Sofferenze comuni fra i fratelli e sorelle per le gravissime lesioni subite dal congiunto.

Cass. civ. Sez. III, Ord., 8 aprile 2020, n. 7748; Pres. A. Amendola, Cons. Rel. G. Cricenti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24483/2018 proposto da:
R.F., R.P., R.C., R.L., RE.AN.MA., R.A.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MUZIO
CLEMENTI 51, presso lo studio dell’avvocato VALERIO SANTAGATA, rappresentati e difesi
dall’avvocato MASSIMILIANO CESARE FORNARI;
– ricorrenti –
contro
GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore speciale, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO DIONISI, 73, presso lo studio dell’avvocato MARA
MANDRE’, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, C.M., CI.MA., C.A., F.M.Q., D.G.A.;
– intimati –
nonché da:
CI.MA., F.M.Q., C.M., C.A., tutti in qualità di coeredi del defunto C.L., elettivamente domiciliati in
ROMA, PIAZZA PIETRO MEROLLI 2, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO ROSATI,
rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSANDRO AMBRIFI;
– ricorrenti incidentali –
contro
D.G.A., UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA, R.P., R.L.,
R.F., R.A.L., RE.AN.MA., R.C.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1382/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/11/2019 dal Consigliere Dott.
GIUSEPPE CRICENTI.
Svolgimento del processo
Ricorrono R.P. ed i suoi congiunti, genitori, e fratelli, a causa di un incidente stradale, nel quale il
primo era trasportato in sella ad un motociclo da C.L., rimasto vittima del sinistro, causato altresì
dal conducente di altro veicolo, tale D.G.A..
I ricorrenti hanno agito in giudizio sia verso gli eredi del conducente del motociclo (C.) e la loro
assicurazione, che nei confronti del conducente e del proprietario del veicolo antagonista (condotto
da D.G.) e rispettiva compagnia di assicurazione.
Il Giudice di primo grado ha ritenuto di ripartire la causa del danno attribuendo il 70% a D.G. ed il
30% al C. (conducente del motorino) mentre il R., qui ricorrente, è stato ritenuto responsabile del
danno a se stesso nella misura del 10%, e gli è stata liquidata una somma per il danno alla persona
subito, e così anche ai suoi congiunti, di riflesso.
Questa sentenza di primo grado è stata impugnata, con autonomi appelli, dal R. e congiunti, e dalla
Groupama, compagnia di assicurazione garante del veicolo condotto dal D.G..
I due appelli sono stati riuniti.
Il giudice di secondo grado ha rigettato poi l’appello del R. e dei suoi congiunti, ed accolto quello di
Groupama relativamente alla prova del danno dei congiunti del R., terzo trasportato.
Avverso tale sentenza propongono ricorso principale R. ed i congiunti, con tre motivi e ricorso
incidentale i congiunti eredi di C.. V’è costituzione con controricorso di Groupama, che chiede il
rigetto della impugnazione. C. deposita memorie.
Motivi della decisione
1.- Le rationes oggetto di ricorso.
La decisione impugnata nega il risarcimento ai congiunti di R.P., gravemente ferito durante
l’incidente, ritenendo non provato il danno da costoro invocato, e non presumibile neanche in base
al mero rapporto di parentela.
Nega altresì il risarcimento del danno morale alla vittima primaria ritenendolo compreso in quello
biologico, nonché quello alla capacità lavorativa, in quanto non provato.
Conferma il concorso di colpa del 10% del danneggiato R. quanto alle conseguenze dannose.
2.- I motivi di ricorso sono tre. V’è un ricorso incidentale degli eredi C., che va esaminato infine.
2.1- Con il primo motivo i ricorrenti si dolgono di una erronea interpretazione dell’art. 2697 c.c., da
parte della corte di merito, quanto alla prova del danno iure proprio dei congiunti.
