Illegittimo il provvedimento di diniego dell’Arma chiesto ai fini del ricongiungimento con la compagna convivente

Cons. Stato, Sez. IV, Sent., 17 giugno 2020, n. 3896

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10490 del 2019, proposto da Ministero della difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Rocco Mauro -OMISSIS-, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti l’art. 84, comma 5, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, e l’art. 4, comma 1, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 giugno 2020 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Dato atto che per le parti nessuno è comparso;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. In data 28 maggio 2018 l’originario ricorrente, appuntato dell’Arma dei carabinieri in servizio presso il nucleo investigativo di -OMISSIS-, ha chiesto – ai sensi dell’art. 398 del regolamento generale dell’Arma – il trasferimento in -OMISSIS- ai fini del ricongiungimento con la propria compagna convivente more uxorio in un paese della provincia di -OMISSIS-.
2. Con nota del 14 febbraio 2019 il Comando generale dell’Arma ha dichiarato inammissibile la domanda ai sensi dell’art. 2, comma 1, della L. 7 agosto 1990, n. 241, per difetto dei requisiti previsti dalla circolare n. 944001-1/T-16/Pers. Mar. del 9 febbraio 2010, non sussistendo fra gli interessati un rapporto di coniugio.
3. Il militare ha impugnato il provvedimento avverso proponendo un ricorso che il TAR per la Calabria – sez. staccata di Reggio Calabria, ha accolto con sentenza in forma semplificata -OMISSIS, compensando fra le parti le spese di lite.
Il Tribunale territoriale ha osservato in premessa che l’Amministrazione non avrebbe contestato l’effettività della convivenza né opposto ostacoli di ordine organizzativo all’accoglimento dell’istanza. Nel merito della questione, ha ritenuto illegittima la nota impugnata in quanto, indiscussa la differenza tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio, il diritto all’unità familiare (diritto inviolabile dell’uomo ai sensi dell’art. 2 Cost.) dovrebbe intendersi nella sua accezione più ampia – secondo una interpretazione discendente dalle norme sovranazionali (Carta di Nizza, Convenzione EDU), dai principi affermati dalla Corte costituzionale e dalla L. 20 maggio 2016, n. 76 – e valere anche per la prima. La nota inoltre contrasterebbe con la circolare del Comando generale prot. (…) del 27 luglio 2005, tuttora vigente, che in termini generali equiparerebbe il militare convivente a quello ammogliato quando possa essere dimostrata la convivenza more uxorio.
4. Il Ministero della difesa ha interposto appello avverso la sentenza di primo grado articolando tre motivi di doglianza.
I) Il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato in forma semplificata con motivazione sintetica ai sensi dell’art. 2, comma 1, della L. n. 241 del 1990, con riferimento cioè alla sola assenza dell’unione matrimoniale fra il ricorrente e la compagna. Ciò non significherebbe che non abbiano avuto rilievo ulteriori cause impeditive emerse nel corso dell’istruttoria procedimentale e acquisite in giudizio, che costituirebbero elementi per relationem della motivazione: a) preminenti esigenze di organico e di servizio, espresse nei pareri della scala gerarchica; b) mancata dimostrazione di una effettiva e stabile convivenza (nonostante una certificazione anagrafica in atti, dalle stesse dichiarazioni degli interessati risulterebbe che non sono coabitanti e aventi dimora abituale nel medesimo Comune).
II) La L. n. 76 del 2016 non avrebbe carattere generale e omnicomprensivo, ma avrebbe inteso equiparare i conviventi ai coniugi solo per gli specifici profili considerati, da considerarsi perciò di carattere tassativo. Sarebbe ragionevole la differenza di regime tra unioni civili e convivenze di fatto, perché solo queste ultime potrebbero scegliere in alternativa la tutela piena dell’unione coniugale. L’ampia discrezionalità nei trasferimenti disposti in deroga alla pianificazione annuale a domanda, giustificati dall’esigenza di rispondere a particolari situazioni di fatto, implicherebbe una valutazione delle domande relative improntata a criteri di particolare rigore.
III) La circolare del 2005 andrebbe letta alla luce della circolare del 2010 (specificamente dedicata al ricongiungimento al coniuge lavoratore, senza alcun riferimento alla situazione di convivenza) e alla L. n. 76 del 2016, interpretata nei termini di cui si è detto. Le linee guida del 2017 dello Stato maggiore della difesa, come pure la successiva circolare del 31 maggio 2017 del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, equiparerebbero le sole unioni civili al rapporto di coniugio ai fini del trasferimento per ricongiungimento familiare.
5. L’Amministrazione ha anche chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata.
6. Il militare si è costituito in giudizio per resistere all’appello sostenendo la correttezza dell’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina vigente, adottata dal TAR.
