ASSEGNI FAMILIARI

Di Gianfranco Dosi
I. Il quadro giuridico
II. Gli assegni familiari in caso di separazione e divorzio
III. Il diritto in caso di affidatario non lavoratore
IV. Gli assegni familiari nella famiglia di fatto
V. I figli maggiorenni
VI. Gli assegni familiari per i figli si aggiungono al contributo di mantenimento
VII. Gli assegni familiari in caso di affidamento al servizio sociale
c) Atti traslativi nel corso del matrimonio
d) Attribuzioni patrimoniali in sede di separazione
XV. L’azione revocatoria può essere esercitata a tutela dell’assegnazione della casa fa¬miliare?
XVI. L’esecuzione diretta o presso terzi senza previa revocatoria: l’art. 2929-bis del codice civile
I Il quadro giuridico
Gli assegni familiari sono stati introdotti nel nostro ordinamento dalla contrattazione collettiva di lavoro nel lontano 1934 e sono stati poi regolamentati dapprima con il R.D.L. 21 agosto 1936, n. 1632 e, in seguito, per tutti i lavoratori dipendenti nel 1955 (DPR 30 maggio 1955, n. 797, Testo Unico delle norme concernenti gli assegni familiari). L’art. 9 della legge 9 dicembre 1977 n. 903 (parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) introdusse il principio che gli as¬segni familiari possono essere corrisposti in alternativa tanto all’uomo che alla donna lavoratrice.
Nel 1988, con l’art. 2 del Decreto legge 13 marzo 1988, n. 69 convertito nella legge 13 maggio 1988, n. 153 (Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti por¬tuali ed altre disposizioni urgenti) – illustrata da una apposita circolare Ministero del Tesoro del 27 giugno 1988, n. 31 – furono oggetto di una ampia riforma che ne cambiò anche il nome: da “as¬segni familiari” divennero “assegno al nucleo familiare” attribuito a tutti “i lavoratori dipendenti, i titolari delle pensioni e delle prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro dipendente, i lavoratori assistiti dall’assicurazione contro la tubercolosi, il personale statale in attività di ser¬vizio ed in quiescenza, i dipendenti e pensionati degli enti pubblici anche non territoriali”, quindi sostanzialmente tutti i lavoratori. Anche se disoccupati senza indennità (Corte cost. 2 febbraio 1990, n. 42). Ai coltivatori diretti, mezzadri e coloni sono, invece, corrisposti sempre con il nome di “assegni familiari”.
L’assegno al nucleo familiare e gli assegni familiari sostituirono ogni trattamento di sostegno alla famiglia precedente comunque denominato.
Per comodità espositiva continueremo a chiamarli assegni familiari.
Sono corrisposti, per conto dell’Inps, dal datore di lavoro (al quale va quindi presentata la doman¬da) in occasione del pagamento della retribuzione. Sono, invece, direttamente corrisposti dall’Inps se il richiedente è addetto ai servizi domestici ovvero iscritto alla Gestione separata o in altre poche situazioni.
L’assegno compete in misura differenziata in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare, secondo una tabella aggiornata di anno in anno. Nell’ ultimo aggiornamento (cir¬colare Inps n. 87 del 18 maggio 2017) sono indicati i limiti di reddito da considerare nel periodo compreso dal 1° luglio 2017 al 30 giugno 2018 per la concessione dell’assegno al nucleo familiare e gli importi dell’assegno. La tabella può essere scaricata facilmente nel sito ufficiale dell’Inps.
Secondo il sesto comma dell’art. 2 del Decreto legge 13 marzo 1988, n. 69 sopra richiamato, per “nucleo familiare” si intende quello composto “dai coniugi [o parti dell’unione civile] con esclu¬sione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, e dai figli ed equiparati, ai sensi dell’articolo 38 del DPR 26 aprile 1957, n. 818 (che equipara ai figli legittimi o legittimati, i figli adottivi, quelli naturali riconosciuti o giudizialmente dichiarati, quelli nati da precedente ma¬trimonio dell’altro coniuge, nonché i minori regolarmente affidati dagli organi competenti), di età inferiore a 18 anni compiuti ovvero, senza limite di età, qualora si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro”.
Col tempo, anche in connessione con decisioni della Corte costituzionale l’elenco dei componenti del nucleo familiare si è allargato.
L’assegno al nucleo familiare spetta oggi per i seguenti soggetti: nucleo composto dal richiedente lavoratore o titolare della pensione; il coniuge/parte di unione civile che non sia legalmente ed effettivamente separato o sciolto da unione civile, anche se non convivente, o che non abbia ab-bandonato la famiglia; i figli ed equiparati di età inferiore a 18 anni, conviventi o meno; i figli ed equiparati maggiorenni inabili, purché non coniugati; i figli ed equiparati, studenti o apprendisti, di età superiore ai 18 anni e inferiore ai 21 anni, purché facenti parte di “nuclei numerosi”, cioè nuclei familiari con almeno quattro figli tutti di età inferiore ai 26 anni; i fratelli, le sorelle del ri¬chiedente e i nipoti (collaterali o in linea retta non a carico dell’ascendente), minori o maggiorenni inabili, solo se sono orfani di entrambi i genitori, che non hanno conseguito il diritto alla pensione ai superstiti e non sono coniugati; i nipoti in linea retta di età inferiore a 18 anni e viventi a carico dell’ascendente.
L’assegno per il nucleo familiare compete, come sopra detto, in misura differenziata in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo stesso secondo tabelle prestabilite e i livelli di reddito sono aumentati nei casi in cui il nucleo familiare comprenda soggetti che si trovino nell’as¬soluta e permanente impossibilità di dedicarsi a proficuo lavoro, ovvero, se minorenni, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere compiti e funzioni proprie della loro età. L’importo quindi varia in base alla composizione del nucleo famigliare e in base al reddito, secondo le tabelle che vengono aggiornate annualmente.
Poiché si tratta di una prestazione previdenziale unica (con divieto di cumulo in capo ad entrambi i genitori), l’individuazione di chi tra i due genitori effettuerà la richiesta di autorizzazione alla cor-responsione, è riferibile all’accordo tra i coniugi.
Gli assegni familiari sono corrisposti anche ai lavoratori extracomunitari (esclusi quelli con con¬tratto di lavoro stagionale) o a quelli con permesso di soggiorno di lungo periodo, in genere per i familiari residenti in Italia ma in taluni casi anche per quelli residenti all’estero.
