Rito famiglia ante- Cartabia. I provvedimenti del G.I. non sono reclamabili
Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 31 gennaio 2025 n. 2299
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso …/2023 proposto da
A.A.; B.B.; rappresentate e difese dall’avv. …per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
C.C., rappres. e difeso dagli avv.ti…, per procura speciale in atti;
-controricorrente-
-nonché-
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI VENEZIA;
-intimato-
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, n. …/2023, depositata in data 5.10.2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3.12.2024 dal Cons. rel., dott.
Rosario Caiazzo.
Svolgimento del processo
Con la sentenza n. …/19, in data 28/02/19, il Tribunale di Verona, dichiarava la cessazione degli effetti
civili del matrimonio contratto tra C.C. e A.A. ai sensi dell’art. 4, comma 12, L. 898/70, disponendo,
con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio per la decisione sulle condizioni economiche
del divorzio.
Con sentenza definitiva dello stesso Tribunale, emessa nel 2023, veniva rigettata la domanda della
A.A. di assegnazione della casa coniugale, ponendo a carico di C.C. l’obbligo di versare a titolo di
contributo al mantenimento della figlia maggiorenne B.B. la somma di Euro 550,00 mensili,
rivalutabile annualmente secondo l’indice ISTAT, con versamento diretto alla figlia e decorrenza dal
mese di gennaio 2022, oltre alla forfettizzazione delle spese straordinarie nella misura di Euro250,00
mensili e conguaglio alla fine di ogni semestre.
Al riguardo, il Tribunale osservava che la domanda materna di assegnazione della casa coniugale
era palesemente infondata, tenuto conto che la revoca di tale assegnazione alla ex moglie era stata
disposta con la sentenza non definitiva sullo status n. …/19 resa in data 28/02/19 che, in difetto di
impugnazione delle parti – le quali non avevano fatto riserva di appello – era ormai passata in
giudicato ed era, quindi, divenuta definitiva, restando del tutto irrilevanti sul tema le deduzioni
della ex moglie in ordine sia alla pretesa natura fittizia del trasferimento di residenza della figlia, sia
alle condizioni economico/reddituali delle parti, sia alle condizioni di salute della stessa B.B.;
nell’accordo siglato dai coniugi il 25/07/14, la pretesa natura fittizia del trasferimento di residenza
della figlia non emergeva in alcun modo, poiché in esso si faceva espresso riferimento alla frequenza
da parte della stessa dell’Istituto paritario sito in P, che necessariamente presupponeva la presenza
nella città siciliana per tutta la durata del corso; doveva pertanto escludersi che da tale documento
risultasse un accordo tra le parti volto a mantenere la residenza effettiva della figlia presso la casa di
Legnago, emergendo per contro documentalmente l’avvenuto trasferimento di B.B. a P, necessario
per motivi di studio; a fronte di tale compendio probatorio, madre e figlia non avevano fornito in
causa alcuna prova concreta del fatto che nel periodo in esame (2014/2015) la figlia fosse, invece,
effettivamente rimasta ad abitare stabilmente a L; in caso di separazione o divorzio, il
provvedimento di assegnazione della casa coniugale o di revoca dell’assegnazione è pronunciato nei
confronti del coniuge, non dei figli, sicché non aveva pregio la tesi dell’ex moglie per cui la sentenza
non definitiva del Tribunale di Verona sarebbe nulla perché emessa senza la partecipazione al
procedimento della stessa figlia (chiamata in causa dopo la pronuncia della sentenza non definitiva,
per l’integrazione del contraddittorio sulla domanda paterna attinente alla elisione/modifica del
contributo paterno al mantenimento della figlia maggiorenne), tenuto conto che, nel giudizio
relativo alla domanda della moglie di assegnazione della casa coniugale, la figlia non era
litisconsorte necessaria (senza considerare che sia la moglie che la figlia, costituite in giudizio dopo
la sentenza non definitiva che aveva revocato l’assegnazione della casa, non avevano impugnato nei
termini la sentenza stessa, né fatto espressa riserva d’appello ai sensi dell’art. 340 c.p.c.); non era
parimenti meritevole di accoglimento neanche la domanda di figlia e moglie diretta all’aumento del
contributo paterno al mantenimento della figlia B.B., tenuto conto delle risultanze dell’istruttoria sia
