Le pertinenze della casa coniugale. A chi spetta provarlo?

Cass. civ., sez. VI, ordinanza 14 gennaio 2020, n. 510 – Pres. Genovese., Rel. Pazzi
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12407-2018 proposto da:
C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL VIMINALE 43, presso lo studio dell’avvocato
ETTORE MARIA CERASA, rappresentato e difeso dall’avvocato ADALBERTO PALESTINI;
(Ammesso P.S.S. delibera 30/4/2018 Ord. avv. Ancona);
– Ricorrente –
contro
T.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO CIVININI 12, presso lo studio
dell’avvocato LUCA SPINGARDI, rappresentata e difesa dall’avvocato IVANA CARDOLA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 154/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata l’08/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/10/2019 dal
Consigliere Relatore Dott. ALBERTO PAZZI.
Svolgimento del processo
che:
l. il Tribunale di Fermo, del dichiarare lo scioglimento del matrimonio contratto fra T.F. e C.G.,
disponeva, fra l’altro, l’assegnazione alla T. della casa coniugale unitamente alle sue pertinenze,
costituite dai locali posti al piano seminterrato dello stabile;
2. la Corte d’appello di Ancona rigettava l’impugnazione proposta dal C. relativamente al solo capo
della sentenza che disponeva l’assegnazione a favore dell’ex coniuge, oltre che dell’appartamento già
destinato ad abitazione coniugale, anche dell’intera porzione sita al piano interrato dello stabile
abitato dai coniugi;
a questo proposito la corte distrettuale ribadiva l’esistenza di un rapporto pertinenziale fra l’ex
domicilio coniugale e tutti i locali posti al piano interrato, tenuto conto del vincolo di
complementarietà funzionale esistente fra le distinte porzioni immobiliari, in presenza di una scala
interna di collegamento, e della finalizzazione dei vani sottostanti all’utilità del superiore
appartamento;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso C.G. prospettando due motivi di doglianza,
ai quali ha resistito con controricorso T.F.;
parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
Motivi della decisione
che:
4.1 il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la
violazione e falsa applicazione dell’art. 817 c.c. e art. 115 c.p.c., con riferimento a un errore di
percezione su una prova decisiva: la corte territoriale, nel ravvisare il requisito oggettivo della
contiguità fra l’appartamento coniugale e i locali interrati dall’esame della planimetria
dell’immobile, sarebbe incorsa in un errore di percezione nell’individuare il contenuto oggettivo
della prova, poichè da tale documento si evinceva chiaramente che solo alcuni dei locali (vale a dire
la cantina/disimpegno censita al subalterno 12 e il garage distinto al subalterno 10) posti al piano
interrato erano contigui alla casa coniugale, mentre gli altri erano separati dalla stessa, per la
presenza di muri divisori con gli altri ambienti e di un accesso esterno, distinto e autonomo;
4.2 il motivo è inammissibile;
la corte territoriale, nel valutare la sussistenza di un vincolo pertinenziale fra casa coniugale e tutti i
vani posti al piano sottostante, ha ravvisato la prova del requisito oggettivo della contiguità all’esito
dell’esame della planimetria presente in atti, che a suo dire attestava tanto la posizione subordinata
dei locali posti al piano interrato, quanto la loro diretta accessibilità mediante una scala di
collegamento interno, potendosi così ritenere che questi ultimi fossero posti al servizio
dell’appartamento sovrastante;
e la percezione di questa diretta e completa accessibilità sarebbe, in tesi di parte ricorrente, erronea
e censurabile in questa sede ex art. 115 c.p.c.;
in effetti la giurisprudenza di questa corte ha ritenuto che mentre l’errore di valutazione in cui sia
incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa,
o meno, del fatto che si intende provare – non è mai sindacabile in sede di legittimità, l’errore di
percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una
circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti (e non un fatto incontroverso, in
quanto in tal caso la censura deve essere promossa ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4), è sindacabile ai
sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 115 del codice cit., norma che vieta
di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass.
