Sequestrata e obbligata a compiere un rapporto sessuale: condanna per l’ex compagno

Cass. Pen., Sez. III, Sent., 22 febbraio 2021, n. 6709
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE TERZA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA sul ricorso proposto da:M.G., nato a (OMISSIS);avverso la sentenza in data 04/10/2019 della Corte di appello di Firenze;visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Seccia Domenico, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;letta la memoria per l’imputato dell’avv. M.T. che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;letta la memoria dell’avv. D.R. che ha chiesto l’accoglimento delle conclusioni scritte e la liquidazione della nota spese. Svolgimento del processo1. Con sentenza in data 4 ottobre 2019 la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza in data 25 luglio 2018 del Tribunale di Pisa che aveva condannato con il rito abbreviato M.G. alle pene di legge per i reati di sequestro di persona, lesioni personali guaribili in 10 giorni e violenza sessuale ai danni della sua ex-compagna.2. Con il primo motivo di ricorso l’imputato deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine all’accertamento del delitto di sequestro di persona. Ricorda che la costrizione fisica o psichica doveva essere finalizzata ad una privazione o comunque ad una limitazione della libertà di movimento della persona offesa, pena la sovrapposizione con la diversa, meno grave e sussidiaria
fattispecie della violenza privata. Nella specie, i Giudici avevano omesso, non solo di verificare se la porta di ingresso potesse o meno essere agevolmente aperta dall’interno, ma avevano abdicato a qualsiasi indagine volta ad accertare la privazione, anche temporanea, della libertà di movimento della persona offesa durante il violento litigio. La Corte territoriale aveva fondato il giudizio di responsabilità sul gesto della persona offesa di gettarsi dal balcone, comportamento giustificato dal mancato allontanamento dall’appartamento della vittima e dall’impedimento frapposto alla donna all’uscita. Così, in mancanza di una prova diretta, aveva ricavato induttivamente la costrizione dal gesto estremo compiuto dalla vittima. Ritiene il ragionamento illogico, poiché la volontaria discesa della donna dal balcone al negozio sottostante era da imputarsi probabilmente alla concitazione del momento ed allo scontro dei due. Non era provato però che tale irrazionale gesto fosse stato la conseguenza della limitazione di locomozione della donna. Sostiene, al contrario, che la capacità di compiere un simile gesto fosse indicativa della libertà di movimento e, del resto, nonostante il violento litigio, lui comunque aveva manifestato tutto lo sconcerto e la preoccupazione del caso, cercando invano di bloccarla. Con il secondo denuncia la violazione di legge in ordine all’aggravante teleologica di cui non ricorrevano i presupposti in assenza della prova del sequestro di persona. Con il terzo eccepisce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al reato di violenza sessuale. La vittima non aveva mai dichiarato di essere stata costretta a praticargli il rapporto orale nè che lui avesse esercitato una qualche forma di violenza per ottenere la soddisfazione sessuale. Se pure egli poteva aver esercitato una qualche forma di violenza o minaccia nei confronti della persona offesa, come da lui stesso parzialmente ammesso, in nessun caso tale condotta era stata finalizzata al compimento di atti sessuali nei confronti della donna.L’attività sessuale era stata compiuta successivamente dalla vittima, non perchè la sua volontà era stata coartata, ma per un qualunque motivo, estraneo al suo volere, rientrante nella relazione tra i due soggetti. A riprova di ciò, vi era la circostanza, anch’essa emersa pacificamente nel corso del procedimento, della brevissima durata del rapporto orale praticato dalla persona offesa. Nega quindi la coartazione della vittima. Con il quarto lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al fatto di minore gravità. Rappresenta la modestia dell’atto, durato pochi istanti, e l’assenza di coartazione. Motivi della decisione3. Il ricorso è manifestamente infondato perchè consiste in generiche deduzioni di fatto reiterative di doglianze che avevano già trovato adeguata risposta nelle sentenze di merito.3.1. Con riguardo al reato di sequestro di persona i Giudici di merito hanno accertato che l’imputato la sera del 26 giugno 2017 si era recato a casa della donna per ritirare i propri effetti personali, essendo finita la loro relazione. Tuttavia, nel corso del litigio, aveva chiuso la porta di casa con il chiavistello, aveva tentato di portarla in camera da letto per consumare un rapporto sessuale, le aveva messo le mani al collo e l’aveva minacciata; la donna gli aveva lanciato un vaso di vetro ed aveva urlato chiedendo aiuto; l’uomo l’aveva portata in cucina, aveva afferrato un coltello e aveva continuato a minacciarla; quindi, la vittima aveva tentato di fuggire di casa, ma l’imputato gliel’aveva impedito trattenendola per i capelli e, negli spostamenti in casa, la donna si era ferita con i frammenti del vetro del vaso rotto in precedenza; infine, nel tentativo di rabbonire l’uomo, aveva acconsentito alla richiesta di praticargli un rapporto orale, ma subito dopo era stata sopraffatta dai conati di vomito; l’imputato, mentre si rivestiva, aveva continuato a minacciarla di morte e l’aveva trattenuta per il braccio nonchè stretta al collo fino a provocarle la perdita dei sensi; rinvenuta, la donna si era alzata, aveva attraversato il salotto e si era lanciata dal balcone, mentre l’uomo aveva cercato di trattenerla; caduta sul balcone sottostante, la vittima aveva scavalcato la ringhiera nuovamente e si era lanciata nel cortile di un negozio, quindi aveva trovato rifugio nel bagno del negozio dove era stata trovata al momento dell’apertura mattutina.