in ordine alle condizioni reddituali/patrimoniali dei due genitori, sia in ordine alle condizioni di
salute della figlia; richiamato integralmente per relationem, a tale riguardo, il contenuto
dell’ordinanza depositata il 22/01/22, con la quale il giudice, all’esito di puntuale disamina sia della
documentazione reddituale/patrimoniale prodotta in causa dalle parti, sia delle condizioni di salute
della figlia, e valutata la circostanza dedotta da madre e figlia che quest’ultima, pur avendo ottenuto
un cambio di residenza per esigenze di studio, non aveva mai, di fatto, cessato la coabitazione con
la madre, né acquisito l’indipendenza economica, aveva rideterminato in Euro550,00 mensili il
contributo paterno al mantenimento di B.B. (originariamente stabilito, in sede di separazione
consensuale nel 2010, nella misura di Euro350,00 mensili, rivalutato alla data dell’ordinanza a circa
Euro390,00), con versamento diretto alla figlia stessa e decorrenza dal mese di gennaio 2022,
stabilendo la forfettizzazione delle spese straordinarie nella misura di Euro250,00 mensili, con
conguaglio alla fine di ogni semestre; madre e figlia hanno, invece, chiesto l’aumento a Euro1.200,00
mensili (in via principale) e a Euro700,00 mensili (in via subordinata) della contribuzione a carico
del padre e la forfettizzazione delle spese straordinarie, avendo entrambe allegato la natura
invalidante delle patologie che affliggevano la ragazza e la difficoltà di ottenere il pagamento della
quota paterna delle spese sanitarie, per avere il padre da sempre disconosciuto e sminuito l’esistenza
e la gravità dei problemi di salute della figlia; il contributo al mantenimento di quest’ultima poteva
essere confermato nella misura già stabilita dall’ordinanza depositata 22/01/22, pari a Euro550,00
mensili, con versamento diretto alla figlia e decorrenza dal mese di gennaio 2022, oltre alla
forfettizzazione delle spese straordinarie nella misura di Euro250,00 mensili, con conguaglio alla fine
di ogni semestre, non avendo le parti allegato alcun significativo mutamento delle rispettive
condizioni reddituali; nella detta ordinanza, il giudice aveva evidenziato che “…sulle entrate del
ricorrente grava la metà della rata di mutuo della casa familiare (in comproprietà con la ex moglie
A.A.) pari ad Euro 258,50 e da quanto risulta in atti il ricorrente sta pagando anche gli arretrati delle
rate di mutuo, anche per la quota parte della ex moglie resistente (cfr. doc. 26C; doc. 26B)”, ed aveva
altresì precisato che “…il ricorrente sta quindi anticipando la quota della rata di mutuo anche per la
parte della resistente”; la madre resistente e la figlia chiamata in causa avevano documentato che ad
B.B., a seguito di riconoscimento da parte della Commissione medica INPS di una invalidità del 75%
della ragazza, in conseguenza della diagnosi di “soggetto con diatesi allergica e diagnosi di malattia
rara (sindrome di Elhers Danlos tipo ipermobile in terapia con cannabis e fans. e ambliopia
occasionale. Intolleranza a fruttosio e lattosio istamina. Aneurisma del setto interatriale”) era stato
riconosciuto un assegno di invalidità di importo mensile pari a Euro 297,42, categoria INVCIV, con
decorrenza dal 01/06/21; madre e figlia non avevano specificamente allegato, né documentato in
causa, l’effettiva incidenza della patologia che affliggeva B.B. sulla sua concreta capacità lavorativa,
tant’è che la madre, nella comparsa conclusionale di replica, aveva definito detta patologia in termini
di “…handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge 104/1992 con inevitabile diminuzione
della capacità lavorativa o comunque del tempo dedicabile allo svolgimento di attività lavorativa”,
senza chiarire né l’entità di detta diminuzione, né la residua misura del tempo che la ragazza era in
grado di dedicare al lavoro; lo stesso certificato medico, a firma Dr. D.D., prodotto descriveva un
quadro sintomatologico caratterizzato da persistenza di sindrome dolorosa prevalentemente
incidente sulla capacità motoria della paziente e, in particolare, sulla capacità di fare spostamenti
tramite mezzi di trasporto pubblici, che nulla diceva rispetto alla capacità lavorativa della ragazza
per attività che potrebbero astrattamente essere svolte in smart working o, comunque, senza
spostamenti dalla propria residenza.
