Matrimonio celebrato all’estero e non trascritto in Italia – Proposizione di ricorso ex art. 337 bis c.c. da uno dei coniugi onde ottenere la regolamentazione completa dei rapporti genitori/figli – Inammissibilità

Tribunale di Mantova, Sez. I Civile, 14/11/2017. Pres., est.
Bernardi.
TRIBUNALE DI MANTOVA
Sezione Prima Civile
Il Tribunale diMantova, in persona dei Sigg. magistrati:
Dott. Mauro Bernardi Presidente Rel.
Dott. ssa Alessandra Venturini Giudice
Dott. Luigi Pagliuca Giudice
– letto il ricorso n. 4345/17 R.G. Vol. presentato da Z. B. nei confronti di
A. N.;
– osservato che l’istante, premettendo di avere contratto matrimonio in
Marocco nel 2008 -non trascritto in Italia- ha richiesto, ex art. 337 bis
c.c., che il Tribunale disponga l’affido a sé, in via esclusiva, dei figli nati
dal matrimonio, che il padre possa vedere i figli solo con modalità
protette ed inoltre che venga determinato l’assegno di mantenimento per
i figli da porsi a carico del padre;
– considerato che l’istante ha chiesto che il Tribunale regoli
completamente i rapporti genitori/figli ciò che però non è ammissibile
finché permanga il vincolo del matrimonio, osservandosi che a nulla
rileva la circostanza che il matrimonio delle parti non sia stato trascritto
in Italia atteso che tale formalità non ha natura costitutiva ma
meramente certificativa e scopo di pubblicità di un atto già di per sè
valido (anche per il nostro ordinamento) sulla base del principio locus
regit actum (cfr. Cass. 18-7-2013 n. 17620; Cass. 19-10-1998 n. 10351;
Cass. 28-04-1990 n. 3599; Cass. S.U. 28-10-1985 n. 5292) sicché alla
fattispecie non può trovare applicazione la disciplina di cui agli artt. 337
bis e segg. c.c. che presuppone invece la separazione, il divorzio, la nullità
o l’annullamento del matrimonio ovvero la nascita di figli fuori dal
matrimonio;
ritenuto che appare superflua l’instaurazione del contraddittorio
trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del
giudizio (cfr. Cass. S.U. 16-7-2012 n. 12104) atteso che le considerazioni
in rito non sono superabili e che la definizione de plano è conforme al
principio della durata ragionevole del processo;
P.T.M.
dichiara inammissibile l’istanza.
Mantova, 14-11-2017.
IL PRESIDENTE
Dott. Mauro Bernardi

Matrimonio c.d. concordatario – Trascrizione tempestiva ma incompleta dell’atto di matrimonio – Convenzione patrimoniale – Omessa trascrizione – Trascrizione tardiva della convenzione – Effetti tra le parti

Cass. Civile, Sez. 1 – , Sentenza n. 22594 del 27/09/2017.
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16418/2015 proposto da:
D.M.M., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile
della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuliani
Lorenzo, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
R.F., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile
della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Di
Liberatore Luigi, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 505/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,
depositata il 09/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
29/05/2017 dal cons. DOGLIOTTIMASSIMO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale FEDERICO
Sorrentino, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato Giuliani Lorenzo che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato Di Liberatore Luigi che ha
chiesto il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, R.F. conveniva in giudizio
D.M.M., ex coniuge, perchè si dichiarasse che era simulato un atto
pubblico di compravendita, nella parte in cui si indicava, quale
acquirente di immobile (rogito notaio C., (*)), la D.M.; che il prezzo di
acquisto era stato pagato da esso R. con i proventi della propria attività
imprenditoriale; che l’immobile era di sua proprietà esclusiva; in via
subordinata, chiedeva che questo fosse dichiarato di proprietà di
entrambi i coniugi, in quanto parte della comunione de residuo al
momento della separazione personale tra essi. Affermava l’attore che la
D.M. aveva precisato al notaio rogante di trovarsi in regime di comunione
legale.
Costituitosi il contradditorio, la D.M. eccepiva che l’acquisto
dell’immobile era stato effettuato in regime di separazione dei beni e con
proprie disponibilità economiche (in particolare la provvista era stata a
lei trasmessa dalla madre,a seguito della vendita di un suo
appartamento); evidenziava altresì che i coniugi in data 14/01/2002
(dopo la loro separazione personale) avevano sottoscritto una
dichiarazione d’impegno, con la quale chiarivano di trovarsi in regime di
separazione dei beni e di non avere in proprietà comune alcun immobile.
Il Tribunale di Teramo-sezione distaccata di Atri, con sentenza in data
15/05/2008,rigettava la domanda del R., ritenendo comprovato che
l’acquisto dell’immobile era stato effettuato con denaro della D.M. e in
regime di separazione dei beni tra i coniugi.
Proponeva appello il R.. Costituitosi il contraddittorio, l’appellata ne
chiedeva il rigetto.
La Corte d’Appello de l’Aquila, con sentenza in data 09/04/2015,
accoglieva l’appello ed affermava che l’immobile era stato acquistato in
regime di comunione legale dei beni, precisando che i coniugi avevano
bensì dichiarato in forma scritta davanti al ministro del culto cattolico
che aveva celebrato il matrimonio concordatario, la loro scelta del regime
di separazione dei beni, ma la relativa annotazione non compariva nella
copia dell’atto di matrimonio inviato all’ufficiale dello stato civile per la
trascrizione.
Ricorre per cassazione l’appellata.
Resiste con controricorso l’appellante.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente osservato che il ricorso appare ammissibile: sono
chiaramente indicati le violazioni di legge e i vizi di motivazione (e non
rileva che nel medesimo motivo, ci si riferisca ad entrambi i profili); le
violazioni di legge sono trattate adeguatamente.
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 162 e 163
c.c., e della L. n. 121 del 1985, art. 8; insufficiente e contraddittoria
motivazione, precisando che al matrimonio concordatario sono
riconosciuti effetti civili al momento della celebrazione, nonostante
trascrizione tardiva, e che tale principio opera anche con riferimento
all’eventuale dichiarazione di scelta del regime di separazione dei beni,
per cui l’istanza del R. in data 21/11/2001 di effettuare l’annotazione di
scelta del regime di separazione dei beni a margine dell’atto di
matrimonio, ha attribuito alla dichiarazione stessa efficacia retroattiva
fino alla celebrazione del matrimonio stesso. Nessuna rilevanza si doveva
attribuire alla dichiarazione della D.M. di trovarsi in regime di
comunione dei beni, davanti al notaio rogante.
Con il secondo, violazione dell’art. 112 c.p.c., ravvisando una non
corrispondenza tra richiesto e pronunciato, essendosi limitato l’odierno
resistente, nel giudizio d’appello, a chiedere l’accoglimento della sua
domanda di simulazione, e in subordine di dichiarazione della
sussistenza del regime di comunione de residuo tra i coniugi.
Con il terzo, violazione dell’art. 2909 c.c., nonchè omessa motivazione,
eccependo l’esistenza di un giudicato interno, in quanto l’appellante non
avrebbe impugnato l’affermazione del primo giudice circa la sussistenza
del regime di separazione dei beni.
Pacifici i fatti di causa.
I coniugi celebrarono il matrimonio secondo il rito concordatario in data
20/07/1985 e dichiararono al ministro del culto cattolico officiante, alla
presenza di due testimoni, la loro volontà di scegliere il regime di
separazione dei beni. L’atto di matrimonio fu trasmesso all’ufficiale dello
stato civile italiano e regolarmente trascritto, privo peraltro
dell’annotazione relativa al regime. Questa fu apposta su richiesta del R.
soltanto il 15/10/2001, dopo la separazione dei coniugi. In data
16/12/1993 era stato rogato atto di compravendita di terreno, ove era
indicata come acquirente la D.M. che dichiarava di trovarsi in regime di
comunione dei beni con il marito.
Afferma la ricorrente, richiamando la L. n. 121 del 1985, art. 8, a seguito
della revisione del concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica, con gli
accordi di Villa Madama del 1984, che al matrimonio con il rito
concordatario vengono riconosciuti effetti civili dal momento della
celebrazione, anche se l’ufficiale dello stato civile abbia effettuato la
trascrizione oltre il termine prescritto. L’argomentazione non ha pregio,
in quanto non si controverte sulla trascrizione del matrimonio,
regolarmente effettuata, ma sulla mancata annotazione della scelta di
regime,a margine dell’atto trascritto.
L’art. 162 c.c., precisa che le convenzioni matrimoniali (necessariamente
attinenti al regime patrimoniale del coniugi) sono stipulate con atto
pubblico sotto pena di nullità. E si tratterà, almeno di regola, di atto
pubblico notarile (anche se l’art. 1382 c.c. 1865, esplicitamente parlava di
“contratti matrimoniali” – peraltro non del tutto coincidenti con le
“convenzioni” – da stipularsi con atto pubblico davanti al notaio). Esse
non potrebbero dunque stipularsi davanti all’ufficiale dello stato civile.
Eccezioni al principio sono contenuti nella L. n. 151 del 1975, art. 228,
(riforma del diritto di famiglia) per cui ciascun coniuge poteva escludere
l’applicazione del nuovo regime legale di comunione dei beni, con
dichiarazione entro il 20/09/1975 (termine poi variamente prorogato)
davanti al notaio o all’ufficiale dello stato civile; nonchè nell’art. 167 c.c.,
per cui il fondo patrimoniale può essere costituito da un terzo, anche per
testamento (pur essendo necessario l’accettazione dei coniugi con atto
pubblico). Eccezioni per,-altro più apparenti che reali, perchè si tratta di
atti unilaterali che incidono sul regime patrimoniale dei coniugi.
Ma la regola dell’atto pubblico notarile soffre un’altra eccezione
contenuta nell’art. 162 c.c., comma 2, per cui la scelta del regime può
essere dichiarata anche “nell’atto di matrimonio”: previsione dettata
all’evidenza da ragioni di semplificazione (la scelta del regime di
separazione dei beni, totalmente regolato dal codice civile, senza ulteriori
clausole o specificazioni). All’entrata in vigore della norma, era stato
espresso qualche dubbio circa la scelta, se questa dovesse comunque
effettuarsi (anche per i matrimoni concordatari) davanti all’ufficiale dello
stato civile ovvero pure davanti al ministro del culto cattolico officiante.
Giurisprudenza di merito e dottrina risposero, in netta prevalenza, in
senso positivo. E la stessa L. n. 121 del 1985, che recepisce, come si
diceva, l’accordo di revisione del Concordato del 1929, precisa, all’art. 8,
che nell’atto di matrimonio (canonico) potranno essere inserite le
dichiarazioni dei coniugi consentite dalla legge civile. Sussiste, anche al
riguardo, una sorta di delega dello Stato italiano al sacerdote officiante
che svolge il ruolo dell’ufficiale dello stato civile, e dunque una funzione
pubblica.
In generale, le convenzioni possono essere stipulate in ogni tempo, sia
prima che dopo la celebrazione del matrimonio, e tuttavia non possono
essere opposte a terzi, se non vi è annotazione, a margine dell’atto di
matrimonio, della data, del notaio rogante, della generalità dei contraenti
ovvero della scelta del regime (di separazione dei beni).
Chiarisce dunque la previsione (e al riguardo la giurisprudenza è ormai
ampiamente consolidata: per tutte Cass. n. 8824 del 1987 e numerosa
giurisprudenza successiva; v. pure Corte cost. n. 111 del 1995) che solo
con l’annotazione il regime prescelto e dunque le convenzioni stipulate
(anche atipiche) sono opponibili ai terzi, i quali vengono dunque a
conoscenza delle convenzioni e del regime relativo attraverso
l’annotazione dell’atto di matrimonio contenuto nei registri pubblici dello
stato civile.
Ma non si potrebbe certo parlare di invalidità delle convenzioni o della
scelta del regime nei rapporti interni tra i coniugi, ove l’atto di
matrimonio, come nella specie, sia stato regolarmente trascritto, ma
privo dell’annotazione del regime. Ciò varrà per le convenzioni
matrimoniali, nonchè per la scelta del regime (di separazione), effettuata
davanti all’ufficiale dello stato civile (per il matrimonio civile) e con
l’equiparazione della dichiarazione davanti al sacerdote, già affermata
dalla giurisprudenza di merito e poi confermata da una prassi assai
consolidata ma pure da un riscontro normativo chiaro ed esplicito già
indicato (L. n. 121 del 1985, art. 8). Non sussiste ragione alcuna per
escludere, nei rapporti interni tra le parti, la validità di una scelta
comune, espressione della loro libera volontà.
E’ da ritenere dunque che la scelta di regime di separazione, espressa in
forma scritta, alla presenza di due testimoni, davanti al ministro del culto
cattolico officiante, ancorchè non annotata nell’atto di matrimonio
trascritto nei registri dello stato civile, nei rapporti interni tra i coniugi
mantenga la sua validità.
Nè si potrebbe sostenere che sia sufficiente una dichiarazione unilaterale
di un coniuge davanti al notaio per effettuare una modifica di regime (che
tale sarebbe da separazione a comunione di beni). La stessa
giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2954 del 2003) ha chiarito che
non può modificarsi il regime patrimoniale con atto unilaterale di un
coniuge, e che non potrebbe escludersi un bene singolo dal regime
prescelto, senza una modifica generale del regime stesso, nelle forme di
cui all’art. 162 c.c. Dunque nessuna rilevanza avrà la dichiarazione della
D.M. davanti al notaio circa il regime di comunione, in occasione della
compravendita de qua.
Va pertanto accolto, per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso,
assorbiti gli altri. Va cassato il provvedimento impugnato. Non dovendosi
effettuare ulteriori accertamenti di fatto, può pronunciarsi nel merito,
rigettando la domanda di R.F., e precisandosi che le parti si trovavano,
quanto ai rapporti interni, in regime di separazione dei beni.
La complessità della questione e la sua relativa novità richiedono la
compensazione delle spese per ogni grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso,
assorbiti gli altri; decidendo nel merito, rigetta la domanda di R.F.;
compensa tra le parti le spese per ogni grado di giudizio.
Così deciso in Roma, il 29maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017.

Maternità surrogata: La Corte Costituzionale interviene sul bilanciamento degli interessi coinvolti

