Intrattenere conversazioni a sfondo sessuale sul web con una ragazzina configura il reato di adescamento di minore

Cass. Pen., Sez. III, Sent., 29 marzo 2022, n. 11305; Pres. Lapalorcia, Rel. Cons. Macrì
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente –
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere –
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere –
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
E.V., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 14/04/2021 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ubalda Macrì;
letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratole Generale Dott. BALDI
Fulvio, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso, letta la memoria dell’avv. F. S., per
la parte civile che si è riportata alle conclusioni scritte e alla nota spese.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 14 aprile 2021 la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza in data
25 marzo 2019 del Tribunale di Torino che aveva condannato l’imputato alle pene di legge con il
beneficio della sospensione condizionale per il reato di adescamento di minorenni.
2. L’imputato presenta cinque motivi di ricorso.
Con il primo lamenta la reformatio in pejus perchè la Corte territoriale aveva applicato le pene
accessorie non comminate in primo grado.
Con il secondo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione perchè mancava il dolo
specifico e ricorreva invece la scriminante dell’ignoranza della minore età.
Con il terzo denuncia la violazione di legge, il vizio di motivazione e l’inesistenza della prova delle
condotte tipiche perchè non aveva usato espressioni carezzevoli o adulatorie.
Con il quarto eccepisce la violazione di legge e l’inesistenza della motivazione in merito ai reati fine.
Non vi era stata trasmissione di foto nè vi erano stati appuntamenti nè egli conosceva il domicilio
della persona offesa.
Con il quinto denuncia la violazione di legge con riferimento all’inutilizzabilità delle dichiarazioni
della minore che aveva subito pressioni e suggestioni allorchè era stata sentita.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il primo motivo non ha alcun pregio dal momento che le pene accessorie applicate sono previste dalla
legge e obbligatorie (Cass., Sez. 2, n. 15806 del 03/03/2017, Santese, Rv. 269864-01).
Il secondo, il terzo e il quarto motivo attengono all’accertamento di responsabilità che è stato condotto
dai Giudici con massimo scrupolo. E’ emerso dall’istruttoria dibattimentale che la minore di anni 10,
nel giocare sul web a “(OMISSIS)”, si era imbattuta nell’imputato con cui aveva intrattenuto delle
conversazioni a sfondo sessuale. L’uomo, che la chiamava con vezzeggiativi e la blandiva con
lusinghe, le aveva chiesto di scaricare degli applicativi per la trasmissione delle foto, perchè la voleva
vedere nuda, cosa che la persona offesa non aveva fatto. Il padre della minore aveva scoperto la chat
grazie al controllo periodico del suo cellulare e aveva subito denunciato i fatti consentendo agli
inquirenti di risalire all’imputato.
A differenza di quanto dedotto dalla difesa, i Giudici hanno puntualmente individuato i reati fine che
l’uomo intendeva commettere, dagli atti sessuali all’acquisizione di materiale pedopornografico, e
hanno ben delineato il dolo specifico della condotta (Cass., Sez. 3, n. 17373 del 31/01/2019, P., Rv.
27594601).
Inoltre, hanno ritenuto pienamente credibile la minore anche con riferimento alla circostanza di aver
comunicato all’imputato la sua età. Gli argomenti spesi dalla difesa sono generici e fattuali e non
valgono a disarticolare il ragionamento dei Giudici.
In particolare, il quarto motivo solleva una questione non congruente con il reato contestato,
considerato che l’adescamento si consuma proprio perchè non sono configurabili i reati sessuali più
gravi indicati nell’art. 609-undecies c.p.
Inconsistente è anche il quinto motivo che non si confronta con l’analisi contenuta in sentenza secondo
cui l’operante di polizia giudiziaria aveva interrogato la bambina alla presenza dello psicologo con
modalità corrette che non avevano compromesso la genuinità della testimonianza.
Dal racconto erano emerse difficoltà e vergogna, comprensibili per l’età della dichiarante e per
l’oggetto imbarazzante della deposizione. Tale contegno non aveva inciso nè sull’utilizzabilità della
prova – il verbale delle dichiarazioni era stato acquisito su accordo della difesa – nè sull’attendibilità
poichè il narrato aveva trovato riscontri esterni nel racconto del padre della bambina e nelle
conversazioni che era stato possibile recuperare.
