Consolidato il nuovo indirizzo di Cassazione: assegno divorzile solo in caso di mancanza di indipendenza economica. No all’assegno alla moglie che lavora e ha una casa di proprietà

Cass. Civ., sez. 1-VI, ordinanza 29 agosto 2017, n. 20525 (Pres.
Scaldaferri, rel. Bisogni)
Rilevato che
1. Il Tribunale di Fermo ha statuito sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da …. e …. imponendo la corresponsione di un assegno divorzile in favore della …. in ragione della forte sproporzione
delle situazioni reddituali e patrimoniali delle parti e al fine di una conservazione, almeno tendenziale, in favore del coniuge economicamente più debole del tenore di vita goduto in costanza di
matrimonio.
2. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di appello di Ancona con sentenza n. …/2015.
3. Ricorre per cassazione … deducendo, con il primo motivo di impugnazione, la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 4 della legge n. 898/1970 e dei parametri legali ivi indicati nonché la
contraddittorietà intrinseca della pronuncia. Lamenta il ricorrente che non sia stata adeguatamente valutata la circostanza dell’attribuzione alla …. della somma di lire 157.000.000 prima della pronuncia relativa al divorzio e che non si sia tenuto conto delle condizioni economiche della…. (stipendio mensile di professoressa di matematica, casa di abitazione di sua proprietà, recenti investimenti immobiliari) che escludono la sussistenza dei presupposti per la attribuzione di un assegno divorzile in
suo favore.
4. Si difende con controricorso la ….
Ritenuto che
5. Il ricorso deve essere accolto dando così continuità alla recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. sez. I n. 11504 del 10 maggio 2017) secondo cui il diritto all’assegno di divorzio, di cui all’art. 5, comma
6, della L. n. 898 del 1970, come sostituito dall’art. 10 della L. n. 74 del 1987, è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi, tra loro
nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all’esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto): una prima fase, concernente l’an
debeatur, informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o meno, del
diritto all’assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più
debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Ancona che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.

Lecita la condotta della ex moglie che chiede ed ottiene informazioni sul conto corrente dell’ex marito alla banca di costui

Cass. sent. 20649 del 31 agosto 2017
Sentenza
Presidente Scaldaferri – Relatore Lamorghese
Fatti di causa
Il Tribunale di Modena, con sentenza 7 aprile 2014, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta da B.E. contro R.L. , per avere illecitamente chiesto a Unicredit e ottenuto notizie relative al proprio estratto conto, poi utilizzate nella causa di separazione personale nei confronti della B. , in violazione della normativa in tema di tutela della privacy e della riservatezza. L’appello è stato dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello di Bologna, con ordinanza in data 28 dicembre 2015, perché privo di una ragionevole probabilità di essere accolto (art. 348 bis c.p.c.).
B. ha proposto ricorso per cassazione, a norma dell’art. 348 ter, quarto comma, c.p.c.; la R. non ha svolto difese.
Ragioni della decisione
Con un unico motivo la ricorrente ha denunciato l’errata interpretazione di imprecisate norme del d.lgs. n. 196 del 2003, in tema di privacy e trattamento dei dati sensibili.
Il ricorso è inammissibile. Con l’ordinanza impugnata la Corte bolognese ha richiamato la motivazione del Tribunale, secondo la quale, nel richiedere informazioni o documenti alla banca, la R. non aveva violato alcuna norma di legge né aveva tenuto un comportamento fraudolento; la Corte ha anche ritenuto che l’attore non avesse offerto alcuna indicazione circa il danno subito.
Tanto premesso, con il ricorso per cassazione, il B. ha censurato soltanto la prima ratio decidendi, lamentando l’illiceità del comportamento della convenuta R. , ma non la seconda ratio, distinta ed autonoma, la quale è da sola sufficiente a sorreggere il provvedimento impugnato.
Il ricorso è inammissibile (v. Cass., sez. un., n. 7931/13 e 16602/2005).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Il Tribunale non omologa la separazione solo “di fatto” di due coniugi che continueranno a vivere insieme per esigenze economiche

Tribunale di Como, ordinanza 6 giugno 2017
IL TRIBUNALE DI COMO
IN COMPOSIZIONE COLLEGIALE
Composto da dott.ssa Donatella Montanari Presidente relatore
dott.ssa Giulia Troina Giudice
dott. ssa Cristiana Caruso Giudice
a scioglimento della riserva che precede,
vista la istanza di omologa del verbale di separazione personale per mutuo consenso redatto dai
coniugi XX e YY, comparsi innanzi al Presidente delegato alla udienza 30-5-2017;
osservato che:
le condizioni di separazione contemplate nel ricorso concernono sostanzialmente (stante la
dichiarata autosufficienza economica di entrambi i coniugi, la comproprietà della casa familiare, e la
presenza di un figlio maggiorenne, studente), il sostegno economico a quest’ultimo nonché la
gestione dell’habitat familiare;
essendo lo accordo dei coniugi elemento fondante delle condizioni di separazione, l’atto in cui si
realizza il consenso circa la separazione ha natura negoziale ancorchè non contrattuale, incidendo su
diritti soggettivi, in tale contesto il decreto di omologa svolge la funzione di controllare la
compatibilità della convenzione pattizia rispetto alle norme cogenti ed ai principi di ordine
pubblico, nonché, in presenza di figli minori, ovvero maggiorenni non autosufficienti
economicamente, di compiere ex art. 158 2°co cc la più pregnante indagine circa la conformità delle
condizioni relative ad affidamento e mantenimento allo interesse degli stessi (cfr. Cass. 9287/97,
2602/13);
ciò premesso in fatto e in diritto, devesi rilevare che le condizioni (di cui ai paragrafi 3-4- del
ricorso) relative alla suddivisione delle spese di mantenimento e al fondo di risparmio accantonato
per il figlio risultano corrispondenti allo interesse del giovane; lo stesso deve dirsi quanto al
paragrafo 5, relativo alla fruizione delle vetture dei coniugi, questioni che rivestono un indubbio
contenuto economico, al pari di qualunque altra spesa relativa a beni o servizi di interesse familiare,
e non contrastano con alcuna norma cogente;
quanto alle condizioni relative alla gestione della casa familiare, di cui al paragrafo 2, si impongono
invece una serie di rilievi; detto paragrafo prevede infatti che i coniugi proseguano la convivenza a
tempo indeterminato, ovvero sino a quando le condizioni economiche familiari non consentiranno
di reperire una diversa soluzione abitativa; non viene cioè fissato alcun termine, neppure indicativo,
per il rilascio della casa familiare (evidentemente non materialmente divisibile) da parte dell’uno o
dell’altro coniuge, né detto termine può essere altrimenti supposto, con riferimento a futuri
miglioramenti economici, essendo entrambi i coniugi lavoratori dipendenti, quindi versando in
condizione reddituale tendenzialmente stabile, e non avendo indicato le ragioni dello eventuale
auspicato incremento dei rispettivi redditi;
interrogati dal Presidente, i coniugi hanno riferito di vivere da anni come “separati in casa” e che
nessuno dei due ha al momento intenzione di allontanarsi dalla casa familiare di comproprietà,
frutto di tanti sacrifici, dove dispongono ciascuno di una camera da letto personale e usano a turno
gli altri locali; nel corso della discussione orale il procuratore dei ricorrenti ha motivato la opzione
per la persistente coabitazione nella prospettiva di preservare le risorse economiche familiari e così
agevolare il percorso di studio del figlio ( di anni 18), nonché di garantire alla moglie eventuale
assistenza personale (a causa di non precisati problemi di salute), finalità solidaristiche che peraltro
ben potrebbero perseguire anche da “separati”; del resto il complessivo attuale reddito familiare
siccome evincesi dalle dichiarazioni fiscali in atti, non è incompatibile con la conduzione da parte di
uno dei due coniugi di un alternativo alloggio e con il mantenimento del figlio, anche agli studi, in
condizioni dignitose, tanto più che a suo favore è già stato accantonato un fondo di risparmio di una
certa consistenza; pare inoltre che la motivazione che sorregge tale scelta separativa sui generis dei
ricorrenti sia la volontà di svincolarsi reciprocamente dal dovere di fedeltà, anche agli occhi del
figlio, dando una forma giuridica alla loro condizione di separati in casa;
ad avviso del Collegio tale prospettiva non può essere condivisa; fermo restando che sul piano
personale le parti hanno facoltà di comportarsi e autodeterminarsi come meglio credono, la loro
volontà, anche nella sfera personale e familiare, non può però scegliere la forma da dare al proprio
stile di vita al punto di piegare gli istituti giuridici sino a dare riconoscimento e tutela a situazioni le
quali non solo non sono previste dallo ordinamento ma si pongono altresì in contrasto con i principi
che ispirano la normativa in materia familiare;
in altre parole, l’ordinamento non può dare riconoscimento, con le relative conseguenze di legge, a
soluzioni “ibride” che contemplino il venir meno tra i coniugi di gran parte dei doveri derivanti dal
matrimonio, pur nella persistenza della coabitazione, la quale ex art. 143 cc costituisce anch’essa
uno di questi doveri e rappresenta la “cornice” in cui si inseriscono i vari aspetti e modi di essere
della vita coniugale; è vero che in costanza di matrimonio tale dovere può essere derogato, per
accordo tra i coniugi, nel superiore interesse della famiglia, per ragioni di lavoro, studio ecc.. sì da
non escludere la comunione di vita interpersonale (cfr. Cass. 19439/11, 17537/03), ma ciò non
autorizza a ritenere il contrario, cioè ad affermare la validità di un accordo (con le conseguenze di
legge della separazione) volto a preservare e legittimare la mera coabitazione una volta che sia
cessata la comunione materiale e spirituale tra le parti;
più in generale devesi rilevare che lo istituto della separazione trova giustificazione in una
situazione di intollerabilità della convivenza, intesa come fattore tipicamente individuale, riferibile
alla personale sensibilità e formazione culturale dei coniugi, purchè però oggettivamente
apprezzabile e giuridicamente controllabile (cfr. Cass. 8713/15, 1164/14), talchè non si vede nel
caso di specie come possa “oggettivamente” apprezzarsi la condizione di intollerabilità della
convivenza laddove gli stessi coniugi progettino di prorogarla a tempo indeterminato per ragioni di
convenienze varie, atteso il contrasto con il dato di realtà reso evidente dalla persistente, collaudata,
e “tollerata” convivenza;
in pratica essi chiedono che il giudice li dichiari separati perché soggettivamente si ritengono tali,
ovvero non provano più reciprocamente sentimento né attrazione fisica, e desiderano proseguire una
convivenza meramente formale, ma a tale desiderio (pur legittimo sul piano personale ed attuabile
nella sfera privata), non corrisponde alcun “tipo” di strumento e/o istituto nello attuale ordinamento,
ergo il desiderio non può assurgere a diritto; non può quindi trovare accoglimento la pretesa di
attribuire, con il provvedimento di omologa, riconoscimento giuridico, con i conseguenti effetti
tipici della separazione coniugale (scioglimento della comunione dei beni, decorrenza del termine
per lo scioglimento del vincolo ecc..), ad un accordo privatistico che regolamenti la condizione di
“separati in casa” ; del resto, diversamente opinando, l’istituto della separazione consensuale, se del
tutto svincolato da riferimenti oggettivi, si presterebbe fin troppo facilmente ad operazioni elusive o
accordi simulatori, per finalità anche illecite
PQM
Rigetta la domanda di omologa delle condizioni di separazione consensuale di cui al ricorso depositato il 29-
5-2017.
Si comunichi
Così deciso in Como, in camera di consiglio, addì 6-6-2017
Il Presidente relatore estensore dott.ssa Donatella Montanari

L’onere del mantenimento grava su entrambi i genitori a prescindere dalle diverse potenzialità economiche

Cass. 31 luglio 2017 n. 19052
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha elevato l’assegno posto
a carico di Lu. Mo. in favore delle figlie S. e L., maggiorenni e non autosufficienti, disponendone la
corresponsione in favore della madre De. Te.. Per la cassazione di tale statuizione, ricorre il Mo. sulla base
di cinque motivi (violazione artt. 2729 e 337 ter c.c.; 132 n. 4 e 112 c.p.c). La Te. resiste con
controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la
redazione della motivazione in forma sintetica.
2. In relazione ai primi due motivi va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass.
02/04/2009 n. 8023; n 01/10/2003, n. 15737; ord. 08/01/2015 n. 101), spetta al giudice di merito di
valutare l’opportunità di far ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del
relativo processo logico ed apprezzarne la rispondenza ai requisiti di legge, con valutazione di fatto che
sfugge al sindacato di legittimità, restando escluso che la censura in ordine all’utilizzo o meno del
ragionamento presuntivo possa limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal
giudice di merito.
3. A tale risultato mirano le censure in esame, come non ha mancato di sottolineare la controricorrente,
in quanto, a fronte della valutazione globale delle emergenze probatorie compiuta dalla Corte territoriale
per pervenire alla determinazione della capacità economica del padre, le doglianze parcellizzano gli
elementi considerati (riferiti all’attività lavorativa ed al tenore di vita), svalutandone la singola portata
indiziante (con procedimento opposto a quello corretto, che impone la valutazione complessiva dei dati
salienti considerati, cfr., da ultimo, Cass. ord. 02/03/2017 n. 5374). Essendo la sentenza stata depositata
il 24.3.2016, non giova alla tesi del ricorrente la giurisprudenza da lui citata in sede di memoria (Cass.
23201 del 2015 e massime ivi richiamate), che afferma, bensì, la sindacabilità della motivazione del
percorso logico-giuridico in tema di prova presuntiva, ma nella vigenza dell’art. 360, co 1 n. 5 c.p.c. nel
testo antecedente alla novella di cui alla L. n. 134 del 2012.
4. Non risulta, poi, violato il principio di cui all’art. 337 ter c.c., secondo cui ciascuno dei genitori deve
provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale alle proprie risorse economiche in
riferimento ai parametri oggetto di comparazione, che non devono necessariamente esser presi tutti in
considerazione. Se, peraltro, non consta che il ricorrente abbia addotto alcuno specifico tenore di vita
dalle figlie in costanza di convivenza con entrambi i genitori (a pag. 27 del controricorso si legge che,
secondo la decisione di primo grado, sarebbe stato “altissimo”), va ribadito il principio secondo cui la
determinazione del contributo che per legge grava su ciascun coniuge per il mantenimento, l’educazione e
l’istruzione della prole non si fonda su di una rigida comparazione della situazione patrimoniale dell’altro.
Pertanto, le maggiori potenzialità economiche del genitore affidatario o convivente col figlio concorrono a
garantirgli un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non comportano una proporzionale
diminuzione del contributo posto a carico dell’altro genitore (Cass. n. 18538 del 2016).
5. Le censure di nullità della sentenza, per inesistenza o mera apparenza della motivazione ex art. 132,
co 2, n. 4, c.p.c, e per l’omessa pronuncia riferita alla mancata valutazione delle condizioni economiche di
esso ricorrente (in tesi peggiorate) sono infondate, essendo le argomentazioni svolte per la
determinazione del quantum (maggiori esigenze economiche delle figlie, studentesse universitarie fuori
sede, pag. 15 in fondo della sentenza) del tutto idonee a rivelare la ratio decidendi, e rapportate alle
sostanze sia della madre che del padre (quali ricostruite dalla stessa Corte), dovendo, al riguardo,
evidenziarsi che il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione
dell’art. 112 c.p.c, rilevante ai fini di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, dello stesso codice, si configura
esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione al mancato (o non
soddisfacente) apprezzamento di elementi fattuali. La motivazione della sentenza dà conto, in conclusione, dei fatti di causa e delle ragioni della decisione con completezza e chiarezza, tenuto conto
dei canoni di concisione imposti del legislatore, per evitare inutili ripetizioni ed argomentazioni
sovrabbondanti.
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano in complessivi Euro
7.100,00, di cui Euro 100,00 per spese vive, oltre a spese generali ed accessori. Ai sensi dell’art. 13, co 1
quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a
norma del comma I-bis dello stesso articolo 13. Dispone che, ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 198 del
2003 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione.

