L’obbligo di mantenimento emerge anche da indici diversi dalle certificazioni dei redditi.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 20 gennaio 2021, n. 975
Presidente De Chiara – Relatore Caradonna
Rilevato che
1. Con sentenza n. 23900 depositata il 6 dicembre 2002, il Tribunale di Roma ha respinto la domanda di
addebito reciprocamente proposta dalle parti nel giudizio di separazione giudiziale e ha determinato, con
decorrenza dalla pronuncia, in Euro 500,00 mensili, oltre rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT, il
contributo a carico del marito per il mantenimento della moglie, riconosciuta priva di mezzi sufficienti e
tenuto conto della situazione economica del marito che aveva assunto che fin dal 1997 non aveva più
svolto la professione di avvocato per doversi dedicare ai propri genitori.
2. Ca. Re. ha proposto appello avverso la detta sentenza, insistendo per la pronuncia di addebito della
separazione alla moglie e chiedendo la revoca dell’assegno di mantenimento o, in via subordinata, la
riduzione ad Euro 200,00, mentre Na. Pi. ha contestato le difese avversarie chiedendo il rigetto
dell’appello.
3. La Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello avanzato da Ca. Re., ritenendo non assolto l’onere
della prova sul nesso di causalità tra i comportamenti addebitati e l’intollerabilità della convivenza e
affermando che le indagini di polizia tributaria, seppure incomplete e non esaustive, avevano
sostanzialmente confermato la mancanza di redditi in capo alla Pi. e la sua ridotta capacità lavorativa per
le sue condizioni psichiche e l’inattendibilità delle dichiarazioni fiscali del Re., avvocato abilitato al
patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori (con almeno quindi dodici anni di professione), con papà
magistrato titolare di pensione adeguata a consentirgli di assumere una badante; titolare di curatele
fallimentari e con la disponibilità dell’appartamento di proprietà del padre dove esercitava la professione.
4. Avverso detta sentenza Ca. Re. ha proposto ricorso per cassazione svolgendo quattro motivi.
5. Na. Pi. ha depositato controricorso.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che
1. Con il primo motivo Ca. Re. lamenta la violazione dell’art. 151 cod. civ. in relazione all’art. 183, commi
6 e 7, cod. proc. civ. perché la Corte territoriale aveva ritenuto la domanda di addebito sfornita di prova,
ma non aveva ammesso i mezzi istruttori che lo stesso aveva articolato sulla sintomatologia ansiosa e
depressiva della Pi. e sulle circostanze che la stessa non si occupava della spesa, era gelosa e aveva
colpito il marito, il 27 dicembre 2004, con uno schiaffo, graffiandolo anche sul viso.
2. Con il secondo motivo Ca. Re. lamenta la violazione dell’art. 156, comma 2, cod. civ., in relazione
anche all’art. 183, commi 6 e 7, cod. proc. civ., sulla misura dell’assegno di mantenimento stabilita dalla
Corte territoriale determinata sulla base di presunzioni e ritenuta eccessiva, avuto riguardo alle risultanze
delle indagini di polizia tributaria che avevano accertato che lui non possedeva beni immobili o mobili e
che la Corte non aveva disposto nuove indagini che avrebbero accertato che l’assicurazione sulla vita era
in realtà un’assicurazione sugli infortuni nello studio non più operativa e che i fallimenti di cui era stato
curatore erano incapienti e comunque erano stati chiusi prima del 2010.
Il ricorrente si duole, inoltre, della mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti anche al Tribunale
che avrebbero dimostrato che il reddito ricavato dalla professione di avvocato era saltuario, precario e
modesto e che aveva pochissimi clienti e che egli aveva anche dimostrato la correttezza delle denunce dei
redditi depositate.
3. Con il terzo motivo Ca. Re. lamenta la violazione dell’art. 156, comma 2, cod. civ., in relazione all’art.
360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., deducendo l’omesso esame dal fatto che il Re. aveva a
disposizione solo una stanza dell’appartamento di proprietà del padre e che viveva insieme al padre
nell’appartamento dal genitore messogli a disposizione.
4. Con il quarto motivo Ca. Re. lamenta la violazione dell’art. 156, comma 2, cod. civ., perché la Corte
territoriale non aveva valutato la disparità delle posizioni economiche tra i coniugi, non avendo
determinato, neanche in maniera presuntiva, l’ammontare del reddito annuo del Re..
4.1 II primo e il secondo motivo vanno trattati unitariamente perché inammissibili per la medesima
ragione.
Si osserva, infatti, che il ricorrente non indica quale delle ipotesi, tra quelle tassativamente indicate
dall’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., viene dedotta, pur denunciando la violazione di plurime
disposizioni normative (artt. 151 e 156 cod. civ. e 183 cod. proc. civ.).
Il ricorrente, infatti, richiama nell’illustrazione dei motivi, parti della motivazione della sentenza
impugnata e svolge contestazioni riguardo ad essa, ma non evidenzia in relazione a quale specifico vizio
ed a quale specifica norma, che si assume violata o erroneamente applicata, omettendo di precisare le
affermazioni in diritto della sentenza che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della
fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, genericamente
richiamate nella intestazione del motivo, e senza ricondurre una specifica statuizione della sentenza alla
violazione di una determinata norma, impedendo così a questa Corte di adempiere al suo compito di
verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass., 9 marzo 2012, n. 3721).