Ma, prima di ciò, postulano una omessa decisione quanto alla posizione di uno dei ricorrenti,
danneggiati in secundis, ossia R.L.. La sentenza di primo grado aveva dato atto che si trattava di
quattro congiunti, che invece erano cinque. Fatto appello su questa omissione, che escludeva il R.L.,
la corte non vi avrebbe posto rimedio.
In questa parte il motivo è infondato.
Infatti, la corte dà atto dell’appello di R.L., volto a farsi includere nel novero dei congiunti
danneggiati, ed implicitamente lo decide, rigettando per tutti, appellante compreso, la domanda di
risarcimento del danno.
Quanto invece alla violazione dell’art. 2607 c.c., i congiunti lamentavano un pregiudizio alla
persona (danno non patrimoniale) come conseguenza del danno inferto al congiunto, ossia delle
lesioni patite da quest’ultimo.
Secondo la corte di merito un danno dei congiunti, come conseguenza delle lesioni inferte al
parente, è ipotizzabile solo se consistente in “un totale sconvolgimento delle abitudini di vita del
nucleo familiare su cui si sono riverberate quali conseguenze gli effetti dell’evento traumatico subito
dal familiare”.
Ciò porta la corte a concludere che la prova di un tale sconvolgimento delle abitudini di vita non è
stata fornita, e non può desumersi dal mero rapporto di parentela (p. 11-12).
Il motivo è fondato.
In astratto, come è stato precisato da questa corte, “il danno non patrimoniale, consistente nella
sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui
illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto
ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della
condotta” Cass. 11212/2019; Cass. 2788/2019; Cass. 17058/2017).
La decisione della corte di merito, in realtà, è errata nella premessa: essa postula, invero, che il
danno risarcibile ai congiunti per le lesioni patite dal parente, vittima primaria dell’illecito, sia solo
quello consistente nel “totale sconvolgimento delle abitudini di vita”, limitazione che non ha in
realtà alcuna ragion d’essere. Dalle lesioni inferte a taluno possono derivare, in astratto, per i
congiunti sia una sofferenza d’animo (danno morale) che non produce necessariamente uno
sconvolgimento delle abitudini di vita, sia un danno biologico (una malattia), anche essa senza
rilevanza alcuna sulle abitudini di vita.
Il danno dei congiunti è qui invocato iure proprio. Si parla spesso impropriamente di fanno riflesso,
ossia di un danno subito per una lesione inferta non a sé stessi, ma ad altri.
In realtà, il danno subito dai congiunti è diretto, non riflesso, ossia è la diretta conseguenza della
lesione inferta al parente prossimo, la quale rileva dunque come fatto plurioffensivo, che ha vittime
diverse, ma egualmente dirette. Ed anche impropriamente allora, se non per mera esigenza
descrittiva, si parla di vittime secondarie.
Con la conseguenza che la lesione della persona di taluno può provocare nei congiunti sia una
sofferenza d’animo sia una perdita vera e propria di salute, come una incidenza sulle abitudini di
vita.
Non v’è motivo di ritenere questi pregiudizi soggetti ad una prova più rigorosa degli altri, e dunque
insuscettibili di essere dimostrati per presunzioni.
E tra le presunzioni assume ovviamente rilievo il rapporto di stretta parentela (nella fattispecie,
genitori e fratelli) tra la vittima in primis, per così dire, ed i suoi congiunti.
Il rapporto di stretta parentela esistente fa presumere, secondo un criterio di normalità sociale (ossia
ciò che solitamente accade) che genitori e fratelli soffrano per le gravissime permanenti lesioni
riportate dal congiunto prossimo. Né v’è bisogno, come postula la sentenza impugnata, che queste
sofferenze si traducano in uno “sconvolgimento delle abitudini di vita”, in quanto si tratta di
conseguenze estranee al danno morale, che è piuttosto la soggettiva perturbazione dello stato
d’animo, il patema, la sofferenza interiore della vittima, a prescindere dalla circostanza che influisca
o meno sulle abitudini di vita.
3.- Il secondo motivo riguarda la vittima primaria.