Rifiutare di sottoporsi al test del DNA è indice supportatore di prova decisiva di paternità

Cass. civ., sez. I, 27 luglio 2017, n. 18626

FATTO
1. Con sentenza depositata in data 18 marzo 2010 il Tribunale di Ferrara, accogliendo l’impugnazione per difetto di veridicità proposta dal sig. C.M. in relazione al riconoscimento, da parte del sig. Z.G., dei figli gemelli, partoriti fuori dal matrimonio dalla sig.ra B.E., Za.Fe. e F., dichiarava che il predetto convenuto non era il padre biologico degli stessi, affermando al contempo la propria incompetenza in merito alla domanda attorea di riconoscimento del rapporto di filiazione.
2. Tale decisione si fondava sui seguenti elementi: l’inizio della convivenza fra lo Z. e la B. in epoca successiva al concepimento, che viceversa era avvenuto durante il periodo cui risaliva la relazione fra la madre dei minori e il C.; il rifiuto dei convenuti al prelievo dei campioni per l’effettuazione di una consulenza genetica, la compatibilità del C. al 99,99 per cento risultante da un test di laboratorio prodotto dall’attore, sulla base di campioni biologici prelevati dai predetti gemelli.
3. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte di appello di Bologna ha accolto l’impugnazione proposta dalla sig.ra B., ed ha quindi rigettato la domanda del C..
4. E’ stato in particolare osservato che, non potendo attribuirsi valore probatorio al risultato dell’esame di laboratorio eseguito nell’interesse del C. in assenza del rispetto di qualsiasi garanzia di veridicità e del principio del contraddittorio, la circostanza stessa del prelievo all’insaputa dello Z. – dei campioni sui minori da parte della madre, per consegnarli al C., dimostra che la B. evidentemente aveva dei dubbi sulla effettiva paternità dei minori. Ne conseguiva che, essendo evidente che all’epoca la madre intratteneva rapporti tanto con lo Z. quanto con il C., mancava la prova certa dell’impossibilità oggettiva che l’autore del riconoscimento fosse il padre dei gemelli.
5. Per la cassazione di tale decisione il C. propone ricorso, affidato ad unico motivo, illustrato da memoria, cui resiste con controricorso la signora B..
Lo Z. e la curatrice speciale dei minori, avv. Ba.Fe., non svolgono attività difensiva.
DIRITTO
1. Con unico e articolato motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 263 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., si sostiene che erroneamente la Corte felsinea avrebbe disatteso il principio secondo cui, in materia di accertamenti afferenti alla paternità ed alla validità dei correlati atti dichiarativi, il rifiuto di consentire il compimento dell’esame biologico è sufficiente ad integrare la prova in ordine alla sussistenza ovvero all’insussistenza del rapporto parentale.
2. Il ricorso è fondato.
Vale bene prendere le mosse da una recente decisione di questa Corte nella quale viene particolarmente approfondito il tema della rilevanza degli aspetti probatori nelle azioni di status, rimarcandosi come, prima della disciplina introdotta con il D.lgs. n. 154 del 2013, in materia di impugnazione del riconoscimento di figlio nato fuori del matrimonio per difetto di veridicità, si affermava che l’attore dovesse fornire piena prova della non veridicità del riconoscimento, apparendo tale maggior rigore giustificato dall’ampiezza dei soggetti legittimati alla proposizione della relativa azione. L’accesso alla prova genetica doveva quindi essere preceduto dal positivo vaglio del materiale probatorio acquisito, nel senso che si riteneva la necessità della previa acquisizione, secondo i più recenti orientamenti, di almeno un principio di prova per poter dare ingresso ad un esame genetico (tra le altre, Cass. n. 10585/2009; n. 17895/2013; n. 3217/2014). Di recente, poi, si è data rilevanza al rifiuto di sottoporsi al predetto esame, pur richiedendosi l’acquisizione di congrua documentazione, ovvero un’adeguata istruttoria testimoniale (Cass., 26 marzo 2015, n. 6136, in cui si afferma, fra l’altro, che “nell’attuale contesto socioculturale caratterizzato da ampie possibilità di accertamento del patrimonio bio-genetico dell’individuo, pensare di “segregare” l’atto negoziale di accertamento della paternità, escludendo il controinteressato dal fornire la prova del suo difetto di veridicità significa, ignorando il livello attuale delle cognizioni scientifiche e delle potenzialità di indagine, consentire ogni forma di abuso del diritto e, quindi, di adozione mascherata e fraudolenta del minore, non tollerabile in una società civile e trasparente”).
3. Con riferimento al procedimento relativo all’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, è stato ribadito il carattere “decisivo” della consulenza tecnica d’ufficio ematologica, o genetica (Cass., 13 novembre 2015, n. 23290), tanto “da rendere comportamento processuale dotato di pregnante rilevanza il suo ingiustificato rifiuto (Cass., 25 marzo 2015, n. 6025; Cass., 21 maggio 2014, n. 11223).
4. Il ricorso all’accertamento tecnico, e quindi, la valutazione del comportamento della parte che con il proprio rifiuto non ne consenta l’effettuazione, è stato giustificato anche in presenza della “non univocità e alla discordanza tra gli elementi acquisiti” (Cass., 16 aprile 2008, n. 10007). Tale assunto appare assolutamente condivisibile, in quanto il mancato ricorso a uno strumento, reso disponibile dal progresso scientifico e dotato di un elevato grado di attendibilità (Cfr. Corte cost., n. 266/2006), non appare del tutto coerente rispetto all’esigenza di verificare la fondatezza di una domanda attinente a una delicata questione attinente allo status della persona. Sotto tale profilo non sembra del tutto condivisibile la riferita tesi secondo cui la maggiore ampiezza dei soggetti legittimati alla proposizione della domanda ex art. 263 c.c., legittimerebbe un diverso regime probatorio, caratterizzato, quanto a quest’ultima, da maggior rigore, relativo alle azioni, sostanzialmente speculari, in materia di filiazione. D’altra parte, l’orientamento secondo cui “l’azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità postula, a norma dell’art. 263 c.c., la dimostrazione dell’assoluta impossibilità che il soggetto, autore dell’originario riconoscimento, sia, in realtà, il padre biologico del soggetto riconosciuto come figlio”, con conseguente impossibilità di prendere in considerazione come prova della non veridicità del riconoscimento il rifiuto del figlio riconosciuto di sottoporsi al prelievo ematologico (Cass., 11 settembre 2015, n. 17970; Cass., 10 luglio 2013, n. 17095), non trova alcun riscontro nel tenore della norma, apparendo poi distonico non solo rispetto al carattere decisivo dell’accertamento di natura genetica come sopra delineato, ma anche rispetto alla circostanza che l’attore è chiamato a fornire la prova di un fatto negativo.
5. In proposito giova richiamare il principio secondo cui tale prova deve essere resa mediante l’allegazione di fatti positivi di segno contrario, e può essere raggiunta anche attraverso dichiarazioni testimoniali o presunzioni (cfr., ex multis, Cass., 20 agosto 2015, n. 17009, nonchè, con riferimento all’azione ex art. 263 c.c., Cass., 19 marzo 2002, n. 3976). In tale ambito si colloca il principio, già affermato da questa Corte (Cass., 22 novembre 1995, n. 12085), secondo cui l’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità può essere accolta non solo quando l’attore provi che l’autore del riconoscimento, all’epoca del concepimento, era affetto da “impotentia generandi” o non aveva la possibilità di avere rapporti con la madre, ma anche quando fornisca la prova di essere il vero genitore.
6. Tanto premesso, deve verificarsi come debba essere valutato, nel procedimento in esame, il rifiuto di sottoporsi ai prelievi di natura biologica, che, com’è noto, deve ricondursi nella previsione dell’art. 116 c.p.c., comma 2. Come sottolineato da recente e attenta dottrina, l’argomento di prova delineato da tale disposizione, che la giurisprudenza di questa Corte considera componente sufficiente a fondare il convincimento del giudice (cfr., Cass., 3 aprile 2013, n. 8088; Cass., 16 dicembre 2011, n. 27149; Cass., 29 settembre 2009, n. 20819), assume un valore intrinsecamente “relazionale”, nel senso che il grado di intensità della connessione fra il thema probandum e taluna delle circostanze indicate nella norma sopra richiamata può consentire, nei casi in cui assuma particolare rilevanza, di utilizzare anche in via esclusiva l’argomento di prova come fonte esclusiva del convincimento.
Ove si consideri l’elevato grado di certezza che si può conseguire attraverso l’acquisizione della prova scientifica in esame, appare evidente come al comportamento ingiustificato della parte che non consenta di raggiungere quel risultato debba attribuirsi un elevato di significatività, tale da renderlo, come sostenuto da autorevole dottrina, “autosufficiente ai fini del giudizio di fatto”.
7. La Corte di appello di Bologna non si è conformata ai principi sopra esposti.
Dopo aver sottolineato che la ricostruzione della vicenda presentava delle incertezze (sulla base del rilievo che, avendo la B. prelevato i campioni utilizzati per un accertamento genetico ante causam all’insaputa dello Z., evidentemente “il concepimento poteva essere anche opera sua”), il giudice del merito afferma che, dovendosi “escludere la certezza pretesa dall’art. 263 c.c.”, l’inizio della convivenza fra lo Z. e la madre dei gemelli quando costei si trovava al settimo mese di gravidanza assume un carattere “equivoco”, e “ancor meno vale la sottrazione processuale alla consulenza tecnica d’ufficio sul D.N.A.”. In tale modo l’argomento di prova desumibile dal rifiuto di sottoporsi all’esame genetico, il cui carattere decisivo è stato assolutamente negletto, sarebbe utilizzabile quando, essendosi già conseguita la prova dell’assenza del rapporto di filiazione biologica, non si tratterebbe di superare una situazione di incertezza, ma di aggiungere certezza a certezza.
8. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata, con rinvio alla Corte di appello di Bologna che, in diversa composizione, applicherà il seguente principio di diritto: “Nel giudizio di impugnazione del riconoscimento di figlio nati fuori dal matrimonio per difetto di veridicità, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi ad esame genetico, in presenza di una situazione di incertezza, sul piano probatorio, circa la sussistenza o meno del rapporto di filiazione biologica fra l’autore del riconoscimento ed il figlio, deve essere valutato dal giudice, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2, come decisiva fonte di convincimento”.
Il giudice del rinvio provvederà, inoltre, al regolamento delle spesa relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 gennaio 2017.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2017.