Pertanto, non vi è alcun elemento per ritenere che la persona offesa sia stata suggestionata o indotta
a rendere dichiarazioni compiacenti.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere
dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di
sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e
considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
L’imputato è condannato altresì al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile
ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 541 c.p.p. e D.P.R. 30 maggio 2002, n.
115, art. 110. Tali spese vanno liquidate dal Giudice che ha pronunciato la sentenza passata in
giudicato a mezzo del decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 82 e 83,
come stabilito dalle Sez. U. n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760-01.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla
rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile
ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di
Torino con separato decreto di pagamento ai sensi D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 82 e 83,
disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Motivazione semplificata.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a
norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2022.

Relazione extraconiugale e addebito della separazione

Cass. Civ., Sez. VI – 1, Ord., 17 marzo 2022, n. 8750 – Pres. Parise, Rel. Cons. Caradonna
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PARISE Clotilde – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 32049/2020 proposto da:
P.S., rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso per cassazione, dall’Avv. M.P.;
– ricorrente –
e:
M.P., rappresentato e difeso, disgiuntamente e congiuntamente, dall’Avv. R.S. e dall’Avv. E.R., giusta
procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di ANCONA, n. 1197/2020, pubblicata in data 11 novembre
2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 15 febbraio 2022
dal consigliere Lunella Caradonna.
Svolgimento del processo
che:
1. Con sentenza dell’11 novembre 2020, la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto
avverso la sentenza del Tribunale di Ancona n. 442/2020 del 10 marzo 2020, che aveva pronunciato
la separazione dei coniugi M.P. e P.S., con addebito a quest’ultima, disponendo l’affido condiviso dei
due figli minorenni, F. e G., con collocamento presso la madre e stabilendo un obbligo contributivo
di mantenimento a carico del padre pari ad Euro 500,00 mensili, oltre al concorso nella misura del
50% per spese straordinarie.
2. La Corte d’appello, per quel che rileva in questa sede, ha affermato che le risultanze processuali
acquisite evidenziavano l’esistenza di una relazione extraconiugale della P. riferibile quantomeno al
2014, come riscontrato dal fatto che l’appellante si era recata in Comune dichiarando che avrebbe
ospitato per circa un mese il cittadino algerino B.S. e dalle manifestazioni di gelosia espresse nei di
lui confronti in alcuni scritti contenenti manifestazioni che evidenziavano la sussistenza di un legame
affettivo tra i due, nonchè dalle dichiarazioni della figlia G. alle insegnanti sulla vacanza programmata
dalla mamma in compagnia di un fidanzato e dal reperimento di un’unità immobiliare in locazione
con versamento di cauzione; i giudici di secondo grado hanno, poi, confermato la sussistenza
dell’addebito e la sua efficacia causale sulla separazione sia sul piano cronologico, che su quello
logico, difettando la prova di una intollerabilità della convivenza in data antecedente al
comportamento assunto dalla P. in violazione dei suoi doveri coniugali.
3. P.S. ricorre in cassazione con atto affidato a due motivi.
4. M.P. ha depositato controricorso.
5. Il ricorso è stato assegnato all’adunanza in Camera di consiglio non partecipata del giorno 15
febbraio 2022 ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
Motivi della decisione
che:
1. Con il primo motivo si deduce che la Corte d’appello aveva omesso di valutare il fatto decisivo
correlato alle violenze e alle vessazioni derivanti dall’etilismo di M.P. risultante nel decreto emesso
in sede di udienza preliminare del G.I.P. del Tribunale di Ancona del 30 maggio 2017, da cui si evince
che la crisi della relazione coniugale era iniziata nel 2013, e del decreto del Tribunale dei Minorenni
delle Marche del 28 aprile 2016, che attesta che lo stesso M. aveva ammesso l’abuso di alcool ai
Servizi Sociali.
