Matrimonio straniero in forma telematica

Cass. Civ., sez. I, sentenza 25 luglio 2016, n. 15343 (Pres. Di Palma,
est. Lamorgese)
Matrimonio contratto con cittadino straniero per forma
telematica – Compatibilità con l’ordine pubblico interno –
Sussistenza
E’ compatibile con l’ordine pubblico interno il matrimonio
celebrato in Pakistan da una cittadina italiana e da un cittadino
pakistano e contratto, secondo la legge straniera, in forma
telematica e, dunque, senza la contestuale presenza dei nubendi.
(Massima a cura di Giuseppe Buffone – Riproduzione riservata)
Svolgimento del processo
L’Ufficiale dello Stato civile del Comune di San Giovanni in Persiceto ha
rifiutato la trascrizione dell’atto di matrimonio, celebrato da F.S. con
M.Z.B., in data (OMISSIS), registrato il (OMISSIS) dall’autorita’ del
Pakistan, in considerazione delle modalita’ di celebrazione, in via
telefonica o telematica, ritenute contrarie all’ordine pubblico, sul
presupposto che costituisca principio fondamentale dell’ordinamento
italiano, derogabile solo in casi del tutto eccezionali, la contestuale
presenza dei nubendi dinanzi a colui che officia il matrimonio, anche al
fine di assicurare la loro liberta’ nell’esprimere la volonta’ di sposarsi.
Nel contraddittorio con il Ministero dell’interno ed il Comune di San
Giovanni in Persiceto, il ricorso della F. e’ stato accolto dal Tribunale di
Bologna, con decreto in data 13 gennaio 2014. Secondo il Tribunale, il
matrimonio era valido secondo la legge pakistana e, quindi, anche per
l’ordinamento italiano, in virtu’ del richiamo operato dalla L. n. 218 del
1995, art. 28, essendo stato celebrato secondo le modalita’ e nelle forme
previste dalla legge pakistana. Infatti, in data (OMISSIS), la F. aveva
prestato il proprio consenso al matrimonio per via telematica, alla
presenza di due testimoni; lo sposo era presente alla celebrazione,
officiata dall’autorita’ pakistana, ed erano presenti i suoi testimoni;
l’assenza di un procuratore della sposa era superata dalla sua
partecipazione diretta, in via telematica, alla celebrazione del
matrimonio; l’autorita’ pakistana aveva registrato l’atto il (OMISSIS).
Pertanto, il rifiuto di trascriverlo da parte dell’Ufficiale di Stato Civile
italiano era illegittimo, non sussistendo alcuna violazione dell’ordine
pubblico internazionale, atteso che la contestuale presenza dei nubendi
dinanzi all’autorita’ officiante, a norma dell’art. 107 c.c., non costituisce
un principio irrinunciabile per la stessa legge italiana, la quale prevede
eccezioni, a norma dell’art. 111 c.c., essendo irrinunciabile il solo
principio, rispettato nella fattispecie, della libera, genuina e consapevole
espressione del consenso alla formazione del vincolo matrimoniale.
Il reclamo del Ministero dell’interno e’ stato rigettato dalla Corte
d’appello della stessa citta’, con decreto in data 20 giugno 2014, la quale
ha ritenuto che ad integrare il principio di ordine pubblico e’
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l’espressione del consenso libero e consapevole da parte dei nubendi, che
nella fattispecie vi era stata, anche se a distanza.
Avverso questo decreto il Ministero dell’interno ricorre per cassazione, a
norma dell’art. 111 Cost., sulla base di un motivo, cui si oppone la F. con
controricorso e memoria.
Motivi della decisione
La F. ha eccepito l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione perche’, a
suo avviso, tardivamente notificato (il 24 novembre 2014), senza
rispettare il termine di sessanta giorni dalla comunicazione del decreto
impugnato, avvenuta in data 23 giugno 2014. L’eccezione e’ infondata.
Premesso che il decreto impugnato non e’ stato notificato ad istanza di
parte, trova applicazione il principio enunciato da questa Corte (n.
10450/2014, 24000/2011, sez. un. 5615/1988) che non v’e’ ragione di
mettere in discussione – secondo il quale il termine di sessanta giorni per
la proposizione del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost.,
avverso i provvedimenti aventi contenuto decisorio e carattere di
definitivita’, decorre solo a seguito della notificazione ad istanza di parte,
mentre e’ irrilevante, al predetto fine, che gli stessi siano stati pronunciati
in udienza o, se pronunciati fuori udienza, siano stati comunicati alle
parti dal cancelliere, con la conseguenza che, in tali ipotesi, e’ applicabile
il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., che nella fattispecie e’ stato
rispettato.