Corte costituzionale
Sentenza 18 dicembre 2017, n. 272
PRESIDENTE: GROSSI – REDATTORE: AMATO
[…] nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, promosso dalla Corte d’appello di Milano nel procedimento civile vertente tra A.L. C. ed il curatore speciale di L.F. Z., con ordinanza del 25 luglio 2016, iscritta al n. 273 del registro ordinanze del 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti gli atti di costituzione di A.L. C. e del curatore speciale di L.F. Z., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella udienza pubblica del 21 novembre 2017 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi gli avvocati Grazia Ofelia Cesaro, nella qualità di curatore speciale di L.F. Z., e Francesca Maria Zanasi per A.L. C. e l’avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
RITENUTO IN FATTO
1.- Nel corso di un procedimento di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità, la Corte d’appello di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
La disposizione è censurata nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia rispondente all’interesse dello stesso.
2.- Il giudizio a quo ha ad oggetto l’appello avverso la sentenza con cui il Tribunale ordinario di Milano – in accoglimento della domanda proposta ai sensi dell’art. 263 cod. civ. dal curatore speciale di un minore, nominato dal Tribunale per i minorenni – ha dichiarato che lo stesso minore non è figlio della donna che lo ha riconosciuto.
La vicenda sottoposta all’esame della Corte d’appello di Milano trae origine dalla trascrizione del certificato di nascita formato all’estero, relativo alla nascita di un bambino, riconosciuto come figlio naturale di una coppia di cittadini italiani, i quali – nell’ambito delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni – avrebbero ammesso il ricorso alla surrogazione di maternità, realizzata attraverso ovodonazione.
Il giudice a quo riferisce che, pertanto, su iniziativa della stessa Procura della Repubblica, è stato avviato il procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, il quale si è concluso con dichiarazione di non luogo a provvedere, avendo i genitori contratto matrimonio ed essendo risultata certa, in base al test eseguito sul DNA, la paternità biologica di colui che ha effettuato il riconoscimento.
Riferisce il giudice rimettente che, su richiesta del pubblico ministero, il Tribunale per i minorenni di Milano ha autorizzato, ai sensi dell’art. 264, secondo comma, cod. civ., l’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale effettuato da A.L. C., nominando a tal fine un curatore speciale del minore. In accoglimento di tale impugnazione, il Tribunale ordinario di Milano ha dichiarato che il minore non è figlio di A.L. C., disponendo le conseguenti annotazioni a cura dell’ufficiale di stato civile.
Il giudice a quo riferisce che la decisione di primo grado si è fondata sulla disposizione di cui all’art. 269, terzo comma, cod. civ., e sulla considerazione che, nel caso in esame, il rapporto di filiazione dal lato materno non potrebbe essere dedotto dal contratto per la fecondazione eterologa con maternità surrogata, da ritenersi invalido per contrarietà della legge straniera all’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 16 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato).
2.1.- Ciò premesso, la Corte d’appello evidenzia che nel caso in esame l’atto di nascita comprovante la genitorialità del minore è già stato trascritto in Italia e che, pertanto, è estranea al thema decidendum la questione della trascrivibilità in Italia di atti di nascita formati nei paesi che consentono la maternità surrogata. Nel caso in esame, infatti, non è richiesta la trascrizione di uno status filiationis riconosciuto all’estero, bensì la rimozione di uno status già attribuito, in considerazione della sua non veridicità.
2.1.1.- Quanto al divieto di maternità surrogata previsto dall’art. 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), il giudice a quo ritiene che lo stesso potrebbe porsi in contrasto con i principi costituzionali, laddove riferito ad ipotesi di gestazione “relazionali” o “solidaristiche”, non lesive della dignità della donna, né riducibili alla logica di uno scambio mercantile, ma caratterizzate da intenti di pura solidarietà. Tuttavia, osserva il rimettente, anche tale questione risulta estranea alla vicenda in esame, in quanto la surrogazione di maternità è avvenuta al di fuori di un contesto relazionale e non sarebbe ravvisabile una condizione di libertà della donna che ha portato a termine la gravidanza.
2.2.- La Corte d’appello prospetta, invece, una diversa questione di legittimità costituzionale, che pone al centro l’interesse del bambino, nato a seguito di surrogazione di maternità realizzata all’estero, a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita.
Il dubbio di costituzionalità sollevato dal rimettente attiene, in particolare, all’art. 263 cod. civ., nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità possa essere accolta solo laddove sia ritenuta rispondente all’interesse del minore.
2.2.1.- Rammenta il giudice a quo che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ. è già stata ritenuta non fondata dalla sentenza n. 112 del 1997, sull’assunto che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità sia ispirata al «principio di ordine superiore che ogni falsa apparenza di stato deve cadere». In quella occasione, asserisce il rimettente, la Corte ha individuato nella verità del rapporto di filiazione un valore necessariamente da tutelare, con la precisazione che la finalità perseguita dal legislatore consisterebbe proprio nell’attuazione del diritto del minore all’acquisizione di uno stato corrispondente alla realtà biologica. Analoghi principi sarebbero stati ribaditi dalle sentenze n. 170 del 1999 e n. 216 del 1997, nonché dall’ordinanza n. 7 del 2012.
Alla stregua di tali rilievi, il giudice a quo esclude soluzioni ermeneutiche che consentano di considerare, nella cornice dell’art. 263 cod. civ., la specifica situazione del minore al fine di privilegiare una soluzione che realizzi il suo concreto ed effettivo interesse. La mancanza di un riferimento normativo all’interesse del minore, nel richiamato indirizzo interpretativo da considerare quale “diritto vivente”, si porrebbe in contrasto con i principi di particolare tutela che la Costituzione e la CEDU assicurano ai minori.
2.3.- La questione avrebbe incidenza attuale nel giudizio di impugnazione promosso dal curatore speciale ai sensi dell’art. 263 cod. civ.
Infatti, nel caso in esame, le norme inderogabili che definiscono e disciplinano la genitorialità, ed in particolare la maternità, non consentirebbero a madre e figlio di vedersi riconosciuto tale legame giuridico, se non per il tramite dell’adozione in casi particolari, nel presupposto che l’interesse del minore, di cui lo stesso curatore è portatore, debba identificarsi nel favor veritatis.
Viceversa, ove fosse consentita una valutazione in concreto dell’interesse del minore, non coincidente col favor veritatis, esso potrebbe essere misurato anche alla stregua di altri profili, riguardanti le particolari modalità della nascita, la possibilità di altro legame giuridico, certo e ugualmente tutelante, con la madre intenzionale, e tutte le circostanze, anche relative al rapporto con la madre intenzionale, emerse nella fattispecie in esame.
2.4.- Il giudice rimettente richiama i principi enunciati dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176; dalla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77; dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che all’art. 24, secondo comma, sancisce il principio della necessaria preminenza dell’interesse del minore.
Dovrebbero considerarsi, inoltre, le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098ª riunione dei delegati dei ministri. Il riferimento, ivi contenuto, al superiore interesse del minore andrebbe inteso come ricerca di una soluzione che garantisca l’effettiva attuazione, non di un interesse astratto e preconcetto, bensì del best interest, cioè dell’interesse concreto di “quel” minore che, nel singolo caso sottoposto a valutazione, è destinatario di un provvedimento.
La Corte d’appello osserva che anche la recente giurisprudenza di merito attribuisce rilievo al concreto interesse del minore in tema di relazioni familiari. In particolare, sono richiamate quelle pronunce che hanno ammesso la trascrizione nei registri dello stato civile di atti stranieri attributivi della genitorialità alla madre intenzionale, a seguito di accordi di maternità surrogata (Corte d’appello di Bari, sentenza 13 febbraio 2009) o di un atto di nascita, formato all’estero, del figlio di una coppia di donne, nato con donazione del gamete maschile e trasferimento dell’ovulo di una delle due all’altra, che ha portato a termine la gravidanza (Corte d’appello di Torino, decreto 29 ottobre 2014). Sono, altresì, richiamate quelle decisioni che hanno riconosciuto la possibilità di adozione del figlio del partner di coppia dello stesso sesso, ai sensi dell’art. 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia). Inoltre, è richiamata la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 11 gennaio 2013, n. 601, che ha escluso che il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale pregiudichi l’equilibrato sviluppo del bambino.
Il giudice a quo sottolinea, inoltre, che nella sentenza n. 31 del 2012 questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 569 del codice penale, nella parte in cui prevedeva che, alla condanna dei genitori per il delitto di alterazione di stato, conseguisse in via automatica la perdita della potestà genitoriale, precludendo così al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore.
Alla luce dei principi desumibili dalla normativa sovranazionale e nazionale e degli approdi giurisprudenziali, europei e interni, nonché delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie in tema di procreazione assistita, il giudice a quo sollecita una rinnovata riflessione sul tema della coincidenza tra favor veritatis e favor minoris.
Il dubbio di legittimità costituzionale ha ad oggetto l’art. 263 cod. civ., nella parte in cui non consente di valutare il concreto interesse del minore a mantenere l’identità relazionale e lo status di una riconosciuta filiazione materna, impedendo, così, che tale interesse possa essere realizzato con l’ampiezza di tutele riconosciute da plurimi principi costituzionali.
2.5.- In primo luogo, è denunciata la violazione dell’art. 2 Cost., per la natura inviolabile del diritto del minore a non vedersi privato del nome, dell’identità personale e della stessa possibilità di avere una madre, mantenendo lo status filiationis nei confronti di colei che abbia effettuato il riconoscimento.
In secondo luogo, la disposizione in esame contrasterebbe con l’art. 30 Cost., che riconosce e promuove, sia pure in via sussidiaria, accanto alla genitorialità biologica, una genitorialità sociale, fondata sul consenso e indipendente dal dato genetico. Di essa, in alcune situazioni problematiche, l’interesse del minore potrebbe giovarsi. Il riconoscimento della genitorialità sociale si accompagnerebbe, infatti, alle garanzie offerte al figlio dall’assunzione di responsabilità nei suoi confronti. La questione di legittimità costituzionale è sollevata anche in riferimento all’art. 31 Cost., che, con disposizione riassuntiva e generale, completa il quadro delle garanzie costituzionali dei rapporti familiari e dell’infanzia.
L’impossibilità di valutare, in concreto, un interesse, che potrebbe non coincidere col favor veritatis, si porrebbe altresì in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., soprattutto alla luce dell’art. 9 della legge n. 40 del 2004 che, ancor prima della sentenza di questa Corte n. 162 del 2014, aveva comunque assicurato al bambino – nato attraverso fecondazione assistita di tipo eterologo – lo stato di figlio del coniuge o del convivente della donna che lo aveva partorito.
A questo riguardo, il giudice a quo evidenzia che, nel nuovo assetto conseguente all’eliminazione del divieto di fecondazione eterologa, essendo esclusa la possibilità che il coniuge o il convivente del genitore naturale possano, rispettivamente, disconoscere la paternità del bambino, ovvero impugnare il relativo riconoscimento, sarebbe dubbia la legittimazione in capo al figlio in ordine alle azioni indicate. Infatti, un eventuale accertamento negativo della paternità legale non potrebbe comunque costituire la premessa per un successivo accertamento positivo della paternità biologica, stante la regola di cui all’art. 9, comma 3, della legge n. 40 del 2004.
In ogni caso, nell’impossibilità di valutare in concreto l’interesse del minore, lo status del bambino nato da surrogazione di maternità potrebbe risultare irragionevolmente diverso e sfavorevole rispetto a quello assicurato al minore nato attraverso il ricorso alla fecondazione eterologa.
La Corte d’appello dubita della legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ., anche con riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in situazioni riconducibili alla maternità surrogata.
Sono richiamate, in particolare, le sentenze della Corte EDU del 26 giugno 2014 rese nei casi Mennesson contro Francia e Labassee contro Francia (ricorsi n. 65192 del 2011 e n. 65941 del 2011), nelle quali è stata affrontata la questione del rifiuto di riconoscere, in Francia, rapporti genitoriali stabiliti all’estero tra minori nati da maternità surrogata e le coppie che vi avevano fatto ricorso. In queste pronunce, la Corte di Strasburgo ha ritenuto violato l’art. 8 della CEDU con riferimento al diritto dei minori al rispetto della propria vita privata, quale diritto di ciascuno su ogni profilo della propria identità di essere umano.
Ad avviso del giudice a quo, da tali sentenze discenderebbe per gli Stati contraenti l’obbligo positivo di tutelare l’identità personale del minore nato attraverso surrogazione di maternità, anche a prescindere dal legame biologico con i genitori intenzionali. Gli Stati membri del Consiglio d’Europa, se possono scoraggiare o vietare il ricorso alla maternità surrogata, non potrebbero, viceversa, rifiutare la trascrizione di un atto di nascita che assicura al minore il rispetto della sua vita privata, rispondendo tale trascrizione al suo best interest.
In questo senso si porrebbe anche la sentenza della Corte EDU del 27 gennaio 2015, resa nel caso Paradiso e Campanelli contro Italia (ricorso n. 25358 del 2012). In un caso di maternità surrogata caratterizzato dall’assenza di legame biologico del minore con i genitori intenzionali, la Corte di Strasburgo ha ravvisato la violazione dell’art. 8 della CEDU nei provvedimenti relativi all’allontanamento del minore. La nozione di “vita familiare”, tutelabile ai sensi dell’art. 8 della CEDU, sarebbe estensibile alla relazione tra i genitori d’intenzione e il minore, ancorché costituita illegalmente secondo l’ordinamento nazionale. In questo modo, ad avviso del giudice a quo, la Corte di Strasburgo avrebbe svincolato la nozione giuridica di “vita familiare” dall’indefettibilità del legame genetico, ritenendola comprensiva di relazioni di fatto, la cui tutela corrisponde al preminente interesse del minore.
2.6.- Dopo avere ribadito che la questione in esame non concerne la liceità della pratica della surrogazione, ma i diritti del bambino nato attraverso tale pratica, il rimettente deduce che non vi sarebbe contrasto, rispetto all’ordine pubblico, del concreto interesse del minore. In particolare, tale contrasto non sarebbe ricavabile dal divieto di maternità surrogata di cui all’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, dovendosi avere riguardo all’ordine pubblico internazionale, in cui rileva l’esistenza di paesi, anche in Europa, che consentono il ricorso alla surrogazione di maternità.
Il concetto di ordine pubblico dovrebbe essere perciò declinato con riferimento all’interesse del minore, secondo un principio ricavabile anche dal regolamento CE n. 2201/2003 del 27 novembre 2003 (Regolamento del Consiglio relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale). Tale regolamento, all’art. 23, prevede che, con riferimento alle decisioni relative alla responsabilità genitoriale, la valutazione della non contrarietà all’ordine pubblico debba essere effettuata tenendo conto del superiore interesse del figlio.
2.7.- Il giudice a quo ritiene che il dubbio di legittimità costituzionale non possa essere superato neppure dalla considerazione del diritto del figlio a conoscere le proprie origini. Tale diritto si realizzerebbe, infatti, su un piano diverso da quello dell’impugnazione di cui all’art. 263 cod. civ., a meno di non voler attribuire all’accertamento della non veridicità del riconoscimento la funzione di comunicazione della non-nascita dalla madre, in una logica latamente sanzionatoria della condotta genitoriale. Ciò andrebbe comunque a detrimento dell’interesse del minore al mantenimento di un rapporto giuridico corrispondente alla effettività della relazione con la persona che ha formulato il progetto familiare e che, dalla nascita del bambino, ne è madre.
3.- Nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituita A.L. C., parte appellante nel giudizio principale, chiedendo l’accoglimento della questione sollevata dal giudice a quo.
3.1.- Dopo avere ripercorso le argomentazioni del giudice rimettente, la parte richiama i principi affermati nelle sentenze n. 158 del 1991, n. 112 del 1997 e n. 170 del 1999 ed osserva che, alla luce del mutato quadro giurisprudenziale e dell’evoluzione scientifica e tecnologica, che ha progressivamente ampliato le possibilità procreative delle coppie, si imporrebbe una nuova valutazione della legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ. Si dovrebbe ritenere ormai superato il principio della necessaria preservazione del legame di filiazione veridico quale unico presupposto di tutela dell’interesse del minore.
Sono richiamate, in particolare, la sentenza n. 162 del 2014, in materia di fecondazione eterologa, e le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di surrogazione di maternità. In queste pronunce la tutela del superiore interesse del minore non sarebbe più inscindibilmente connessa alla veridicità del rapporto di filiazione, in quanto biologicamente determinato, bensì alla conservazione del rapporto di filiazione “sociale”, ovvero “intenzionale”, imperniato sull’assunzione della responsabilità genitoriale.
La parte evidenzia che, in tema di disconoscimento di paternità del bambino nato da procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, la Corte di cassazione, sin da epoca precedente alla legge n. 40 del 2004, si era già espressa nel senso che il favor veritatis abbia «una priorità non assoluta, ma relativa» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 16 marzo 1999, n. 2315).
Occorrerebbe, dunque, una valutazione individualizzata dell’interesse del minore ed il superamento, sulla scorta del mutato contesto sociale e giurisprudenziale, dell’impostazione che ritiene salvaguardato tale interesse solo in presenza di un legame di filiazione veridico.
3.2.- Riguardo alla violazione dell’art. 2 Cost., la difesa della parte condivide i rilievi del giudice rimettente, richiamando in proposito la giurisprudenza costituzionale e di legittimità in materia di diritto all’identità personale quale diritto inviolabile della persona umana, strettamente connesso al diritto di conservare il proprio status filiationis. La disposizione censurata sarebbe, altresì, lesiva del diritto al nome del minore, anch’esso protetto a norma dell’art. 2 Cost.
3.3.- L’art. 263 cod. civ. si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 3 Cost., per la condizione deteriore in cui si trova il bambino nato da maternità surrogata rispetto a quello nato attraverso fecondazione assistita di tipo eterologo. Solo in questo secondo caso, infatti, in presenza di donazione dei gameti, è preclusa al coniuge e al convivente del genitore naturale la proposizione dell’azione di disconoscimento e, rispettivamente, dell’impugnazione del riconoscimento. Tuttavia, anche con riferimento al bambino nato da maternità surrogata si porrebbe l’analoga esigenza di assicurare protezione al diritto costituzionale all’identità personale, nelle forme del diritto al nome e alla conservazione del proprio status filiationis.
3.3.1.- La norma sarebbe irragionevole anche per l’automatismo decisorio che si determinerebbe in caso di difetto di veridicità. Sia pure pronunciando su questioni di tipo diverso, la giurisprudenza costituzionale avrebbe chiarito come siffatti automatismi possono tradursi in un’irragionevole lesione dell’interesse del minore, in quanto preclusivi di uno scrutinio individualizzato, caso per caso, da parte del giudice.
In particolare, in tema di adozione, tali principi hanno portato a ritenere irragionevoli – perché non rispondenti all’interesse del minore – le norme che stabilivano limiti rigidi di età tra adottanti e adottato (sono richiamate le sentenze n. 140 [recte: 44] del 1990, n. 148 del 1992, n. 303 del 1996 e n. 283 del 1999).
Afferma la parte che, allo stesso modo, è stata ritenuta irragionevole l’applicazione automatica della pena accessoria della perdita di potestà genitoriale, a seguito della commissione del reato di cui all’art. 567 cod. pen., prevista dall’art. 569 cod. pen., che precludeva ogni possibilità di valutazione e bilanciamento tra l’interesse del minore e l’applicazione della pena accessoria, in ragione della natura e delle caratteristiche dell’episodio criminoso (sentenza n. 31 del 2012). Analogamente, l’art. 569 cod. pen. è stato censurato nella parte in cui stabiliva che, alla condanna pronunciata per il delitto di cui all’art. 566, secondo comma, cod. pen., conseguisse di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto (sentenza n. 7 del 2013).
È richiamata, inoltre, la pronuncia con cui questa Corte ha censurato l’art. 4-bis, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui includeva nel divieto di concessione dei benefici penitenziari anche la detenzione domiciliare speciale, prevista per le madri con prole di età non superiore a dieci anni (sentenza n. 239 del 2014). Anche in questo caso, non era consentita una valutazione caso per caso della pericolosità della madre detenuta, al fine di tenere conto del superiore interesse del minore.
Da ultimo, la difesa della parte richiama le pronunce che hanno censurato l’irragionevole rigidità della disposizione che negava al medico una valutazione del caso concreto sottoposto a trattamento medico, da effettuarsi sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche (sentenza n. 151 del 2009).
Ad avviso della parte, anche in relazione all’art. 263 cod. civ. sarebbe ravvisabile un automatismo, consistente nell’accoglimento dell’impugnazione del riconoscimento ogniqualvolta sussista un difetto di veridicità. Anche a questa previsione sarebbe sottesa una presunzione assoluta, in base alla quale l’interesse del minore sarebbe adeguatamente tutelato soltanto quando venga assicurata la veridicità del legame di filiazione. Per eliminare tale irragionevolezza, dovrebbe essere consentita al giudice la valutazione degli effetti dell’accoglimento dell’impugnazione in relazione all’interesse del minore, in considerazione delle circostanze del caso concreto.
3.4.- Con riferimento alla violazione degli artt. 30 e 31 Cost., la difesa della parte privata, richiamandosi ai principi affermati nella sentenza n. 162 del 2014, sottolinea il valore da attribuire alla genitorialità sociale, dovendo riconoscersi tutela, anche di livello costituzionale, a nuclei familiari in cui difetti una corrispondenza biunivoca tra il dato biologico e quello sociale.
Lo stesso legislatore, con la legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali), avrebbe già fatto propria una nozione di responsabilità genitoriale improntata sul consenso liberamente assunto dai genitori nei confronti del figlio. In quanto finalizzata ad assicurare adeguata protezione all’interesse del minore, tale responsabilità dovrebbe prescindere dalla caratterizzazione biologica o sociale del rapporto di parentela.
Al riguardo, la parte richiama la giurisprudenza di merito e di legittimità in tema di adozione da parte del single e della coppia omosessuale (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 11 gennaio 2013, n. 601, e 22 giugno 2016, n. 12962; Corte d’appello di Torino, sentenza 27 maggio 2016); in materia di trascrizione di atti di nascita formati all’estero, dai quali risulti che il bambino è figlio di una coppia composta da persone dello stesso sesso (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 30 settembre 2016, n. 19599), ovvero è nato a seguito di maternità surrogata (Corte d’appello di Milano, decreto 28 dicembre 2016); nonché in tema di adozione, da parte del genitore sociale, del figlio biologico del proprio compagno, nato a seguito di surrogazione di maternità (Tribunale per i minorenni di Roma, sentenza 23 dicembre 2015).
3.5.- Da ultimo, quanto alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 8 della CEDU, la difesa della parte evidenzia che nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo si rinviene l’affermazione della necessità di assicurare preminenza, nel bilanciamento tra interessi contrapposti, al superiore interesse del minore, attraverso uno scrutinio che poggi sulle circostanze del caso concreto. In tal senso, oltre alle già citate sentenze del 26 giugno 2014 rese nei casi Mennesson e Labassee contro Francia, è richiamata la sentenza della Grande camera del 6 luglio 2010, resa nel caso Neulinger e Shuruk contro Svizzera (ricorso n. 41615 del 2007), in cui la Corte ha ravvisato nell’omessa trascrizione del certificato di nascita formato all’estero la lesione del superiore interesse del bambino nato da surrogazione di maternità.
Ad avviso della parte, la prospettiva si dovrebbe spostare dalla valutazione della situazione giuridica della coppia a quella del minore, meritevole di autonoma considerazione indipendentemente dalle condotte realizzate dai genitori, siano essi biologici, sociali o intenzionali.
3.5.1.- A conclusioni analoghe sarebbe inizialmente pervenuta la Corte EDU nella sentenza resa nel caso Paradiso e Campanelli contro Italia, sopra già citata. In tale pronuncia, la Corte di Strasburgo ha affermato il carattere recessivo delle esigenze di ordine pubblico rispetto alla necessaria salvaguardia del superiore interesse del minore, ravvisando nel caso concreto la violazione del suo diritto alla vita privata e familiare, in ragione dell’allontanamento dalla famiglia di origine.
Peraltro, successivamente all’ordinanza di rimessione, è intervenuta la sentenza del 24 gennaio 2017 della Grande camera, la quale, nel riesaminare la decisione del 27 gennaio 2015, ha escluso la violazione dell’art. 8 della CEDU. In questa occasione, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che le misure adottate dalle autorità italiane, che avevano disposto l’allontanamento del minore dalla coppia ricorrente e il suo collocamento presso un diverso nucleo familiare, non abbiano arrecato allo stesso minore un pregiudizio grave o irreparabile a causa della separazione, garantendo un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco.
Ad avviso della parte, anche questa pronuncia confermerebbe la necessità di salvaguardare il superiore interesse del minore attraverso una valutazione individualizzata, avente ad oggetto le circostanze del caso concreto. In questo caso veniva in rilievo la conformità alla CEDU dell’allontanamento del minore dalla coppia ricorrente, con cui egli non intratteneva alcun legame biologico. Viceversa, osserva la parte privata, la pronuncia non atterrebbe né al rifiuto di trascrivere un certificato di nascita formato all’estero, né al diritto del minore a ottenere il riconoscimento del rapporto di filiazione con la coppia, ciò che invece riveste rilievo centrale nella questione in esame.
Pertanto, resterebbero fermi i dubbi di non conformità della disposizione censurata rispetto all’art. 8 della CEDU. Essa precluderebbe, infatti, la valutazione individualizzata delle circostanze del caso e impedirebbe, altresì, di dare concretezza all’esigenza di tutela dell’interesse del minore.
3.5.2.- Più in generale, l’art. 263 cod. civ. sarebbe in contrasto con il quadro internazionale di tutela dei diritti dei minori e, in particolare, con gli artt. 3 e 8, paragrafo 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo. Nella stessa direzione si porrebbe anche l’azione del Consiglio d’Europa, con le Linee guida per una giustizia a misura di minore, cui si affianca la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli. Si evidenzia, altresì, che la tutela del superiore interesse del minore è riconosciuta dall’art. 24, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
4.- Con atto depositato in data 10 febbraio 2017 si è costituita in giudizio l’avvocato Grazia Ofelia Cesaro, nella qualità di curatore speciale del minore L.F. Z., rappresentato e difeso dalla detta professionista, e ha chiesto l’accoglimento della questione sollevata dalla Corte d’appello di Milano.
4.1.- Il curatore premette che l’azione dallo stesso proposta ai sensi dell’art. 263 cod. civ. è derivata dall’acquisizione della prova, nel corso del procedimento di adottabilità, che il figlio minore non è un discendente biologico di colei che lo ha riconosciuto. Il Tribunale per i minorenni ha pertanto provveduto alla nomina del curatore, conferendogli uno specifico mandato ad impugnare il riconoscimento.
Il curatore evidenzia, in particolare, che sebbene gli accertamenti svolti dal Tribunale per i minorenni avessero confermato l’interesse del figlio minore a mantenere il legame familiare con la madre sociale (oltre che con il padre), tuttavia le norme che disciplinano la genitorialità non consentirebbero a madre e figlio di vedersi riconosciuto tale legame giuridico, laddove esso non corrisponda alla verità biologica.
L’art. 263 cod. civ., infatti, contempla quale unico presupposto necessario e sufficiente per l’impugnazione del riconoscimento il difetto di veridicità, inteso come assenza di un legame biologico tra l’autore del riconoscimento e colui che è riconosciuto come figlio. Ciò precluderebbe al giudice ogni possibilità di valutazione e bilanciamento degli interessi coinvolti, in quanto l’inesistenza di tale legame biologico costituirebbe l’unica condizione per l’accoglimento dell’azione.
Osserva il curatore che l’interesse del minore alla salvaguardia del proprio legame con la madre (ed indirettamente con la famiglia d’origine materna) potrebbe, in ipotesi, essere preservato solo mediante lo strumento di cui all’art. 44 della legge n. 184 del 1983, previa rimozione dell’attuale status filiationis per parte di madre. Tale possibilità sarebbe, tuttavia, del tutto aleatoria, non solo perché dipendente dalla libera iniziativa del genitore sociale, ma anche perché subordinata al consenso dell’altro genitore. Inoltre, l’eventuale legame così costituito sarebbe comunque più debole di quello derivante dalla maternità naturale, attese le peculiarità proprie dell’adozione in casi particolari.
Rispetto all’interpretazione offerta dalla precedente sentenza n. 112 del 1997, sarebbe oggi necessario un riesame della questione, per riscontrare se, nell’attuale momento storico-sociale e nell’attuale panorama normativo e giurisprudenziale, sussista ancora la necessità di individuare nella verità del rapporto di filiazione un valore preminente, da tutelare in via prioritaria.
4.1.1.- In primo luogo, ad avviso del curatore, il principio secondo cui ogni falsa apparenza di stato deve cadere, così come il principio del favor veritatis, non assurgerebbero a valori costituzionalmente garantiti. L’art. 30 Cost. non avrebbe attribuito, infatti, un valore preminente alla verità biologica rispetto a quella legale. Al contrario, nel disporre, al quarto comma, che «[l]a legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità», la Costituzione avrebbe demandato al legislatore il potere di privilegiare la paternità legale rispetto a quella naturale, fissando le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima ed affidandogli la valutazione della soluzione più idonea per realizzare la coincidenza tra la discendenza naturale e quella biologica.
L’interesse pubblico alla verità dello status di filiazione, dunque, non dovrebbe necessariamente ed automaticamente prevalere sull’interesse del minore. Anche la normativa interna ed internazionale, oltre ad avere posto il minore al centro dei procedimenti promossi a sua tutela, avrebbe altresì prescritto l’obbligo di verificare l’interesse del minore, affinché lo stesso possa essere oggetto di bilanciamento con gli altri interessi meritevoli di tutela.
In particolare, nella mutata coscienza sociale, tra gli interessi giuridici del minore rileverebbero l’interesse alla stabilità dei legami familiari e quello a vivere e crescere all’interno della propria famiglia. In tal senso, sia la legge n. 219 del 2012, sia il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), avrebbero introdotto nuovi termini di decadenza ed imposto limiti più stringenti al potere dei genitori di agire per il disconoscimento del figlio, così come per l’impugnazione del riconoscimento, per l’acquisita consapevolezza che la tutela dell’identità e della vita personale e familiare del minore non sempre coinciderebbe con la rimozione di uno status personale non conforme alle origini biologiche.
Le modifiche legislative avrebbero posto al centro del rapporto di filiazione il concetto di responsabilità genitoriale, ridisegnando la disciplina delle azioni di disconoscimento di paternità e di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, nella prospettiva della prevalenza dell’interesse del figlio alla stabilità del rapporto. D’altra parte, anche la giurisprudenza di legittimità avrebbe riconosciuto il rilievo delle relazioni consolidatesi nel tempo tra genitore e figlio, alla luce del diritto di quest’ultimo a conservare tale profilo che caratterizza fin dalla nascita l’identità personale (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962).
Il curatore evidenzia, inoltre, che la più recente giurisprudenza di merito ha esteso la portata applicativa dell’art. 9 della legge n. 40 del 2004, dichiarando l’illegittimità dell’azione di impugnazione del riconoscimento intrapresa da terzi nei confronti di un figlio minore nato da fecondazione eterologa, così estendendo «a chiunque vi abbia interesse» il divieto di disconoscimento previsto solo nei confronti dell’autore del riconoscimento (Corte d’appello di Milano, sentenza 10 agosto 2015, n. 3397). Alla luce di tale evoluzione giurisprudenziale, che attenua il principio della prevalenza della verità biologica, andrebbe escluso pertanto che il favor veritatis costituisca valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da affermarsi comunque.
L’intervento correttivo auspicato si porrebbe in linea di continuità con la giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto illegittimo ogni automatismo legislativo che impedisca di bilanciare gli interessi tutelati con il preminente interesse del minore (è richiamata la sentenza n. 31 del 2012). La necessità di tale bilanciamento sarebbe stata riconosciuta anche dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione, nella sentenza del 25 gennaio 2017, n. 1946, che ha fatto seguito alla sentenza n. 278 del 2013 di questa Corte, in cui sarebbe stato affermato il diritto del figlio di accedere alle informazioni sulla madre che si fosse avvalsa della facoltà di non essere nominata.
4.1.2.- Anche a livello europeo, si dovrebbe constatare la progressiva perdita di rilievo della verità di sangue e l’emersione del rapporto affettivo della filiazione, quale elemento fondamentale per il riconoscimento dei legami tra genitori e figli sul piano del diritto; sono richiamate le sentenze della Corte di Strasburgo 27 aprile 2010, Moretti e Benedetti contro Italia (ricorso 16318 del 2007), e 1° aprile 2010, S.H. ed altri contro Austria (ricorso n. 57813 del 2000).
Inoltre, la legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare) farebbe propri i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, agevolando l’attribuzione di rilievo giuridico al rapporto di fatto instaurato tra i minori dichiarati adottabili e la famiglia affidataria.
L’interesse alla costituzione e alla conservazione dei legami familiari, non necessariamente coincidente con la verità delle origini biologiche, sarebbe riconosciuto quale criterio di valutazione centrale e riguarderebbe ormai anche i soggetti maggiorenni. Al riguardo, è richiamata l’ordinanza del Tribunale di Firenze 30 luglio 2015 che ha rigettato un’istanza di accertamento della non corrispondenza del DNA del presunto padre defunto con quello della figlia maggiorenne, al fine di proporre l’azione di cui all’art. 263 cod. civ.
Ed invero, la tendenza a far prevalere i valori costituzionali di solidarietà e di tutela dell’individuo e della vita familiare sarebbe ravvisabile in ogni settore del diritto di famiglia. È richiamata, al riguardo, la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 21 aprile 2015, n. 8097, con cui è stata ritenuta invalida l’annotazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, rispetto ad una coppia in cui uno dei coniugi aveva ottenuto, con il consenso dell’altro, la rettificazione di sesso.
4.2.- Sulla base di tali considerazioni, dunque, il curatore ritiene fondati gli argomenti svolti dall’ordinanza di rimessione.
4.2.1.- Riguardo al contrasto con l’art. 2 Cost., il curatore sottolinea come l’esigenza di tutelare il diritto del figlio minore alla propria identità sia stata affermata sin dalla sentenza n. 112 del 1997. In tale pronuncia sarebbe stata esclusa una contrapposizione tra il favor veritatis ed il favor minoris, intendendo così far coincidere l’identità del minore con la sola discendenza genetica dello stesso. Si tratterebbe, tuttavia, di un’interpretazione oltremodo restrittiva ed impropria del concetto di identità personale, non più conforme all’attuale coscienza sociale.
L’identità personale, infatti, sarebbe un concetto dinamico, non cristallizzato al momento del concepimento. Essa si svilupperebbe nel tempo, per effetto delle relazioni create con il mondo esterno, del nome e del cognome scelto dai genitori alla nascita, dell’appartenenza al luogo dove si cresce, della propria storia, cultura e tradizioni e, soprattutto, dei genitori e delle rispettive famiglie d’origine, che condizionano il processo di crescita.
Anche la Corte di cassazione, di recente, avrebbe condiviso questi principi, riconoscendo la risarcibilità del danno arrecato dal padre al figlio a causa dell’esperimento dell’azione di cui all’art. 263 cod. civ. In tale occasione, si è affermato che l’identità, come tutti i diritti della personalità, «si rafforza e si consolida con il passare del tempo. Pertanto, maggiore è il lasso di tempo intercorso tra il riconoscimento e l’impugnazione per difetto di veridicità, maggiore sarà la lesione che ne discende al diritto all’identità personale» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 31 luglio 2015, n. 16222).
D’altra parte, la rimozione dello status filiationis, ai sensi dell’art. 263 cod. civ., non garantirebbe affatto l’acquisizione di una genitorialità corrispondente a verità. Il genitore biologico potrebbe, infatti, rifiutare il riconoscimento, quest’ultimo potrebbe essere contrario all’interesse del minore, oppure, come accade nei casi di maternità surrogata, il genitore biologico potrebbe essere non identificabile. In tali circostanze sarebbe leso anche il diritto del minore alla bigenitorialità, diritto riconosciuto come preminente dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli).
4.2.2.- In riferimento all’art. 3 Cost., il curatore rileva che l’esigenza di bilanciare l’interesse del minore con il pubblico interesse alla certezza degli status sarebbe stata affermata dal legislatore in tutte le azioni in materia di riconoscimento dei figli (artt. 250, 251 e 269 cod. civ.). Se in tali azioni, tese ad estendere i legami di filiazione del minore, è stata ritenuta necessaria la valutazione dell’interesse del medesimo, non si comprenderebbe perché essa non possa compiersi anche nelle azioni il cui accoglimento comporta la rescissione di tali legami e quindi l’impoverimento delle relazioni familiari del minore.
4.2.3.- Quanto al contrasto con gli artt. 30 e 31 Cost., il curatore deduce che, nei giudizi di accertamento del rapporto di filiazione, la prevalenza incondizionata del favor veritatis sarebbe stata messa in dubbio dalla giurisprudenza. Al riguardo, si fa rilevare che gli artt. 30 e 31 Cost. riconoscono che la ricerca della filiazione biologica può incontrare dei limiti, derivanti dalla necessità di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente garantiti, primo fra tutti l’interesse del minore. La preminenza del favor veritatis non sarebbe espressione di valori costituzionali, bensì il portato di una concezione arretrata e formalistica dei rapporti familiari, ormai estranea al comune sentire.
4.2.4.- Da ultimo, quanto al contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., il curatore osserva che l’art. 8 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, imporrebbe in via prioritaria al legislatore nazionale di tutelare il legame di filiazione, ancorché originato attraverso pratiche ritenute illecite dall’ordinamento nazionale.
Non potrebbe, dunque, ritenersi giustificata una previsione legislativa, come quella censurata, che impone la rimozione dello status filiationis, precludendo ogni valutazione circa la corrispondenza di questa decisione all’interesse del minore. In ciò sarebbe ravvisabile un eccesso di discrezionalità legislativa. Di converso, laddove è in gioco il best interest of the child e la tutela della sua identità, il margine di tale discrezionalità sarebbe strettissimo, dovendosi ispirare alla promozione della persona del minore (oltre alle già citate sentenze 26 giugno 2014, Mennesson contro Francia e Labassee contro Francia, è richiamata la sentenza della Grande camera 10 aprile 2007, Evans contro Regno Unito, ricorso n. 2346 del 2002).
Viceversa, l’art. 263 cod. civ. tradirebbe tale scopo. Esso sacrificherebbe ogni considerazione centrata sulla persona del minore ad un presunto interesse pubblico alla verità biologica della procreazione, violando anche i principi desumibili dalle convenzioni internazionali che l’Italia ha sottoscritto, prima tra tutte la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, nonché la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Il curatore deduce che, nella giurisprudenza della Corte EDU, la sussistenza di legami familiari sarebbe legata all’esistenza, anche solo nei fatti, di stretti vincoli affettivi (Grande camera, sentenza 13 giugno 1979, Marckx contro Belgio, ricorso n. 6833 del 1974), a prescindere dalla loro qualificazione giuridica formale, ed anzi, talvolta, anche se la legge nazionale rifiuti di riconoscerli (Grande camera, sentenza 27 ottobre 1994, Kroon ed altri contro Paesi Bassi, ricorso n. 18535 del 1991, e sentenza 22 aprile 1997, X, Y e Z contro Regno Unito, ricorso n. 21830 del 1993).
Nella nozione di vita familiare, da proteggersi ai sensi dell’art. 8 della CEDU, rientrerebbe il legame tra il figlio ed il genitore, anche se tale relazione non ha presupposti biologici, ma solo affettivi (Prima sezione, sentenza 16 luglio 2015, Nazarenko contro Russia, ricorso n. 39438 del 2013). Il rapporto di filiazione sarebbe espressione della vita privata o, come nel caso che ha dato origine al presente giudizio, espressione di vita familiare. Ciò sarebbe confermato dalla stessa posizione del Governo italiano, espressa di fronte alla Corte EDU nel caso Paradiso e Campanelli, laddove è stata ammessa la possibilità di una vita familiare de facto, anche in assenza di legame biologico con entrambi i genitori.
Ove il legame biologico sussista solo nei confronti di un genitore (come nel caso in esame) si potrà invocare l’art. 8 della CEDU, nell’accezione di “vita familiare”. Laddove tale legame non sussista, la protezione della filiazione “sociale” dovrebbe essere riconosciuta quale declinazione della “vita privata” del minore.
5.- Nel giudizio innanzi alla Corte, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata.
5.1.- La difesa statale ha eccepito, in primo luogo, l’inammissibilità della questione, in quanto volta ad inserire, attraverso una pronuncia additiva, una condizione esclusiva (l’interesse del minore) ai fini dell’impugnazione del riconoscimento di figlio naturale. Spetterebbe, viceversa, al legislatore stabilire se l’accoglimento di tale impugnazione debba essere subordinato unicamente all’interesse del minore all’appartenenza familiare.
5.2.- Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata.
La ratio dell’art. 263 cod. civ., quale strumento di tutela dell’interesse superiore alla corrispondenza tra realtà naturale e verità apparente, sarebbe quella di far cadere il riconoscimento non rispondente al vero. Verrebbe in rilievo, quindi, l’interesse oggettivo dell’ordinamento alla verità dello status di filiazione, attinente a principi di ordine pubblico, intesi come principi fondamentali ed irrinunciabili. Ad avviso della difesa statale, il principio del favor veritatis esprime un’esigenza di certezza nei rapporti di filiazione e la protezione dell’interesse del minore si realizzerebbe proprio nel riconoscimento del diritto alla propria identità (sono richiamate la sentenza n. 112 del 1997 e l’ordinanza n. 7 del 2012).
La ratio dell’art. 263 cod. civ. consisterebbe nell’attuazione del diritto del minore all’acquisizione di uno stato corrispondente alla realtà biologica, ovvero, qualora ciò non sia possibile, di uno stato corrispondente a quello di figlio legittimo, ma solo attraverso le garanzie offerte dalla disciplina dell’adozione.
Non sarebbe, dunque, ravvisabile alcun contrasto con l’art. 2 Cost., perché lo scioglimento dei vincoli assunti dal genitore verso il preteso figlio realizzerebbe l’interesse oggettivo dell’ordinamento alla verità dello status.
Non potrebbero ritenersi lesi neppure i principi di cui agli artt. 30 e 31 Cost. Essi non sarebbero invocabili laddove il legame familiare venga meno, in quanto privato del fondamento della verità della filiazione naturale.
Inoltre, non sarebbe ravvisabile alcun contrasto con l’art. 3 Cost. e quindi con il principio di ragionevolezza, perché l’art. 263 cod. civ. sarebbe giustificato dalla superiore esigenza di far cadere ogni falsa apparenza di status.
Infine, non sussisterebbe neppure la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della CEDU, non essendo in discussione la tutela della vita privata del minore, ma il suo diritto alla identità personale, sotto il profilo del legame di filiazione.
5.3.- Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la questione sarebbe manifestamente infondata, non ravvisandosi nella considerazione del favor veritatis una ragione di conflitto con il favor minoris. La verità biologica della procreazione costituisce, infatti, una componente essenziale dell’interesse del medesimo minore, dovendo essergli garantito il diritto alla propria identità e all’affermazione di un rapporto di filiazione veridico (sentenze n. 216 e n. 112 del 1997). L’intangibilità dello status sarebbe recessiva rispetto a tale diritto, laddove venga meno la corrispondenza alla verità biologica (sentenza n. 170 del 1999).
6.- In prossimità dell’udienza pubblica, il curatore speciale ha depositato una memoria integrativa in cui, dopo avere ribadito gli argomenti già illustrati nelle precedenti difese, ha sottolineato che la mancata previsione della valutazione dell’interesse del minore impedirebbe di tener conto che, nel caso in esame, tale interesse è stato, in parte, già accertato dal Tribunale per i minorenni con la sentenza che ha dichiarato non luogo a provvedere sull’adottabilità. Il curatore speciale ritiene, peraltro, che una volta ricevuto il mandato dal medesimo Tribunale, egli non avrebbe potuto astenersi dallo svolgere tale incarico.
6.1.- In riferimento all’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, relativa all’incidenza che un’eventuale pronuncia di accoglimento avrebbe sulla discrezionalità del legislatore, si osserva che in questo caso è richiesta alla Corte l’eliminazione di un automatismo normativo che impedisce un bilanciamento tra gli interessi in gioco, ciò che rientrerebbe pienamente nelle sue attribuzioni. D’altra parte, interventi additivi della giurisprudenza costituzionale sarebbero frequenti proprio in materia di tutela d’interesse del minore (sono richiamate le sentenze n. 7 del 2013, n. 31 del 2012, n. 50 del 2006 e n. 297 del 1996).
6.2.- Da ultimo, il curatore speciale contesta che, nel nostro ordinamento, vi sia una necessaria coincidenza tra interesse del minore e favor veritatis. Ogni rigidità e automatismo in tal senso, anzi, potrebbero risultare pregiudizievoli per il minore.
È richiamata, in particolare, la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 22 dicembre 2016, n. 26767, che ha ritenuto essenziale il bilanciamento tra gli interessi in gioco, in considerazione del superamento della concezione della famiglia su base essenzialmente genetica.
D’altra parte, un distacco tra identità genetica e identità giuridica sarebbe alla base proprio della disciplina dell’adozione, la quale costituisce espressione di un principio di responsabilità di chi sceglie di essere genitore, facendo sorgere nel figlio “desiderato” un legittimo affidamento sulla continuità della relazione.
Il curatore evidenzia che – a conferma del riconoscimento della valenza del genitore sociale – la stessa giurisprudenza costituzionale ha richiamato proprio l’istituto dell’adozione. Nella sentenza n. 162 del 2014 si sottolinea, infatti, che esso mira a garantire una famiglia ai minori, evidenziando che «il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Nel corso di un procedimento di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità, la Corte d’appello di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
La disposizione è censurata nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia rispondente all’interesse dello stesso.
2.- Secondo la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio incidentale, la questione sarebbe inammissibile in quanto volta ad inserire, attraverso una pronuncia additiva, una condizione esclusiva (l’interesse del minore) ai fini dell’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale. Spetterebbe, viceversa, al legislatore stabilire se l’accoglimento di tale impugnazione debba essere subordinato all’interesse del minore all’appartenenza familiare.
L’eccezione di inammissibilità è priva di fondamento.
Al riguardo, va rilevato che il petitum del rimettente è volto al riconoscimento della possibilità di valutare l’interesse del minore, ai fini della decisione sull’impugnazione del riconoscimento. Ove si neghi tale possibilità, l’accoglimento della domanda rimarrebbe condizionato soltanto all’accertamento della non veridicità del riconoscimento. In definitiva, attraverso l’intervento invocato, è denunciata l’irragionevolezza di un automatismo decisorio che impedirebbe di tenere conto degli interessi in gioco. Il sindacato di legittimità rimesso a questa Corte è limitato, pertanto, alla verifica del fondamento costituzionale del denunciato meccanismo decisorio, senza alcuna interferenza sul contenuto di scelte discrezionali rimesse al legislatore.
3.- Sempre in via preliminare, occorre delimitare l’ambito dell’indagine che il giudice intende rimettere alla Corte in questa occasione.
Secondo questa prospettazione, il giudizio a quo ha per oggetto l’accertamento dell’inesistenza del rapporto di filiazione di un minore nato attraverso il ricorso alla surrogazione di maternità realizzata all’estero. Non è tuttavia in discussione la legittimità del divieto di tale pratica, previsto dall’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), e nemmeno la sua assolutezza. Risulta parimenti estraneo alla odierna questione di legittimità costituzionale il tema dei limiti alla trascrivibilità in Italia di atti di nascita formati all’estero.
La questione sollevata dalla Corte d’appello di Milano ha per oggetto, infatti, la disciplina dell’azione di impugnazione prevista dall’art. 263 cod. civ., volta a rimuovere lo stato di figlio, già attribuito al minore per effetto del riconoscimento, in considerazione del suo difetto di veridicità.
4.- Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ. non è fondata.
Nell’interpretazione fatta propria dal rimettente la norma censurata si porrebbe in contrasto con i principi di cui agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, Cost., poiché, nel giudizio di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale, essa non consentirebbe di tenere conto, in concreto, dell’interesse del minore «a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita». Tuttavia, siffatta interpretazione non può essere condivisa, neppure nei casi nei quali il legislatore imponga di non pretermettere la verità.
4.1.- Pur dovendosi riconoscere un accentuato favore dell’ordinamento per la conformità dello status alla realtà della procreazione, va escluso che quello dell’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento.
Ed invero, l’attuale quadro normativo e ordinamentale, sia interno, sia internazionale, non impone, nelle azioni volte alla rimozione dello status filiationis, l’assoluta prevalenza di tale accertamento su tutti gli altri interessi coinvolti.
In tutti i casi di possibile divergenza tra identità genetica e identità legale, la necessità del bilanciamento tra esigenze di accertamento della verità e interesse concreto del minore è resa trasparente dall’evoluzione ordinamentale intervenuta e si proietta anche sull’interpretazione delle disposizioni da applicare al caso in esame.
4.1.1.- A questo riguardo va preliminarmente osservato che la disposizione dell’art. 263 cod. civ. è stata censurata dal rimettente nella versione, applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche apportate dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219).
In particolare, l’art. 28 del medesimo d.lgs., in vigore dal 7 febbraio 2014, nel modificare l’art. 263 cod. civ., ha limitato l’imprescrittibilità dell’azione esclusivamente a quella esercitata dal figlio. Analoga previsione è stata inserita – con riferimento all’azione di disconoscimento di paternità – nell’art. 244, quinto comma, cod. civ., nel testo introdotto dall’art. 18, primo comma, del d.lgs. n. 154 del 2013. Gli altri legittimati, laddove intendano proporre le suddette azioni di contestazione degli status, sono ora tenuti a rispettare i termini di decadenza previsti dalla nuova disciplina.
Il legislatore delegato ha così garantito, senza limiti di tempo, l’interesse primario ed inviolabile dei figli all’accertamento della propria identità e discendenza biologica. Per converso, la previsione di termini di decadenza per gli altri legittimati ha circoscritto entro rigorosi limiti temporali l’esperibilità delle azioni demolitorie dello status filiationis, assicurando così tutela al diritto del figlio alla stabilità dello status acquisito.
La necessità del bilanciamento dell’interesse del minore con il pubblico interesse alla certezza degli status è, altresì, espressamente prevista dal legislatore nelle azioni in materia di riconoscimento dei figli (artt. 250 e 251 cod. civ.), volte all’estensione dei legami parentali del minore.
4.1.2.- D’altra parte, già l’art. 9 della legge n. 40 del 2004 aveva escluso che il coniuge o il convivente che abbiano acconsentito al ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo potessero promuovere l’azione di disconoscimento o impugnare il riconoscimento ai sensi dell’art. 263 cod. civ.
Al riguardo questa Corte ha ritenuto «confermata sia l’inammissibilità dell’azione di disconoscimento della paternità […] e dell’impugnazione ex art. 263 cod. civ. (nel testo novellato dall’art. 28 del d.lgs. n. 154 del 2013), sia che la nascita da PMA di tipo eterologo non dà luogo all’istituzione di relazioni giuridiche parentali tra il donatore di gameti ed il nato, essendo, quindi, regolamentati i principali profili dello stato giuridico di quest’ultimo» (sentenza n. 162 del 2014).
Anche in questo caso, in un’ipotesi di divergenza tra genitorialità genetica e genitorialità biologica, il bilanciamento è stato effettuato dal legislatore attribuendo la prevalenza al principio di conservazione dello status filiationis.
4.1.3.- Proprio al fine di garantire tutela al bambino concepito attraverso fecondazione eterologa, sin da epoca antecedente alla legge n. 40 del 2004, questa Corte – senza mettere in discussione la legittimità di tale pratica, «né […] il principio di indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione, principio sul quale sono suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione» – si è preoccupata «invece di tutelare anche la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Preminenti in proposito sono le garanzie per il nuovo nato […], non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima – in base all’art. 2 della Costituzione – ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti che è compito del legislatore specificare» (sentenza n. 347 del 1998).
4.1.4.- Come evidenziato dallo stesso rimettente in riferimento alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., anche il quadro europeo ed internazionale di tutela dei diritti dei minori evidenzia la centralità della valutazione dell’interesse del minore nell’adozione delle scelte che lo riguardano.
Tale principio ha trovato la sua solenne affermazione dapprima nella Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, in forza della quale «[i]n tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente» (art. 3, paragrafo 1).
Nella stessa direzione si pongono la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77, e le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098ª riunione dei delegati dei ministri.
Infine, l’art. 24, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, sancisce il principio per il quale «[i]n tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente».
D’altra parte, pur in assenza di un’espressa base testuale, la garanzia dei best interests of the child è stata riportata, nell’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, sia all’art. 8, sia all’art. 14 della CEDU. Ed è proprio in casi di surrogazione di maternità, nel valutare il rifiuto di trascrizione degli atti di nascita nei registri dello stato civile francese, che la Corte di Strasburgo ha affermato che il rispetto del migliore interesse dei minori deve guidare ogni decisione che li riguarda (sentenze del 26 giugno 2014, rese nei casi Mennesson contro Francia e Labassee contro Francia, ricorsi n. 65192 del 2011 e n. 65941 del 2011).
4.1.5.- Va altresì rammentato che, in linea con i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, la legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare) ha valorizzato l’interesse del minore alla conservazione di legami affettivi che sicuramente prescindono da quelli di sangue, attraverso l’attribuzione di rilievo giuridico ai rapporti di fatto instaurati tra il minore dichiarato adottabile e la famiglia affidataria.
D’altra parte, il distacco tra identità genetica e identità legale è alla base proprio della disciplina dell’adozione (legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Diritto del minore ad una famiglia»), quale espressione di un principio di responsabilità di chi sceglie di essere genitore, facendo sorgere il legittimo affidamento sulla continuità della relazione.
4.1.6.- Anche la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto, da tempo, l’immanenza dell’interesse del minore nell’ambito delle azioni volte alla rimozione del suo status filiationis (sentenze n. 112 del 1997, n. 170 del 1999 e n. 322 del 2011; ordinanza n. 7 del 2012).
In tale giurisprudenza si trovano affermazioni sul particolare valore della verità biologica. Tuttavia – diversamente da quanto ritiene il giudice a quo – essa non ha affatto negato la possibilità di valutare l’interesse del minore nell’ambito delle azioni demolitorie del rapporto di filiazione. È stato riconosciuto che la verità biologica della procreazione costituisce «una componente essenziale» dell’identità personale del minore, la quale concorre, insieme ad altre componenti, a definirne il contenuto.
Pertanto, nell’auspicare una «tendenziale corrispondenza» tra certezza formale e verità naturale, si è riconosciuto che anche l’accertamento della verità biologica fa parte della complessiva valutazione rimessa al giudice, alla stregua di tutti gli altri elementi che, insieme ad esso, concorrono a definire la complessiva identità del minore e, fra questi, anche quello, potenzialmente confliggente, alla conservazione dello status già acquisito.
Costituisce infatti «compito precipuo del tribunale per i minorenni, […] verificare se la modifica dello status del minore risponda al suo interesse e non sia per lui di pregiudizio; così come contemporaneamente occorre anche verificare, sia pure con sommaria delibazione, la verosimiglianza del preteso rapporto di filiazione, dovendosi garantire il diritto del minore alla propria identità» (sentenza n. 216 del 1997, sulla previgente disciplina dell’azione di disconoscimento della paternità, di cui agli artt. 273 e 274 cod. civ.).
Nell’evoluzione normativa e ordinamentale del concetto di famiglia, a conferma del rilievo giuridico della genitorialità sociale, ove non coincidente con quella biologica, vi è anche l’espresso riconoscimento, da parte di questa Corte, che «il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa» (sentenza n. 162 del 2014).
4.1.7.- L’esigenza di operare un’adeguata comparazione degli interessi in gioco, alla luce della concreta situazione dei soggetti coinvolti e, in particolare, del minore, è stata recentemente riconosciuta anche dalla Corte di cassazione, con riferimento all’azione di disconoscimento della paternità.
La giurisprudenza di legittimità ha escluso, infatti, che il favor veritatis costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque, atteso che l’art. 30 Cost. non ha attribuito un valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella legale. Nel disporre, al quarto comma, che «[l]a legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità», l’art. 30 Cost. ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, nonché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima, così affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell’interesse del figlio (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 30 maggio 2013, n. 13638; 22 dicembre 2016, n. 26767; e 3 aprile 2017, n. 8617).
4.2.- È alla luce di tali principi, immanenti anche nel mutato contesto normativo e ordinamentale, che si pone la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ.
L’affermazione della necessità di considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano è fortemente radicata nell’ordinamento sia interno, sia internazionale e questa Corte, sin da epoca risalente, ha contribuito a tale radicamento (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2013, n. 31 del 2012, n. 283 del 1999, n. 303 del 1996, n. 148 del 1992 e n. 11 del 1981).
Non si vede conseguentemente perché, davanti all’azione di cui all’art. 263 cod. civ., fatta salva quella proposta dallo stesso figlio, il giudice non debba valutare: se l’interesse a far valere la verità di chi la solleva prevalga su quello del minore; se tale azione sia davvero idonea a realizzarlo (come è nel caso dell’art. 264 cod. civ.); se l’interesse alla verità abbia anche natura pubblica (ad esempio perché relativa a pratiche vietate dalla legge, quale è la maternità surrogata, che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane) ed imponga di tutelare l’interesse del minore nei limiti consentiti da tale verità.
Vi sono casi nei quali la valutazione comparativa tra gli interessi è fatta direttamente dalla legge, come accade con il divieto di disconoscimento a seguito di fecondazione eterologa. In altri il legislatore impone, all’opposto, l’imprescindibile presa d’atto della verità con divieti come quello della maternità surrogata. Ma l’interesse del minore non è per questo cancellato.
La valutazione del giudice è presente, del resto, nello stesso procedimento previsto dall’art. 264 cod. civ., volto alla nomina del curatore speciale del figlio minore, laddove l’azione di contestazione dello status sia esercitata nel suo interesse. È anche in questa sede, infatti, che il legislatore – sia pure con i limiti derivanti dalla natura camerale del procedimento – ha affidato al giudice specializzato il compito di valutare, ancor prima dell’instaurazione dell’azione, l’interesse del minore all’assunzione di tale iniziativa giudiziale.
4.3.- Se dunque non è costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull’interesse del minore, va parimenti escluso che bilanciare quell’esigenza con tale interesse comporti l’automatica cancellazione dell’una in nome dell’altro.
Tale bilanciamento comporta, viceversa, un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore.
Si è già visto come la regola di giudizio che il giudice è tenuto ad applicare in questi casi debba tenere conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o falso. Tra queste, oltre alla durata del rapporto instauratosi col minore e quindi alla condizione identitaria già da esso acquisita, non possono non assumere oggi particolare rilevanza, da un lato le modalità del concepimento e della gestazione e, dall’altro, la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato, che, pur diverso da quello derivante dal riconoscimento, quale è l’adozione in casi particolari, garantisca al minore una adeguata tutela.
Si tratta, dunque, di una valutazione comparativa della quale, nel silenzio della legge, fa parte necessariamente la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, sollevata dalla Corte d’appello di Milano, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Non è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare al rilascio del passaporto per la figlia minorenne che sia affidata in maniera esclusiva ad un genitore.

Tribunale di Mantova,12 dicembre 2017

Tribunale di Mantova Il giudice tutelare dott. Luigi Pagliuca,
letta l’istanza depositata in data 1.12.17 da B. O. e volta ad ottenere
l’autorizzazione al rinnovo del passaporto a favore della figlia minorenne
M. R. (nata a B. il 28.12.2005), figlia anche di R. G. ed affidata in via
esclusiva alla madre con provvedimento del Tribunale di Mantova in data
27.2.2014;
rilevato che ai sensi dell’art. 3, lett. a) legge 1185/67 per il rilascio del
passaporto a favore di minore sottoposto alla responsabilità genitoriale è,
in generale, necessario l’assenso di entrambi i genitori, in mancanza del
quale è necessario ottenere l’autorizzazione del giudice tutelare;
rilevato, tuttavia, che ai sensi dell’art. 3, lett. b) della stessa legge
l’autorizzazione del giudice tutelare non è necessaria quando il
richiedente “sia titolare esclusivo della responsabilita’ genitoriale sul
figlio” ipotesi nella quale – quindi – il passaporto potrà essere rilasciato a
fronte della semplice richiesta del genitore esercente in via esclusiva la
responsabilità genitoriale, senza che siano necessari anche l’assenso
dell’altro genitore o l’autorizzazione del giudice tutelare;
rilevato che ai sensi dell’art. 337quater, c. 3 cc “il genitore a cui sono
affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha
l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi”ritenuto,
quindi, che il genitore esclusivo affidatario del figlio, in quanto appunto
esercente in via esclusiva la responsabilità genitoriale sullo stesso, ai
sensi dell’art. 3 lett. b) sopra richiamato abbia titolo per richiedere ed
ottenere il rilascio del passaporto a favore del figlio medesimo, senza
dover richiedere a tal fine anche l’assenso dell’altro genitore o
l’autorizzazione del giudice tutelare. Ciò salvo solo il caso in cui, ai sensi
dell’art. 337 quater, c. 3 cc (nella parte in cui fa salva ogni diversa
disposizione del giudice) il giudice che abbia disposto l’affido esclusivo
non abbia espressamente previsto che, in relazione al rilascio del
passaporto, permanga l’esercizio congiunto della responsabilità in capo
ad entrambi genitori; rilevato che nella fattispecie con provvedimento del
Tribunale di Mantova in data 27.2.14 la figlia R. M. è stata affidata in via
esclusiva alla madre B. O. senza limitazioni di sorta in ordine al potere
della madre affidataria di richiedere nel suo interesse il rilascio del
passaporto; ritenuto, quindi, che nel caso di specie il passaporto a favore
della minore R. M. debba essere rilasciato a semplice richiesta della sola
madre B. O., senza che a tal fine sia necessario anche l’assenso del padre
R. G., né l’autorizzazione del giudice tutelare; ritenuto, quindi, che debba
essere dichiarata l’inammissibilità dell’istanza volta ad ottenere
l’autorizzazione del giudice tutelare al rilascio del passaporto, in quanto
nella fattispecie non necessaria
PQM
Dichiara l’inammissibilità dell’istanza, dando atto che sussistono i
presupposti per rilasciare il passaporto a favore della minore R. M. a
semplice richiesta della sola madre B. O. affidataria esclusiva della
minore, senza che a tal fine sia necessario anche l’assenso del padre R. G.,
né l’autorizzazione del giudice tutelare;
Si comunichi alla ricorrente.
Mantova, 12.12.2017
Il Giudice tutelare
Dott. Luigi Pagliuca

La separazione può essere addebitata anche se non si sostanzia in adulterio

Cass. Civile, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 21657 del 19/09/2017.

ORDINANZA
sul ricorso 18907/2016 proposto da:
G.A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la
CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato GIULIANO RASTELLI;
– ricorrente –
contro
C.S., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la
CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato SIMONETTA BOCCABELLA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 59/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,
depositata il 15/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 07/07/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
ANTONIO GENOVESE.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte d’appello dell’Aquila, con la sentenza n. 1154del2014
(depositata il 19 agosto 2014), respingendo l’appello incidentale proposto
dal signor G.A.A. ed accogliendo quello principale della signora C.S., ha
riformato la sentenza del Tribunale di Teramo, che aveva addebitato la
separazione alla C. ed escluso il pagamento di un contributo da parte del
G. in favore di costei, ed ha respinto la domanda di addebito della
separazione alla moglie, ponendo a carico del marito un contributo di
mantenimento di Euro 800,00 mensili e regolando le spese.
Avverso tale decisione ricorre con tre mezzi il G., assumendo l’esistenza
di non meglio specificate violazioni o false applicazioni di norme di
diritto e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, affermando la
irrilevanza del tradimento ai fini dell’addebito, la violazione del giusto
processo e del contraddittorio, nonchè dell’obbligo di allegazione e prova.
Il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia
notificata alle parti costituite nel presente procedimento, alla quale sono
state mosse osservazioni critiche da parte del ricorrente che, tuttavia, non
colgono nel segno.
Le doglianze, infatti, sono, in una sua parte, inammissibili perchè, sotto
le apparenti spoglie della violazione dei menzionati generici dispositivi di
legge, sollecitano a questa Corte un sostanziale riesame delle risultanze
processuali ed una diversa valutazione degli apprezzamenti giudiziali sui
fatti accertati ai fini della regolazione della separazione giudiziale (SU
civili nella Sentenza n. 8053 del 2014) ed, in un’altra parte, esse sono
anche manifestamente infondate, perchè si pongono in contrasto con il
principio di diritto posto da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8929 del 2013 (“La
relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione ai
sensi dell’art. 151 c.c., quando, in considerazione degli aspetti esteriori
con cui è coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a
plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi in un
adulterio, comporti offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge”). Alla
reiezione del ricorso, conseguono sia le spese processuali (liquidate come
in dispositivo) in favore della controricorrente, sia l’enunciazione della
sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte:
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali di questa fase del giudizio che liquida in complessivi Euro
3.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella
misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla
L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le
generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n.
196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile
1, della Corte di Cassazione, dai magistrati sopra indicati, il 7 luglio 2017.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2017.

