Ai fini della giurisdizione i fattori di radicamento prevalenti attengono all’ambiente familiare

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 19 dicembre 2017 – 30 marzo 2018, n. 8042
Presidente Rordorf – Relatore Acierno
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di l’Aquila, confermando la pronuncia di primo grado, ha ritenuto il difetto di
giurisdizione del giudice italiano in favore di quello del Regno Unito in ordine alle domande proposte da
D.L.G. di affidamento congiunto della figlia minore, di diversa regolamentazione del diritto di visita e di
accertamento della debenza e della determinazione del contributo al mantenimento della medesima.
1.1 A sostegno della decisione la Corte d’Appello ha affermato: la madre e la figlia risiedono a Londra e la
residenza è conforme all’iscrizione all’A.I.R.E.;
la minore è iscritta presso un medico di base che esercita a Londra; per l’anno 2013/2014 è stata iscritta
ad un asilo nido londinese. Tutti questi elementi concordanti ed in particolare l’iscrizione all’asilo nido
inducono a ritenere che la residenza abituale debba essere individuata in Londra;
la circostanza che la minore trascorra anche periodi di tempo in Italia presso i nonni non esclude che
quella estera sia la residenza abituale.
2. Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il padre della minore, affidandosi a due
motivi.
Ha resistito con controricorso la madre della minore.
La prima sezione civile ha rimesso al ricorso alle sezioni Unite dal momento che entrambi i motivi
attengono alla giurisdizione.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
3. Nel primo motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo consistente nel fatto che alla data
di presentazione del ricorso la minore viveva presso i nonni materni nella provincia di Chieti non essendo
nella condizione giuridica di espatriare mancando il consenso del padre. Tale residenza aveva i caratteri
dell’abitualità in quanto la minore aveva sempre trascorso lunghi periodi con i nonni e non era mai
rimasta più di tre mesi consecutivi a Londra presso il domicilio inglese della madre la quale, pur avendo la
residenza ed un’attività d’impresa nella città inglese si divideva tra il regno Unito e l’Italia. La residenza
de iure della minore nel regno Unito dipende esclusivamente dal fatto che i genitori non sono sposati ma
ai fini della giurisdizione rileva la residenza di fatto.
Infine l’iscrizione all’asilo in Londra per l’anno successivo non costituisce circostanza rilevante ed inoltre,
la residenza di fatto della minore è stata indicata nel comune di Lanciano in un procedimento penale a
carico del padre, occasionato da una denuncia della madre in relazione a reati che si configurano solo nel
luogo di residenza della minore. Ciò costituisce un riconoscimento implicito della residenza della minore.
Nel secondo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 8, 13, 14, 15 e 20 del Reg. CE n. 2210 del
2003 per non avere la Corte d’Appello accertato effettivamente il luogo di residenza della minore sulla
base degli indicatori indicati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia quali la durata, la regolarità, le
condizioni e le ragioni del soggiorno, l’età del minore, l’origine geografica e familiare dei genitori, i
rapporti familiari e sociali che genitore e minore intrattengono in quello stesso stato, il luogo, le condizioni
di frequenza scolastica e le conoscenze linguistiche del minore.
Nella specie, la minore è cittadina italiana, nata in Italia da cittadini italiani con legami familiari in Italia
ed ha trascorso gran parte della sua vita in Italia. Non può pertanto essere indicata la residenza abituale
sulla base delle risultanze anagrafiche formali, tanto più che per un errore burocratico la minore al
momento della presentazione del ricorso risultava avere fin dalla nascita due residenze, una nella
provincia di Chieti ed una nel comune di Giugliano.
Infine la minore è seguita da un pediatra anche in Italia.
Occorre preliminarmente esaminare le eccezioni d’inammissibilità del ricorso prospettata dalla parte
controricorrente.
In ordine alla prima deve osservarsi che il ricorso proposto ha natura decisoria alla luce del costante
orientamento di questa Corte, instaurato dalla pronuncia n. 23032 del 2009 e rafforzatosi, all’esito della
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riforma della filiazione intervenuta con la legge delega n. 219 del 2012 e il d.lgs n. 154 del 2013, con la
sentenza n. 6132 del 2015 così massimata:
“Il decreto della corte d’appello, contenente i provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal
matrimonio e le disposizioni relative al loro mantenimento, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art.
111 Cost. poiché già nel vigore della legge 8 febbraio 2006, n. 54 – che tendeva ad assimilare la
posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio – ed a maggior ragione
dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 – che ha abolito ogni distinzione – al predetto
decreto vanno riconosciuti i requisiti della decisorietà, in quanto risolve contrapposte pretese di diritto
soggettivo, e di definitività, perché ha un’efficacia assimilabile “rebus sic stantibus” a quella del giudicato.
Il principio è stato confermato di recente dalla pronuncia n. 3192 del 2017.
È ammissibile anche in ordine all’accertamento dei fatti perché ai fini della giurisdizione la Cassazione è
giudice del fatto.