3.2. I fatti sono stati parzialmente ammessi dall’imputato, sebbene abbia negato sia sequestro che violenza ed abbia anche segnalato lo strenuo e disperato tentativo di salvataggio che, se valorizzato, avrebbe portato ad escludere l’elemento soggettivo del sequestro.3.3. Nel ricorso per cassazione l’imputato, a differenza dei motivi d’appello, non ha contestato le dichiarazioni della donna, ma la sussistenza dell’elemento oggettivo del sequestro.La Corte territoriale ha osservato, motivata solidamente la credibilità della persona offesa, che l’imputato aveva chiuso porta e finestre, come del resto ammesso da lui stesso, che aveva per giunta riferito che la chiusura della porta era stata il frutto di un gesto automatico. A prescindere dal rilievo se la porta potesse o meno essere aperta dall’interno, il dato dirimente è stato individuato dai Giudici nel comportamento di prevaricazione, aggressione, minaccia e violenza, tenuto per tutto il tempo dall’imputato, fino al gesto disperato compiuto dalla donna di lanciarsi dal balcone.La decisione è in linea con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui il delitto di sequestro di persona non implica necessariamente che la condizione limitativa imposta alla libertà di movimento sia obiettivamente insuperabile, essendo sufficiente che l’attività anche meramente intimidatoria o l’apprestamento di misure dirette ad impedire o scoraggiare l’allontanamento dai luoghi ove si intende trattenere la vittima, se non attraverso iniziative imprudenti e pericolose per la propria persona, siano idonei a determinare la privazione della libertà fisica di quest’ultima, con riguardo, eventualmente, alle sue specifiche capacità di reazione (tra le più recenti, Cass., Sez. 2, n. 11634 del 10/01/2019, Capatti, Rv. 276058 -01).Nella specie, tutta la vicenda, dalla chiusura della porta d’ingresso della casa con il chiavistello da parte dell’uomo al lancio dal balcone con cui la donna ha realizzato la sua liberazione, conforma il delitto di sequestro di persona, come contestato.Il ricorrente ha tentato di proporre una ricostruzione alternativa dei fatti, che non solo non è stata riscontrata, ma è risultata pure smentita dagli esiti del sopralluogo della polizia giudiziaria nonchè dalle dichiarazioni dei primi soccorritori e dal referto medico che hanno invece avvalorato il narrato della vittima.3.4. Ne consegue la manifesta infondatezza del secondo motivo di doglianza, dal momento che il sequestro di persona è stato inequivocamente perpetrato in un contesto altamente violento in cui l’uomo ha obbligato la donna a compiere il rapporto sessuale.3.5. Ed invero, non contestata la credibilità della vittima, non è revocabile in dubbio che il rapporto orale non sia stato il frutto di una libera scelta dell’autrice, bensì la conseguenza dello stato di umiliazione fisica e sudditanza psicologica, nonchè del lucido calcolo di evitare ulteriori lesioni personali e salvaguardare la propria incolumità.Sull’assenza di un valido consenso al rapporto sessuale nella presente vicenda, si richiama il principio di diritto di recente ribadito da Cass., Sez. 3, n. 17676 del 14/12/2018, dep. 2019, R., Rv. 275947 -01 e n. 39865 del 17/02/2015, S., Rv. 264788 -01, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi in contrario nè l’esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para-coniugale tra le parti, nè la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, laddove risulti la prova, come nella specie, che l’agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione ed umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest’ultima al compimento di atti sessuali.E’ pertanto inammissibile anche il terzo motivo di ricorso, essendo del tutto irrilevante la presunta breve durata del rapporto orale o la presunta desistenza dell’uomo, essendo accertata la consumazione del contatto sessuale tra la vittima e le parti intime dell’imputato.3.6. E’ del pari inammissibile il quarto motivo, a cui la Corte territoriale ha dedicato una scrupolosa attenzione, evidenziando che l’atto era stato compiuto approfittando dello stato di profonda prostrazione, angoscia, terrore della vittima, conseguenti al comportamento violento, minaccioso e provocatore dell’imputato. La particolare invasività dell’atto sessuale, tale da provocare sensazioni di
disgusto nella vittima, e la coartazione esercitata con lesioni e minacce sono state logicamente interpretate nel senso di escludere la minore gravità del fatto.3.7. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensidell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentatosenza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.Secondo la sentenza a Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760, nel caso in cui la parte civile sia ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensidell’art. 541 c.p.p. e D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 110pronunciare condanna generica dell’imputato al pagamento di tali spese in favore dell’Erario, mentre è rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato D.P.R.. P.Q.M.Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Firenze con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 82 e83disponendo il pagamento in favore dello Stato.In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativia norma delD.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52in quanto imposto dalla legge.Motivazione semplificata.Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2020.