Incapacità del genitore di elaborare un progetto di vita credibile per i figli e dichiarazione di adottabilità

Cass. civ., sez. I, 21 giugno 2018, n. 16357.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Svolgimento del processo
la procedura in esame nasce a tutela di due fratelli gemelli maschi, della cui dichiarazione di adottabilità si controverte. I bambini sono figli di M.A.N.W., cittadino (*), e di Z.F.G., cittadina (*). I fratelli sono nati il (*). Il (*), un’articolazione della Caritas diocesana di (*) segnalava Servizi sociali di avere ospiti i bambini e la madre. Comunicava, inoltre, che il gruppo familiare aveva in precedenza vissuto in un ricovero di fortuna ricavato nel parco dell'(*). Il padre aveva mostrato diffidenza avverso la struttura, “sostenendo di potersi prendere autonomamente cura dei figli” (sent. C. d’A., p. 2), mentre la madre manifestava comportamenti preoccupanti, tra l’altro, allontanandosi anche per l’intero giorno dalla struttura di ricovero, nutrendo i figli con cibi inadeguati e pretendendo di costringerli in un’unica carrozzina, troppo piccola per contenerli confortevolmente entrambi.
I bambini e la madre erano ricoverati in struttura vigilata dai Servizi Sociali, e si apprendeva che la coppia genitoriale aveva anche un’altra bambina, di sette anni, che vive nel Paese di origine della madre. Il padre non aveva mai riconosciuto questa figlia, ed affermava di esservi stato impedito dall’opposizione manifestata dalla madre. Il M. aveva cercato di collaborare all’assistenza dei bambini, ciononostante la madre aveva messo talora a rischio la stessa “incolumità” dei minori, lasciandoli incustoditi e non facendoli visitare da un pediatra per mesi.
Su richiesta del P.M., il Tribunale per i minorenni disponeva la verifica delle capacità genitoriali e, con decreto del 15.6.2015, sospendeva entrambi i genitori dalla responsabilità genitoriale e nominava tutore provvisorio dei minori il Sindaco di Roma. Disponeva, inoltre, il collocamento di madre e figli presso idonea struttura assistenziale, incaricata di verificare la situazione. I medici del centro evidenziavano che la madre presentava “un pensiero paranoideo… caratteristiche tipiche delle personalità schizoidi” (sent. C. d’A., p. 3). La donna non mancava di allontanarsi dalla struttura, conducendo i figli con sè. Il tutore inviava una propria nota con cui si riferiva di comportamenti materni suscettibili di arrecare danno ai minori e, acquisito il “consenso del padre per una diversa collocazione degli stessi” (sent. C. d’A., p. 3), il Tribunale per i minorenni ne disponeva il ricovero in altra idonea struttura assistenziale, senza la madre. Quest’ultima continuava a manifestare comportamenti non adeguati. Ad esempio, nel corso di un incontro protetto, dava in escandescenze e manifestava aggressività avverso gli operatori. I Servizi sociali qualificavano invece il padre, nella relazione del 7.8.2015, come adeguato nella relazione con i figli. Poco più di un mese dopo, il 14.9.2015, però, il Tribunale per i minorenni sentiva il tutore e l’assistente sociale, i quali, oltre a confermare i problemi riscontrati con la madre, affermavano che, nel corso di tre incontri protetti, era emerso che i figli non riconoscevano il padre come genitore.
Il Tribunale, con decreto del 30.9.2015, disponeva l’apertura della procedura per la dichiarazione di adottabilità. La relazione dei Servizi sociali del 27.10.2015 evidenziava ancora che la personalità paterna, ed i comportamenti dell’uomo, si risolvevano in un rischio per la genitorialità.
Il Tribunale per i minorenni sentiva all’udienza del 16.11.2015 i genitori e gli operatori dei servizi, così come della casa famiglia che aveva in ricovero i minori. Alfine il giudice di prime cure, ritenuta l’inadeguatezza di entrambi i genitori, che non mostravano di aver elaborato un progetto di vita credibile per i figli, dichiarava lo stato di adottabilità dei bambini con sentenza del 25.11.2015.
