La madre che affida a terzi un minore in violazione delle norme di legge in materia di adozione, anche se non ha ricevuto alcun compenso, commette reato.

Cass. pen. Sez. VI, 17 gennaio 2019, n. 2173
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.E., nato a (OMISSIS);
C.E., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 30/09/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. RICCARDO AMOROSO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Proc. Gen. Dr. SALZANO FRANCESCO che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
uditi il difensore avvocato ARMELLIN PAOLA del foro di ROMA quale sostituto processuale dell’avvocato MORRA PASQUALE del foro di NOCERA INFERIORE, difensore di fiducia di M.E., che nel riportarsi ai motivi di ricorso insiste nel loro accoglimento.
Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’Appello di Napoli ha confermato la sentenza del 17 ottobre 2014, con la quale il G.I.P. presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, all’esito del giudizio abbreviato, ha condannato M.E. per il reato di cui agliartt. 110, 319 e 321 c.p., commesso in (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS) (capo B), eart. 110 c.p., L. n. 1984 del 1983, art. 71, commi 1, 4 e 5, commesso in (OMISSIS) (capo C), alla pena di anni uno di reclusione, e C.E., per il reato di cui al predetto capo C) e per il reato di cui agliartt. 110 e 367 c.p., commesso in (OMISSIS) (capo D), alla pena di mesi dieci e giorni venti di reclusione, con il riconoscimento delle attenuanti generiche e beneficio della sospensione condizionale della pena per entrambi.
In particolare la Corte territoriale ha condiviso, richiamandole, le valutazioni del giudice di primo grado circa la responsabilità dei predetti imputati per avere, il M., insieme alla propria compagna G.C., partecipato all’accordo con cui il medico ginecologo, Co.An., dietro corrispettivo di una somma di denaro, pattuita prima in Euro 30.000,00 e poi ridotta a Euro 20.500,00, aveva loro promesso l’affidamento di un nascituro, che sarebbe stato successivamente partorito da C.E., con l’ulteriore intesa di alterare lo stato di nascita del neonato in modo che risultasse figlio naturale di G.C., e che effettivamente dal giorno della sua nascita (il (OMISSIS)) veniva affidato, in accordo con i genitori naturali, ovvero la madre C.E. ed il padre Ci.Be., alla coppia M.E. – G.C. ai quali era stato consentito di fare ingresso all’interno della stessa camera della struttura sanitaria (la clinica di (OMISSIS)) ove è avvenuto il parto.
L’accordo si concretizzava con la consegna nel giorno stesso della nascita del neonato, C.C., alla coppia G.- M., con il pagamento della somma di Euro 20.500,00 al medico ginecologo, Co.An., versatagli in più rate dal M. in presenza della stessa G.C., senza che venisse invece portata a compimento la concordata alterazione dello stato di nascita con la falsificazione del nome della madre naturale, che non si realizzava per un imprevisto sopravvenuto al momento della trasmissione dell’atto di nascita da parte della direzione amministrativa della clinica all’Ufficio di Stato Civile del Comune, per non essere il Co. riuscito “a cambiare le carte” prima di tale trasmissione dopo aver concordato il versamento dell’ulteriore somma di Euro 5.000,00, somma che veniva versata pochi giorni dopo il parto personalmente da M.E.. C.E. veniva riconosciuta responsabile a titolo di concorso del delitto previsto dalla L. n. 1984 del 1983, art. 71 – legge sulle adozioni – per essersi prestata consapevolmente alla consegna del proprio figlio alla coppia M.- G., pur senza partecipare all’accordo economico intercorso esclusivamente tra la citata coppia ed il Co., oltre che del delitto di simulazione di reato, per avere denunciato, circa tre mesi dopo il parto, l’avvenuta illecita operazione di consegna del proprio bambino, ma falsamente attribuendo la propria gravidanza ad una violenza sessuale, una volta appreso che nel proprio stato di famiglia era stato inserito il rapporto di filiazione con il piccolo, chiamato Cr..
2. Con atto a firma del difensore di fiducia, M.E. ha proposto ricorso, deducendo quale unico motivo cumulativamente il vizio della motivazione per manifesta illogicità e per contraddittorietà nonché il vizio della violazione di legge, per le seguenti ragioni.