9356/2017, Cass. 27033/2018);
la prospettazione dell’odierno ricorrente non è tuttavia sussumibile in questo principio, a giudizio di
questo collegio;
il contenuto della planimetria prodotta dal ricorrente mostra infatti che la scala che conduce
dall’appartamento al piano sottostante giunge a un disimpegno con accesso diretto a una cantina e a
uno dei tre garage, attraverso il quale però, in mancanza di ostacoli di sorta, è possibile accedere a
tutti i locali posti al piano interrato;
nessun errore di percezione può quindi essere predicato, dato che il documento non mostra ostacoli
che impediscano in senso assoluto di raggiungere, dal piede della scala di collegamento interno,
direttamente o indirettamente (vale a dire tramite il passaggio attraverso il primo garage) tutti i
locali posti al piano sottostante;
si tratta pertanto di un apprezzamento in termini di contiguità con l’appartamento sovrastante di uno
stato dei luoghi in cui sono presenti più locali oggettivamente collegati fra loro e con accesso anche
dall’esterno;
una simile valutazione non valorizza affatto elementi immaginari e rientra invece nell’attività di
valutazione delle prove, attraverso la ricostruzione del loro valore dimostrativo, che è insindacabile
in questa sede di legittimità;
5.1 il secondo mezzo lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2697 c.c., in merito all’assoluzione dell’onere della prova, con conseguente
violazione dell’art. 115 c.p.c.: la corte territoriale avrebbe assegnato tutti i locali del piano interrato
alla T. nonostante quest’ultima non avesse mai indicato quali fossero i beni da identificarsi come
pertinenza nè avesse dimostrato se gli stessi fossero a servizio od ornamento della casa coniugale,
venendo meno così all’obbligo di dare prova dei presupposti in fatto del diritto che intendeva far
valere; oltre a ciò la corte distrettuale avrebbe malamente applicato il principio di non contestazione
previsto dall’art. 115 c.p.c., che non poteva operare in presenza di una allegazione non specifica dei
fatti posti a fondamento della domanda;
5.2 la doglianza è inammissibile;
la corte territoriale, dopo aver ricordato che la “relazione pertinenziale tra due cose determina
automaticamente l’estensione alla pertinenza degli atti o rapporti giuridici aventi ad oggetto la cosa
principale, salvo che il rapporto strumentale sia cessato anteriormente all’atto concernente la cosa
principale” ha rilevato che “l’anzidetto automatismo presuntivo sussistente tra bene principale e
bene accessorio non poteva dirsi specificamente e compiutamente interrotto dalla contestazione,
peraltro generica, operata dal comproprietario, che non ha fornito la prova di esclusione del vincolo
pertinenziale o, quanto meno, di una concreta differente destinazione dei beni accessori”;
in questo modo la corte territoriale ha inteso sostenere, una volta ritenuta accertata la natura
pertinenziale dei beni al piano interrato nel senso indicato dalla T. in ragione della loro consistenza
in natura, che era onere dell’appellante dimostrare la cessazione del vincolo pertinenziale onde
evitare l’operare dell’automatismo previsto dall’art. 818 c.c., comma 1, secondo cui la pertinenza
rimane soggetta agli effetti degli atti e dei rapporti giuridici che riguardano la cosa principale;
la corte distrettuale perciò non ha inteso riferirsi alle regole preposte alla dimostrazione
dell’esistenza del vincolo pertinenziale, ma, accertato lo stesso come esistente, ha attribuito
all’appellante, in applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, l’onere probatorio correlato all’eccezione
di non operatività dell’automatismo previsto dall’art. 818 c.c.;
la doglianza in esame non coglie nè critica la ratio decidendi del punto della decisione impugnato,
soffermandosi sulla disciplina dell’onere probatorio relativo a una questione diversa da quella presa
in esame dalla corte di merito, e risulta così inammissibile, dato che il ricorso per cassazione deve
giocoforza contestare in maniera specifica le ragioni poste a fondamento della pronuncia impugnata
(Cass. 19989/2017);
6. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;
le spese – da pagarsi a favore dello Stato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133, in conseguenza
dell’ammissione al patrocinio a spese dell’erario della parte risultata vittoriosa – seguono la
soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento – da eseguirsi a
favore dello Stato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 133 – delle spese del giudizio di
cassazione, che liquida in Euro 3.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre accessori come per legge e
contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24
dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi
a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020