Il reddito del nucleo familiare è costituito, ai sensi del comma 9, dall’ammontare dei redditi com¬plessivi, assoggettabili all’Irpef, conseguiti dai suoi componenti nell’anno solare precedente il 1 luglio di ciascun anno ed ha valore per la corresponsione dell’assegno fino al 30 giugno dell’anno successivo. Alla formazione del reddito (ai fini dei limiti sopra indicati) concorrono i redditi di qualsiasi natura (anche quelli, quindi, da fabbricati o da terreni), ivi compresi quelli esenti da im¬poste e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva se superiori a 1.032,91 euro. Non si computano, invece nel reddito i trattamenti di fine rapporto comunque denominati e le anticipazioni sui trattamenti stessi, nonché l’assegno al nucleo familiare.
L’attestazione del reddito del nucleo familiare è resa con dichiarazione, la cui sottoscrizione non è soggetta ad autenticazione. L’ente al quale è resa deve trasmetterne copia al comune di residenza del dichiarante.
L’assegno – che non concorre a formare la base imponibile dell’imposta – non spetta se la somma dei redditi da lavoro dipendente, da pensione o da altra prestazione previdenziale derivante da lavoro dipendente è inferiore al 70 per cento del reddito complessivo del nucleo familiare. Il principio è quindi quello della necessaria prevalenza del lavoro dipendente sul reddito comples¬sivo. Quindi, per esempio, se un lavoratore ha redditi da lavoro dipendente oltre che immobiliari o mobiliari da investimenti soggetti alla ritenuta alla fonte per 30.000 euro annui complessivi, gli assegni familiari spettano solo se il reddito da lavoro dipendente è pari o superiore a 21.000 euro (cioè il 70% del reddito complessivo).
La legge 448 del 1998, agli art. 65 e 66, prevede l’erogazione di un “assegno familiare” (un sus¬sidio chiamato così, ma evidentemente diverso dalla categoria degli assegni familiari di cui si sta parlando) a favore dei nuclei familiari che si compongono di almeno tre figli minori.
II Gli assegni familiari in caso di separazione e divorzio
In caso di separazione o divorzio la disciplina giuridica dell’assegno al nucleo familiare ha la sua fonte nell’art. 211 della legge di riforma del diritto di famiglia.
L’art. 211 della legge 19 maggio 1975, n. 151, infatti, ha introdotto una norma specifica in materia di assegni familiari del seguente tenore: “Il coniuge cui i figli sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari per i figli, sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l’altro coniuge”.
La norma si riferisce al caso di affidamento esclusivo ad un genitore dei figli, che all’epoca era la forma unica di affidamento prevista. Vedremo più oltre cosa avviene in caso di affidamento (con¬diviso) ad entrambi i genitori.
La sopra richiamata Circolare del Ministero del Tesoro del 27 giugno 1988, n. 31, aveva interpre¬tato inizialmente la normativa sull’assegno al nucleo familiare (cioè l’art. 2 del decreto legge 13 marzo 1988, n. 69 convertito nella legge 13 maggio 1988, n. 153) prevedendo che l’assegno al nucleo familiare spettasse in caso di separazione solo nel caso in cui anche il genitore affidatario fosse stato lavoratore dipendente. Questo in quanto il “nucleo familiare” è, secondo la legge, quel¬lo composto dai coniugi, con esclusione di quello legalmente ed effettivamente separato. Questa interpretazione finiva per ledere quindi i diritti del genitore affidatario non lavoratore a seguito della separazione con ingiusta possibile perdita del diritto alla prestazione.
Nonostante l’interpretazione del Ministero del tesoro, la Circolare dell’Inps n. 48 del 19 febbraio 1992, sulla corresponsione della prestazione nei casi di separazione legale o divorzio, aveva affer¬mato il principio che il diritto attribuito dall’art. 211 al coniuge affidatario di percepire gli assegni familiari, spetta anche se lo stesso non sia “titolare di una propria posizione protetta” (rapporto di lavoro, pensione, ecc.). Si stabiliva, quindi, che l’assegno spetta sempre e comunque al coniuge af¬fidatario, e ciò perché, in caso di separazione “viene a costituirsi un nucleo familiare autonomo che fa capo al coniuge affidatario”. Così essendo, si dovrà verificare con riguardo al nucleo familiare del coniuge affidatario se ricorrano i requisiti reddituali necessari per l’ottenimento della prestazione.
Effettivamente in seguito anche il legislatore ebbe modo di interpretare nello stesso modo auten-ticamente la normativa, con l’art. 1, comma 559, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005) in cui si prevede che “l’assegno per il nucleo familiare viene erogato al coniuge dell’avente diritto…” e il D.M. del Lavoro e delle Politiche Sociali del 4 aprile 2005 ha previsto al primo comma che: “Il coniuge non titolare di un autonomo diritto alla corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare che intende esercitare il diritto di cui all’art. 1, comma 559, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, formula apposita domanda al datore di lavoro dell’altro coniuge (lavora¬tore) … che provvede alla corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare secondo le modalità indicate dal coniuge medesimo”. Il comma 4 successivo afferma, altresì, “Resta ferma la disciplina di cui all’art. 211 della legge 19 maggio 1975, n. 151”. Ed è anche questa, come si vedrà, la solu¬zione adottata in giurisprudenza.
Il titolare del diritto sembra quindi rimanere il coniuge lavoratore ma il diritto può essere richiesto dal coniuge affidatario (il cui nucleo familiare è quello di riferimento ai fini del reddito presupposto) che poi percepirà gli assegni familiari. La giurisprudenza, però, sembra propendere per l’attribu¬zione della stessa titolarità del diritto al coniuge affidatario ammettendo che il convenuto nella relativa causa sia non l’Inps ma il coniuge titolare della situazione protetta.
Quale che sia la soluzione teorica più plausibile, nel caso di genitore affidatario di figli, a seguito di separazione, fermo il criterio generale del divieto di cumulo dello stesso assegno in capo ad en¬trambi i genitori: a) l’assegno per il nucleo familiare può essere richiesto direttamente dal coniuge non titolare di una posizione protetta (cioè non lavoratore o non pensionato); b) il nucleo familiare ed il reddito di riferimento vanno determinati escludendo l’altro coniuge separato che del nucleo non fa più parte.