REGOLAMENTO EUROPEO SULLE CAUSE MATRIMONIALI E SULLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE

di Gianfranco Dosi
I Il Regolamento europeo n. 2201 del 2003
Il Regolamento n. 2201 del 2003 (relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento n. 1347/2000) costituisce il testo più significativo oggi in vigore nell’Unione europea in materia di controversie transfrontaliere nell’ambito del diritto di famiglia.
Il Regolamento è stato adottato dal Consiglio dell’Unione Europea (denominato in questo modo dal trattato di Lisbona del 2007) che è il Consiglio dei ministri europei (con sede a Bruxelles) e che detiene – insieme con il Parlamento europeo – il potere legislativo nell’ambito dell’Unione europea.
L’adozione nelle forme del Regolamento si spiega in quanto un trattato internazionale sarebbe esposto alle riserve di singoli Stati, viceversa il Regolamento (europeo) è, a differenza delle Diret¬tive, un atto generale a contenuto obbligatorio per tutti gli Stati membri e quindi potenzialmente idoneo ad una applicazione uniforme in tutta l’Unione europea.
Non è il primo Regolamento che si è occupato di questa materia. Nel 2000 era già stato adottato un Regolamento sulle cause matrimoniali e sulla responsabilità genitoriale (limitatamente, però, ai figli nati nel matrimonio). Si trattava del Regolamento n. 1347 (cosiddetto Bruxelles I) abrogato dal Regolamento del 2003 (cosiddetto Bruxelles II). Il grande numero di matrimoni misti tra cit¬tadini europei aveva da tempo posto in evidenza i problemi a livello comunitario relativi alla crisi dell’unione matrimoniale soprattutto con figli minori. Problemi che riguardano l’accertamento di quale sia il giudice competente a decidere, l’individuazione del diritto applicabile alle controversie e gli aspetti connessi al riconoscimento e all’eventuale esecuzione dei provvedimenti.
Il Regolamento n. 2201, che è in vigore dal 2004, si occupa (analogamente a quanto fanno nei sin¬goli Stati le norme di diritto internazionale privato relativamente ai rapporti con ordinamenti extra¬europei) di due aspetti, tutti nel settore civile: 1) l’individuazione della competenza giurisdizionale (indica cioè quali giudici sono competenti ad occuparsi della da cause matrimoniali e dei provve¬dimenti sulla responsabilità genitoriale, anche indipendentemente da qualsiasi nesso con le cause matrimoniali, inclusi le misure di protezione del minore) e quindi anche con riferimento ai figli nati fuori dal matrimonio (ampliandosi così il suo campo d’azione anche alle famiglie di fatto); 2) il rico¬noscimento e l’attuazione in uno Stato membro delle decisioni adottate in un altro Stato membro).
Relativamente alle decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio, il Regolamento si occupa soltanto delle decisioni potremmo dire sullo status e non riguarda i rapporti patrimoniali o altri eventuali provvedimenti accessori ed eventuali (per esempio l’addebito della separazione o il risarcimento dei danni). Gli atti pubblici e gli accordi (per esempio gli accordi di negoziazione assistita) aventi efficacia esecutiva in uno Stato membro sono equiparati alle “deci¬sioni” ai fini dell’applicazione delle norme sul riconoscimento e l’attuazione.
Il Regolamento non si applica ai diritti connessi alla filiazione, che sono questioni distinte dall’at¬tribuzione della responsabilità genitoriale. Come detto trova invece applicazione per le decisioni sulla responsabilità genitoriale anche relativamente alla filiazione fuori dal matrimonio e quindi nella famiglia di fatto.
Non si occupa, inoltre, di controversie o di provvedimenti di natura alimentare che sono espressa¬mente escluse dal campo di applicazione del Regolamento n. 2201/2003 in quanto già disciplinate dal Regolamento n. 44/2001 sebbene i giudici competenti ai sensi del Regolamento n. 2201/2003 siano gli stessi competenti a statuire in materia di obbligazioni alimentari. La giurisprudenza ha chiarito come la nozione di obbligo alimentare debba essere intesa in senso ampio, per lo più svincolata dalle indicazioni espresse a livello nazionale, comprendendo essa tutte le obbligazioni alimentari previste dal diritto civile, “indipendentemente dalla denominazione che esse assumono secondo la legge applicabile al merito della controversia” (Cass. civ. Sez. Unite 1 ottobre 2009, n. 21053; Cass. civ. Sez. Unite, 1 ottobre 2009, n. 21053).
Il Regolamento non si occupa di diritto sostanziale. Un diritto comune europeo non è stata finora materia di competenza di alcun Regolamento.
II Ambito di applicazione
a) I rapporti tra le giurisdizioni degli Stato europei
Innanzittuto è da precisare che secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza il Regolamento n. 2201/2003 si applica solo ai rapporti tra diverse giurisdizioni degli Stati dell’Unione Europea, regolando i conflitti tra queste giurisdizioni, non anche ai rapporti con le giurisdizione degli Stati esterni all’Unione, ai cui conflitti, anche se la causa verte tra cittadini dell’Unione, si applica l’art. 7 della legge n. 218 del 1995, con eventuale sospensione del giudizio interno sino alla definizione del previo giudizio estero (Cass. civ. Sez. Unite, 18 marzo 2016, n. 5420).
Vi è quindi differenza tra le norme sovranazionali contenute nei Regolamenti europei e le norme di diritto internazionale privato contenute nella legge 31 maggio 1995, n. 218. Queste ultime conti¬nuano ad applicarsi ai rapporti tra la giurisdizione italiana e quella di Stati extraeuropei.
Questa affermazione non contrasta con il fatto che il Regolamento n. 2201/2003 trova applicazione anche in caso di cittadinanza extraeuropea dei coniugi (residenti in uno Stato europeo) in quanto il criterio di collegamento prescelto dal Regolamento nell’attribuzione della competenza giurisdizio¬nale non è quello della cittadinanza, bensì della “residenza abituale” di uno o di entrambi i coniugi in uno Stato membro (Corte Giustizia Unione Europea, 29 novembre 2007; Trib. Belluno, 5 novembre 2010; Trib. Belluno, 6 marzo 2009).
La questione è ben chiara se si esamina anche solo l’art. 3 del Regolamento n. 2201 del 2013 che, riferendosi ai criteri di competenza, dichiara competenti le autorità giurisdizionali in cui risiede una persona, prescindendo dalla sua cittadinanza.
b) Le materie
Il Regolamento si applica, indipendentemente dal tipo di autorità giurisdizionale, alle materie civili relative:
1) al divorzio, alla separazione personale e all’annullamento del matrimonio (in particolare alle sole decisioni relative per così dire allo status e non al contenuto ampio delle cause matrimoniali.
2) all’attribuzione, all’esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità ge¬nitoriale. In particolare: a) il diritto di affidamento e il diritto di visita; b) la tutela, la curatela ed altri istituti analoghi; c) la designazione e le funzioni di qualsiasi persona o ente aventi la respon¬sabilità della persona o dei beni del minore o che lo rappresentino o assistano; d) la collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un istituto; e) le misure di protezione del minore legate all’amministrazione, alla conservazione o all’alienazione dei beni del minore.
Viceversa il Regolamento non si applica: a) alla determinazione o all’impugnazione della filiazione; b) alla decisione relativa all’adozione, alle misure che la preparano o all’annullamento o alla revoca dell’adozione; c) ai nomi e ai cognomi del minore; d) all’emancipazione; e) alle obbligazioni alimen¬tari; f) ai trust e alle successioni; g) ai provvedimenti derivanti da illeciti penali commessi da minori.
L’art. 2 definisce la “responsabilità genitoriale” (utilizzando questa espressione poi entrata con la riforma del 2012 anche nel lessico giuridico del nostro diritto di famiglia al posto di “potestà dei genitori”) riferendosi con tale espressione ai “diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore”. L’espressione comprende, in particolare, il diritto di affidamen¬to (intendendo espressamente per tale i diritti e i doveri concernenti la cura della persona di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza) e il diritto di visita (intendendo per tale il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo).
III Il giudice competente in materia di separazione, divorzio e annullamento del matrimonio
Ipotizziamo che un ragazzo italiano sposi una ragazza francese, che vengono ad abitare in Italia e che dopo alcuni anni, a causa di una crisi, intervenga la decisione di uno dei due di separarsi.
Quale sarà il giudice competente per la separazione?
Soccorre a tale proposito il fondamentale art. 3 (competenza generale) del Regolamento n. 2201/2003 il quale precisa che in materia di separazione, divorzio o annullamento del matrimo¬nio un coniuge che è cittadino e che risiede in uno Stato europeo può essere convenuto soltanto (quindi con carattere di esclusività: art. 6) o di fronte al giudice dello Stato di cui entrambi sono cittadini (cosa che non si verifica nell’esempio sopra fatto e che si verificherebbe se si trattasse di due cittadini per esempio italiani) oppure (in via alternativa):
– di fronte al giudice dello Stato nel cui territorio si trova la residenza abituale dei coniugi
– o l’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora,
– o la residenza abituale del convenuto,
– o in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi,
– o la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda,
– o la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso.
Secondo quanto precisato da Cass. civ. Sez. Unite, 17 febbraio 2010, n. 3680 i parametri di cui all’art. 3 sono esclusivi ma anche alternativi, tale che ognuno di essi consente la individuazione del Giudice che può essere adito.
Per verificare, quindi, se il giudice di uno Stato ha competenza è sufficiente che si verifichi una delle ipotesi possibili indicate.
Nell’esempio sopra fatto della coppia di coniugi residente in Italia, formata da un ragazzo italiano e una ragazza francese, il giudice competente non potrà che essere quello italiano (giudice dello Stato nel cui territorio si trova la residenza abituale dei coniugi).
Se la moglie francese si fosse, invece, allontanata da casa e fosse tornata a vivere in Francia, il marito potrebbe proporre la separazione sempre di fronte al giudice italiano (in quanto essendo egli rimasto in Italia si tratta del “giudice dell’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora”) ma la moglie, dopo essere rientrata in Francia, potrebbe anche lei instaurare il giudizio di separazione, davanti al giudice italiano quale “giudice di residenza abituale del conve¬nuto” oppure, nell’ipotesi in cui decidesse di chiedere la separazione dopo sei mesi dal suo rientro in Francia, potrebbe iniziarla davanti al giudice francese quale “giudice della residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso”.
Il che significa che, in caso di due coniugi di diversa cittadinanza, se uno dei decide di allontanarsi dalla residenza familiare e di tornare a risiedere nello Stato di cui è cittadino, è in condizioni di imporre all’altro il giudizio di separazione nel proprio Stato. Pertanto il coniuge italiano – nell’e¬sempio sopra fatto – avrebbe a disposizione sei mesi di tempo per presentare in Italia il ricorso di separazione. Ove trascorresse questo periodo, il coniuge francese, tornato da sei mesi in Francia, potrà proporre in Francia il giudizio di separazione, costringendo il coniuge italiano a subire il pro¬cesso in quello Stato.
Secondo quanto prevede l’art. 7 del Regolamento, qualora per ipotesi nessun giudice di uno Stato membro fosse competente in relazione ai criteri indicati (si pensi al caso in cui un cittadino france¬se ed uno italiano non abbiano mai avuto la residenza né in Francia né in Italia e il coniuge italiano si trasferisca in Italia chiedendo la separazione), la competenza, in ciascuno Stato membro, è determinata dalla legge di tale Stato (e cioè dalle norme di diritto internazionale privato di quello Stato). In Italia secondo la legge 31 maggio 1995, n. 218 avrebbe “competenza giurisdizionale” il giudice italiano secondo quanto stabilito nel suo articolo 3 (ambito della giurisdizione) che nell’ul¬tima parte richiama i criteri della competenza territoriale (nello specifico l’art. 18 c.p.c. che, in caso di convenuto residente all’estero, dichiara competente il giudice della residenza dell’attore).
Le norme di diritto internazionale privato troveranno applicazione anche quando ad invocarle sia il cittadino di uno Stato membro che ha la residenza abituale nel territorio di un altro Stato membro, contro un convenuto che non ha la residenza abituale nel territorio di uno Stato membro né ha la cittadinanza di uno Stato membro.
Va precisato che il Regolamento n. 2201/2003 trova applicazione anche in caso di cittadinanza extraeuropea dei coniugi in quanto il criterio di collegamento prescelto dal Regolamento nell’at¬tribuzione della competenza giurisdizionale non è quello della cittadinanza, bensì della “residenza abituale” di uno o di entrambi i coniugi in uno Stato membro (Corte Giustizia Unione Europea, 29 novembre 2007; Trib. Belluno, 5 novembre 2010; Trib. Belluno, 6 marzo 2009).
Per Cass. civ. Sez. Unite, 25 giugno 2010, n. 15328 la nozione di residenza abituale del coniu¬ge, di cui al Regolamento n. 2201/2003 fa riferimento non alla residenza formale o anagrafica ma al luogo del concreto e continuativo svolgimento dalla vita personale ed eventualmente lavorativa; nessuna rilevanza gioca al riguardo il fatto che saltuariamente, e anche per un periodo continuati¬vo, il coniuge abbia trascorso periodi presso la residenza all’estero dell’altro coniuge, ivi ricevendo anche corrispondenza e svolgendo attività di studio.
In caso di doppia cittadinanza il coniuge ha il diritto di presentare una domanda di divorzio dinanzi al giudice di uno o dell’altro dei due Stati membri di cui possiede la cittadinanza (Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 16 luglio 2009, n. 168/08)
IV Il giudice competente in materia di responsabilità genitoriale
a) Il criterio della residenza abituale del minore
Il Regolamento n. 2201/2003, ha avuto il merito di chiarire la nozione “europea” di responsabilità genitoriale. Infatti, dopo aver stabilito, all’art. 1, che l’ambito di applicazione del Regolamento si estende a tutti i procedimenti (di qualsiasi natura – anche non giurisdizionale in senso stretto – e davanti ad ogni autorità indicata come competente dagli Stati membri) relativi “all’attribuzione, all’esercizio, alla delega ed alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale”, indipen¬dentemente dal fatto che i figli siano nati all’interno o fuori dal matrimonio, nell’art. 2 definisce la responsabilità genitoriale come “i diritti e i doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore”. A tale nozione vengono poi espressamente ricondotti sia il diritto di affida¬mento (diritti e doveri concernenti la cura della persona del minore), sia il diritto di visita (diritto di condurre il minore in luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo di tempo limitato), mentre titolare della responsabilità genitoriale è considerata “qualsiasi persona che eserciti la re¬sponsabilità di genitore su un minore”.
Con riferimento al problema della competenza giurisdizionale, il Regolamento adotta il criterio della “residenza abituale”, così confermando l’orientamento di fondo, volto a ridurre il più possibile margini di ambiguità e conseguenti conflitti nell’applicazione delle norme. In particolare, per le domande relative alla responsabilità genitoriale è considerata competente l’autorità giurisdizionale dello Stato membro, nel cui territorio il minore risieda abitualmente (art. 8).
La ratio di questa scelta è stata finora continuativamente ribadita in primo luogo nella giurispru¬denza comunitaria (da ultimo, per esempio, in Corte giustizia Unione Europea, Sez. I, 15 febbraio 2017, n. 499/15 che chiarito ancora come il Regolamento sia stato elaborato con l’obiettivo di rispondere all’interesse superiore del minore e, a tal fine, esso privilegia il “criterio di vicinanza”. Il legislatore ha infatti ritenuto che il giudice geograficamente vicino alla residen¬za abituale del minore si trovi nella situazione più favorevole per valutare i provvedimenti da disporre nell’interesse del minore. Per questi motivi la competenza giurisdizionale appartiene quindi, anzitutto, ai giudici dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente, salvo ove si verifichi un cambiamento della sua residenza o in caso di accordo fra i titolari della responsabilità genitoriale. Ed è per questo che l’articolo 8 del regolamento n. 2201/2003 traduce tale obiettivo attribuendo una competenza generale alle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui il minore ha la residenza abituale.
Se non c’è mai stata residenza in Italia del minore non vi è competenza del giudice italiano (Trib. Tivoli, 6 aprile 2011).
Il criterio della vicinanza – scelto dal Regolamento per la individuazione del giudice competente ad adottare decisioni in materia di responsabilità genitoriale – è stato precisato in una molteplice sequenza di sentenze.
Che significa residenza abituale del minore?
La risposta della giurisprudenza è molto chiara. Tra le tante ultimamente Cass. civ. Sez. Unite, 10 febbraio 2017, n. 3555 che precisa come per “residenza abituale” deve intendersi il luogo dove il minore trova e riconosce, anche grazie a una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua vita di relazione. In altri termini, la residenza abituale corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare, e, ai fini del relativo accertamento, rilevano una serie di circostanze che vanno valutate in relazione alla peculiarità del caso concreto: la durata, la re¬golarità e le ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro, la cittadinanza del minore, la frequenza scolastica e, in generale, le relazioni familiari e sociali. Per Cass. civ. Sez. Unite, 7 settembre 2016, n. 17676 e Cass. civ. Sez. Unite, 13 febbraio 2012, n. 1984 la residen¬za abituale del minore al momento della domanda va inteso il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale, e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto. Secondo Cass. civ. Sez. Unite, 28 maggio 2014, n. 11915 la residenza abituale va individuata sulla base di criteri oggettivi e il trasferimento del minore non è idoneo a radicare la competenza del tribunale di destinazione, nel caso in cui sia trascorso un lasso di tempo minimo non apprezzabile, tenuto conto dell’età del fanciullo.
La nozione di residenza abituale è stata approfondita anche in sede europea. Per esempio per Corte giustizia Unione Europea Sez. I, 22 dicembre 2010, n. 497/10 la nozione deve essere interpretata nel senso che tale residenza corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare (A tal fine, e laddove si tratti della situazione di un neonato che soggiorna con la madre solo da pochi giorni in uno Stato membro – diverso da quello della sua residenza abituale – nel quale è stato portato, devono essere presi in considerazione, da un lato, la durata, la regolarità, le condizioni e le ragioni del soggiorno nel territorio di tale Stato membro nonché del trasferimento della madre in detto Stato e, d’altro lato, tenuto conto dell’età del minore, l’origine geografica e familiare della madre nonché i rapporti familiari e sociali che madre e minore intrattengono con quello stesso Stato membro. È compito del giudice nazionale determinare la residenza abituale del minore tenendo conto di tutte le circostanze di fatto specifi¬che di ciascuna fattispecie). Secondo Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 02/04/2009, n. 523/07 la nozione di “residenza abituale”, dev’essere interpretata nel senso che tale residenza corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e fami¬liare. A tal fine, si deve in particolare tenere conto della durata, della regolarità, delle condizioni e delle ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro e del trasloco della famiglia in tale Stato, della cittadinanza del minore, del luogo e delle condizioni della frequenza scolastica, delle conoscenze linguistiche nonché delle relazioni familiari e sociali del minore nel detto Stato. Com¬pete al giudice nazionale stabilire la residenza abituale del minore, tenendo conto delle peculiari circostanze di fatto che caratterizzano ogni caso di specie.
Ove il minore trasferisca lecitamente la propria residenza abituale in un altro Stato membro, ma il titolare del diritto di visita continui a risiedere abitualmente nello Stato membro della precedente residenza abituale, le autorità giurisdizionali di quest’ultimo Paese continuano ad essere compe¬tenti per un periodo di tre mesi dal trasferimento, nei procedimenti volti a modificare una decisione sul diritto di visita, salvo che detto titolare del diritto di visita abbia accettato la competenza della autorità giurisdizionali del nuovo Stato membro di residenza, “partecipando ai procedimenti dinan¬zi ad esse senza contestarla” (art. 9).
L’individuazione del giudice competente in materia di responsabilità genitoriale è quindi effettuata dall’art. 8 del Regolamento attraverso la previsione della competenza del giudice dello Stato in cui il minore risiede abitualmente alla data in cui viene richiesto il provvedimento.
Qualora non sia possibile stabilire la residenza abituale del minore sono competenti i giudici dello Stato membro in cui si trova il minore (art. 13 del Regolamento).
Fanno eccezione alla regola della competenza del giudice della residenza abituale quattro casi:
Il trasferimento lecito (art. 9)
Il primo caso di deroga al principio della competenza fondata sulla residenza abituale del minore è quello del lecito trasferimento della residenza di un minore da uno Stato membro ad un altro in cui la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro della precedente residenza abituale del minore permane per un periodo di 3 mesi dal trasferimento (cosiddetta ultrattività della competenza) limitatamente ai procedimenti per modificare una decisione sul diritto di visita, purché il titolare del diritto di vista continui a risiedere in detto Stato, e salvo che egli abbia accet¬tato la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui è andato a risiedere il minore partecipando ai procedimenti dinanzi ad esse senza contestarla.
Il trasferimento illecito (art. 10)
Il secondo caso di deroga è quello del trasferimento illecito o mancato rientro del minore, in cui l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale imme¬diatamente prima del trasferimento o del mancato rientro conserva la competenza giurisdizionale fino a che il minore non abbia acquisito la residenza in un altro Stato membro. Questa attribuzione di competenza finisce quando il titolare del diritto di affidamento abbia accettato il trasferimento o quando sia trascorso un anno dal trasferimento stesso senza che siano presentate istanze di rientro.
La proroga della competenza (art. 12)
Il terzo caso di deroga è quello della cosiddetta proroga della competenza (cioè della competenza per attrazione) in cui il giudice si occupa della separazione o del divorzio dei coniugi che hanno figli e in cui conseguentemente (per forza attrattiva) il Regolamento gli attribuisce la competenza ad occuparsi anche della responsabilità genitoriale. Quindi al giudice della separazione e del divorzio è attribuita per attrazione anche la competenza ad emettere decisioni sui figli (se almeno uno eserciti effettivamente la responsabilità genitoriale) sempre che il genitore convenuto ritenga di accettare tale competenza e questa sia ritenuta conforme all’interesse del minore. È quindi una ipotesi di attrazione sostanzialmente per accordo delle parti. Queste precisazioni sono contenute nell’art. 12 del Regolamento e sono state ribadite da Cass. civ. Sez. Unite, 7 settembre 2016, n. 17676 in una vicenda in cui la moglie inglese non aveva accettato la competenza giurisdizionale del giudice italiano in ordine alla responsabilità genitoriale in una causa di separazione intentata in Italia dal marito e in cui è stato ribadito il principio che la giurisdizione del giudice italiano va negata rispet¬to alle domande inerenti l’affidamento ed il mantenimento del figlio delle parti [stante la mancata accettazione dell’appellante e il superiore interesse del minore], in quanto devolute in via esclusiva alla competenza del giudice, ove il minore è stabilmente residente. Con la sentenza in questione, le Sezioni Unite della Cassazione non hanno, quindi, negato rilevanza (come dalla lettura della sola massima si potrebbe dedurre) alla connessione fra domande relative alla separazione di coniugi e all’affidamento e mantenimento dei figli minori. Si legge, infatti, nella sentenza che, “alla luce delle chiare prescrizioni contenute negli artt. 3, 8 e 12, del Regolamento, deve ritenersi che sulle domande diverse da quella di separazione giudiziale contenute nel ricorso vi fosse la giurisdizione del giudice inglese, in quanto la proroga per quella di separazione personale non poteva estendersi a quelle rela¬tive all’affidamento del figlio ed al suo mantenimento stante la mancata accettazione dell’appellante e il superiore interesse del minore”. Effettivamente nella vicenda la madre non aveva accettato la giurisdizione del giudice italiano su tutte le domande proposte dal marito. Il che vuol dire che ove vi fosse stata accettazione della competenza giurisdizionale e questa fosse stata valutata conforme all’interesse del minore i giudici avrebbero ritenuto la competenza giurisdizionale del giudice italiano.
L’accettazione della competenza giurisdizionale espressa in una causa di separazione non può va¬lere ai fini della attrazione della competenza al giudice dello Stato non di residenza del minore nel successivo giudizio di modifica delle condizioni affidamento (Cass. civ. Sez. Unite, 5 giugno 2017, n. 13912 sia perché quest’ultimo è un nuovo giudizio, sia perché il criterio di attribuzione della giurisdizione fondato sulla residenza abituale, dettato nell’interesse superiore del minore as¬sume una pregnanza tale da comportare l’esclusione della validità del pregresso consenso del geni¬tore alla proroga della giurisdizione. In questo caso torna a valere il criterio della residenza abituale.
Conforme al principio che l’attrazione della competenza al giudice della separazione si fonda sull’in¬teresse del minore è anche la decisione di Corte giustizia Unione Europea, Sez. I, 15 febbraio 2017, n. 499/15 secondo cui i giudici dello Stato membro che hanno adottato una decisione passata in giudicato in materia di responsabilità genitoriale e di obbligazioni alimentari riguardanti un figlio minore non sono più competenti a pronunciarsi su una domanda di modifica dei provvedi¬menti adottati con tale decisione, qualora in quel momento la residenza abituale del minore si trovi nel territorio di un altro Stato membro. La competenza a pronunciarsi su tale domanda spetta ai giudici di quest’ultimo Stato membro.
La proroga della competenza per accordo degli interessati (art. 12, paragrafo 3)
L’ultimo caso di deroga al principio della competenza fondata sulla residenza abitale del minore è la proroga – cioè l’attrazione ad altra causa – che si può verificare in relazione a “procedimenti diversi” da quelli di separazione, divorzio e annullamento del matrimonio. Lo afferma il paragrafo 3 dell’art. 12 il quale prescrive che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti in materia di responsabilità dei genitori in “procedimenti diversi” da quelli di separazione, divorzio e annullamento se a) il minore ha un legame sostanziale con quello Stato membro, in particolare perché uno dei titolari della responsabilità genitoriale vi risiede abitualmente o perché è egli stesso cittadino di quello Stato e b) la loro competenza è stata accettata espressamente o in qualsiasi altro modo univoco da tutte le parti al procedimento alla data in cui le autorità giurisdizionali sono adite ed è conforme all’interesse superiore del minore. L’interpretazione che di questo paragrafo ha dato Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 12 novembre 2014, n. 656/13 è nel senso che, nell’impossibilità evidentemente di indicare quali possano essere questi “procedimenti diversi” l’articolo 12, paragrafo 3, del regolamento deve essere interpretato nel senso che esso consente, ai fini di un procedimento in materia di responsabilità genitoriale, di fondare la competenza di un giudice di uno Stato membro diverso dallo Stato di residenza abituale del minore pur se dinanzi al giudice prescelto non è pendente alcun altro procedimento.
Il consenso di genitori alla proroga deve essere espresso e non può consistere nella mancata con-testazione della competenza (Cass. civ. Sez. Unite, 30 dicembre 2011, n. 30646)
Naturalmente la competenza a favore di un giudice di uno Stato membro investito del procedi¬mento dai titolari della responsabilità genitoriale, viene meno con la pronuncia di una decisione definitiva nel contesto di tale procedimento (Corte giustizia Unione Europea Sez. II, 1 ottobre 2014, n. 436/13)
b) Il trasferimento della competenza ad altro giudice
L’art. 15 del regolamento – intitolato “Trasferimento delle competenze a una autorità giurisdiziona¬le più adatta a trattare il caso” consente in via eccezionale all’autorità giurisdizionale di uno Stato membro competente a conoscere del merito, di interrompere la trattazione di un procedimento e di invitare le parti a presentare domanda all’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro (in tal caso l’autorità giurisdizionale fissa un termine entro il quale le autorità giurisdizionali dell’altro Stato membro devono essere adite; decorso inutilmente tale termine, la competenza continua ad essere esercitata dall’autorità giurisdizionale preventivamente adita) oppure di chiedere di¬rettamente all’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro di assumere la competenza sul procedimento, qualora ritenga che l’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro con il quale il minore abbia un legame particolare (per esempio la precedente residenza abituale o la residenza dei genitori o dello Stato di cui è cittadino), sia più adatta a trattare il caso o una sua parte speci¬fica e ove ciò corrisponda all’interesse superiore del minore.
Il trasferimento della causa può anche essere effettuato su iniziativa su richiesta dell’autorità giu-risdizionale di un altro Stato membro ma soltanto se esso è accettato da almeno una delle parti in causa.
Secondo Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 27 ottobre 2016, n. 428/15 poiché le nozioni di autorità giurisdizionale “più adatta” e di “interesse superiore del minore” non sono defi¬nite da alcun’altra disposizione del Regolamento, occorre interpretarle tenendo conto del contesto nel quale si collocano e degli obiettivi perseguiti dal Regolamento. Nel contesto del Regolamento n. 2201/2003, la considerazione dell’interesse superiore del minore è volta a garantire il rispetto dei diritti fondamentali del bambino, come si evince dal considerando 33 di tale regolamento. Per poter stabilire che un’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro con il quale il minore ha un legame particolare è più adatta, il giudice competente di uno Stato membro deve accertarsi che il trasferimento del caso a detta autorità giurisdizionale sia idoneo ad apportare un valore aggiunto reale e concreto al trattamento dello stesso, in particolare tenendo conto delle norme di procedura applicabili in detto altro Stato membro; ed inoltre che tale trasferimento non rischi di ripercuotersi negativamente sulla situazione del minore.
La ratio del trasferimento di competenza è stata rinvenuta nel solo interesse del minore (Trib. Vercelli, 18 dicembre 2014; Trib. Milano, 11 febbraio 2014).
Secondo Cass. civ. Sez. Unite, 7 settembre 2016, n. 17676 la regola del trasferimento a un’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro sancita all’articolo 15, costituisce una regola di competenza speciale e derogatoria rispetto a quella di competenza generale enunciata all’articolo 8, cosicché essa deve essere interpretata restrittivamente.
V Competenza o giurisdizione? Questioni processuali
Si parla nel Regolamento non di giurisdizione ma di competenza (vista nell’ambito dei rapporti tra Stati dell’Unione europea, esattamente come all’interno di uno Stato si parla di competenza fun¬zionale e territoriale). E così, come si è visto, si indica quale sia il giudice “competente” a trattare una separazione (per esempio quello del foro della residenza comune) o il giudice “competente” ad emettere un provvedimento sulla responsabilità genitoriale (il giudice della residenza abitua¬le del minore). Le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea parlano tutte di giudice “competente”.
Nelle decisioni, invece, interne al nostro Stato la giurisprudenza parla di giurisdizione (e spesso sa-lomonicamente di “competenza giurisdizionale”), essendo orientata a ritenere le questioni relative alla competenza del giudice italiano o di quello straniero come questioni di giurisdizione. Il che è comprensibile. Noi ci chiediamo se il giudice italiano può occuparsi di questa o quella vicenda; se ha cioè giurisdizione. Noi consideriamo i Regolamenti europei come trattati tra Stati – nell’ottica, quindi, più del diritto internazionale che di quello sovranazionale – e facciamo applicazione quindi dello stesso lessico giuridico utilizzato dalla legge 31 maggio 1995, n. 218 che delinea certamente l’ambito della giurisdizione italiana rispetto a quella di altri Stati (art. 1 della legge 218/95).
Una decisione in passato sembrava avesse dato le coordinate giuste per impostare questo problema. Si tratta di Cass. civ. Sez. Unite, 29 gennaio 2001, n. 37 che, nell’esaminare l’eccezione secondo la quale l’accertamento della litispendenza internazionale non darebbe luogo ad una questione di giu¬risdizione e non consentirebbe perciò la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione (ex art. 41 c.p.c.), affermava che la Corte ha sempre sostenuto che il giudice italiano, prima di pronun¬ciare sulla propria giurisdizione in presenza di domande proposte dinanzi al giudice di un altro Stato contraente, deve innanzi tutto accertare se sussista l’eccepita litispendenza, tenendo conto della più ampia accezione di tale nozione come elaborata dalla Corte di Giustizia europea e, in caso afferma¬tivo, dopo aver riscontrato che il giudice preventivamente adito è quello dell’altro Stato contraente, deve sospendere il procedimento in attesa che la competenza dell’altro giudice sia stata accertata con sentenza definitiva. Ne consegue che la litispendenza internazionale, prima dell’accertamento definitivo della competenza del giudice preventivamente adito, dà luogo solo ad un’ipotesi di sospen¬sione necessaria del processo e non pone alcun problema di giurisdizione, sicché è inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione proposto nel corso del giudizio instaurato dinanzi al giudice italiano, salvo restando il rimedio del regolamento necessario di competenza avverso il provvedimen¬to con il quale il giudice italiano abbia dichiarato la sospensione necessaria del processo.
Secondo questa impostazione quindi le questioni di litispendenza previste nei Regolamenti europei (relative cioè alla contemporanea pendenza della causa davanti al giudice italiano e al giudice di altro Stato) non sarebbero questioni di giurisdizione ma di competenza e potrebbero perciò dare luogo soltanto alla sospensione o meno della causa successivamente instaurata.
Ora la nostra giurisprudenza certamente ammette che di fronte al provvedimento di sospensione disposto dal giudice italiano (adito successivamente a quello dello Stato estero) – ma non di quello che nega la sospensione – sia esperibile (soltanto) il regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c. 1, così come ammette pacificamente che la questione della competenza possa essere oggetto ovviamente anche di impugnazione e che avverso la decisione della Corte d’appello sia ammissibile il ricorso per cassazione ordinario per violazione di legge regolativa della competenza. Tuttavia la nostra giurisprudenza nell’ambito delle materie oggetto dei Regolamenti europei non solo ammette naturalmente il ricorso per cassazione per ragioni di giurisdizione (art. 362, primo comma, c.p.c.) ma anche il regolamento preventivo di giurisdizione (art. 41 c.p.c.) sul presup¬posto che il rinvio fatto dall’art. 412 all’art. 373 (in cui con la legge 18 giugno 2009 n. 69 è stato cancellato il secondo comma che prevedeva il regolamento di giurisdizione per difetto di giurisdi¬zione del giudice italiano nei confronti dello straniero) non abbia fatto venir meno la possibilità di esperire il regolamento di giurisdizione nel corso del giudizio di primo grado per questioni relative alla sussistenza o meno della giurisdizione italiana nei confronti di soggetti stranieri (Cass. civ. Sez. Unite, 1 febbraio 1999, n. 6; Cass. civ. Sez. Unite, 21 maggio 2004, n. 9802).
Ciò è avvenuto anche con riguardo al Regolamento n. 2201/2003 dove le Sezioni Unite sono state chiamate in causa da un regolamento preventivo di giurisdizione (per esempio da ultimo Cass. civ. Sez. Unite, 18 marzo 2016, n. 5420; Cass. civ. Sez. Unite, 5 giugno 2017, n. 13912) o in seguito a ricorsi ordinari avverso decisioni di Corte d’appello per questioni attinenti alla giuri¬sdizione (per esempio da ultimo Cass. civ. Sez. Unite, 10 febbraio 2017, n. 3555; Cass. civ. Sez. Unite, 7 settembre 2016, n. 17676).
Concludendo si può dire che le questioni concernenti la distribuzione di competenza tra giudici dell’Unione europea si atteggiano come questioni di competenza viste nel contesto europeo, men¬tre sono considerate questioni di giurisdizione viste dall’angolo visuale dell’ordinamento italiano rendendo esperibili sia i rimedi del ricorso per cassazione ordinario per motivi attinenti alla giuri¬sdizione (di competenza delle Sezioni unite ex art. 374 primo comma c.p.c che rinvia all’art. 362 primo comma), sia il rimedio del regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c di compe¬tenza delle Sezioni Unite), ma anche il regolamento necessario di competenza avverso l’ordinanza di sospensione del processo (art. 42) per motivi attinenti alla litispendenza internazionale, nonché il ricorso per cassazione ordinaria per tutti i motivi di cui all’art. 360 e quindi anche per violazione di legge in relazione alla distribuzione della competenza giurisdizionale stabilita dai Regolamenti..
VI L’esame della competenza, la connessione e la litispendenza
a) La dichiarazione di incompetenza
Secondo quanto dispongono l’art. 17 e 18 del Regolamento l’autorità giurisdizionale di uno Stato membro, investita di una controversia per la quale il Regolamento non prevede la sua competenza e per la quale è, invece, competente l’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro, deve di¬chiarare d’ufficio la propria incompetenza.
Se la persona che ha la residenza abituale in uno Stato diverso dallo Stato membro in cui l’azione è stata proposta non compare, l’autorità giurisdizionale competente è tenuta a sospendere il proce¬dimento fin quando non si sarà accertato che al convenuto è stata data la possibilità di ricevere la domanda giudiziale o un atto equivalente in tempo utile perché questi possa presentare le proprie difese, ovvero che è stato fatto tutto il possibile a tal fine.
b) La sospensione del processo per litispendenza
L’art. 19 si occupa della questione cruciale relativa al caso in cui in due Stati differenti siano pen¬denti due procedimenti tra le stesse parti.
Si prevede che qualora dinanzi ad autorità giurisdizionali di Stati membri diverse e tra le stesse parti siano state proposte domande di divorzio, separazione personale dei coniugi e annullamento del matrimonio, l’autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d’ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza dall’autorità giurisdizionale preventivamente adita.
Si deve considerare che la disciplina della litispendenza e della connessione contenuta nei primi due paragrafi dell’art. 11 del precedente Regolamento n 1347 del 2000 4 prevedeva la litispenden¬

1 Art. 42 c.p.c. (Regolamento necessario di competenza)
L’ordinanza che, pronunciando sulla competenza anche ai sensi degli articoli 39 e 40 non decide il merito della causa e i provvedimenti che dichiarano la sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 possono essere impu¬gnati soltanto con istanza di regolamento di competenza.
2 Art. 41 c.p.c. (Regolamento di giurisdizione)
1. Finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può chiedere alle Sezioni Unite della Corte di cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione di cui all’art. 37. L’istanza si propone con ricorso a norma degli articoli 364 e seguenti e produce gli effetti di cui all’art. 367.
Art. 37 c.p.c. (Difetto di giurisdizione)
Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali è rilevato anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo.
Articolo 11, paragrafi 1 e 2, del Regolamento 29 maggio 2000, n. 1347
Qualora dinanzi a giudici di Stati membri diversi e tra le stesse parti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto ed il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospende d’ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza del giudice preventivamente adito.

za (e quindi la sospensione del giudizio successivamente instaurato) solo tra cause tra le stesse parti ma aventi lo stesso oggetto e lo stesso titolo (cioè litispendenza tra due cause di separazio¬ne, ovvero tra due cause di divorzio). Viceversa oggi (avendo il testo dell’art. 19 eliminato l’inciso “aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo”) la sospensione del procedimento successiva¬mente instaurato avviene anche se vi è pendenza tra una causa di separazione ed una di divorzio.
Si tratta, come è stato detto, di una nozione di litispendenza “sostanzialistica” (App. Catania, 21 luglio 2011) perché fa riferimento non al dato formale del petitum e della causa petendi (diversi tra quei procedimenti) ma al fatto che si tratti di procedimenti in sostanza concernenti il matri¬monio.
Correttamente lo ha fatto notare anche Tribunale di Milano, Sez. IX, 24 febbraio 2017) precisando che ai fini dell’applicazione dell’art. 19 del Regolamento n. 2201/2003, in tema di liti¬spendenza internazionale in materia matrimoniale, non è necessario che vi sia l’identità di titolo e oggetto tra le domande proposte dinanzi a giudici di Stati membri diversi: infatti le due cause pos¬sono avere oggetto distinto, purché vertano comunque sulla separazione personale, sul divorzio o sull’annullamento del matrimonio. Sussiste perciò – ha concluso il tribunale – una situazione di litispendenza internazionale nel caso siano proposte dinanzi ad autorità giurisdizionali di due Stati dell’Unione Europea una domanda di divorzio e una di separazione personale.
c) La sospensione del processo per connessione
qualora dinanzi a autorità giurisdizionali di Stati membri diversi siano state proposte domande sul¬la responsabilità genitoriale su uno stesso minore, aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, l’autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d’ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza dell’autorità giurisdizionale preventivamente adita.
Quando la competenza dell’autorità giurisdizionale preventivamente adita è stata accertata, l’au¬torità giurisdizionale successivamente adita dichiara la propria incompetenza a favore dell’autorità giurisdizionale preventivamente adita.
In tal caso la parte che ha proposto la domanda davanti all’autorità giurisdizionale successivamen¬te adita può promuovere l’azione dinanzi all’autorità giurisdizionale preventivamente adita.
Deve precisarsi che in base a quanto dispone espressamente l’art. 16 del Regolamento l’autorità giurisdizionale si considera adita alla data in cui la domanda giudiziale o un atto equivalente (per esempio un ricorso) è depositato, “purché successivamente l’attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché fosse effettuata la notificazione al convenuto” oppure, se l’atto deve essere notificato prima di essere depositato presso l’autorità giurisdizionale, alla data in cui l’autorità competente ai fini della notificazione lo riceve, “purché successivamente l’attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché l’atto fosse depositato pres¬so l’autorità giurisdizionale”. Quindi il deposito o la notifica non sono sufficienti occorrendo che il procedimento venga coltivato per l’instaurazione del contraddittorio.
d) L’adozione di provvedimenti di urgenza
L’art. 20 del Regolamento consente in casi d’urgenza alle autorità giurisdizionali di uno Stato mem¬bro di adottare i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge interna, relativamente alle persone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati, anche se, a norma Regolamento, sarebbe competente a conoscere nel merito l’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro.
I provvedimenti adottati cessano di essere applicabili quando l’autorità giurisdizionale dello Stato membro competente abbia adottato i provvedimenti ritenuti appropriati (Cass. civ. Sez. I, 16 ottobre2009, n. 22093).
È, dunque, possibile, in caso di urgenza, un intervento del giudice per regolare il diritto di visita di un minore figlio di genitori non italiani, ma residente in territorio italiano (Trib. Varese, 4 ottobre 2010).
Stando a quanto precisato da Corte giustizia Unione Europea Sez. II, 15 luglio 2010, n. 256/09 e Corte giustizia Unione Europea, 23 dicembre 2009, n. 403/09 il sistema di ri¬conoscimento e di esecuzione delle decisioni predisposto dagli articoli 21 e seguenti del Regola¬mento – di cui si dirà più oltre – non si applica a provvedimenti provvisori, in materia di diritto di affidamento, rientranti nell’art. 20 di detto regolamento. Perché, però, tali provvedimenti siano validi deve esserci il rispetto delle condizioni stabilite dall’art. 20 del Regolamento, vale a dire: 1) i provvedimenti considerati devono essere urgenti; 2) essi devono essere disposti nei confronti di persone situate o di beni presenti nello Stato membro di tali autorità giurisdizionali, e 3) devono avere natura provvisoria.
Mentre secondo Trib. Minorenni Milano, 5 febbraio 2010 l’art. 20 del Regolamento consen¬tirebbe al giudice di uno Stato membro di adottare un provvedimento provvisorio e urgente in materia di responsabilità genitoriale inteso per esempio a concedere a un genitore l’affidamento di un minore che si trova nel territorio di tale Stato, anche nel caso in cui il giudice di un altro Stato membro abbia già emesso una decisione che affida provvisoriamente il minore all’altro genitore e
2. Qualora dinanzi a giudici di Stati membri diversi e tra le stesse parti siano state proposte domande relative al divorzio, alla separazione personale o all’annullamento del matrimonio non aventi il medesimo oggetto e il me¬desimo titolo, il giudice successivamente adito sospende d’ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza del giudice preventivamente adito.