Il padre impugnava la decisione innanzi alla Corte d’Appello, articolando più motivi di ricorso. La Corte territoriale rigettava l’impugnativa reputando corretta la decisione adottata dal Tribunale. La Corte di merito ha ritenuto centrale, nell’esprimere la propria valutazione, le emergenze di una relazione redatta da un’equipe specialistica del Centro provinciale Fregosi dell’ottobre-novembre 2015, in cui si era evidenziato che, accanto ad una piena disponibilità e al serio impegno per i figli manifestato dal padre, egli non appare dotato di adeguate capacità genitoriali. Pur dovendosi dare atto degli sforzi compiuti per cercare di superare le proprie problematiche personali e genitoriali, il padre riesce solo a proporre tentativi “dall’esito incerto e che appaiono necessitare di tempi lunghi, assolutamente incompatibili con quelli di intervento in favore dei piccoli” (sent. C. d’A., p. 6), “il fatto che il M. abbia intrapreso un percorso di sostegno, seppur lodevole, avviene tardivamente a valle di reiterati comportamenti del tutto disfunzionali rispetto alle esigenze dei figli” (sent. C. d’A., p. 12).
Avverso la decisione della Corte d’Appello di Roma ha proposto impugnativa M.A.N.W., affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso il Sindaco di Roma, tutore dei minori. Il Pubblico Ministero ha fatto pervenire articolate conclusioni scritte, chiedendo rimettersi la causa alla trattazione in pubblica udienza, accogliersi il ricorso, e comunque enunciarsi principio di diritto in materia di diritto dei minori adottandi alla fratellanza.
Motivi della decisione
Devono essere preliminarmente esaminate le richieste del sostituto Procuratore Generale, che ha domandato di rinviare la trattazione del ricorso in pubblica udienza, ed in subordine ha chiesto che la Corte pronunci, ex art. 363 cod. proc. civ., il principio di diritto enunciato dallo stesso P.G., in materia di diritto dei minori adottandi alla fratellanza.
In ordine alla prima richiesta, il Collegio ritiene condivisibile, ed intende quindi assicurarvi continuità, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui occorre tener conto del disposto testuale di cui all’art. 375 c.p.c., u.c., che si limita a parlare della “opportunità” di trattare in pubblica udienza i ricorsi che abbiano ad oggetto questioni rilevanti o prive di precedenti, e pertanto (cfr. Cass. sez. 1, ord. 4.4.2017, n. 8869), non prevede l’obbligo di rimettere all’udienza pubblica neppure cause che presentino le evidenziate caratteristiche. Nel caso di specie, poi, le questioni oggetto di trattazione nel presente giudizio non presentano il carattere della novità, o della particolare rilevanza in considerazione della materia trattata. Il ricorso può essere pertanto trattato in adunanza camerale, risultando comunque garantito il pieno contraddittorio su tutte le problematiche poste dall’oggetto della decisione impugnata, così come dal contenuto del ricorso.
Sulla seconda richiesta del Pubblico Ministero, occorre osservare che il principio in materia di diritto dei minori adottandi alla fratellanza, che si domanda di recepire, appare estraneo all’oggetto del presente giudizio e dell’introdotto ricorso; inoltre, non ricorrono i presupposti per la pronuncia del principio di diritto nell’interesse della legge ex art. 363 cod. proc. civ..
Tanto premesso:
1.1. – con il primo motivo di ricorso, l’impugnante critica la violazione o falsa applicazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “siccome richiamato” dalla L. n. 184 del 1983, art. 17 nonchè della L. n. 184 del 1983, art. 1, commi 1 e 2 e art. 8, comma 1, e, ancora, dell’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, per avere la Corte territoriale dichiarato la adottabilità dei minori in assenza dell’essenziale presupposto dello stato di abbandono degli stessi, ed avendo omesso adeguati interventi di supporto alla genitorialità.
1.2. – Con il secondo motivo di impugnazione, il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza in considerazione del disposto di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 17, comma 2, nonchè della stessa L. n. 184 del 1983, art. 10, comma 1 e art. 15, comma 1 e dell’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, per non avere la Corte territoriale effettuato alcun accertamento circa la prospettata possibilità di rientro del ricorrente con i figli nel Paese di origine, verificando l’esistenza in (*) di una idonea compagine familiare.
