
effettuata dall’ex coniuge all’altro, quindi, ha una propria funzione economicoindividuale
che rinviene il titolo giuridico non solo nell’accordo negoziale a
monte (la domanda congiunta di scioglimento degli effetti civili del
matrimonio) ma anche nel titolo giudiziale a valle (la sentenza giudiziale) che
recepisca la volontà concorde delle parti. La prestazione, titolata e non
astratta, essendo adempitiva di un obbligo legale (soddisfacimento
dell’assegno divorzile una tantum) è peraltro sottratta all’imposta sul reddito
delle persone fisiche (Cass., 8 maggio 2015, n. 9336).
La sola differenza esistente tra la corresponsione periodica e quella una
tantum è che quest’ultima non può essere imposta d’ufficio dal Giudice civile
dovendo essere il frutto dell’esercizio della libera autonomia privata bilaterale
di entrambi gli ex coniugi (Cass., 18 febbraio 2000, n. 1810), autonomia che
può legittimamente spiegarsi atteso che non ha natura preventiva ma
successiva al venir in essere delle cause di scioglimento del matrimonio
(come è noto la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, salvo
qualche flebile apertura – Cass., 12 dicembre 2012, n. 23713, considera nulli
gli accordi preventivi aventi ad oggetto l’assegno divorzile).
Nel caso concreto, dunque, la sentenza del Tribunale civile di Perugia n.
11141/1988, di applicazione dell’art. 5 della legge 898/1970, come modificata
dalla legge 74/1987, ha accertato l’esistenza dei presupposti per la
corresponsione dell’assegno divorzile, il cui soddisfacimento è stato fissato
una tantum ex art. 5, comma 8, legge 898/1970, tra l’altro, attraverso la
costituzione di un diritto di usufrutto in favore della ricorrente.
Per tale ragione, essendo la prestazione titolata (è noto come, in relazione a
fattispecie analoghe, la giurisprudenza di legittimità e una certa dottrina abbia
parlato di “adempimento traslativo”), la costituzione del diritto di usufrutto
risultante dalla sentenza n. 11141/1988, costituisce tecnica e modalità
adempitiva una tantum dell’assegno divorzile che assevera la “titolarità
dell’assegno” (di cui discorre l’art. 9, comma 2, legge 898/1970), con
conseguenziale spettanza del diritto alla pensione di reversibilità.
Per tali ragioni il ricorso deve essere accolto dichiarandosi il diritto della
ricorrente alla percezione della pensione di reversibilità, con condanna
dell’INPS alla corresponsione della stessa, con decorrenza dalla data della
morte del de cuius. Sulle somme dovute devono essere corrisposti interessi e
rivalutazione monetaria (art. 167, comma 3, c.g.c.).
4. In ragione della complessità e delicatezza della questione, nonché
dell’esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti, deve disporsi la
compensazione delle spese sussistendo giuste e gravi ragioni (art. 31,
comma 3, c.g.c.).
P.Q.M.
La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per l’Umbria, accoglie il ricorso nei
sensi di cui in motivazione e compensa le spese.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del 17 gennaio 2018.
Il Giudice
F.to Cons. Pasquale Fava
Depositata in segreteria il 21 febbraio 2018.
Il Direttore di Segreteria
F.to Elvira Fucci
Il Giudice Unico, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196,
DISPONE
che, a cura della Segreteria, venga apposta l’annotazione di cui al comma 3
del su detto art. 52 nei confronti del ricorrente.
IL GIUDICE UNICO
F.to Cons. Pasquale Fava
In esecuzione di quanto disposto dal Giudice Unico, ai sensi dell’art. 52 del
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione dovranno
essere omesse le generalità e tutti gli ulteriori elementi identificativi della parte
ricorrente.
IL DIRETTORE DELLA SEGRETERIA
F.to Elvira Fucci