7. Con successiva memoria, in via subordinata, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della L. n. 76 del 2016 se intesa in senso restrittivo, nel senso cioè di non prevedere il diritto o l’interesse legittimo al trasferimento per tutelare la convivenza more uxorio.
8. Alla camera di consiglio del 6 febbraio 2020, sull’accordo delle parti, la trattazione della domanda cautelare è stata riunita a quella del merito della causa.
9. All’udienza del 4 giugno 2020, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, e dell’art. 4, comma 1, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28.
10. Va premesso che il carattere effettivo della convivenza tra il resistente e la sua compagna è attestato dai certificati di residenza in atti.
11. Il primo motivo dell’appello è infondato.
12. Richiamando espressamente l’art. 2, comma 1, della L. n. 241 del 1990 l’Amministrazione si è avvalsa della possibilità di motivare il diniego di trasferimento in forma semplificata con riguardo alla sola circostanza – evidentemente ritenuta decisiva – della inesistenza di un unione matrimoniale fra il militare e la compagna.
13. Così facendo, tuttavia, ha corso il rischio che la legittimità del provvedimento adottato fosse vagliata al solo metro dell’unica motivazione addotta, come appunto è accaduto, e non può ora recuperare le ragioni ulteriori emerse a suo tempo nell’istruttoria procedimentale (esigenze di organico e di servizio; mancanza di una effettiva e stabile convivenza) e non manifestate nel diniego, che – in disparte il punto della loro fondatezza – non possono certo ora valere come non consentita integrazione postuma della motivazione dell’atto impugnato.
14. Con il secondo e il terzo motivo dell’appello l’Amministrazione sostiene la contestata legittimità del provvedimento impugnato con riguardo alla normativa pertinente, sia di fonte primaria che interna.
15. In primo luogo, viene in questione l’art. 1 della L. n. 76 del 2016 che, nei commi da 36 a 67, disciplina il fenomeno della convivenza di fatto, intendendo a tal fine “per “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile” (comma 36).
16. La legge equipara espressamente i diritti dei conviventi di fatto a quelli dei coniugi in relazione a fattispecie tipiche (ordinamento penitenziario, malattia e ricovero, abitazione nella casa di comune residenza, accesso agli alloggi dell’edilizia popolare, diritti nell’impresa familiare, risarcimento del danno per morte del convivente di fatto).
17. L’Amministrazione appellante sostiene che l’equiparazione varrebbe solo per le fattispecie espressamente elencate dalla legge. Per il privato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente conforme, non vi sarebbero invece ragioni per giustificare un diverso trattamento con riguardo al ricongiungimento familiare.
18. Risulta evidente che, nel regolamentare le unioni civili tra persone dello stesso sesso e la convivenza di fatto, il legislatore del 2016 ha seguito approcci diversi. Solo alle prime, infatti, è attribuito un trattamento tendenzialmente improntato al modello proprio del rapporto coniugale (si veda, come norma di chiusura, il comma 20), mentre alle altre è riservata una equiparazione limitata a profili particolari (Cass. civ., sez. lav., 3 novembre 2016, n. 22318, che peraltro sembra escludere la legittimità di discriminazioni relative a diritti fondamentali della persona).
19. Non qui sta però il nocciolo della questione in questa sede effettivamente controversa. La quale consiste piuttosto nel vedere se, data la normativa primaria nei termini di cui si è detto, la normativa interna dell’Arma dei carabinieri discrimini o possa legittimamente discriminare, ai fini del ricongiungimento, tra le diverse tipologie di rapporto familiare (matrimonio, unione civile, stabile convivenza di fatto).
20. Nell’ambito di tale normativa:
– la circolare del 2005 equipara in linea di principio il militare convivente more uxorio a quello sposato ai fini dell’applicazione delle pertinenti norme regolamentari; stabilisce tuttavia che al primo non compete il diritto al ricongiungimento familiare riconosciuto dalle specifiche norme di legge che fanno esplicito riconoscimento al rapporto di coniugio;
– la circolare del 2010 prevede che, per consentire il ricongiungimento al coniuge lavoratore, il militare possa presentare domanda di trasferimento ai sensi dell’art. 398 del regolamento generale dell’Arma;
– la circolare del 2017, sulla base delle linee guida diramate dallo Stato maggiore della difesa, estende il beneficio al personale legato da unione civile.
20. In conclusione, l’ordinamento generale equipara il rapporto di convivenza more uxorio a quello di coniugio solo rispetto a fattispecie tipiche, fra le quali non rientra il ricongiungimento familiare. L’ordinamento di settore opera all’inverso, generalizzando la normativa applicabile salva appunto l’eccezione del diritto al ricongiungimento familiare. In sintesi, è indubbio che – diversamente da quanto sembra ritenere il TAR – la normativa interna non è nel senso dell’equiparazione dei diversi rapporti in vista, appunto, del ricongiungimento familiare.
