Separazione. Occorre tenere conto della concreta e attuale capacità lavorativa del richiedente

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 7 gennaio 2025 n. 234
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. …/2024 R.G. proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA …, presso lo studio dell’avvocato …(c.f. Omissis) che
lo rappresenta e difende
– ricorrente –
Contro
B.B., rappresentata e difesa dall’avvocato …(c.f. Omissis)
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO NAPOLI n. …/2023 depositata il 26/10/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024 dal Consigliere RITA ELVIRA A.
RUSSO.
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Napoli ha dichiarato la separazione dei coniugi A.A. – B.B. addebitandola al marito e
respingendo l’addebito della separazione alla moglie, ponendo a carico del marito un assegno in
favore della moglie di Euro 2.300,00 e per il mantenimento dei figli di Euro 2.000,00 assegnando alla
moglie la ex casa coniugale sita in N piazza (Omissis).
A.A. ha proposto appello che la Corte d’Appello di Napoli ha respinto rilevando che dalla prova
escussa in primo grado non emergono ragioni per addebitare la separazione alla moglie; che il
reddito del A.A. non solo derivante da lavoro dipendente ma anche da lavoro autonomo è
“certamente capiente” rispetto all’assegno, avendo egli oltretutto ereditato dalla madre la casa di
piazza (Omissis) che pur se aggravata da un “temporaneo diritto abitazione in favore dei figli” gli
consentirebbe agevolmente se venduta di fare fronte per molti anni a venire degli oneri di
mantenimento.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.A. affidandosi a tre motivi. Ha
svolto difese con controricorso la B.B.
Le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 156 c.c.,
comma 1, essendosi la Corte territoriale limitata ad affermare che la moglie ha redditi assai modesti,
trascurando però che l’assegno di mantenimento nella separazione -contrariamente a quanto
affermato dalla Corte territoriale – non mira a mantenere lo stesso tenore di vita goduto durante il
matrimonio, ma assicura solo un contributo al coniuge economicamente più debole, sempre che,
però, lo stesso si sia attivato per la ricerca di un lavoro, e non sia invece rimasto al riguardo del tutto
inerte; in tal modo, la moglie ha aggravato ingiustificatamente la posizione debitoria del ricorrente.
Il ricorrente afferma che dopo il revirement del 2018 delle Sezioni Unite in tema di assegno di
divorzio si è ritenuto che la decisione assunta in tema di assegno divorzile possa applicarsi anche al
mantenimento, successivamente, pronunciandosi in tal senso la giurisprudenza di legittimità.
Deduce che la moglie non ha mai dato prova di essersi attivata per cercare di procurarsi i mezzi
adeguati in maniera autonoma, mentre dalle testimonianze risulta che la donna è laureata e che nel
2006 aveva svolto attività lavorativa per alcuni anni; l’attitudine al lavoro è uno degli elementi che è
indispensabile esaminare ed è stato e disatteso prima dal Tribunale di Napoli e poi dalla Corte la
quale ha semplicemente valorizzato l’esigenza di assicurare al coniuge un tenore di vita adeguato a
quello goduto in costanza di matrimonio.
2.- Il motivo è fondato nei termini di cui appresso.
La Corte territoriale si è limitata ad affermare che la moglie al momento della separazione non
lavorava e che ha diritto di conservare l’elevato tenore di vita mantenuto in costanza di convivenza,
senza valutare se ella sia in possesso di risorse economiche tra le quali rileva certamente, oltre che
l’eventuale patrimonio, anche la capacità lavorativa, da valutarsi in concreto e non in astratto (Cass.
n. 24049 del 06/09/2021).
2.1.- Non si tratta qui di estendere automaticamente alla separazione i principi affermati da questa
Corte in tema di assegno divorzile (Cass. S.U. 18287/2018), quanto di verificare se sussistano i
presupposti per ottenere l’assegno di mantenimento ed in che misura, con accuratezza e
considerando la concreta situazione, pur tenendo fermo che assegno di divorzio ed assegno di
mantenimento sono diversi quanto a natura presupposti e funzioni; e segnatamente, l’assegno di
mantenimento che il coniuge privo di mezzi può ottenere in sede di separazione è correlato al tenore
di vita ed è privo della componente compensativa, consistendo nel diritto di ricevere dall’altro
coniuge quanto è necessario mantenimento, in mancanza di adeguati redditi propri (art 156 c.c.).
2.2.- Nel quadro normativo del codice civile la separazione dei coniugi ha funzione conservativa,
pur se la legge sul divorzio le ha affiancato anche una funzione dissolutiva, tanto che questa Corte
ha affermato che in tema di crisi familiare, in ragione dell’unica causa della crisi, nell’ambito del
procedimento di cui all’art. 473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto anche con
domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del
matrimonio. Secondo l’id quod prelumque accidit, si osserva che la crisi separativa conduce, sia pure
attraverso la disciplina di una graduazione e assottigliamento delle posizioni soggettive (diritti e
doveri) dei coniugi, dal fatto separativo e con altissima probabilità all’esito divorzile successivo
(Cass. n. 28727 del 16/10/2023).