Affidamento dei figli minori e nomina del coordinatore genitoriale

Tribunale di Mantova, sez. I. Sentenza del 5 maggio 2017. Pres.,
est. Bernardi.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale Ordinario di Mantova
Prima Sezione
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti
magistrati:
dott. Mauro Pietro Bernardi Presidente Relatore
dott. Alessandra Venturini Giudice
dott. Luigi Pagliuca Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3767/2014 promossa da:
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con ricorso ex art. 706 c.p.c. depositato in data 5-8-2014 D. M. T. (nato a
P. il *-1969) assumeva 1) di avere contratto in data *-2004 in P.
matrimonio con G. C. (nata a N. il *-1969), matrimonio trascritto
nell’anno 2004, atto n. *, parte II, serie A e che i coniugi avevano optato
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per il regime della comunione dei beni; 2) che dall’unione erano nati, a
N., i figli S. (il *-2005) e F. (il *-2008); 3) che la convivenza nel corso del
tempo era divenuta intollerabile a causa dell’atteggiamento della moglie
che, nel corso del rapporto, aveva assunto atteggiamenti sempre più
offensivi anche nei confronti della cerchia parentale, di distacco affettivo
ed anche aggressivi tanto che egli si era indotto a lasciare la casa
coniugale; 4) che la madre aveva iniziato a ostacolare il rapporto di esso
con i figli.
Alla stregua di tali circostanze il ricorrente evidenziava che sussistevano i
presupposti, previsti dall’articolo 151 c.c., affinché venisse pronunciata la
separazione personale con addebito alla moglie alle condizioni riportate
alle pagine 6,7,8 e 9 del ricorso e riguardanti, l’affidamento dei figli a
entrambi i coniugi in via condivisa con collocazione preferenziale presso
la madre previa regolazione del diritto di visita di esso istante,
l’assegnazione alla moglie della casa coniugale, la determinazione a
proprio carico di un assegno di mantenimento in favore sia dei figli che
della moglie oltre al concorso nelle spese straordinarie, il trattenimento
degli assegni familiari ed infine l’autorizzazione ai coniugi a conseguire il
rinnovo o il rilascio dei documenti validi per l’espatrio sia per sé che per i
figli.
Si costituiva G. C. la quale aderiva alla domanda di separazione rilevando
che il fallimento dell’unione era dipeso dal comportamento del marito
sempre più distaccato nei suoi confronti e che aveva scoperto avere da
tempo allacciato una relazione extraconiugale.
La resistente, rimarcato il fatto di essere disoccupata e che il marito
ancor prima della separazione contribuiva al mantenimento suo e dei
figli versando circa € 1.150,00 al mese, chiedeva che la separazione
venisse addebitata al marito, l’affido congiunto dei figli con collocamento
presso di sé, l’assegnazione della casa coniugale, un più restrittivo regime
di visita del padre nonché un più elevato contributo economico del
marito per il mantenimento proprio e dei figli.
All’esito dell’udienza del 26-11-2014, tenutasi per la comparizione
personale delle parti ed il tentativo di conciliazione, stante l’esito
negativo dello stesso, il Presidente autorizzava i coniugi a vivere separati,
impartiva i provvedimenti provvisori di cui all’art. 708 c.p.c. e disponeva
per la prosecuzione del processo.
Assunte le prove orali, disposte indagini tramite i Servizi Sociali ed
espletata c.t.u., affidata alla dott. M., la causa veniva quindi rimessa al
Collegio per la decisione.
In primo luogo va ribadito il giudizio negativo già espresso nel corso
dell’istruttoria in ordine all’ammissione delle prove orali dedotte dalle
parti e per il cui ingresso la difesa del ricorrente ha insistito in sede di
precisazione delle conclusioni atteso che i capitoli formulati sono
superflui ovvero di contenuto generico o valutativo ed essendo
comunque stati acquisiti sufficienti elementi per la decisione.
La verificazione delle condizioni di intollerabilità della convivenza, che
legittimano la separazione, può dirsi incontestata tra le parti e provata
dal fallimento del tentativo di conciliazione, dalle conclusioni formulate
dalle parti nonché dal consolidamento della situazione obiettiva e
giuridica conseguente ai provvedimenti adottati dal Presidente in sede di
comparizione personale delle parti per il tentativo di conciliazione sicché
sussistono i presupposti di cui all’art. 151, comma 1, c.c. per la richiesta
pronuncia di separazione personale tra i coniugi.
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Per quanto concerne la domanda di addebito proposta dal ricorrente e
fondata sull’assunto secondo cui la moglie avrebbe assunto atteggiamenti
sempre più offensivi anche nei confronti della cerchia parentale nonché
di distacco affettivo, va rilevato che tali assunti hanno carattere generico,
non sono risultati provati e, comunque, paiono essere la conseguenza di
una progressiva incompatibilità di caratteri; quanto alle aggressioni
verbali le stesse trovano spiegazione nella scoperta da parte della moglie
della relazione extramatrimoniale intrattenuta dal marito. Nessun rilievo
può inoltre attribuirsi al certificato medico prodotto sub 10 dalla difesa
del ricorrente, non sussistendo elementi che possano far ritenere che i
problemi sessuali manifestati dall’istante fossero derivati da
comportamenti posti in essere dallamoglie.
Merita invece accoglimento la domanda di addebito proposta dalla
moglie atteso che il ricorrente ha ammesso in sede di comparizione
avanti al Presidente di aver intrattenuto una relazione con un’altra donna
e che siffatta circostanza risulta inequivocabilmente documentata dalla
relazione investigativa allegata, comportamento questo che costituisce
grave violazione dei doveri nascenti dal matrimonio; le aggressioni
verbali e il distacco affettivo lamentati dal ricorrente costituiscono la
conseguenza della scoperta della relazione extraconiugale da parte della
moglie sicché appare evidente la sussistenza del nesso di causalità tra il
predetto comportamento del marito e la insanabile frattura dell’unione
matrimoniale.
In ordine alla regolamentazione dell’affidamento dei figli, va osservato
che sia il Servizio Sociale incaricato dell’indagine sia il consulente tecnico
hanno potuto verificare che entrambi i genitori sono in grado di gestire
singolarmente i figli e che le difficoltà nelle relazioni (in particolare del
padre) dipendono esclusivamente dalla mai sopita conflittualità
(presente anche durante la convivenza) fra gli adulti sicché non può
disporsi l’affido esclusivo, non risultando positivamente dimostrata
l’inidoneità educativa ovvero la manifesta carenza del ricorrente (cfr.
Cass. 15-9-2014 n. 19386; Cass. 29-3-2012 n. 5108; Cass. 19-5-2011 n.
11068; Cass. ord. 2-12-2010 n. 24526; Cass. 17-12-2009 n. 26587; Cass.
18-6-2008 n. 16593); non può inoltre andare sottaciuto che le stesse
parti hanno chiesto che venga disposto l’affido condiviso (misura questa
suggerita anche dal c.t.u.); occorre precisare che, per le questioni di
ordinaria amministrazione, le parti eserciteranno separatamente la
responsabilità genitoriale quando i figli rimangono presso di esse.
Quanto al collocamento non vi è dubbio che i minori debbano vivere con
prevalenza presso la madre avendo i figli instaurato un più solido legame
affettivo con essa ed essendo costei in grado di offrire maggiore stabilità
e sicurezza psicologica, come chiaramente emerge dalla consulenza
tecnica.
Da ciò consegue che la casa coniugale (condotta in locazione), sita in C.,
Via C. n. 16 con i beni che la arredano, deve essere assegnata alla madre.
In ordine alle modalità di visita, il padre potrà vedere e tenere con sé i
figli secondo le seguenti modalità:
a) due fine settimana al mese (dalle ore 9.00 del sabato alle ore 21.00
della domenica), alternati, avendo cura di riaccompagnarli dalla madre;
b) due pomeriggi alla settimana (orientativamente nei giorni di martedì e
giovedì), dalla uscita di scuola sino alle ore 21.00 quando avrà cura di
riaccompagnarli dalla madre;
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c) per metà delle vacanze natalizie alternando di anno in anno con la
madre il periodo dalle ore 9,00 del 23 dicembre alle ore 21,00 del 30
dicembre e dalle ore 9.00 del 30 dicembre sino alle ore 21.00 della sera
precedente la ripresa della scuola;
-d) per tre giorni durante le festività pasquali, alternando di anno in
anno il giorno di Pasqua e il Lunedì dell’Angelo;
e) per tre settimane, anche non consecutive, nel periodo delle vacanze
estive, da concordarsi tra le parti di volta in volta entro il mese di giugno
di ogni anno, con impegno reciproco di comunicare la località della
vacanza ed il luogo del pernottamento;
– ogni variazione delle modalità di visita e di intrattenimento con il figlio
minore da parte del padre, oltre che previamente concordato con la
madre, dovrà necessariamente tenere conto degli impegni dei minori in
attività scolastiche ed extrascolastiche.
In conformità con quanto prospettato dal c.t.u., va disposto che
l’andamento dei rapporti familiari venga monitorato da una figura
esterna (c.d. coordinatore genitoriale o educatore professionale: v. Trib.
Milano 7-7-2016 in www.il.caso.it; Trib. Pavia 21-7-2016, inedita) la
quale, una volta al mese (e sino al 31-1-2018) dovrà essere presente per
osservare le relazioni genitori/figli operando una mediazione costante e
svolgendo i compiti meglio specificati in dispositivo, tenendo conto delle
indicazioni fornita dalla dott. M., professionista che si individua nella
persona della dott. C. M., indicata dalla c.t.u. ed il costo delle cui
prestazioni dovrà essere sopportato dalle parti nella misura come sopra
prevista per le spese straordinarie.
Va aggiunto che entrambi i genitori vanno ammoniti a non porre in
essere comportamenti che ostacolino il corretto svolgimento delle
modalità di affidamento ed a collaborare con la dott.M.
In ordine ai rapporti patrimoniali, premesso che sono stati acquisiti
sufficienti elementi per la valutazione e che non occorre disporre
ulteriori indagini (cfr. Cass. 12-1-2017 n. 605; Cass. 5-11-2007 n. 23051),
va osservato che il ricorrente percepisce uno stipendio mediamente pari
a € 1.650,00 mensili, che vive in una casa condotta in locazione per la
quale corrisponde un canone di € 400,00 e che è proprietario un
modesto immobile (classificato C 1) da cui non risulta trarre un reddito.
Quanto alla moglie va osservato che essa è disoccupata, che non è
proprietaria di immobili, che vive nella casa coniugale (condotta in
locazione) e che dispone di modesti risparmi come risulta dalla
documentazione dimessa in corso di giudizio.
Alla stregua della situazione patrimoniale come sopra ricostruita, il
collegio ritiene di porre a carico di D. M. T. l’obbligo di concorrere al
mantenimento dei figli versando alla madre l’assegno mensile di €
500,00 (€ 250,00 per ciascun figlio) rivalutabile annualmente secondo
gli indici ISTAT e ciò a far data da maggio 2018.
In conseguenza delle sopra accertate condizioni patrimoniali, vanno
poste a carico di entrambi i genitori, nella misura del 70% a carico del
ricorrente e del 30% a carico della resistente, senza necessità di previo
accordo e con obbligo di rimborso entro 20 giorni a fronte della semplice
esibizione del documento attestante la spesa da parte del genitore che
l’ha anticipata per intero, le seguenti spese straordinarie:
a) spese mediche: tutte quelle per visite mediche, esami, trattamenti e
cure, anche odontoiatriche, debitamente prescritte da un medico ed
erogate in ambito pubblico con pagamento di ticket (e quindi non
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interamente coperte dal SSN); quelle (sempre su prescrizione medica)
per accertamenti, trattamenti e cure non erogabili dal Servizio Sanitario
Nazionale, ma solo in ambito privato; quelle per esami, accertamenti e
cure in ambito privato urgenti ed indifferibili, non erogabili in ambito
pubblico in tempi rapidi (sempre su prescrizione medica);
b) spese scolastiche: tasse di iscrizione (ivi comprese eventuali
assicurazioni obbligatorie richieste dall’istituto) alla scuola elementare,
media e superiore pubblica e, dopo la maturità, ad università pubblica
(qualora i figli proseguano negli studi); acquisto dei libri di testo
scolastici ed universitari; corredo scolastico di inizio anno; spese per la
partecipazione alla gita scolastica senza pernottamento organizzata dalla
scuola; spese per il trasporto da e per la sede di studi (anche
universitaria) con mezzo pubblico; spese per tempo prolungato, prescuola,
per centro ricreativo estivo e gruppo estivo (solo se entrambi i
genitori lavorano); spese per il conseguimento della patente (pratica e
teoria);
c) altre spese straordinarie: tutte le altre spese di natura straordinaria (a
titolo meramente esemplificativo: spese per tempo prolungato, prescuola,
per centro ricreativo estivo e gruppo estivo, se uno dei genitori
non lavora; per cure – anche dentistiche, ortodontiche e oculistiche –
erogate in ambito privato e non indifferibili ed urgenti; per cure termali e
fisioterapiche; per cure e farmaci non convenzionali; per tasse
scolastiche ed universitarie imposte da istituti privati; per corsi di
specializzazione; per gite scolastiche con pernottamento; per corsi di
recupero e lezioni private; per alloggio presso la sede universitaria; per la
baby sitter; per l’acquisto di computer o telefono cellulare; per l’acquisto
di motorino od autovettura; per viaggi e vacanze; per corsi di istruzione,
attività sportive, ricreative e ludiche e pertinenti attrezzature, etc)
saranno parimenti suddivise tra i genitori, secondo le percentuali,
modalità e tempistiche sopra precisate, ma solamente se previamente
concordate tra i medesimi.
A tal fine il genitore che propone la spesa dovrà inviare all’altro genitore
richiesta scritta di adesione in cui sia specificata la tipologia della spesa
ed il suo esatto ammontare.
L’altro genitore dovrà fornire risposta, sempre per iscritto, entro 20
giorni dalla ricezione della richiesta.
In mancanza di risposta entro il suddetto termine la spesa si intenderà
autorizzata e dovrà quindi essere divisa tra i genitori nella misura e
secondo lemodalità sopra specificate.
In caso di diniego di consenso alla spesa, invece, la stessa rimarrà
totalmente a carico del genitore che l’abbia comunque sostenuta.
Merita precisare che, nel determinare la misura dell’assegno di
mantenimento, si è tenuto conto della percezione da parte del D. degli
assegni familiari.
Sussistono inoltre i presupposti di legge per porre a carico del marito un
assegno di mantenimento in favore della moglie che viene determinato in
€ 200,00 rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT a far data da
maggio 2018, rilevandosi che la resistente per età e per capacità acquisite
(si rileva che G. C., nel 2015, aveva avuto la possibilità di svolgere attività
lavorativa, quale ATA, presso un istituto scolastico e che la stessa lo
rifiutò per asserita difficoltà di conciliare l’impegno lavorativo con la
possibilità di gestire i figli) possiede comunque una piena capacità di
dedicarsi ad attività lavorativa.
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Merita accoglimento la domanda proposta ex art. 709 ter c.p.c. dal
ricorrente atteso che dagli atti emerge come, in più occasioni, la
resistente abbia ingiustificatamente frapposto ostacoli alla regolare
frequentazione fra il padre e i figli (si veda ciò che viene riportato nella
relazione predisposta dal Servizio Tutela Minori del 30-3-2015, quanto
emerge dalla dettagliata denuncia-querela del 1-1-2017 nonché quanto
verbalizzato all’udienza del 6-12-2016), rilevandosi che, in relazione a
tutti gli episodi riferiti dalla difesa del ricorrente circa il mancato rispetto
delle visite, non è stata fornita dalla resistente specifica e convincente
smentita, il tutto in un contesto caratterizzato da notevole conflittualità
fra i genitori (si noti che il c.t.u. ha dato atto che i minori non
frequentano la famiglia di origine del padre) e dalla difficoltà, più volte
lamentata da parte del padre, di avere anche solo regolari contatti
telefonici con i figli: in considerazione della frequenza con cui ciò è
avvenuto e delle condizioni patrimoniali delle parti, reputa il collegio di
condannare G. C. a risarcire il danno patito dal ricorrente liquidato,
complessivamente, in € 1.000,00.
Infine va dichiarata inammissibile la domanda volta a ottenere
l’autorizzazione al rinnovo e/o al rilascio dei passaporti o dei documenti
validi per l’espatrio delle parti e dei minori, posto che, in caso di
contrasto, tale domanda deve essere proposta al Giudice Tutelare nelle
forme previste per i procedimenti camerali.
In considerazione della natura del giudizio e della parziale reciproca
soccombenza le spese di lite vengono integralmente compensate,
provvedendosi con separato decreto alla liquidazione delle spese del
difensore della resistente ammessa al patrocinio a spese dello stato.
P.Q.M.
Il Tribunale di Mantova, in composizione collegiale, definitivamente
pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita,
così dispone:
1) dichiara la separazione personale di D. M. T. (nato a P. il *-1969) e di
G. C. (nata a N. il 8-2-1969),matrimonio celebrato il *-2004 in P.;
2) dichiara che la separazione è addebitabile a D.M. T.;
3) rigetta la domanda di addebito proposta contro la resistente;
4) affida i figli minori S. e F. congiuntamente a entrambi i genitori con
collocamento prevalente presso la madre, disponendosi che, per le
questioni di ordinaria amministrazione, le parti eserciteranno
separatamente la responsabilità genitoriale quando i figli rimangono
presso di esse;
5) dispone che D. M. T. possa vedere e tenere con sé i figli secondo le
seguenti modalità:
a) due fine settimana al mese (dalle ore 9.00 del sabato alle ore 21.00
della domenica), alternati, avendo cura di riaccompagnarli dalla madre;
b) due pomeriggi alla settimana (orientativamente nei giorni di martedì e
giovedì), dalla uscita di scuola sino alle ore 21.00 quando avrà cura di
riaccompagnarli dalla madre;
c) per metà delle vacanze natalizie alternando di anno in anno con la
madre il periodo dalle ore 9,00 del 23 dicembre alle ore 21,00 del 30
dicembre e dalle ore 9.00 del 30 dicembre sino alle ore 21.00 della sera
precedente la ripresa della scuola;
-d) per tre giorni durante le festività pasquali, alternando di anno in
anno il giorno di Pasqua e il Lunedì dell’Angelo;
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e) per tre settimane, anche non consecutive, nel periodo delle vacanze
estive, da concordarsi tra le parti di volta in volta entro il mese di giugno
di ogni anno, con impegno reciproco di comunicare la località della
vacanza ed il luogo del pernottamento;
– ogni variazione delle modalità di visita e di intrattenimento con i figli
minori da parte del padre, oltre che previamente concordato con la
madre, dovrà necessariamente tenere conto dei loro impegni in attività
scolastiche ed extrascolastiche;
6) nomina quale coordinatore genitoriale la dott. C. M., con compenso a
carico dei genitori (nella misura del 70% a carico del padre e del 30% a
carico della madre) e attribuisce alla stessa il compito (avente scadenza al
31-1-2018):
i) di monitorare l’andamento dei rapporti genitori/figli, fornendo le
opportune indicazioni eventualmente correttive dei comportamenti
disfunzionali dei genitori, intervenendo a sostegno di essi in funzione di
mediazione;
ii) di coadiuvare i genitori nelle scelte formative dei figli, vigilando in
particolare sulla osservanza del calendario delle visite previsto per il
padre ed assumendo al riguardo le opportune decisioni (nell’interesse dei
figli) in caso di disaccordo;
iii) di redigere relazione informativa sull’attività svolta, da trasmettere al
Giudice Tutelare entro il 28-2-2018;
7) assegna la casa familiare sita in C. in via C… n. 16, con gli arredi che la
compongono, a G. C.;
8) pone a carico di D. M. T. l’obbligo di concorrere al mantenimento dei
figli versando a G. C. (entro il giorno 10 di ogni mese) un assegno
mensile di € 500,00 (€ 250 per ciascun figlio) da rivalutarsi
annualmente secondo gli indici ISTAT a far data da maggio 2018 oltre al
70% delle spese straordinarie secondo le modalità e il dettaglio riportati
in motivazione e che qui si intendono espressamente richiamate;
9) pone a carico di D.M. T. l’obbligo di concorrere al mantenimento della
moglie versandole (entro il giorno 10 di ogni mese) un assegno mensile
di € 150,00 da rivalutarsi annualmente secondo gli indici ISTAT a far
data da maggio 2018;
10) condanna G. C. a risarcire il danno patito da D. M. T. liquidato nella
somma di € 1.000,00;
11) ammonisce entrambi i genitori a non porre in essere comportamenti
che ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento ed a
collaborare con la dott. M.;
12) dichiara inammissibile la domanda avente ad oggetto il rilascio e/o il
rinnovo di documenti validi per l’espatrio in favore delle parti e dei figli
minori;
13) compensa integralmente fra le parti le spese di lite, provvedendosi
con separato decreto alla liquidazione dei compensi in favore del
difensore della resistente, ammessa al patrocinio a spese dello stato.
Dispone la trasmissione della sentenza all’Ufficiale di Stato Civile di P.
per le annotazioni di legge.

Il coerede che ha avuto il possesso dei beni ereditari all’atto dello scioglimento è sempre tenuto al rendiconto ex art. 723 c.c