Con sentenza del 21.2.23, la Corte territoriale rigettava l’appello proposto da A.A. e B.B., osservando
che la domanda di assegnazione della casa di abitazione familiare proposta dalla madre era stata
rigettata con la sentenza parziale n. …/2019, sul punto passata in giudicato, che copriva il dedotto ed
il deducibile; il primo giudice, sebbene per relationem, aveva richiamato i contenuti della precedente
ordinanza del 22 gennaio 2022, precisando che nella stessa erano stati indicati gli assetti reddituali e
patrimoniali delle parti atti a giustificare il contributo in Euro. 550,00 mensili; tale statuizione non
era stata impugnata; al riguardo, la mera richiesta di aumento non si poteva giustificare assumendo
che l’invalidità del 75% risulterebbe per ciò sola sufficiente, in quanto non erra stato specificato e
criticato il decisum, ove si è dato conto che la residua capacità lavorativa (anche in regime di smart
working) sarebbe rimasta con la possibile incidenza sul reddito; il motivo di impugnazione per il
riconoscimento dell’assegno divorzile, se così inteso il petitum, non poteva essere accolto in quanto
genericamente formulato; il motivo sulle spese non si rapportava alla ratio decidendi ed era
parimenti infondato in diritto; non era fondato l’appello circa la compensazione delle spese di lite
nella misura del 50%,-con condanna delle resistenti in solido tra loro a rifondere al ricorrente il
residuo 50%- in considerazione sia della soccombenza di madre e figlia sul tema dell’assegnazione
della casa coniugale, sia del biasimevole comportamento processuale di entrambe rispetto al doc. 6
prodotto dall’ex marito all’utilizzazione del quale la A.A., dopo le fondate rimostranze del ricorrente,
aveva dichiarato di voler rinunciare; le appellanti non erano vincitrici in quanto la domanda per
l’assegnazione della casa familiare era stata rigettata, mentre la domanda per l’assegno della figlia
aveva trovato solo in parte accoglimento, tanto che il primo giudice aveva operato la compensazione
ex art. 92, c.2, c.p.c.
A.A. e B.B. ricorrono per cassazione avverso la suddetta sentenza di secondo grado, con otto motivi,
illustrati da memoria. C.C. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Il primo motivo deduce nullità della sentenza impugnata e dell’intero procedimento, per violazione
e falsa applicazione degli artt. 101 c. 1-2, 112, 156, 163 c. 3 n. 2, 164 e 331 c.p.c., in relazione agli artt.
111, c. 1 e 2, Cost. e 6 par. 1 CEDU e al mancato contraddittorio nei confronti di B.B. nel giudizio
conclusosi con la sentenza (non definitiva) n. …/2019.
Al riguardo, le ricorrenti lamentano che la revoca dell’assegnazione della casa coniugale è avvenuta
in difetto di partecipazione al procedimento da parte della figlia B.B. e nonostante il fatto che,
secondo consolidato orientamento del giudice di legittimità, il giudice debba comunque verificare
che il provvedimento richiesto non contrasti con i preminenti interessi della prole, per cui la sentenza
impugnata, in relazione agli altri, è nulla e come tale improduttiva di effetti giuridici nei confronti
di B.B., la quale, pertanto, aveva pieno diritto di ottenere l’assegnazione della casa familiare, che
viene disposta nel preminente interesse dei figli
A tal proposito, si evidenzia come correttamente il primo giudice avesse ribadito con l’ordinanza
17.01.2022, l’assoluta tempestività delle domande ed eccezioni di B.B., la quale era dunque
legittimata a svolgere tutte le difese e richieste, in quanto il giudizio si era svolto, nella prima fase,
senza la sua necessaria partecipazione e la previa instaurazione del contradditorio nei suoi confronti
che, ai sensi dell’art. 383 c. 3 c.p.c. data la ricorrenza di una nullità del giudizio di primo grado,
avrebbe dovuto indurre il giudice d’appello a rimettere le parti a quest’ultimo.
Le ricorrenti lamentano, in definitiva, che il preteso trasferimento della figlia a Palermo non era mai
avvenuto, per cui la revoca dell’assegnazione della casa familiare non avrebbe potuto essere disposta
in quanto la stessa non aveva mai perso la funzione di abitazione principale per B.B.