tale decisione sia stata dichiarata esecutiva nel territorio del primo Stato membro, secondo Corte giustizia Unione Europea, 23 dicembre 2009, n. 403/09 nel caso in cui un giudice di uno Sta¬to membro abbia già emesso una decisione che affida provvisoriamente un minore a uno dei suoi genitori, dichiarata esecutiva nel territorio di un altro Stato membro, non è consentito a un giudice di questo secondo Stato adottare un provvedimento provvisorio inteso a concedere l’affidamento del minore che si trova nel territorio di tale Stato all’altro genitore.
VII Il trasferimento illecito del minore
a) L’articolo 11 del Regolamento
La norma di contrasto all’illecito trasferimento di un minore dalla sua residenza abituale è l’articolo 11 del Regolamento, intitolata “ritorno del minore”.
Come si sa il trasferimento illecito dei minori è disciplinato dalla Convenzione dell’Aja del 25 otto¬bre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. Ebbene l’art. 11 del Regola¬mento richiama per i rapporti tra Stati europei questa Convenzione (in vigore per gli Stati firmatari – tra cui l’Italia – anche, naturalmente, nei rapporti con Stati extraeuropei).
Per la legge italiana, la sottrazione e il trattenimento di un minore all’estero costituiscono un delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni (articolo 574 bis codice penale).
L’art. 11 del Regolamento prevede quindi l’applicazione delle procedure indicate nella Convenzione dell’Aja – quindi le medesime, di cui si dirà più oltre, cui fa riferimento la legge 15 gennaio 1994 n. 64 di ratifica della Convenzione dell’Aja – quando una persona o un ente titolare del diritto di affidamento (si pensi al servizio sociale affidatario di un minore) adisce le autorità competenti di uno Stato membro affinché emanino un provvedimento di rientro di un minore che è stato illecita¬mente trasferito o trattenuto in uno Stato membro diverso dallo Stato membro nel quale aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o mancato ritorno.
Secondo Corte giustizia Unione Europea, 5 ottobre 2010, n. 400/10 l’illiceità del trasferi¬mento di un minore dipende esclusivamente dall’esistenza di un diritto di affidamento, conferito dal diritto nazionale applicabile, in violazione del quale tale trasferimento ha avuto luogo.
Il trasferimento o il mancato rientro sono illeciti pur in presenza dell’esercizio congiunto dell’affi¬damento da parte di entrambi i genitori, se contrasta con la situazione di fatto – concordemente e convenzionalmente accettata dai genitori – sulla base della presunzione secondo la quale l’interes¬se del minore coincide con quello di non essere allontanato o di essere immediatamente ricondotto nel luogo in cui si svolge la sua abituale vita quotidiana. (Cass. civ. Sez. I, 23 gennaio 2013, n. 1527; Cass. civ. Sez. I, 19 maggio 2010, n. 12293). La condizione è sempre però che il diritto di affidamento sia “effettivamente esercitato” secondo quanto prescrive la Convenzione dell’Aja del 1980, come detto, richiamata dall’art. 11 del Regolamento (Cass. civ. Sez. I, 4 luglio 2012, n. 11156).
Il trasferimento all’estero o il mancato rientro in Italia di minori figli di genitori separati non è qualificabile come illecita sottrazione all’altro genitore, allorché l’allontanamento avvenga ad opera dell’affidatario (Cass. civ. Sez. Unite, 21 ottobre 2009, n. 22238)
Come ha fatto notare Cass. civ. Sez. Unite, 2 agosto 2011, n. 16864 le disposizioni che pre¬vedono, in caso di trasferimento illecito o di mancato rientro, la competenza dello Stato in cui il minore si trova, sono dettate dall’esigenza di far fronte a situazioni eccezionali.
Nell’applicare la Convenzione dell’Aja, si deve garantire che il minore possa essere ascoltato du¬rante il procedimento, se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità.
L’autorità giurisdizionale alla quale è stata presentata la domanda per il ritorno del minore procede alla rapida trattazione della domanda, utilizzando le procedure più rapide previste nella legisla¬zione nazionale e deve emanare il provvedimento entro sei settimane da quando ha ricevuto la domanda. A chi ha chiesto il provvedimento deve essere data la possibilità di essere ascoltato.
Il provvedimento che rigetta la richiesta di rientro è trasmesso direttamente o tramite l’autorità centrale all’autorità giurisdizionale competente o all’autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o mancato ritorno e tale autorità deve informarne le parti e invitarle a presentare le proprie conclu¬sioni, conformemente alla legislazione nazionale, entro tre mesi dalla data della notifica, affinché quest’ultima esamini la questione dell’affidamento del minore. In caso di mancato ricevimento delle conclusioni entro il termine stabilito, l’autorità giurisdizionale archivia il procedimento. Que¬sta specifica situazione (l’obbligo, cioè, di portare all’esame del giudice della residenza abituale la questione dell’affidamento, entro tre mesi dal rigetto della domanda di rientro da parte del giudice dello Stato in cui il minore è stato portato) è un elemento differenziale del procedimento previsto dal Regolamento rispetto a quanto previsto nella Convenzione dell’Aja del 1980 (lo fa notare Cass. civ. Sez. I, 12 maggio 2015, n. 9632 di cui abbiamo rettificato, però la massima imprecisa).
In tema di giurisdizione, il regolamento CE 27 novembre 2003, n. 2201/2003 non deroga alla Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 – in base alla quale la decisione sull’istanza di rientro nel luogo di residenza del minore illecitamente trasferito spetta all’autorità competente del Paese in cui si trova – ma conserva, per un periodo di tempo limitato, la competenza giurisdizionale allo Stato membro in cui il minore aveva la residenza abituale prima del trasferimento, a condizione che sia tempestivamente presentata e successivamente accolta un’istanza di rientro.
Si tratta, quindi, di una procedura di riesame per il caso in cui il giudice competente dello Stato in cui il minore è stato trasferito abbia negato l’ordine di ritorno per uno dei motivi previsti dall’ar¬ticolo 13 della Convenzione dell’Aja del 1980 (se cioè abbia ritenuto che il soggetto vittima della sottrazione aveva dato il proprio consenso al trasferimento o vi aveva prestato acquiescenza; se vi è fondato rischio che il minore sia esposto, in caso di ritorno, a pericoli fisici e psichici, o che venga a trovarsi in una situazione intollerabile; se il minore si oppone al ritorno e ha un’età e un grado di maturità tali da rendere importante il suo parere). Quando il diniego dell’ordine di ritorno è fondato su uno di questi motivi, il tribunale estero che ha emesso la decisione trasmette, perciò, copia del provvedimento e della documentazione, in particolare della trascrizione delle audizioni, all’autorità giudiziaria italiana (di solito tramite autorità centrali). L’autorità giudiziaria italiana, come si è sopra detto, informa le parti e le invita a presentare entro tre mesi le proprie conclusioni sulla questione dell’affidamento (articolo 11 del Regolamento n. 2201/2003). Se nessuna delle parti si attiva, il procedimento viene archiviato e il minore non farà ritorno, conformemente alla decisione straniera. Se invece almeno una delle parti presenta delle richieste, l’autorità giudiziaria italiana può riesa¬minare la decisione sul ritorno già adottata dal giudice dello Stato estero, pronunciandosi anche sull’affidamento.
Con questo meccanismo, l’autorità giudiziaria della residenza abituale del minore al momento della sottrazione, che ha la competenza sulla questione dell’affidamento, ha l’ultima parola anche sulla questione del ritorno e la sua decisione prevale sulla decisione emessa nello Stato estero.
Contro questo provvedimento di riesame può essere proposto solo ricorso per cassazione (Cass. civ. Sez. I, 21 marzo 2011, n. 6319; Cass. civ. Sez. I, 14 luglio 2010, n. 16549)
b) La Convenzione dell’Aja del 1980 sulla sottrazione internazionale di minori
Si parla di sottrazione internazionale quando un minore avente la residenza abituale in un determi¬nato Stato è condotto in un altro Stato senza il consenso del soggetto che esercita la responsabilità genitoriale, che, come si è visto, comprende il diritto di determinare il luogo di residenza abituale del minore. Alla sottrazione è equiparato il trattenimento del minore in uno Stato diverso da quello di residenza abituale, senza il consenso del genitore o di altro soggetto titolare dell’affidamento. La cittadinanza del minore e dei genitori è irrilevante contando soltanto la residenza abituale del minore al momento della sottrazione.
La Convenzione dell’Aja del 1980, insieme ad altre convenzioni internazionali sulla protezione dei minori, è stata ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 15 gennaio 1994 n. 64 e si applica nelle relazioni tra gli Stati che l’hanno firmata o vi hanno aderito ed inoltre nei rapporti tra Stati dell’Unione europea per il rinvio che ne fa – come si è detto – il Regolamento europeo n. 2201 del 2003.
Le procedure previste dalla Convenzione dell’Aja si applicano se il minore sottratto ha meno di sedici anni di età (al compimento del sedicesimo anno, la procedura si interrompe, anche se è già in fase giudiziaria) e sempre che la persona che richiede il ritorno è il titolare della re¬sponsabilità genitoriale sul minore e al momento della sottrazione esercitava effettivamente le corrispondenti funzioni.
Per i minori che hanno la residenza abituale in Italia, entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale e di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore (articolo 316 codice civile). Questa è la regola generale anche dopo la fine della convivenza (articolo 337 ter del codice civile), ma il provvedimento giudiziario che dispone in tema di affidamento dei figli può decide¬re diversamente. In alcuni casi, il servizio sociale affidatario in base a una decisione del giudice competente può essere il soggetto legittimato a presentare la richiesta di ritorno. L’esercente la responsabilità genitoriale può essere il tutore del minore.
Le norme della Convenzione e le procedure in essa previste si applicano quando la sottrazione si è già verificata. La Convenzione non stabilisce entro quanto tempo dopo che si è verificata la sottra¬zione debba essere avviata la procedura per chiedere il ritorno del minore nello Stato di residenza abituale. Il decorso del tempo non è però irrilevante. Infatti, se la domanda per il ritorno è propo¬sta all’autorità giudiziaria entro un anno dalla sottrazione, il giudice è tenuto a ordinare il ritorno del minore. Se invece la domanda è presentata quando è passato più di un anno dalla sottrazione del minore, il giudice dello Stato di attuale collocazione può non ordinare il ritorno, se accerta che il minore si è nel frattempo integrato nel nuovo ambiente.
La procedura è normalmente promossa dall’autorità centrale dello Stato in cui il minore aveva la residenza abituale prima della sottrazione, su richiesta della persona che lamenta la sottrazione (per l’Italia l’autorità centrale è istituita presso il Dipartimento per la giustizia minorile del Mini¬stero della giustizia). Tutti gli Stati aderenti alla Convenzione dell’Aja del 1980 devono nominare le rispettive autorità centrali che hanno il compito di cooperare reciprocamente al fine proprio di assicurare l’immediato ritorno dei minori sottratti illecitamente. Tuttavia la persona che lamenta la sottrazione può anche decidere di rivolgersi direttamente e autonomamente alle autorità̀ giudizia¬rie dello Stato in cui il minore è stato portato e trattenuto.
Le autorità centrali devono, direttamente o tramite altri organi del loro Stato, mettere in atto tutto il possibile per localizzare il minore sottratto, per assicurare la consegna volontaria del minore o agevolare la composizione amichevole della controversia, devono scambiarsi le informazioni rela¬tive alla situazione del minore, forniscono informazioni generali sulla legislazione del proprio Stato in relazione all’applicazione della Convenzione; avviano e agevolano l’instaurazione della procedura per ottenere il ritorno del minore sottratto concedendo o agevolando anche l’assistenza legale.
Naturalmente le autorità centrali non possono emettere l’ordine di ritorno, che compete all’autorità giudiziaria dello Stato in cui il minore è stato portato e non possono in alcun modo interferire sui tempi della procedura giudiziaria e tanto meno con il merito della decisione.
Per emettere l’ordine di ritorno il giudice dello Stato di collocazione attuale verifica se il minore sot¬tratto ha meno di 16 anni, se prima della sottrazione o del mancato rientro aveva effettivamente la residenza abituale nello Stato in cui si chiede il ritorno, se il soggetto che presenta la domanda di ritorno è titolare della responsabilità genitoriale – comprendente il diritto di decidere il luogo di residenza abituale del minore – e se effettivamente tale soggetto la esercitava al momento della sottrazione, se la sottrazione è stata fatta senza il consenso del soggetto titolare della responsa¬bilità genitoriale, se la sottrazione è avvenuta da meno di un anno o, se è avvenuta da oltre un anno, se il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente.
Anche se sussistono queste condizioni il giudice non emette l’ordine di ritorno se risulta che, prima o dopo la sottrazione, il richiedente ha acconsentito al trasferimento, se accerta che sussiste un fondato rischio che il minore, ritornando nello Stato di residenza abituale, sia esposto a pericoli fisici e psichici, o comunque possa trovarsi in una situazione intollerabile (per esempio una situa¬zione di maltrattamenti), se il minore si oppone al ritorno e, per la sua età e maturità, occorre tener conto del suo parere.
Scopo dell’ordine di ritorno è ristabilire la situazione di fatto che esisteva prima della sottrazione. Il provvedimento non interferisce con il regime giuridico dell’affidamento del minore preesistente alla sottrazione e, quindi, non comporta l’affidamento del minore al genitore che ha subito la sot¬trazione. La pronuncia di provvedimenti relativi all’affidamento resta di competenza del giudice dello Stato della residenza abituale del minore. Per questi motivi, spesso il genitore che ha subito la sottrazione non si limita ad attivare la procedura per il ritorno ma richiede anche la separazione o il divorzio o la modifica delle condizioni della separazione o del divorzio, oppure per l’affidamento del figlio nato fuori dal matrimonio.
Le procedure sul rimpatrio hanno carattere d’urgenza e non potrebbero durare più di sei settimane (riferibili al primo grado).
Nel caso in cui un minore sia sottratto dallo Stato estero di residenza abituale e portato in Italia, la Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 viene applicata in Italia secondo la procedura stabilita dalla legge di ratifica del 15 gennaio 1994 n. 64, specificamente dall’art. 7 della legge5.
Secondo quando previsto in questa disposizione l’autorità centrale italiana trasmette l’istanza di ritorno e la documentazione alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni competente in base al luogo in cui si trova il minore. La procura della Repubblica presenta al tri¬bunale per i minorenni un ricorso e il tribunale fissa l’udienza per la trattazione della domanda di ritorno. Il soggetto che ha subito la sottrazione viene informato tramite le autorità centrali della data dell’udienza, cui ha diritto di partecipare. Può essere sentito dal giudice, eventualmente mediante un interprete. Non è necessaria, ma possibile, la nomina di un legale che lo assista e lo rappresenti nel giudizio (Cass. civ. Sez. I, 11 agosto 2011, n. 17201). Nel corso del procedi¬mento deve essere ascoltato il minore, se ciò̀ non è inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità. L’ascolto avviene secondo le previsioni dell’articolo 336-bis del codice civile. Il Tribunale decide con decreto immediatamente esecutivo. Contro il decreto può essere proposto ricorso per cassazione.
L’ordine di ritorno emesso dal tribunale per i minorenni è, come detto, immediatamente esecutivo. Il ricorso per cassazione non sospende l’esecutività dell’ordine di ritorno. Pertanto, il minore deve essere riportato subito nello Stato della residenza abituale. La procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni è l’organo competente per l’esecuzione dell’ordine di ritorno, cui provve¬de avvalendosi prevalentemente dei servizi sociali della giustizia minorile, ove necessario assistiti dalla pubblica sicurezza.
5 Art. 7 della legge 15 gennaio 1994, n. 64
1. Le richieste tendenti ad ottenere il ritorno del minore presso l’affidatario al quale è stato sottratto, o a rista¬bilire l’esercizio effettivo del diritto di vista, sono presentate per il tramite dell’autorità centrale a norma degli articoli 8 e 21 della convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980.
2. L’autorità centrale, premessi se del caso i necessari accertamenti, trasmette senza indugio gli atti al procura¬tore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo in cui si trova il minore. Il procuratore della Re¬pubblica richiede con ricorso in via d’urgenza al tribunale l’ordine di restituzione o il ripristino del diritto di visita.
3. Il presidente del tribunale, assunte se del caso sommarie informazioni, fissa con decreto l’udienza in camera di consiglio, dandone comunicazione all’autorità centrale. Il tribunale decide con decreto entro trenta giorni dalla data di ricezione della richiesta di cui al comma 1, sentiti la persona presso cui si trova il minore, il pubblico ministero, e, se del caso, il minore medesimo. La persona che ha presentato la richiesta è informata della data dell’udienza a cura dell’autorità centrale, e può comparire a sue spese e chiedere di essere sentita.
4. Il decreto è immediatamente esecutivo. Contro di esso può essere proposto ricorso per cassazione. La pre¬sentazione del ricorso non sospende l’esecuzione del decreto.
5. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni cura l’esecuzione delle decisioni anche avvalendosi dei servizi minorili dell’Amministrazione della giustizia, e ne dà immediatamente avviso all’autorità centrale.
6. È fatta salva la facoltà per l’interessato di adire direttamente le competenti autorità, a norma dell’articolo 29 della convenzione di cui al comma 1.
VIII Il riconoscimento delle decisioni (nelle cause matrimoniali e in materia di responsabilità genitoriale)
Il Regolamento europeo n. 2201 del 2003 si occupa anche del riconoscimento e dell’esecuzione in uno Stato membro delle decisioni adottate in altri Stati membri.
Per ciò che attiene al riconoscimento, le decisioni adottate in uno Stato europeo – secondo quanto dispone l’art. 21 – sono riconosciute negli altri Stati europei senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento. Si tratta di un principio ormai adottato anche nelle normative interne di diritto internazionale privato.
Pertanto non è necessario alcun procedimento per l’aggiornamento delle iscrizioni nello stato civile di uno Stato membro a seguito di una decisione di divorzio, di separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio pronunciata in un altro Stato membro, contro la quale non sia più possibile proporre impugnazione secondo la legge di detto Stato membro.
Tuttavia – e fatto salvo quanto si dirà in ordine all’esecuzione delle decisioni sul diritto di visita e di ritorno del minore che hanno un trattamento privilegiato – ogni parte interessata può sempre far dichiarare che la decisione deve essere o non può essere riconosciuta (Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 11 luglio 2008, n. 195/08 ha appunto chiarito che salvo i casi in cui il pro¬cedimento riguardi una decisione certificata in applicazione degli artt. 11, par. 8, e degli artt. 40, 41, 42 del Regolamento n. 2201/2003, qualsiasi parte interessata può chiedere, in base all’art. 21 par. 3 del regolamento, il non riconoscimento di una decisione giudiziaria, anche qualora non sia stata precedentemente presentata un’istanza di riconoscimento di tale decisione).
La competenza degli organi giurisdizionali al riconoscimento, è determinata dal diritto interno dello Stato membro nel quale è proposta l’istanza di riconoscimento o di non riconoscimento. Se il rico¬noscimento di una decisione è richiesto in via incidentale dinanzi ad una autorità giurisdizionale di uno Stato membro, questa può decidere al riguardo.
Come si vede la disciplina del Regolamento è in questo settore omogenea a quella prevista nel nostro sistema di diritto internazionale privato nel quale anche il riconoscimento delle decisioni adottate all’estero è automatico, salvo il diritto di chi contesti la decisione straniera (o di chi inten¬da darne esecuzione), di richiedere la dichiarazione di efficacia o inefficacia in Italia (articoli 64 e seguenti della legge 31 maggio 1995, n.218).
Secondo quanto prevede l’art. 22 del Regolamento le decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio non sono riconosciute nei casi seguenti: a) se il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto6; b) quando è resa in contumacia, ovvero la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato notificato o comuni¬cato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese, salvo che sia stato accertato che il convenuto ha accettato inequivocabilmente la decisione; c) se la decisione è incompatibile con una decisione resa in un procedimento tra le medesime parti nello Stato membro richiesto; o d) se la decisione è incompatibile con una decisione anteriore avente le stesse parti, resa in un altro Stato membro o in un paese terzo, purché la decisione anteriore soddisfi le condizioni prescritte per il riconoscimento nello Stato membro richiesto.
L’art. 23 indica i motivi di non riconoscimento delle decisioni sulla responsabilità genitoriale: a) se, tenuto conto dell’interesse superiore del minore, il riconoscimento è manifestamente contra¬rio all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto (App. Torino Decreto, 4 dicembre 2014 sottolinea il fatto che il concetto di ordine pubblico è qui collegato all’interesse del minore); b) se, salvo i casi d’urgenza, la decisione è stata resa senza che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato, in violazione dei principi fondamentali di procedura dello Stato membro richiesto; c) quando è resa in contumacia, ovvero la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese, salvo che sia stato accertato che il convenuto ha accettato inequivocabilmente la decisione; d) su richiesta di colui che ritiene che la decisione sia lesiva della propria responsabilità genitoriale, se è stata emessa senza dargli la possibilità di essere ascoltato; e) se la decisione è incompatibile con una decisione successiva sulla responsabilità genitoriale emessa nello Stato membro richiesto; f) se la decisione è incompatibile con una decisione successiva sulla respon¬sabilità genitoriale emessa in un altro Stato membro o nel paese terzo in cui il minore risieda, la quale soddisfi le condizioni prescritte per il riconoscimento nello Stato membro richiesto; o g) se la procedura prevista dall’articolo 56 non è stata rispettata.
Di particolare interesse – che va qui evidenziato – è il motivo di non riconoscimento indicato nella lettera b) consistente nel fatto che la decisione non può essere riconosciuta nei casi in cui il minore non ha avuto la possibilità di essere ascoltato.
Costituiscono principi generali quello secondo cui il giudice dello Stato in cui si svolge la procedu¬ra di riconoscimento non può procedere al riesame della competenza giurisdizionale del giudice dello Stato membro d’origine (art. 24), quello secondo cui il riconoscimento di una decisione non può essere negato perché la legge dello Stato membro richiesto non prevede per i medesimi fatti il divorzio, la separazione personale o l’annullamento del matrimonio (art. 25) ed inoltre quello secondo cui in nessun caso la decisione può formare oggetto di un riesame del merito (art. 26).
L’autorità giurisdizionale dinanzi alla quale è richiesto il riconoscimento di una decisione pronunciata in un altro Stato membro può sospendere il procedimento se la decisione è stata impugnata con un mezzo ordinario (art. 27).
IX Il particolare regime previsto per l’esecuzione delle decisioni sulla responsabilità genitoriale
Le decisioni sull’esercizio della responsabilità genitoriale, non si sottraggono al principio generale dell’automatico riconoscimento (restando l’eventuale disconoscimento subordinato ad un’iniziativa di parte) ma non possono, solo perché riconosciute, essere poste in esecuzione. Non possono, cioè, costituire titolo per un’attività esecutiva occorrendo, oltre alla previa notificazione, un’appo¬sita declaratoria di esecutività, su istanza dell’interessato.
Lo afferma l’art. 28 del Regolamento prevedendo che le decisioni relative all’esercizio della respon¬sabilità genitoriale su un minore, emesse ed esecutive in un determinato Stato membro, hanno un trattamento particolare. Per essere eseguite in un altro Stato membro devono essere prima notificate e poi dichiarate esecutive su istanza della parte interessata.
A tale proposito ha fatto notare Cass. civ. Sez. Unite, 20 dicembre 2006, n. 27188 che in tema di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale, nella disciplina del regolamento n. 2201/2003, le decisioni sull’esercizio della responsabilità genitoriale, se non si sottraggono al principio generale dell’automatico riconoscimento (restando l’eventuale disconoscimento subordinato ad iniziativa di parte), non possono, solo perché riconosciute, esse¬re poste in esecuzione, vale a dire non possono costituire titolo per un’attività modificativa della situazione in atto, all’uopo occorrendo, oltre alla previa notificazione, la apposita declaratoria di esecutività, su istanza dell’interessato, di cui all’art. 28 del citato regolamento. Ne deriva che la decisione del giudice italiano, la quale modifichi una precedente scelta e sostituisca l’uno all’altro genitore nella qualità di affidatario del figlio minore, non autorizza il nuovo affidatario a prelevare e trasferire il minore stesso dallo Stato membro in cui risieda assieme al precedente affidatario, rendendosi a tal fine necessaria, la dichiarazione di esecutività.
L’istanza per la dichiarazione di esecutività è proposta ai giudici che figurano nell’elenco comuni¬cato da ciascuno Stato membro alla Commissione. In Italia, la competenza in materia di ricono¬scimento (in via principale) e di esecuzione delle decisioni in questo contesto è stata attribuita alle Corti d’appello.
La competenza territoriale è determinata dalla residenza abituale della parte contro cui è chiesta l’esecuzione oppure dalla residenza abituale del minore cui l’istanza si riferisce.
Dall’art. 30 del Regolamento ci si occupa specificamente del procedimento, prevedendosi che le modalità del deposito dell’istanza sono determinate in base alla legge dello Stato membro dell’ese¬cuzione. L’istante elegge il proprio domicilio nella circoscrizione dell’autorità giurisdizionale adita. L’autorità giurisdizionale adita decide senza indugio. In questa fase del procedimento, né la parte contro la quale l’esecuzione viene chiesta né il minore possono presentare osservazioni. L’istanza può essere respinta solo per uno dei motivi di cui agli articoli 22, 23 e 24 e in nessun caso la de¬cisione può formare oggetto di un riesame del merito.
La decisione resa su istanza di parte è senza indugio portata a conoscenza del richiedente, a cura del cancelliere, secondo le modalità previste dalla legge dello Stato membro dell’esecuzione (art. 32) e ciascuna delle parti può proporre opposizione contro la decisione resa sull’istanza intesa a ottenere una dichiarazione di esecutività. Il ricorso è esaminato secondo le norme sul procedimen¬to in contraddittorio.
Se l’opposizione è proposta dalla parte che ha richiesto la dichiarazione di esecutività, la parte contro cui l’esecuzione viene fatta valere è chiamata a comparire davanti all’autorità giurisdizio¬nale dell’opposizione.
L’opposizione deve essere proposta nel termine di un mese dalla notificazione della stessa. Se la parte contro la quale è chiesta l’esecuzione ha la residenza abituale in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata rilasciata la dichiarazione di esecutività, il termine è di due mesi a decorrere dalla data della notificazione in mani proprie o nella residenza. Detto termine non è prorogabile per ragioni inerenti alla distanza.
Si tratta, quindi, di un procedimento a contraddittorio eventuale e posticipato. Se non c’è opposi¬zione il provvedimento è esecutivo appena trascorsi i termini indicati.
La decisione resa sull’opposizione può costituire unicamente oggetto delle procedure di cui all’e¬lenco comunicato da ciascuno Stato membro alla Commissione conformemente all’articolo 68 che, per l’Italia, è la Corte di cassazione.
L’autorità giurisdizionale dinanzi alla quale è proposta l’opposizione può, su istanza della parte contro la quale è chiesta l’esecuzione, sospendere il procedimento di esecuzione se la decisione è stata impugnata nello Stato membro d’origine con un mezzo ordinario o se il termine per proporre l’impugnazione non è ancora scaduto. In quest’ultimo caso l’autorità giurisdizionale può fissare un termine per proporre tale impugnazione.
L’art. 37 indica i documenti che la parte deve produrre tra cui un certificato riepilogativo apposito ri¬lasciato dal tribunale con le caratteristiche indicate nell’art. 39. Il modello è allegato al regolamento.
L’esecuzione è disciplinata poi dalla legge dello Stato membro in cui deve avvenire.
X L’attuazione delle decisioni sul diritto di visita e di quelle che prescrivono il ritorno del minore
Una parte del Regolamento (dall’art. 40 all’art. 45) si occupa dell’esecuzione di talune decisioni considerate sensibili (decisioni in materia di diritto di visita e decisioni che prescrivono il ritorno del minore) disposizioni che non ostano naturalmente a che il titolare della responsabilità genito¬riale chieda il riconoscimento e l’esecuzione in forza delle disposizioni sopra viste contenute nel Regolamento.
a) Le decisioni sul diritto di visita
Secondo la definizione che ne dà l’art. 2 del Regolamento con l’espressione “diritto di visita” ci si riferisce al “diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo”.
Anche la Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 si occupa delle garanzie per la corretta esecu¬zione del diritto di visita del genitore, consentendo che per il tramite delle autorità centrali possa essere richiesta l’organizzazione o la tutela dell’esercizio effettivo del diritto di visita nei confronti di un figlio che viva con l’altro genitore in uno Stato estero. Secondo la Convenzione dell’Aja la domanda viene presentata e trattata con le stesse modalità previste per le domande di ritorno del minore: alla prima fase amministrativa, durante la quale il minore viene localizzato e si tenta di raggiungere un accordo tra le parti, segue la fase giudiziaria davanti al giudice competente in base al luogo di residenza del minore.
Per i minori abitualmente residenti nell’Unione Europea, il diritto di visita riceve una tutela più incisiva grazie all’articolo 41 del Regolamento n. 2201 del 2003. Il provvedimento giudiziario ese¬cutivo, emesso un qualsiasi Stato membro, che disciplina il diritto di visita di un genitore è ricono¬sciuto automaticamente ed è immediatamente esecutivo in tutti gli altri Stati dell’Unione Europea, quando è munito di un particolare certificato, che va rilasciato dal giudice che ha emesso quel provvedimento. Non è dunque necessario che nello Stato di residenza abituale del minore venga esperita una procedura di dichiarazione di esecutività (exequatur).
Secondo quanto stabilito da Corte giustizia Unione Europea Sez. I, 22 dicembre 2010, n. 491/10 la decisione che ordina il ritorno di un minore può essere certificata soltanto dopo aver verificato che, in funzione dell’interesse superiore del minore e tenuto conto di tutte le circostanze del caso di specie, tale decisione sia stata adottata nel rispetto del diritto del minore di esprimersi liberamente e che sia stata offerta a quest’ultimo una possibilità concreta ed effettiva di esprimer¬si, tenuto conto dei mezzi procedurali nazionali e degli strumenti della cooperazione giudiziaria internazionale.
La domanda per l’organizzazione o la tutela dell’esercizio effettivo del diritto di visita può essere presentata anche da parenti diversi dai genitori (nonni, zii, fratelli), se ciò è consentito dalla legge dello Stato in cui il minore è abitualmente residente.
L’autorità giurisdizionale dello Stato in cui avviene l’esecuzione può stabilire modalità pratiche vol¬te ad organizzare l’esercizio del diritto di visita, qualora le modalità necessarie non siano o siano insufficientemente previste nella decisione emessa dalle autorità giurisdizionali dello Stato mem¬bro competente a conoscere del merito e a condizione che siano rispettati gli elementi essenziali di quella decisione.
b) Le decisioni che prescrivono il ritorno del minore
Le decisioni sul ritorno del minore emesse in uno Stato membro a seguito di un trasferimento illecito in altro Stato, sono riconosciute ed eseguibili senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al riconoscimento, sempre che la decisione sia stata certificata nello Stato membro d’origine (con il certificato di cui si è sopra detto per le decisioni sul diritto di visita).
Il giudice di origine che ha emanato la decisione rilascia il certificato solo se: a) il minore ha avu¬to la possibilità di essere ascoltato, salvo che l’audizione sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità; b) le parti hanno avuto la possibilità di essere ascolta¬te; e c) l’autorità giurisdizionale ha tenuto conto, nel rendere la sua decisione, dei motivi e degli elementi di prova alla base del provvedimento emesso. Nel caso in cui l’autorità giurisdizionale o qualsiasi altra autorità adotti misure per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno nello Stato della residenza abituale, il certificato contiene i dettagli di tali misure.
XI Gli accordi
L’art. 46 del Regolamento equipara in tutto e per tutto gli atti pubblici e gli accordi alle decisioni giudiziarie prescrivendo che “gli atti pubblici formati e aventi efficacia esecutiva in uno Stato mem¬bro nonché gli accordi tra le parti aventi efficacia esecutiva nello Stato membro di origine sono riconosciuti ed eseguiti alle stesse condizioni previste per le decisioni”
XII La cooperazione tra Stati
Ciascuno Stato membro – sulla base di quanto prescritto dall’art. 53 del Regolamento – designa una o più autorità centrali incaricata di assisterlo nell’applicazione del Regolamento e ne specifica le competenze territoriali e materiali.
Le autorità centrali mettono a disposizione informazioni sull’ordinamento e sulle procedure na¬zionali e adottano misure generali per migliorare l’applicazione del Regolamento e rafforzare la cooperazione.
Una cooperazione speciale è poi prevista nell’ambito dei procedimenti attinenti alla responsabilità genitoriale. In tali procedimenti le autorità centrali, su richiesta di un’autorità centrale di un altro Stato membro o del titolare della responsabilità genitoriale, cooperano per realizzare gli obiettivi del Regolamento provvedendo a raccogliere e a scambiare informazioni sulla situazione del mi¬nore, sugli eventuali procedimenti in corso e sulle decisioni adottate relativamente al minore; a fornire informazioni e assistenza ai titolari della responsabilità genitoriale che chiedono il ricono¬scimento e l’esecuzione delle decisioni sul loro territorio, relativamente in particolare al diritto di visita e al ritorno del minore; a facilitare la comunicazione fra le autorità giurisdizionali; a fornire informazioni e sostegno; a facilitare un accordo fra i titolari della responsabilità genitoriale, ricor¬rendo alla mediazione o con altri mezzi, e ad agevolare a tal fine la cooperazione transfrontaliera.
Da parte loro i titolari della responsabilità genitoriale possono rivolgere richieste di assistenza gratuita all’autorità centrale dello Stato membro in cui risiedono abitualmente ovvero all’autorità centrale dello Stato membro in cui si può trovare o risiede abitualmente il minore.
Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. Unite, 5 giugno 2017, n. 13912 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’accettazione della giurisdizione italiana nell’ambito del giudizio di separazione personale non esplica alcun effetto nel successivo procedimento di modifica delle condizioni della separazione instaurato per ottenere l’affidamento di figli minori, sia perché quest’ultimo è un nuovo giudizio (come si evince anche dall’art. 12, par. 2, lett. a), del reg. CE n. 2201 del 2003), sebbene ricollegato al regolamento attuato con la decisione definitiva o con l’omologa della separazione consensuale non più reclamabile, in base al suo carattere di giudicato “rebus sic stantibus”, sia perché il criterio di attribuzione della giurisdizione fondato sulla cd. vicinanza, dettato nell’interesse superiore del minore come delineato dalla Corte di giustizia della UE, assume una pregnanza tale da comportare l’esclusione della validità del consenso del genitore alla proroga della giurisdizione.
Tribunale di Milano, Sez. IX, 24 febbraio 2017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini dell’applicazione dell’art. 19, Reg. n. 2201/2003, in tema di litispendenza internazionale in materia matrimoniale, non è necessario che vi sia l’identità di titolo e oggetto tra le domande proposte dinanzi a giudici di Stati membri diversi: infatti le due cause possono avere oggetto distinto, purché vertano comunque sulla separazione personale, sul divorzio o sull’annullamento del matrimonio. Sussiste perciò una situazione di litispendenza internazionale nel caso siano proposte dinanzi ad autorità giurisdizionali di due Stati dell’Unione Europea una domanda di divorzio e una di separazione personale.
Nell’ipotesi di procedimenti di separazione e divorzio (o annullamento del matrimonio) instaurati in Stati membri diversi, l’autorità giurisdizionale successivamente adita deve sospendere il procedimento fino a quando non venga accertata la competenza giurisdizionale dell’autorità adita per prima.(Nel caso di specie, il Tribunale ha correttamente sospeso, ex art. 19 del regolamento 2201/2003 (c.d. Bruxelles II bis), il giudizio di separazione pendente davanti ad esso, in attesa che i giudici inglesi, precedentemente aditi, statuiscano sulla loro competenza a trattare la domanda di divorzio.
Corte giustizia Unione Europea, Sez. I, 15 febbraio 2017, n. 499/15 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il regolamento n. 2201/2003 si fonda sulla cooperazione e sulla fiducia reciproca tra le autorità giurisdizionali che devono condurre al reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, fondamento per la creazione di un autentico spazio giudiziario. Tale regolamento è stato elaborato con l’obiettivo di rispondere all’interesse superiore del minore e, a tal fine, esso privilegia il criterio di vicinanza. Il legislatore ha infatti ritenuto che il giudice geograficamente vicino alla residenza abituale del minore si trovi nella situazione più favorevole per valutare i provvedimenti da disporre nell’interesse del minore. Per questi motivi la competenza giurisdizionale appartiene quindi, anzitutto, ai giudici dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente, salvo ove si verifichi un cambiamento della sua residenza o in caso di accordo fra i titolari della responsabilità genitoriale. Ed è per questo che l’articolo 8 del regolamento n. 2201/2003 traduce tale obiettivo attribuendo una competenza generale alle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui il minore ha la residenza abituale.
L’articolo 8 del regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, e l’articolo 3 del regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, devono essere interpretati nel senso che i giudici dello Stato membro che hanno adottato una decisione passata in giudicato in materia di responsabilità genitoriale e di obbligazioni alimentari riguardanti un figlio minore non sono più competenti a pronunciarsi su una domanda di modifica dei provvedimenti adottati con tale decisione, qualora la residenza abituale del minore si trovi nel territorio di un altro Stato membro. La competenza a pronunciarsi su tale domanda spetta ai giudici di quest’ultimo Stato membro.
Cass. civ. Sez. Unite, 10 febbraio 2017, n. 3555 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di competenza, l’art. 8, n. 1 del Regolamento CE 27 novembre 2003 n. 2201/2003/Cons., prevede, per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, la competenza internazionale dell’autorità giudiziaria dello Stato membro in cui il minore stesso risiede abitualmente alla data della domanda, dettando in tal modo un principio ispirato all’interesse superiore del minore stesso ed al criterio della vicinanza. A tal uopo, per “residenza abituale” deve intendersi il luogo dove il minore trova e riconosce, anche grazie a una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua vita di relazione. In altri termini, la residenza abituale corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare, e, ai fini del relativo accertamento, rilevano una serie di circostanze che vanno valutate in relazione alla peculiarità del caso concreto: la durata, la regolarità e le ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro, la cittadinanza del minore, la frequenza scolastica e, in generale, le relazioni familiari e sociali.
Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 27 ottobre 2016, n. 428/15 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento n. 2201/2003 prevede che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro competenti a conoscere del merito di un caso possono chiedere il trasferimento di tale caso o di una sua parte specifica a un’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro con il quale il minore abbia un legame particolare, ove ritengano che quest’ultima sia più adatta a trattarla e ove ciò corrisponda all’interesse superiore del minore. Poiché le nozioni di autorità giurisdizionale «più adatta» e di «interesse superiore del minore» ai sensi di tale disposizione non sono definite da alcun’altra disposizione del regolamento n. 2201/2003, occorre interpretarle tenendo conto del contesto nel quale si collocano e degli obiettivi perseguiti da detto regolamento. A termini del considerando 12 del regolamento n. 2201/2003, le regole di competenza dettate da quest’ultimo in materia di responsabilità genitoriale sono ispirate all’interesse superiore del minore. Pertanto la necessità che il trasferimento di un caso a un’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro corrisponda all’interesse superiore del minore costituisce un’espressione del principio cardine su cui, da un lato, si è basato il legislatore nella concezione di tale regolamento e che, dall’altro, deve guidare la sua attuazione nelle cause in materia di responsabilità genitoriale ad esso assoggettate. Nel contesto del regolamento n. 2201/2003, la considerazione dell’interesse superiore del minore è volta a garantire il rispetto dei diritti fondamentali del bambino, come si evince dal considerando 33 di tale regolamento.