Cass. 30 maggio 2017 n. 13619
SENTENZA
sul ricorso 26339-2012 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente e c/ricorrente all’incidentale –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– c/ricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 1190/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 10/10/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/10/2016 dal Consigliere Dott. D’ASCOLA PASQUALE;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore della ricorrente, che si e’ riportato agli atti depositati ed ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), con delega dell’Avvocato (OMISSIS) difensore dei ricorrenti incidentali, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS PIERFELICE che ha concluso per l’accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso principale e per il rigetto del ricorso incidentale.
FATTI DI CAUSA
1) Su iniziativa dell’odierna ricorrente e’ in discussione lo scioglimento della comunione ereditaria riveniente alle parti, dalla madre signora (OMISSIS), deceduta nel 1988 lasciando un testamento olografo con cui nominava eredi i tre figli in parti uguali.
Le principali questioni affrontate dal tribunale sono state due: 1) includere nell’attivo da dividere l’appartamento sito in (OMISSIS) acquistato da (OMISSIS) con danaro della famiglia.
2) stabilire il tempo di valutazione dei beni.
In sede di appello l’attrice (OMISSIS) ha lamentato l’inclusione del proprio appartamento milanese nell’attivo da dividere e ha chiesto, in subordine che oggetto di collazione fosse solo la somma di danaro donatale dal padre, inferiore al prezzo di acquisto. Ha negato comunque che l’immobile fosse valutabile all’attualita’, dovendo invece computarsi, in via subordinata, alla data di apertura della successione.
L’appellante ha lamentato inoltre: 1) l’insufficiente rendicontazione dei beni ereditari goduti dai fratelli; 2) la mancata inclusione dell’indennita’ di occupazione dei beni siti in (OMISSIS), goduti, dopo l’apertura della successione, soltanto dai fratelli; 3) il rigetto della domanda di risarcimento danni per l’incuria degli appellati nel custodire gioielli e beni di famiglia, oggetto di furto in casa.
La Corte di appello di Bologna con sentenza 10 ottobre 2011 ha accertato che il danaro della casa in Milano proveniva da conto corrente intestato ai due genitori e che anche le spese di acquisto e ristrutturazione provenivano da assegni tratti dal padre. Ne ha desunto che, sebbene le parti avessero rinunciato all’eredita’ paterna, l’immobile doveva essere incluso nella eredita’ devoluta in morte della madre.
La valutazione e’ stata fatta all’attualita’ per tutti i beni immobili devoluti in eredita’.
Quanto ai rendiconti, la Corte ha disatteso le maggiori pretese dell’attrice.
La Corte ha negato anche ogni indennita’ sull’uso dei beni, perche’ (OMISSIS), che aveva utilizzato l’immobile in Milano, non avrebbe mai chiesto di fruirne.
Ha rigettato la domanda relativa al furto dei gioielli.
Il ricorso per cassazione di (OMISSIS) espone 9 motivi.
I fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito congiuntamente con controricorso e ricorso incidentale condizionato.
Sono state depositate memorie in vista dell’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2) Il primo motivo di ricorso denuncia motivazione illogica e contraddittoria con riguardo alla inclusione nell’attivo ereditario del valore dell’immobile di Milano.
La ricorrente mira a far affermare di non essere “tenuta a porre in collazione ne’ il danaro ricevuto dal padre ne’ il valore dell’immobile da lei acquistato con il pagamento di un prezzo superiore alle somme ricevute dal padre”.
La censura e’ fondata nei termini in cui si dira’.
La ricorrente pone in dubbio (pag. 24) l’esistenza di prova della utilizzazione dei soldi donati a lei e al marito per la ristrutturazione della casa.
Tale rilievo e’ infondato, giacche’ il convincimento dei giudici di merito sulla destinazione di tutto il danaro donato si regge sulla presunzione, circostanziata efficacemente, derivata dal fatto che il padre verso’ direttamente ai promittenti venditori e alla agenzia immobiliare intermediaria decine di milioni di lire per quell’acquisto. Dunque era l’acquisto di un immobile da destinare ad abitazione, previo eventuale adattamento, la finalita’ del versamento.
Inoltre avrebbe dovuto essere l’attrice ad allegare e dimostrare che il danaro fosse stato da lei destinato a scopo diverso, documentando le relative spese, senza che a tal fine possa bastare una vaga ipotesi di “altri scopi”.
E’ invece fondata la doglianza relativa all’imputazione tra i beni provenienti dalla madre di tutto il danaro e non soltanto del 50%: la sentenza d’appello da’ atto infatti che si trattava di somme tratte da conto cointestato dei genitori. Pertanto, poiche’ la cointestazione di un conto corrente attribuisce agli intestatari la qualita’ di creditori o debitori solidali dei saldi del conto sia nei confronti dei terzi, che nei rapporti interni, si deve presumere la contitolarita’ dell’oggetto del contratto (Cass. 809/14 tra le tante), salvo la prova del contrario, prova di cui la Corte di appello non ha fatto cenno.
in sede di rinvio la Corte di appello dovra’ spiegare i motivi che l’hanno indotta a ritenere che si trattasse di sola donazione materna o dovra’ prendere atto che meta’ del danaro si presume appartenesse al padre e non poteva essere soggetta a collazione, E’ quindi necessario un accertamento che chiarisca la appartenenza del danaro tratto dal conto corrente esclusivamente alla madre. La donazione indiretta da sottoporre a collazione era poi da ridurre ulteriormente, se donatari furono la (OMISSIS) e il di lei marito, acquirenti dell’immobile cui era finalizzato il danaro, come si deduce sempre nel primo motivo, in puntuale critica alla sentenza di appello. Quest’ultima sembra considerare il marito dell’attrice quale donatario (la sentenza lo evidenzia, quasi incidentalmente, a pag. 6 primo rigo), ma non ne ha tratto le conseguenze piu’ regolari, come se avesse accertato che unica donataria sia stata la attrice.
Anche tale ipotesi di attribuzione non si giustifica senza specifica motivazione, del tutto mancata, e dovra’ essere nuovamente riconsiderata.
Se cosi’ non fosse, per effetto dei rilievi di cui sopra, da approfondire in sede di rinvio, ne conseguirebbe che e’ fondata anche altro profilo del) primo motivo, nella parte in cui deduce che non si sia trattato di donazione indiretta dell’immobile, ma di donazione di danaro.
La donazione indiretta dell’immobile non e’ infatti configurabile quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo del bene, giacche’ la corresponsione del denaro costituisce una diversa modalita’ per attuare l’identico risultato giuridico – economico dell’attribuzione liberale dell’immobile esclusivamente nell’ipotesi in cui ne sostenga l’intero costo (Cass. 2149/2014). Ne’ rileva la circostanza “incidentalmente ricordata” dalla Corte che nel corso del giudizio di primo grado la parte abbia dichiarato di essere disponibile alla imputazione dell’appartamento, giacche’ tale disponibilita’, evidentemente enunciata a fini transattivi, non trattandosi di dichiarazioni confessorie, e’ stata poi ritirata nel prosieguo processuale.
La Corte di appello ha considerato tutto il danaro come riferibile a donazione materna e sufficiente all’acquisto.
Il giudice di rinvio dovra’ riconsiderare questa affermazione alla luce dei principi sopraevidenziati, tenendo presente, ove occorra, quello, basilare in materia, enunciato da Sez. Un. n. 9282 del 1992, secondo cui: “Nel caso di soggetto che abbia erogato il denaro per l’acquisto di un immobile in capo ad uno dei figli si deve distinguere l’ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale caso il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si e’ in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto”.
3) E’ infondato il secondo motivo di ricorso, che dopo alcune enunciazioni in premessa, ripetitive di quanto altrove trattato espressamente (soprattutto nel primo motivo), si incentra sulla inammissibilita’ ex articolo 345 c.p.c., della produzione di tre documenti (rinuncia all’eredita’ paterna, estratto conto a scalare e copia assegno bancario del 1979), che sarebbero stati utilizzati dalla Corte di appello per porre in collazione il valore dell’immobile di Milano.
Al di la’ di quanto gia’ statuito circa la sorte della collazione del danaro utilizzato per l’acquisto dell’appartamento, va chiarito che la censura e’ inammissibilmente formulata, perche’ non specifica in qual modo le suddette produzioni documentali – sul contenuto preciso delle quali nulla si dice piu’ di quanto soprariportato – abbiano inciso in modo determinante sulla decisione contestata.
Va comunque ribattuto al ricorso che l’insegnamento della citata sentenza delle Sezioni Unite 8203/05 non e’ nel segno del divieto di produzione dei documenti in appello in ogni caso, ma solo se non siano indispensabili alla decisione (tra le tante cfr Cass 15228/14; 13432/13; 21980/09).
4) Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 726, 746 e 747 c.c., ed e’ relativo alla determinazione del valore dell’immobile di Milano, “dovendo al piu’ considerare solo la parte di denaro donata dalla madre defunta”.
Parte ricorrente chiarisce, richiamando il doc. 56, che l’immobile e’ stato alienato nel 2001 e che comunque esso, o il danaro per esso utilizzato, deve essere sottoposto a collazione per imputazione avendo riguardo al valore dell’immobile al tempo dell’apertura della successione, e non all’attualita’ come ritenuto dalla Corte di appello.
Il quarto motivo, da esaminare congiuntamente, pone la medesima questione sotto il profilo della “motivazione gravemente illogica e contraddittoria”.
La complessa censura e’ fondata.
L’articolo 746 stabilisce infatti che a scelta del conferente la collazione di un bene immobile si puo’ fare, anziche’ in natura, per imputazione. Tale scelta e’ obbligata qualora l’immobile sia stato alienato (articolo 746, comma 2). Inoltre e’ vero che la collazione per imputazione si fa avuto riguardo al valore dell’immobile al tempo dell’aperta successione.
Ne consegue che qualora in esito al giudizio di rinvio dovesse essere confermata la donazione indiretta dell’immobile, l’equivalente pecuniario del valore del bene deve essere determinato con riferimento alla sua consistenza al tempo dell’apertura della successione e non anche a quello della divisione (Cass. 14553/04), ma con l’avvertenza che la collazione per imputazione di beni immobili deve comprendere, oltre al valore di stima del bene al momento di apertura della successione, anche gli interessi legali rapportati a tale valore e decorrenti dal predetto momento (Cass. 25646/08; 5659/15).
L’imputazione del danaro, se di questo si trattera’, sara’ invece effettuata secondo l’articolo 751 c.c..
5) Il quinto e il sesto motivo sono relativi alla presentazione dei rendiconti richiesti dall’attrice ai fratelli e lamentano vizi di motivazione, nonche’ violazione e falsa applicazione degli articoli 723, 1130, 1713 e 2030 c.c..
La Corte di appello ha negato il diritto a una rendicontazione “dettagliata e completa”, affermando che i convenuti non avevano alcun obbligo giuridico in tal senso; che non avevano obbligo esclusivo perche’ anche la sorella avrebbe dovuto aver cura dei beni ereditati e non avrebbe potuto esser pretermessa, se non per sua scelta di delegare i fratelli o per suo disinteresse.
La ricorrente ha efficacemente contrastato tali affermazioni.
Ha evidenziato che gia’ durante la vita della madre il fratello (OMISSIS) gestiva i beni, tanto che la de cuius aveva chiesto un rendiconto (doc. 22) e aveva indicato in un allegato al testamento che il figlio (OMISSIS) aveva investito proprio danaro. Ha specificato che ella viveva in Milano, come e’ incontroverso, considerato quanto si e’ detto in causa circa l’appartamento da lei acquistato, e i fratelli in (OMISSIS) con la madre. Ha richiamato il verbale di causa del 17/2/1994 in cui i fratelli si dichiaravano disposti a darle le chiavi di immobili. Ha ricordato di aver presentato tre ricorsi ex articolo 700 c.p.c., per domandare la nomina di un amministratore e le vicende seguite alla conseguente nomina nel 1995 dell’avv. (OMISSIS).
Tali circostanze non sono state esaminate dalla Corte di appello e rendono viziata la sentenza impugnata da grave insufficienza, che rileva ex articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile anteriormente alla novella di cui alla L. n. 134 del 2012.
La carenza motivazionale si salda con la erroneita’ dei principi giuridici enunciati per giustificare la mancanza di un rendiconto dettagliato, addebitata al disinteresse o alla delega che la attrice avrebbe manifestato.
In proposito va per contro ripetuto che all’atto di scioglimento della comunione il possessore del cespite ereditario ha l’obbligo di rendere il conto in relazione ai frutti maturati prima della divisione (Cass. 21013/2011), giacche’ il coerede che abbia goduto in via esclusiva dei beni ereditari e’ obbligato, per il fatto oggettivo della gestione, sia al rendiconto che a corrispondere i frutti agli altri eredi a decorrere dalla data di apertura della successione (o dalla data posteriore in cui abbia acquisito il possesso dei beni stessi), senza che abbia rilievo la sua buona o mala fede (Cass. 2148/2014). Il presupposto della resa dei conti e’ la gestione di affari altrui condotta da uno dei partecipanti, restando irrilevante, quanto al relativo obbligo, la condotta disinteressata del coerede escluso dal possesso.
6) I principi teste’ enunciati conducono all’accoglimento anche del settimo motivo di ricorso nella parte in cui viene lamentato che sia stato negato l’obbligo dei coeredi convenuti “di pagare i frutti e/o l’indennita’ di occupazione per l’uso esclusivo di beni comuni”.
Con sommaria argomentazione la Corte d’appello e’ giunta a tale conclusione affermando che ciascun coerede aveva diritto di godere delle cose comuni e che la (OMISSIS) non aveva mai chiesto di utilizzarle e inoltre aveva goduto in via esclusiva dell’appartamento in Milano.
Queste proposizioni, al di la’ forse di considerazioni equitative che ne sono il fondamento, sono giuridicamente errate, poiche’ diverso e’ il trattamento, quanto ai frutti e al godimento, dei beni entrati nella massa perche’ comuni e indivisi – che sono quelli goduti dai convenuti – e dei beni soggetti a collazione, appartenenti gia’ all’erede al momento della successione.
Il beneficio legittimamente tratto per se’ dall’erede che era gia’ esclusivo proprietario di beni anteriormente donatigli non e’ compensabile imponendogli la perdita del diritto di godere di altri beni anche da lui ereditati e indivisi.
Per contro, come si e’ detto, all’atto dello scioglimento della comunione, il possessore del cespite ereditario ha l’obbligo di rendere il conto in relazione ai frutti maturati prima della divisione.
7) Fondato e’ anche l’ottavo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1718 e 2043 ed e’ relativo alla domanda di risarcimento del danno per furto di gioielli e altri beni.
La Corte di appello ha escluso la responsabilita’ dei convenuti affermando che la sottrazione dei beni era dipesa da causa ad essi non imputabile, e che li aveva danneggiati.
Quest’ultimo argomento non ha rilievo in ordine alla dedotta responsabilita’, avendo una consistenza di natura equitativa inappropriata al valore della lite.
Il presupposto della responsabilita’ per il danno provocato dalla cosa in custodia puo’ consistere infatti anche nella comproprieta’ della cosa e in tale ipotesi danneggiato puo’ essere anche uno dei comproprietari (Cass. 255/89).
La non imputabilita’ e’ stata enunciata apoditticamente, giacche’ parte convenuta aveva l’onere di provare di aver custodito i beni con ordinaria diligenza e quindi di dimostrare la corretta chiusura della casa e la adozione di cautele (serrature, cassaforte, nascondigli, ricovero in cassette di sicurezza, etc.) proporzionati al valore patrimoniale e alla destinazione dei singoli oggetti rubati.
Su questi profili il giudice di rinvio dovra’ compiutamente rispondere all’atto di appello.
8) L’accoglimento del ricorso principale impone di esaminare il ricorso incidentale.
Infondatamente (OMISSIS) ne ha eccepito l’inammissibilita’ per vizio della notifica.
Va ribadito che nel caso in cui il ricorso (o il controricorso) per cassazione sia notificato non al procuratore costituito nel giudizio di merito ma alla parte presso il suo procuratore e domiciliatario o nel domicilio eletto dal procuratore medesimo (caso odierno, ben diverso da quello evocato dalla ricorrente incidentale), la notifica, sempre che non sia stata ricevuta personalmente dallo stesso difensore, non puo’ ritenersi effettuata presso persona e in luogo non aventi alcun riferimento con il destinatario dell’atto e, pertanto, non e’ inesistente ma solo nulla per inesatta individuazione della persona del destinatario (Cass. 16578/08); ne consegue che la predetta nullita’ e’ sanata ove l’intimato abbia svolto la propria attivita’ difensiva, come nella specie, con la notifica del controricorso (o di altro atto difensivo) (Cass. 15236/14). In mancanza la Corte avrebbe disposto rinnovazione della notifica, non essendo configurabile alcuna decadenza di carattere sostanziale (cfr. Cass SU 14916/2016).
8.1) I fratelli convenuti eccepiscono che si e’ formato un giudicato parziale per omessa impugnazione – da parte della sorella – dell’ordinanza 22 luglio 2000, resa dal giudice istruttore.
Lamentano pertanto che la Corte territoriale abbia ritenuto ammissibile l’appello.
La censura e’ infondata per almeno due ragioni.
In primo luogo perche’ si tratta di ordinanza resa dall’istruttore e non dal collegio che doveva decidere e ha poi deciso la causa, secondo il rito al tempo vigente, collegio che e’ stato investito dall’istruttore.
Per questa ragione e per la forma del provvedimento, avente per ogni aspetto la forma dell’ordinanza interlocutoria il principio dell’apparenza escludeva comunque la configurabilita’ di una impugnazione o della necessita’ di una riserva di impugnazione.
Trattavasi in ogni caso di ordinanza di contenuto istruttorio e interlocutorio. Essa e’ riportata diligentemente nel corpo ricorso incidentale, il che consente di valutarne il contenuto, chiaramente finalizzato a sfrondare la materia del contendere al solo fine di far comprendere il senso dell’unica iniziativa istruttoria adottata: la consulenza tecnica. Il carattere assertivo di alcune proposizioni, quale quella che preannunciava la non necessita’ di valutare i gioielli o di indagare ulteriormente sulla indennita’ di occupazione (di cui “e’ dubbio che spetti” scriveva significativamente l’ordinanza, lasciando spazio allo scrutinio finale) costituiscono forma collaborativa ed esemplare di dialogo processuale ex articolo 183 c.p.c., innescato indicando le questioni come inquadrate dal giudice e su cui le parti avrebbero dovuto soffermarsi nel prosieguo di causa.
Se cosi’ non avesse fatto, il giudice si sarebbe esposto a critica per avere assunto decisione a sorpresa, senza aver indicato alle parti i profili (la compensazione tra godimento di immobile donato e immobili posseduti dai fratelli; il furto come “causa di forza maggiore”) ritenuti rilevanti per la futura decisione.
8.2) L’inammissibilita’ dell’appello e’ invocata anche sotto altro profilo: la (OMISSIS) ha sottoposto ad appello la sentenza non definitiva del tribunale di Ferrara senza attendere la pronuncia della sentenza definitiva, sebbene avesse formulato riserva di appello differito ex articolo 340 c.p.c..
Secondo i ricorrenti incidentali il ripensamento della (OMISSIS) sarebbe inammissibile e vizierebbe irrimediabilmente l’impugnazione.
La cesura e’ infondata, giacche’, come dedotto in ricorso, la sentenza 1149/03, che non si autoqualificava come sentenza non definitiva, aveva contenuto pienamente decisorio, provvedendo espressamente a dividere l’eredita’ relitta da (OMISSIS) in tre parti uguali, decidendo, sia pure con motivazione sincopata e carente, riverberatasi dannosamente sul giudizio di appello, tutte le ragioni di contrasto.
La separata ordinanza preannunciata a chiusura solo del dispositivo della sentenza – e non della motivazione – era infatti volta solo alla rimessione all’istruttore per l’assegnazione, da effettuare evidentemente con estrazione a sorte.
L’assegnazione dei lotti non e’ soggetta a ricorso per Cassazione, ai sensi dell’articolo 111 Cost., trattandosi di provvedimento carente dei requisiti formali e sostanziali della sentenza, il quale costituisce un mero atto esecutivo delle decisioni gia’ assunte.
Ne consegue che, ravvedutasi, parte ricorrente bene fece a interporre immediato appello e la Corte a procedere all’esame senza attendere una sentenza definitiva che non sarebbe arrivata, dovendo soltanto essere pronunciato un provvedimento di assegnazione.
Cio’ in quanto in tal caso sia sostanza che forma del provvedimento conducevano nel senso della sua immediata appellabilita’.
Significativamente la eccezione ora proposta non risulta in sentenza essere stata sollevata davanti alla Corte felsinea.
Va riaffermato che ha natura definitiva la sentenza che, intervenendo nel corso del giudizio divisorio, risolva tutte le contestazioni insorte fra i condividenti, in ordine ai rispettivi diritti, nonche’ ai limiti e alle particolari connotazioni di questi, rimettendo ad una successiva fase esclusivamente le operazioni (stima, sorteggi di lotti, determinazioni di eventuali plusvalenze o minusvalenze e relativi conguagli) relative alla concreta determinazione ed all’attribuzione delle quote. (Cass. 12818 del 12/07/2004; 3788/94).
Pertanto non valgono nella specie le argomentazioni, peraltro non condivisibili, svolte circa l’irretrattabilita’ della riserva di impugnazione.
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso incidentale.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi del ricorso principale che hanno meritato l’accoglimento e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per il riesame dell’appello alla luce dei principi enunciati nei §§ 2-4-5 e per sanare le carenze motivazionali rilevate.
Il giudice di rinvio liquidera’ le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso incidentale. Rigetta il secondo motivo del ricorso principale. Accoglie gli altri motivi del ricorso principale nei sensi di cui in motivazione.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Bologna, che provvedera’ anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’

Cessata la convivenza tra coniugi, le condotte violente ed aggressive rilevano come stalking e non come maltrattamenti in famiglia