Il secondo motivo deduce nullità della sentenza impugnata e dell’intero procedimento “ab origine”,
per violazione e falsa applicazione degli artt. 70, n. 1, 72, 101, c. 1 e 2, 156, 163, c. 3, n. 2, 164 e 331
c.p.c., nonché dell’art. 5, c. 5, della legge n. 898 del 1970, in relazione agli artt. 111, c. 1 e 2, Cost. e 6
par. 1 CEDU, in ragione della violazione del contraddittorio nei confronti del Pubblico Ministero,
nell’ambito del giudizio conclusosi con sentenza definitiva n. 334/2023.
Sul punto, le ricorrenti eccepiscono la nullità della sentenza e dell’intero procedimento di primo e
secondo grado, per avere la Corte d’Appello confermato la decisione del Tribunale di Verona che
aveva rigettato la domanda di assegnazione della casa familiare ed ogni altra richiesta di A.A. e della
figlia chiamata in causa, senza che risulti alcuna notifica al Pubblico Ministero, quale litisconsorte
necessario, né il successivo avviso dell’udienza di precisazione delle conclusioni, né il deposito di
conclusioni scritte da parte di quest’ultimo, come rilevabile anche dallo storico del fascicolo (doc. 25
– fasc. Cass.).
Il terzo motivo denunzia nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa
applicazione degli artt. 4, c. 12, L. 898/1970 e 340 c.p.c., nonché degli artt. 112, 115, 116, 132, 324 c.p.c.,
in relazione all’asserito passaggio in giudicato della sentenza non definitiva, in ordine
all’assegnazione della casa coniugale e all’omesso esame della riserva di appello, proposta in sede di
costituzione.
Sul punto, si evidenzia che tale domanda era stata oggetto di apposita riserva di appello, ex art. 340
c. 1, c.p.c., nell’interesse della A.A., nella comparsa di costituzione in data 30/7/2019 nel giudizio di
primo grado; il pactum dolens riguardante tale doglianza si incentra sugli effetti della sentenza non
definitiva pronunciata in materia di divorzio.
Al riguardo, le ricorrenti assumono che la pronuncia della sentenza non definitiva è relativa solo allo
scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, ed il relativo giudicato potrà
formarsi solo sullo status; la riserva di appello era stata correttamente espressa anteriormente alla
prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza, in conformità con quanto stabilito
dall’art. 340 c.p.c., e la domanda era stata oggetto di impugnazione nell’atto di appello; pertanto il
dictum codicistico della riserva di impugnazione contenuta nell’art. 340 c.p.c. risulta ampiamente
rispettato, a nulla rilevando l’attestazione di preteso “passaggio in giudicato”, citata in sentenza, in
quanto erroneamente rilasciata – e, tutt’al più riferibile allo scioglimento o alla cessazione degli effetti
civili del matrimonio; la Corte di Appello, pertanto, nel valutare la richiesta di assegnazione della
casa coniugale, ha errato nel ritenere tale domanda passata in giudicato, soprattutto laddove non ha
valutato la richiesta di riserva di appello formulata nella comparsa e costituzione avvenuta prima
dell’udienza successiva alla comunicazione della sentenza, ex art. 340 comma 1 c.p.c.
Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c. 2 n. 4 e 156 u.c. c.c., in
relazione all’omessa motivazione sulla domanda avente ad oggetto l’assegnazione della casa
familiare, svolta anche dalla figlia in proprio, quale soggetto non autosufficiente e invalida nella
misura del 75%, in quanto la Corte territoriale, ritenendo erroneamente la formazione del giudicato,
è venuta meno all’onere motivazionale sulle domande proposte da entrambe le ricorrenti, negando
la facoltà di modifica e riesame anche dei provvedimenti qualificabili come definitivi.
Sussisteva, pertanto, in merito a questa specifica censura, una palese violazione di legge, nonché una
manifesta illogicità e carenza della motivazione, ciò comportando la nullità della sentenza
impugnata.