3. Si censura la carenza di motivazione della sentenza di appello con riguardo al disposto rinvio alle argomentazioni della sentenza del primo grado di giudizio, su un aspetto ritenuto fondamentale, che neppure era stato affrontato adeguatamente nella sentenza richiamata per relationem, ovvero la collocazione temporale del suo intervento nella vicenda in epoca successiva al pactum sceleris, al quale avrebbe partecipato solamente G.C., essendosi solo quest’ultima occupata del pagamento della somma di denaro concordata con il Co. per la vendita del bambino.
I contatti telefonici tra M. ed il Co. sono intervenuti soltanto dopo la consumazione del delitto, quando il bambino era stato già stato preso in consegna da parte della G., e dopo che era già intervenuta la denuncia sporta in data 24/01/2012 da Palladino Raffaella, presidente della cooperativa sociale EVA, alla quale si era rivolta la madre naturale del bambino, C.E..
L’intervento del M. avrebbe avuto il solo scopo di aiutare la sua amica G.C., rispetto alla quale non sarebbe stata provata neppure la sua relazione di convivenza, perché potesse recuperare il denaro versato al Co., ritenendosi truffata dal mancato perfezionamento del piano delittuoso che prevedeva l’alterazione dello stato di nascita del bambino.
Si censura, infine, la ricostruzione del fatto nei termini di una corruzione piuttosto che in quelli di una truffa ordita dal Co. ai danni degli altri soggetti coinvolti, ovvero da un lato la madre del nascituro, C.E., ingannata attraverso l’offerta di potersi liberare del bambino occultando la sua maternità, e dall’altro, la coppia G.C.- M.E., ingannata sull’attribuzione dello stato di figlio biologico del neonato, con la prospettata sostituzione della madre naturale.
4. Con atto a firma del difensore di fiducia, C.E. ha proposto ricorso, deducendo cumulativamente il vizio della violazione di legge e del difetto di motivazione, articolando i seguenti motivi.
Con il primo motivo si censura la violazione di legge in relazione alla riconosciuta integrazione della fattispecie delittuosa prevista dalla L. n. 1983 del 1984, art. 71 in difetto del presupposto ritenuto essenziale della violazione delle norme di legge in materia di adozione che andrebbe inteso come riferito esclusivamente a condotte che comportino una violazione diretta della normativa in tema di adozione realizzate nell’ambito di un formale procedimento di adozione, mentre resterebbero fuori dalla tipicità dell’incriminazione le condotte elusive.
Nel caso di specie l’affidamento del minore è avvenuto al di fuori di un procedimento di adozione, trattandosi di un affidamento realizzatosi in fatto e senza alcun beneficio economico per la ricorrente che non ha partecipato alla vendita del minore, essendo stato il corrispettivo in denaro versato dalla coppia affidataria al solo medico ginecologo.
In assenza di detto profitto economico difetterebbe secondo il ricorrente anche l’ulteriore elemento della cessione del minore verso un corrispettivo economico che sarebbe necessario per integrare il delitto in esame secondo l’orientamento espresso dalla sentenza della Corte di Cassazione Sez. 1, n. 3569 del 1987, richiamata erroneamente dai giudici del merito per sostenere la tesi contraria.
A fondamento del proprio assunto il ricorrente si richiama a delle più recenti pronunce della Corte di Cassazione (Sez. 6, 16 Ottobre 2012 n. 40610 e Sez. 5, 18 gennaio 2016 n. 1797) secondo cui sarebbe necessario presupposto del reato che la violazione di legge si realizzi nell’ambito di un formale procedimento di adozione.
5. Con il secondo motivo si censura la motivazione della sentenza di merito per avere la Corte di Appello in modo illogico sostenuto la consapevole partecipazione della ricorrente alla consegna del figlio neonato dietro versamento di un corrispettivo in denaro, sulla base di una lettura errata delle risultanze processuali, tenuto conto del fatto che la ricorrente non conosceva la coimputata G.C. e che solo al momento del parto ha avuto cognizione della somma di denaro che la predetta aveva dovuto versare al Co..
In sostanza si censura il percorso logico con cui si è inteso desumere la sua malafede dall’avere dapprima provato ad abortire illegalmente con lo stesso medico ginecologo, a fronte del suo stato avanzato di gravidanza e della richiesta di 6 mila Euro che il predetto medico le aveva fatto, e che era stata poi modificata nel senso dell’affidamento del bambino a terzi a causa dell’impossibilità di pagare detto importo.
La Corte avrebbe illogicamente attribuito alla ricorrente la consapevolezza di prendere parte ad una adozione illegittima del proprio figlio, pur senza riceverne alcuna utilità economica, ed essendo interessata soltanto ad affidare a terzi il proprio figlio, che non poteva tenere per la sua giovanissima età (essendo appena maggiorenne), oltre all’interesse a che non si divulgasse la notizia del suo stato di gravidanza, quindi avendo soltanto interessi legittimi che avrebbe potuto salvaguardare se fosse stata informata della possibilità che la legge italiana riconosce di partorire e dare in affido il bambino in anonimato.
6. In relazione al delitto di simulazione di reato, di cui al capo D, si censura l’illogicità della motivazione per non avere riconosciuto alla ricorrente la scriminante dello stato di necessità, essendosi in modo contraddittorio dato peso da un lato alla sprovvedutezza della ricorrente per non essersi informata sui suoi diritti, e poi per averle attribuito, invece, la capacità di rendersi conto della inutilità di sporgere una falsa denuncia di stupro per tenere nascosto il nome dell’uomo con cui aveva avuto il rapporto consensuale e da cui era stata minacciata, non volendo assumersi le sue responsabilità di padre del bambino.
Motivi della decisione
1. I motivi addotti dai ricorrenti sono in parte inammissibili ed in parte infondati. Procedendo prima all’esame del ricorso di M.E., si deve osservare con riferimento al primo motivo che la dedotta illogicità della valutazione espressa dal giudice di appello appare insussistente, perché il ricorrente si limita a suggerire soltanto una possibile ma non affatto più logica interpretazione delle telefonate intercettate, rispetto a quella di un interessamento correlato ad un coinvolgimento pieno nella vicenda, addirittura ammesso dallo stesso ricorrente, le cui dichiarazioni sono state apprezzate come pienamente convergenti con quelle ugualmente confessorie rese dalla sua compagna.
Il concorso del M., secondo le sentenze di merito, è pacificamente desumibile dalle dichiarazioni rese dallo stesso ricorrente, riscontrate da quelle rese dalla coimputata G.C., e quindi da fonti di prova che non sono state oggetto di alcuna censura nei motivi di appello.
Il ricorrente evidenzia soltanto un aspetto temporale che ha un rilievo del tutto ininfluente nella ricostruzione del fatto operata nel giudizio di merito, ovvero l’epoca delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche intercorse con C. nel periodo successivo alla denuncia sporta dalla madre naturale del bambino.
Sulla base di tale dato temporale si deduce una estraneità all’accordo corruttivo, a fronte di una partecipazione alla totalità dei pagamenti del prezzo del reato che è stata addirittura ammessa dallo stesso ricorrente, come anche pacificamente ammessi sono risultati la riconosciuta esistenza di un legame affettivo stabile con G.C. ed il comune desiderio di avere un bambino.
Con riferimento al secondo motivo se ne deve rilevare l’inammissibilità perché con esso si propone nuovamente una ricostruzione del fatto alternativa, per altro neppure compatibile con le risultanze istruttorie acquisite nel giudizio di merito costituite:
a) dalla presenza della predetta coppia nella stessa clinica della partoriente per rendere possibile la consegna del bambino;
b) dalla realizzata consegna del neonato alla coppia M.- G..
Circostanze queste che con motivazione, coerente ed immune da vizi logici, sono state considerate dimostrative della serietà dell’accordo che non si è integralmente – realizzato a causa di un plausibile evento imprevisto, per un contrattempo verificatosi al momento della formazione dell’atto di nascita e della sua trasmissione all’anagrafe prima che potesse essere alterato, nonostante l’ulteriore esborso della somma di Euro 5 mila necessaria a corrompere altri soggetti non meglio precisati, richiesto dal C., e versato proprio dallo stesso ricorrente M..
Inoltre, la truffa non è configurabile, trattandosi dell’inadempimento di un accordo illecito nella causa, suscettibile di essere inquadrato nello schema della corruzione, stante la qualifica di esercente di pubblico servizio del medico ginecologo, e la sufficienza della promessa di compiere l’atto contrario per consumare il delitto di corruzione – il falso stato di nascita – e tenuto conto che un atto contrario è stato effettivamente posto in essere con la consegna del neonato ad una coppia diversa dai genitori naturali.
Il presunto inganno riguarderebbe uno solo degli abusi in cui la vicenda si è articolata. Nell’ambito della corruzione contestata sono descritte, infatti, due forme di abuso poste in atto da parte del medico ginecologo: la prima, promessa e realizzata, attraverso la consegna del neonato alla coppia diversa da quella dei genitori naturali, in violazione delle leggi sull’adozione, e per un corrispettivo in denaro; la seconda, promessa e non realizzata, dell’alterazione dello stato di nascita, che avrebbe integrato, ove consumata, il più grave reato di cuiall’art. 567 c.p..
Quindi si propone una lettura delle fonti di prova alternativa – basata su una presunta condotta fraudolenta del pubblico ufficiale che avrebbe mentito sulla serietà della sua offerta di alterare lo stato di nascita del bambino – che oltre ad essere inammissibile perché involge apprezzamenti di fatto non consentiti in sede di legittimità, non rileva perché non escluderebbe comunque la sussistenza del reato di corruzione con riguardo agli abusi contestati al medico ginecologo. L’ipotesi di truffa deve escludersi perché il truffato è persona offesa di un inganno posto in essere dal pubblico ufficiale che non lede e né mette in pericolo il bene della corretta amministrazione pubblica, qui vi è invece il concorso di entrambe le parti dell’accordo, anche della parte privata che accetta di versare del denaro al pubblico ufficiale in cambio del compimento di un atto contrario al suo ufficio e che non può di certo dolersi del mancato compimento dell’atto correlato all’esercizio del servizio o della funzione pubblica oggetto della mercificazione, per avere comunque accettato di porre in essere, ed averla poi effettivamente eseguita, una condotta di corruttela, pur se con l’intesa della commissione di un reato ancora più grave, quello dell’alterazione dello stato civile del nascituro.
2. Passando all’esame del ricorso di C.E. con riferimento al primo motivo, si ritiene infondata la questione di diritto dedotta in relazione alla fattispecie di reato prevista dalla L. n. 183 del 1984, art. 71.
Il predetto delitto non richiede affatto che l’affidamento illegale del minore sia avvenuto nell’ambito di una procedura formale di adozione, né è richiesto per colui che affida il minore la previsione di un compenso economico come corrispettivo della consegna del minore stesso, essendo tale compenso previsto solo come condizione di punibilità per colui che “riceve” il minore in illecito affidamento.
Infatti, laL. n. 184 del 1983,art.71, comma 1punisce con la reclusione da uno a tre anni chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere definitivo un minore, ovvero lo avvia all’estero perché sia definitivamente affidato, senza ulteriori condizioni ai fini della integrazione del reato.
Il comma 5 del medesimo articolo di legge, punisce, invece, anche coloro che, consegnando o promettendo denaro o altra utilità a terzi, accolgono minori in illecito affidamento con carattere di definitività.
Quindi solo per chi riceve il minore in illecito affidamento, con il carattere della definitività e quindi della tendenziale stabilità, la norma richiede ai fini della integrazione del reato che vi sia stato il pagamento di un corrispettivo economico o di altra utilità, non essendo tale elemento, invece, necessario per l’integrazione del delitto previsto per colui che ceda il minore o comunque si ingerisca nella sua consegna, essendo previsto anche un aggravamento della pena nel caso in cui il fatto sia commesso dal genitore.
Nessun contrasto si può poi ravvisare tra le sentenze citate nei motivi del ricorso che si riferiscono a problematiche differenti che qui non rilevano.
La più risalente sentenza del 1987 (Sez. 1, 20-1-1987 n. 3659) conferma la integrazione del delitto anche nel caso di affidamento di fatto del minore al di fuori di una procedura formale di adozione, e richiede il pagamento del prezzo evidentemente solo per l’affidatario illegittimo nel caso di vendita di un neonato, conformemente al chiaro ed inequivocabile tenore letterale della norma.
La ratio è poi evidente: chi affida illegittimamente il minore viola sempre l’interesse del minore ad un affidamento nel rispetto di tutte le condizioni poste a sua tutela (stabilità della coppia affidataria, maturità e capacità educativa della stessa, etc.); chi lo riceve è punito, invece, solo se ha pagato, evidentemente perché non si è ritenuto meritevole di pena colui che lo riceva per appagare un desiderio naturale di genitorialità, senza ricorso a strumenti latamente corruttivi. Va poi detto che nelle altre due sentenze richiamate dal ricorrente a sostegno della propria tesi interpretativa della norma in esame, non si afferma affatto il principio che l’affidamento illegale per essere penalmente rilevante deve essere inserito nel contesto di una procedura formale di adozione.