Cass. pen. Sez. VI, 19 luglio 2017, n. 35673
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
T.A., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/04/2016 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPOZZI;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. ROSSI Agnello, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
Uditi i difensori:
L’avvocato MARRO Mariapaola, in difesa delle PC F.P.A.A. in proprio e in qualità di genitore esercente la potestà sulla figlia minore V.V., che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, depositando conclusioni e nota spese;
L’avvocato ANDREANO Michele, in difesa di T.A., riportandosi anche ai motivi già depositati, rilevando la prescrizione del reato di cuiall’art. 582 c.p., insiste per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano – a seguito di gravame interposto dall’imputato T.A. avverso la sentenza emessa il 10.4.2014 dal locale Tribunale – ha confermato la decisione con la quale il predetto è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi A) (art. 572 cod. pen.ai danni della convivente e delle figlie) e B) (art. 582 cod. pen. ai danni della convivente) e condannato a pena di giustizia, oltre le statuizioni civili.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che, a mezzo del difensore, deduce:
2.1. Vizio della motivazione in relazione alla valutazione di attendibilità della persona offese ed al giudizio di fondatezza del parere reso dal teste qualificato d.ssa B.. La sentenza risulterebbe assolutamente carente in relazione alla rilievo difensivo sulla quantità indefinita di denunce-querele subite dalla stessa parte offesa, tra le quali quella di C.A. per l’ipotesi di cuiall’art. 368 cod. pen..In tale contesto si colloca la insufficiente valutazione della Corte in ordine alla incidenza della mendacità commessa da V.V. – sulle cui motivazioni la Corte di merito sorvolerebbe e la cui ritrattazione risulterebbe solo frutto di timori conseguenti alle indagini in ordine alla calunnia perpetrata ai danni del C. – sul complessivo contributo dichiarativo di questa, della sorella e della madre. Inoltre, ingiustificata sarebbe la riconduzione all’imputato di condotte poste in essere da terzi, ivi comprese le vicende relative all’invio della foto di nudo, del manifesto o della missiva con le foto di proiettili. Quanto al contributo dichiarativo della d.ssa B., risulterebbe del tutto illogico evidenziare, da un lato, l’assenza di un vaglio di credibilità ad opera della teste de relato del narrato ricevuto e, da altro lato, ritenere egualmente genuino il contenuto riportato così come dalla teste ricevuto, a fronte di un incontestato mendacio rilasciato nell’ambito del medesimo procedimento nel quale la teste depone. Dovendosi, inoltre, tenere conto del contesto temporale in cui ha operato la teste, coincidente con quello in cui si è generato il processo penale ed a distanza di due anni dall’episodio che ha segnato la conclusione della relazione tra l’imputato e la p.o. (nella notte tra il 7 e 8 maggio 2009).
2.2. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla contestata attualità della condotta, rispetto alla rilevata cessazione della relazione tra il T. e la F. nel 2009. Risulterebbe, poi, priva di motivazione la concorsuale responsabilità dell’imputato nelle interferenze poste in essere dal fratello A. ed incongruo il giudizio sulla difficoltà da parte delle vittime di collocare temporalmente gli episodi vessatori, rispetto alla ripetuta presentazione di ben 17 denunce-querele per 25 fatti.
2.3. Mancata assunzione di prova decisiva e vizio di motivazione sulla richiesta di rinnovazione istruttoria per l’espletamento di una perizia psichiatrica sulla p.o. con riferimento alla convocazione presso l’Unità Psichiatrica di (OMISSIS) e la esigenza di una verifica delle cause dell’induzione al mendacio della figlia.
2.4. Mancanza della motivazione in ordine alla deduzione difensiva volta alla derubricazione del reato di maltrattamenti in quelli di ingiurie ed al contenimento della pena nei minimi edittali.
3. All’udienza del 26.4.2017 questa Corte ha emesso ordinanza con la quale ha indicato, ai fini della integrazione del contraddittorio, la possibilità di diversa qualificazione dei fatti successivi al maggio 2009 ai sensi dell’art. 612 bis cod. pen. e rinviato all’odierna udienza.
4. Con memoria difensiva nell’interesse del ricorrente nell’evidenziare la novità della prospettata riqualificazione si sostiene l’impossibilità di un contraddittorio di sola legittimità sul punto da parte della difesa. Una conclusione eventualmente diversa dall’annullamento della sentenza impugnata – secondo il ricorrente – apporterebbe un vulnus difensivo in considerazione del fatto che il ricorrente si troverebbe ad essere giudicato su un thema non corrispondente alla realtà processuale vissuta. E lo stesso intervallo temporale intercorrente tra la precedente udienza e quella odierna non escluderebbe la natura di “atto a sorpresa” nei confronti del ricorrente della paventata più grave riqualificazione, la quale non potrebbe prescindere – ai sensi dell’art. 6 par. 3 CEDU – dalla sua dettagliata formulazione, nella specie non verificatasi, anche ai fini della necessaria difesa nel merito.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è solo in parte fondato.
2. Il primo motivo è generico ed in fatto rispetto alle ragioni poste a base della affermazione di responsabilità che – da un lato – hanno del tutto correttamente considerato l’episodio del mendacio ritenendo che esso non influisse sul complessivo molteplice dato dichiarativo dal quale emergevano i reiterati episodi di insulti, aggressioni e violenze poste in essere dall’imputato ai danni della convivente e delle figlie – dall’altro – del pari correttamente valutato il contributo dichiarativo della d.ssa B. che ebbe a constatare le condizioni di grave rischio in cui versavano la madre e le figlie, cogliendone reali condizioni di malessere e sofferenza, non risultando fuorviata nelle sue valutazioni dal noto episodio di mendacio narrativo, costituente un frammento di un ben più ampio compendio conoscitivo del quale la teste era stata investita. Quanto, infine, alla censura dell’attribuzione all’imputato di condotte di terzi, non solo risulta ineccepibilmente motivata la genericità della accusa mossa alla madre ed alle figlie di condotte ai danni di abitanti di (OMISSIS), ma correttamente e specificamente valutata la compartecipazione dell’imputato alle condotte di terzi in termini concorsuali o sinergici.
3. Il secondo motivo è fondato nei termini che seguono.
3.1. Ferma restando la ineccepibile valutazione in ordine alle condotte di terzi, la Corte ha correttamente giustificato la prosecuzione delle condotte pesantemente aggressive e persecutorie del ricorrente nei confronti della donna successivamente alla fine del rapporto (di cui consta la cessazione alla data del 9 maggio 2009) – su iniziativa della donna – attraverso ripetute minacce anche di morte mediante l’uso di armi, appostamenti sotto casa o nei centri commerciali, telefonate alle figlie, gomme tagliate e aggressioni dietro appostamenti (v. pag. 8/9 della sentenza impugnata).
3.2. La prima sentenza, ha già richiamato la situazione di disagio di V.V. la quale non frequentava più le lezioni a causa di una forte preoccupazione personale maturata a seguito di una situazione di rischio quotidiano derivante dalle condotte di tipo persecutorio poste in essere nei confronti del suo nucleo familiare (v. pg. 8 della sentenza di primo grado). Quanto alla F., il primo giudice ha accertato che la donna risulta essere stata oggetto di una propalazione diffamatoria e minacciosa, realizzata nel contesto cittadino di (OMISSIS) mediante l’affissione di scritti ed immagini subito dopo l’interruzione relazionale con l’imputato avvenuta a seguito dell’aggressione lesiva subita in data 7-8 maggio 2009, incominciata in data 29 maggio 2009 (v. pg. 8 della prima sentenza), alla quale seguiva l’inoltro di minacce con raffigurazione di cartucce e frasi del tipo “abbiamo seguito i vostri movimenti…uscite e rientri a casa per giorni e giorni…potevamo sequestrare una delle tue figlie.. non ci costringere a fare questo così come di non usare queste pallottole” (v. pg. 9, ibidem). Ancora, il primo giudice ha rilevato che, “sempre a conferma di attività decisamente persecutorie sofferte dalle parti lese” si segnalano le stesse sproporzionate attività di polizia posta in essere dai carabinieri di (OMISSIS), rispetto ai quali emerge una “contiguità relazionale” con i fratelli T. (v. pg. 10, ibidem). Infine, il primo Giudice individua la denuncia alla A.G. del 24.12.2012 del Soccorso violenza sessuale e domestica della clinica (OMISSIS), dalla quale emerge una chiara sintomatologia di V.S. (crisi di asma, attacchi di panico, disturbi psicosomatici) associabile, come descritto anche dalla d.ssa C.M.J. nella relazione del 17.12.2013 la quale evidenzia l’esistenza di “una grava condizione di stress e timore per la sua incolumità fisica che trovano espressione tramite sintomatologia corporea, alla paura per gli atti violenti posti in essere dai fratelli T.” (v. pg. 13, ibidem).
Lo stesso Giudice di primo grado conclude qualificando nell’ambito del delitto di cui all’art. 612 bis cod. pen. gli episodi di “stalking” consumati dall’imputato dopo la cessazione della convivenza (v. pg. 14 della prima sentenza), pur non applicando per tale diversa condotta alcuna pena (l’incremento di pena è stato applicato, in ragione della continuazione, per il solo reato di cui al capo B). Invece, i Giudici di appello hanno ritenuto di ascrivere all’imputato dette condotte nell’ambito della ipotesi di cuiall’art. 572 cod. pen., così giustificandone la permanenza attuale.
3.3. E’ stato affermato che, in tema di rapporti fra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori (art. 612-bis, cod. pen.), salvo il rispetto della clausola di sussidiarietà previstadall’art. 612-bis cod. pen., comma 1, – che rende applicabile il più grave reato di maltrattamenti quando la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della relativa fattispecie – è invece configurabile l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (previstadall’art. 612-bis cod. pen., comma 2) in presenza di comportamenti che, sorti nell’ambito di una comunità familiare (o a questa assimilata), ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale (Sez. 6, n. 24575 del 24/11/2011, Frasca, Rv. 252906). E’ stato chiarito che l’oggettività giuridica delle due fattispecie di cui agli (artt. 572 e 612 bis c.p.) è diversa e diversi sono i soggetti attivi e passivi delle due condotte illecite, ancorché le condotte materiali dei reati appaiano omologabili per modalità esecutive e per tipologia lesiva. Il reato di maltrattamenti è un reato contro la famiglia (per la precisione contro l’assistenza familiare) e il suo oggetto giuridico è costituito dai congiunti interessi dello Stato alla tutela della famiglia da comportamenti; vessatori e violenti e dell’interesse delle persone facenti parte della famiglia alla difesa della propria incolumità fisica e psichica. La latitudine applicativa della fattispecie è determinata dall’estensione di rapporti basati sui vincoli familiari, intendendosi per famiglia ogni gruppo di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, si siano instaurati rapporti di assistenza e solidarietà reciproche, senza la necessità (pur ricorrente in tal genere di consorzi umani) della convivenza o di una stabile coabitazione. Al di là della lettera della norma incriminatrice (“chiunque”) il reato di maltrattamenti familiari è un reato proprio, potendo essere commesso soltanto da chi ricopra un “ruolo” nel contesto della famiglia (coniuge, genitore, figlio) o una posizione di “autorità” o peculiare “affidamento” nelle aggregazioni comunitarie assimilate alla famigliadall’art. 572 c.p.(organismi di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, professione o arte). Specularmente il reato può essere commesso soltanto in pregiudizio di un soggetto che faccia parte di tali aggregazioni familiari o assimilate. Il reato di atti persecutori è un reato contro la persona e in particolare contro la libertà morale, che può essere commesso da chiunque con atti di minaccia o molestia “reiterati” (reato abituale) e che non presuppone l’esistenza di interrelazioni soggettive specifiche. Il rapporto tra tale reato e il reato di maltrattamenti è regolato dalla clausola di sussidiarietà prevista dall’art. 612 bis c.p., comma 1 (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”), che rende applicabile – nelle condizioni date prima descritte – il reato di maltrattamenti, più grave per pena edittale rispetto a quello di atti persecutori nella sua forma generale di cui all’art. 612 bis c.p., comma 1.
Soltanto la forma aggravata del reato prevista dall’art. 612 bis c.p., comma 2, recupera ambiti referenziali latamente legati alla comunità della famiglia (in senso stretto e suo proprio, con esclusione delle altre comunità assimilate exart. 572 c.p., comma 1) e che ne costituiscono – se così può dirsi – postume proiezioni temporali, allorché il soggetto attivo (in questa forma aggravata il reato acquista natura di reato proprio) sia il coniuge legalmente separato o divorziato o un soggetto che sia stato legato da relazione affettiva alla persona offesa (cioè da una aggregazione in sostanza surrogatoria della famiglia stricto sensu).
Sotto questo profilo, ferma l’eventualità ben possibile di un concorso apparente di norme che renda applicabili (concorrenti) entrambi i reati di maltrattamenti e di atti persecutori, il reato di cui all’art. 612 bis c.p. diviene idoneo a sanzionare con effetti diacronici comportamenti che, sorti in seno alla comunità familiare (o assimilata) ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulerebbero dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo o sodalizio familiare e affettivo o comunque della sua attualità e continuità temporale. Ciò che può valere, in particolare (se non unicamente), in caso di divorzio o di “relazione affettiva” definitivamente cessata, giacché anche in caso di separazione legale (oltre che di fatto) questa S.C. ha affermato la ravvisabilità del reato di maltrattamenti, al venir meno degli obblighi di convivenza e fedeltà non corrispondendo il venir meno anche dei doveri di reciproco rispetto e di assistenza morale e materiale tra i coniugi (cfr.: Cass. Sez. 5, 1.2.1999 n. 3570, Valente, rv. 213515; Cass. Sez. 6,27.6.2008 n. 26571, rv. 241253) (conforme Sez. 6, n. 30704 del 19/05/2016, D’A., Rv. 267942).
3.4. Ritiene la Corte che la cessazione della convivenza da parte dell’imputato – non legato con la donna maltrattata da rapporto di coniugio – non consente di qualificare la prosecuzione della condotta persecutoria nell’ambito del reato di cuiall’art. 572 cod. pen.ipotizzato dall’accusa, dovendosi tale parte della condotta qualificare nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 612 bis cod. pen., comma 2.
3.5. Quanto al contraddittorio sulla qualificazione giuridica delle condotte successive alla cessazione della convivenza (a partire dall’episodio sub B) va detto quanto segue.
3.6. Va richiamato per la sua valenza generale l’orientamento secondo il quale l’attribuzione all’esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazionedell’art. 521 cod. proc. pen., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla lucedell’art. 111 Cost., comma 2, e dell’art. 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte Europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438).
3.7. Deve, inoltre, rilevarsi che è manifestamente infondata la eccepita novità della qualificazione giuridica delle condotte successive alla cessazione della convivenza nell’ambito del reato di cui all’art. 612 bis cod. pen., risultando essere già stata operata dal primo giudice di merito. Cosicché alcuna violazione del diritto di difesa è verificabile nella specie.
3.8. Pertanto, la condotta exart. 572 cod. pen.ascritta al ricorrente deve ritenersi terminata nel maggio 2009, al momento della cessazione della convivenza tra l’imputato e le parti offese, mentre quella successiva a tale momento deve essere qualificata ai sensi dell’art. 612 bis cod. pen., comma 2, rigettandosi – in parte qua – il ricorso.
4. Il terzo motivo è manifestamente infondato, quando non proposto per ragioni che esulano da quelle previste dall’ordinamento.
4.1. In riferimento al giudizio di appello, la mancata assunzione di una prova decisiva può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensidell’art. 606 cod. proc. pen., lett. d) solo quando si tratti di prove sopravvenute o scoperte dopo la pronuncia di primo grado, che avrebbero dovuto essere ammesse secondo il dispostodell’art. 603 cod. proc. pen., comma 2. Negli altri casi, la decisione istruttoria è ricorribile, ai sensidell’art. 606 cod. proc. pen., lett. e), sotto il solo profilo della mancanza o manifesta illogicità della motivazione come risultante dal testo del provvedimento impugnato e sempre che la prova negata, confrontata con le ragioni addotte a sostegno della decisione, sia di natura tale da poter determinare una diversa conclusione del processo (Sez. 2, n. 44313 del 11/11/2005, Picone, Rv. 232772).
4.2. Pertanto, in assenza di prove sopravvenute, sfugge a censure di legittimità la risposta priva di vizi logici e giuridici, data in relazione alla richiesta di rinnovazione probatoria dalla Corte di merito per la esaustività delle acquisizioni probatorie.
5. Manifestamente infondato è il quarto motivo rispetto alla ricostruzione del fatto in termini di maltrattamenti, che – pertanto implicitamente ha escluso una diversa e meno grave qualificazione dei fatti medesimi.
6. La parziale fondatezza del ricorso impone di rilevare, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., comma 1, ed in assenza delle condizioni di cui all’art. 129 cod. proc. pen., comma 2, l’avvenuto decorso della prescrizione in ordine al reato di maltrattamenti sub A) commesso fino al maggio 2009 ed al reato di cui al capo B). Non rileva ai fini penali la susseguente condotta qualificata ai sensi dell’art. 612 bis cod. pen., comma 2, in ragione del fatto che alcuna pena risulta essere stata inflitta in primo grado per tale parte di condotta (senza che ciò sia stato oggetto di impugnazione da parte del P.M.).
7. In conclusione deve essere disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle condotte ex art. 572 cod. pen.commesse in costanza di convivenza per intervenuta prescrizione alla data del novembre 2016, riqualificando i fatti ad esse successivi nell’ambito dell’art. 612 bis cod. pen., rigettandosi – per questa parte – il ricorso a riguardo, non sussistendo – per quanto si è detto – elementi per una declaratoria ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., comma 2.
8. Vanno confermate le statuizioni civili ed il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili che si stima equo determinare come in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, in riferimento al reato di cui all’art.572 c.p. commesso fino al maggio 2009 e in riferimento al reato di cui al capo B), perché estinti per prescrizione rigetta il ricorso in riferimento alle condotte successive al maggio 2009 di cui al capo A), qualificate ai sensi dell’art. 612 bis c.p., comma 2. Conferma le statuizioni civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili, che liquida complessivamente in Euro 3.500,00 oltre 15% per spese generali, Iva e Cpa.