L’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento n. 2201/2003 deve essere interpretato nel senso che per poter stabilire che un’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro con il quale il minore ha un legame particolare è più adatta, il giudice competente di uno Stato membro deve accertarsi che il trasferimento del caso a detta autorità giurisdizionale sia idoneo ad apportare un valore aggiunto reale e concreto al trattamento dello stesso, in particolare tenendo conto delle norme di procedura applicabili in detto altro Stato membro; ed inoltre per poter stabilire che un siffatto trasferimento corrisponde all’interesse superiore del minore, il giudice competente di uno Stato membro deve in particolare accertarsi che tale trasferimento non rischi di ripercuotersi negativamente sulla situazione del minore.
Cass. civ. Sez. Unite, 7 settembre 2016, n. 17676 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ambito di applicazione del Reg. 2201/2003, in tema di responsabilità genitoriale, al fine di stabilire la competenza giurisdizionale, occorre dare rilievo, come regola generale, al criterio della residenza abituale del minore al momento della domanda, intendendo come tale il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale, e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto.
La regola del trasferimento a un’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro sancita all’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento n. 2201/2003 costituisce una regola di competenza speciale e derogatoria rispetto a quella di competenza generale enunciata all’articolo 8, paragrafo 1, di tale regolamento, cosicché essa dev’essere interpretata restrittivamente.
La giurisdizione del giudice italiano va negata rispetto alle domande inerenti l’affidamento ed il mantenimento del figlio delle parti [stante la mancata accettazione dell’appellante e il superiore interesse del minore], in quanto devolute in via esclusiva alla competenza del giudice, ove il minore è stabilmente residente, e deve invece essere affermata relativamente al giudizio di separazione personale, conformemente ai principi della perpetuatio jurisdictionis e della prevenzione, che precludono lo spostamento di competenza in favore del procedimento (anche se) connesso avviato all’estero successivamente al primo.
Cass. civ. Sez. Unite, 18 marzo 2016, n. 5420 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il Regolamento (CE) n. 2201/2003 si applica solo alle diverse giurisdizioni degli stati dell’Unione Europea, non anche alla giurisdizione degli stati esterni all’Unione, per la quale, anche se la causa verte tra cittadini dell’Unione, si applica l’art. 7 della l. n. 218 del 1995, con eventuale sospensione del giudizio interno sino alla definizione del previo giudizio estero.
Il Regolamento (CE) n. 2201/2003 si applica solo alle diverse giurisdizioni degli stati dell’Unione Europea, non anche alla giurisdizione degli stati esterni all’Unione, per la quale, anche se la causa verte tra cittadini dell’Unione, si applica l’art. 7 della l. n. 218 del 1995, con eventuale sospensione del giudizio interno sino alla definizione del previo giudizio estero. (Dichiara giurisdizione)
Cass. civ. Sez. I, 12 maggio 2015, n. 9632 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di giurisdizione, il regolamento CE 27 novembre 2003, n. 2201/2003 non deroga alla Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 – in base alla quale la decisione sull’istanza di rientro nel luogo di residenza del minore illecitamente trasferito spetta all’autorità competente del Paese in cui si trova – ma conserva, per un periodo di tempo limitato, la competenza giurisdizionale allo Stato membro in cui il minore aveva la residenza abituale prima del trasferimento, a condizione che sia tempestivamente presentata e successivamente accolta un’istanza di rientro (rectius di affidamento). Ne consegue una fase di sdoppiamento della competenza giurisdizionale sul rientro e sull’affidamento, tesa a garantire, da un lato, che la decisione sul rientro sia presa dal giudice del luogo in cui il minore si trova, in base al criterio di prossimità e possibilità di ascolto, e, dall’altro, ad impedire che la sottrazione illecita del minore favorisca, con lo spostamento della giurisdizione, il suo autore.
Trib. Vercelli, 18 dicembre 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 15 del Reg. 2201/2003 prevede una “eccezionale” forma di dismissione discrezionale della competenza ispirata alla dottrina anglosassone del forum non conveniens. Il trasferimento d’ufficio della competenza giurisdizionale ad altro Stato può, in particolare, essere disposto nel caso in cui, nel corso della procedura pendente nello Stato a quo, i minori coinvolti nel processo abbiano definitivamente modificato la loro residenza abituale, fissando la dimora in altro Stato: in questo caso, è opportuno il trasferimento della causa al giudice dello Stato ad quem, previa audizione delle parti, per acquisire il loro consenso.
App. Torino Decreto, 4 dicembre 2014 (Nuova Giur. Civ., 2015, 5, 441 nota di FRANCO)
Ai fini del riconoscimento o meno dei provvedimenti giurisdizionali stranieri, deve aversi prioritario riguardo all’interesse superiore del minore (art. 3 L. 27 maggio 1991, n. 176 di ratifica della Convenzione sui diritti del fanciullo, di New York 20.11.1989), come ribadito in ambito comunitario, con particolare riferimento al riconoscimento delle sentenze straniere in materia di rapporti tra genitori e figli, dall’art. 23 reg. CE n. 2201/2003 il quale stabilisce espressamente che la valutazione della non contrarietà all’ordine pubblico debba essere effettuata tenendo conto dell’interesse superiore del figlio.
Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 12 novembre 2014, n. 656/13 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’articolo 12, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, deve essere interpretato nel senso che esso consente, ai fini di un procedimento in materia di responsabilità genitoriale, di fondare la competenza di un giudice di uno Stato membro diverso dallo Stato di residenza abituale del minore pur se dinanzi al giudice prescelto non è pendente alcun altro procedimento.
Corte giustizia Unione Europea Sez. II, 1 ottobre 2014, n. 436/13 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza in materia di responsabilità genitoriale, prorogata in forza dell’articolo 12, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, a favore di un giudice di uno Stato membro investito del procedimento di concerto dai titolari della responsabilità genitoriale, viene meno con la pronuncia di una decisione definitiva nel contesto di tale procedimento.
Trib. Milano Sez. IX Decreto, 16 luglio 2014
Qualora dinanzi a autorità giurisdizionali di Stati membri diversi siano state proposte domande sulla responsabilità genitoriale su uno stesso minore, aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, l’autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d’ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza dell’autorità giurisdizionale preventivamente adita. In ipotesi di litispendenza internazionale, è tuttavia ammissibile l’adozione di provvedimenti cautelari o urgenti, ex art. 20 del regolamento n. 2201/2003. Tale enunciato, tuttavia, deve essere interpretato nel senso che esso non consente ad un giudice di uno Stato membro di adottare un provvedimento provvisorio in materia di responsabilità genitoriale inteso a interferire con altro provvedimento già adottato (ed efficace) dal giudice dello Stato Membro adito per primo e dichiaratosi, nelle more, competente.
Cass. civ. Sez. Unite, 28 maggio 2014, n. 11915 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte, in sintonia fra l’altro con quanto affermato nel Regolamento CE n. 2201/2003 (art. 8) e nella Convenzione dell’Aja del 25.10.1980 (art. 8), che per i provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale secondo le previsioni degli artt. 330 e segg. c.c. e per quelli in tema di giurisdizione sui provvedimenti “de potestate” rileva il criterio della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda (per i primi C-13/17746, C-12/1984, C-06/2171, C-05/2877, C-03/1058, C-01/9266, C-99/1238, per i secondi C-12/1984, C-11/16864). La residenza abituale del minore va individuata sulla base di criteri oggettivi e, in caso di trasferimento del minore, lo stesso non è idoneo a radicare la competenza del tribunale di destinazione, nel caso in cui sia trascorso un lasso di tempo minimo non apprezzabile, tenuto conto dell’età del fanciullo (nel caso di specie, il minore aveva vissuto a Cuba sino al 23 aprile del 2012; il ricorso era stato presentato al Tribunale per i Minorenni di Genova, il 14 giugno 2012).
Trib. Milano Sez. IX, 31 marzo 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso di sottrazione/mancato rientro di minore, il regolamento 2201/2003 prevede l’applicazione del “diritto speciale” contenuto nella convenzione dell’Aia del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (legge ratif. n. 64/94): le richieste tendenti ad ottenere il ritorno del minore presso l’affidatario al quale è stato sottratto, o a ristabilire l’esercizio effettivo del diritto di visita, sono presentate per il tramite dell’autorità centrale a norma degli articoli 8 e 21 della Convenzione de l’Aja del 25 ottobre 1980. E’, pertanto, ammissibile una tutela ex art. 316 comma IV, 337-bis c.c. solo nell’ipotesi in cui le sopraccitate regole non siano applicabili “in concreto” per essere stato il minore condotto in uno Stato non sottoscrittore della Convenzione dell’Aja (Trib. Milano, sez. IX, 19 marzo 2014, con riguardo alla Russia); nel caso, invece, di Stato Membro della Convenzione è da escludere l’utilizzo di strumenti di tutela interni diverso da quello tipizzato dalla l. 64/94 (Trib. Milano, sez. IX, 6 febbraio 2014, con riguardo al Brasile). Nei casi di sottrazione cd. attiva, il Dicastero italiano ha una competenza “diretta” se lo Stato in cui il minore è stato condotto non aderisce alla succitata Convenzione e/o non è destinatario del Reg. 2201/2003; mentre ha una competenza sussidiaria, se lo Stato in cui il minore è stato condotto aderisce ai testi normativi sopra indicati.
Trib. Milano, 11 febbraio 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 15 del Reg. n. 2201/2003 prevede, eccezionalmente, il trasferimento delle competenze a una autorità giurisdizionale più adatta a trattare il caso. Si tratta di una forma di dismissione discrezionale della competenza sulla scia della dottrina anglo-sassone del forum non conveniens che istituisce una sorta di translatio iudicii internazionale. L’istituto ha carattere del tutto eccezionale e, invero, costituisce infatti una previsione inedita nel panorama ordinamentale: al punto da dovere essere considerato di applicazione del tutto residuale sulla base di elementi di particolare rilevanza e, soprattutto, allorché il trasferimento del processo sia opportuno.
Cass. civ. Sez. I, 23 gennaio 2013, n. 1527 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di illecita sottrazione internazionale di minori da parte di un genitore, il trattenimento del figlio minore da parte di un genitore, pur in presenza dell’esercizio congiunto del diritto di custodia da parte di entrambi i genitori, deve ritenersi illecito, alla luce della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, come integrata dal Regolamento CE n. 2201/2003 (diciassettesimo “considerando”), se contrasta con la situazione di fatto – concordemente e convenzionalmente accettata dai genitori – sulla base della presunzione secondo la quale l’interesse del minore coincide con quello di non essere allontanato o di essere immediatamente ricondotto nel luogo in cui si svolge la sua abituale vita quotidiana. (Nella specie, un formale provvedimento di affidamento da parte dell’autorità straniera a favore della madre era intervenuto solo in epoca successiva alla decisione impugnata ed entrambi i genitori esercitavano congiuntamente il diritto di affidamento, con l’accordo, peraltro, che il figlio potesse giungere o restare in Italia solo con il consenso della madre).
Cass. civ. Sez. I, 4 luglio 2012, n. 11156 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione, il diritto di affidamento nei confronti del minore comprende anche il diritto di intervenire nella decisione concernente il suo luogo di residenza (Reg. CE n. 2201/2003); il trasferimento o il mancato ritorno dello stesso è considerato atto illecito nel caso in cui risulti avvenuto in violazione del diritto di affidamento, purché effettivamente esercitato.
Cass. civ. Sez. Unite, 13 febbraio 2012, n. 1984 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di giurisdizione sui provvedimenti “de potestate”, l’art. 8 del Regolamento (CE) del 27 novembre 2003, n. 2201 dà rilievo, al fine di stabilire la competenza giurisdizionale di uno stato membro, unicamente al criterio della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda, intendendo come tale il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto. Non sussiste perciò la giurisdizione italiana qualora il minore risieda all’estero.
Cass. civ. Sez. Unite, 30 dicembre 2011, n. 30646 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi degli artt. 3 comma 1 lett. b e 8 del Regolamento n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, in una controversia di separazione personale sussiste la giurisdizione italiana in base alla comune cittadinanza dei coniugi, mentre essa non sussiste – bensì sussista quella inglese – riguardo all’affidamento dei figli, in quanto questi ultimi sono residenti nel Regno Unito né è stata accettata la giurisdizione italiana ex art. 12, comma 1.
La giurisdizione sulle domande relative all’affidamento dei figli ed al loro mantenimento, ove pure proposte congiuntamente a quella di separazione giudiziale, appartiene al giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente, a norma dell’art. 8 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003. Tale criterio, informato all’interesse superiore del minore e, segnatamente, al criterio della vicinanza, riveste una tale pregnanza, da condurre ad escludere che il consenso del genitore alla proroga della giurisdizione quanto alle domande concernenti i minori – pur ammessa dall’art. 12 del citato regolamento, in presenza del consenso di entrambi i coniugi – sia ravvisabile dalla mancata contestazione giurisdizione da parte di un coniuge con riguardo alla domanda di separazione. (Dichiara giurisdizione)
Cass. civ. Sez. I, 11 agosto 2011, n. 17201 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di sottrazione internazionale di minori, nel procedimento per il rientro nell’originaria residenza abituale, l’audizione del minore, già prevista dall’art. 12 della convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ai sensi dell’art. 7 comma 3 della legge 15 gennaio 1994 n. 64 non è imposta anche se si ritiene che sia divenuto un adempimento necessario se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità, come ora specificamente previsto dall’art. 11 comma 2 del Regolamento n. 2201/2003, dall’art. 13 della convenzione dell’Aja 25 ottobre 1980 sulla sottrazione internazionale dei minori e dagli artt. 3 e 6 della convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 sull’esercizio dei diritti del bambino.
Nel procedimento previsto dalla legge 15 gennaio 1994, n. 64, di esecuzione e di autorizzazione alla ratifica della Convenzione de L’Aja 25 ottobre 1980, in tema di illecita sottrazione di minori, il genitore ha la qualità di parte, ma il suo diritto alla nomina di un difensore d’ufficio e, comunque, al patrocinio legale obbligatorio, non è previsto dalla citata Convenzione, né dalla normativa sovranazionale, anche successiva (art. 47 della Carta di Nizza), la quale prevede soltanto il diritto del genitore ad essere informato della pendenza della procedura e ad essere posto in condizione di essere sentito (art. 11, comma 5 del Reg.CE n. 2201 del 2003 e art. 4 comma 2 e 7 comma 3 della legge n. 64 del 1994); pertanto, per il genitore coinvolto in detto procedimento, la nomina di un difensore tecnico, al pari della sua costituzione nel procedimento stesso, integrano facoltà esercitabili a sua iniziativa, secondo le ordinarie regole processuali interne.
Cass. civ. Sez. Unite, 2 agosto 2011, n. 16864 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di trasferimento illecito di un minore, ai fini di determinare la giurisdizione, il mutamento del luogo di residenza abituale del minore successivo al momento della proposizione della domanda non rileva se è dovuto a provvedimenti giudiziari emessi in via interinale per ragioni di urgenza, in quanto le disposizioni che prevedono la competenza dello Stato in cui il minore si trova, come gli artt. 13 e 15 del Regolamento n. 2201/2003 del 27 novembre 2003 e l’art. 12 della convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sulla sottrazione internazionale dei minori, sono derogatrici rispetto al regime ordinario fondato sul principio della perpetuatio iurisdictionis e sono dettate dall’esigenza di far fronte a situazioni eccezionali.
App. Catania, 21 luglio 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Dal combinato disposto degli artt. 19 e 20 del Reg. n. 2201/2003 è possibile ricavare una nozione di litispendenza sostanzialistica che prescinde dal formale titolo di aggressione al vincolo familiare, in relazione alla quale domina incontrastato il principio della prevenzione, soddisfatto non solo dal deposito dell’atto introduttivo ma dalla successiva coltivazione dell’azione intrapresa attraverso le rituali notifiche
Trib. Tivoli, 6 aprile 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi dell’art. 8 del Regolamento n. 2201/2003 non sussiste la giurisdizione italiana in merito alla responsabilità genitoriale su una minore che non abbia mai avuto la propria residenza abituale in Italia; né essa sussiste ai sensi dell’art. 10, non essendovi stato alcun trasferimento illecito o mancato rientro della minore in Italia, né ai sensi dell’art. 12, non essendo stata accettata dalla convenuta la giurisdizione italiana.
Ai sensi dell’art. 8 del Regolamento n. 2201/2003 non sussiste la giurisdizione italiana in merito alla responsabilità genitoriale su una minore che non abbia mai avuto la propria residenza abituale in Italia; né essa sussiste ai sensi dell’art. 10, non essendovi stato alcun trasferimento illecito o mancato rientro della minore in Italia, né ai sensi dell’art. 12, non essendo stata accettata dalla convenuta la giurisdizione italiana.
Cass. civ. Sez. I, 21 marzo 2011, n. 6319 (Foro It., 2011, 10, 1, 2765)
Può essere proposto solo ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto della domanda di rientro nella residenza abituale del minore, illecitamente trasferito in altro Stato, emesso dal tribunale per i minorenni, ai sensi dell’art. 11 del Regolamento n. 2201/2003/CE, in sede di riesame del precedente diniego dell’autorità giudiziaria dello Stato membro nel quale il minore è stato condotto.
Corte giustizia Unione Europea Sez. I, 22 dicembre 2010, n. 491/10 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Una decisione che ordina il ritorno di un minore può essere certificata dal giudice dello Stato membro d’origine ai sensi dell’art. 42 del Regolamento n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, interpretato conformemente all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, soltanto dopo aver verificato che, in funzione dell’interesse superiore del minore e tenuto conto di tutte le circostanze del caso di specie, tale decisione sia stata adottata nel rispetto del diritto del minore di esprimersi liberamente e che sia stata offerta a quest’ultimo una possibilità concreta ed effettiva di esprimersi, tenuto conto dei mezzi procedurali nazionali e degli strumenti della cooperazione giudiziaria internazionale.
Corte giustizia Unione Europea Sez. I, 22 dicembre 2010, n. 497/10 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La nozione di “residenza abituale”, ai sensi degli artt. 8 e 10 del regolamento (CE) del Consiglio 27 novembre 2003, n. 2201, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, deve essere interpretata nel senso che tale residenza corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare. A tal fine, e laddove si tratti della situazione di un neonato che soggiorna con la madre solo da pochi giorni in uno Stato membro – diverso da quello della sua residenza abituale – nel quale è stato portato, devono essere presi in considerazione, da un lato, la durata, la regolarità, le condizioni e le ragioni del soggiorno nel territorio di tale Stato membro nonché del trasferimento della madre in detto Stato e, d’altro lato, tenuto conto dell’età del minore, l’origine geografica e familiare della madre nonché i rapporti familiari e sociali che madre e minore intrattengono con quello stesso Stato membro. È compito del giudice nazionale determinare la residenza abituale del minore tenendo conto di tutte le circostanze di fatto specifiche di ciascuna fattispecie. Nell’ipotesi in cui l’applicazione dei criteri testé ricordati conducesse, nella causa principale, a concludere che non è possibile accertare la residenza abituale del minore, la determinazione del giudice competente dovrebbe essere effettuata in base al criterio del luogo «in cui si trova il minore» ai sensi dell’art. 13 del regolamento. 2) Le decisioni di un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro recanti rigetto, ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, di una domanda di rientro immediato di un minore nell’ambito della giurisdizione di un’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro e vertenti sulla responsabilità genitoriale nei confronti di detto minore sono irrilevanti ai fini delle decisioni che devono essere emanate in tale altro Stato membro in merito alle azioni in materia di responsabilità genitoriale che sono state precedentemente proposte e ivi sono ancora pendenti.
Trib. Belluno, 5 novembre 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il regolamento CE del Consiglio n. 2201 del 2003 disciplinante la competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale ed in materia di responsabilità genitoriale, deve essere applicato a prescindere dalla cittadinanza europea delle parti, e quindi anche nei confronti di cittadini extracomunitari. Le norme sulla giurisdizione previste dal diritto nazionale, inoltre, restano applicabili solo in via residuale nell’ipotesi in cui nessun giudice degli Stati membri, in applicazione degli artt. 3 e 5 del Regolamento citato, sia competente.
Corte giustizia Unione Europea, 5 ottobre 2010, n. 400/10 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’illiceità del trasferimento di un minore, ai sensi dell’art. 2 n. 11 del Regolamento n. 2201/2003, dipende esclusivamente dall’esistenza di un diritto di affidamento, conferito dal diritto nazionale applicabile, in violazione del quale tale trasferimento ha avuto luogo.
Trib. Varese, 4 ottobre 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Le disposizioni del Regolamento n. 2201/2003 (cd. Bruxelles II) non ostano a che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro adottino i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge interna, relativamente alle persone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati, anche se, a norma del citato regolamento, è competente a conoscere nel merito l’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro. E’, dunque, possibile, in caso di urgenza, un intervento del giudice per regolare il diritto di visita di un minore figlio di genitori non italiani, ma residente in territorio italiano.
Corte giustizia Unione Europea Sez. II, 15 luglio 2010, n. 256/09 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il sistema di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni predisposto dagli articoli 21 ss. del Regolamento n. 2201/2003 non si applica a provvedimenti provvisori, in materia di diritto di affidamento, rientranti nell’art. 20 di detto regolamento. Rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 20 del Regolamento n. 2201/2003 del 27 novembre 2003 solo i provvedimenti provvisori o cautelari adottati da giudici che non fondino la loro competenza su una delle disposizioni dettate da tale regolamento.
Alla luce dell’importanza dei provvedimenti provvisori – a prescindere dal fatto che siano disposti o meno da un giudice competente nel merito – che possono essere ordinati in materia di responsabilità genitoriale, e in particolare delle loro possibili conseguenze su minori in tenera età, in modo particolare per quanto riguarda gemelli separati l’uno dall’altro, e del fatto che il giudice che ha disposto i provvedimenti, se del caso, ha rilasciato un certificato ai sensi dell’art. 39 del Regolamento n. 2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il Regolamento n. 1347/2000, e la validità dei provvedimenti provvisori contemplati da tale certificato è condizionata alla presentazione di un ricorso di merito entro 30 giorni, è importante che una persona interessata da siffatto procedimento, anche se è stata sentita dal giudice che ha disposto i provvedimenti, possa assumere l’iniziativa di presentare un ricorso avverso la decisione che istituisce i detti provvedimenti provvisori per contestare, dinanzi ad un giudice distinto da quello che ha adottato tali provvedimenti e che si pronunci entro breve, in particolare, la competenza nel merito che si sia assunto il giudice che ha disposto i provvedimenti provvisori o, se dalla decisione non risulta che il giudice sia competente o si sia ritenuto tale nel merito in forza di detto regolamento, il rispetto delle condizioni stabilite dall’art. 20 di tale regolamento, vale a dire: 1) i provvedimenti considerati devono essere urgenti; 2) essi devono essere disposti nei confronti di persone situate o di beni presenti nello Stato membro di tali autorità giurisdizionali, e 3) devono avere natura provvisoria.
Cass. civ. Sez. I, 14 luglio 2010, n. 16549 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di sottrazione internazionale del minore, il giudizio del Tribunale dei minorenni che, in qualità di giudice “naturale” del minore in quanto giudice della residenza abituale del medesimo, ai sensi dell’art. 11 del Regolamento CE 27 novembre 2003 n. 2201, si pronunci sul provvedimento di diniego di ritorno emesso dal giudice dello Stato in cui il minore è stato illecitamente trasferito, si configura come un procedimento di riesame completo ed esaustivo del provvedimento impugnato, direttamente ricorribile per Cassazione attesa l’analogia tra il procedimento sommariamente descritto nell’art. 11 del Regolamento CE 2201 del 2003 e quello regolato dall’art. 7 della legge n. 64 del 1994 con la quale è stata data esecuzione alla Conv. dell’Aja del 25 ottobre 1980.
In tutte le ipotesi in cui il tribunale per i minorenni – investito da domande di ritorno del minore, adito direttamente o per il tramite dell’autorità centrale ai sensi della Convenzione dell’Aja 25 ottobre 1980, ovvero ai sensi del Regolamento n. 2201 del 2003 decida su dette domande, il relativo decreto può essere impugnato immediatamente con ricorso per cassazione.
Cass. civ. Sez. Unite, 25 giugno 2010, n. 15328 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi del Regolamento n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, competente a decidere sulle questioni inerenti la separazione dei coniugi è (anche) il giudice dello Stato membro dell’Unione europea di cui l’attore sia cittadino e in cui abbia la residenza abituale almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda [art. 3, comma 1, lett. a)].
La nozione di residenza abituale del coniuge, di cui al Regolamento n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, fa riferimento non alla residenza formale o anagrafica ma al luogo del concreto e continuativo svolgimento dalla vita personale ed eventualmente lavorativa; nessuna rilevanza gioca al riguardo il fatto che saltuariamente, e anche per un periodo continuativo, il coniuge abbia trascorso periodi presso la residenza all’estero dell’altro coniuge, ivi ricevendo anche corrispondenza e svolgendo attività di studio.
Cass. civ. Sez. I, 19 maggio 2010, n. 12293 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori postula anche per il caso di titolarità congiunta dei diritti di custodia del minore che i diritti ricompresi nel “diritto di affidamento”, e quindi i diritti concernenti la cura della persona del minore e in particolare il diritto di decidere riguardo al suo luogo di residenza, siano effettivamente esercitati al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro o avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze; si deve dunque verificare se il genitore che lamenta la violazione del suo diritto di affidamento abbia in concreto esercitato tale diritto, anche nel caso di titolarità congiunta; d’altro canto, l’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 della convenzione di New York del 24 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino ai sensi dell’art. 6 della convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 sull’esercizio dei diritti dei minori: da ciò deriva che la stessa, pur non essendo imposta nel procedimento per il mancato illecito rientro in ragione del carattere urgente e meramente ripristinatorio della situazione di tale procedura, è ritenuta in genere opportuna, come peraltro specificamente previsto dall’art. 11 comma 2 del Regolamento n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, al fine di riuscire a valutare l’eventuale opposizione del minore al ritorno, ai sensi dell’art. 13 comma 2 della convenzione dell’Aja del 1980, salvo che sia esclusa da ragioni di inopportunità, per età o grado di maturità, e a fortiori di danno per quest’ultimo.
Cass. civ. Sez. Unite, 17 febbraio 2010, n. 3680 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini della individuazione del Giudice dello Stato membro competente i parametri di cui all’art. 3 del Reg. CE n. 2201 del 2003 sono esclusivi ed alternativi, tale che ognuno di essi consente la individuazione del Giudice che può essere adito e solo se nessun Giudice di uno degli Stati membri abbia giurisdizione in base ai criteri di cui alla norma regolamentare, può procedersi secondo quanto è stabilito dalla normativa interna dello Stato stesso, come sancito dall’art. 7 del citato Regolamento comunitario. L’espresso principio esclude, nella fattispecie, ogni rilievo alle affermazioni del ricorrente in ordine alla pretesa applicazione delle norme del diritto internazionale privato di cui alla legge n. 218 del 1995, in realtà inapplicabile non solo in base al citato art. 7, ma anche in quanto mentre il richiamato art. 31 della legge n. 218 del 1995 non disciplina in alcun modo i poteri dei Giudici dei vari Stati di decidere sulla domanda di separazione, ma solo le norme applicabili ai relativi giudizio, l’art. 32 ha funzione unicamente residuale e non è quindi suscettibile di applicazione, stante la chiara individuazione della normativa da applicare nella concreta fattispecie di separazione di due cittadini di Stati membri dell’U.E. in ordine ai criteri determinativi della giurisdizione espressamente previsti dagli artt. 3, 4 e 5, Reg. CE n. 2201 del 2003.
Ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. a del Regolamento n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, sussiste la giurisdizione italiana riguardo a una domanda di separazione giudiziale proposta da una cittadina italiana residente in Italia da più di un anno contro un cittadino belga residente all’estero, dovendosi intendere la residenza della prima come effettiva ovvero riferita al luogo in cui l’interessato ha fissato con carattere di stabilità il centro permanente o abituale dei propri interessi, indipendentemente dalla residenza anagrafica.
Trib. Minorenni Milano Decreto, 5 febbraio 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 20 del Regolamento n. 2201/2003 consente al giudice di uno Stato membro di adottare un provvedimento provvisorio e urgente in materia di responsabilità genitoriale inteso a concedere a un genitore l’affidamento di un minore che si trova nel territorio di tale Stato, nel caso in cui il giudice di un altro Stato membro, competente in forza di detto regolamento a conoscere del merito della controversia sull’affidamento, abbia già emesso una decisione che affida provvisoriamente il minore all’altro genitore e tale decisione sia stata dichiarata esecutiva nel territorio del primo Stato membro. Al fine di stabilire le modalità pratiche necessarie ad organizzare l’esercizio del diritto di visita, qualora le stesse non siano state compiutamente previste nella decisione emessa dalle autorità giurisdizionali dello Stato membro competente a conoscere del merito e a condizione che siano rispettati gli elementi essenziali di quella decisione, in Italia possono essere sollecitati i poteri di sorveglianza del giudice tutelare.
Corte giustizia Unione Europea, 23 dicembre 2009, n. 403/09 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi dell’art. 20 del Regolamento n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, disposizione che dev’essere interpretata restrittivamente in quanto costituisce un’eccezione al sistema di competenze previsto dal detto regolamento, i giudici di uno Stato membro che non siano competenti a conoscere del merito possono adottare provvedimenti provvisori o cautelari soltanto a condizione che siano cumulativamente soddisfatte tre condizioni, ovvero: che tali provvedimenti siano urgenti, che siano provvisori e che siano adottati nei confronti di persone presenti nello Stato membro del foro. In particolare, nel caso di un provvedimento provvisorio in materia di responsabilità genitoriale, la condizione relativa all’urgenza si correla, al tempo stesso, alla situazione in cui si trova il minore e all’impossibilità pratica di agire dinanzi al giudice competente nel merito.
Nel caso in cui un giudice di uno Stato membro, competente in forza del Regolamento n. 2201/2003 a conoscere del merito della controversia relativa all’affidamento di un minore, abbia già emesso una decisione che affida provvisoriamente un minore a uno dei suoi genitori, dichiarata esecutiva nel territorio di un altro Stato membro, non è consentito a un giudice di questo secondo Stato adottare un provvedimento provvisorio inteso a concedere l’affidamento del minore che si trova nel territorio di tale Stato all’altro genitore, in quanto il mutamento delle circostanze successivamente all’adozione del primo provvedimento, derivante dal fatto che il minore si sia integrato nel secondo Stato membro ove è stato trasferito illecitamente ai sensi dell’art. 2 n. 11 del suddetto regolamento, non implica una situazione di urgenza ai sensi dell’art. 20 del regolamento.
Cass. civ. Sez. Unite, 21 ottobre 2009, n. 22238 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di giurisdizione sui provvedimenti “de potestate”, il trasferimento all’estero o il mancato rientro in Italia di minori figli di genitori separati non è qualificabile come illecita sottrazione all’altro genitore, allorché l’allontanamento avvenga ad opera dell’affidatario, con la conseguenza che in tale ipotesi è inapplicabile la Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli effetti civili della sottrazione internazionale di minori, resa esecutiva in Italia con la legge n. 64 del 1994; tuttavia, qualora la mobilità internazionale e la mutabilità della residenza abituale sia stata convenzionalmente esclusa dai coniugi nelle condizioni di separazione, trova applicazione l’art. 10 del Regolamento CE n. 2201 del 27 novembre 2003, con la conseguenza che competente a decidere della responsabilità genitoriale resta il giudice della pregressa residenza abituale, finché non sia decorso un anno da quando chi aveva diritto a chiedere il ripristino del diritto di visita o il rientro ha avuto conoscenza del cambio di residenza. (Cassa con rinvio, App. Roma, 23/07/2008)
In base all’art. 10 del Regolamento n. 2201/2003/CE del 27 novembre 2003, è competente a decidere della responsabilità genitoriale sui minori il giudice della residenza abituale dei medesimi. Nella fattispecie rimane competente a decidere il giudice pregresso – italiano – sino alla data dell’acquisizione della nuova residenza dei figli, finché non sia decorso un anno da quando il coniuge che aveva diritto di chiedere il ripristino del diritto di visita od il rientro, ha avuto conoscenza del cambio di residenza.
Ai sensi dell’art. 9 del Regolamento n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, sussiste la giurisdizione italiana riguardo a una domanda relativa al diritto di visita dei minori proposta entro i tre mesi dal lecito trasferimento dei minori stessi all’estero.
Cass. civ. Sez. I, 16 ottobre 2009, n. 22093 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi dell’art. 20 par. 2 del Regolamento n. 2201/2003, i provvedimenti provvisori a cautela dei minori adottati, ex art. 20, par. 1, dal giudice di uno Stato membro diverso da quello i cui giudici sono competenti a conoscere del merito della causa cessano di avere efficacia allorché l’autorità giurisdizionale di quest’ultimo Stato membro abbia adottato i provvedimenti appropriati in via definitiva.
Cass. civ. Sez. Unite, 1 ottobre 2009, n. 21053 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini della determinazione della giurisdizione in materia di obbligazioni alimentari ai sensi dell’art. 5 n. 2 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, la nozione di obbligazione alimentare deve essere interpretata in senso autonomo e ampio, comprensivo degli assegni di mantenimento.
Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 16 luglio 2009, n. 168/08 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di cooperazione giudiziaria civile, la Corte di giustizia europea stabilisce che, in caso di doppia cittadinanza comune, ciascun coniuge abbia il diritto, in applicazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), Regolamento n. 2201/2003, di presentare una domanda di divorzio dinanzi al giudice di uno o dell’altro dei due Stati membri di cui egli e l’altro coniuge possiedono la cittadinanza.
Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 2 aprile 2009, n. 523/07 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La nozione di “residenza abituale”, ai sensi dell’articolo 8, n. 1, del Regolamento n. 2201/2003, dev’essere interpretata nel senso che tale residenza corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare. A tal fine, si deve in particolare tenere conto della durata, della regolarità, delle condizioni e delle ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro e del trasloco della famiglia in tale Stato, della cittadinanza del minore, del luogo e delle condizioni della frequenza scolastica, delle conoscenze linguistiche nonché delle relazioni familiari e sociali del minore nel detto Stato. Compete al giudice nazionale stabilire la residenza abituale del minore, tenendo conto delle peculiari circostanze di fatto che caratterizzano ogni caso di specie.
Ai sensi dell’art. 20 del Regolamento n. 2201/2003, in materia di responsabilità genitoriale, l’adozione da parte di un giudice di uno Stato membro, che non sia competente a conoscere nel merito, di un provvedimento cautelare previsto dalla sua legge nazionale, come la presa in carico di minori, è subordinata al rispetto di tre condizioni cumulative, ovvero: che tale provvedimento sia urgente, che sia adottato rispetto a persone presenti nello Stato membro di cui trattasi e che sia provvisorio.
Un giudice nazionale può disporre un provvedimento cautelare, come la presa in carico di minori, ai sensi dell’articolo 20 del Regolamento n. 2201/2003, qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: – tale provvedimento deve essere urgente; – deve essere adottato rispetto a persone presenti nello Stato membro di cui trattasi, e – deve essere provvisorio. L’attuazione del detto provvedimento nonché il carattere imperativo di quest’ultimo devono essere determinati secondo quanto prescritto dalla normativa nazionale. Dopo l’attuazione del provvedimento cautelare, il giudice nazionale non è obbligato a deferire il caso al giudice competente di un altro Stato membro. Tuttavia, allorché lo rende necessario la tutela dell’interesse superiore del minore, il giudice nazionale che ha attuato provvedimenti provvisori o cautelari deve informarne, direttamente o tramite l’autorità centrale designata ai sensi dell’articolo 53 del Regolamento n. 2201/2003, il giudice competente di un altro Stato membro.
Trib. Belluno, 6 marzo 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso di domanda di divorzio proposta da coniugi che non sono cittadini italiani e che hanno contratto matrimonio nel paese d’origine (nella specie, in India) va affermata la giurisdizione del giudice italiano, in forza del Regolamento n. 2201/2003 in materia matrimoniale che trova applicazione a prescindere dalla cittadinanza europea delle parti ed indipendentemente dalle norme sulla giurisdizione previste dal diritto nazionale. Nella fattispecie, la giurisdizione italiana (di carattere esclusivo, ai sensi dell’art. 6 del Regolamento) va affermata a norma dell’art. 3, 1 comma, lett. a), del citato Regolamento, il quale fissa il criterio generale della residenza, e in particolare, nella specifica ipotesi di domanda congiunta, il criterio della “residenza abituale di uno dei coniugi” che sussiste nel caso in esame poiché entrambe le parti risiedono nel territorio italiano.
Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 11 luglio 2008, n. 195/08 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Salvo i casi in cui il procedimento riguardi una decisione certificata in applicazione degli artt. 11, par. 8, e degli artt. 40, 41, 42 del Regolamento n. 2201/2003, qualsiasi parte interessata può chiedere, in base all’art. 21 par. 3 del regolamento, il non riconoscimento di una decisione giudiziaria, anche qualora non sia stata precedentemente presentata un’istanza di riconoscimento di tale decisione.
Corte giustizia Unione Europea, 29 novembre 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il Regolamento n. 2201/2003 trova applicazione anche in caso di cittadinanza extraeuropea dei coniugi in quanto il criterio di collegamento prescelto dal Regolamento nell’attribuzione della competenza giurisdizionale non è quello della cittadinanza, bensì della “residenza abituale” di uno o di entrambi i coniugi in uno Stato membro.
Cass. civ. Sez. Unite, 20 dicembre 2006, n. 27188 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale, nella disciplina del regolamento CE del Consiglio 27 novembre 2003, n. 2201/2003, le decisioni sull’esercizio della responsabilità genitoriale, se non si sottraggono al principio generale dell’automatico riconoscimento (restando l’eventuale disconoscimento subordinato ad iniziativa di parte), non possono, solo perché riconosciute, essere poste in esecuzione, vale a dire non possono costituire titolo per un’attività modificativa della situazione in atto, all’uopo occorrendo, oltre alla previa notificazione, la apposita declaratoria di esecutività, su istanza dell’interessato, di cui all’art. 28 del citato regolamento. Ne deriva che la decisione del giudice italiano, la quale modifichi una precedente scelta e sostituisca l’uno all’altro genitore nella qualità di affidatario del figlio minore, non autorizza il nuovo affidatario a prelevare e trasferire il minore stesso dallo Stato membro in cui risieda assieme al precedente affidatario, rendendosi a tal fine necessaria, la dichiarazione di esecutività.