Le suddette sentenze si sono occupate solo di distinguere il reato di cui all’art. 71 cit. dal reato più grave di cuiall’art. 567 c.p., affermando che ricorre il reato di alterazione di stato e non quello di cui all’art. 71 nella condotta di chi riceve un minore uti filius attraverso il falso riconoscimento della paternità, e che l’art. 71 si riferisce invece a chi riceve il minore in illecito affidamento nel caso di una attività di fatto preordinata ad una futura adozione, quindi con riferimento al caso di un affidamento posto in essere senza alterare lo stato civile del neonato (Vedi Sez. 6, Sentenza n. 40610 del 09/10/2012, dep. 16/10/2012 Rv. 253497; Sez. 5, Sentenza n. 1797 del 14/07/2015, dep. 18/01/2016, Rv. 265884).
Sulla base dell’orientamento delineato attraverso le richiamate sentenze, pertanto, si è solo affermato che nel caso di alterazione della filiazione naturale si è al di fuori dell’ambito di operatività del reato previsto dall’art. 71 citata Legge, perché l’inserimento nella nuova famiglia si realizza per effetto della falsa certificazione di stato senza ricorso all’istituto dell’adozione, mentre nel caso in cui non vi sia alterazione dello stato civile del neonato si configura il reato di cui all’art. 71 cit. perché l’inserimento nella famiglia affidataria avviene in violazione dell’istituto dell’adozione.
Si deve osservare che nel caso concreto, il ricorrente non ha alcun interesse a vedersi riconoscere la integrazione del più grave reato di alterazione di stato, sia pure nella forma del tentativo, che costituisce la fattispecie alternativa a quella accertata in fatto e ritenuta nella sentenza impugnata.
Non assume, quindi, in questa sede alcuna rilevanza stabilire se possa configurarsi il concorso formale tra i reati di alterazione di stato di cuiall’art. 567 c.p.e di affidamento illegittimo di minori di cui all’art. 71 della citata Legge, o se le relative fattispecie si pongano in rapporto di reciproca alternatività l’una con l’altra.
La diversa qualificazione giuridica, in quanto dipendente da una differente ricostruzione del fatto, confligge con l’interesse del ricorrente a fare emergere una diversità del fatto, che senza escluderne la rilevanza penale, avrebbe soltanto come conseguenza quella di far ritenere integrata una ipotesi di reato più grave di quella accertata in sentenza.
3. Con riferimento al secondo motivo, si osserva che nessuna illogicità può rilevarsi nella motivazione del giudice di primo grado, e di riflesso in quella del giudice di appello, per avere apprezzato come compatibili tra loro, l’ignoranza della normativa in materia di protezione della maternità e la consapevolezza di aderire ad un piano delittuoso che prevedeva la consegna del proprio figlio senza il rispetto delle norme di legge in materia di adozione.
La consapevolezza è stata apprezzata correttamente sulla base della presa di cognizione dell’accordo venale sotteso alla consegna del neonato, anche se intervenuta dopo il parto ed all’atto della consegna del neonato.
Questo dato di fatto è stato, infatti, logicamente ritenuto incompatibile con la supposizione da parte della ricorrente di una regolare procedura di adozione o affidamento.
4. In ordine al motivo correlato al reato sub D) se ne deve rilevare ugualmente la inammissibilità attesa la coerenza logica della motivazione che ha escluso la scriminante dello stato di necessità perché non provata nei suoi elementi costitutivi, con riguardo al presupposto dell’inevitabilità del pregiudizio prospettato con condotte alternative lecite e dell’incongruenza tra la necessità di sporgere una denuncia falsa per violenza sessuale e la finalità dichiarata di non fare emergere il nome dell’uomo con cui aveva concepito il neonato.
I predetti motivi di ricorso di cui ai punti 5 e 6 del ritenuto in fatto, sono, pertanto, inammissibili, perché, a fronte di una puntuale e ragionevole motivazione della corte territoriale, sono rivolti a sostenere una diversa ricostruzione dei fatti, sulla base di una ricostruzione logica alternativa che presuppone apprezzamenti in fatto non consentiti.
5. Al rigetto dei ricorsi consegue, a normadell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
Considerato che il procedimento riguarda reati commessi in danno di un minore si deve disporre nel caso di diffusione del presente provvedimento l’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti private a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003,art.52.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019