La breve durata del matrimonio e l’assenza di stabile convivenza incidono nella quantificazione dell’assegno di mantenimento

Cass. civ. Sez. I, 27 aprile 2018, n. 10304
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18674/2015 proposto da:
M.P., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato C.C., giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
F.G., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Marcucci Pilli Daniela, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 90/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, pubblicata il 19/01/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/03/2018 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Svolgimento del processo
che:
M.P. ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Firenze, in epigrafe indicata, che aveva confermato la prima decisione in controversia concernente la separazione giudiziale da F.G., con la quale in data 13/11/2012 era stato posto a carico del marito un contributo al mantenimento della moglie per Euro. 750,00 mensili, oltre ISTAT. La Corte di appello, dopo avere considerato anche che la breve durata del matrimonio non era preclusiva del diritto all’assegno di mantenimento in presenza degli altri elementi costitutivi, ossia la non addebitabilità della separazione e la non titolarità di adeguati redditi propri che consentissero di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, ha osservato che, comunque, la durata del matrimonio ed il contributo apportato da un coniuge alla formazione del patrimonio dell’altro erano elementi valutabili al fine della determinazione dell’importo.
Sulla scorta di tali premesse, sottolineato che nelle more era intervenuto il divorzio e considerati gli esiti della CTU disposta in corso di causa, la Corte di appello ha ravvisato che la redditualità dei coniugi era pressoché equivalente ed assestata su un importo di circa Euro 82.000,00 annui, derivanti per la M. da attività professionale di odontoiatra, tenuto conto degli studi di settore, e per il F. da rendite finanziarie ed immobiliari. Di contro la capacità di spesa di ciascuno era differente, in quanto quella della M. si attestava intorno ad Euro 50.000,00 annui, mentre quella del F. intorno ad Euro 200.000,00 annui, soddisfatta, come già nel corso del matrimonio, attraverso anche la liquidazione di quote del notevole patrimonio immobiliare personale pervenutogli quale eredità paterna; la Corte rimarcava pure che le parti sostanzialmente concordavano sulla situazione economica risultante dall’indagine tecnica d’ufficio (fol. 7 della sent.).
Sulla scorta di tali elementi e dell’evidenziato andamento della breve vita coniugale, durante la quale le parti non avevano stabilmente coabitato, la Corte di appello ha escluso che la M. avesse diritto seppure tendenzialmente a mantenere l’alto tenore di vita in concreto fruito in costanza di matrimonio, essendo questo tenore anche derivato oltre che dai redditi del F., pressoché equivalenti a quelli della moglie ed all’epoca della separazione addirittura inferiori, dalla maggiore liquidità dallo stesso procuratasi a seguito di gestione dismissiva del suo patrimonio immobiliare personale, che all’epoca e tuttora gli consentiva di vivere al di sopra delle sue possibilità reddituali. La Corte ha tuttavia confermato l’assegno di mantenimento in favore della moglie, valutando la maggiore stabilità dei redditi del F. ed il fatto che quelli della M. avevano subito una flessione ed erano più esposti alla aleatorietà della professione.
F.G. replica con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensidell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis c.p.c., comma 1.
Le parti hanno depositato memorie exart. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
che:
1. Preliminarmente osserva la Corte che la controversia concerne esclusivamente la quantificazione dell’assegno di mantenimento, posto che sul suo riconoscimento vi è stata acquiescenza del F.. 2.1. Primo motivo – Violazione e/o falsa applicazionedell’art. 156 c.c., in relazione agliartt. 113, 115 e 116 c.p.c.(art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
La ricorrente lamenta che la Corte di appello, erroneamente, ha attribuito al criterio del precedente tenore di vita una valenza impropria, identificandolo non già con lo standard reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi (la loro capacità economica), ma escludendo i benefici economici connessi alla gestione del patrimonio personale del marito e dalla vendita di cespiti immobiliari perché definite “frutto di entrate straordinarie”. Sostiene che la verifica dell’esistenza di adeguati redditi propri deve prendere in considerazione la situazione patrimoniale complessiva del richiedente, comprensiva non solo dei redditi in senso stretto, ma anche dei cespiti di cui abbia il diretto godimento e di ogni altra utilità suscettibile di valutazione economica (fol. 45/46 del ricorso).