Né è possibile, in ossequio al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, in assenza di ogni
specificazione al riguardo da parte del ricorrente, ricostruire la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità
sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’art. 360
cod. proc. civ..
4.2 Ed invero, come affermato da questa Corte, nel giudizio per cassazione, che ha ad oggetto censure
espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, comma primo, cod. proc. civ., il ricorso deve
essere articolato in specifici motivi immediatamente ed inequivocabilmente riconducibili ad una delle
cinque ragioni di impugnazione previste dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di
formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass., sez. U., 24 luglio
n.17931; Cass., 7 maggio 2018, n. 10862).
Le modalità di deduzione del vizio, nel caso di specie, non sono state rispettate poiché il ricorrente si è
limitato a ribadire le medesime censure sollevate dinanzi alla Corte territoriale e a sovrapporre alle
argomentazioni della Corte le proprie senza prospettare differenti profili argomentativi e non ha svolto,
nella illustrazione dei motivi, con riferimento alle parti richiamate della motivazione della sentenza
impugnata oggetto di censura contestazioni con la specificazione dei vizi e delle norme che ha assunto
essere state violate o erroneamente applicate.
Per tale ragione i motivi sono inammissibili, in quanto risultano enunciati dal ricorrente senza la
completezza necessaria a renderli idonei ad assolvere allo scopo di configurarsi come valide critiche alla
sentenza impugnata.
5. Anche il terzo motivo è inammissibile.
Il ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello ha omesso l’esame del fatto che aveva a
disposizione solo una stanza dell’appartamento di proprietà del padre e del fatto che viveva insieme al
padre nell’appartamento messogli a disposizione.
5.1 Con riguardo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo, l’art. 360, comma primo, cod. proc. civ.,
come riformulato dall’art. 54 del decreto – legge n. 83/2012, convertito dalla legge n. 13/2012, ha
introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ovvero
che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., 27 dicembre 2019, n.
34476; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415).
5.2 II fatto il cui esame sia stato omesso deve, come già detto, avere carattere decisivo, vale a dire che
se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia, e deve, altresì, essere stato
oggetto di discussione tra le parti, ovvero deve trattarsi necessariamente di un fatto controverso,
contestato e non dato per pacifico tra le parti.
5.3 Ne consegue che il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il dato
testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il «come» e «quando» tale fatto sia stato oggetto di
discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico sia
stato comunque preso in esame, anche se la sentenza non abbia dato atto di tutte le risultanze
probatorie (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
5.4 Alla stregua dei principi tutti fin qui esposti il motivo in esame è inammissibile perché il ricorrente non
argomenta in ordine alla sua necessaria decisività, ciò che era necessario tenuto conto che la Corte di
appello, oltre a rilevare che il Re. aveva la piena disponibilità dell’appartamento ove esercitava la
professione di proprietà del padre e messo a sua disposizione, ha anche specificato che il Re. aveva svolto la professione di avvocato fin dal 1991; che la chiusura della partita IVA nel luglio 2007 era stata
temporanea (peraltro in pendenza delle trattative per la separazione ed era stata riaperta dopo l’udienza
presidenziale); che nel 2003 aveva acquisito la qualifica di avvocato abilitato al patrocinio innanzi alle
magistrature superiori che richiedeva come requisito l’esercizio della professione di avvocato per dodici
anni; che il padre era un magistrato a riposo che percepiva una pensione del tutto adeguata a
consentirgli di assumere una badante e che la titolarità di curatele fallimentari, incarichi di norma ben
retribuiti, richiedeva un’organizzazione adeguata.
Così addivenendo alla conclusione che erano emersi più elementi idonei a rendere non attendibili le
dichiarazioni fiscali del Re. e a far ritenere che il reddito conseguito fosse comunque superiore.
5.5 A ciò va aggiunto che la Corte ha anche esaminato la posizione della Pi. rilevando che la stessa era
priva di redditi ed aveva una limitata capacità lavorativa anche in ragione delle sue condizioni psichiche e
che, quindi, il divario economico esistente tra i coniugi giustificava il diritto al mantenimento disposto in
suo favore in ragione del dovere di solidarietà fra i coniugi che perdura anche in costanza di separazione.
In proposito, questa Corte ha affermato che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o
cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i
«redditi adeguati» cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 cod. civ., l’assegno di mantenimento a favore
del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore
di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che
non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la
sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (Cass., 24
giugno 2019, n. 16809).
6. Il quarto motivo è infondato.
E’ orientamento di questa Corte, in tema di determinazione del quantum dell’assegno di mantenimento,
che la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l’accertamento
dei redditi nel loro esatto ammontare, né la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti
attraverso l’acquisizione di dati numerici o rigorose analisi contabili e finanziarie, essendo sufficiente una
attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass., 7
dicembre 2007, n. 25618; Cass., 5 novembre 2007, n. 23051; Cass., 12 giugno 2006, n. 13592).
I giudici della Corte di appello territoriale hanno correttamente applicato i superiori principi e hanno
svolto una valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento
della separazione, operando, alla luce delle acquisite risultanze processuali, una ricostruzione attendibile
delle situazioni patrimoniali e reddituali di entrambi i coniugi.
7. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato.
Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di Cassazione,
nella misura liquidata in dispositivo.
8. Va disposta, in ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle
generalità e degli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n.
196.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna Re. Ca. al pagamento, in favore di Piccirrili Na., delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuna parte, in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della
legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso
principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri
dati identificativi ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196