Appendice
Testo del Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000
IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l’articolo 61, lettera c), e l’articolo 67, paragrafo 1,
vista la proposta della Commissione,
visto il parere del Parlamento europeo,
visto il parere del Comitato economico e sociale europeo,
considerando quanto segue:
(1) La Comunità europea si prefigge l’obiettivo di istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel quale sia garantita la libera circolazione delle persone. A tal fine, la Comunità adotta, tra l’altro, le misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile necessarie al corretto funzionamento del mercato interno.
(2) Il Consiglio europeo di Tampere ha approvato il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudi¬ziarie quale fondamento per la creazione di un autentico spazio giudiziario e ha individuato nel diritto di visita un settore prioritario.
(3) Il regolamento (CE) n. 1347/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000(4), stabilisce norme relative alla com¬petenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e relative alla responsabilità dei genitori sui figli avuti in comune, emesse in occasione di procedimenti matrimoniali. Il contenuto di tale regolamento riprendeva ampiamente la convenzione del 28 maggio 1998 avente il medesimo oggetto.
(4) Il 3 luglio 2000 la Francia ha presentato un’iniziativa in vista dell’adozione del regolamento del Consiglio relativo all’esecuzione reciproca delle decisioni in materia di diritto di visita ai figli minori.
(5) Per garantire parità di condizioni a tutti i minori, il presente regolamento disciplina tutte le decisioni in ma¬teria di responsabilità genitoriale, incluse le misure di protezione del minore, indipendentemente da qualsiasi nesso con un procedimento matrimoniale.
(6) Dato che l’applicazione delle norme sulla responsabilità genitoriale ricorre spesso nei procedimenti matri¬moniali, è più opportuno disporre di uno strumento unico in materia matrimoniale e in materia di responsabilità dei genitori.
(7) Il campo di applicazione del presente regolamento riguarda le materie civili, indipendentemente dal tipo di organo giurisdizionale.
(8) Relativamente alle decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio, il presente regolamento dovrebbe applicarsi solo allo scioglimento del vincolo matrimoniale e non dovrebbe riguardare que¬stioni quali le cause di divorzio, gli effetti del matrimonio sui rapporti patrimoniali o altri provvedimenti accessori ed eventuali.
(9) Per quanto attiene ai beni del minore, il presente regolamento dovrebbe applicarsi esclusivamente alle misure di protezione del minore, vale a dire i) alla designazione e alle funzioni di una persona o ente aventi la responsabilità di gestire i beni del minore o che lo rappresentino o assistano e ii) alle misure relative all’am¬ministrazione, alla conservazione o all’alienazione dei beni del minore. In tale contesto e a titolo d’esempio, il presente regolamento dovrebbe applicarsi ai casi nei quali i genitori hanno una controversia in merito all’ammi¬nistrazione dei beni del minore. Le misure relative ai beni del minore e non attinenti alla protezione dello stesso dovrebbero continuare ad essere disciplinate dal regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.
(10) Il presente regolamento non è inteso ad applicarsi a materie come quelle relative alla sicurezza sociale, mi¬sure pubbliche di carattere generale in materia di istruzione e di sanità o decisioni sul diritto d’asilo e nel settore dell’immigrazione. Inoltre, esso non si applica né al diritto di filiazione, che è una questione distinta dall’attribu¬zione della responsabilità genitoriale, né alle altre questioni connesse con la situazione delle persone. Esso non si applica nemmeno ai provvedimenti derivanti da illeciti penali commessi dai minori.
(11) Le obbligazioni alimentari sono escluse dal campo di applicazione del presente regolamento in quanto sono già disciplinate dal regolamento (CE) n. 44/2001. I giudici competenti ai sensi del presente regolamento saranno in genere competenti a statuire in materia di obbligazioni alimentari in applicazione dell’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 44/2001.
(12) È opportuno che le regole di competenza in materia di responsabilità genitoriale accolte nel presente re¬golamento si informino all’interesse superiore del minore e in particolare al criterio di vicinanza. Ciò significa che la competenza giurisdizionale appartiene anzitutto ai giudici dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente, salvo ove si verifichi un cambiamento della sua residenza o in caso di accordo fra i titolari della responsabilità genitoriale.
(13) Nell’interesse del minore, il presente regolamento consente al giudice competente, a titolo eccezionale e in determinate condizioni, di trasferire il caso al giudice di un altro Stato membro se quest’ultimo è più indicato a conoscere del caso. Tuttavia, in questo caso, il giudice adito in seconda istanza non dovrebbe essere autorizzato a trasferire il caso a un terzo giudice.
(14) Gli effetti del presente regolamento non dovrebbero pregiudicare l’applicazione del diritto internazionale pubblico in materia di immunità diplomatiche. Se il giudice competente in applicazione del presente regolamento non può esercitare la propria competenza a causa dell’esistenza di una immunità diplomatica conforme al diritto internazionale, la competenza dovrebbe essere determinata nello Stato membro nel quale la persona interessata non beneficia di immunità, conformemente alla legge di tale Stato.
(15) È opportuno che la notificazione e comunicazione dei documenti introduttivi del giudizio proposto a norma del presente regolamento siano disciplinate dal regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale.
(16) Il presente regolamento non osta a che i giudici di uno Stato membro adottino, in casi di urgenza, provve¬dimenti provvisori o cautelari relativi alle persone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati.
(17) In caso di trasferimento o mancato rientro illeciti del minore, si dovrebbe ottenerne immediatamente il ritorno e a tal fine dovrebbe continuare ad essere applicata la convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, quale integrata dalle disposizioni del presente regolamento, in particolare l’articolo 11. I giudici dello Stato membro in cui il minore è stato trasferito o trattenuto illecitamente dovrebbero avere la possibilità di opporsi al suo ri¬entro in casi precisi, debitamente motivati. Tuttavia, una simile decisione dovrebbe poter essere sostituita da una decisione successiva emessa dai giudici dello Stato membro di residenza abituale del minore prima del suo trasferimento illecito o mancato rientro. Se la decisione implica il rientro del minore, esso dovrebbe avvenire senza che sia necessario ricorrere a procedimenti per il riconoscimento e l’esecuzione della decisione nello Stato membro in cui il minore è trattenuto.
(18) Qualora venga deciso il non rientro in virtù dell’articolo 13, della convenzione dell’Aja del 1980, il giudice dovrebbe informarne il giudice competente o l’autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale prima del suo trasferimento illecito o mancato rientro. Detto giudice, se non è ancora stato adito, o l’autorità centrale, dovrebbe inviare una notificazione alle parti. Questo obbligo non dovrebbe ostare a che l’autorità centrale invii anch’essa una notificazione alle autorità pubbliche interessate conformemente alla legge nazionale.
(19) L’audizione del minore è importante ai fini dell’applicazione del presente regolamento, senza che detto strumento miri a modificare le procedure nazionali applicabili in materia.
(20) L’audizione del minore in un altro Stato membro può essere effettuata in base alle modalità previste dal regolamento (CE) n. 1206/2001 del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale.
(21) Il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni rese in uno Stato membro dovrebbero fondarsi sul principio della fiducia reciproca e i motivi di non riconoscimento dovrebbero essere limitati al minimo indispensabile.
(22) Gli atti pubblici e gli accordi tra le parti aventi efficacia esecutiva in uno Stato membro dovrebbero essere equiparati a “decisioni” ai fini dell’applicazione delle norme sul riconoscimento e l’esecuzione.
(23) Il Consiglio europeo di Tampere ha affermato nelle sue conclusioni (punto 34) che le decisioni pronunciate nelle controversie familiari dovrebbero essere “automaticamente riconosciute in tutta l’Unione senza che siano necessarie procedure intermedie o che sussistano motivi per rifiutarne l’esecuzione”. Pertanto le decisioni in materia di diritto di visita o di ritorno, che siano state certificate nello Stato membro d’origine conformemente alle disposizioni del presente regolamento, dovrebbero essere riconosciute e hanno efficacia esecutiva in tutti gli altri Stati membri senza che sia richiesto qualsiasi altro procedimento. Le modalità relative all’esecuzione di tali decisioni sono tuttora disciplinate dalla legge nazionale.
(24) Il certificato rilasciato allo scopo di facilitare l’esecuzione della decisione non dovrebbe essere impugnabile. Non dovrebbe poter dare luogo a una domanda di rettifica se non in caso di errore materiale, ossia se il certifi¬cato non rispecchia correttamente il contenuto della decisione.
(25) È opportuno che le autorità centrali collaborino fra loro, sia in generale che per casi specifici, anche per favo¬rire la risoluzione amichevole delle controversie familiari in materia di responsabilità genitoriale. A questo scopo è necessario che le autorità centrali si avvalgano della possibilità di partecipare alla rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale, istituita con decisione 2001/470/CE del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa all’istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale.
(26) La Commissione dovrebbe rendere pubblici e aggiornare gli elenchi relativi ai giudici e ai mezzi di impugna¬zione comunicati dagli Stati membri.
(27) Le misure necessarie all’attuazione del presente regolamento sono adottate secondo la decisione 1999/468/ CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione.
(28) Il presente regolamento sostituisce il regolamento (CE) n. 1347/2000 che è pertanto abrogato.
(29) Ai fini del corretto funzionamento del presente regolamento, è opportuno che la Commissione ne esamini l’applicazione per proporre, se del caso, le modifiche necessarie.
(30) A norma dell’articolo 3 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea, questi Stati hanno notificato che intendono partecipare all’adozione ed applicazione del presente regolamento.
(31) La Danimarca, conformemente agli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea, non partecipa all’adozione del pre¬sente regolamento, e non ne è pertanto vincolata né è soggetta alla sua applicazione.
(32) Poiché gli obiettivi del presente regolamento non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque essere realizzati meglio a livello comunitario, la comunità può intervenire, in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato. Il presente regolamento si limita a quanto necessario per conseguire tali obiettivi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.
(33) Il presente regolamento riconosce i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In particolare, mira a garantire il pieno rispetto dei diritti fonda¬mentali del bambino quali riconosciuti dall’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
HA ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO:
CAPO I
AMBITO D’APPLICAZIONE E DEFINIZIONI
Articolo 1
Ambito d’applicazione
1. Il presente regolamento si applica, indipendentemente dal tipo di autorità giurisdizionale, alle materie civili relative:
a) al divorzio, alla separazione personale e all’annullamento del matrimonio;
REGOLAMENTO EUROPEO SULLE CAUSE MATRIMONIALI E RESPONSABILITÀ GENITORIALEGianfranco Dosi Lessico di diritto di famiglia 26
b) all’attribuzione, all’esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale.
2. Le materie di cui al paragrafo 1, lettera b), riguardano in particolare:
a) il diritto di affidamento e il diritto di visita;
b) la tutela, la curatela ed altri istituti analoghi;
c) la designazione e le funzioni di qualsiasi persona o ente aventi la responsabilità della persona o dei beni del minore o che lo rappresentino o assistano;
d) la collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un istituto;
e) le misure di protezione del minore legate all’amministrazione, alla conservazione o all’alienazione dei beni del minore.
3. Il presente regolamento non si applica:
a) alla determinazione o all’impugnazione della filiazione;
b) alla decisione relativa all’adozione, alle misure che la preparano o all’annullamento o alla revoca dell’adozione;
c) ai nomi e ai cognomi del minore;
d) all’emancipazione;
e) alle obbligazioni alimentari;
f) ai trust e alle successioni;
g) ai provvedimenti derivanti da illeciti penali commessi da minori.
Articolo 2
Definizioni
Ai fini del presente regolamento valgono le seguenti definizioni:
1) “autorità giurisdizionale”: tutte le autorità degli Stati membri competenti per le materie rientranti nel campo di applicazione del presente regolamento a norma dell’articolo 1;
2) “giudice”: designa il giudice o il titolare di competenze equivalenti a quelle del giudice nelle materie che rien¬trano nel campo di applicazione del presente regolamento;
3) “Stato membro”: tutti gli Stati membri ad eccezione della Danimarca;
4) “decisione”: una decisione di divorzio, separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio emessa dal giudice di uno Stato membro, nonché una decisione relativa alla responsabilità genitoriale, a prescin¬dere dalla denominazione usata per la decisione, quale ad esempio decreto, sentenza o ordinanza;
5) “Stato membro d’origine”: lo Stato membro in cui è stata resa la decisione da eseguire;
6) “Stato membro dell’esecuzione”: lo Stato membro in cui viene chiesta l’esecuzione della decisione;
7) “responsabilità genitoriale”: i diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore. Il termine comprende, in particolare, il diritto di affidamento e il diritto di visita;
8) “titolare della responsabilità genitoriale”: qualsiasi persona che eserciti la responsabilità di genitore su un minore;
9) “diritto di affidamento”: i diritti e doveri concernenti la cura della persona di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza;
10) “diritto di visita”: in particolare il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo;
11) “trasferimento illecito o mancato ritorno del minore”: il trasferimento o il mancato rientro di un minore:
a) quando avviene in violazione dei diritti di affidamento derivanti da una decisione, dalla legge o da un accordo vigente in base alla legislazione dello Stato membro nel quale il minore aveva la sua residenza abituale imme¬diatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro
e
b) se il diritto di affidamento era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o lo sarebbe stato se non fossero sopravvenuti tali eventi. L’affidamento si considera esercitato congiuntamente da entrambi i genitori quanto uno dei titolari della respon¬sabilità genitoriale non può, conformemente ad una decisione o al diritto nazionale, decidere il luogo di residenza del minore senza il consenso dell’altro titolare della responsabilità genitoriale.
CAPO II
COMPETENZA
SEZIONE 1
Divorzio, separazione personale e annullamento del matrimonio
Articolo 3
Competenza generale
1. Sono competenti a decidere sulle questioni inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all’an¬nullamento del matrimonio le autorità giurisdizionali dello Stato membro:
a) nel cui territorio si trova:
– la residenza abituale dei coniugi, o
– l’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora, o
– la residenza abituale del convenuto, o
– in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi, o
– la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda, o
– la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, ha ivi il proprio “domicile”;
b) di cui i due coniugi sono cittadini o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, del “domicile” di entrambi i coniugi.
2. Ai fini del presente regolamento la nozione di “domicile” cui è fatto riferimento è quella utilizzata negli ordi¬namenti giuridici del Regno Unito e dell’Irlanda.
Articolo 4
Domanda riconvenzionale
L’autorità giurisdizionale davanti alla quale pende un procedimento in base all’articolo 3 è competente anche per esaminare la domanda riconvenzionale in quanto essa rientri nel campo d’applicazione del presente rego¬lamento.
Articolo 5
Conversione della separazione personale in divorzio
Fatto salvo l’articolo 3, l’autorità giurisdizionale dello Stato membro che ha reso la decisione sulla separazione personale è altresì competente per convertirla in una decisione di divorzio, qualora ciò sia previsto dalla legisla¬zione di detto Stato.
Articolo 6
Carattere esclusivo della competenza giurisdizionale di cui agli articoli 3, 4 e 5
Il coniuge che:
a) risiede abitualmente nel territorio di uno Stato membro o
b) ha la cittadinanza di uno Stato membro o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, ha il proprio “domicile” nel territorio di uno di questi Stati membri
può essere convenuto in giudizio davanti alle autorità giurisdizionali di un altro Stato membro soltanto in forza degli articoli 3, 4 e 5.
Articolo 7
Competenza residua
1. Qualora nessun giudice di uno Stato membro sia competente ai sensi degli articoli 3, 4 e 5, la competenza, in ciascuno Stato membro, è determinata dalla legge di tale Stato.
2. Il cittadino di uno Stato membro che ha la residenza abituale nel territorio di un altro Stato membro può, al pari dei cittadini di quest’ultimo, invocare le norme sulla competenza qui in vigore contro un convenuto che non ha la residenza abituale nel territorio di uno Stato membro né ha la cittadinanza di uno Stato membro o che, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, non ha il proprio “domicile” nel territorio di uno di questi Stati membri.
SEZIONE 2
Responsabilità genitoriale
Articolo 8
Competenza generale
1. Le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono aditi.
2. Il paragrafo 1 si applica fatte salve le disposizioni degli articoli 9, 10 e 12.
Articolo 9
Ultrattività della competenza della precedente residenza abituale del minore
1. In caso di lecito trasferimento della residenza di un minore da uno Stato membro ad un altro che diventa la sua residenza abituale, la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro della precedente residen¬za abituale del minore permane in deroga all’articolo 8 per un periodo di 3 mesi dal trasferimento, per modificare una decisione sul diritto di visita resa in detto Stato membro prima del trasferimento del minore, quando il tito¬lare del diritto di visita in virtù della decisione sul diritto di visita continua a risiedere abitualmente nello Stato membro della precedente residenza abituale del minore.
2. Il paragrafo 1 non si applica se il titolare del diritto di visita di cui al paragrafo 1, ha accettato la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui risiede abitualmente il minore partecipando ai procedi¬menti dinanzi ad esse senza contestarla.
Articolo 10
Competenza nei casi di sottrazione di minori
In caso di trasferimento illecito o mancato rientro del minore, l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro conserva la competenza giurisdizionale fino a che il minore non abbia acquisito la residenza in un altro Stato membro e:
a) se ciascuna persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha accettato il trasferimento o mancato rientro;
o
b) se il minore ha soggiornato in quell’altro Stato membro almeno per un anno da quando la persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava e il minore si è integrato nel nuovo ambiente e se ricorre una qualsiasi delle seguenti condizioni:
i) entro un anno da quando il titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava non è stata presentata alcuna domanda di ritorno del minore dinanzi alle autorità competenti dello Stato membro nel quale il minore è stato trasferito o dal quale non ha fatto rientro;
ii) una domanda di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento è stata ritirata e non è stata presen¬tata una nuova domanda entro il termine di cui al punto i);
iii) un procedimento dinanzi all’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro è stato definito a norma dell’articolo 11, paragrafo 7;
iv) l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o del mancato ritorno ha emanato una decisione di affidamento che non prevede il ritorno del minore.
Articolo 11
Ritorno del minore
1. Quando una persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento adisce le autorità competenti di uno Stato membro affinché emanino un provvedimento in base alla convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (in seguito “la convenzione dell’Aja del 1980”) per ottenere il ritorno di un minore che è stato illecitamente trasferito o trattenuto in uno Stato membro diverso dallo Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o mancato ritorno, si applicano i paragrafi da 2 a 8.
2. Nell’applicare gli articoli 12 e 13 della convenzione dell’Aja del 1980, si assicurerà che il minore possa esse¬re ascoltato durante il procedimento se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità.
3. Un’autorità giurisdizionale alla quale è stata presentata la domanda per il ritorno del minore di cui al para¬grafo 1 procede alla rapida trattazione della domanda stessa, utilizzando le procedure più rapide previste nella legislazione nazionale.
Fatto salvo il primo comma l’autorità giurisdizionale, salvo nel caso in cui circostanze eccezionali non lo consen¬tano, emana il provvedimento al più tardi sei settimane dopo aver ricevuto la domanda.
4. Un’autorità giurisdizionale non può rifiutare di ordinare il ritorno di un minore in base all’articolo 13, lettera b), della convenzione dell’Aja del 1980 qualora sia dimostrato che sono previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno.
5. Un’autorità giurisdizionale non può rifiutare di disporre il ritorno del minore se la persona che lo ha chiesto non ha avuto la possibilità di essere ascoltata.
6. Se un’autorità giurisdizionale ha emanato un provvedimento contrario al ritorno di un minore in base all’ar¬ticolo 13 della convenzione dell’Aja del 1980, l’autorità giurisdizionale deve trasmettere direttamente ovvero tramite la sua autorità centrale una copia del provvedimento giudiziario contrario al ritorno e dei pertinenti do¬cumenti, in particolare una trascrizione delle audizioni dinanzi al giudice, all’autorità giurisdizionale competente o all’autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o mancato ritorno, come stabilito dalla legislazione nazionale. L’autorità giurisdizionale riceve tutti i documenti indicati entro un mese dall’emanazione del provvedimento contro il ritorno.
7. A meno che l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale imme¬diatamente prima dell’illecito trasferimento o mancato ritorno non sia già stato adita da una delle parti, l’autorità giurisdizionale o l’autorità centrale che riceve le informazioni di cui al paragrafo 6 deve informarne le parti e in¬vitarle a presentare all’autorità giurisdizionale le proprie conclusioni, conformemente alla legislazione nazionale, entro tre mesi dalla data della notifica, affinché quest’ultima esamini la questione dell’affidamento del minore.
Fatte salve le norme sulla competenza di cui al presente regolamento, in caso di mancato ricevimento delle conclusioni entro il termine stabilito, l’autorità giurisdizionale archivia il procedimento.
8. Nonostante l’emanazione di un provvedimento contro il ritorno in base all’articolo 13 della convenzione dell’A¬ja del 1980, una successiva decisione che prescrive il ritorno del minore emanata da un giudice competente ai sensi del presente regolamento è esecutiva conformemente alla sezione 4 del capo III, allo scopo di assicurare il ritorno del minore.
Articolo 12
Proroga della competenza
1. Le autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui viene esercitata, ai sensi dell’articolo 5, la competenza a decidere sulle domande di divorzio, separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio sono competenti per le domande relative alla responsabilità dei genitori che si ricollegano a tali domande se:
a) almeno uno dei coniugi esercita la responsabilità genitoriale sul figlio;
e
b) la competenza giurisdizionale di tali autorità giurisdizionali è stata accettata espressamente o in qualsiasi altro modo univoco dai coniugi e dai titolari della responsabilità genitoriale alla data in cui le autorità giurisdizionali sono adite, ed è conforme all’interesse superiore del minore.
2. La competenza esercitata conformemente al paragrafo 1 cessa non appena:
a) la decisione che accoglie o respinge la domanda di divorzio, separazione personale o annullamento del ma¬trimonio sia passata in giudicato;
o
b) nei casi in cui il procedimento relativo alla responsabilità genitoriale è ancora pendente alla data di cui alla lettera a), la decisione relativa a tale procedimento sia passata in giudicato;
o
c) il procedimento di cui alle lettere a) e b) sia terminato per un’altra ragione.
3. Le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti in materia di responsabilità dei genitori nei procedimenti diversi da quelli di cui al primo paragrafo se:
a) il minore ha un legame sostanziale con quello Stato membro, in particolare perché uno dei titolari della re¬sponsabilità genitoriale vi risiede abitualmente o perché è egli stesso cittadino di quello Stato
e
b) la loro competenza è stata accettata espressamente o in qualsiasi altro modo univoco da tutte le parti al pro¬cedimento alla data in cui le autorità giurisdizionali sono adite ed è conforme all’interesse superiore del minore.
4. Se il minore ha la residenza abituale nel territorio di uno Stato che non è parte della convenzione dell’Aja, del 19 ottobre 1996, concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la coo¬perazione in materia di potestà genitoriale e di misure di protezione dei minori, si presume che la competenza fondata sul presente articolo sia nell’interesse del minore, in particolare quando un procedimento si rivela im¬possibile nel paese terzo interessato.
Articolo 13
Competenza fondata sulla presenza del minore
1. Qualora non sia possibile stabilire la residenza abituale del minore né determinare la competenza ai sensi dell’articolo 12, sono competenti i giudici dello Stato membro in cui si trova il minore.
2. Il paragrafo 1 si applica anche ai minori rifugiati o ai minori sfollati a livello internazionale a causa di disordini nei loro paesi.
Articolo 14
Competenza residua
Qualora nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro sia competente ai sensi degli articoli da 8 a 13 la competenza, in ciascuno Stato membro, è determinata dalla legge di tale Stato.
Articolo 15
Trasferimento delle competenze a una autorità giurisdizionale più adatta a trattare il caso
1. In via eccezionale le autorità giurisdizionali di uno Stato membro competenti a conoscere del merito, qualora ritengano che l’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro con il quale il minore abbia un legame parti¬colare sia più adatto a trattare il caso o una sua parte specifica e ove ciò corrisponda all’interesse superiore del minore, possono:
a) interrompere l’esame del caso o della parte in questione e invitare le parti a presentare domanda all’autorità giurisdizionale dell’altro Stato membro conformemente al paragrafo 4 oppure
b) chiedere all’autorità giurisdizionale dell’altro Stato membro di assumere la competenza ai sensi del paragrafo 5.
2. Il paragrafo 1 è applicabile:
a) su richiesta di una parte o
b) su iniziativa dell’autorità giurisdizionale o
c) su iniziativa di un’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro con cui il minore abbia un legame partico¬lare, conformemente al paragrafo 3.
Il trasferimento della causa può tuttavia essere effettuato su iniziativa dell’autorità giurisdizionale o su richiesta di un’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro soltanto se esso è accettato da almeno una delle parti.
3. Si ritiene che il minore abbia un legame particolare con uno Stato membro, ai sensi del paragrafo 1, se tale Stato membro
a) è divenuto la residenza abituale del minore dopo che l’autorità giurisdizionale di cui al paragrafo 1 è stata adita; o
b) è la precedente residenza abituale del minore; o
c) è il paese di cui il minore è cittadino; o
d) è la residenza abituale di uno dei titolari della responsabilità genitoriale; o
e) la causa riguarda le misure di protezione del minore legate all’amministrazione, alla conservazione o all’alie¬nazione dei beni del minore situati sul territorio di questo Stato membro.
4. L’autorità giurisdizionale dello Stato membro competente a conoscere del merito fissa un termine entro il quale le autorità giurisdizionali dell’altro Stato membro devono essere adite conformemente al paragrafo 1.
Decorso inutilmente tale termine, la competenza continua ad essere esercitata dall’autorità giurisdizionale pre¬ventivamente adita ai sensi degli articoli da 8 a 14.
5. Le autorità giurisdizionali di quest’altro Stato membro possono accettare la competenza, ove ciò corrisponda, a motivo delle particolari circostanze del caso, all’interesse superiore del minore, entro 6 settimane dal momento in cui sono adite in base al paragrafo 1, lettere a) o b). In questo caso, l’autorità giurisdizionale preventivamente adita declina la propria competenza. In caso contrario, la competenza continua ad essere esercitata dall’autorità giurisdizionale preventivamente adito ai sensi degli articoli da 8 a 14.
6. Le autorità giurisdizionali collaborano, ai fini del presente articolo, direttamente ovvero attraverso le autorità centrali nominate a norma dell’articolo 53.
SEZIONE 3
Disposizioni comuni
Articolo 16
Adizione di un’autorità giurisdizionale
1. L’autorità giurisdizionale si considera adita:
a) alla data in cui la domanda giudiziale o un atto equivalente è depositato presso l’autorità giurisdizionale, purché successivamente l’attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché fosse effettuata la notificazione al convenuto;
o
b) se l’atto deve essere notificato prima di essere depositato presso l’autorità giurisdizionale, alla data in cui l’autorità competente ai fini della notificazione lo riceve, purché successivamente l’attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché l’atto fosse depositato presso l’autorità giurisdizionale.
Articolo 17
Verifica della competenza
L’autorità giurisdizionale di uno Stato membro, investita di una controversia per la quale il presente regolamento non prevede la sua competenza e per la quale, in base al presente regolamento, è competente un’autorità giu¬risdizionale di un altro Stato membro, dichiara d’ufficio la propria incompetenza.
Articolo 18
Esame della procedibilità
1. Se la persona che ha la residenza abituale in uno Stato diverso dallo Stato membro in cui l’azione è stata proposta non compare, l’autorità giurisdizionale competente è tenuta a sospendere il procedimento fin quando non si sarà accertato che al convenuto è stata data la possibilità di ricevere la domanda giudiziale o un atto equivalente in tempo utile perché questi possa presentare le proprie difese, ovvero che è stato fatto tutto il possibile a tal fine.
2. In luogo delle disposizioni del paragrafo 1 del presente articolo, si applica l’articolo 19 del regolamento (CE) n. 1348/2000 qualora sia stato necessario trasmettere la domanda giudiziale o un atto equivalente da uno Stato membro a un altro a norma di tale regolamento.
3. Ove non si applichino le disposizioni del regolamento (CE) n. 1348/2000, si applica l’articolo 15 della conven¬zione dell’Aja del 15 novembre 1965 relativa alla notificazione e alla comunicazione all’estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale, qualora sia stato necessario trasmettere la domanda giudiziale o un atto equivalente all’estero a norma di tale convenzione.
Articolo 19
Litispendenza e connessione
1. Qualora dinanzi a autorità giurisdizionali di Stati membri diverse e tra le stesse parti siano state proposte domande di divorzio, separazione personale dei coniugi e annullamento del matrimonio, l’autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d’ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza dall’au¬torità giurisdizionale preventivamente adita.
2. Qualora dinanzi a autorità giurisdizionali di Stati membri diversi siano state proposte domande sulla responsa¬bilità genitoriale su uno stesso minore, aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, l’autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d’ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza dell’au¬torità giurisdizionale preventivamente adita.
3. Quando la competenza dell’autorità giurisdizionale preventivamente adita è stata accertata, l’autorità giuri¬sdizionale successivamente adita dichiara la propria incompetenza a favore dell’autorità giurisdizionale preven¬tivamente adita.
In tal caso la parte che ha proposto la domanda davanti all’autorità giurisdizionale successivamente adita può promuovere l’azione dinanzi all’autorità giurisdizionale preventivamente adita.
Articolo 20
Provvedimenti provvisori e cautelari
1. In casi d’urgenza, le disposizioni del presente regolamento non ostano a che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro adottino i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge interna, relativamente alle per¬sone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati, anche se, a norma del presente regolamento, è competente a conoscere nel merito l’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro.
2. I provvedimenti adottati in esecuzione del paragrafo 1 cessano di essere applicabili quando l’autorità giurisdi¬zionale dello Stato membro competente in virtù del presente regolamento a conoscere del merito abbia adottato i provvedimenti ritenuti appropriati.
CAPO III
RICONOSCIMENTO ED ESECUZIONE
SEZIONE 1
Riconoscimento
Articolo 21
Riconoscimento delle decisioni
1. Le decisioni pronunciate in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia neces¬sario il ricorso ad alcun procedimento.
2. In particolare, e fatto salvo il paragrafo 3, non è necessario alcun procedimento per l’aggiornamento delle iscrizioni nello stato civile di uno Stato membro a seguito di una decisione di divorzio, separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio pronunciata in un altro Stato membro, contro la quale non sia più possibile proporre impugnazione secondo la legge di detto Stato membro.
3. Fatta salva la sezione 4 del presente capo, ogni parte interessata può far dichiarare, secondo il procedimento di cui alla sezione 2, che la decisione deve essere o non può essere riconosciuta.
La competenza territoriale degli organi giurisdizionali indicati nell’elenco, comunicato da ciascuno Stato membro alla Commissione conformemente all’articolo 68, è determinata dal diritto interno dello Stato membro nel quale è proposta l’istanza di riconoscimento o di non riconoscimento.
4. Se il riconoscimento di una decisione è richiesto in via incidentale dinanzi ad una autorità giurisdizionale di uno Stato membro, questa può decidere al riguardo.
Articolo 22
Motivi di non riconoscimento delle decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio
La decisione di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio non è riconosciuta nei casi se¬guenti:
a) se il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto;
b) quando è resa in contumacia, ovvero la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese, salvo che sia stato accertato che il convenuto ha accettato inequivocabilmente la decisione;
c) se la decisione è incompatibile con una decisione resa in un procedimento tra le medesime parti nello Stato membro richiesto; o
d) se la decisione è incompatibile con una decisione anteriore avente le stesse parti, resa in un altro Stato mem¬bro o in un paese terzo, purché la decisione anteriore soddisfi le condizioni prescritte per il riconoscimento nello Stato membro richiesto.
Articolo 23
Motivi di non riconoscimento delle decisioni relative alla responsabilità genitoriale
Le decisioni relative alla responsabilità genitoriale non sono riconosciute nei casi seguenti:
a) se, tenuto conto dell’interesse superiore del minore, il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto;
b) se, salvo i casi d’urgenza, la decisione è stata resa senza che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato, in violazione dei principi fondamentali di procedura dello Stato membro richiesto;
c) quando è resa in contumacia, ovvero la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese, salvo che sia stato accertato che il convenuto ha accettato inequivocabilmente la decisione;
d) su richiesta di colui che ritiene che la decisione sia lesiva della propria responsabilità genitoriale, se è stata emessa senza dargli la possibilità di essere ascoltato;
e) se la decisione è incompatibile con una decisione successiva sulla responsabilità genitoriale emessa nello Stato membro richiesto;
f) se la decisione è incompatibile con una decisione successiva sulla responsabilità genitoriale emessa in un altro Stato membro o nel paese terzo in cui il minore risieda, la quale soddisfi le condizioni prescritte per il riconosci¬mento nello Stato membro richiesto;
o
g) se la procedura prevista dall’articolo 56 non è stata rispettata.
Articolo 24
Divieto di riesame della competenza giurisdizionale dell’autorità giurisdizionale d’origine
Non si può procedere al riesame della competenza giurisdizionale del giudice dello Stato membro d’origine. Il criterio dell’ordine pubblico di cui agli articoli 22, lettera a), e 23, lettera a), non può essere applicato alle norme sulla competenza di cui agli articoli da 3 a 14.
Articolo 25
Divergenze fra le leggi
Il riconoscimento di una decisione non può essere negato perché la legge dello Stato membro richiesto non pre¬vede per i medesimi fatti il divorzio, la separazione personale o l’annullamento del matrimonio.
Articolo 26
Divieto di riesame del merito
In nessun caso la decisione può formare oggetto di un riesame del merito.
Articolo 27
Sospensione del procedimento
1. L’autorità giurisdizionale di uno Stato membro dinanzi alla quale è richiesto il riconoscimento di una decisione pronunciata in un altro Stato membro può sospendere il procedimento se la decisione è stata impugnata con un mezzo ordinario.
2. L’autorità giurisdizionale di uno Stato membro dinanzi alla quale è richiesto il riconoscimento di una decisione emessa in Irlanda o nel Regno Unito e la cui esecuzione è sospesa nello Stato membro d’origine per la presen¬tazione di un ricorso può sospendere il procedimento.
SEZIONE 2
Istanza per la dichiarazione di esecutività
Articolo 28
Decisioni esecutive
1. Le decisioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale su un minore, emesse ed esecutive in un determinato Stato membro, sono eseguite in un altro Stato membro dopo esservi state dichiarate esecutive su istanza della parte interessata, purché siano state notificate.
2. Tuttavia la decisione è eseguita in una delle tre parti del Regno Unito (Inghilterra e Galles, Scozia e Irlanda del Nord) soltanto dopo esservi stata registrata per esecuzione, su istanza di una parte interessata.
Articolo 29
Giudici territorialmente competenti
1. L’istanza per la dichiarazione di esecutività è proposta ai giudici che figurano nell’elenco comunicato da cia¬scuno Stato membro alla Commissione conformemente all’articolo 68.
2. La competenza territoriale è determinata dalla residenza abituale della parte contro cui è chiesta l’esecuzione oppure dalla residenza abituale del minore cui l’istanza si riferisce.
Quando nessuno dei luoghi di cui al primo comma si trova nello Stato membro dell’esecuzione, la competenza territoriale è determinata dal luogo dell’esecuzione.
Articolo 30
Procedimento
1. Le modalità del deposito dell’istanza sono determinate in base alla legge dello Stato membro dell’esecuzione.
2. L’istante elegge il proprio domicilio nella circoscrizione dell’autorità giurisdizionale adita. Tuttavia, se la legge dello Stato membro dell’esecuzione non prevede l’elezione del domicilio, l’istante designa un procuratore.
3. All’istanza vengono allegati i documenti di cui agli articoli 37 e 39.
Articolo 31
Decisione dell’autorità giurisdizionale
1. L’autorità giurisdizionale adita decide senza indugio. In questa fase del procedimento, né la parte contro la quale l’esecuzione viene chiesta né il minore possono presentare osservazioni.
2. L’istanza può essere respinta solo per uno dei motivi di cui agli articoli 22, 23 e 24.
3. In nessun caso la decisione può formare oggetto di un riesame del merito.
Articolo 32
Comunicazione della decisione
La decisione resa su istanza di parte è senza indugio portata a conoscenza del richiedente, a cura del cancelliere, secondo le modalità previste dalla legge dello Stato membro dell’esecuzione.
Articolo 33
Opposizione
1. Ciascuna delle parti può proporre opposizione contro la decisione resa sull’istanza intesa a ottenere una di¬chiarazione di esecutività.
2. L’opposizione è proposta davanti all’autorità giurisdizionale di cui all’elenco comunicato da ciascuno Stato membro alla Commissione conformemente all’articolo 68.
3. Il ricorso è esaminato secondo le norme sul procedimento in contraddittorio.
4. Se l’opposizione è proposta dalla parte che ha richiesto la dichiarazione di esecutività, la parte contro cui l’e¬secuzione viene fatta valere è chiamata a comparire davanti all’autorità giurisdizionale dell’opposizione. In caso di contumacia, si applicano le disposizioni dell’articolo 18.
5. L’opposizione contro una dichiarazione di esecutività deve essere proposta nel termine di un mese dalla no¬tificazione della stessa. Se la parte contro la quale è chiesta l’esecuzione ha la residenza abituale in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata rilasciata la dichiarazione di esecutività, il termine è di due mesi a decorrere dalla data della notificazione in mani proprie o nella residenza. Detto termine non è prorogabile per ragioni inerenti alla distanza.
Articolo 34
Autorità giurisdizionale dell’opposizione e ulteriori mezzi di impugnazione
La decisione resa sull’opposizione può costituire unicamente oggetto delle procedure di cui all’elenco comunicato da ciascuno Stato membro alla Commissione conformemente all’articolo 68.
Articolo 35
Sospensione del procedimento
1. L’autorità giurisdizionale dinanzi alla quale è proposta l’opposizione a norma dell’articolo 33 o dell’articolo 34 può, su istanza della parte contro la quale è chiesta l’esecuzione, sospendere il procedimento di esecuzione se la decisione è stata impugnata nello Stato membro d’origine con un mezzo ordinario o se il termine per proporre l’impugnazione non è ancora scaduto. In quest’ultimo caso l’autorità giurisdizionale può fissare un termine per proporre tale impugnazione.
2. Qualora la decisione sia stata emessa in Irlanda o nel Regno Unito, qualsiasi mezzo di impugnazione esperibile nello Stato membro d’origine è considerato “impugnazione ordinaria” ai sensi del paragrafo 1.
Articolo 36
Esecuzione parziale
1. Se la decisione ha statuito su vari capi della domanda e l’esecuzione non può essere concessa per tutti i capi, l’autorità giurisdizionale autorizza l’esecuzione solo per uno o taluni di essi.
2. L’istante può chiedere un’esecuzione parziale.
SEZIONE 3
Disposizioni comuni alle sezioni 1 e 2
Articolo 37
Documenti
1. La parte che chiede o contesta il riconoscimento oche chiede una dichiarazione di esecutività deve produrre quanto segue:
a) una copia della decisione, che presenti le condizioni di autenticità prescritte;
e
b) il certificato di cui all’articolo 39.
2. Se si tratta di decisione contumaciale, la parte che ne chiede il riconoscimento o l’esecuzione deve inoltre produrre:
a) l’originale o una copia autenticata del documento comprovante che la domanda giudiziale o l’atto equivalente è stato notificato o comunicato al contumace;
o
b) un documento comprovante che il convenuto ha inequivocabilmente accettato la decisione.
Articolo 38
Mancata produzione di documenti
1. Qualora i documenti di cui all’articolo 37, paragrafo 1, lettera b), o paragrafo 2, non vengano prodotti, l’au¬torità giurisdizionale può fissare un termine per la loro presentazione o accettare documenti equivalenti ovvero, qualora ritenga di essere informato a sufficienza, disporre l’esonero della presentazione degli stessi.
2. Qualora l’autorità giurisdizionale lo richieda, è necessario produrre una traduzione dei documenti richiesti. La traduzione è autenticata da una persona a tal fine abilitata in uno degli Stati membri.
Articolo 39
Certificato relativo alle decisioni rese nelle cause matrimoniali e in materia di responsabilità geni¬toriale
L’autorità giurisdizionale o l’autorità competente dello Stato membro d’origine rilascia, su richiesta di qualsiasi parte interessata, un certificato utilizzando il modello standard di cui all’allegato I (decisioni in materia matrimo¬niale) o all’allegato II (decisioni in materia di responsabilità genitoriale).
SEZIONE 4
Esecuzione di talune decisioni in materia di diritto di visita e di talune decisioni che prescrivono il ritorno del minore
Articolo 40
Campo d’applicazione
1. La presente sezione si applica:
a) al diritto di visita;
e
b) al ritorno del minore ordinato in seguito a una decisione che prescrive il ritorno del minore di cui all’articolo 11, paragrafo 8.
2. Le disposizioni della presente sezione non ostano a che il titolare della responsabilità genitoriale chieda il rico¬noscimento e l’esecuzione in forza delle disposizioni contenute nelle sezioni 1 e 2 del presente capo.
Articolo 41
Diritto di visita
1. Il diritto di visita di cui all’articolo 40, paragrafo 1, lettera a), conferito in forza di una decisione esecutiva emessa in uno Stato membro, è riconosciuto ed è eseguibile in un altro Stato membro senza che sia necessaria alcuna dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento se la decisione è stata certificata nello Stato membro d’origine in accordo con il paragrafo 2.
Anche se il diritto interno non prevede l’esecutività di diritto, nonostante un eventuale ricorso, di una decisione che accorda un diritto di visita, l’autorità giurisdizionale può dichiarare la decisione esecutiva.
2. Il giudice di origine rilascia il certificato di cui al paragrafo 1, sulla base del modello standard di cui all’allegato III (certificato sul diritto di visita), solo nei seguenti casi:
a) in caso di procedimento in contumacia, la domanda giudiziale o un atto equivalente è stato notificato o comu¬nicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale che questi possa presentare le proprie difese, o, è stato notificato o comunicato nel mancato rispetto di queste condizioni, sia comunque accertato che il convenuto ha accettato la decisione inequivocabilmente;
b) tutte le parti interessate hanno avuto la possibilità di essere ascoltate;
e
c) il minore ha avuto la possibilità di essere ascoltato, salvo che l’audizione non sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità.
Il certificato standard deve essere compilato nella lingua della decisione.
3. Se il diritto di visita riguarda un caso che sin dall’atto della pronuncia della decisione riveste un carattere transfrontaliero, il certificato è rilasciato d’ufficio quando la decisione diventa esecutiva, anche se solo provviso¬riamente. Se il caso diventa transfrontaliero solo in seguito, il certificato è rilasciato a richiesta di una della parti.
Articolo 42
Ritorno del minore
1. Il ritorno del minore di cui all’articolo 40, paragrafo 1, lettera b), ordinato con una decisione esecutiva emessa in uno Stato membro, è riconosciuto ed è eseguibile in un altro Stato membro senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al riconoscimento, se la decisione è stata certificata nello Stato membro d’origine conformemente al paragrafo 2.
Anche se la legislazione nazionale non prevede l’esecutività di diritto, nonostante eventuali impugnazioni, di una decisione che prescrive il ritorno del minore di cui all’articolo 11, paragrafo 8, l’autorità giurisdizionale può dichiarare che la decisione in questione è esecutiva.
2. Il giudice di origine che ha emanato la decisione di cui all’articolo 40, paragrafo 1, lettera b), rilascia il certi¬ficato di cui al paragrafo 1 solo se:
a) il minore ha avuto la possibilità di essere ascoltato, salvo che l’audizione sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità;
b) le parti hanno avuto la possibilità di essere ascoltate; e
c) l’autorità giurisdizionale ha tenuto conto, nel rendere la sua decisione, dei motivi e degli elementi di prova alla base del provvedimento emesso conformemente all’articolo 13 della convenzione dell’Aja del 1980.
Nel caso in cui l’autorità giurisdizionale o qualsiasi altra autorità adotti misure per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno nello Stato della residenza abituale, il certificato contiene i dettagli di tali misure.
Il giudice d’origine rilascia detto certificato di sua iniziativa e utilizzando il modello standard di cui all’allegato IV (certificato sul ritorno del minore).
Il certificato è compilato nella lingua della decisione.
Articolo 43
Domanda di rettifica
1. Il diritto dello Stato membro di origine è applicabile a qualsiasi rettifica del certificato.
2. Il rilascio di un certificato a norma dell’articolo 41, paragrafo 1, o dell’articolo 42, paragrafo 1, non è inoltre soggetto ad alcun mezzo di impugnazione.
Articolo 44
Effetti del certificato
Il certificato ha effetto soltanto nei limiti del carattere esecutivo della sentenza.
Articolo 45
Documenti
1. La parte che chiede l’esecuzione di una decisione deve produrre quanto segue:
a) una copia della decisione, che presenti le condizioni di autenticità prescritte;
e
b) il certificato di cui all’articolo 41, paragrafo 1, o all’articolo 42, paragrafo 1.
2. Ai fini del presente articolo:
– il certificato di cui all’articolo 41, paragrafo 1, è corredato della traduzione del punto 12 relativo alle modalità per l’esercizio del diritto di visita,
– il certificato di cui all’articolo 42, paragrafo 1, è corredato della traduzione del punto 14 relativo alle misure adottate per assicurare il ritorno del minore.
La traduzione deve essere nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro dell’esecuzione o in un’altra lingua che quello Stato membro abbia dichiarato di accettare. La traduzione è autenticata da una persona a tal fine abilitata in uno degli Stati membri.
SEZIONE 5
Atti pubblici e accordi
Articolo 46
Gli atti pubblici formati e aventi efficacia esecutiva in uno Stato membro nonché gli accordi tra le parti aventi efficacia esecutiva nello Stato membro di origine sono riconosciuti ed eseguiti alle stesse condizioni previste per le decisioni.
SEZIONE 6
Altre disposizioni
Articolo 47
Procedimento di esecuzione
1. Il procedimento di esecuzione è disciplinato dalla legge dello Stato membro dell’esecuzione.
2. Ogni decisione pronunciata dall’autorità giurisdizionale di uno Stato membro e dichiarata esecutiva ai sensi della sezione 2 o certificata conformemente all’articolo 41, paragrafo 1, o all’articolo 42, paragrafo 1, è eseguita nello Stato membro dell’esecuzione alle stesse condizioni che si applicherebbero se la decisione fosse stata pro¬nunciata in tale Stato membro.
In particolare una decisione certificata conformemente all’articolo 41, paragrafo 1, o all’articolo 42, paragrafo 1, non può essere eseguita se è incompatibile con una decisione esecutiva emessa posteriormente.
Articolo 48
Modalità pratiche per l’esercizio del diritto di visita
1. L’autorità giurisdizionale dello Stato membro dell’esecuzione possono stabilire modalità pratiche volte ad organizzare l’esercizio del diritto di visita, qualora le modalità necessarie non siano o siano insufficientemente previste nella decisione emessa dalle autorità giurisdizionali dello Stato membro competente a conoscere del merito e a condizione che siano rispettati gli elementi essenziali di quella decisione.
2. Le modalità pratiche stabilite a norma del paragrafo 1 cessano di essere applicabili in virtù di una decisione posteriore emessa dalle autorità giurisdizionali dello Stato membro competenti a conoscere del merito.
Articolo 49
Spese
Le disposizioni del presente capo, eccettuate quelle previste alla sezione 4, si applicano altresì alla determinazio¬ne dell’importo delle spese per i procedimenti instaurati in base al presente regolamento nonché all’esecuzione di qualsiasi decisione relativa a tali spese.
Articolo 50
Patrocinio a spese dello Stato
L’istante che nello Stato membro d’origine ha usufruito in tutto o in parte del patrocinio a spese dello Stato o dell’esenzione dalle spese beneficia, nel procedimento di cui agli articoli 21, 28, 41, 42 e 48, dell’assistenza più favorevole o dell’esenzione più ampia prevista dalla legge dello Stato membro dell’esecuzione.
Articolo 51
Cauzione o deposito
Non può essere imposta la costituzione di cauzioni o depositi, comunque denominati, alla parte che chiede l’e¬secuzione in uno Stato membro di una decisione pronunciata in un altro Stato membro per i seguenti motivi:
a) per il difetto di residenza abituale nello Stato membro richiesto, o
b) per la sua qualità di straniero oppure, qualora l’esecuzione sia richiesta nel Regno Unito o in Irlanda, per difetto di “domicile” in uno di tali Stati membri.
Articolo 52
Legalizzazione o altra formalità analoga
Non è richiesta alcuna legalizzazione o altra formalità analoga per i documenti indicati negli articoli 37, 38 e 45, né per l’eventuale procura alle liti.
CAPO IV
COOPERAZIONE FRA AUTORITÀ CENTRALI IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ GENITORIALE
Articolo 53
Designazione
Ciascuno Stato membro designa una o più autorità centrali incaricata di assisterlo nell’applicazione del presente regolamento e ne specifica le competenze territoriali e materiali. Qualora uno Stato membro abbia designato più autorità centrali, le comunicazioni dovrebbero essere inviate direttamente all’autorità centrale competente. Se una comunicazione è stata inviata a un’autorità centrale non competente, quest’ultima deve inoltrarla all’autorità centrale competente e informare il mittente al riguardo.
Articolo 54
Funzioni generali
Le autorità centrali mettono a disposizione informazioni sull’ordinamento e sulle procedure nazionali e adottano misure generali per migliorare l’applicazione del presente regolamento e rafforzare la cooperazione. A tal fine si ricorre alla rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale, istituita con decisione 2001/470/CE.
Articolo 55
Cooperazione nell’ambito di cause specifiche alla responsabilità genitoriale
Le autorità centrali, su richiesta di un’autorità centrale di un altro Stato membro o del titolare della responsabi¬lità genitoriale, cooperano nell’ambito di cause specifiche per realizzare gli obiettivi del presente regolamento. A tal fine esse provvedono, direttamente o tramite le autorità pubbliche o altri organismi, compatibilmente con l’ordinamento di tale Stato membro in materia di protezione dei dati personali:
a) a raccogliere e a scambiare informazioni:
i) sulla situazione del minore;
ii) sugli eventuali procedimenti in corso; o
iii) sulle decisioni adottate relativamente al minore;
b) a fornire informazioni e assistenza ai titolari della responsabilità genitoriale che chiedono il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni sul loro territorio, relativamente in particolare al diritto di visita e al ritorno del minore;
c) a facilitare la comunicazione fra le autorità giurisdizionali, in relazione soprattutto all’attuazione dell’articolo 11, paragrafi 6 e 7, e dell’articolo 15;
d) a fornire informazioni e sostegno utili all’attuazione dell’articolo 56 da parte delle autorità giurisdizionali;
e) a facilitare un accordo fra i titolari della responsabilità genitoriale, ricorrendo alla mediazione o con altri mezzi, e ad agevolare a tal fine la cooperazione transfrontaliera.
Articolo 56
Collocamento del minore in un altro Stato membro
1. Qualora l’autorità giurisdizionale competente in virtù degli articoli da 8 a 15 intenda collocare il minore in istituto o in una famiglia affidataria e tale collocamento abbia luogo in un altro Stato membro, egli consulta preventivamente l’autorità centrale o un’altra autorità competente di quest’ultimo Stato membro se in tale Stato membro è previsto l’intervento di un’autorità pubblica nei casi nazionali di collocamento di minori.
2. La decisione sul collocamento di cui al paragrafo 1 può essere presa nello Stato membro richiedente soltanto se l’autorità centrale o un’altra autorità competente dello Stato richiesto ha approvato tale collocamento.
3. Le modalità relative alla consultazione o all’approvazione di cui ai paragrafi 1 e 2 sono disciplinate dal diritto nazionale dello Stato membro richiesto.
4. Qualora l’autorità giurisdizionale competente ai sensi degli articoli da 8 a 15 decida di collocare il minore in una famiglia affidataria e tale collocamento abbia luogo in un altro Stato membro, e in quest’ultimo Stato membro non sia previsto l’intervento di un’autorità pubblica nei casi nazionali di collocamento di minori, egli lo comunica all’autorità centrale o ad un’autorità competente di quest’ultimo Stato membro.
Articolo 57
Metodo di lavoro
1. I titolari della responsabilità genitoriale possono rivolgere una domanda di assistenza, di cui all’articolo 55, all’autorità centrale dello Stato membro in cui risiedono abitualmente ovvero all’autorità centrale dello Stato membro in cui si può trovare o risiede abitualmente il minore. In generale, la domanda contiene tutte le informa¬zioni disponibili che ne possono agevolare l’esecuzione. Se la domanda di assistenza riguarda il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione in materia di responsabilità genitoriale che rientra nel campo di applicazione del presente regolamento, il titolare della responsabilità genitoriale vi acclude i pertinenti certificati di cui all’articolo 39, all’articolo 41, paragrafo 1, o all’articolo 42, paragrafo 1.
2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione la o le lingue ufficiali delle Istituzioni della Comunità, diverse dalla sua, nelle quali le comunicazioni alle autorità centrali possono essere redatte.
3. L’assistenza delle autorità centrali a norma dell’articolo 55 è gratuita.
4. Ciascuna autorità centrale sostiene i propri costi.
Articolo 58
Riunioni
1. Per facilitare l’applicazione del presente regolamento le autorità centrali si riuniscono periodicamente.
2. Le riunioni sono convocate conformemente alla decisione 2001/470/CE relativa all’istituzione di una rete giu¬diziaria europea in materia civile e commerciale.
CAPO V
RELAZIONI CON GLI ALTRI ATTI NORMATIVI
Articolo 59
Relazione con altri strumenti
1. Fatti salvi gli articoli 60, 63, 64 e il paragrafo 2 del presente articolo, il presente regolamento sostituisce, nei rapporti tra gli Stati membri, le convenzioni vigenti alla data della sua entrata in vigore, concluse tra due o più Stati membri su materie disciplinate dal presente regolamento.
2. a) La Finlandia e la Svezia hanno facoltà di dichiarare che nei loro rapporti reciproci, in luogo delle norme del presente regolamento, si applica in tutto o in parte la convenzione del 6 febbraio 1931 tra Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia contenente disposizioni di diritto internazionale privato in materia di matrimonio, adozione e tutela, nonché il relativo protocollo finale. Queste dichiarazioni sono pubblicate nella Gazzetta uffi¬ciale dell’Unione europea in allegato al presente regolamento. Tali Stati membri possono dichiarare in qualsiasi momento di rinunciarvi in tutto o in parte.
b) È fatto obbligo di rispettare il principio di non discriminazione in base alla cittadinanza tra i cittadini dell’Unione europea.
c) I criteri di competenza giurisdizionale di qualsiasi accordo che sarà concluso tra gli Stati membri di cui alla lettera a) su materie disciplinate dal presente regolamento devono corrispondere a quelli stabiliti dal regola¬mento stesso.
d) Le decisioni pronunciate in uno degli Stati nordici che abbia reso la dichiarazione di cui alla lettera a), in base a un criterio di competenza giurisdizionale corrispondente a quelli previsti nel capo II del presente regolamento, sono riconosciute ed eseguite negli altri Stati membri secondo le disposizioni del capo III del regolamento stesso.
3. Gli Stati membri comunicano alla Commissione:
a) copia degli accordi di cui al paragrafo 2, lettere a) e c), e delle relative leggi uniformi di applicazione;
b) qualsiasi denuncia o modifica di tali accordi o leggi uniformi.
Articolo 60
Relazione con talune convenzioni multilaterali
Nei rapporti tra gli Stati che ne sono parti, il presente regolamento prevale sulle convenzioni seguenti, nella misura in cui queste riguardino materie da esso disciplinate:
a) convenzione dell’Aja, del 5 ottobre 1961, sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori;
b) convenzione del Lussemburgo, dell’8 settembre 1967, sul riconoscimento delle decisioni relative al vincolo matrimoniale;
c) convenzione dell’Aja, del 1o giugno 1970, sul riconoscimento dei divorzi e delle separazioni personali;
d) convenzione europea, del 20 maggio 1980, sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell’affidamento;
e
e) convenzione dell’Aja, del 25 ottobre 1980, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori.
Articolo 61
Relazioni con la convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 sulla competenza giurisdizionale, la legge applicabile, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni, nonché la cooperazione, in materia di responsabilità genitoriale e di misure per la tutela dei minori
Nelle relazioni con la convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 sulla competenza giurisdizionale, la legge ap¬plicabile, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni, nonché la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure per la tutela dei minori, il presente regolamento si applica:
a) se il minore in questione ha la sua residenza abituale nel territorio di uno Stato membro;
b) per quanto riguarda il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione emessa dal giudice competente di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, anche se il minore risiede abitualmente nel territorio di uno Stato non membro che è parte contraente di detta convenzione.
Articolo 62
Portata degli effetti
1. Gli accordi e le convenzioni di cui all’articolo 59, paragrafo 1, e agli articoli 60 e 61 continuano a produrre effetti nelle materie non disciplinate dal presente regolamento.
2. Le convenzioni di cui all’articolo 60, in particolare la convenzione dell’Aja del 1980, continuano ad avere effi¬cacia tra gli Stati membri che ne sono parti contraenti, conformemente all’articolo 60.
Articolo 63
Trattati con la Santa Sede
1. Il presente regolamento fa salvo il trattato internazionale (Concordato) concluso fra la Santa Sede e il Porto¬gallo, firmato nella Città del Vaticano il 7 maggio 1940.
2. Ogni decisione relativa all’invalidità di un matrimonio disciplinata dal trattato di cui al paragrafo 1 è ricono¬sciuta negli Stati membri a norma del capo III, sezione 1, del presente regolamento.
3. Le disposizioni di cui ai paragrafi 1 e 2 si applicano altresì ai seguenti trattati internazionali (Concordati) con¬clusi con la Santa Sede:
a) “Concordato lateranense”, dell’11 febbraio 1929, tra l’Italia e la Santa Sede, modificato dall’accordo, con pro¬tocollo aggiuntivo, firmato a Roma il 18 febbraio 1984;
b) accordo tra la Santa Sede e la Spagna su questioni giuridiche del 3 gennaio 1979.
4. L’Italia e la Spagna possono sottoporre il riconoscimento delle decisioni di cui al paragrafo 2 alle procedure e ai controlli applicabili alle sentenze dei tribunali ecclesiastici pronunciate in base ai trattati internazionali con la Santa Sede di cui al paragrafo 3.
5. Gli Stati membri comunicano alla Commissione:
a) una copia dei trattati di cui ai paragrafi 1 e 3;
b) eventuali denunce o modificazioni di tali trattati.
CAPO VI
DISPOSIZIONI TRANSITORIE
Articolo 64
1. Il presente regolamento si applica solo alle azioni proposte, agli atti pubblici formati e agli accordi tra le parti conclusi posteriormente alla data in cui il presente regolamento entra in applicazione secondo l’articolo 72.
2. Le decisioni pronunciate dopo l’entrata in applicazione del presente regolamento, relative ad azioni proposte prima di tale termine ma dopo l’entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1347/2000, sono riconosciute ed eseguite secondo le disposizioni del capo III del presente regolamento se la norma sulla competenza era fon¬data su regole conformi a quelle contenute nel capo II del regolamento stesso, ovvero nel regolamento (CE) n. 1347/2000, ovvero in una convenzione in vigore tra lo Stato membro d’origine e lo Stato membro richiesto al momento della proposizione dell’azione.
3. Le decisioni pronunciate prima dell’entrata in applicazione del presente regolamento, relative ad azioni pro¬poste dopo l’entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1347/2000, sono riconosciute ed eseguite secondo le disposizioni del capo III del presente regolamento, purché siano decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio, ovvero decisioni relative alla responsabilità dei genitori sui figli avuti in comune, emesse in occasione di quei procedimenti matrimoniali.
4. Le decisioni pronunciate prima dell’entrata in applicazione del presente regolamento ma dopo l’entrata in vi¬gore del regolamento (CE) n. 1347/2000, relative ad azioni proposte prima dell’entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1347/2000, sono riconosciute ed eseguite secondo le disposizioni del capo III del presente regolamento, purché siano decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio, ovvero decisioni rela¬tive alla responsabilità dei genitori sui figli avuti in comune, emesse in occasione di quei procedimenti matrimo¬niali, e se la norma sulla competenza era fondata su regole conformi a quelle contenute nel capo II del presente regolamento, ovvero nel regolamento (CE) n. 1347/2000, ovvero in una convenzione in vigore tra lo Stato membro d’origine e lo Stato membro richiesto al momento della proposizione dell’azione.
CAPO VII
DISPOSIZIONI FINALI
Articolo 65
Riesame
Al più tardi il 1o gennaio 2012 e successivamente ogni cinque anni, la Commissione presenta al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo, sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri, una relazione sull’applicazione del presente regolamento, corredata se del caso di proposte di adegua¬mento.
Articolo 66
Stati membri con sistemi normativi plurimi
Qualora in uno Stato membro vigano, in unità territoriali diverse, due o più sistemi giuridici o complessi di norme per questioni disciplinate dal presente regolamento:
a) ogni riferimento alla residenza abituale nello Stato membro va inteso come riferimento alla residenza abituale nell’unità territoriale;
b) ogni riferimento alla cittadinanza, o, nel caso del Regno Unito, al “domicile” va inteso come riferimento all’ap¬partenenza all’unità territoriale designata dalla legge di detto Stato;
c) ogni riferimento all’autorità dello Stato membro va inteso come riferimento all’autorità di un’unità territoriale interessata di tale Stato;
d) ogni riferimento alle norme dello Stato membro richiesto va inteso come riferimento alle norme dell’unità territoriale in cui si invocano la competenza giurisdizionale, il riconoscimento o l’esecuzione.
Articolo 67
Informazioni relative alle autorità centrali e alle lingue accettate
Gli Stati membri comunicano alla Commissione, entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente regolamento:
a) denominazione, indirizzo e mezzi di comunicazione indirizzate alle autorità centrali designate a norma dell’ar¬ticolo 53;
b) le lingue accettate per le comunicazioni indirizzate alle autorità centrali di cui all’articolo 57, paragrafo 2;
e
c) le lingue accettate per la compilazione del certificato sul diritto di visita a norma dell’articolo 45, paragrafo 2.
Gli Stati membri comunicano alla Commissione ogni eventuale cambiamento di queste informazioni.
La Commissione provvede affinché tali informazioni siano accessibili a tutti.
Articolo 68
Informazioni relative ai giudici e ai mezzi di impugnazione
Gli Stati membri comunicano alla Commissione gli elenchi dei giudici e dei mezzi d’impugnazione di cui agli ar¬ticoli 21, 29, 33 e 34 e le modifiche apportate.
La Commissione aggiorna tali informazioni e le rende accessibili a tutti mediante pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e con ogni altro mezzo appropriato.
Articolo 69
Modificazione degli allegati
Le modifiche dei certificati standard di cui agli allegati da I a IV sono adottate in conformità della procedura di cui all’articolo 70, paragrafo 2.
Articolo 70
Comitato
1. La Commissione è assistita da un comitato (di seguito, “il comitato”).
2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano gli articoli 3 e 7 della decisione 1999/468/ CE.
3. Il comitato adotta il proprio regolamento interno.
Articolo 71
Abrogazione del regolamento (CE) n. 1347/2000
1. Il regolamento (CE) n. 1347/2000 è abrogato alla data in cui il presente regolamento entra in applicazione.
2. I riferimenti al regolamento (CE) n. 1347/2000 si intendono fatti al presente regolamento secondo la tavola di concordanza che figura nell’allegato V.
Articolo 72
Entrata in vigore
Il presente regolamento entra in vigore il 1o agosto 2004.
Il presente regolamento si applica dal 1o marzo 2005, ad eccezione degli articoli 67, 68, 69 e 70 che si applicano dal 1o agosto 2004.
Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri in base al trattato che istituisce la Comunità europea.