2.3.- Il diritto all’assegno di mantenimento è quindi fondato sulla persistenza del dovere di assistenza
materiale fintanto che il matrimonio non è sciolto; il principio di parità richiede che tale sostegno sia
reciproco, senza graduazioni o differenze, ma anche solidale (Cass. n. 34728 del 12/12/2023 in
motivazione).
3.- Il Collegio ritiene di aderire a tutt’oggi a questo orientamento, considerando che l’assegno di
mantenimento è fondato – come sopra si diceva – sulla persistenza di uno dei doveri matrimoniali e
non ha – a differenza dell’assegno di divorzio – componenti compensative. Tuttavia, deve rilevarsi
che l’accertamento del diritto ad esser mantenuti dall’altro coniuge a seguito di separazione non è
scisso dalla valutazione che la solidarietà presuppone un rapporto paritario e di reciproca lealtà,
incompatibile con comportamenti parassitari diretti a trarre ingiustificati vantaggi dal coniuge
separato. Più volte questa Corte ha sottolineato come anche nelle relazioni familiari valga il principio
di autoresponsabilità che è strettamente correlato alla solidarietà; tutte le comunità solidali
presuppongono che ciascuno contribuisca al benessere comune secondo le proprie capacità e che
nessuno si sottragga ai propri doveri.
4. – Deve quindi rilevarsi che ferma la differenza tra assegno di divorzio e assegno di separazione,
vi sono alcuni tratti comuni tra i due istituti e tra questi il presupposto che il richiedente sia privo di
risorse adeguate. L’art. 156 parla invero di mancanza di “adeguati redditi propri”, e non di “mezzi
adeguati” come l’art. 5 della legge divorzile, ma, ove il richiedente sia dotato di concreta e attuale
capacità lavorativa e non la metta a frutto senza giustificato motivo la assenza di adeguati redditi
propri non può considerarsi un fatto oggettivo involontario ma una scelta addebitabile allo stesso
interessato.
4.1.- Nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che il riconoscimento dell’assegno previsto
dall’art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può
estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in
grado di procurarsi da solo (Cass. n. 20866 del 21/07/2021). Ed ancora si è affermato che l’attitudine
al lavoro proficuo dei coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento
valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del
giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività
lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con
esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass. n. 5817 del 09/03/2018; Cass. n. 24049 del
06/09/2021).
Nella specie la Corte d’Appello di Napoli non ha fatto buon governo di questi principi nell’omettere
qualsivoglia indagine sulle capacità lavorative concrete della richiedente assegno e non indagando
sulla possibilità che la moglie si procuri redditi diversi, ad esempio da patrimonio, limitandosi ad
affermare che la stessa al momento della separazione non lavorava.
5.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta il travisamento della prova in relazione all’art 360 n.
5 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 115 e 132 comma 4 c.p.c. Il ricorrente deduce che la Corte
d’Appello ha evidentemente travisato la prova circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato
oggetto di discussione tra le parti ed in particolare non ha valutato la relazione di consulenza tecnica
del dott. C.C. e la documentazione fiscale allegata depositata dal ricorrente nel giudizio di primo
grado, affermando sulla base di semplici presunzioni e considerazioni soggettive che esso ricorrente
avrebbe un reddito fortemente superiore a quanto emerge dagli atti di causa, non valutando il
documentato peggioramento delle sue condizioni economiche patrimoniali, né la effettiva
consistenza del suo reddito che è pari ad Euro 1.715,00 mensili; lamenta che il giudice d’appello
abbia omesso di valutare la situazione di sovraindebitamento dando valore al tenore di vita passato
dei coniugi e allo svolgimento di ulteriore attività lavorativa che non è stata provata.
6.- Il motivo è fondato.
La sentenza incorre nel vizio di nullità per omessa motivazione sul punto della capacità patrimoniali
del A.A. dal momento che la Corte napoletana, a fronte delle contestazioni dell’interessato il quale
ha documentato il suo reddito da lavoro dipendente anche con una consulenza di parte, si è limitata
a osservare che “come documenta la difesa dell’appellata” il reddito del A.A. è tuttora costituito non
solo da proventi di lavoro o dipendente ma anche da introiti da lavoro autonomo ed è un importo
complessivo lordo “certamente capiente” per il pagamento di cui è onerato.
Si tratta di una motivazione apparente, che per quanto graficamente esistente, non offre contezza
delle ragioni per le quali il A.A. è stato ritenuto in grado di pagare un assegno di mantenimento di
Euro 2.300,00 a fronte di un reddito documentato in misura inferiore. Segnatamente non è stato
specificato né che tipo di lavoro autonomo svolge, su quali prove si fonda l’accertamento dello
svolgimento di attività libero professionale e a quanto ammonta il reddito che ne ricaverebbe;
giungendo poi infine a valutare quale disponibilità economica l’essere proprietario della casa
coniugale assegnata alla moglie.