La parte controricorrente ha formulato un’eccezione d’inammissibilità anche con riferimento al primo
motivo di censura ritenendo che in esso fosse contenuta la richiesta di riesame della insindacabile
valutazione dei fatti svolti dal giudice del merito.
Anche tale eccezione deve essere disattesa. L’accertamento della giurisdizione, nella specie, secondo il
criterio normativo applicabile, fondato sulla residenza abituale del minore, tratto dall’art. 8 del
Regolamento CE n. 2201 del 2003, e consistente nella residenza abituale del minore impone al giudice
l’esame di una “quaestio facti” ai fini della decisione. A tale valutazione non si sottrae la Corte di
Cassazione cui spetta la definitiva determinazione della giurisdizione, al pari di quel che si verifica in sede
di regolazione della competenza. Ne consegue l’ammissibilità della censura formulata in quanto diretta a
porre in luce circostanze ed elementi di fatto, a giudizio della parte ricorrente non considerati od
insufficientemente valutati ai fini del versante di natura fattuale del criterio normativo della residenza
abituale.
Ancorché ammissibile il motivo è da respingere. Non essendo in contestazione la collocazione della
minore de iure presso la madre, in attesa della definizione del regime giuridico di affidamento della
stessa, e non essendo altresì contestata la residenza de iure della madre a Londra, non rileva ai fini della
determinazione della giurisdizione la dedotta mancanza di un consenso espresso del padre per l’espatrio.
Quanto al rilievo fattuale della coabitazione della minore con i nonni materni al momento della
proposizione della domanda, la circostanza può assumere rilievo solo se ancorata a fattori di radicamento
effettivi. Al riguardo deve integralmente condividersi la valutazione della Corte d’Appello che ha
valorizzato, attesa la tenerissima età della minore e la mancanza di fattori di radicamento esterni ai nuclei
familiari materno e paterno, indicatori di natura proiettiva, quali l’iscrizione all’asilo a Londra e
l’incardinamento nel sistema sanitario pediatrico inglese della minore, peraltro in coerenza con il regime
giuridico relativo alla residenza ad essa applicabile in quanto nata fuori del matrimonio ed in assenza di
statuizioni specifiche al riguardo prese consensualmente o giudizialmente. Gli elementi fattuali posti in
luce nel motivo di ricorso, consistenti, in particolare nei periodi non brevi trascorsi dalla minore in Italia,
presso i nonni, in particolare materni ma anche paterni, sono stati ritenuti fondatamente recessivi
rispetto a quelli sopra indicati, in quanto coerenti con l’ampiezza e l’elasticità, riscontrabile in fatto, delle
relazioni familiari delle quali fruisce la minore ma non idonei ad incidere sul radicamento della
giurisdizione, proprio per la peculiarità della situazione della stessa, dell’età di soli due anni al momento
dell’instaurazione del presente giudizio. Non possono che venire in rilievo, di conseguenza la residenza
materna a Londra, fondata su precise ragioni professionali e lavorative e la volontà espressa mediante
l’iscrizione a scuola della figlia minore e quella relativa all’assistenza pediatrica, di conservare tale
residenza per il proprio, attuale, nucleo familiare.
In conclusione, in mancanza di elementi univocamente contrastanti la pluralità d’indicatori relativi alla
residenza abituale a Londra, quali, a titolo esmplificativo, la permanenza dalla nascita e senza sostanziale
soluzione di continuità della minore in Italia, non possono ritenersi prevalenti le circostanze di fatto
ritenute decisive dalla parte ricorrente.
Il secondo motivo è sostanzialmente riproduttivo delle ragioni poste a base della prima censura. I criteri
elaborati dalla Corte di Giustizia al fine di determinare la residenza abituale devono essere adeguati alla
peculiarità dell’accertamento di fatto da svolgere. Nel caso di specie alcuni di essi sono inapplicabili, non
potendo essere esaminati fattori di radicamento oggettivo ed esterno rispetto all’ambiente familiare
attesa l’età della minore. Gli altri non conducono a conclusioni univoche non essendo contestato che la
madre della minore, cittadina italiana e con famiglia di origine residente in Italia, abbia invece stabile
residenza a Londra e là abbia radicato il proprio nucleo familiare, formato da lei e sua figlia, come gli
indicatori proiettivi pongono in evidenza quanto meno fino a che non verrà determinato un regime
giuridico ad hoc relativo all’affidamento della minore. Le altre allegazioni di parte ricorrente, come
sottolineato anche dal Procuratore Generale in udienza, hanno natura ipotetica e non sono fondate sulla
situazione de iure e de facto attuale o riguardano fatti del tutto irrilevanti quali l’aver provveduto ad un
medico di riferimento anche in Italia.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con applicazione del principio della soccombenza in ordine
alle spese processuali del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio da liquidarsi in Euro
3000 per compensi, Euro 200 per esborsi oltre accessori di legge.