Per il risarcimento di cui all’art. 709 ter c.p.c. è competente il tribunale del luogo di residenza dell’obbligato

Cass. civ. Sez. Unite, 15 novembre 2017, n. 27091
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
SENTENZA
sul ricorso 1067/2016 proposto da:
P.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 283, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CALA’, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
L.A.M.;
– intimato –
avverso il decreto n. 1557/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositato l’8/07/2015;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/09/2017 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;
udito il Pubblico Ministero in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Giuseppe Calà.
Svolgimento del processo
1. La ricorrente, cittadina italiana, ha adito il Tribunale di Milano esponendo che era stato pronunciato lo scioglimento del matrimonio contratto in Italia con il coniuge, cittadino italiano, dal Pretore di Lugano nel 2010 con pronuncia dichiarata esecutiva dalla Corte d’Appello di Milano il 20/6/2012.
Nella predetta pronuncia era stato regolato l’affidamento dei figli minori, il diritto di visita del padre e l’obbligo di concorrere al mantenimento di essi nonché a quello della moglie. Il coniuge si era reso inadempiente all’assolvimento degli obblighi patrimoniali e, di conseguenza, la ricorrente, è stata indotta a trasferirsi a (OMISSIS), da Lugano, essendo anche cessata la frequentazione del padre con i figli minori. La comunicazione del trasferimento era avvenuta via sms.
L’azione proposta ha ad oggetto l’autorizzazione a vivere con i figli in (OMISSIS), la condanna del padre al pagamento della retta scolastica fino alla maggiore età dei figli presso la scuola americana a Londra e delle altre spese straordinarie nonché al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dai figli e dalla ricorrente a causa del suo reiterato inadempimento ed infine l’autorizzazione a vendere la nuda proprietà dell’appartamento di proprietà dei figli a (OMISSIS) stante il difetto di consenso del padre dei minori.
2. Il giudice di primo grado ha ritenuto il difetto di giurisdizione del giudice italiano su tutte le domande proposte in favore di quello della (OMISSIS).
3. Sul reclamo, la Corte d’Appello ha confermato la pronuncia del giudice di primo grado sulla base delle seguenti affermazioni:
il Pretore di Lugano aveva stabilito che l’autorità parentale fosse mantenuta congiuntamente da entrambi i genitori. La nozione coincide con la responsabilità genitoriale ed esclude, anche ai sensi dell’art. 301 del codice civile svizzero che il genitore collocatario possa unilateralmente disporre il trasferimento dei minori presso un altro Stato, come del resto confermato dalla stessa ricorrente con la richiesta di essere autorizzata a legittimare tale scelta. Tale domanda non può che essere inclusa tra quelle inerenti la responsabilità genitoriale da radicarsi secondo l’art. 8 del reg. CE 2201 del 2003 presso il luogo di residenza abituale del minore, nella specie univocamente fissato a (OMISSIS).
Non sussistono i presupposti per l’ultrattività della competenza nella precedente residenza dei minori, dal momento che la residenza della famiglia era stata fissata stabilmente in (OMISSIS) e la proroga della competenza è prevista solo per i tre mesi successivi al lecito trasferimento del minore in altro stato.
Non sussistono neanche i presupposti per la proroga della competenza di cui all’art. 12 del regolamento citato, perché non è sufficiente che sussista un legame tra il minore e lo stato membro ma è altresì necessario che la competenza dell’autorità dello Stato membro adito sia stata accettata espressamente o in qualsiasi altro modo univoco da tutte le parti del procedimento.
La contumacia del padre non costituisce accettazione tacita della competenza giurisdizionale.
Le domande patrimoniali sono accessorie ed eziologicamente collegate a quella relativa alla responsabilità genitoriale.
L’autorizzazione a formulare istanza di vendita al giudice tutelare è anch’essa accessoria, come può evincersi dall’art. 1, par. 1, lett. e) del reg. CE 2201 del 2003 secondo il quale anche le misure di protezione del minore legate all’alienazione dei beni di sua proprietà rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento. Peraltro la domanda è stata ritenuta inammissibile perchè avente ad oggetto istanza ad essere autorizzata a presentare istanza al giudice tutelare ovvero un’autorizzazione giudiziaria normativamente non prevista.
4. Avverso tale pronuncia ha proposto per cassazione P.S., articolato in cinque motivi, illustrati da memoria. L.A. non ha resistito.
5. Il Collegio ha richiesto alla precedente udienza documentazione attestante il perfezionamento della notifica del ricorso, concedendo termine per l’incombente.
La documentazione è stata depositata nel termine. Da essa risulta che il ricorso è stato notificato ex art. 143 c.p.c., previo esperimento delle ricerche necessarie (come risulta dalla relata), una volta tentata la notificazione presso l’ultima residenza anagrafica, debitamente documentata, senza esito.
Motivi della decisione

6. Nel primo motivo viene dedotta la falsa applicazione dell’art. 301 del codice svizzero per avere la Corte d’Appello di Milano erroneamente ritenuto che alla luce del diritto vigente e della pronuncia del Pretore del Distretto di Lugano nella quale veniva disposto l’affidamento dei minori alla madre e l’autorità parentale congiuntale, la ricorrente non avesse il diritto di modificare il luogo di dimora dei minori senza la necessità di richiedere un’autorizzazione giudiziale.
Precisa la parte ricorrente che non può trovare applicazione l’art. 301 del codice civile svizzero attualmente vigente e la regolamentazione del potere decisionale sulla residenza del minore ivi contenuta perché entrato in vigore dopo la pronuncia relativa allo scioglimento del matrimonio emessa dal giudice svizzero. Nella formulazione ante vigente il genitore che aveva la custodia anche solo di fatto del minore poteva modificarne la dimora e anche trasferirla all’estero senza la necessità del consenso dell’altro genitore. Alla luce di questa regola la domanda di autorizzazione a vivere a (OMISSIS) con i figli deve essere interpretata come una domanda di riconoscimento per l’ordinamento italiano di una situazione di fatto corrispondente all’esercizio di un diritto. Entro questi limiti la domanda è priva della vis attractiva conferitale nella sentenza impugnata.
6.1. Rileva il Collegio che le domande proposte nei gradi di merito dalla ricorrente sono state esaminate esclusivamente ai fini della preliminare indagine sulla giurisdizione del giudice adito. La sentenza impugnata esamina, ai soli fini dell’impugnazione della decisione sulla giurisdizione del giudice di primo grado, le domande proposte, fornendone una qualificazione giuridica coerente con la loro formulazione letterale e logico sistematica.
Il regime giuridico relativo alla custodia e le decisioni relative agli spostamenti di dimora o residenza dei minori riguardano esclusivamente il merito della controversia e sono del tutto ininfluenti rispetto all’accertamento concernente la dichiarazione od il difetto di giurisdizione del giudice adito. Le Sezioni Unite hanno anche di recente ribadito che le norme di diritto internazionale privato relative alla determinazione della giurisdizione e quelle riguardanti la legge applicabile non possono interferire, venendo in considerazione le seconde solo quando la giurisdizione del giudice adito sia stata accettata nelle forme di legge o sia stata preventivamente dichiarata all’esito di un accertamento giudiziale. (Cass. S.U. n. 1310 del 2017). Nel caso di specie, pertanto, il parametro normativo applicabile è esclusivamente quello derivante dalle disposizioni espressamente regolative della giurisdizione contenute nei regolamenti CE n. 2201 del 2003, 44 del 2001 e n. 4 del 2009, inerenti le domande dedotte nel presente giudizio che saranno analiticamente illustrate nell’esame degli altri motivi.
Sotto il profilo esaminato, in conclusione, il motivo è inammissibile anche per la parte relativa alla prospettazione della domanda di autorizzazione a fissare la residenza dei minori a (OMISSIS) come mero esercizio di un diritto materno. A parte la inequivoca formulazione letterale della domanda, deve rilevarsi che l’accertamento della titolarità o del legittimo esercizio di un diritto integra il petitum sostanziale della domanda e definisce il perimetro dell’accertamento giudiziale.
7. Nel secondo motivo viene dedotta la falsa applicazione dell’art. 8 del Reg. CE 2201 del 2003 e dell’art. 3, lett. b), del regolamento CE n. 4 del 2009 per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto “pregiudiziale” la domanda relativa alla responsabilità genitoriale invece che quelle, nettamente prevalenti, aventi ad oggetto gli obblighi di mantenimento verso i minori, non considerando che il trasferimento in Inghilterra era lecito e ormai del tutto consolidato così da non richiedere un provvedimento di modifica del diritto di trasferire i figli minori dalla svizzera all’Inghilterra.
7.1 Nel terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 34 c.p.c., in relazione all’accertamento del trasferimento dei minori a (OMISSIS) per avere la Corte d’Appello ritenuto che le domande aventi ad oggetto il mantenimento dei minori fossero di natura accessoria, senza considerare che la Corte di Giustizia nella pronuncia n. 479 del 2015 (causa 184/14 su rinvio della Corte di Cassazione italiana) ha stabilito che l’accessorietà non può essere lasciata alla valutazione da parte dei giudici di ciascuno Stato membro in funzione del diritto nazionale. Nella pronuncia in oggetto è stato affermato che una domanda relativa ad un’obbligazione alimentare nei confronti di un minore può essere accessoria soltanto ad una domanda relativa alla responsabilità genitoriale. Nella specie le domande di natura economica non sono eziologicamente collegate a quella avente ad oggetto l’autorizzazione a vivere in Gran Bretagna nel senso che le prime non traggono titolo da quest’ultima con la conseguente mancanza del vincolo di accessorietà.
Il titolo deriva dalla sentenza dell’organo giudiziario di Lugano che ha omologato gli accordi delle parti in sede di divorzio. Davanti al giudice italiano è stato chiesto di accertare l’inadempimento del convenuto e la sua condanna al risarcimento dei danni ex art. 709 ter c.p.c.. Su queste domande la competenza giurisdizionale si radica nel luogo di residenza dell’obbligato. Per la domanda relativa alla modifica delle condizioni economiche relative al mantenimento dei minori (riguardanti il mutamento del destinatario dei pagamenti inerenti le rette scolastiche) il foro di maggiore prossimità è quello della residenza dell’obbligato anche secondo i principi statuiti dal Regolamento CE n. 4 del 2009, ed in particolare in relazione al “forum conveniens” potendo il provvedimento munito di efficacia esecutiva essere prontamente eseguito nel foro del giudice adito dalla parte ricorrente.
7.3 Nel quarto motivo viene dedotta l’omessa applicazione dell’art. 3 lett. a) e art. 56, lett. b) del Reg. CE n. 4 del 2009 in ordine alle domande relative all’esecuzione degli obblighi alimentari ed alla modifica del destinatario delle rette scolastiche dei minori, dal momento che l’art. 3 del predetto regolamento radica la competenza giurisdizionale nel luogo di residenza del convenuto. Il vincolo di accessorietà di queste domande alla azione relativa alla responsabilità genitoriale doveva essere escluso in virtù del principio stabilito nel citato art. 3 secondo il quale il creditore può scegliere il foro più adatto a garantire ai minori una pronuncia efficace e di rapida esecuzione. La giurisdizione in Inghilterra determina un incremento di costi e disagi ingiustificati.
Le domande di natura alimentare non sono eziologicamente connesse alla domanda relativa all’autorizzazione a risiedere in Inghilterra, avendo ad oggetto l’accertamento dell’inadempimento pregresso e le modifiche in ordine all’ente destinatario delle rette scolastiche (non l’istituto della scuola americana a Lugano ma quello di Londra). Tale interpretazione è rafforzata dal trentunesimo considerando del regolamento secondo il quale il recupero transfrontaliero dei crediti alimentari può essere effettuato mediante presentazione di domande di riconoscimento, di dichiarazione di esecutività e di esecuzione di decisioni esistenti e di modifica di tali decisioni o di emanazione di una decisione nonché dall’art. 56 del regolamento n. 4 del 2009 che permette al creditore che vuole recuperare il proprio credito alimentare di presentare una domanda di modifica di una decisione emessa nello stato membro richiesto.
Peraltro la competenza giurisdizionale del giudice italiano si desume anche dalle norme interne (L. n. 898 del 1970, art. 9, e ss. modifiche).
Si rileva infine che il Regno Unito non ha notificato l’adesione al Regolamento come richiesto nel 47 Considerando del Reg. CE n. 4 del 2009.
7.4. Il secondo, terzo e quarto motivo possono essere trattati congiuntamente perché logicamente connessi.
La ricorrente ha richiesto:
1) l’autorizzazione a far risiedere i figli a (OMISSIS) con la madre affidataria;
2) l’accertamento dell’obbligo di pagamento delle rette scolastiche già gravante sul padre anche dopo il trasferimento a (OMISSIS) (richiesta di pagamento diretto alla scuola americana di Londra fino al 18 esimo anno di età);
3) il pagamento di tutte le spese scolastiche;
4) la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente all’inadempimento pregresso in ordine agli obblighi alimentari nei confronti dei figli e nei suoi;
5) l’autorizzazione a proporre istanza al giudice tutelare. per la vendita dell’immobile.
Le censure prospettate possono essere sintetizzate come segue:
a) L’errata qualificazione della richiesta di autorizzazione a far risiedere i minori a (OMISSIS) come domanda inerente la responsabilità genitoriale e, conseguentemente, come domanda principale rispetto a quelle riconducibili agli obblighi di natura alimentare dell’intimato che nella specie hanno carattere prevalente;
b) la vis attractiva della domanda relativa all’inadempimento pregresso del L. ai suoi obblighi alimentari rispetto a tutte le altre domande;
c) L’applicabilità, per le domande di natura alimentare, del forum conveniens, ovvero il foro più adatto a garantire ai minori una pronuncia efficace e di rapida esecuzione.
d) L’eseguibilità delle domande relative agli obblighi alimentari soltanto in Italia come criterio trainante la giurisdizione;
e) L’applicabilità del foro relativo al luogo ove è situato l’immobile di proprietà dei minori in ordine alla richiesta autorizzazione alla vendita.
7.5. La qualificazione giuridica della domanda sub 1) fornita dalla Corte d’Appello, come inerente la responsabilità genitoriale, è stata condivisa dal Collegio, come illustrato nella motivazione sull’inammissibilità della censura proposta nel primo motivo. Al riguardo, si deve precisare, come sollecitato dalla requisitoria del Procuratore Generale, che le controversie relative alla responsabilità genitoriale non possono limitarsi a quelle relative all’individuazione del genitore affidatario (in caso di affidamento esclusivo) o collocatario (in caso di affidamento condiviso o congiunto, secondo le diverse denominazioni e i diversi regimi giuridici dei paesi facenti parte dell’Unione Europea), dovendosi ricomprendere in esse anche tutte le richieste riguardanti l’esercizio della responsabilità genitoriale, ed in particolare quelle relative al mutamento di residenza in quanto direttamente incidenti sull’esercizio di tale potere dovere da parte del genitore non affidatario o collocatario.
7.6. Rimane, tuttavia, da accertare se il criterio di determinazione della giurisdizione applicabile alla domanda relativa alla responsabilità genitoriale, incontestatamente coincidente con la residenza abituale dei minori, ubicata a Londra, attragga allo stesso foro anche le altre domande (art. 8 comma 1 regolamento CE n. 2201 del 2003) come ritenuto nella sentenza impugnata.
Per procedere all’indagine sulla giurisdizione così come richiesto dalla parte ricorrente è necessaria una breve illustrazione del quadro normativo applicabile, di esclusiva derivazione eurounitaria.
La norma generale sulla competenza giurisdizionale in ordine alle controversie appartenenti al genus “responsabilità genitoriale” è l’art. 8 del regolamento CE n. 2201 del 2003.
La norma stabilisce:
“Le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui aditi”.
La norma generale che regola, agli esclusivi fini dell’individuazione dello Stato membro munito della competenza giurisdizionale, il rapporto tra domanda inerente la responsabilità genitoriale e quella o quelle di natura alimentare è l’art.3 del regolamento CE n. 4 del 2009, applicabile alla fattispecie.
L’art. 3 stabilisce:
Sono competenti a pronunciarsi in materia di obbligazioni alimentari negli Stati membri:
a) L’autorità giurisdizionale del luogo in cui il convenuto risiede abitualmente; o b) L’autorità giurisdizionale del luogo in cui il creditore risiede abitualmente o c) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa allo stato delle persone qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti; o d) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa alla responsabilità genitoriale qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti.
La lettura della norma evidenzia come l’indicazione del foro del convenuto, per quel che interessa ai fini del presente giudizio, subisca due deroghe di estrema rilevanza specificate nelle lettere c) e d), fondate sull’applicazione del criterio dell’accessorietà.
Tale parametro si deve fondare esclusivamente sulla nozione ricavabile dal diritto dell’Unione Europea. La sentenza della Corte di Giustizia n. 479 del 2015, ha espressamente stabilito che la portata della nozione di domanda accessoria, impiegata all’art. 3, lett. c) e d), del regolamento CE n. 4 del 2009 non può essere lasciata alla valutazione dei giudici di ciascuno Stato membro in funzione del loro diritto nazionale, essendo necessaria un’applicazione autonoma ed uniforme della predetta nozione, tratta dal complessivo sistema giuridico regolamentare del diritto dell’Unione Europea ovvero “dal contesto della disposizione e dalla finalità perseguita”, anche in funzione del principio di uguaglianza, strettamente connesso al principio dell’applicazione uniforme. (Corte di Giustizia Kasler e Kaslerne Rabai C-26/13 sent. n. 282 del 2014).
Al riguardo deve osservarsi che la Corte di giustizia, investita dalle Sezioni Unite di questa Corte, ha stabilito con la sentenza n. 479 del 2015 che qualora un giudice di uno Stato membro sia investito della controversia sul vincolo coniugale ed un altro sia chiamato a pronunciarsi su un’azione relativa alla responsabilità genitoriale, la domanda di natura alimentare relativa ai figli minori è accessoria a quella riguardante la responsabilità genitoriale, così dovendosi interpretare la nozione eurounitaria di accessorietà derivante dalla lettura coordinata delle lettere c) e d) dell’art. 3 del regolamento CE n. 4 del 2009.
In questa pronuncia la vis attractiva dell’azione relativa alla responsabilità genitoriale risulta rafforzata ed ampliata con riferimento alle ipotesi alternative descritte nelle citate lettere c) e d). In particolare, la regola stabilita nella lettera c) secondo la quale il giudice dello Stato membro investito del vincolo coniugale ha competenza giurisdizionale anche in ordine alla domanda alimentare non trova applicazione con riferimento ai figli minori se vi sia un’autonoma azione riguardante la responsabilità genitoriale di cui sia investito un giudice di un altro stato membro.
L’opzione interpretativa della Corte di Giustizia restringe l’ambito applicativo della lett. c), stabilendo la prevalenza (con riferimento ai criteri di definizione della giurisdizione) della domanda relativa alla responsabilità genitoriale. La giustificazione della scelta ermeneutica risiede, come afferma espressamente la Corte di giustizia, “nella necessità di tenere conto, nell’interpretazione delle regole di competenza previste dall’art. 3, lett. c) e d) del regolamento n. 4 del 2009, dell’interesse superiore del minore. Ciò vale a maggior ragione ove si consideri che l’attuazione del regolamento n. 4 del 2009 deve avvenire conformemente all’art. 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, secondo cui in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente”.
Secondo la Corte di Giustizia, in conclusione, l’interesse preminente del minore si realizza nella tendenziale concentrazione di tutte le azioni giudiziarie che lo riguardano, quanto meno all’interno del conflitto familiare, presso il giudice dello stato membro cui deve essere attribuita, sulla base del criterio della residenza abituale, la competenza giurisdizionale in tema di responsabilità genitoriale (ove, come nella specie, una domanda rientrante in tale ambito concettuale sia stata proposta). La vicinanza o prossimità al luogo di residenza abituale del minore consentono una conoscenza “degli elementi essenziali per la valutazione della sua domanda”.
7.8 La parte ricorrente, pur condividendo, in astratto, l’affermazione relativa alla derivazione eurounitaria della nozione di accessorietà, perviene a conclusioni opposte a quelle della Corte d’Appello, valorizzando norme e principi tratti dai regolamenti CE inerenti alla fattispecie dedotta nel presente giudizio ritenute idonee ad impedirne la rigida applicazione.
In particolare viene affermata la prevalenza del forum conveniens, ovvero del luogo di più facile esecuzione del credito alimentare ed, infine, della vis attractiva della domanda risarcitoria.
Quanto al primo profilo critico deve osservarsi che l’art. 3 del regolamento CE n. 4 del 2009 indica alle lett. a) e b) due fori alternativi, ovvero il foro del convenuto e quello della residenza abituale del creditore, rimettendo al proponente la domanda di natura alimentare la scelta tra i due fori. Questa facoltà di scelta, tuttavia, non ha carattere assoluto, non potendo operare nelle ipotesi regolate dalle lett. c) e d) che, al contrario, contengono regole inderogabili di determinazione della giurisdizione, fondate sulla vis attractiva dell’azione sul vincolo e di quella sulla responsabilità genitoriale rispetto alle domande aventi ad oggetto crediti alimentari dei figli minori.
Solo escludendo il vincolo di accessorietà tra la domanda relativa all’esercizio della responsabilità genitoriale e quella riguardante gli obblighi alimentari paterni nei confronti dei figli minori, possono tornare ad essere applicabili i fori alternativi ma, come si è già ampiamente illustrato mediante l’esame della giurisprudenza della Corte di Giustizia, il giudizio sulla natura principale ed accessoria delle due domande, non costituisce una valutazione di merito, quantitativa o qualitativa (la preminenza delle domande di natura alimentare) come viene sollecitato dalla parte ricorrente, ma deve essere esclusivamente desunto dal parametro regolamentare così come interpretato e giustificato (in funzione del preminente interesse del minore) dalla Corte di Giustizia.
7.9 Del pari inapplicabile è l’art. 56 del medesimo regolamento. La norma non contiene alcuna regola inerente la giurisdizione ma indica le diverse modalità di proposizione di una domanda di recupero crediti alimentari allo scopo di facilitare l’attuazione del diritto. Tra queste modalità è prevista anche la modifica di una precedente pronuncia assunta in uno stato membro diverso da quello richiesto, ovvero un’ipotesi coincidente con quella formante oggetto del presente giudizio, ma tale inclusione non determina, come ritenuto dalla ricorrente, il superamento del vincolo di accessorietà tra la domanda principale (riguardante la responsabilità genitoriale) e le accessorie alimentari. Nè può indurre a superare l’applicazione della regola inderogabile di determinazione della giurisdizione applicabile alla fattispecie, l’art. 56, comma 4. Tale disposizione, sempre al fine di predisporre misure semplificative del recupero dei crediti alimentari stabilisce che le domande (alimentari) siano trattate conformemente alla legge dello stato membro e siano soggette alle norme sulla competenza ad esso applicabili, “salva diversa disposizione contraria del presente regolamento”. Anche questa norma, tuttavia, come tutto l’art. 56 non contiene alcuna indicazione relativa alla giurisdizione, riferendosi, alle regole interne della competenza di ciascuno Stato membro. Impedisce l’opzione interpretativa prospettata sia la collocazione sistematica della norma nel Capo VII, riguardante la cooperazione delle autorità centrali sia l’espressa clausola di salvaguardia delle disposizioni inderogabili e contrarie del regolamento quali quelle dettate in relazione alla determinazione della giurisdizione (art. 3, lettere c) e d)) ampiamente illustrate.
Infine, deve ritenersi irrilevante il richiamo al trentunesimo considerando del regolamento CE n. 4 del 2009 nella parte in cui avverte che le autorità centrali dovrebbero favorire l’esercizio del diritto agli alimenti facilitando le domande di riconoscimento, di dichiarazione di esecutività e di esecuzione di decisioni preesistenti. Il considerando trova applicazione nell’art. 56 sopra illustrato e, conseguentemente è ininfluente rispetto alla determinazione della giurisdizione. In conclusione, le domande relative al pagamento delle rette scolastiche e delle spese straordinarie, diverse dall’inadempimento degli obblighi di mantenimento dei minori già maturati, sono da assoggettare alla giurisdizione del giudice del Regno Unito.
8. Al riguardo, deve precisarsi che tale Stato ha presentato domanda di accettazione (cd. opt in) del Regolamento n. 4 del 2009 così come prescritto nel quarantesettesimo considerando, e la Commissione Europea si è espressa in senso favorevole con decisione 8/6/2009 n. 451.
9. Tra le domande di natura economica è contenuta anche quella proposta ex art. 709 ter c.p.c., ed avente ad oggetto l’accertamento dell’inadempimento degli obblighi di mantenimento dei minori e della ricorrente posti a carico del padre nella pronuncia sul vincolo e la responsabilità genitoriale ed il risarcimento dei danni non patrimoniali di cui all’art. 2059 c.c. (pag. 3 del ricorso, riproduzione delle conclusioni del giudizio di appello).
9.1 In ordine a questa specifica domanda non opera la relazione di accessorietà accertata per le altre domande di natura alimentare rivolte a regolare gli obblighi futuri dell’intimato e non l’inadempimento passato. E’ azionato il diritto (la causa petendi) al risarcimento del danno da fatto illecito consistente nella violazione degli obblighi di mantenimento giudizialmente posti a carico dell’intimato. La natura alimentare dell’obbligazione non adempiuta, peraltro non riguardante soltanto i minori, non incide sulla qualificazione giuridica della domanda la quale trova fondamento sull’accertamento di un fatto illecito. Non trova diretta applicazione il regolamento n. 4 del 2009 che, come espressamente specificato nella norma che ne definisce l’ambito di applicazione, riguarda le obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, parentela, matrimonio o di affinità. L’obbligazione che sorge da illecito è, invece, contenuta nel regolamento n. 44 del 2001 ratione temporis applicabile in quanto il nuovo regolamento UE n. 1215 del 2012 opera a partire dal 10 gennaio 2015 (art. 66). Alla luce del diritto Euro unitario, applicabile alla domanda di risarcimento del danno dedotta in giudizio, deve ritenersi esattamente radicata la giurisdizione presso il giudice italiano. Trova, infatti, applicazione l’art. 1 del regolamento n. 44 del 2001 che individua la giurisdizione in quella dello Stato membro ove il convenuto sia domiciliato. Le competenze speciali contenute nell’art. 5, che prevedono per l’illecito un foro alternativo non sono inderogabili, costituendo un’opzione rimessa alla parte attrice. Nel caso di specie il convenuto, ancorché irreperibile, risulta aver avuto l’ultima residenza conosciuta a (OMISSIS) e dalle ricerche effettuate in sede di notificazione del presente ricorso, non ne risulta un’altra neanche di fatto in luogo o stato diverso.
10. Nel quinto motivo viene dedotta l’omessa applicazione del combinato disposto del Reg. CE n. 44 del 2001 (artt. 2 e 3, art. 5, comma 2) e al considerando 9 del Reg. 2201 del 2003, in ordine alle misure relative ai beni immobili dei minori. La richiesta di autorizzazione all’alienazione non attiene alla protezione dei minori e pertanto non trova applicazione il Reg. 2201 del 2003. Nella specie trova applicazione il Reg. CE n. 44 del 2001 dal momento che il Regno Unito non partecipa all’adozione del Reg. n. 4 del 2009 nè è soggetto alla sua applicazione in virtù del rinvio operato dal Considerando n. 9 del regolamento n. 2201 del 2003 (cfr Considerando n. 47 del Reg. CE 4/2009).
10.1 La censura non merita accoglimento. L’ultimo rilievo è stato già disatteso (infra par. 8).
10.2 L’art. 1, comma 2, lettera e) del regolamento n. 2201 del 2003 include tra le materie che rientrano nella nozione di responsabilità genitoriale le misure di protezione legate all’amministrazione, alla conservazione ed all’alienazione di beni del minore. Il nono considerando precisa che non tutte le misure relative ai beni dei minori rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento e che devono essere escluse quelle non attinenti alla protezione del minore. Segue, tuttavia, nel considerando un’elencazione delle misure rivolte specificamente alla tutela del preminente interesse del minore che contempla espressamente quelle relative all’amministrazione, conservazione e alienazione dei beni del minore.
Non può pertanto condividersi l’assunto della parte ricorrente che ritiene di poter desumere proprio dal considerando l’esclusione dell’autorizzazione all’alienazione dei beni del minore dall’ambito di applicazione del regolamento. L’alienazione dei beni del minore può essere autorizzata, solo nel suo interesse, essendo sottoposta a controllo pubblico (tendenzialmente giudiziale) l’esercizio della responsabilità genitoriale e del potere di amministrazione e rappresentanza del minore proprio in funzione di questa esclusiva finalità. Anche per questa domanda, in quanto attinente all’esercizio della responsabilità genitoriale, la giurisdizione appartiene al giudice della residenza abituale del minore, non essendovi alcun collegamento, previsto dalla normativa Europea applicabile, con l’ubicazione dell’immobile.
11. Per quanto riguarda, infine, i dubbi e le criticità ermeneutiche sollevate in via subordinata nel ricorso, al fine di rimetterne l’interpretazione alla Corte di Giustizia, entrambe le questioni prospettate devono essere disattese.
11.1. In ordine alla prima, l’art. 12, comma 3, lett. b), del regolamento CE n. 2201 del 2003 richiede l’accettazione espressa o un’adesione manifestata in modo univoco della giurisdizione del giudice adito. Nella contumacia non può ravvisarsi alcuna delle due condizioni previste dalla norma, trattandosi di una condotta processualmente rilevante ai soli fini della valutazione dell’instaurazione del rapporto processuale ma non espressiva di alcun impegno di volontà o di attestazione di scienza. Nel caso di specie peraltro non è verificabile neanche la certa conoscenza del procedimento da parte del convenuto né nei gradi di merito, perché mancano allegazioni specifiche al riguardo, né in cassazione ove tale condizione può essere esclusa proprio dalle modalità di esecuzione della notificazione (ex art. 143 c.p.c.).
11.2 In ordine alla seconda, nella quale si chiede se il considerando n. 9 del regolamento CE n. 2201 del 2003 possa portare a ritenere applicabile tale disciplina normativa anche all’ipotesi in cui non vi sia conflitto tra i genitori per la contumacia del convenuto, deve rilevarsi che la mancata costituzione di una parte del giudizio non elimina la natura conflittuale di una controversia e che l’attribuzione congiunta della responsabilità genitoriale ad entrambi i genitori pone in rilievo la questione della necessità o di un’istanza congiunta o dell’assenso dell’altro genitore. In conclusione deve essere confermata la sentenza impugnata e dichiarata la giurisdizione del giudice del Regno Unito per tutte le domande proposte ad eccezione di quella avente ad oggetto l’accertamento dell’inadempimento pregresso agli obblighi di mantenimento dei figli minori e della ricorrente da parte del padre così come giudizialmente stabiliti nella sentenza del 26/10/2010 ed il conseguente risarcimento del danno.
L’accoglimento delle censure sia pure limitatamente, determina la cassazione della sentenza impugna, e trattandosi di decisione sulla giurisdizione il rinvio al Tribunale di Milano, in diversa composizione anche per le spese processuali del presente procedimento.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione.
Dichiara la giurisdizione del giudice italiano in ordine alla domanda di accertamento dell’inadempimento del sig. L. all’obbligo di pagare il contributo dovuto per il mantenimento dei figli minori e della moglie così come stabilito nella sentenza emessa a Lugano il 26/10/2010 e di condanna al risarcimento del danno conseguente.
Dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano in ordine a tutte le altre domande.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Milano anche per le spese del presente giudizio.