21. Detto questo, al secondo quesito posto al 19 va data però risposta negativa.
22. A questo proposito, il Collegio condivide l’orientamento della III sezione di questo Consiglio di Stato che, in una materia contermine a quella di cui si discute, equipara il convivente al coniuge ai fini dell’ottenimento o del rinnovo del permesso di soggiorno (31 ottobre 2017, n. 5040; 29 dicembre 2017, n. 6186; 12 luglio 2018, n. 4277). E ciò fa ritenendo che tale più ampia interpretazione della legge “non risponde solo ad un fondamentale principio di eguaglianza sostanziale, ormai consacrato, a livello di legislazione interna, anche dall’art. 1, comma 36, della L. n. 76 del 2016, per quanto qui rileva, sulle convivenze di fatto tra “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”, ma anche alle indicazioni provenienti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che, anche in questa materia, si è premurata di chiarire che la nozione di “vita privata e familiare”, contenuta nell’art. 8, 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo includa, ormai, non solo le relazioni consacrate dal matrimonio, ma anche le unioni di fatto nonché, in generale, i legami esistenti tra i componenti del gruppo designato come famiglia naturale” (sentenza n. 5040/2017).
23. La giurisprudenza della Corte EDU – valorizzata dall’indirizzo in questione – afferma che il diritto del singolo al rispetto della propria vita privata e familiare, sotto specie di tutela dell’unità familiare, costituisce un limite alle prerogative statali di gestione dei flussi migratori e che, conformemente al diritto internazionale generale, rientra in tali prerogative la regolamentazione dell’ingresso, del soggiorno e dell’allontanamento degli stranieri. Secondo la Corte, in attento bilanciamento tra diritto al ricongiungimento familiare e prerogative statali, da un lato le misure di espulsione possono costituire un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata e familiare, la cui legittimità deve essere vagliata alla luce del 2 dell’art. 8 della Convenzione (legalità, necessità in una società democratica, proporzionalità); dall’altro lato, il rispetto degli obblighi positivi scaturenti dall’art. 8 può, in determinate circostanze, imporre agli Stati contraenti di autorizzare il ricongiungimento familiare di cittadini stranieri (riassuntivamente, da ultimo, sentenze 23 febbraio 2016, n. 68453, Pajic c. Croazia, ric. n. 68453/13; 15 marzo 2016, n. 31039, Novruk e altri c. Russia, ricc. n. 31039/11, n. 48511/11, n. 76810/12, n. 14618/13, n. 13817/14; 8 novembre 2016, n. 56971, El Ghatet c. Svizzera, ric. 56971/10; 14 febbraio 2019, n. 57433 Narjiis c. Italia, ric. n. 57433/15).
24. Sembra dunque ragionevole dedurne che, là dove non si manifesti una esigenza di tutela della sovranità dello Stato, il diritto al rispetto della vita privata e familiare possa e debba espandersi nella sua interezza.
25. L’equiparazione – ovviamente ristretta al solo profilo di specie – al rapporto matrimoniale e all’unione civile della stabile convivenza di fatto, attestata da certificazioni anagrafiche, appare per di più del tutto coerente con la giurisprudenza della Corte costituzionale la quale, ferma restando la discrezionalità del Parlamento nell’individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni affettive diverse da quella matrimoniale, si è riservata la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni con il controllo di ragionevolezza (sentenza 15 aprile 2010, n. 138), come infatti più volte è avvenuto per le convivenze more uxorio (a partire dalle sentenze 7 aprile 1988, n. 404, e 20 dicembre 1989, n. 559; da ultimo sentenza 23 settembre 2016, n. 213).
26. Poiché nella specie la questione interpretativa non coinvolge norme primarie, non vi è alcun incidente di costituzionalità da sollevare, essendo invece necessario e sufficiente disapplicare in parte qua la pertinente normativa interna.
27. Sulla scorta delle considerazioni precedenti, l’esigenza di tutela dell’unità della famiglia, alla quale è improntato l’istituto del ricongiungimento (Corte costituzionale, 30 maggio 2008, n. 183), non può non prevalere sulle difformi previsioni della normativa interna dell’Arma dei carabinieri.
28. In conclusione l’appello deve essere va respinto con conferma della sentenza impugnata.
29. Restano salvi i poteri dell’Amministrazione, che valuterà ex novo la sussistenza dei presupposti necessari per accordare il trasferimento richiesto dal privato ricorrente.
30. Considerata la novità della questione, le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità dell’interessato, incarica la segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellata.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2020 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Alessandro Verrico, Consigliere