1.1 Il motivo è inammissibile.
1.2 Ed invero, le censure si appalesano aspecifiche, poichè non si confrontano con il contenuto del
provvedimento impugnato, che, lungi dal non esaminare le violenze e i maltrattamenti posti in essere
dal marito nei suoi confronti fin dal 2013, li esamina specificamente, affermando, con un iter
argomentativo, che non è stato adeguatamente censurato, che le violenze e i maltrattamenti
risultavano smentiti sia dall’avvenuta assoluzione in sede penale dalle accuse (e che, al riguardo, non
appariva affatto decisivo il rilievo che l’assoluzione fosse avvenuta con formula dubitativa e ciò in
disparte l’affermazione di controparte che l’assoluzione fosse stata pronunciata con formula piena, ai
sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 1), sia dal difetto di qualsiasi accertamento che potesse dare credito
all’assunzione di bevande alcoliche da parte del M., sia in quanto la crisi coniugale appariva
difficilmente collocabile nell’anno 2013, dato che proprio quell’anno (il 21 luglio 2013) la coppia, già
coniugata civilmente, aveva celebrato il matrimonio religioso.
1.3 Rileva anche un difetto di autosufficienza delle censure, laddove la ricorrente richiama il decreto
del Tribunale dei Minorenni delle Marche del 28 aprile 2016, del quale, tuttavia, non viene riportato
analiticamente il contenuto.
Ed invero, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, prescritto, a pena di
inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto
della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi
dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara funzionale alla piena
valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di
cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di
verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti
prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta
quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (Cass., 4 ottobre 2018, n. 24340).
La doglianza si risolve, dunque, nella prospettazione di un vizio di motivazione non coerente con il
paradigma attualmente vigente ai sensi dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonché volta ad una nuova
valutazione dei fatti e delle risultanze istruttorie, non ammissibile in questa sede.
2. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 143 c.c., comma 2, in
quanto non configurava la violazione dell’obbligo di fedeltà l’avere allacciato una corrispondenza
epistolare e via chat con altro soggetto, dovendosi intendere per adulterio una relazione affettiva reale
e non virtuale, fatta di incontri e di effusioni che nella specie non vi erano stati.
2.1 Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
2.2 E’ infondato nella parte in cui afferma che è ius receptum che per adulterio deve intendersi una
relazione affettiva reale e non virtuale, dovendosi richiamare sul punto la giurisprudenza di questa
Corte secondo cui la relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione ai sensi
dell’art. 151 c.c., quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell’ambiente
in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi
in un adulterio, comporti offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge (Cass., 19 settembre 2017,
n. 21657).
2.3 Nel caso in esame, tuttavia, i giudici di appello hanno affermato che le risultanze processuali
acquisite evidenziavano, al di là di ogni dubbio, l’esistenza di una relazione extraconiugale della P.
riferibile quantomeno al 2014, specificando le circostanze di fatto ritenute rilevanti alle pagine 8 e 9
della sentenza impugnata, niente affatto riferibili ad uno scambio di corrispondenza epistolare e via
chat tra la ricorrente e il cittadino algerino, ritenendo, dunque, sufficientemente provata anche
l’infedeltà reale.
2.4 Il motivo è, inoltre, inammissibile sotto lo specifico profilo di censura di violazione di legge,
perchè non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’allegazione di
un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece,
esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito,
sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass., 14 gennaio 2019, n. 640).
3. In conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese
liquidate come in dispositivo, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure
indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie
nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,
comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a
norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli
altri dati identificativi ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a
norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2022.

Assegno divorzile e apprezzamento dell’inadeguatezza dei mezzi in capo al beneficiario per fronteggiare le esigenze quotidiane

Tribunale di Verona, sez. I, decreto 22 febbraio 2022

TRIBUNALE ORDINARIO di VERONA
sezione I civile
riunito in camera di consiglio nelle persone di:
dr. Massimo Vaccari presidente
dr. Francesco Bartolotti rel./est. giudice
dr. Marco Nappi Quintiliano giudice
nel procedimento promosso da
TULLIO, con l’avv. D.C.