Peraltro, non è chiaro se la casa sia effettivamente gravata da “temporaneo” diritto di abitazione in
favore dei figli, come dice la Corte napoletana, verosimilmente male inquadrando la fattispecie,
posto che la assegnazione della casa al genitore convivente con i figli medesimi costituisce invece un
diritto personale di godimento (Cass. n. 4719 del 03/03/2006), mentre il diritto di abitazione è un
diritto reale. In ogni caso, la possibilità di venderla è stata valutata quale posta attiva del patrimonio
del soggetto obbligato in termini generici ed astratti. Se la casa è effettivamente gravata da diritto
reale di abitazione o da diritto personale di godimento opponibile ai terzi, avrebbe dovuto essere
valutata la concreta appetibilità sul mercato di un bene con tale vincolo; se libera da vincoli
opponibili a terzi, a parte l’incongruenza di suggerire una soluzione contraria all’interesse dei figli a
mantenere il loro ambiente domestico, avrebbe dovuto valutarsi che il padre in caso di rilascio della
casa in favore del terzo acquirente dovrebbe farsi carico delle spese abitative del nucleo familiare.
7.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132
c.p.c., e la nullità della sentenza in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in quanto il
giudice territoriale non si è pronunciato sul motivo di appello relativo all’addebito della separazione
posto a carico di esso ricorrente.
La parte deduce la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta di revoca
dell’addebito al marito sull’errato presupposto che lo stesso non avesse spiegato nessuna domanda
in tal senso. Invece nell’atto di appello si legge a pag. 24 e 25: “impugna altresì la suddetta sentenza
esattamente nella parte in cui la separazione viene addebitata al Dott. A.A. La causa della crisi
coniugale è da ascriversi in via esclusiva alla sig.ra B.B. per le gravi violazioni dei doveri coniugali
da lei posti in atto in costanza di matrimonio e, più precisamente, per i comportamenti gravemente
ingiuriosi ed irrispettosi rivolti al marito e ai di lui familiari, che hanno determinato l’intollerabilità
della prosecuzione della convivenza fra i coniugi” avendo peraltro esso ricorrente contestato che tra
i presunti tradimenti e la crisi coniugale vi fosse un nesso causale.
8. – Il motivo è fondato.
La Corte d’Appello, limitandosi ad esaminare la domanda di addebito alla moglie, ha omesso
effettivamente di pronunciarsi per intero sul motivo di appello, non cogliendone la effettiva portata.
Dal tenore dell’atto d’appello trascritto dalla parte, si desume che obiettivamente vi era
impugnazione del capo di sentenza di primo grado che ha addebitato la separazione al A.A., avendo
costui dedotto che la responsabilità della crisi non era sua ma esclusivamente della moglie, il che è
cosa ben diversa dal prospettare che la responsabilità sia di entrambi
Controparte eccepisce che il A.A. non abbia riportato le conclusioni dell’atto d’appello; tuttavia la
parte dell’atto d’appello che egli trascrive è più che sufficiente a fare ritenere che egli abbia proposto
detta questione, rendendo evidente che il suo obiettivo non era quella di ottenere una sentenza di
addebito reciproco bensì una sentenza di addebito in via esclusiva alla moglie, e ponendo quindi
una questione non adeguatamente esaminata dalla Corte d’Appello la quale si è limitata ad
affermare che i litigi di cui aveva riferito il teste Stara non avevano avuto incidenza casuale sulla fine
del rapporto e a richiamare, quanto alla incidenza causale dei comportamenti del A.A. una
valutazione, resa da una teste nel giudizio canonico, e non fatti oggettivi. Si tratta quindi di una
valutazione parziale che non tiene conto della complessiva esposizione del motivo di appello.
Deve qui ricordarsi che secondo la giurisprudenza adi questa Corte che tanto nel regime previgente
alla riforma operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto
2012, n. 134, che in quello successivo la mancata riproduzione, nella parte dell’atto di appello a ciò
destinata, delle conclusioni relative ad uno specifico motivo di gravame non può per ciò solo
equivalere a difetto di impugnazione, ovvero essere causa di nullità della stessa, se dal contesto
complessivo dell’atto risulti, sia pur in termini non formali, una univoca manifestazione di volontà
di proporre impugnazione per quello specifico motivo (Cass. n. 25751 del 2013 e Cass. n. 41438 del
23/12/2021);
Ne consegue, in accoglimento di tutti i motivi del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e
il rinvio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione per un nuovo esame, attenendosi ai
principi sopra richiamati e in particolare al seguente principio di diritto:
In tema di separazione dei coniugi il diritto a ricevere un assegno di mantenimento ai sensi dell’art
156 c.c. è fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale e morale, è correlato al tenore
di vita tenuto in costanza di matrimonio e non ha, a differenza dell’assegno di divorzio, componenti
compensative. Tuttavia, nel valutare se il richiedente è effettivamente privo di adeguati redditi
propri, deve tenersi conto anche della sua concreta e attuale capacità lavorativa, pur se l’istante non
la metta a frutto senza giustificato motivo, dal momento che l’assegno di mantenimento non può
estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in
grado di procurarsi da solo.
La Corte d’Appello provvederà anche sulle spese in esse comprese le spese del giudizio di
legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi
a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/2003.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame alla Corte di appello di
Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di
legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi
a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/2003.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2025.