Nell’unico motivo di ricorso il Ministero dell’interno denuncia la
violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 31 maggio 1995, n. 218, artt. 16
e 65, e D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, art. 18, per avere accolto la
richiesta di riconoscimento di un atto matrimoniale contrario all’ordine
pubblico italiano, inteso come nucleo essenziale delle regole inderogabili
e immanenti all’istituto matrimoniale, in una situazione in cui per le
modalita’ in cui il matrimonio era stato celebrato, senza la presenza fisica
dei nubendi e grazie all’ausilio del mezzo di comunicazione via Internet,
non vi era alcuna garanzia che i nubendi avessero espresso liberamente e
reciprocamente un consenso consapevole, anche per le difficolta’ che
caratterizzano l’uso di una lingua diversa dalla propria, in considerazione
dell’alto valore dell’unione nuziale secondo la Carta costituzionale.
Il motivo e’ infondato.
La Corte bolognese ha correttamente premesso che, ai sensi della L. n.
218 del 1995, art. 28, il matrimonio celebrato all’estero e’ valido nel
nostro ordinamento, quanto alla forma, se e’ considerato tale dalla legge
del luogo di celebrazione, o dalla legge nazionale di almeno uno dei
nubendi al momento della celebrazione, o dalla legge dello Stato di
comune residenza in tale momento (v. in tal senso Cass. n. 17620/2013).
Pertanto, essendo il matrimonio tra la F. e Z.B. stato celebrato in
Pakistan e validamente secondo la legge di quel paese (circostanza
incontestata), esso e’ stato ritenuto valido per l’ordinamento italiano, non
ostandovi alcun principio di ordine pubblico. Il Ministero ha opposto che
la modalita’ di celebrazione del matrimonio, da parte dell’ufficiale
pakistano, con la presenza del solo sposo, avendo la sposa partecipato al
rito in via telematica, non garantirebbe la genuinita’ dell’espressione del
consenso, rendendo l’atto non riconoscibile come matrimonio. Questa
tesi e’ errata in diritto per due ragioni.
La prima, perche’ pretende, in sostanza, di ravvisare una violazione
dell’ordine pubblico tutte le volte che la legge straniera, in base alla quale
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sia stato emanato l’atto di cui si chiede il riconoscimento, contenga una
disciplina di contenuto diverso da quella dettata in materia dalla legge
italiana. Tuttavia, ravvisando l’ordine pubblico nelle norme, seppure
inderogabili, presenti nell’ordinamento interno, sarebbero cancellate le
diversita’ tra i sistemi giuridici e rese inutili le regole del diritto
internazionale privato (v., in modo chiaro, Cass. n. 10215 del 2007 e, in
motiv., n. 14662 del 2000; nel senso che le norme espressive dell’ordine
pubblico non coincidono con quelle, di genere piu’ ampio, imperative o
inderogabili, Cass. n. 4040 del 2006, n. 13928 del 1999, n. 2215 del
1984). Il giudizio di compatibilita’ con l’ordine pubblico dev’essere
riferito, invece, al nucleo essenziale dei valori del nostro ordinamento che
non sarebbe consentito nemmeno al legislatore ordinario interno di
modificare o alterare, ostandovi principi costituzionali inderogabili.
La seconda, perche’ il rispetto dell’ordine pubblico dev’essere garantito,
in sede di delibazione, avendo esclusivo riguardo “agli effetti” dell’atto
straniero (come ribadito da Cass. n. 9483 del 2013), senza possibilita’ di
sottoporlo ad un sindacato di tipo contenutistico o di merito ne’ di
correttezza della soluzione adottata alla luce dell’ordinamento straniero o
di quello italiano. Ne consegue che se l’atto matrimoniale e’ valido per
l’ordinamento straniero, in quanto da esso considerato idoneo a
rappresentare il consenso matrimoniale dei nubendi in modo
consapevole, esso non puo’ ritenersi contrastante con l’ordine pubblico
solo perche’ celebrato in una forma non prevista dall’ordinamento
italiano.
Inoltre, i giudici di merito hanno correttamente rilevato che la forma
matrimoniale descritta dall’art. 107 c.c., non e’ considerata inderogabile
neppure dal legislatore italiano, il quale ammette la celebrazione inter
absentes (art. 111 c.c.) in determinati casi, nei quali non puo’ ritenersi che
siano inesistenti i requisiti minimi per la giuridica configurabilita’ del
matrimonio medesimo, e cioe’ la manifestazione di una volonta’
matrimoniale da parte di due persone di sesso diverso, in presenza di un
ufficiale celebrante (come, nella fattispecie in esame, l’autorita’
pakistana).
Da ultimo, questa Corte si e’ espressa implicitamente in senso analogo,
affermando il diritto al ricongiungimento familiare a coniugi pakistani
che avevano celebrato il matrimonio in forma telefonica in presenza di
testimoni (Cass. n. 20559 del 2006, in motiv.).
In conclusione, il ricorso e’ rigettato. Sussistono giusti motivi per
compensare le spese del giudizio, in considerazione della novita’ della
questione esaminata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione.
Cosi’ deciso in Roma, il 20 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016.