2.1. – Con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta l’erronea valutazione, in considerazione della legislazione vigente, della ricorrenza dell’abbandono morale e materiale dei suoi figli minori, ritenuta accertata dalla Corte di merito.
Non sussiste lo stato di abbandono materiale, secondo il ricorrente, essendosi il padre sempre dimostrato disponibile a provvedere, nei limiti delle sue possibilità, all’assistenza dei minori. Neppure risulta integrato lo stato di abbandono c.d. morale, avendo il padre sempre manifestato piena disponibilità a prendersi cura dei figli. Il fatto che i minori, pur avendo un rapporto positivo con lui, non lo riconoscano quale genitore, dipende dalla limitata frequentazione che è stata imposta anche dai provvedimenti adottati dall’Autorità giudiziaria, la quale non ha peraltro disposto adeguati interventi di sostegno della genitorialità. Deve invece trovare riconoscimento il principio generale, espresso alla L. n. 184 del 1983, art. 1 secondo cui il minore ha un diritto primario a crescere nell’ambito della sua famiglia di origine, e non certo ad essere accolto in un contesto estraneo, sebbene più favorevole.
Il motivo di ricorso si appalesa per ampia parte inammissibile, e per la parte residua infondato. Le contestazioni mosse dal ricorrente, infatti, si risolvono prevalentemente nella critica dell’apprezzamento ed accertamento di circostanze di fatto, secondo argomentazioni che peraltro non risultano dedotte in grado di appello. La doglianza, e soprattutto le considerazioni svolte a sostegno dell’accoglimento del motivo di ricorso, si sostanziano in realtà nel domandare una non consentita rivalutazione delle risultanze probatorie in senso difforme rispetto a quella svolta dal giudice di merito, senza peraltro chiarire le ragioni che possano indurre a ritenere la lettura alternativa, proposta dal ricorrente, senz’altro più corretta di quella operata dalla Corte territoriale.
Nel caso di specie, esprimendo un giudizio completo, equilibrato e privo di vizi logici, la Corte d’Appello non ha, innanzitutto, trascurato di evidenziare l’impegno mostrato dal padre nel tentare di assistere i suoi bambini. La Corte capitolina ha ricordato che “il padre si è molto impegnato per sostenere sia materialmente che su un piano organizzativo la madre dei suoi figli” (sent. C. d’A., p. 2). Non solo, avendo cominciato, sebbene tardivamente, a prendere coscienza delle problematiche sorte durante la convivenza dei bambini con la madre in struttura di accoglienza, il M. prestava il “consenso… per una diversa collocazione” (sent. C. d’A., p. 3) dei figli, da soli, in diversa struttura protetta. I Servizi sociali qualificavano, nella relazione del 7.8.2015 “il padre come adeguato nella relazione con i figli” (sent. C. d’A., p. 3). A proposito della stessa relazione dell’ottobre 2015, che pure ha individuato come elemento essenziale di valutazione, la Corte d’Appello ha ricordato doversi dare atto “dell’aiuto economico ed organizzativo dato dal M. alla compagna durante il periodo di vita in subaffitto” (sent. C. d’A., p. 7). Neppure è stata omessa la considerazione che, quando la madre si era allontanata arbitrariamente dalla struttura protetta con i figli, era stata “rintracciata dall’ex compagno che li accompagnava presso una stazione dei Carabinieri per consegnare i piccoli ad un’operatrice” (sent. C. d’A., P. 7).