Il genitore che pretende di essere prevalente viola il diritto del figlio al paritario accesso ad entrambi

Tribunale di Salerno, 28 giugno 2017
I SEZIONE CIVILE
Il Collegio, riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei magistrati:
Dottor Giorgio Jachia Presidente Est.
Dottor Guerino Iannicelli Giudice
Dottoressa Valentina Chiosi Giudice
DECRETO
In materia di provvedimenti relativi all’affidamento e al mantenimento del figlio nato
fuori dal matrimonio nel procedimento civile di Volontaria Giurisdizione vertente tra
le seguenti
PARTI
1) Padre
Rappr. E difeso da avv. E.B.
RICORRENTE
AVVERSO
2) Madre
Rappr. E difeso da avv. M.R.D.C
RESISTENTE
3) Pubblico Ministero in persona del Procuratore della Repubblica
PARTE NECESSARIA
ESAMINATI GLIATTI , I DOCUMENTI E LE
CONCLUSIONI
RICORRENTE
affidare il figlio minore ad entrambi i genitori, con esercizio disgiunto della
responsabilità genitoriale per le sole questioni di ordinaria amministrazione;
stabilire che il minore vivrà prevalentemente con la madre, con facoltà per il
padre di tenerlo ed averlo con sé, salvo diverso accordo tra in genitori,
secondo le seguenti modalità: (omissis)
stabilire che il padre corrisponderà alla madre per il mantenimento del figlio,
l’assegno perequativo di Euro 400,00 mensili ovvero la diversa somma
ritenuta di giustizia; detto importo sarà adeguato annualmente secondo
l’indice ISTAT;
stabilire che saranno divise al 50 % tra i genitori le spese straordinarie
(omissis).
RESISTENTE IN COMPARSA IL 12.04.17
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disporre l’affidamento condiviso del minore ad entrambi i genitori con
residenza stabile e privilegiata presso la madre e con la turnazione prevista
nella parte motiva;
richiedere l’intervento dei Servizi Sociali onde accertare le precarie
condizioni dell’abitazione del padre in cui egli dovrà ospitare il minore;
prevedere, fintantochè persiste lo stato di malessere del bambino, che il padre,
nei giorni di sua spettanza, lo veda a Salerno prendendo in fitto un
appartamento o un bad and breakfast fino a quando il minore non sarà in
grado di recarsi a Castellabate;
disporre che il padre versi un assegno di mantenimento per il figlio non
inferiore ad euro 1000,00, oltre alla corresponsione del 70% delle spese
straordinarie concordate e documentate (scolastiche, ricreative, di studio e
medico-specialistiche non coperte dal SSN), da versarsi entro il giorno 5 di
ogni mese con rivalutazione annuale secondo gli indici Istat; detto assegno
sarà comprensivo del contributo per la locazione di un appartamento in cui la
ricorrente andrà a vivere con il figlio;
ordinare le indagini di Polizia Tributaria volte all’esatta quantificazione dei
redditi del ricorrente con estensione delle indagini ai beni immobili e ai conti
correnti riferiti e/o riferibili al padre anche se intestati a soggetti diversi e
movimentazioni delle carte di credito.
RESISTENTE IN UDIENZA IL 18.04.17
La parte resistente modifica le conclusioni chiedendo affido condiviso, uno o
due pomeriggi alla settimana possibilmente senza pernotto, con pernotto nei
w.e. alternati e nelle vacanze estive.
ESPONE LE
RAGIONI DELLADECISIONE
1 ILLEGITTIMO AFFIDO ESCLUSIVO DI FATTO
1.1 SITUAZIONE DI FATTO
In fatto va subito evidenziato che vi sono state due udienze (14.04 e 18.04) e che nel
corso della prima udienza è stato attribuito al padre il diritto di vedere da solo il figlio
il giorno 17.04.17
Va poi precisato che la madre, presente solo alla seconda udienza ha ammesso che il
padre non aveva mai visto il minore da solo prima del 17.04.17.
Tale comportamento concreta a giudizio del Tribunale un affido esclusivo di fatto.
In comparsa di costituzione al madre rivendica l’ineluttabilità di tale situazione per
via: – dell’età del minore; – della possibilità che il minore abbia conati di vomito in
caso di trasporto con autovetture verso il domicilio del padre distante circa 30 km da
quello della madre; – dell’indispensabilità della presenza materna ad ogni incontro del
padre con il minore in quanto il padre sarebbe intrinsecamente inidoneo a curare
anche temporaneamente il minore; – di una minore frequentazione paterna del minore
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già all’epoca della convivenza in quanto fuori tutto il giorno per lavoro; – infine
dell’insalubrità del domicilio paterno.
Nel corso della seconda udienza la madre compare in udienza e prende atto di avere
un reddito formato da 14 mensilità e non di 1500,00 ma di circa 2.000,00 avendo
sottratto un finanziamento personale di € 375,00 circa.
Ma non solo: precisa che il bambino non soffre di mal d’auto e che ella stesa ha
portato il minore la domenica dal proprio fratello che abita vicino al padre.
Soggiunge che la casa del padre non è in condizioni insalubri per quanto visto.
Prende atto che il bambino è stato bene con il padre per la prima volta il giorno
prima. Dice che il bambino oggi costa € 600,00 di baby sitter (circostanza nuova e
non documenta) ed € 400,00 circa di varie. Quel che preoccupa è quanto accaduto al
momento del passaggio del bambino al ritorno a causa di un incidente (ammesso da
entrambe le parti) con la nonna materna davanti al bambino .
In diritto si deve introduttivamente precisare che l’art. 337 quater c.c. impone al
giudice di valutare il solo chiedere infondatamente l’affido esclusivo (Art. 337 quater
c.c. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo
… Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il
comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da
adottare nell’interesse dei figli, …) il che dimostra quanto sia illegittimo il realizzarlo
con comportamenti concludenti, anche e soprattutto nelle crisi genitoriali con infanti
così privati illegittimamente di uno dei genitori. Inaccettabile la pretesa materna di far
vedere al padre il bambino solo alla sua presenza fino all’ordine del Giudice Relatore
del 14.04.18 ed alla sua esecuzione del 17.04.17
Di qui la considerazione che ogni riscontrata ingiustificata realizzazione di affido
esclusivo di fatto debba essere immediatamente interrotta; di qui il corollario della
necessità in tutti questi casi di valutare se attribuire al genitore estromesso
specifici compiti di cura per equilibrare eventuali maggiori tempi comunque lasciati
al genitore estromettente ma solo e soltanto in funzione dell’interesse del minore.
2DELL’AFFIDO CONDIVISO
2.1 DIFFERENTI RICHIESTE DIAFFIDO CONDIVISO
Le parti chiedono entrambe di applicare l’affido condiviso ma con così differenti
modalità di estrinsecazione da rendere necessaria una riflessione attenta sull’istituto
al fine di rappresentare ai genitori quale sia il concreto interesse del minore ed
invitarle non solo ad applicare in concreto congiuntamente l’astratto schema
individuato nel dispositivo di questo provvedimento ma a valorizzare il principio
legislativo (dettato dal secondo comma dell’337 ter c.c.) della prevalenza (se non
contrari all’interesse dei figli) degli accordi intervenuti tra i genitori e quindi a
ripartirsi in futuro i compiti e i tempi (non in funzione di una schematica alternanza)
in funzione dell’interesse del minore ad un equilibrato ed armonico sviluppo della
personalità, che si sostanzia: nel mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con
ciascuno dei genitori; nel ricevere cure, educazione e istruzione da entrambi i
genitori; nel conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di
ciascun ramo genitoriale; nel vivere con ognuno dei genitori momenti di
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quotidianità (se necessario differenti) nelle forme (tempi e modalità) o concordate
tra le parti (genitori e con il progredire dell’età anche i figli) o determinate dal
giudice; nell’avere libero accesso ad entrambi i genitori.
In quest’ottica va rammentato che l’affido condiviso è disposto per attuare al
contempo il diritto di ogni genitore a mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30
cost.) ed il diritto della prole (art. 315 bis primo comma c.c.) a mantenere un rapporto
equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori nonché di ricevere cura,
educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti
significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Ciò non di meno (per le ragioni meglio di seguito evidenziate) l’affido condiviso è (in
applicazione stretta degli i artt. 337 bis e ter c.c.) inequivocabilmente funzionalizzato
alla realizzazione dell’interesse morale e materiale della prole e per questa ragione,
dopo e nonostante la crisi della coppia, i provvedimenti giudiziari mirano
(ovviamente ove possibile) alla conservazione (od al ripristino) del rapporto dei
minori con entrambi i genitori il che comporta l’attribuzione a ciascuno di essi di pari
opportunità quando abbiano capacità genitoriali omogenee e quando il minore abbia
in concreto l’interesse ad una frequentazione paritaria (cfr., Tribunale Roma,
sez. I, 20/01/2015 n. 1310; Corte appello Bologna, sez. I, 14/04/2016 n. 625) o,
viceversa, all’attribuzione a ciascuno di essi di compiti di cura e di tempi di
frequentazione differenti quando in concreto ciò corrisponda all’interesse del minore .
2.2 CURA E PROVVEDIMENTI FUNZIONALIZZATI
In quest’ottica i genitori devono comprendere che chiedere di attribuire all’altro il
20% del tempo mensile o di non attribuire all’altro nessun compito di cura comporta
il chiedere all’Autorità Giudiziaria di allontanare l’altro genitore dalla quotidianità
del bambino con effetti irrimediabili sulla relazione genitoriale e sulla crescita
psicologica del minore.
Non è certo, invece, impossibile conferire al genitore meno temporalmente presente il
potere di decidere il compito ordinario di scegliere con il minore quali siano gli sports
a lui più confacenti ed attribuire a tale genitore anche il dovere di accompagnarlo e di
comprargli gli indumenti all’uopo utili.
Soprattutto in tutti i casi, come questo, in cui emergano conflitti genitoriali gravi
l’attribuzione esclusiva al genitore meno temporalmente presente di singoli compiti
esclusivi di ordinaria cura modifica immediatamente gli equilibri all’interno della
coppia genitoriale e migliora la relazione di entrambi con il minore.
2.3 DIRITTI DEI MINORI
In generale, va preliminarmente rammentato, che il legislatore ha nei primi due
commi dell’art. 315 bis c.c. e nel primo comma dell’art. 337 bis c.c. scolpito il
passaggio da una visione adultocentrica ad una visione sensibile alla tutela ed agli
interessi dei minori ponendo in luce i diritti dei figli non a caso anteposti logicamente
all’art. 316 c.c. concernente la responsabilità genitoriale ed al secondo comma
dell’art. 337 bis c.c. concernente i provvedimenti giudiziari inerenti i minori.
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Ai sensi dell’art. 315 bis primo comma c.c. il figlio ha diritto di essere mantenuto,
educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità,
delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
Ai sensi dell’art. 315 bis primo comma c.c. il figlio ha diritto di crescere in famiglia e
di mantenere rapporti significativi con i parenti.
Ai sensi del primo comma dell’art. 337 ter c.c. il figlio minore ha il diritto di
mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di
ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare
rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
In quest’ottica la definizione di responsabilità genitoriale collide con quella della
potestà genitoriale ove si leggeva il figlio è soggetto alla potestà paterna.
Infatti non si legge più alcuna soggezione del figlio ai genitori.
Oggi l’art. 316 c.c. dispone che entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale
che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni
naturali e delle aspirazioni del figlio.
Dispone inoltre sempre il primo comma dell’art. 316 c.c. che i genitori di comune
accordo stabiliscono la residenza abituale del minore.
Il terzo comma dell’art. 337 ter c.c. dispone che la responsabilità genitoriale è
esercitata da entrambi i genitori.
Sempre il terzo comma dell’art. 337 ter c.c. dispone poi che le decisioni di maggiore
interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della
residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle
capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.
Sempre il terzo comma dell’art. 337 ter c.c. dispone che in caso di disaccordo la
decisione è rimessa al giudice.
Sempre il terzo comma dell’art. 337 ter c.c. dispone che limitatamente alle decisioni
su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori
esercitino la responsabilità genitoriale separatamente
La chiave di volta del sistema è però il secondo comma dell’art. 337 ter che specifica
con una norma imperativa che il compito dell’Autorità Giudiziaria è realizzare la
finalità indicata dal primo comma dell’art. 337 ter, è concretizzare il diritto del
minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori,
di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di
conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo
genitoriale. Sempre tale norma architrave, sempre il secondo comma dell’art. 337 ter
c.c. dispone con norma inderogabile che il giudice adotta i provvedimenti relativi alla
prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale dei minori.
Non a caso tale norma imperativa ed inderogabile è posta prima delle norme che
descrivono il contenuto dei provvedimenti nei casi in cui entrambi i genitori siano
implicitamente confermati nell’esercizio pieno della responsabilità genitoriale: I)
modalità dell’affido congiunto, condiviso od esclusivo; II) determinazione dei tempi
e delle modalità della presenza dei minori presso ciascun genitore; III) fissazione
della misura e del modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento,
alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli; IV) determinazione in caso di
disaccordo della residenza abituale del minore.
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Quindi (cfr Cassazione civile, sez. VI, I; 19/07/2016, ord. n. 14728) l’interesse del
minore ai sensi dell’art. 337 ter c.c. costituisce il parametro essenziale di riferimento
per l’adozione dei provvedimenti relativi alla prole: pertanto il giudice deve
salvaguardare il diritto del minore di mantenere un rapporto equilibrato e
continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e
assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti
e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
2.4 DEGLI EFFETTI DELLA DETERMINAZIONE GIUDIZIALE DELLA
RESPONSABILITÀ CONDIVISA
La precisazione generale sopra compiuta in ordine ai diritti dei minori trova la sua
ragione d’essere in questo provvedimento nella successiva esposizione di due
differenti problematiche: 1) l’individuazione del contenuto astratto della
responsabilità genitoriale; 2) l’individuazione del contenuto concreto della
responsabilità genitoriale con particolare riguardo alla ripartizione dei tempi e
dei compiti di cura tra i due genitori.
In astratto la responsabilità genitoriale condivisa si esplica con il mantenimento
diretto da parte di entrambi i genitori (compensato dall’erogazione eventuale di un
assegno perequativo) e con l’attribuzione ad entrambi i genitori di momenti (anche
differenti) di partecipazione alla quotidianità dei figli.
In concreto, caso per caso ed in funzione dell’età dei minori, il giudice, lasciando
comunque ai genitori la facoltà di assumere ulteriori accordi nell’interesse del minore
, determina il genitore co-residente ed i tempi di fissazione della misura e del modo
con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e
all’educazione dei figli; IV) determinazione in caso di disaccordo della residenza
abituale del minore.
2.5 DECISIONI DI ORDINARIAAMMINISTRAZIONE
Per chiarezza va rimarcato che i genitori possono esercitare la responsabilità
genitoriale separatamente per le decisioni di ordinaria amministrazione di regola
aventi carattere estemporaneo in relazione ai rispettivi tempi di permanenza del
minore presso di loro, nel rispetto di un indirizzo comune.
Per contro le decisioni di maggiore interesse, di regola aventi durevolezza nel tempo,
relative all’istruzione, all’educazione e alla salute vanno adottate di comune accordo.
In quest’ottica l’autorità giudiziaria può attribuire ad un genitore specifici compiti di
cura ordinaria in via esclusiva.
2.6 DEGLI EFFETTI DELLA DETERMINAZIONE GIUDIZIALE DELLA
RESIDENZA
Va ora precisato che l’istituto giuridico del genitore collocatario è di esclusiva origine
giurisprudenziale e che secondo parte della dottrina collide con la disciplina
sull’affidamento condiviso, è una scoria del vecchio impianto normativo e si
conforma al modello di affidamento esclusivo precedente alla riforma.
Si tratta, invece, di comprendere (a prescindere da dispute inerenti il nome degli
istituti) quali siano gli effetti reali della determinazione giudiziale della residenza
abituale del minore che non può certo comportare in tutti i casi e per tutte l’età dei
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minori la creazione contra legem di un genitore prevalente attivamente coinvolto nei
compiti di cura, educazione e formazione della prole e di un genitore marginale o
ludico senza effettiva partecipazione alla quotidianità dei figli.
Si tratta di comprendere che la determinazione della residenza abituale non comporta
la designazione del genitore abituale perché la determinazione della residenza
abituale è del tutto autonoma rispetto alla determinazione dei tempi e delle modalità
della presenza dei minori presso ciascun genitore.
Anzi a seguito della determinazione dei tempi e della modalità della presenza dei
minori presso ciascun genitore il Tribunale fissa la residenza abituale del minore
presso uno di essi, fissa il domicilio del minore presso entrambi i coniugi in funzione
dei tempi della loro presenza presso i genitori e se del caso attribuisce la casa
familiare.
Quindi la decisione prioritaria resta quella da compiersi nell’interesse del minore
dell’individuazione dei tempi e della modalità della presenza dei minori presso
ciascun genitore cui seguono quelle dell’individuazione della residenza abituale dei
minori e dell’individuazione di un’eventuale assegno perequativo in favore di un
genitore.
Conferma di questa lettura si ha nelle decisioni merito (cfr., Tribunale Roma, sez. I,
20/01/2015 n. 1310; Corte appello Bologna, sez. I, 14/04/2016 n. 625) secondo le
quali i tempi di permanenza dei minori possono essere suddivisi in modo paritario tra
i due genitori e ciò non di meno può essere attribuita ad uno di essi la casa familiare e
così pure ciò non di meno può essere attribuito ad uno di essi un assegno perequativo
per il mantenimento del minore e sempre ciò non di meno può essere fissata la
residenza abituale del minore.
2.7 TESI DEL DIRITTO DELMINORE ALLA RESIDENZAABITUALE
Attenta dottrina osserva che è necessario che il minore abbia chiari punti di
riferimento, anche sotto il profilo abitativo; soggiunge che il principio stabilito
dall’art. 316 c.c., nella formulazione successiva al D. L vo 154/2013 (“I genitori di
comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore”) affermi il diritto del
minore di avere una residenza abituale e precisa che tale diritto deve valere anche per
i figli di genitori separati o divorziati.
In merito si tratta di prendere atto che, come già osservato nei precedenti paragrafi di
questo provvedimento, che la chiave di volta del sistema non è il diritto del minore
ad una residenza abituale ma è (come dispone il secondo comma dell’art. 337 ter c.c.
che specifica con una norma imperativa che il compito dell’Autorità Giudiziaria è
realizzare la finalità indicata dal primo comma dell’art. 337 ter c.c.) concretizzare il
diritto del minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno
dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e
di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo
genitoriale.
Sempre tale norma architrave, sempre il secondo comma dell’art. 337 ter c.c. dispone
con norma inderogabile che il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con
esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale dei minori.
IL CASO.it
Far coincidere l’interesse morale e materiale del minore sempre e comunque in una
residenza abituale appare francamente riduttivo e contraddetto dai casi già citati di
affido paritario
3MANTENIMENTO
3.1 MANTENIMENTO DIRETTO: FUNZIONE
Quanto al mantenimento, dal comma I dell’art. 337 ter c.c., che anticipa e si salda
con il successivo comma IV, discende che ciascun genitore deve assumere una parte
dei compiti di cura dei figli, restando obbligato a sacrificare parte del proprio tempo
per provvedere direttamente ai loro bisogni, comprensivi della parte economica.
Ciò vuol dire in concreto che la forma privilegiata dal legislatore è quella diretta non
potendosi ritenere completamente assolti i doveri di un genitore dalla fornitura di
denaro all’altro (forma indiretta) mediante un assegno.
Si tratta in concreto, caso per caso, vicenda per vicenda, di individuare quanto il
mantenimento indiretto sia residuale e quindi di individuarne l’entità in funzione
perequativa.
2.1 ATTRIBUZIONE DI COMPITI DI SPESA
In dottrina si propone di ripartire le spese prevedibili tra i due genitori attribuendo al
genitore più abbiente i capitoli di spesa più onerosi anche se inevitabilmente ciò
renderebbe più evidenti per il minore le differenti possibilità esistenti tra i due
genitori.
Alla luce di queste due differenti e contrapposte considerazioni sembra opportuno
attribuire compiti di spesa in uno all’attribuzione di compiti di cura in funzione
integrativa del ruolo genitoriale.
Quindi ad esempio nel caso in cui la figlia trascorra un maggior tempo con il padre
potrebbe essere opportuno attribuire alla madre il compito ordinario esclusivo della
cura della persona in senso stretto e quindi attribuire alla madre (con risorse proprie
e/o con risorse indirette) le spese del parrucchiere, dell’estetista e dell’abbigliamento.
All’opposto nel caso in cui il figlio maschio trascorra un maggior tempo con la madre
potrebbe essere opportuno attribuire al padre il compito ordinario esclusivo della
scelta con il minore dello sport a lui più confacente e quindi attribuire al padre (con
risorse proprie e/o con risorse indirette) le spese inerenti tale sport ed il relativo
abbigliamento.
Ancora nel caso in cui il padre risieda in città non limitrofa e quindi si debba disporre
la residenza abituale ed il domicilio del minore presso la madre occorre valorizzare il
minor tempo passato con il padre attribuendo a costui degli specifici compiti di cura
ordinaria ed in particolare non solo quello di decidere con il figlio gli sport che il
minore andrà a fare ma anche quello di acquistare – ovviamente coinvolgendo il figlio
dapprima solo nella scelta e poi con il crescere rappresentandogli il valore delle cose
e la loro proporzione con le concrete possibilità di vita – le scarpe, le tute, le felpe, i
maglioni ed i giubbotti sia per gli sport che per la vita quotidiana.
3.2 SPESE STRAORDINARIE
IL CASO.it
In quest’ottica, prima di individuare l’assegno perequativo, vanno individuate le
spese straordinarie e va individuata la percentuale di ripartizione tra i due genitori.
Va precisato che le spese non espressamente qualificate come straordinarie rientrano
nell’assegno di mantenimento.
All’uopo (cfr., Cass. Civ. N. 9372 del 08/06/2012) si deve osservare che in tema di
mantenimento della prole, devono intendersi spese “straordinarie” quelle che, per la
loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall’ordinario
regime di vita dei figli,.
Infatti la loro inclusione in via forfettaria nell’ammontare dell’assegno, posto a carico
di uno dei genitori, si rivelerebbe in contrasto con il principio di proporzionalità
sancito dall’art.155 cod. civ. e con quello
dell’adeguatezza del mantenimento, nonchè recherebbe grave nocumento alla prole,
che potrebbe essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo
genitore beneficiario dell’assegno “cumulativo”, di cure necessarie o di altri
indispensabili apporti.
Di regola dovrebbe valere il criterio che le spese straordinarie siano subordinate al
consenso di entrambi i genitori.
Di regola, salva diversa istanza dei genitori, le spese straordinarie sono quelle
mediche e quelle scolastiche.
In caso di richiesta delle parti possono essere considerate spese straordinarie
parascolastiche e quelle sportive.
3.3 INDIVIDUAZIONE DELLE SPESE STRAORDINARIE
In questo caso vi è richiesta di individuazione delle spese straordinarie che in questi
termini viene accolta:
In particolare vanno previamente concordate le seguenti spese scolastiche: iscrizioni
e rette a scuole pubbliche e private; iscrizioni e rette ad università pubbliche e private
ed eventuali spese alloggiative ove fuori sede, ripetizioni, viaggi di istruzione
organizzati dalla scuola superiori ad un giorno, prescuola, doposcuola.
In particolare se indicate come spese straordinarie vanno previamente concordate le
seguenti spese parascolastiche e sportive: corsi di lingua o attività artistiche, corsi di
informatica, centri estivi, viaggi di istruzione, vacanze trascorse autonomamente
senza i genitori, spese di acquisto e manutenzione straordinaria mezzi di trasporto
(motorini, moto e minicar), spese sportive, attività sportiva comprensiva
dell’attrezzatura e di quanto necessario per il relativo svolgimento.
In particolare vanno previamente concordate le seguenti spese medico- sanitarie:
spese per interventi chirurgici, spese odontoiatriche, oculistiche e sanitarie non
effettuate tramite SSN, spese mediche di degenza per interventi presso strutture
pubbliche o private convenzionate, esami diagnostici, analisi cliniche, visite
specialistiche, ciclo di psicoterapia e logopedia.
In particolare non vanno previamente concordate le spese straordinarie obbligatorie
quali: tasse scolastiche, libri scolastici, spese sanitarie urgenti, acquisto di farmaci
prescritti ad eccezione di quelli da banco che verranno comprati da ciascun genitore
all’occorrenza, spese per interventi chirurgici indifferibili, sia presso strutture
pubbliche che private, spese ortodontiche, oculistiche e sanitarie effettuate tramite il
IL CASO.it
SSN in difetto di accordo sulla terapia con specialista privato, spese di bollo e
assicurazione per eventuali mezzi di trasporto utilizzati direttamente dai figli.
3.4 ASSEGNO PEREQUATIVO
Senza qui riprendere l’ampissima tematica dell’assegno di mantenimento va subito
respinta la tesi di quei genitori secondo i quali il giudice dovrebbe individuare sempre
e comunque tutti i cespiti, tutti i redditi dell’altro genitore anche quando costui è
disponibile a conferire la quota di sua spettanza del mantenimento del minore da
determinare certamente con riferimento al tenore di vita che aveva il minore con i
genitori e, in prospettiva, che avrebbe avuto se non avessero deciso di dividersi.
Quindi qualora sia agevole il determinare il costo del minore in quella fascia di
reddito e sia agevole accertare il reddito dichiarato di entrambi i genitori e tali
elementi siano sufficienti per individuare una equa ripartizione si deve respingere la
richiesta istruttoria di accertare se l’altro genitore abbia ulteriori redditi e/o di
individuare tutti i cespiti di sua pertinenza.
Per contro sarà obbligatorio disporre, ogni qualvolta le informazioni di carattere
economico fornite dai genitori non risultino verosimili e/o sufficientemente
documentate, un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni dichiarati,
allargando se del caso l’indagine ai beni intestati fittiziamente a soggetti terzi.
In quest’ottica non va dimenticato che l’assegno di mantenimento per la prole ha la
funzione di contribuire ad una gestione ordinata della crescita del figlio e va
determinato considerando:
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con
entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da
ciascun genitore.
4SPECIFICHE EVENIENZE
4.1 FIGLIO DI 4 ANNI NATO FUORI DELMATRIMONIO
Come già osservato nel primo paragrafo si tratta i di un bambino piccolo, nato il
13.09.2013, il quale che conosce entrambi i genitori e che è stato riconosciuto alla
nascita da entrambi i genitori.
La madre afferma ma non prova che il padre abbia uno stile di vita non consono a
prendersi cura di un bambino così piccolo e non allega specifiche evenienze tali da
imporre una regolamentazione del diritto di visita così differente da quello dai casi
ordinariamente trattati.
Il punto centrale è il fatto che il padre rappresenta di non poter vedere il minore per
l’atteggiamento di chiusura materno con grave ed effettiva lesione della
bigenitorialità.
Tale affermazione paterna non è contraddetta dalla madre.
4.2 PIENA IDONEITÀ GENITORIALE
IL CASO.it
Quanto fin qui osservato in diritto va ora calato nello specifico caso nel quale con
ogni evidenza i documenti in atti comprovano che i genitori sono entrambi del tutto
idonei ad educare e curare la prole.
In particolare si deve osservare che le affermazioni rese dalla nonna materna nella
(allegata dalla madre) querela contro il padre del minore denota quanto sia micidiale
per il minore conflitto in atto ma non hanno, allo stato, alcuna valenza per intaccare la
piena idoneità genitoriale del padre.
In ordine alla credibilità della querela basti il fatto che si legge a pagina 3 che il
minore avrebbe descritto la casa del padre come non confortevole quando il minore
ha tre anni e mezzo circa.
Parimenti le affermazioni materne circa la contrarietà alla salute del minore dei brevi
trasferimenti verso il paese del padre non sono suffragate da specifiche attestazioni
mediche.
Parimenti la tesi che un bambino di anni quattro non possa passare con il padre un
fine settimana senza la costante e vigilante presenza della madre cozza con i dati
della pura esperienza di tutti in giorni e non è in questo caso suffragato da ulteriori
elementi specifici dai quali emerga la concreta inidoneità del padre.
Del resto si chiede da parte della madre affido condiviso e non si formulano istanze
ex art. 333 c.c. il che appare quanto meno contraddittorio con il chiedere così pesanti
limitazioni per il padre
Quindi ci si chiede perché ammettere prove finalizzate ad altre evenienze qui non
ricorrenti.
Le fotografie della casa del padre chiudono il cerchio circa la non necessità
dell’intervento, chiesto dalla madre, degli assistenti sociali per verificare lo stato dei
luoghi in cui il bambino andrà a vivere nei momenti in cui è con il padre.
4.3 COSTO DELMINORE
Va ora evidenziato che la madre chiede mille euro di mantenimento e ritiene che sia
un costo del minore anche l’affitto di una casa nella quale ella dovrebbe andare a
risiedere, il che in una coppia non coniugata che ha vissuto a casa della madre della
resistente non appare corrispondente al
tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
Certo è che nel determinare l’assegno di mantenimento del minore figlio di una
coppia di fatto non sia rilevante determinare il tenore di vita goduto dalla madre nel
periodo di convivenza ma solo quello del figlio: ciò non di meno è certo che tale
tenore di vita, per quel che rileva qui (tenore di vita dell’infante) è quello intervenuto
Quindi si devono valutare le attuali esigenze del figlio di anni tre la quali non
possono certo essere superiori , vivendo a casa della nonna materna, ad
€ 500 massimo comprensivo di quanto attribuito con i compiti di cura al padre; il
tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori che
non è allegato fosse elevatissimo.
In tale contesto si deve tenere conto dell’attribuzione al padre di minori tempi di
permanenza e dell’attribuzione al medesimo di specifici compiti di spesa, sempre più
significativi con il crescere dell’età del minore.
IL CASO.it
Quindi tenuto conto delle attuali esigenze del minore, del modesto tenore di vita
goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, dell’attribuzione
al padre di specifici compiti di spesa, della presenza di redditi simili tra i due genitori,
l’assegno perequativo deve essere di molto ridotto rispetto alla pretesa materna.
4.4 ATTRIBUZIONE DI COMPITI DI CURA E DI SPESA
Quindi, con riferimento all’odierna vicenda, si deve prendere atto
gradatamente:
1.a) che è la prima volta che l’Autorità Giudiziaria esamina le vicende della
prole di questa coppia genitoriale, val a dire che non c sono
provvedimenti od accordi pregressi;
1.b) che vanno determinati giudizialmente i tempi ed i modi della presenza
della minore accanto ai due genitori non più conviventi e già domiciliati
in città differenti;
1.c) che è in atto un grave conflitto genitoriale nel cui contesto la madre ha
illegittimamente attuato un affido esclusivo di fatto estromettendo il
padre da ogni incontro con il minore e pretendendo di decidere ogni
forma e modalità inerente il minore;
1.d) che è in atto un grave conflitto della nonna materna con il padre giunta
a denunciare il genitore del proprio nipote ed a dare alla madre copia
della querela per allegarla alla comparsa di costituzione;
1.e) che si tratta di un bambino piccolo che però ha un effettivo rapporto
con il padre.
4.5 INOPPORTUNITÀ NEL CASO SPECIFICO DEL COLLOCATARIO
Nota è che la categoria giurisprudenziale del collocamento preferenziale presso uno
dei genitori sia una condizione eventuale del tutto distinta da quella obbligatoria
inerente la residenza abituale.
Conferma di questa lettura si ha nelle decisioni merito (cfr., Tribunale Roma, sez. I,
20/01/2015 n. 1310; Corte appello Bologna, sez. I, 14/04/2016 n. 625) secondo le
quali i tempi di permanenza dei minori possono essere suddivisi in modo paritario tra
i due genitori e ciò non di meno: a) può essere attribuita ad uno di essi la casa
familiare; b) può essere attribuito ad uno di essi un assegno perequativo per il
mantenimento indiretto del minore; c) può essere fissata la residenza abituale del
minore. In questo caso giudiziario il collocamento presso la madre determinerebbe il
permanere dell’attuale conflittualità tra i genitori e va quindi sostituito con la
ripartizione di tempi e compiti di cura descritta in dispositivo.
Certo, come meglio specificato, si tratta di individuare la residenza abituale del
minore e di attribuire i compiti di cura materna tenendo conto che in questo caso
giudiziario, a differenza di altri, è la madre ad essere stata il genitore più assiduo nella
cura della prole nel periodo in cui la coppia ha convissuto e che ella lo è ancora in
uno alla propria madre mentre lavora.
4.6 RIPARTIZIONE ORDINARI COMPITI DI CURA
IL CASO.it
Poste queste due premesse, ribadito che in astratto il condividere esperienze
costituisce l’elemento essenziale della relazione genitore-figlio il presente caso
giudiziario va esaminato individuando in concreto l’interesse del singolo minore,
ripartendo i compiti di cura del minore per controbilanciare eventuali minori presenze
di un genitore, determinando in maniera significativa il tempo e le modalità della
presenza presso ciascun genitore in funzione delle pari opportunità di accesso del
minore ai genitori.
Attribuire il 20% del tempo mensile o non stabilire compiti di cura vuol dire
allontanare un genitore dalla quotidianità del bambino con effetti irrimediabili sulla
relazione genitoriale e sulla crescita psicologica del minore.
Soprattutto in tutti i casi in cui emergano conflitti genitoriali gravi l’attribuzione
esclusiva al genitore estromesso di singoli compiti di ordinaria cura modifica
immediatamente gli equilibri e migliora la relazione con il minore.
4.7 LE ISTANZE PATERNE
In sintesi il padre chiede di individuare la residenza anagrafica del figlio presso la
madre e di poter frequentare il figlio di quattro anni da solo come invece vuole la
madre
Il punto centrale è il fatto che il padre rappresenta di non poter vedere il minore per
l’atteggiamento di chiusura materno con grave ed effettiva lesione della
bigenitorialità.
4.8 LE ISTANZE MATERNE IN COMPARSA E LA LORO INFONDATEZZA.
Non è chi non veda che la madre riferisca che in questo momento è di fatto affidataria
esclusiva e chieda un affido condiviso nel quale i pochi tempi attribuiti al padre siano
comunque vissuti alla sua costante e vigilante presenza.
La tesi che il bambino sia malato e che quindi non possa recarsi dal padre non è
provata da alcuna attestazione medica.
La querela depositata dalla nonna materna non è un atto giudiziario ma un atto di
parte non idoneo a provare i fatti ivi rappresentati.
Tutto ciò non può essere un motivo per imporre l’allontanamento del padre Certo è
che la madre nel costituirsi non risponde alle precise indicazioni del padre circa il
fatto che egli non riesca a vedere il figlio quasi mai
4.9 LE ISTANZE MATERNE IN UDIENZA E LE INTERFERENZE DELLA
NONNA
Le rinunce in udienza, il giorno dopo che il padre aveva visto il bambino per la
prima volta da solo, la dicono lunga sulla strumentalità della tesi che il bambinon non
possa vedere il padre perché inidoneo, dimorante in un tugurio ed incurante delle
malattie del minore.
Il punto è che, quindi, si deve creare uno spazio effettivo per il rapporto tra il padre
ed il minore nonostante le interferenze della nonna materna giunte a rompere il
dialogo tra i genitori al sera del
17.04.17. Da qui la decisione di far prendere il minore direttamente all’asilo.
4.10 AFFIDO EFFETTIVAMENTE CONDIVISO
IL CASO.it
Certo nel presente caso si deve disporre la residenza abituale ed il domicilio
prevalente del minore presso la madre atteso che il padre risiede in località non
limitrofa ed atteso che nel periodo in cui i genitori hanno vissuto insieme la madre si
è presa cura del minore maggiormente.
Tuttavia ciò non deve essere ostativo ad una ripartizione di tempi e di cure finalizzato
a far condividere per davvero momenti di crescita con il padre e la famiglia paterna.
Quindi si deve valorizzare il minor tempo passato con il padre attribuendo a costui
degli specifici compiti di cura ordinaria ed in particolare quello di decidere con il
figlio gli sport che il minore andrà a fare.
Inoltre, sempre per valorizzare il tempo che il padre andrà a trascorrere con il minore,
va attribuito al padre il compito di acquistare – ovviamente coinvolgendo il figlio
maschio nella scelta (e con il crescere insegnandogli il valore delle cose e la
proporzione con le concrete possibilità di vita) – le scarpe, le tute, le felpe, i maglioni
ed i giubbotti sia per gli sport che per la vita quotidiana.
4.11 ASSEGNO PEREQUATIVO
Va infine respinta la tesi della madre secondo la quale il figlio abbia diritto ad un
mantenimento per un importo superiore al suo effettivo costo.
Infatti con ogni evidenza il padre è disponibile a conferire la quota del mantenimento
che l’Autorità Giudiziaria andrà ad attribuirgli.
All’uopo la madre ha un reddito di € 2.000 circa esattamente come il padre di atteso
che costui subisce una trattenuta di € 1.000,00 di asegni di mantenimento per
pregresse vicende coniugali.
Il costo mensile di un minore di anni quattro/cinque non può certamente superare
l’importo di € 400,00 mensili sicchè appare equo attribuire al padre un assegno
perequativo di € 250,00 oltre l’acquisto diretto delle scarpe, delle tute, delle felpe, dei
maglioni e dei giubbotti sia per gli sports che progressivamente il bambino crescendo
andrà a compiere che per la vita quotidiana
4.12 GRADUALITÀ
I pernottamenti, tenuto conto della piena idoneità paterna, presso il padre andranno
introdotti progressivamente passando la prima settimana da uno a due per giungere in
un mese (salvo incidenti) al numero indicato nel dispositivo.
Certo è che in presenza di così gravi interferenze della nonna si rende opportuno
il prelievo del minore direttamene asilo, ove possibile e/o il riaccompagnamento
direttamente all’asilo.
DISPOSITIVO
Il Tribunale, I Sezione Civile, in composizione collegiale
P.Q.M.
5 Rigetta tutte le richieste istruttorie;
6 affida la prole minorenne ad entrambi i genitori;
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7 autorizza i genitori insieme a chiedere il rilascio del passaporto e della carta
di identità valida per l’espatrio per la prole;
8 dispone che le decisioni di maggiore interesse (di regola aventi durevolezza
nel tempo) relative all’istruzione, all’educazione e alla salute siano adottate
di comune accordo;
9 dispone che ognuno dei genitori riferisca all’altro le questioni significative
relative al figlio;
10 rappresenta ai genitori che la prole minorenne ha il diritto:
• di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei
genitori e di ricevere cure, educazione e istruzione da entrambi i
genitori;
• di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di
ciascun ramo genitoriale;
• di vivere con ognuno dei genitori momenti di quotidianità (se necessario
differenti) nelle forme (tempi e modalità) o concordate tra le parti
(genitori e con il progredire dell’età anche i figli) o determinate dal
giudice;
• di avere libero accesso ad entrambi i genitori;
11 invita i genitori a valorizzare il principio legislativo della prevalenza (se non
contrari all’interesse dei figli) degli accordi intervenuti tra i genitori e quindi
a ripartirsi in futuro i compiti e i tempi (non in funzione di una schematica
alternanza ma) in funzione dell’interesse del minore ad un equilibrato ed
armonico sviluppo della personalità;
12 dispone che la ripartizione di seguito specificata possa essere integrata e
modificata da successivi accordi tra i genitori tenendo conto dell’età, degli
interessi e degli impegni della prole;
13 attribuisce alla madre tutti i giorni feriali salvo quanto di seguito precisato;
14 determina la residenza anagrafica presso la madre;
15 dispone che ciascun genitore contribuisca al mantenimento della prole in
forma diretta per il periodo di permanenza del minore presso di sé;
16 dispone che i genitori esercitino, nel rispetto di un indirizzo comune,
separatamente, nei tempi di rispettiva convivenza, la responsabilità
genitoriale per le questioni di ordinaria amministrazione (di regola aventi
carattere estemporaneo);
17 attribuisce al padre un pomeriggio (tendenzialmente il mercoledì) dall’uscita
dall’asilo alla sera con eventuale pernottamento presso il padre soprattutto in
estate o quando si renda opportuno (per evitare due viaggi lo stesso
pomeriggio) che il padre riporti il
18 minore direttamente all’asilo la mattina dopo (4 pomeriggi/ser ogni 28);
19 attribuisce alla madre il w.e. dal 21 aprile 2017 ed i successivi ogni 15 giorni;
20 attribuisce al padre il w.e. dal 28 aprile 2017 ed i successivi ogni 15 giorni
specificando che essendo residente in località non limitrofa egli ha il compito
di incontrare la prole minorenne dal venerdì pomeriggio all’uscita dell’asilo
al lunedì mattina all’entrata all’asilo perché il minore non va ancora a scuola
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e quindi può perdere se del caso due sabati di asilo al mese al fine di
condividere momenti di effettiva crescita con il padre e la famiglia paterna (6
giorni ogni 28);
21 attribuisce alla madre la festa del 25 aprile 2017 (ed i successivi anni in via
alternata al padre) dalla sera prima alla mattina successiva;
22 attribuisce al padre la festa del 1 maggio 2017 (ed i successivi anni in via
alternata al madre) dalla sera prima alla mattina successiva all’entrata
all’asilo;
23 attribuisce le altre festività infrasettimanali alternandosi di anno in anno i
genitori a partire dal genitore non co-residente;
24 attribuisce ad ogni genitore il giorno del proprio compleanno e il giorno della
festa del papà e della mamma anche se dovessero capitare in giorni di
competenza dell’altro genitore e e senza modificare la pregressa alternanza;
25 dispone che se possibile il giorno del compleanno del minore sia trascorso
con entrambi i genitori;
26 dispone che salvo differenti accordi le vacanze natalizie siano ripartite in due
turni , dal 23.12 al 30.12 o dal 31.12. al 06.01, alternandosi di anno in anno
ed iniziando con il genitore non co- residente per il primo periodo nell’anno
in corso;
27 attribuisce per l’anno 2017 al padre dalla fine dell’anno dell’asilo all’inizio
dell’anno dell’asilo 4 giorni di fila in giugno da concordare tra le parti ; 5 in
luglio; 7 in agosto e 4 in settembre;
28 attribuisce dall’anno 2018 al padre dalla fine dell’anno dell’asilo all’inizio
dell’anno della scuola 5 giorni di fila in giugno da concordare tra le parti ; 5
in luglio; 15 in agosto e 5 in settembre;
29 attribuisce al padre, il quale vede meno il figlio, il compito di cura ordinaria
di decidere con il figlio gli sport che il minore andrà a fare;
30 attribuisce al padre l’acquisto diretto delle scarpe, delle tute, delle felpe, dei
maglioni e dei giubbotti sia per gli sport che per la vita quotidiana.
31 dispone inoltre che il padre versi quindi alla madre €250,00 a titolo di
assegno perequativo per mantenimento indiretto;
32 dispone inoltre che le spese straordinarie mediche (non coperte dal SSN) e
scolastiche documentate siano suddivise tra i coniugi al 50% avendo redditi
quasi equivalenti;
33 dispone che di regola le spese straordinarie siano concordate salva la prova
dell’indifferibilità o della loro automatica evenienza (es.: tasse per istituto
pubblico o privato se concordato, corredo scolastico di inizio anno, libri di
testo, iscrizioni a gite scolastiche);
34 precisa in particolare che sono spese “straordinarie” quelle che, per la loro
rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano
dall’ordinario regime di vita dei figli;
35 Dispone in particolare che vanno previamente concordate le seguenti spese
scolastiche: iscrizioni e rette a scuole pubbliche e private; iscrizioni e rette ad
università pubbliche e private ed eventuali spese alloggiative ove fuori sede,
ripetizioni, viaggi di istruzione organizzati dalla scuola superiori ad un
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giorno, prescuola, doposcuola; dispone anche che vanno considerate come
spese straordinarie da concordare le seguenti spese parascolastiche e
sportive: corsi di lingua o attività artistiche, corsi di informatica, centri estivi,
viaggi di istruzione, vacanze trascorse autonomamente senza i genitori, spese
di acquisto e manutenzione straordinaria mezzi di trasporto (motorini, moto e
minicar), spese sportive, attività sportiva comprensiva dell’attrezzatura e di
quanto necessario per il relativo svolgimento; dispone ancora che vanno
previamente concordate le seguenti spese medico-sanitarie: spese per
interventi chirurgici, spese odontoiatriche, oculistiche e sanitarie non
effettuate tramite SSN, spese mediche di degenza per interventi presso
strutture pubbliche o private convenzionate, esami diagnostici, analisi
cliniche, visite specialistiche, ciclo di psicoterapia e logopedia;
36 Dispone in particolare che non vanno previamente concordate le spese
straordinarie obbligatorie quali: tasse scolastiche, libri scolastici, spese
sanitarie urgenti, acquisto di farmaci prescritti ad eccezione di quelli da
banco che verranno comprati da ciascun genitore all’occorrenza, spese per
interventi chirurgici indifferibili, sia presso strutture pubbliche che
private, spese
37 ortodontiche, oculistiche e sanitarie effettuate tramite il SSN in difetto di
accordo sulla terapia con specialista privato, spese di bollo e assicurazione
per eventuali mezzi di trasporto utilizzati direttamente dai figli.
38 dispone che l’importo degli assegni e dei rimborsi per spese straordinarie sia
corrisposto via bonifico o assegno circolare o
39 780 bancario o vaglia telematico entro i primi cinque giorni di ogni mese a
decorrere dalla data della domanda;
40 dispone che l’importo degli assegni sia adeguato automaticamente ed
annualmente agli indici Istat a decorrere dalla data della domanda;
41 nulla per le spese non essendovi soccombenza;
DECISA IN SALERNO IL 18/04/2017
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità egli altri dati
identificativi delle parti a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto
imposto dalla legge
Il Presidente Estensore
Giorgio Jachia