Il quinto motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 337 sexies c.c., con riguardo alla
revoca dell’assegnazione della casa coniugale, per aver la Corte d’Appello redatto una motivazione
apparente circa le condizioni di salute di B.B. (affetta da una sindrome fibromialgica secondaria a
lassità legamentosa, altresì chiamata “Sindrome di Ehlers-Damlos EDS di tipo ipermobile”) e non
coerente con i fini di tutela della prole, per i quali l’istituto è sorto, stante che, come affermato dalla
Consulta, salvo che l’assegnazione non venga meno di diritto al verificarsi di una nuova convivenza
di fatto o nuovo matrimonio, “la decadenza dalla stessa deve essere subordinata ad un giudizio di
conformità all’interesse del minore” (C. Cost., sent. n. 308/2008).
Difatti, le ricorrenti assumono altresì che, terminato l’anno scolastico, la figlia aveva spostato
nuovamente la propria residenza in Legnago (VR), nel pieno rispetto degli accordi sottoscritti con la
scrittura privata del 25.07.2014, che i giudici del merito non hanno in alcun modo esaminato.
Il sesto motivo denunzia violazione e falsa applicazione artt. 156 u.c. c.c. e 709 c. 4 c.p.c. circa la
misura dell’assegno di mantenimento in favore della figlia, che non è stata congruamente motivata,
in ordine alla mancata rivalutazione in termini inferiori rispetto alla domanda, in virtù della
invalidità civile riconosciuta ad B.B. nella misura del 75%, e alla riconosciuta riduzione permanente
della capacità lavorativa dal 74% al 99% (artt. 2 e 13 L. 118/71 e 9/D.L. 509/88), senza tener conto che
già il Tribunale aveva evidenziato, nell’ordinanza del 17.01.2022, la graduale diminuzione del
reddito netto della A.A., la quale, per accudire la figlia si era gravata di tutte le ulteriori spese
mediche, essendo sottoposta alla cessione del 1/5 dello stipendio per fare fronte a tali oneri.
Il settimo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per aver la Corte
d’Appello condannato le ricorrenti al pagamento delle spese, omettendo di esaminare la riserva di
appello e affermando, erroneamente, la formazione del giudicato sulla domanda proposta dalle
appellanti.
L’ottavo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 54, D.L. n. 83/2012 e ss.mm., ex L.
n. 134/2012, con riferimento al principio del minimo costituzionale in relazione all’omessa
motivazione e al mancato esame di più documenti decisivi per il giudizio, in particolare con riguardo
alla scrittura privata del 25/7/2014 (doc. 20), ai certificati di residenza di B.B., da cui si evinceva che
si era verificato uno spostamento provvisorio della residenza per ragioni di studio (doc. 21).
In particolare, le ricorrenti lamentano che la Corte territoriale aveva del tutto omesso di motivare la
propria decisione riguardante il rigetto della domanda di assegnazione della casa coniugale da loro
proposta nell’atto di appello in virtù della riserva formulata ex ante, fondando la relativa statuizione
su elementi, quali il passaggio in giudicato della domanda, non conformi alla realtà processuale.
Il ricorso va accolto nei limiti di cui si dirà.
Anzitutto, non è fondata l’istanza di rinvio a nuovo ruolo contenuta nella memoria illustrativa
presentata dalle ricorrenti, imperniata su una censura d’incostituzionalità dell’art. 380 bis per
asserita violazione del diritto di difesa nella fissazione delle udienze camerali.
Tale critica d’incostituzionalità, del tutto generica, non ha pregio poiché nel procedimento delle
decisioni camerali sui ricorsi per cassazione il diritto di difesa è del tutto garantito; né le istanti
specificano quale sarebbe la violazione paventata.
Il primo motivo è inammissibile. La Corte d’Appello, con la sentenza parziale n. …/2019, ha
dichiarato inammissibile il capo d’impugnazione riguardante la revoca dell’assegnazione della casa
familiare a favore delle ricorrenti, in quanto tale domanda era stata espressamente esaminata per
essere rigettata nel merito e, in difetto di impugnazione, tale questione non è più riesaminabile
essendosi su essa formato il giudicato che copre il dedotto ed il deducibile.
Al riguardo, la statuizione impugnata è conforme all’orientamento di questa Corte a tenore del
quale, il giudice che abbia pronunciato con sentenza non definitiva su alcuni capi di domanda,
continuando l’esame della causa per la decisione su altri, non può riesaminare le questioni già decise
con la sentenza non definitiva, neppure al fine di applicare nuove norme sopravvenute in corso del
procedimento, in quanto la nuova regolamentazione giuridica del rapporto va applicata dal giudice
dell’impugnazione avverso la sentenza non definitiva (Cass., n. 29321/21).
Le statuizioni contenute nella sentenza non definitiva possono essere riformate o annullate solo in
sede d’impugnazione, non con la sentenza definitiva successivamente resa (Cass., n. 10067/20).
Nella specie, la doglianza, nella sua prolissità, non coglie la ratio della sentenza impugnata, che ha
evidenziato la preclusione formatasi sulla questione della revoca dell’assegnazione della casa
familiare, senza la partecipazione al giudizio della figlia, con il formarsi del giudicato derivante dalla
mancata impugnazione della sentenza non definitiva, a nulla rilevando la prosecuzione del giudizio
per le altre questioni.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile. Nel procedimento di divorzio fra coniugi con figli
minori o incapaci, a norma degli artt. 4 e 5 legge n. 898 del 1970 (come novellati dalla legge n. 74 del
1987), il Pubblico ministero è litisconsorte necessario in concorrenza con le parti private ed è titolare
di un autonomo potere di impugnazione in relazione agli interessi dei suddetti figli, con la
conseguenza che, ove uno dei coniugi abbia proposto appello avverso un capo della sentenza di
primo grado riguardante i predetti interessi, il relativo atto d’appello deve essere notificato anche al
P.M. presso il Tribunale e, in difetto di notifica, il giudice di secondo grado deve disporre
l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti a norma dell’art. 331 cod. proc. civ (Cass., n.
23379/2007).
Nella specie, il Pubblico Ministero è intervenuto nella prima fase del giudizio, conclusosi con la
sentenza parziale, mentre B.B. nelle more della prosecuzione del giudizio è divenuta maggiorenne.
Terzo, quarto e quinto motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono invece
fondati.
Nelle conclusioni relative alla comparsa di risposta successiva alla sentenza parziale di primo grado
sul vincolo e sulla revoca dell’assegnazione della casa coniugale, la A.A. si “riservava” l’appello,
formulando un’istanza urgente ex art. 709, u.c., c.p.c. previgente- applicabile ratione temporis- sulla
modifica della statuizione della suddetta revoca adducendo circostanze nuove.
Invero, nel terzo motivo, nell’ultima parte, le ricorrenti allegano questo profilo assumendo che il
giudicato è modificabile rebus sic stantibus e che all’interno del giudizio possono essere dedotte
modifiche. L’art. 709, u.c., c.p.c., prevede infatti, che i provvedimenti temporanei ed urgenti assunti
dal presidente con l’ordinanza di cui all’art. 708 c. 3 c.p.c. possono essere modificati e revocati dal
giudice istruttore.
Su questa istanza la sentenza impugnata tace, limitandosi a dar conto del giudicato formatosi sulla
mancata formulazione della riserva d’appello, fatto che dunque, di per sé, nella fattispecie, non
precludeva la suddetta istanza a norma dell’art. 709, u.c., sulla quale la Corte d’Appello avrebbe
dovuto pronunciarsi.
Al riguardo, nell’ambito del procedimento di separazione personale dei coniugi, i provvedimenti
adottati dal giudice istruttore, ex art. 709, ultimo comma, cod. proc. civ., di modifica o di revoca di
quelli presidenziali, non sono reclamabili poiché è garantita l’effettività della tutela delle posizioni
soggettive mediante la modificabilità e la revisione, a richiesta di parte, dell’assetto delle condizioni
separative e divorzili, anche all’esito di una decisione definitiva, piuttosto che dalla moltiplicazione
di momenti di riesame e controllo da parte di altro organo giurisdizionale nello svolgimento del
giudizio a cognizione piena (Cass., n. 15416/2014).
Va altresì rilevato che anche la figlia ha formulato la domanda di assegnazione della casa coniugale
per la quale non è intervenuta la decisione della Corte territoriale.
Gli altri motivi sono da considerare assorbiti.
Per quanto esposto, in accoglimento dei motivi terzo, quarto e quinto, la sentenza impugnata va
cassata, con rinvio alla Corte d’Appello, anche in ordine alle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso, nei limiti di cui in motivazione; dichiara
inammissibili il primo e il secondo motivo, assorbiti gli altri motivi.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa
composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196/03, in caso di diffusione della presente ordinanza
si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Conclusione
Così deciso in Roma il 3 dicembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2025.