La Corte territoriale non ha trascurato nessuna di queste circostanze. Ha tuttavia ritenuto necessario valutare pure altri elementi (cfr., in part., sent. C. d’A., p. 13). Innanzitutto, in una prima fase, il padre aveva mostrato diffidenza avverso la struttura di accoglienza, “sostenendo di potersi prendere autonomamente cura dei figli” (sent. C. d’A., p. 2), pur senza elaborare un progetto credibile, cominciando con il dotarsi di un’abitazione stabile in cui poterli accogliere. Inoltre, la Corte territoriale evidenziava che il 14.9.2015 il Tribunale per i minorenni sentiva il tutore e l’assistente sociale, i quali, oltre a confermare i problemi riscontrati con la madre, affermavano che, nel corso di tre incontri protetti, era emerso che i figli non riconoscevano il padre come genitore. Ancora, la relazione del Centro Provinciale Fregosi del 27.10.2015 attestava che pure “nel padre erano stati riscontrati uno stato depressivo, paranoide, tratti evidenti di passività, scarsa adesione alla realtà, tendenza a legarsi a relazioni affettive disfunzionali, a creare legami di dipendenza sia agita che subita oltre a condizioni instabili a livello lavorativo e abitativo, elementi che rendevano il quadro particolarmente deteriorato, costituendo un rischio per la genitorialità” (sent. C.d’A., p. 4). La passività del ricorrente si è manifestata chiaramente, merita di essere evidenziato, anche a proposito dell’altra figlia che afferma di avere avuto dalla madre dei gemelli, bambina che non ha però mai riconosciuto, affermando di esservi stato impedito dall’opposizione manifestata dalla madre, senza chiarire in qual modo la donna abbia potuto impedirgli di svolgere la propria funzione genitoriale, e quali idonee iniziative abbia intrapreso lui per contrastare la scelta della donna.
Gli operatori della casa famiglia presso cui i minori erano ricoverati, ancora, “riguardo alle visite paterne”, attestavano di “una relazione non strutturata con i gemelli: il padre non coinvolge i bambini in un’attività, nè li sostiene se si interessano ad un gioco in particolare, ma si limita a porgere dei giochi casualmente o la merenda… non è in grado di gestire il conflitto tra i due fratellini” (sent. C.d’A., p. 4). Ci troviamo quindi in presenza di chiare manifestazioni di incapacità genitoriale.
Il ricorrente intrattiene, tra l’altro, una relazione con una donna che vive in Messico, conosciuta via Internet e mai incontrata di persona, alla quale dichiara di inviare il 50% dei suoi guadagni. Pur dovendosi dare atto degli sforzi compiuti per cercare di superare le sue problematiche personali e genitoriali, ha osservato la Corte territoriale, il padre riesce solo a proporre tentativi “dall’esito incerto e che appaiono necessitare di tempi lunghi, assolutamente incompatibili con quelli di intervento in favore dei piccoli” (sent. C. d’A., p. 6). Il genitore manifesta “spunti paranoidei uno stato depressivo, paranoide, con tratti evidenti di passività e scarsa adesione alla realtà”, e non si rivela “in grado di impedire le interferenze materne… il fatto che il M. abbia intrapreso un percorso di sostegno, seppur lodevole, avviene tardivamente a valle di reiterati comportamenti del tutto disfunzionali rispetto alle esigenze dei figli” (sent. C. d’A., p. 12).
Merita di essere ricordato che il Tribunale per i minorenni, dopo aver sentito all’udienza del 16.11.2015 i genitori e gli operatori dei servizi, così come quelli della casa famiglia presso cui erano ricoverati i minori, ha ritenuto l’inadeguatezza dei genitori che, entrambi, non mostravano di aver elaborato un progetto di vita credibile per i figli, ed ha perciò dichiarato lo stato di adottabilità dei bambini con sentenza del 25.11.2015.
Dal complesso di questi elementi la Corte capitolina ha desunto la inidoneità genitoriale del M.. Quest’ultimo non censura adeguatamente le ricordate valutazioni, ma invita a valorizzare le sue manifestazioni di disponibilità. La Corte di merito ha valutato anche queste, per vero, ed è giunta alla condivisibile conclusione che il percorso di recupero delle capacità genitoriali da parte del padre è senz’altro lungo ma, soprattutto, appare di esito incerto, ed attenderne indefinitamente gli sviluppi si risolverebbe in un pregiudizio per l’equilibrata crescita dei bambini, ancora molto piccoli. Lo stato di adottabilità di una persona minore di età deve essere dichiarato, infatti, anche quando non risulti possibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di crescere in uno stabile contesto familiare (Cass. sez. 1, sent. 26 gennaio 2011, n. 1837). Questa chiara ratio decidendi, proposta dalla Corte impugnata, non risulta adeguatamente criticata dal ricorrente, che domanda piuttosto una mera rivalutazione nel merito della pronuncia, chiedendo la valorizzazione di manifestazioni di intenti, piuttosto che la valutazione di circostanze di fatto acclarate.