2.2. Secondo motivo – Omessa esame di fatti decisivi del giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5): segnatamente, la circostanza che il F., cointestatario con la madre di immobili e conto correnti bancari, ne godrebbe come meglio crede; le disponibilità finanziarie del marito; il fatto che questi non lavori; il fatto che, in costanza di matrimonio, aveva usufruito anche delle persone di servizio del marito, presso le residenze a (OMISSIS) e a (OMISSIS) (fol. 46/47 del ricorso).
3.1. I motivi possono essere trattati congiuntamente per connessione e vanno respinti perché infondati.
3.2. Osserva la Corte che, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, “La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensidell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio” (Cass. n. 12196 del 16/05/2017) e che “L’art. 156 c.c., comma 2, stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell’assegno tenendo conto non solo dei redditi delle parti ma anche di altre circostanze non indicate specificatamente, né determinabili “a priori”, ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti, la cui valutazione, peraltro, non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi.” (Cass. n. 605 del 12/01/2017).
3.3. Orbene, la Corte di appello si è attenuta a questi principi nel procedere alla valutazione dei fatti dedotti in merito alle contrapposte richieste delle parti.
Dalla lettura della sentenza impugnata emerge infatti che inizialmente non era stato previsto l’assegno di mantenimento a favore della M., attesa la elevata redditualità goduta dalla stessa in ragione della professione di dentista esercitata, e che l’attribuzione economica era intervenuta solo all’esito del giudizio di primo grado con la sentenza depositata il 13/12/2012 e confermata in appello alla luce di un repentino calo del reddito della moglie, anche se sospetto per la coincidenza con la procedura di separazione, e della disponibilità economiche significativamente maggiori accertate per il F.; si rileva altresì che nelle more, e prima della pronuncia di secondo grado, è intervenuta anche la sentenza di divorzio (sent. imp. fol. 6).
Sulla scorta di tali dati la Corte di appello ha proceduto ad una valutazione delle molteplici circostanze in linea con i principi prima enunciati ed ha ancorato la decisione della conferma dell’assegno in Euro 750,00 mensili alla valutazione delle precipue risultanze, tra cui la breve durata del matrimonio e l’assenza di stabile convivenza coniugale, gli esiti della CTU e la considerazione delle modalità di creazione da parte del F. del surplus di tenore di vita coniugale al di sopra delle comuni possibilità reddituali (ossia tramite depauperamento del suo patrimonio immobiliare), tenore di vita altrimenti più contenuto e garantito da introiti pressoché paritari, anche se dotati di una diversa stabilità, di cui si è tenuto conto nel riconoscimento alla M. dell’assegno e nella sua quantificazione.
3.4. Non si ravvisa nemmeno l’omesso esame di fatti decisivi, tali non risultando quelli indicati dalla ricorrente, peraltro presi anche in considerazione dalla Corte di appello, come già si è visto, ove ritenuti significativi e decisivi.
La doglianza si risolve sostanzialmente nella richiesta a questa Corte di legittimità di una revisione, inammissibile in questa sede, del giudizio di fatto sulla determinazione dell’assegno di mantenimento, richiesta che appare implicita nella prospettazione di un nuovo ed alternativo percorso valutativo delle risultanze probatorie e che si risolve in una critica della motivazione.
4. In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Si dà atto, – ai sensiD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art.13, comma 1quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma delD.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196,art.52.

P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità a favore del controricorrente che liquida nel compenso di Euro 3.700,00, comprensivo di esborsi, oltre spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
– Dà atto, ai sensiD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art.13, comma 1quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis;
– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003,art.52.