Quest’ultima si duole del mancato riconoscimento del danno morale e di quello alla capacità
lavorativa, e lamenta dunque una erronea interpretazione della regola sulla prova di tali pregiudizi
(art. 2697 c.c.).
Il motivo è inammissibile.
Esso contiene la rivendicazione di due tipi di danno, non riconosciuti dal giudice di merito: quello
morale soggettivo, e quello alla capacità lavorativa.
Quanto al primo, il giudice di merito ha ritenuto che la sua liquidazione debba farsi, seguendo le
tabelle milanesi, nei termini di una personalizzazione del danno biologico, o meglio, attraverso
l’aumento di una percentuale di quel danno, a significare il rilievo accordato al danno morale
(pagine 12-14). Tuttavia, il ricorrente non allega alcunché a dimostrazione di aver patito un danno
morale. Ossia: contesta in astratto la regola che la corte di merito ritiene applicarsi a quel tipo di
danno, ma non allega in concreto elementi che possano giustificare un accertamento di tale
pregiudizio. Così che la censura non è rilevante, avendo di mira solo un principio astratto senza
alcuna concreta rilevanza quanto alla rivendicazione del ricorrente.
Infondato è invece il motivo quanto al danno alla capacità lavorativa.
Si può concordare con la tesi secondo cui la capacità lavorativa generica e una componente del
danno biologico (Cass. 17931/2019; contra 12211/2015, che ne fa questione di perdita di chance.
Tuttavia, la chance è un danno incerto attuale e non un danno certo futuro).
Con la conseguenza che la presenza di postumi macropermanenti non consente di desumere
automaticamente, in via presuntiva, la diminuzione della capacità di produrre reddito della vittima,
potendo per altro verso integrare un danno da lesione della capacità lavorativa generica il quale,
risolvendosi in una menomazione dell’integrità psico-fisica dell’individuo, è risarcibile in seno alla
complessiva liquidazione del danno biologico (Cass. 17931/2019).
Ed in tale misura essi sono stati liquidati, ed infatti il CTU ha ricompreso quella perdita nella
invalidità permanente.
4.- Il terzo motivo denuncia sotto forma di insufficiente o contraddittoria motivazione (artt. 132 e
156 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 5) l’accertamento che ha portato ad attribuire un 10% di
concorso di colpa del danneggiato quanto all’ammontare del danno (che, si ritiene, costui poteva
evitare mettendo il casco).
Il motivo è inammissibile, poiché richiede a questa corte una nuova valutazione dei fatti.
Si tratta di un accertamento in fatto basato sulle conclusioni e motivazioni della CTU medico legale,
che a suo tempo ha ritenuto riducibili i danni se fosse stato usato il casco.
5.- V’è poi il ricorso incidentale dei controricorrenti congiunti del C.. Essi lamentano violazione e
falsa applicazione della L. n. 102 del 2006, poi abrogata.
La corte di appello ha ritenuto tardiva, accogliendo apposita doglianza sul punto, la comparsa di
costituzione dei ricorrenti incidentali nel giudizio di primo grado, ritenendo non applicabile la
sospensione dei termini a questa fattispecie. Secondo i ricorrenti non v’era alcun termine da
rispettare perché la comparsa era proposta non in un giudizio nuovo, ma nella prosecuzione di
quello estinto. Il motivo è inammissibile.
E’ invero difficile da capire cosa censurino e perché i ricorrenti incidentali.
La corte di merito ha dichiarato tardiva la comparsa del 2001; mentre i ricorrenti assumono la
tempestività di una comparsa presumibilmente depositata nel 2009, nel giudizio instaurato come
prosecuzione di quello del 2001, estinto. Non v’è dunque, se così fosse, corrispondenza con la ratio
della sentenza che dichiara tardiva una diversa comparsa di costituzione, quella depositata nel
giudizio iniziale del 2001.
Vanno pertanto accolto il primo motivo di ricorso e la sentenza cassata con rinvio.
P.Q.M.
La corte accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione, dichiara inammissibile il
secondo, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte di appello di Roma in
diversa composizione, anche per le spese.