Sembra ancora opportuno aggiungere che, nonostante la buona volontà manifestata, i supporti ricevuti con abbondanza ed il tempo passato, il padre non è riuscito a proporre un progetto di vita credibile per i suoi figli. Dichiara di destinare la metà dei suoi redditi, che certamente sarebbe utile per contribuire ad assicurare il mantenimento dei minori, ad una donna che vive assai lontano, che considera la sua nuova fidanzata ma in realtà non ha mai conosciuto di persona, avendo avuto contatti con lei soltanto via Internet. Il M. muta continuamente il proprio programma di vita: dopo aver insistito nell’affermare l’idoneità genitoriale della madre, ha poi proposto di affidare i bambini a parenti (*) di cui non ha fornito elementi per affermare l’idoneità genitoriale. Quindi, mutato ancora proposito, come meglio si evidenzierà nell’esame del successivo motivo di ricorso, propone ora di trasferirsi con i figli in tenera età in (*), dove sarebbe assistito nel compito educativo da non meglio precisati parenti, di cui non fornisce elementi adeguati perchè possano esserne valutate le capacità.
Il giudizio di inidoneità genitoriale del M., che non è riuscito ad elaborare un progetto di vita credibile per i propri figli, espresso dalla Corte d’Appello, deve essere pertanto confermato, ed il motivo di ricorso deve essere respinto.
2.2. – Con il secondo motivo di impugnazione, il ricorrente critica la Corte territoriale per non aver compiuto idonei accertamenti al fine di valutare l’opportunità che egli rientri in (*) con i bambini, dove potrebbero essere accuditi anche da alcuni suoi familiari.
La Corte territoriale, invero, ha osservato che la “disponibilità di una coppia di parenti in (*) ad accogliere i bambini” non risulta conforme all’interesse dei minori. La pur apprezzabile manifestazione d’intenti espressa dal padre, infatti, è stata proposta “solo dopo due anni di vicende giudiziarie, da una coppia che mai ha avuto alcun rapporto con il M. e tantomeno con i piccoli” (sent. C. d’A., p. 14 s.). Occorre quindi innanzitutto osservare che la lamentela proposta in questa sede appare fondata su presupposti diversi rispetto alla domanda esaminata dalla Corte d’Appello. Quest’ultima si è espressa circa la possibilità di affidare i bambini a parenti (*), il ricorrente domanda ora di ottenere l’affidamento dei figli a sè, potendo trasferirsi in (*) insieme con loro, e giovarsi della collaborazione educativa dei parenti. Se questa istanza fosse stata già proposta il ricorrente, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, avrebbe dovuto indicare quando aveva introdotto la domanda e con quale formula, in modo da consentire a questa Corte il doveroso controllo sulla tempestività e congruità della istanza. Non solo. L’impugnante neppure indica, nel ricorso in esame, chi siano i suoi parenti che potrebbero assisterli, tantomeno illustra la loro condizione personale e familiare, ed anche in tal senso il motivo di ricorso viola il principio di specificità. Le censure proposte, in relazione a questi profili, appaiono pertanto inammissibili. La pronuncia della Corte territoriale, peraltro, non appare suscettibile di censure. La Corte d’Appello ha ritenuto non sussistere le condizioni per ulteriori approfondimenti istruttori, risultando pacifico che i parenti (*) non hanno mai avuto rapporti significativi con i minori. Questa chiara, legittima e decisiva, ragione della decisione non è stata sottoposta a critica dal ricorrente. Il motivo di ricorso deve pertanto essere respinto.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
La natura del giudizio, e la complessità di alcune delle questioni esaminate, inducono a ritenere equo disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso proposto da M.A.N.W. e dispone la integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. Dispone, ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, comma 5, che, in caso di riproduzione per la diffusione della presente decisione, le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti menzionati siano omessi.