Nel caso di coniugi separati con affidamento esclusivo dei figli minori l’assegno va corrisposto all’affidatario. In tal caso il genitore affidatario è l‘unico soggetto legittimato a richiedere l’assegno per il nucleo familiare perché è solo intorno al genitore affidatario che si viene a formare il nuovo nucleo. Naturalmente il genitore separato, al fine di poter godere dell’attribuzione, è tenuto a di¬mostrare l’affidamento ad esso della prole (App. Genova Sez. lavoro, 29 marzo 2013 che ha ritenuto non sufficiente un verbale di separazione omologato in cui la modalità di affidamento non appariva specificata).
In caso di affidamento condiviso dei figli il soggetto legittimato alla percezione degli assegni fa¬miliari è il genitore con il quale i minori stessi convivono (Trib. Nocera Inferiore Ordinanza, 9 ottobre 2013 che, in un caso in cui la figlia minore coabitava con la madre ma era stata affidata congiuntamente ad entrambi i genitori, ha ritenuto la madre stessa legittimata a percepire gli assegni familiari).
L’assegno al nucleo familiare va comunque richiesto da uno solo dei due genitori ed è necessario l’accordo. Esattamente come avviene quando la famiglia vive unita. Sono, perciò, i genitori che devono stabilire, di comune accordo, chi dei due effettuerà la richiesta ai fini della corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare. In caso di mancato accordo, scatta il requisito della convivenza con il figlio, secondo quanto stabilito dall’art. 9 della Legge 903 del 1977.
La prescrizione in materia è quinquennale (Cass. civ. Sez. lavoro, 19 ottobre 2007, n. 21960).
III Il diritto in caso di affidatario non lavoratore
Come si è detto il diritto agli assegni familiari spetta al coniuge affidatario anche se non lavoratore dipendente (o non titolare di nessuna altra posizione protetta che dà diritto alla prestazione).
Secondo l’art. 211 della legge 19 maggio 1975, n. 151 infatti, come anche si è detto, il coniuge cui i figli sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari per i figli, “sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l’altro coniuge”.
Il principio desumibile dall’art. 211 è, insomma, che il coniuge affidatario dei figli, quando non possa percepire l’assegno in virtù di un proprio rapporto di lavoro, ha diritto di percepirlo per il tramite del genitore (lavoratore dipendente) non affidatario.
Si tratta di un principio ribadito costantemente in molte decisioni (Cass. civ. Sez. I, 2 aprile 2003, n. 5060; Cass. civ. Sez. lavoro, 30 dicembre 2004, n. 24204; Cass. civ. Sez. lavoro, 30 marzo 2015, n. 6351; Cass. civ. Sez. lavoro, 11 maggio 2017, n. 11569).
IV Gli assegni familiari nella famiglia di fatto
I principi sono esaminati valgono anche nel caso di filiazione fuori dal matrimonio.
Secondo Cass. civ. Sez. lavoro, 18 giugno 2010, n. 14783 il diritto all’assegno per il nucleo familiare compete anche in relazione ai figli riconosciuti nati nell’ambito di una coppia di fatto. Nel caso specifico si trattava di tre figli naturali di una coppia; il padre dei minori era ancora sposato con altra persona e l’Inps aveva eccepito che i figli non erano inseriti nel nucleo familiare del ri¬chiedente che era quello formalmente composto da lui e dalla moglie. La Corte accoglie il ricorso dell’uomo in quanto “la nozione di nucleo familiare delineata dal legislatore presuppone solamente la condizione di figlio naturale riconosciuto, e non anche l’inserimento nella famiglia legittima”.
In particolare la sentenza precisa che l’assegno per il nucleo familiare, istituito e regolato dal De¬creto legge n. 69 del 1988, spetta ai lavoratori dipendenti privati e pubblici, oltre ai pensionati, ed è commisurato al numero di componenti del nucleo familiare oltre che, ovviamente, all’entità del reddito percepito dall’avente diritto. In applicazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 818 del 1957, che specifica la composizione del “nucleo familiare”, sono da considerare componenti dello stesso, tra gli altri, i figli naturali legalmente riconosciuti che, ai sensi dell’art. 250 c.c., sono quelli ricono¬sciuti nei modi indicati dall’art. 254 c.c. dal padre o dalla madre, anche se uniti in matrimonio con persona diversa all’epoca del concepimento. La condizione di figlio naturale riconosciuto, peraltro, per quanto qui rileva, non è assolutamente inficiata dall’assenza di inserimento nella famiglia le¬gittima. Ebbene, la normativa sull’assegno familiare non richiede l’inserimento nell’ambito della famiglia legittima ma si limita a richiedere, ai fini del relativo riconoscimento, la condizione di figlio naturale per cui anche il soggetto coniugato e mai separato ma convivente con altra persona ha diritto alla percezione dell’assegno familiare per i figli naturali, minori, legalmente riconosciuti se prova che, essendo posti a suo carico, provvede al loro mantenimento.
L’argomento era stato anche trattato nella circolare Inps 6.8.2012 n. 104 in cui era stato da un lato chiarito che, nella impossibilità di un’applicazione estensiva ai casi di genitori naturali di quanto disposto per i genitori separati dall’art. 211 della legge n. 151 del 1975, il titolare della richiesta dei trattamenti di famiglia è sempre e solamente il genitore che lavora o che percepisce una retribuzione; e dall’altro che, in ragione delle esigenze di armonizzazione con principi co¬munitari, “dalla data di pubblicazione della presente circolare, le domande di autorizzazione e di richiesta del trattamento di famiglia sulla posizione di lavoro dell’altro genitore potranno essere presentate direttamente dai genitori naturali conviventi con la prole, anche se non titolari di pro¬pria posizione tutelata”.
In precedenza analogo orientamento era stato espresso da Cass. civ. Sez. lavoro, 7 aprile 2000, n. 4419 dove si afferma che nel regime previsto dal decreto legge 13 marzo 1988 n. 69 (convertito con modifiche nella legge n. 153 del 1988) la convivenza non è richiesta quale presupposto perché sorga il diritto a percepire l’assegno per il nucleo familiare è sufficiente per l’insorgenza del diritto al beneficio, che il genitore, cui spetta l’assegno, provveda abitualmente al mantenimento dei figli, tali essendo quelli nati nel matrimonio o fuori dal matrimonio.