Rinuncia all’azione di disconoscimento

Cass. civ. Sez. I, 15 giugno 2017, n. 14879
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.M.R., S.S.L. elettivamente domiciliato in Roma, via Cicerone, n. 49, nello studio dell’avv. Marco Pastacaldi; rappresentati e difesi dall’avv. Chiara Ceroni, giusta procura speciale autenticata dal notaio S. di Firenze in data (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
S.A., elettivamente domiciliato in Roma, via Simon Boccanegra, n. 8, nello studio dell’avv. Melina Martelli, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Stefano Raddi, giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
S.P.F., PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI FIRENZE;
– intimati –
avverso le sentenze della Corte di appello di Firenze n. 1650 (R.G. 1712/2008), depositata in data 25 novembre 2009 e n. 489 (R.G. 836/2011) depositata in data 25 novembre 2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 novembre 2016 dal Consigliere relatore dott. Pietro Campanile;
sentito per i ricorrenti l’avv. Chiara Ceroni;
Viste le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1 – Con sentenza non definitiva depositata in data 7 agosto 2009 il Tribunale di Firenze rigettava l’eccezione di decadenza dall’azione di disconoscimento della paternità proposta dal sig. S.A. nei confronti dei figli S.P.E. e S.L., nati durante il matrimonio dell’attore con la sig.ra B.M.R..
2 – La Corte di appello di Firenze in data 15 dicembre 2009 rigettò l’appello immediato interposto dalla sig.ra B. e dal sig. S.S.L., soffermando che, rispetto alla conoscenza effettiva dell’adulterio della moglie, acquisita nel corso di un litigio verificatosi del giugno del 2005, la domanda risultava tempestivamente proposta, non potendosi attribuire rilievo a una precedente diagnosi di oligospermia, non comportante incapacità assoluta di procreare, nè alla domanda di addebito formulata anni primo nel corso del giudizio di separazione personale, non riferibile all’adulterio concernente l’azione di disconoscimento.
3 – Con sentenza definitiva depositata il 15 marzo 2011 il Tribunale di Firenze dichiarava che l’attore non era il padre di S.P.E. e S.L., disponendo le relative annotazioni.
4 – La Corte di appello di Firenze in data 20 marzo 2014 ha confermato tale decisione.
In particolare, ribadita l’ammissibilità della consulenza tecnica d’ufficio disposta nel corso del primo grado del giudizio, è stato affermato che, concorrendovi le dichiarazioni stragiudiziali rese dalla madre al riguardo, l’esclusione del rapporto di filiazione doveva desumersi dall’esplicito ed ingiustificato rifiuto, da parte dei figli, di sottoporsi ai prelievi ematici da eseguirsi ai fini dell’espletamento degli esami di natura genetica.
5 – Per la cassazione delle suindicate decisioni della Corte di appello di Firenze i signori B. e S.S.L. propongono ricorso, affidato ad unico ed articolato motivo, cui l’intimato resiste con controricorso.
6. Con istanza in data 9 novembre 2016 le parti e i loro difensori, premesso che in data 18 novembre 2015, con parziali modifiche introdotte il 31 marzo 2016, era intervenuta una transazione con la quale venivano definite tutte le questioni pendenti, hanno congiuntamente richiesto che venisse dichiarata la cessazione della materia del contendere.
Motivi della decisione
1. Deve esaminarsi preliminarmente la questione inerente al documento in data 9 novembre 2016 prodotto dalle parti, con particolare riferimento all’istanza di cessazione della materia del contendere.
2. Non può a tal fine prescindersi dal rilievo, sottolineato anche dal Procuratore Generale d’udienza, secondo cui l’azione di disconoscimento della paternità verte in materia di diritti indisponibili, in relazione ai quali non è ammesso alcun tipo di negoziazione o di rinuncia (Cass., 17 agosto 1998, n. 8087).
3. Si tratta quindi di interpretare – in relazione alle ricadute nel presente procedimento – la volontà delle parti, non nel senso di indagare sui limiti di validità e di efficacia della transazione alla quale si fa riferimento nell’istanza, ma sotto il profilo della permanenza o meno dell’intenzione di ottenere, nell’ambito del presente giudizio, una pronuncia di merito. Il tema, a ben vedere, attiene non tanto all’invocata cessazione della materia del contendere, che, in ogni caso, prevede una caducazione, per varie ragioni, degli aspetti sostanziali sottesi alla domanda proposta e, di conseguenza, una sopravvenuta carenza dell’interesse ad agire (Cass., 4 giugno 2009, n. 12887; Cass., 3 marzo 2006, n. 4719; Cass. Sez. U, 28 settembre 2000, n. 1048), bensì al profilo della validità della richiesta – implicitamente contenuta nell’istanza suddetta – di porre fine al presente processo senza pervenire a una pronuncia di merito.
4. A tale riguardo deve richiamarsi il tenore dell’istanza medesima, sottoscritta da tutte le parti e dai difensori, laddove, in relazione al contenuto della scrittura privata del 18 novembre 2015, si fa riferimento alla “rinuncia definitiva da parte del prof. S.A. all’azione di disconoscimento nei confronti dei figli S.P.E. e S.L.”: premesso che la qualificazione della rinuncia come “definitiva” impinge contro l’evidenziata indisponibilità del diritto e, quindi dell’azione (cfr. Cass., 26 febbraio 1993, n. 2465), la rinuncia stessa – nei termini testè richiamati spiega i suoi limitati effetti nel presente procedimento, dovendosi intendere come comprensiva di un atto giuridico processuale realizzato ai sensi dell’art. 306 cod. proc. civ., essendo del tutto evidente come, ai sensi dell’art. 99 cod. proc. civ., la tutela giurisdizionale – salve alcune ipotesi di impulso ufficioso, nella specie non rilevanti – non possa prescindere dall’osservanza del principio della domanda.
5. Soccorre a tale proposito il principio, già affermato da questa Corte in materia di status, secondo cui “in tema di azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, il genitore esercente la potestà può rinunciare – esplicitamente ovvero lasciando che la causa sia cancellata o si estingua per inattività – al procedimento instaurato. Peraltro, vertendosi in tema di diritti indisponibili, in relazione ai quali non è ipotizzabile rinuncia o transazione, l’azione può essere successivamente riproposta dallo stesso genitore, o personalmente dal figlio, una volta raggiunta la maggiore età” (Cass., 1 dicembre 1999, n. 13408).
6. Per il vero non mancano pronunce favorevoli alla predicabilità, anche in relazione a diritti indisponibili, della rinuncia all’azione. Si è infatti affermato che “ogni qualvolta il giudizio sia disciplinato valorizzando il principio dispositivo e quindi rimettendo alle parti la concreta possibilità di agire, ivi deve ammettersi la possibilità per le parti stesse di porre fine al giudizio, senza che la natura degli interessi sottesi permetta di potere superare tale principio. Il nostro ordinamento, infatti, nel disciplinare il processo civile, prevede quale principio fondamentale quello per il quale la definizione del giudizio è rimessa alla volontà delle parti con la conseguenza che come l’inattività di queste ultime impedisce la conclusione normale del giudizio, attraverso l’emanazione di una pronuncia che riconosca o neghi il bene della vita richiesto dall’attore, ancorchè si tratti di bene riconosciuto da norme inderogabili di legge, allo stesso modo deve ritenersi che le norme che disciplinano le c.d. vicende anormali del processo, ricomprendendo fra queste tutte le ipotesi in cui il giudizio non si concluda con la pronuncia sul bene della vita richiesto dall’attore sono di applicazione generale.
Da quanto precede deriva, quindi che – in difetto di qualsiasi norma che deroghi agli esposti principi per quanto riguarda l’azione ex art. 263 c.c. – la rinuncia a tale azione è regolata dai principi generali e cioè la stessa non deve essere accettata dalle controparti, estingue l’azione, avendo l’efficacia di un rigetto nel merito, della domanda e fa quindi venire meno l’interesse delle controparti alla prosecuzione del giudizio. Tale rinuncia non importa l’estinzione del processo, dovendo questo concludersi – salvo che le parti lo facciano estinguere per inattività o che la rinuncia avvenga in sede di conciliazione davanti al giudice – con una sentenza che dichiari cessata la materia del contendere per effetto della rinuncia, restando l’obbligo dell’esame della fondatezza necessario solo per la decisione sulle spese” (Cass., 26 febbraio 1993, n. 2465, in motivazione; v. anche Cass., 8 maggio 1992, n. 5506).
7. Ritiene il Collegio di dover ribadire l’indirizzo, già affermato nella citata sentenza n. 13408 del 1999, circa il limitato effetto della rinuncia nell’ambito del procedimento in cui venga manifestata, con facoltà, quindi, di riproporre successivamente la domanda, in base all’ovvia considerazione che la rinuncia “definitiva” (secondo il termine adoperato dalle parti) all’azione investe direttamente il diritto sostanziale (Cass., 18 marzo 1981, n. 1583; Cass., 9 agosto 1973, n. 2280), e contrasta, quindi, con l’indisponibilità delle posizioni soggettive, come quelle relative allo status familiae, che sono riconducibili ai diritti della personalità.
8. Deve pertanto dichiararsi l’estinzione del processo, rilevandosi che la dichiarazione congiunta, sottoscritta anche dai difensori, implica un accordo sulla compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’estinzione del processo e l’integrale compensazione fra le parti delle relative spese.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi.