Riconoscimento del diritto agli alimenti alla figlia per riduzione parziale della capacità lavorativa

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 9 dicembre 2024 n. 31555
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. …/2023 R.G. proposto da
A.A., rappresentato e difeso dall’avvocato …(OMISSIS) per procura speciale allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
B.B., rappresentata e difesa dall’avvocato …(OMISSIS) per procura speciale allegata al controricorso
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 437/2023 depositata il 04/05/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal Consigliere CLOTILDE PARISE.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 135/2022 il Tribunale di Torino rigettava la domanda di mantenimento proposta
da B.B., e dichiarava in capo alla stessa, il diritto alla percezione di un assegno alimentare posto a
carico del padre, A.A., nella misura di Euro 350,00 mensili; condannava il convenuto al pagamento
delle spese del giudizio in favore della figlia in misura di 2/3; compensava le spese di lite tra le parti
per la restante quota; poneva altresì le spese di CTU, per la quota di 2/3 a carico del convenuto e per
la restante parte a carico dell’attrice.
2. Con sentenza n.437/2023 pubblicata il 4-5-2023 la Corte d’Appello di Torino, per quanto ora di
interesse, ha rigettato l’appello principale proposto da A.A. avverso la citata sentenza del Tribunale.
3. Avverso questa sentenza A.A. propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, resistito con
controricorso da B.B.
4. All’esito di istanza di sollecita trattazione presentata da parte ricorrente, il ricorso è stato fissato
per la trattazione in camera di consiglio. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
1. Il ricorrente denuncia a) con il primo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 438,
comma 1 e 2697, comma 1, c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per
avere la Corte d’Appello ritenuto che il riconoscimento del diritto agli alimenti fosse subordinato
alla “incolpevole incapacità di provvedere al proprio sostentamento” (elemento soggettivo) e non,
come previsto dall’art. 438 c.c., alla “impossibilità di provvedere al proprio sostentamento” (elemento
oggettivo); b) con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione degli art. 438, comma 1 c.c.,
artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di merito ritenuto
che l’art. 438 citato potesse consentire il riconoscimento del diritto agli alimenti anche solo per la
sussistenza di una riduzione parziale della capacità lavorativa generica, e non richiedesse al
contrario la prova della impossibilità oggettiva di provvedere al proprio sostentamento; c) con il
terzo motivo la violazione e falsa applicazione degli art. 438, comma 1 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in
relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’Appello ritenuto che la disponibilità
di ingenti somme da parte della figlia non comportasse l’insussistenza dello stato di bisogno e la
possibilità di provvedere al proprio mantenimento; d) con il quarto motivo la violazione e falsa
applicazione degli art. 438, comma 1 e 2697, comma 1, c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art.
360 c.p.c., co. 1, n. 3, per avere la Corte di merito ritenuto che una CTU meramente “referente” su
alcuni degli elementi costitutivi della fattispecie del diritto agli alimenti potesse costituire fonte di
prova sulla quale fondare il riconoscimento del diritto agli alimenti alla figlia; e) con il quinto motivo
la violazione e falsa applicazione degli art. 438, comma 1 e 2697, comma 1, c.c., artt. 115 e 116 c.p.c.,
in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici d’appello fondato il giudizio su mere
“deduzioni” circa l’impossibilità da parte della B.B. di mantenersi economicamente; f) con il sesto
motivo la violazione e falsa applicazione degli art. 438, comma 1 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione
all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la Corte di merito svolto alcuna valutazione circa
l’esistenza dell’altro elemento della capacità economica dell’obbligato, tale da poter sopportare
l’onere degli alimenti.
2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono in parte infondati e
in parte inammissibili.
2.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, il diritto agli
alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche della impossibilità di
provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di un’attività
lavorativa, sicché, ove l’alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o
l’impossibilità, per circostanze a lui non imputabile, di trovarsi un’occupazione confacente alle
proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata
(Cass.21572/2006). È stato altresì precisato (Cass. 11889/2015; Cass. 33789/2022) che lo stato di
bisogno deve essere connotato da una oggettiva impossibilità di soddisfare i bisogni primari con
proprie fonti o attingendo anche da una rete solidale, per quanto non giuridicamente vincolante e
però sostanzialmente fruibile e continuativa e deve essere valutato in relazione alle effettive
condizioni dell’alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo
disponga, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto, e
della loro idoneità a soddisfare le sue necessità primarie (così anche Cass.25248/2013).
2.2. Nel caso di specie la Corte di merito, sulla scorta dell’accertamento peritale effettuato in primo
grado e degli elementi probatori acquisiti, ha fatto corretta applicazione dei suesposti principi, e,
dopo aver dato conto delle complesse patologie fisiche da cui era affetta la controricorrente e della
situazione anche psicologica in cui si trovava, ha affermato che la B.B. non era, allo stato,
“concretamente in grado di attivarsi per reperire (e per mantenere) una occupazione lavorativa,
seppur astrattamente compatibile con la propria formazione universitaria e con le proprie condizioni
e limitazioni fisiche (ad esempio riprendendo le traduzioni a domicilio)”. In particolare la Corte di
merito ha condiviso la valutazione effettuata dal Tribunale, secondo cui la malattia rara (“displasia
neuronale viscerale, interessante il tubo digerente, con sintomatologia insorta nell’infanzia, con
stipsi ostinata”) da cui è affetta la figlia del ricorrente aveva comportato, a partire dal 2013, interventi
chirurgici e cure costanti. Era inoltre emersa “, pur a fronte di una pregressa istruzione universitaria
ed attività lavorativa come traduttrice per alcune case editrici e privati, una attuale (dal 2013 ad oggi)
situazione di ritiro sociale, assenza di occupazione, continua necessità di dedicarsi a specifiche
manovre fisiologiche derivanti dalla patologia, con impossibilità di uscire di casa se non per poco
tempo ed in dipendenza dalle condizioni fisiche del momento; la signora è risultata di umore
deflesso, con note ansiose, affetta da “attendibile disturbo alimentare in magrezza grave”. Il
consulente ha riconosciuto alla stessa una riduzione della capacità lavorativa generica, in rapporto
ai quadri morbosi coesistenti, del 67%”.
Sulla base di tali risultanze, la Corte di merito ha quindi concluso ritenendo “sussistente,
quantomeno ad oggi, di fatto, uno stato di bisogno dovuto ad una incolpevole capacità di
provvedere al proprio sostentamento”.
A fronte di tale congruo percorso motivazionale, la censura espressa con il primo motivo non coglie
nel segno, poiché con la locuzione “incolpevole incapacità di provvedere al proprio sostentamento”
la Corte di merito non ha affatto inteso, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, valorizzare
un elemento soggettivo, ma proprio, invece, l’impossibilità concreta dell’alimentanda, allo stato, “di
attivarsi per reperire (e per mantenere) una occupazione lavorativa” , così come previsto dall’art. 438
c.c.
2.3. Le doglianze espresse con gli altri motivi sono inammissibili perché non si confrontano
compiutamente con la motivazione della sentenza impugnata o sollecitano impropriamente il
riesame del merito.
Nello specifico, la Corte d’Appello ha dato atto che la controricorrente non ha più lavorato, come
traduttrice a domicilio, solo da quando le sue condizioni di salute sono peggiorate e ha subito una
serie ravvicinata di interventi chirurgici (e non da venti anni come si assume in ricorso) e non ha
affatto basato il proprio convincimento sulla sola sussistenza di una riduzione parziale della capacità
lavorativa generica (secondo motivo), ma sulla complessiva situazione fisica e psichica riscontrata
dal C.T.U. e valutata all’attualità, ed anzi ha auspicato che l’alimentanda trovi un supporto “in quelle
difficoltà collaterali (ad esempio nell’alimentazione, che la stessa ha riferito essere attualmente solo
liquida), anche di natura verosimilmente psicologica, che le hanno reso sino ad oggi concretamente
non spendibile neppure quella residua capacità lavorativa alla stessa riconosciuta dal consulente”.
I motivi terzo (ingenti disponibilità economiche della controricorrente), quarto (CTU “referente”) e
quinto (convincimento basato su mere deduzioni) denunciano la violazione degli artt. 428 c.c. e 115
e 116 c.p.c., ma in realtà si tratta di doglianze impropriamente dirette al riesame dei fatti. La Corte
d’Appello ha preso in considerazione la situazione economica della controricorrente, in particolare
l’aiuto anche economico consistente datole negli anni dallo zio materno, ma ne ha escluso
motivatamente la rilevanza ai fini che qui interessano, così affermando “Il lodevole aiuto, di carattere
materiale e non solo, fornito alla sig.ra B.B., da circa 20 anni (sostanzialmente dal decesso della
madre) dallo zio materno non può essere utilizzato né per escludere lo stato di bisogno dell’appellata
(atteso che le somme erogate sono ovviamente soggette ad inevitabile erosione in assenza di redditi
periodici) né per esonerare il padre dal proprio onere di solidarietà familiare”.
Le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio hanno consentito di accertare la reale condizione
fisica e psichica dell’alimentanda e le conclusioni peritali sono state condivise dalla Corte d’Appello
e, prima, dal Tribunale in quanto basate su riscontri oggettivi e documentati. La motivazione della
sentenza impugnata è congrua e pienamente comprensibile, nonché ancorata a dati di riscontro e
sorretta da un ragionamento logicamente argomentato.
2.4. Il sesto motivo è parimenti inammissibile, perché anche le condizioni dell’obbligato sono state
esaminate. Nello specifico la Corte d’Appello ha riconosciuto l’assegno di Euro350 mensili, a fronte
dei redditi pensionistici -circa Euro 2.000,00 mensili- del padre, non gravato da oneri abitativi, in
quanto titolare di due immobili. La censura è, in realtà, impropriamente diretta a sollecitare il
riesame dei fatti.
3. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in favore della
controricorrente, parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato con provvedimento del 28-11-2023,
disponendo, ai sensi dell’art.133 del D.P.R. n. 115 del 2002, il pagamento in favore dell’Erario.
Ai sensi dell’art.13 D.P.R. 30/05/2002, n. 115, ART. 13 (L) – (Importi) , comma 1-quater del D.P.R. 115
del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il
ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto (Cass. S.U.
n.5314/2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle
spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito,
disponendo il pagamento in favore dell’Erario.
Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso
art.13, ove dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma il 10 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2024.