V I figli maggiorenni
Come si è detto il principio desumibile dall’art. 211 della legge di riforma del diritto di famiglia è che il coniuge affidatario dei figli, quando non possa percepire l’assegno in virtù di un proprio rapporto di lavoro, ha diritto di percepirlo per il tramite del genitore (lavoratore dipendente o pen¬sionato) non affidatario.
E’ possibile estendere le regole in questione al caso di figli maggiorenni sebbene per essi non è concepibile parlare di affidamento. In caso, perciò, di convivenza del figlio maggiorenne con uno dei genitori, gli assegni familiari possono essere richiesti dal genitore collocatario nei limiti con cui le norme prevedono l’attribuzione per i figli (e cioè, come detto, per i figli senza limite di età, qualora si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro ovvero per i figli studenti di età superiore ai 18 anni e inferiore ai 21 anni, purché facenti parte di “nuclei numerosi”, cioè nuclei familiari con almeno quattro figli tutti di età inferiore ai 26 anni).
VI Gli assegni familiari per i figli si aggiungono al contributo di mantenimento
Gli assegni familiari percepiti dal coniuge non affidatario si cumulano con il contributo per il man¬tenimento dei figli fissato in sede di separazione coniugale, salva l’eventuale diversa statuizione giudiziale o la diversa condizione pattuita in sede di separazione consensuale. D’altra parte – se¬condo quanto pacificamente si ritiene in dottrina e nella giurisprudenza costituzionale (per esem¬pio Corte cost., 3 aprile 1987, n. 98; Corte cost. 21 luglio 1988, n. 851; Corte cost. 27 luglio 1989, n. 458; Corte cost. 2 febbraio 1990, n. 42; Corte cost., 22 dicembre 1995, n. 516) – gli assegni familiari costituiscono una prestazione previdenziale, che compete al lavoratore, destinata proprio al sostentamento del nucleo familiare a suo carico, e non rappresenta una parte del trattamento stipendiale, pur essendo elargita sotto forma di integrazione della retribuzione.
Il principio fu per la prima volta affermato da Cass. civ. Sez. I, 27 novembre 1989, n. 5135 in caso di separazione il genitore affidatario del figlio minorenne ha diritto, ai sensi dell’art. 211, della legge 19 maggio 1975, n. 151, a percepire gli assegni familiari corrisposti per tale figlio all’altro genitore in funzione di un rapporto di lavoro subordinato di cui quest’ultimo sia parte, indipendentemente dall’ammontare del contributo per il mantenimento del figlio fissato in sede di separazione consensuale a carico del coniuge non affidatario, salvo che sia diversamente stabilito in modo espresso negli accordi di separazione.
E’ il coniuge cui sono affidati i figli, pertanto, che ha diritto a percepire gli assegni familiari per loro. Questi assegni dunque gli spettano ex lege e non in forza delle convenzioni stipulate tra le parti in sede di separazione consensuale. Ove gli assegni siano stati perciò percepiti dal genitore non affidatario e non versati al genitore affidatario, quest’ultimo ha diritto a richiederne la restituzione.
Molto chiara in proposito era stata in passato Cass. civ. Sez. I, 2 aprile 2003, n. 5060 in cui, dopo l’affermazione che il coniuge affidatario del figlio minorenne ha diritto, ai sensi dell’art. 211 della L. 19 maggio 1975, n. 151, a percepire gli assegni familiari corrisposti per tale figlio all’altro coniuge, indipendentemente dall’ammontare del contributo per il mantenimento del figlio fissato in sede di separazione consensuale, salvo che sia diversamente stabilito, precisa che in difetto di una specifica pattuizione, non si possono interpretare le condizioni di separazione personale relative al riconoscimento di un assegno di mantenimento a favore del coniuge affidatario dei figli come comprensive dell’importo degli assegni familiari spettanti al coniuge non affidatario per i figli, spettando per legge l’importo di tali assegni al coniuge affidatario.
Il principio è stato ribadito successivamente da Cass. civ. Sez. VI – 1, 23 maggio 2013, n. 12770 dove si chiarisce ancora che il coniuge affidatario dei figli minori in sede di separazione coniugale, acquista ex lege, ai sensi dell’art. 211 della legge 19 maggio 1975, n. 151, il diritto a percepire gli assegni familiari corrisposti per i medesimi figli all’altro coniuge in virtu` del rapporto di lavoro di cui questi sia parte, in aggiunta ed indipendentemente dal tipo e dall’ammontare del contributo al mantenimento della medesima prole fissato in sede di separazione dal giudice o con¬venuto consensualmente, cumulandosi in ogni caso a questo.
L’orientamento è anche consolidato nella giurisprudenza di merito. Per esempio Trib. Bari Sez. I, 14 marzo 2017; Trib. Cagliari Sez. I, 12 luglio 2016; Trib. Cassino, 19 giugno 2007; Trib. Bari Sez. I, 1 agosto 2006; App. Cagliari, 14 maggio 1993, hanno tutte proprio precisato che il coniuge affidatario del figlio minorenne ha diritto, ai sensi dell’art. 211 della legge n. 151 del 1975, a percepire gli assegni familiari corrisposti per tale figlio all’altro coniuge, indipendente¬mente dall’ammontare del contributo per il mantenimento del figlio fissato in sede di separazione a carico del coniuge non affidatario, salvo che sia diversamente stabilito in modo espresso negli accordi o nel provvedimento di separazione (unica voce contraria in passato App. Brescia, 19 luglio 1990 che aveva ritenuto compresi gli assegna familiari nel contributo di mantenimento).
In un caso, tuttavia, in cui il padre naturale di una minore aveva omesso di versare l’assegno di mantenimento per la figlia ma aveva dato disposizioni al proprio datore di lavoro di corrispondere gli assegni familiari alla madre della minore Cass. pen. Sez. VI, 15 settembre 2015, n. 44765 ha ritenuto (ma in punto di fatto) che non sussistesse il reato di violazione degli obblighi di assistenza.
Ovviamente quanto fin qui considerato vale soltanto con riferimento a ciò che il coniuge non affida¬tario percepisce come assegni per il figlio. Diversamente infatti stanno le cose per gli assegni che il lavoratore percepisca per il coniuge se da questi si sia separato giudizialmente o consensualmente. E’ indubbia, in questo caso, la titolarità della provvidenza in capo esclusivo al coniuge lavoratore onerato del mantenimento del coniuge separato. Manca a questo proposito una disposizione spe¬ciale quale quella ex art. 211 della legge 151/75, sì che valgono i principi generali. L’assegno per il coniuge è corrisposto al fine di consentire al lavoratore, a lui che ne è il solo titolare e l’unico che può percepirli, di far fronte al suo obbligo di mantenimento ex art. 143 e 156 (in caso di separazio¬ne) codice civile E’ dunque denaro suo e soltanto suo. Correttamente pertanto se nulla di diverso appare dalla pattuizione tra le parti o dalla statuizione giudiziale, si deve ritenere che anche di queste particolare entrata pecuniaria le parti o il giudice hanno tenuto conto quando hanno fissato il contributo che il coniuge deve dare all’altro coniuge per il mantenimento di questi.
Proprio in ragione di questa differenza di disciplina tra assegni familiari per i figli e per il coniuge ha indotto la dottrina a parlare di sistema a doppio binario.
VII Gli assegni familiari in caso di affidamento al servizio sociale
Secondo quanto affermato da Cass. civ. Sez. lavoro, 6 agosto 2003, n. 11876 qualora sia adottato dall’autorità giudiziaria un provvedimento di affidamento del minore al servizio sociale minorile e, per esso, all’azienda unità sanitaria locale, a norma dell’art. 26, ultimo comma, R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404, convertito nella legge 27 maggio 1935, n. 835, e successive modificazioni [affidamento disposto dal tribunale per i minorenni in sede penale® disponendosi tuttavia che il minore resti collocato presso il proprio genitore naturale, quest’ultimo mantiene il diritto alla cor¬responsione degli assegni familiari per il minore stesso, per tutto il tempo di detto collocamento, dato che il provvedimento di affidamento non determina di per sé modifiche in ordine al dovere del genitore di mantenere il minore, come d’altra parte risulta anche dalla previsione dell’ art. 25, terzo comma, del medesimo R.D.L [cosiddetto affidamento in sede amministrativa], a norma del quale le spese di affidamento, benché anticipate dall’erario, restano comunque a carico del genito¬re; ne consegue che opera in tale ipotesi la presunzione di cui all’art. 5 del D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, in base alla quale i figli ed equiparati devono ritenersi a carico del capofamiglia quando convivano con lo stesso, realizzandosi, in caso di collocamento presso la famiglia di origine del minore affidato al servizio sociale, un’ipotesi di convivenza, con correlati oneri economici a carico del capofamiglia, salva la prova, incombente sul debitore dell’assegno per il nucleo familiare, che, nel caso concreto, la collocazione presso la famiglia non comporti per quest’ultima siffatti oneri.
Naturalmente il principio vale anche nell’ipotesi in cui l’affidamento sia disposto dal giudice non sulla base della normativa minorile sopra richiamata ma anche sulla base di provvedimenti del giudice in sede di separazione, divorzio o regolamentazione dell’affidamento di figli nati fuori dal matrimonio.

Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. lavoro, 11 maggio 2017, n. 11569
La legge 19 maggio 1975, n. 151, art. 211, prevede che “il coniuge cui i figli sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari per i figli, sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l’altro coniuge”. La lettera della norma porta a ritenere che il coniuge affidatario dei figli, quando non possa percepire l’assegno in questione in virtù di un proprio rapporto di lavoro, ha diritto di percepirlo per il tramite di quello non affidatario.
Trib. Bari Sez. I, 14 marzo 2017
Il coniuge affidatario del figlio minorenne ha diritto, ai sensi dell’art. 211 della legge n. 151 del 1975, a perce¬pire gli assegni familiari corrisposti per tale figlio all’altro coniuge in funzione di un rapporto subordinato di cui quest’ultimo sia parte, indipendentemente dall’ammontare del contributo per il mantenimento del figlio fissato in sede di separazione consensuale omologata a carico del coniuge non affidatario, salvo che sia diversamente stabilito in modo espresso negli accordi di separazione.
Trib. Cagliari Sez. I, 12 luglio 2016
Il coniuge affidatario del figlio minorenne, ha il diritto di percepire gli assegni familiari corrisposti, per il minore, all’altro coniuge in funzione di un rapporto di lavoro subordinato di cui quest’ultimo sia parte e ciò a prescindere dall’ammontare del contributo per il mantenimento del figlio fissato in sede di separazione consensuale omolo¬gata a carico del coniuge non affidatario, salvo che sia diversamente stabilito in modo espresso negli accordi di separazione.
Cass. pen. Sez. VI, 15 settembre 2015, n. 44765
Non integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare il comportamento del genitore naturale, lavoratore non affidatario, che spontaneamente, e in assenza di diversa specifica indicazione del giudice civile in sede di determinazione dell’assegno di mantenimento, dà disposizione al proprio datore di lavoro di corri¬spondere direttamente alla madre della figlia minorenne l’importo degli assegni familiari, giacché tali assegni concorrono ad integrare la somma alla cui periodica corresponsione lo stesso è obbligato.
Cass. civ. Sez. lavoro, 30 marzo 2015, n. 6351
L’assegno per il nucleo familiare, disciplinato dall’art. 2 del decreto legge 13 marzo 1988, n. 69, convertito in legge 13 maggio 1988, n. 153 – finalizzato ad assicurare una tutela in favore delle famiglie in stato di effettivo bisogno economico ed attribuito in modo differenziato in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare, tenendo conto dell’eventuale esistenza di soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali (e, quindi, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro) ovvero di minorenni che ab¬biano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età – ha natura assistenziale, sicché, ai sensi dei commi 2 e 6 dell’art. 2 cit., il reddito rilevante ai fini dell’ammontare dell’assegno è quello del nucleo familiare composto dal coniuge affidatario e dai figli, con esclusione del coniuge legalmente separato, anche se titolare del diritto alla corresponsione, il cui reddito rileva solo ai fini del diritto all’erogazione della provvidenza.
Trib. Nocera Inferiore Ordinanza, 9 ottobre 2013
Nel caso di affidamento condiviso di minori, il soggetto legittimato alla percezione degli assegni familiari è il genitore con il quale i minori stessi convivono.
Cass. civ. Sez. VI – 1, 23 maggio 2013, n. 12770
Il coniuge affidatario dei figli minori in sede di separazione coniugale, acquista ex lege, ai sensi dell’art. 211 Legge 19 maggio 1975, n. 151, il diritto a percepire gli assegni familiari corrisposti per i medesimi figli all’altro coniuge in virtu` del rapporto di lavoro di cui questi sia parte, in aggiunta ed indipendentemente dal tipo e dall’ammontare del contributo al mantenimento della medesima prole fissato in sede di separazione dal giudice o convenuto consensualmente, cumulandosi in ogni caso a questo.
App. Genova Sez. lavoro, 29 marzo 2013
Il genitore separato dal coniuge, al fine di poter godere degli effetti di cui all’art. 211 della legge n. 151 del 1975, e dunque dell’attribuzione ad esso degli assegni familiari per i figli, è tenuto a dimostrare l’affidamento ad esso della prole. A tal fine non assume alcun rilievo la produzione del provvedimento di omologa della se¬parazione consensuale dal quale nulla si evince in merito all’affidamento, qualora carente del relativo accordo di separazione.
Cass. civ. Sez. lavoro, 18 giugno 2010, n. 14783 (Fam. Pers. Succ., 2010, 12, 827 nota di CORSO)
Il diritto all’assegno per il nucleo familiare compete anche in relazione ai figli riconosciuti nati nell’ambito di una coppia di fatto, senza che rilevi la circostanza che il genitore sia ancora legato in matrimonio con altra persona, atteso che la nozione di “nucleo familiare” delineata dal legislatore presuppone solamente la condizione di figlio naturale riconosciuto, e non anche l’inserimento nella famiglia legittima.
L’assegno per il nucleo familiare, istituito e regolato dal D.L. n. 69 del 1988, spetta ai lavoratori dipendenti privati e pubblici, oltre ai pensionati, ed è commisurato al numero di componenti del nucleo familiare oltre che, ovviamente, all’entità del reddito percepito dall’avente diritto. In applicazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 818 del 1957, che specifica la composizione del “nucleo familiare”, sono da considerare componenti dello stesso, tra gli altri, i figli naturali legalmente riconosciuti che, ai sensi dell’art. 250 c.c., sono quelli riconosciuti nei modi indicati dall’art. 254 c.c. dal padre o dalla madre, anche se uniti in matrimonio con persona diversa all’epoca del concepi¬mento. La condizione di figlio naturale riconosciuto, peraltro, per quanto qui rileva, non è assolutamente inficiata dall’assenza di inserimento nella famiglia legittima. Ebbene, la normativa sull’assegno familiare non richiede l’inserimento nell’ambito della famiglia legittima ma si limita a richiedere, ai fini del relativo riconoscimento, la condizione di figlio naturale per cui anche il soggetto coniugato e mai separato ma convivente con altra persona ha diritto alla percezione dell’assegno familiare per i figli naturali, minori, legalmente riconosciuti se prova che, essendo posti a suo carico, provvede al loro mantenimento.
Cass. civ. Sez. lavoro, 19 ottobre 2007, n. 21960
In tema di assegni per il nucleo familiare, alla stregua del disposto dell’art. 2, comma 3, del d.l. n. 69 del 1988(convertito con modificazioni in legge n. 153 del 1988) che rinvia, per quanto non specificamente discipli¬nato, alle norme contenute nel testo unico in materia di assegni familiari approvato con d.P.R. n. 797/1995, la prescrizione quinquennale del relativo diritto decorre dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale è compreso il periodo di lavoro cui l’assegno si riferisce. Conseguentemente ove, come nella specie, le quote di maggiorazione attengano all’assegno di invalidità, l’assicurato non incorre nella prescrizione ove richieda dette quote negli stessi tempi dell’assegno, e cioè contestualmente alla domanda amministrativa ovvero con il ricorso giudiziale diretto ad ottenere l’assegno stesso. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte territo¬riale che aveva fatto decorrere la prescrizione quinquennale dalla data della sentenza pretorile di riconoscimento dell’assegno di invalidità, sul presupposto che solo a tale data la prestazione previdenziale rappresentasse il sessanta per cento del reddito familiare per gli anni dal 1986 al 1988, ritenendo tempestiva la domanda di attri¬buzione degli assegni presentata nell’aprile 1994).
Trib. Cassino, 19 giugno 2007
Ai sensi dell’art. 211, L. n. 151/1975, il coniuge affidatario del figlio minorenne ha diritto alla percezione degli assegni familiari corrisposti per tale figlio all’altro coniuge in funzione di un rapporto di lavoro subordinato di cui questi sia parte, indipendentemente dal contributo fissato, in sede di separazione consensuale omologata, per il mantenimento del figlio stesso, salvo diversa ed espressa pattuizione contenuta negli accordi di separazione. Nella specie, posto che l’accordo stragiudiziale con il quale le parti avrebbero convenuto la onnicomprensività del contributo di mantenimento non soltanto non risulta trasfuso nel decreto di omologa della separazione con¬sensuale, ma non è richiamato né nel ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, né nel verbale di udienza presidenziale, né, soprattutto, nella sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, e dal momento che le condizioni patrimoniali stabilite in sede di divorzio si sostituiscono integralmente a quanto in precedenza stabilito, deve ritenersi che nel contributo di mantenimento dovuto dal con
Trib. Bari Sez. I, 1 agosto 2006
Ai sensi dell’art. 211 della legge n. 151 del 1975, è il coniuge cui sono affidati i figli che ha diritto di percepire gli assegni familiari per loro; b) detti assegni spettano, quindi, ex lege al coniuge affidatario, non già in forza delle convenzioni stipulate tra le parti in sede di separazione consensuale; c) il marito è, perciò, tenuto a corri¬spondere gli assegni familiari non come suo contributo al mantenimento dei figli, ma perché non fanno parte del suo reddito, bensì di quello della moglie; d) gli accordi presi in sede di separazione consensuale, hanno per oggetto la misura, ed il modo con cui il coniuge non affidatario deve contribuire al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli, stabilendo cioè il quantum del concorso agli oneri (ex art. 148 c.c.) in proporzione alle ri¬spettive sostanze ed ai rispettivi redditi da lavoro; e) le pattuizioni della separazione consensuale, possono tener conto del fatto che uno dei coniugi percepisce gli assegni familiari per i figli, sia esso il coniuge affidatario o l’altro, al fine di stabilire eque modalità di concorso o di contributo, tenendo appunto conto dell’ammontare degli assegni familiari per i figli e di chi li percepisce materialmente; f) una simile valutazione deve però risultare chiaramente dalla convenzione o dalla motivazione giudiziaria, trattandosi di, due momenti logici ben distinti, relativi, l’uno, alla determinazione di quanto occorre per il mantenimento del figlio e di quanto occorre in specie oltre l’importo dell’assegno familiare corrisposto per lui, l’altro alla determinazione di quale debba essere il con¬tributo del coniuge non affidatario; g) ove questa valutazione non risulti, l’interprete deve considerare l’accordo per quello che è in sé, ovvero in termini di determinazione del contributo che il coniuge non affidatario deve ai fini del mantenimento del figlio. S.C. (testualmente in sent. n. 5060 del 2003).