Anche quando i figli si trovano presso il genitore non collocatario il coniuge è tenuto al versamento dell’assegno di mantenimento in favore dell’altro

Cass. pen. Sez. VI – 14, 14 novembre 2017, n. 51913
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.M.E., n. ad (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22/6/2015 della Corte di appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Emilia Anna Giordano;
udita la richiesta del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dott. ROSSI Agnello, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito per il ricorrente l’avvocato Luigi Di Monaco, in sostituzione dell’avvocato Alessandro Traini, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Ancona, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la condanna di P.M.E. alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 500,00 di multa oltre al risarcimento dei danni in favore della ex coniuge costituita parte civile, S.B., liquidati nell’importo di Euro settemila, per il reato di cui allaL. 1 dicembre 1970, n. 898,art.12 sexies, come richiamato dallaL. 8 febbraio 2006, n. 54,art.3, fatto commesso in (OMISSIS). Sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla parte civile e delle ammissioni dell’imputato, la Corte di merito ha ritenuto acquisita la prova piena del mancato versamento dell’assegno di mantenimento del figlio minore, stabilito in sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio con provvedimento del 7 giugno 2008.
2. Con i motivi di ricorso, sottoscritti dal difensore di fiducia e di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., il ricorrente denuncia: 2.1 vizio di violazione di legge, in relazioneall’art. 649 cod. proc. pen., per la mancata declaratoria di proscioglimento poiché l’imputato aveva già riportato condanna per lo stesso reato commesso nel periodo intercorso tra il (OMISSIS). Tale omissione integra, altresì, la violazione degliartt. 133 cod. pen., in relazione alla pena applicata, e degliartt. 2043 e 2059 cod. civ.per l’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno in favore della parte civile; 2.2 vizio di violazione di legge, in relazione agliartt. 507 e 603 cod. proc. pen., per la mancata assunzione di una prova decisiva, cioè le dichiarazioni dell’unica persona offesa del reato, il figlio P.A., divenuto maggiorenne nelle more del processo, beneficiario dell’assegno di mantenimento e vizio di motivazione della sentenza impugnata, tenuto conto che la stessa parte civile aveva riferito come il ricorrente versava al figlio almeno trentacinque Euro a settimana provvedendo a sopportare le spese scolastiche, di vestiario e all’alloggio per più giorni alla settimana, mentre il figlio dimorava nella sua abitazione ed al quale non erano mai mancati i mezzi di sussistenza; 2.3 violazione di legge, in relazione agliartt. 237 e 603 cod. proc. pen., per la mancata assunzione di una prova decisiva, cioè una lettera che il figlio aveva consegnato all’imputato in occasione del Natale 2012, missiva prodotta dalla difesa, espunta dal fascicolo in primo grado conordinanza del 15 gennaio 2013e che la difesa aveva chiesto di acquisire in appello; 2.4 violazione di legge, in relazioneall’art. 570 cod. pen., L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies,artt. 2043 e 2049 cod. civ.in ordine alla individuazione della persona offesa dal reato, poiché la ex coniuge aveva agito in proprio e non quale esercente la potestà del minore P.A. da individuarsi quale unica persona offesa dal reato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere rigettato per la infondatezza, in più parti manifesta, dei motivi posti a fondamento della impugnazione.
2. Generico e manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso poiché non è dato evincere dal tenore letterale della contestazione ascritta al ricorrente che la data di commissione del reato di omesso versamento dell’assegno di mantenimento del figlio minore, individuato con riguardo alla data di presentazione della querela, debba retrodatarsi fino al (OMISSIS), data del provvedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di adozione dell’ordinanza con la quale veniva imposto al P. il pagamento dell’assegno, elementi che, secondo il tenore letterale della imputazione, indicano la fonte ed il contenuto dell’obbligo piuttosto che la durata dell’inadempimento. Tale durata, quindi la protrazione della condotta illecita, è stata precisata in dibattimento atteso che, come lo stesso ricorrente non ha mancato di rilevare, la persona offesa aveva indicato, nel corso della testimonianza le sue precedenti iniziative giudiziarie, e la difesa dell’imputato aveva prodotto la sentenza irrevocabile con la quale l’imputato era stato condannato per analogo reato, commesso nel periodo compreso tra il (OMISSIS). Premesso che, in tema di reato permanente, il divieto di un secondo giudizio riguarda la condotta delineata nell’imputazione ed accertata con sentenza, di condanna o di assoluzione, divenuta irrevocabile, rileva il Collegio che non viola il divieto di bis in idem la contestazione di una condotta proseguita oltre la data della contestazione oggetto della sentenza irrevocabile, giacché si tratta di “fatto storico” diverso non coperto dal giudicato e per il quale non vi è impedimento alcuno a procedere nel giudizio in corso.
3. Generica è, altresì, la deduzione difensiva che fa derivare dalla supposta violazionedell’art. 649 cod. proc. pen.la illegittimità della determinazione della pena inflitta al ricorrente e dell’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno, al cospetto della motivazione delle sentenze di merito incentrate sul giudizio di gravità della condotta, che non si risolve nella durata e protrazione dell’inadempimento, e nel danno morale cagionato dalla condotta omissiva piuttosto che della mera contabilizzazione delle somme non corrisposte.
4.E’, d’uopo, prima di affrontare gli ulteriori motivi di ricorso, che muovono dal comune, ed erroneo, rilievo che persona offesa dal reato di cui allaL. 1 dicembre 1970, n. 898, art. sexies, come richiamato dallaL. 8 febbraio 2006, n. 54,art.3, sia esclusivamente il figlio minore, svolgere una breve premessa con riguardo agli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 12 sexiesL. n. 898cit. rispetto al reato di cuiall’art. 570 cod. pen., comma 2, e alla individuazione del creditore della prestazione.
5.Questa Corte, con condivisibili affermazioni di principio, in presenza di contestazioni che hanno ad oggetto la mancata corresponsione dell’assegno fissato in sede di divorzio e finalizzato al mantenimento del figlio minore, ha chiaramente individuato quale sia l’elemento materiale del reato di cui all’art. 12 sexiesL. n. 898cit. ed ha precisato che tale delitto si configura per il semplice inadempimento dell’obbligo di corresponsione dell’assegno nella misura disposta dal giudice in sede di divorzio, prescindendo dalla prova dello stato di bisogno dell’avente diritto (ex multis, Sez. 6, n. 44086 del 14/10/2014, P., Rv. 260717). Diversamente, la norma del codice, prevede una sanzione per l’ipotesi che tale inadempimento concretizzi la mancanza di mezzi di sussistenza in danno del congiunto, individuando sia una sfera di soggetti passivi (i discendenti di età minore ovvero inabili al lavoro, per concentrare l’attenzione su tale tipologia di soggetti) e, dunque, senza alcuna distinzione tra figli minori di genitori separati e figli minori di genitori non separati, né tra figli minori di genitori divorziati e figli minori di genitori non divorziati, nonché una sfera di bisogni più ristretta (i mezzi di sussistenza, nozione quest’ultima oggetto di diffusa elaborazione giurisprudenziale), rispetto a quella protetta dal versamento dell’assegno fissato in sede di divorzio, che riguarda, quanto ai figli, il diritto al mantenimento e che include anche il diritto del creditore a mantenere lo stesso livello di vita. Ne consegue che le condotte di cuiall’art. 570 cod. pen., comma 2, n. 2 e quella di cui all’art. 12 sexiesL. n. 898cit. sono del tutto autonome, venendo a realizzarsi l’ipotesi previstadall’art. 570 cod. pen., comma 2, n. 2, quando, dal mancato pagamento dell’assegno, consegua addirittura la privazione dei mezzi di sussistenza e che in tale fattispecie di reato, quando dalla condotta omissiva discenda anche la mancanza dei mezzi di sussistenza ai figli minori, risulta assorbita quella prevista dall’art. 12 sexiesL. n. 898cit. (Sez. 6, n. 44629 del 17/10/2013, B., Rv. 256905). Univoca, peraltro è la funzione assistenziale degli obblighi civili che sorgono dallaL. n. 898 del 1970, in favore dell’ex coniuge e dei figli, valorizzata dalla giurisprudenza di legittimità che, esaminando la problematica della natura permanente del reato di cui alla cit.L. n. 898 del 1970,art.12 sexies, pure a fronte della incriminazione diretta del mero singolo inadempimento, ne ha valorizzato la loro “affinità sistematica e strutturale” con le fattispecie oggetto dei due commidell’art. 570 cod. pen., proseguendo lungo la linea interpretativa tratteggiata con la sentenza n. 472 del 1989 dalla Corte Cost., sent. n. 472 del 1989, investita della questione di illegittimità della nuova fattispecie incriminatrice.
6. Proprio a tale pronuncia del giudice delle leggi è opportuno fare richiamo onde individuare la ratio del trattamento sanzionatorio delle condotte di inadempimento oggetto dell’art. 12 sexiesL. n. 898cit. che, fin da tale risalente sentenza, è stata ricondotta alla necessità di assicurare adeguata tutela penale, in vista della maggior tutela del soggetto debole, agli aspetti patrimoniali del divorzio attraverso la rielaborazione dellaL. 6 marzo 1987, n. 74,artt.5e6e che ha, appunto, introdotto la fattispecie delittuosa, del tutto nuova, consistente nel sottrarsi all’obbligo di corrispondere quanto dovuto a norma degli artt. 5 e 6 (assegno di divorzio e assegno di mantenimento relativo ai figli) rinviando, per la sanzione,all’art. 570 cod. pen..Il Legislatore del 1987, si osserva nella sentenza da ultimo richiamata, ha formulato l’art. 12-sexies in termini tali da ricomprendere nella nuova previsione incriminatrice, accanto all’assegno di divorzio, anche l’assegno di mantenimento relativo ai figli, quasi conglobandolo in un tutt’uno con l’altro, cosi da assicurargli un’ulteriore tutela rispetto a quella già esistente. E’ stato, altresì chiarito che la destinazione dell’assegno di mantenimento ai figli minori (v.L. n. 898 del 1970,art.6, comma 11, nel testo novellato ad opera dellaL. n. 74 del 1987,art.11) non sta a significare che sono essi i creditori della relativa prestazione. Creditore di quest’ultima è da intendersi pur sempre – allo stesso modo di quanto avviene nei casi di separazione, peraltro regolati in propositodall’art. 155 del codice civile-, il coniuge affidatario. Nel sanzionare il comportamento di chi si sottrae all’obbligo di corrispondere l’assegno dovuto a norma dell’art. 6, l’art. 12 sexies tutela, dunque, un’ulteriore posizione creditoria dell’altro coniuge, che, sia pur destinata al preciso scopo di contribuire al mantenimento dei figli e, quindi, finalizzata a soddisfare le loro esigenze, si aggiunge alla posizione creditoria sottostante all’assegno dovuto a norma dell’art. 5: il chè vale pure a spiegare l’impiego del singolare nella formula assegno dovuto a norma degli artt. 5 e 6, come se si trattasse di un tutt’uno, conformemente, del resto, alla riconosciuta prassi di liquidare in un unico ammontare complessivo i contributi disposti dal giudice civile a favore del coniuge e della prole, salva, beninteso, la diversità dei rispettivi presupposti e dei relativi criteri di determinazione, anche, se non soprattutto, a fini fiscali.
6.In linea con tale impostazione, in materia civile, si è affermato che il genitore separato (o divorziato), cui il figlio sia stato affidato durante la minore età, continua, pur dopo che questi sia divenuto maggiorenne, ma coabiti ancora con lui e non sia economicamente autosufficiente, ad essere legittimato iure proprio, in assenza di un’autonoma richiesta da parte dello stesso, a richiedere all’altro genitore tanto il rimborso, pro quota, delle spese già sostenute per il mantenimento del figlio, quanto il versamento di un assegno periodico a titolo di contributo per detto mantenimento (Sez. 1, Sentenza n. 4188 del 24/02/2006, Rv. 590762 – 01), affermazione vieppiù ribadita attraverso quel principio in cui si afferma che il genitore separato o divorziato tenuto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l’altro genitore, non può pretendere, in mancanza di una specifica domanda del figlio, di assolvere la propria prestazione nei confronti di quest’ultimo anziché del genitore istante. Invero, anche a seguito dell’introduzione dell’art. 155 quinquies cod. civ. ad opera dellaL. 8 febbraio 2006, n. 54, sia il figlio, in quanto titolare del diritto al mantenimento, sia il genitore con lui convivente, in quanto titolare del diritto a ricevere il contributo dell’altro genitore alle spese necessarie per tale mantenimento, cui materialmente provvede, sono titolari di diritti autonomi, ancorchè concorrenti, sicchè sono entrambi legittimati a percepire l’assegno dall’obbligato. (Sez. 1, Sentenza n. 25300 del 11/11/2013, Rv. 628819 – 01).
7. Il necessario precipitato logico di tale inquadramento, in presenza di inadempimento che ha ad oggetto la mancata corresponsione dell’assegno fissato in sede di divorzio e finalizzato al mantenimento del figlio minore convivente con l’altro genitore, è che il creditore della prestazione non è solo il figlio minore, in quanto titolare del diritto al mantenimento, ma anche il genitore con lui convivente in quanto titolare del diritto a ricevere il contributo dell’altro genitore alle spese necessarie per tale mantenimento cui materialmente provvede e che è pertanto titolare di un autonomo, ancorché concorrente, diritto dal momento che sopporta l’onere del mantenimento di un soggetto economicamente incapiente, perché minore.
8. Ne consegue la infondatezza del motivo di ricorso illustrato al punto 2.4 del Ritenuto in fatto, poiché correttamente la ex coniuge dell’imputato, madre convivente del minore beneficiario dell’assegno di mantenimento, è stata individuata quale soggetto legittimato alla costituzione di parte civile in quanto persona offesa dal reato e, pertanto, destinataria della condanna al risarcimento del danno.
9. Dal rassegnato inquadramento discende, altresì, la manifesta infondatezza e la genericità del secondo e del terzo motivo di ricorso sia nella parte in cui il ricorrente lamenta la mancata acquisizione della prova costituita dalle dichiarazioni rese dal figlio ovvero dalla lettera che costui gli avrebbe inviato in occasione del Natale del 2012 sia nella parte in cui deduce che al minore non erano mai mancati i mezzi di sussistenza e, a giustificazione dell’inadempimento, l’allegazione di avere sostenuto spese di mantenimento del figlio allorquando questi dimorava con lui.
10. Esula, per quanto già evidenziato, dagli elementi costitutivi della fattispecie in esame, qualsivoglia valutazione dello stato di bisogno dell’avente diritto e dell’avere fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio minore né l’inadempimento è escluso dall’avere sopportato le spese di mantenimento del figlio quando questi dimorava nell’abitazione paterna. Come osservato dalla giurisprudenza civile il contributo al mantenimento dei figli minori, quantificato in una somma fissa mensile in favore del genitore affidatario, non costituisce, in mancanza di diverse disposizioni, il mero rimborso delle spese sostenute da quest’ultimo nel mese corrispondente, bensì la rata mensile di un assegno annuale determinato, tenendo conto di ogni altra circostanza emergente dal contesto, in funzione delle esigenze della prole rapportate all’anno. Da ciò deriva che il genitore non affidatario non può ritenersi sollevato dall’obbligo di corresponsione dell’assegno per il tempo in cui i figli, in relazione alle modalità di visita disposte dal giudice, si trovino presso di lui ed egli provveda in modo esclusivo al loro mantenimento (Sez. 1, Sentenza n. 18869 del 08/09/2014, Rv. 632192 – 01). A ciò, deve aggiungersi il rilievo che la natura assistenziale dell’obbligo – il cui corretto adempimento consiste nella dazione (messa a disposizione del minore) della somma, nella qualità e nel valore fissato dal giudice – comporta, di necessità, l’apprestamento solo ed esclusivamente di quel bene o di quel valore che il giudice della separazione o del divorzio ha ritenuto di determinare, nel dialettico confronto delle parti e nel superiore interesse del soggetto debole, oggetto di tutela privilegiata non essendo in facoltà dell’obbligato sostituire la somma di denaro, mensilmente dovuta a tale titolo, con “cose” o “beni” che, a suo avviso, meglio corrispondono alle esigenze del minore beneficiario: l’utilizzo in concreto della somma versata compete infatti al coniuge affidatario il quale, proprio per tale sua qualità, gode in proposito di una limitata discrezionalità, principio che, affermato in relazione al reato di cuiall’art. 570 cod. pen., comma 2, (Sez. 6, n. 8998 dell’11/2/2010, B.C.M. en. 2307 del 29/5/2014, P, non massimate sul punto) può estendersi, in ragione della comune natura assistenziale dell’obbligo, anche al reato in esame.
11.Manifestamente infondati si appalesano dunque il terzo e quarto motivo di ricorso sia perché, a fronte di tale ricostruzione concettuale, non appare decisiva l’acquisizione delle dichiarazioni del minore ovvero della sua lettera, essendo risultato pacifico che l’imputato non ha adempiuto al versamento dell’assegno di mantenimento, prestazione, come detto, infungibile, sia perché, con specifico riguardo alle dichiarazioni del figlio, la cui escussione veniva sollecitata in primo grado ai sensidell’art. 507 cod. proc. pen., la mancata assunzione di una prova decisiva – quale motivo di impugnazione per cassazione – può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a normadell’art. 495 cod. proc. pen., comma 2, sicché il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cuiall’art. 507 cod. proc. pen.e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 2, n. 9763 del 06/02/2013 – dep. 01/03/2013, Pg in proc. Muraca e altri, Rv. 254974).
12.Segue al rigetto del ricorso la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il genitore collocatario che si trasferisce con il figlio minore all’estero, nonostante il rifiuto dell’altro genitore, viola l’art. 3 della Convenzione dell’Aja avendo commesso l’illecito del mancato rientro del minore presso il luogo di residenza abituale

Cass. civ. Sez. I, 13 ottobre 2017, n. 24173
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
SENTENZA
sul ricorso 9624/2016 proposto da:
B.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via Ugo De Carolis n.101, presso lo studio dell’avvocato Minoprio Eleonora, rappresentata e difesa dall’avvocato Cossar Laura, giusta procura a margine dell’atto di nomina di nuovo difensore;
– ricorrente –
contro
C.E., Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Milano;
– intimati –
avverso il decreto del TRIBUNALE PER I MINORENNI di MILANO, depositata il 16/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/07/2017 dal cons. ACIERNO MARIA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato L. Cossar che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
C.E. ha proposto istanza di rimpatrio del figlio minore () ed il procedimento si è aperto su ricorso del p.m., secondo quanto stabilito dalla Convenzione dell’Aja del 25/10/80 ratificata con L. n. 64 del 1994.
Il ricorrente ha dichiarato di essere stato coniugato con B.M. e di aver avuto da lei il figlio minore T.; di aver divorziato il 20/1/2015.
Il provvedimento divorzile aveva stabilito l’affido condiviso del minore con prevalente collocamento presso la madre ed una precisa regolamentazione degli incontri padre – figlio.
La ex moglie, nell’agosto 2015, si era recata in Italia con il figlio minore ed aveva deciso di non far ritorno negli USA contro il volere del ricorrente al quale era impedita anche la possibilità d’incontrare il figlio.
Nel giudizio si è costituita la B..
Il Tribunale per i minorenni ha accolto la domanda su conforme richiesta del p.m. sulla base delle seguenti argomentazioni:
il diritto di custodia del padre è stato violato in quanto l’autorità giudiziaria USA ha disposto l’affido congiunto ad entrambi i genitori, attribuendo alla madre l’affidamento fisico primario;
il piano di consenso genitoriale permanente conteneva espressamente al punto g) l’obbligo per il genitore che intendesse trasferirsi all’estero di rispettare un onere di notifica all’altro genitore, tenuto a comunicare il proprio eventuale dissenso. In questo ultima evenienza il genitore collocatario non aveva il diritto di trasferire il minore dagli Stati Uniti senza un ordine del tribunale.
– la corrispondenza intercorsa tra le parti è risultata inequivoca nel senso del dissenso paterno al trasferimento in Italia del minore;
– le giustificazioni fornite dalla madre non sono sostenute da situazioni fattuali concrete;
– sussiste, in conclusione, la sottrazione internazionale, essendo fuori discussione che la residenza abituale del minore sia negli USA, dove il minore è nato ed ha sempre abitato, radicandovi relazioni sociali, culturali ed amicali;
non sussistono le circostanze ostative previste dall’art. 13, lett. b), della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, ratificata con L. n. 64 del 1994 consistenti nel fondato rischio per il minore di trovarsi esposto, una volta rientrato nel suo paese di residenza, a pericoli fisici e psichici o comunque di trovarsi in una condizione intollerabile;
– il minore appare infatti emotivamente spossato (come da allegata documentazione medica) per una situazione poco serena e confusiva ma ciò dipende, secondo il Tribunale, dalla decisione unilaterale materna di trasferirlo in Italia e dalle conseguenti dinamiche conflittuali;
– il minore è stato esposto ad un brusco cambiamento di vita di abitudini e di lingua;
– proprio per l’esigenza di sottrarlo a situazioni emotivamente stressanti il tribunale non ritiene opportuna l’audizione pur se richiesta dalla madre, perché tale audizione esporrebbe il minore ad un pericoloso conflitto di lealtà. – non risultano situazioni pregiudizievoli per il minore relative all’intollerabilità della vita negli Stati Uniti o alla condotta paterna.
– è stato rigettato dal giudice degli Stati Uniti l’ordine di protezione richiesto dalla B., non essendo stati riscontrati metodi educativi pregiudizievoli per il minore derivanti da condotte paterne.
– il dedotto rischio di future iniziative volte ad impedire ogni rapporto con la madre riguardano il regime di affidamento e non l’oggetto del presente giudizio.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la B., accompagnato da memoria ex art. 378 c.p.c..
Non ha svolte difese l’intimato.
Nell’udienza pubblica del 30 marzo 2017, su richiesta del difensore della ricorrente, è stato disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo assegnando alla parte il termine di trenta giorni per il deposito dell’avviso di ricevimento della notificazione del ricorso.
Si dà atto che alla successiva udienza pubblica del 14 luglio 2017 è stato depositato il predetto avviso di ricevimento, da cui si constata la tempestività del ricorso.
Motivi della decisione
Nel primo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 1, 3, 5, 8 della Convenzione dell’Aja del 25/10/80 ratificata con L. n. 64 del 1994 per non avere il Tribunale considerato che il C. era stato informato del viaggio ed è stato costantemente tenuto al corrente delle decisioni relative alla permanenza in Italia del figlio. Ciò era del tutto lecito alla luce della primaria custodia “fisica” del figlio attribuita alla madre, mentre l’ex marito aveva solo il diritto di visita.
La ricorrente, pertanto, aveva solo obblighi di comunicazione del suo allontanamento non potendo neanche ritenersi che fosse definitivamente rientrata in Italia, avendo solo prolungato la permanenza. Il figlio è stato sempre in contatto con il padre.
Il diritto di custodia determina la libertà di decidere anche l’allontanamento del minore dalla residenza abituale non potendo limitarsi la libertà personale dei genitori titolari di tale diritto.
L’ordine di rimpatrio ha stravolto le condizioni relative al minore contenute nel provvedimento divorzile.
Nel secondo motivo viene dedotta ex art. 360 c.p.c., n. 4 la nullità della sentenza per non aver disposto l’ascolto di T. e viene formulata censura anche ex art. 360 c.p.c., n. 3 per non aver disposto consulenza tecnica d’ufficio sui rischi e i pregiudizi derivanti dal rientro del minore stesso negli USA. Era stato documentato il suo grave disagio psicologico e c’era, al riguardo un preciso obbligo di accertamento.
La motivazione del non ascolto è contraddittoria ed incongrua perché pur riconoscendo le criticità lamentate nel minore le attribuisce esclusivamente alla condotta della madre senza accertarne le cause e l’entità attraverso l’ascolto e/o mediante indagine peritale.
Preliminarmente si deve rilevare che le vicende sopravvenute alla sentenza impugnata non possono formare oggetto dell’esame rimesso a questa Corte. Potranno, ove ne ricorrano le condizioni di legge, essere posti a base di successivi accertamenti giudiziali relativi al regime giuridico più adeguato di affidamento del figlio minore delle parti. Il giudizio relativo alla sottrazione internazionale del minore è strettamente vincolato all’accertamento delle condizioni di legge per il riscontro della condotta illecita così come descritta nella Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 ratificata con la L. n. 64 del 1994 e non può estendersi alla valutazione critica del regime di affidamento del minore stabilito concordemente dalle parti o fissato in un provvedimento giudiziale.
Il primo motivo è infondato. Nella pronuncia impugnata è stato svolto un accertamento specifico sul regime di affidamento applicabile al figlio minore delle parti non contestato sotto il profilo descrittivo, dalla parte ricorrente, la quale, tuttavia, fa discendere da tale regime un proprio diritto di trasferirsi in Italia con il figlio senza limiti temporali secondo il proprio unilaterale intendimento.
Tale conclusione è palesemente priva di fondamento.
Il minore è stato affidato congiuntamente ad entrambi i genitori con custodia primaria alla madre presso la quale è collocato. Il piano di consenso genitoriale permanente allegato alla sentenza prevede l’obbligo espresso per il genitore che intenda trasferirsi all’estero di rispettare un onere di notifica all’esito del quale l’altro genitore può far valere il suo dissenso. In questa ipotesi il trasferimento può avvenire soltanto con un provvedimento giudiziale.
Con accertamento di fatto insindacabile il Tribunale ha rilevato che il padre aveva manifestato apertamente e inequivocamente il suo dissenso ad un trasferimento sine die. Il differimento reiterato del rientro era stato fondato su ragioni non sostenute da prove ed era avvenuto contro il volere dell’altro genitore.
Deve, conseguentemente, escludersi che non vi sia stata violazione del regime di custodia del minore nella decisione attuata integrante il mancato rientro del minore negli USA secondo quanto concordato o comunque consentito dal padre. La custodia affidata alla ricorrente alla luce della ricostruzione del regime di affidamento del minore non prevedeva il potere di trasferimento del minore su decisione unilaterale del genitore collocatario.
Ne consegue la piena integrazione della fattispecie astratta contenuta nell’art. 3 della Convenzione, essendosi nella specie consumato un illecito mancato rientro del minore presso il luogo di residenza abituale, da individuarsi incontestabilmente negli Stati Uniti.
La seconda censura è inammissibile. Non ricorre la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 perché il Tribunale per i minorenni non ha omesso di pronunciarsi sull’ascolto del merito. Non ricorre il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3 e, sotto questo profilo la censura deve ritenersi inammissibile dal momento che l’omesso espletamento di consulenza tecnica d’ufficio e le ragioni poste a base della decisione di non procedere all’ascolto possono essere astrattamente incluse soltanto nella censura contenuta nell’art. 360 c.p.c., n. 5. Rispetto a quest’ultimo parametro tuttavia, deve rilevarsi che il Tribunale ha fornito ampia spiegazione sia dell’omesso ascolto che della non necessità di un’indagine tecnica, rilevando che la condizione di stress emotivo del minore aveva causa proprio della pervicace conflittualità genitoriale e che la documentazione medica prodotta era del tutto sufficiente a tracciare la situazione psichica del minore. Si tratta di un accertamento di fatto del tutto insindacabile in sede di giudizio di legittimità in quanto relativa alla sufficienza dei riscontri allegativi e probatori.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
La mancata costituzione dell’intimato esclude la necessità di una statuizione relativa alle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
In caso di diffusione omettere generalità e riferimenti geografici.

Risponde del reato di cui all’art. 731 c.p. il genitore che non consente al figlio minore l’istruzione scolastica

Cass. pen. Sez. III, 7 novembre 2017, n. 50624
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI SALERNO;
nei confronti di:
H.M., nata in (OMISSIS) il (OMISSIS);
L.S., nato in (OMISSIS) il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 02/11/2016 del Giudice di Pace di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa DI STASI Antonella;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BALDI Fulvio, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 2.11.2016, il Giudice di Pace di Salerno, pronunciando nei confronti di H.M. e L.S. – imputati dal reato di cuiall’art. 731 cod. pen.- per aver omesso senza giustificato motivo di impartire l’istruzione scolastica al figlio minore L.S.C. presso l’istituto scolastico “(OMISSIS)” di (OMISSIS) per l’anno scolastico 2012/2013 – dichiarava non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso immediato per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Salerno, chiedendone l’annullamento ed articolando un unico motivo con il quale deduce violazione degliartt. 157 e 158 cod. pen., argomentando che il reato contestato ha natura di reato permanente e, pertanto, cessata la permanenza con l’ultimo giorno di scuola dell’anno scolastico 2012/2013 (8 giugno) da tale data doveva decorrere il termine prescrizionale che spirerebbe nel giugno 2017.

Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
2. Erroneamente la decisione impugnata ha rilevato la prescrizione del reato contestato agli imputati.
Va osservato che la contravvenzione di cuiall’art. 731 cod. pen., relativa alla inosservanza dell’obbligo dell’istruzione elementare dei minori da parte dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, ha carattere permanente, poiché la condotta omissiva si protrae per tutta la durata dell’anno scolastico e la permanenza del reato può farsi cessare con l’adempimento dell’obbligo (Sez. 3, n. 12500 del 08/10/1985, Rv. 171457).
Pertanto, tenuto conto che la contestazione è relativa all’anno scolastico 2012/2013, il termine massimo prescrizionale quinquennale, ai sensi degliartt. 157 e 160 cod. pen., maturerà nel giugno 2018.
3. La sentenza impugnata va, quindi, annullata con rinvio al Tribunale di Salerno per nuovo giudizio, ai sensi del dispostodell’art. 569 c.p.p., comma 4.
Il giudice del rinvio valuterà anche quale sia l’obbligo scolastico inosservato (nulla emergendo in proposito dagli atti processuali trasmessi a questa Suprema Corte), tenendo conto del principio di diritto secondo il quale la contravvenzione di cuiall’art. 731 cod. pen., secondo la normativa vigente a seguito dell’abrogazione dellaL. 31 dicembre 1962, n. 1859,art.8, ad opera delD.Lgs. 13 dicembre 2010, n. 212, è configurabile solo in caso inosservanza dell’obbligo di istruzione elementare.
In particolate, si è affermato che con l’entrata in vigore delD.Lgs. 13 dicembre 2010, n. 212(intitolato “Abrogazione di disposizioni legislative statali, a norma dellaL. 28 novembre 2005, n. 246,art.14, comma 14-quater”) e in particolare dell’allegato I, parte 52, laL. n. 1859 del 1962,art.8è venuta, infatti, meno la previsione che consentiva di estendere l’ambito applicativodell’art. 731 cod. pen.anche alla violazione dell’obbligo scolastico della scuola media inferiore. Attualmente, dunque, laL. 28 marzo 2003, n. 53,art.2, lett. c), stabilisce l’obbligo scolastico per almeno dodici anni a partire dalla iscrizione alla prima classe della scuola primaria (già scuola elementare) o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età; e, tuttavia, nessuna norma penale punisce l’inosservanza dell’obbligo scolastico della scuola media anche inferiore (così Sez. 7, ord. n. 29439 del 22/11/2015, P.G. Potenza in proc. Sabatino, non massimata), sicché l’eventuale estensionedell’art. 731 cod. pen.a detta ipotesi si risolverebbe in un’inammissibile interpretazione analogica in malam partem (Sez. 3, n. 4520 del 06/12/2016, dep. 31/01/2017, Rv. 268951; Sez. 3, n. 4523 del 06/12/2016, dep. 31/01/2017, Rv. 269266).

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Salerno.