Cass. civ. Sez. lavoro, 30 dicembre 2004, n. 24204
Il lavoratore dipendente è titolare del diritto a percepire l’assegno per il nucleo familiare (così come disciplinato dal D.L. 13 marzo 1988, n. 69, convertito con modifiche nella legge 13 maggio 1988, n. 153) per i figli in rela¬zione ai quali provveda o contribuisca abitualmente al mantenimento, rimanendo irrilevante sia che i figli siano con lui conviventi, sia che, in caso di separazione personale, essi risultino affidati all’altro genitore in base agli accordi intervenuti in sede di separazione, in quanto il non essere affidatario non fa venir meno l’obbligo del genitore al mantenimento.
Cass. civ. Sez. I, 2 aprile 2003, n. 5060 (Lavoro nella Giur., 2004, 474 nota di SLATAPER)
II coniuge affidatario del figlio minorenne ha diritto, ai sensi dell’art. 211 della L. 19 maggio 1975, n. 151, a percepire gli assegni familiari corrisposti per tale figlio all’altro coniuge, indipendentemente dall’ammontare del contributo per il mantenimento del figlio fissato in sede di separazione consensuale, salvo che sia diversamente stabilito.
In difetto di una specifica pattuizione, non si possono interpretare le condizioni di separazione personale relative al riconoscimento di un assegno di mantenimento a favore del coniuge affidatario dei figli come comprensive dell’importo degli assegni familiari spettanti al coniuge non affidatario per i figli, spettando per legge l’importo di tali assegni al coniuge affidatario.
Cass. civ. Sez. lavoro, 6 agosto 2003, n. 11876
Qualora sia adottato dalla competente autorità giudiziaria un provvedimento di affidamento del minore al servi¬zio sociale minorile e, per esso, all’Azienda unità sanitaria locale, a norma dell’art. 26, ultimo comma, R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404, convertito nella legge 27 maggio 1935, n. 835, e successive modificazioni, disponendosi tuttavia che il minore resti collocato presso il proprio genitore naturale, quest’ultimo mantiene il diritto alla corresponsione degli assegni familiari per il minore stesso, per tutto il tempo di detto collocamento, dato che il provvedimento di affidamento non determina di per sé modifiche in ordine al dovere del genitore di mantenere il minore, come d’altra parte risulta anche dalla previsione dell’ art. 25, terzo comma, del medesimo R.D.L, a norma del quale le spese di affidamento, benché anticipate dall’erario, restano comunque a carico del genitore; ne consegue che opera in tale ipotesi la presunzione di cui all’art. 5 del D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, in base alla quale i figli ed equiparati devono ritenersi a carico del capofamiglia quando convivano con lo stesso, realiz¬zandosi, in caso di collocamento presso la famiglia di origine del minore affidato al servizio sociale, un’ipotesi di convivenza, con correlati oneri economici a carico del capofamiglia, salva la prova, incombente sul debitore dell’assegno per il nucleo familiare, che, nel caso concreto, la collocazione presso la famiglia non comporti per quest’ultima siffatti oneri.
Cass. civ. Sez. lavoro, 7 aprile 2000, n. 4419 (Giust. Civ., 2000, 2275 nota di BAGIANTI)
Nel regime posto dal d.l. 13 marzo 1988 n. 69 (conv. con modifiche nella l. n. 153 del 1988) la convivenza non è richiesta quale presupposto perchè sorga il diritto a percepire l’assegno per il nucleo familiare (composto dai coniugi e dai figli, compresi quelli naturali legalmente riconosciuti), ma rappresenta soltanto un elemento di fatto idoneo a comprovare presuntivamente il requisito della vivenza a carico, essendo sufficiente per l’insorgenza del diritto al beneficio, sensibilmente diverso da quello agli assegni familiari, che il genitore, cui spetta l’assegno, provveda abitualmente al mantenimento dei figli. Nè è di ostacolo l’astratta configurabilità di due nuclei familiari in caso di genitori del figlio naturale non riconosciuto, i quali, non legati tra loro da coniugio, non facciano parte dello stesso nucleo familiare, atteso che comunque opera la prescrizione posta dall’art. 2, comma 8 bis, d.l. n. 69 del 1988, secondo cui, per i componenti del nucleo familiare al quale la prestazione è corrisposta, l’assegno stesso non è compatibile con altro assegno o diverso trattamento di famiglia a chiunque spettante.
Corte cost., 22 dicembre 1995, n. 516
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legge 13 marzo 1988, n. 69, con¬vertito con modificazioni nella legge 13 maggio 1988, n. 153, impugnato, in riferimento all’art. 3 della Costi¬tuzione, nella parte in cui prevede che l’assegno per il nucleo familiare spetti ai titolari delle pensioni derivanti esclusivamente da lavoro dipendente, negando tale prestazione ai titolari di pensioni a carico di gestioni assicu¬rative per lavoratori autonomi, ma conseguite con utilizzazione, in misura prevalente, di contribuzione versata per lavoro dipendente, in quanto la trasformazione dell’istituto degli assegni familiari in quello dell’assegno per il nucleo familiare, disposta con una normativa non applicabile ai lavoratori autonomi, rende non irragionevole né incoerente la diversità, sotto questo profilo, dei regimi previdenziali goduti dalle due categorie di pensionati già lavoratori dipendenti e di pensionati già lavoratori autonomi.
App. Cagliari, 14 maggio 1993 (Riv. Giur. Sarda, 1996, 374 nota di OBINO)
Gli assegni familiari corrisposti al lavoratore subordinato per l’altro coniuge, se nulla al riguardo è stato espres¬samente pattuito dalle parti in sede di separazione consensuale, spettano a quest’ultimo, dovendosi ritenere che nella fissazione del contributo per il mantenimento, anche in considerazione del suo ammontare, non si sia tenuto conto di questa particolare entrata.
Il coniuge affidatario dei figli minorenni ha diritto, ai sensi dell’art. 211, l. 19 maggio 1975 n. 151, a percepire gli assegni familiari corrisposti per i figli all’altro coniuge in funzione di un rapporto di lavoro subordinato di cui quest’ultimo sia parte, indipendentemente dall’ammontare del contributo per il mantenimento fissato in sede di separazione consensuale a carico del coniuge non affidatario.
Corte cost. 2 febbraio 1990, n. 42
L’omessa previsione, nella legge sugli assegni familiari, dell’ipotesi in cui il genitore risulti disoccupato senza indennità, e l’omessa equiparazione di tale ipotesi allo stato di abbandono – in cui è riconosciuto al figlio (mag¬giorenne) lavoratore il diritto agli assegni per fratelli o sorelle minori a carico – crea non soltanto un’irrazionale disparità di trattamento di situazioni omogenee, ma lede altresì i precetti costituzionali relativi alla tutela della famiglia. Pertanto, per contrasto con gli artt. 3, 31 e 38 Cost. va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del D.P.R. 30 maggio 1955 n. 797, comma secondo, lett. a) nella parte in cui, ai fini dell’attribuzione degli asse¬gni familiari, non prevede anche l’ipotesi dello stato di disoccupazione del padre senza indennità. N.B.: Massima redatta con riferimento al testo della decisione così come modificato dall’ordinanza di correzione n. 511 del 1990.
App. Brescia, 19 luglio 1990 (Giust. Civ., 1990, I, 2156)
L’art. 211, l. 19 maggio 1975, n. 151 – che attribuisce al coniuge, affidatario dei figli minori, il diritto a percepire i relativi assegni familiari, di cui sia titolare l’altro coniuge – opera una distrazione di tali somme dal beneficiario, titolare del rapporto di lavoro, al coniuge con il quale i figli stessi convivono; ne segue, per l’effetto, ove non sia diversamente disposto, che detti assegni non competono in aggiunta all’assegno per il mantenimento della prole come fissato dal tribunale nella sentenza di separazione, o concordato dai coniugi, in occasione della loro consensuale separazione.
Cass. civ. Sez. I, 27 novembre 1989, n. 5135 (Giust. Civ., 1990, I, 973)
Il coniuge affidatario del figlio minorenne ha diritto, ai sensi dell’art. 211, l. 19 maggio 1975, n. 151, a percepire gli assegni familiari corrisposti per tale figlio all’altro coniuge in funzione di un rapporto di lavoro subordinato di cui quest’ultimo sia parte, indipendentemente dall’ammontare del contributo per il mantenimento del figlio fis¬sato in sede di separazione consensuale a carico del coniuge non affidatario, salvo che sia diversamente stabilito in modo espresso negli accordi di separazione; gli assegni familiari per il coniuge, invece, in mancanza di una previsione analoga al cit. art. 211, spettano al lavoratore – cui sono corrisposti per consentirgli di far fronte al suo obbligo di mantenere il coniuge ex art. 143 e 156 c. c. – con la conseguenza che, se nulla al riguardo è stato pattuito dalle parti in sede di separazione consensuale (ovvero è stato stabilito dal giudice in quella giudiziale), deve ritenersi che nella fissazione del contributo per il mantenimento del coniuge si sia tenuto conto anche di questa particolare entrata.
Corte cost. 27 luglio 1989, n. 458
Posta anche la non comparabilità – per differenze di struttura e finalità della relativa disciplina – dei trattamenti previdenziali per carichi di famiglia dei pensionati già lavoratori autonomi e dei pensionati già lavoratori dipen¬denti, non appare irragionevole né arbitraria la scelta del legislatore – condizionata anche dalla ristrettezza delle disponibilità finanziarie – di limitare al solo settore del lavoro subordinato la maggiorazione degli assegni familiari con esclusione delle categorie del lavoro autonomo, le quali in ragione del reddito derivato dalla propria attività – rispetto alla retribuzione fissa dei lavoratori dipendenti – non sono gravate dai medesimi sacrifici di questi e sono in grado di difendersi dall’erosione inflazionistica.
Corte cost. 21 luglio 1988, n. 851
Le norme secondo le quali le quote di aggiunta di famiglia nonché ogni altro trattamento di famiglia comunque denominato cessano di essere corrisposte, ad iniziare da quelli di importo più elevato in relazione al reddito fami¬liare ed al numero delle persone a carico dei soggetti percettori, non contrastono a) con il principio di eguaglian¬za rappresentano o una scelta discrezionale del legislatore; b) con l’art. 31 della Costituzione non risultandone ostacolata la finalità di favorire l’adempimento dei doveri familiari; c) con l’art. 36 Cost. in considerazione della natura non retributiva dell’emolumento; d) con l’art. 53 Cost. perché i redditi debbono essere presi in consi¬derazione, agli effetti che qui interessano, come tali, a prescindere dal soddisfacimento degli obblighi tributari.
Corte cost. 3 aprile 1987, n. 98
Gli assegni familiari costituiscono una prestazione previdenziale cui il lavoratore o i suoi superstiti hanno diritto. Anche nel giudizio che i beneficiari sono costretti ad instaurare per ottenere gli assegni o, in genere, per dirimere un’eventuale contestazione – sempre che la lite non sia temeraria o manifestamente infondata – trova applicazio¬ne il beneficio dell’esonero dal pagamento delle spese processuali, di cui all’art. 152 disp. trans. c.p.c., ricorrendo nel caso, la stessa “ratio” di tale norma: quella di garantire al lavoratore la tutela giudiziale della sua fondata pretesa al conseguimento delle prestazioni previdenziali o assistenziali mediante l’esonero del pagamento delle predette spese, in caso di soccombenza.