RICORRENTE
contro
CORNELIA, con l’avv. G.G.
CONVENUTO
OGGETTO: modifica condizioni di divorzio ex art. 9, L. 898/1970.
sentito il relatore;
visto il parere del P.M.;
esaminati gli atti e i documenti di causa;
ha pronunciato il seguente
DECRETO
rilevato che parte ricorrente TULLIO, con ricorso proposto in data 16.04.2021, ha chiesto la modifica
delle condizioni di divorzio stabilite nella sentenza n. 3081/2010 emessa dal tribunale di Verona su
ricorso congiunto delle medesime odierne parti in data 09.12.2010 e pubblicata in data 16.12.2010;
in particolare il ricorrente ha chiesto di disporsi l’elisione dell’assegno divorzile riconosciuto a favore
di CORNELIA nell’importo di € 380,00, evidenziando come la stessa lavori con contratto a tempo
indeterminato ed in regime pari – time, con la percezione di una retribuzione netta di circa € 1.300,00
al mese ed impiegando il resto del tempo in “altri lavoretti saltuari, non regolarizzati…’1, il ricorrente
ha inoltre prospettato la facoltà per la ricorrente di trasformare il rapporto di lavoro in tempo pieno,
precisando che il figlio nato dalla loro unione non convive più da tempo con la madre, per essersi
appoggiato prevalentemente alla figura paterna e per avere successivamente raggiunto
l’indipendenza economica;
rilevato che la convenuta CORNELIA si è costituita contestando il contenuto del ricorso, poiché
ritenuto incentrato su circostanze di fatto già valutate in sede di divorzio, nonché proponendo in via
riconvenzionale domanda di aumento dell’assegno divorzile, sul presupposto di un miglioramento
delle condizioni economiche del ricorrente; la resistente ha pure chiesto la condanna del ricorrente
ai sensi dell’art. 96 c.p.c.;
rilevato che la causa è stata istruita mediante produzioni documentali;
ritenuto nel merito di rigettare il ricorso;
ritenuto infatti che il ricorrente non abbia offerto la prova di una effettiva contrazione delle proprie
condizioni economiche, sotto il profilo reddituale o patrimoniale, né la prova di un miglioramento di
quelle della resistente; il ricorrente, invero, ha lamentato una diminuzione della propria capacità
reddituale soltanto in sede di note conclusive, prospettando di dover sostenere le spese di assistenza
della anziana madre, nonché, in prospettiva futura, anche quelle della sorella invalida, senza tuttavia
avere sviluppato difese specifiche in ordine alle conseguenti modifiche del proprio reddito personale
in termini attuali e concreti e senza fornire alcune elemento probatorio in ordine alla capacità
reddituale delle menzionate congiunte ai fini della valutazione sulla necessità di un suo personale
sostegno economico per far fronte alle loro esigenze assistenziali; peraltro neppure è chiaro se la
madre del ricorrente godesse di assistenza domiciliare anche in passato, come invero parrebbe
potersi prima facie desumere dalla stessa documentazione prodotta in atti da TULLIO, tenuto conto
della circostanza che la persona indicata quale badante (risulta altresì co-intestataria del conto
corrente della madre M. (cfr. bonifici in entrata con causale “regalo compleanno” o “regalo natale” in
favore del ricorrente, provenienti appunto dal conto cointestato, alle date del 14 dicembre di ogni
anno e del 26 gennaio dell’anno 2021, doc. 10,13,14 e 15);
ritenuto peraltro che dalle prospettazioni degli atti difensivi del ricorrente TULLIO e dalla
documentazione bancaria da questi prodotta, pare, emergere piuttosto un miglioramento delle sue
condizioni reddituali, tenuto conto della percezione, da epoca successiva al divorzio del 2010, di una
pensione complessiva pari alla somma netta mensile di circa € 5.350,00 (cfr. mensilità settembre
2021), anche tenuto conto di quella erogata, secondo la prospettazione del ricorrente, quale vittima
di terrorismo, per il periodo di attività prestata quale militare in servizio in zona di guerra (cfr. estratti
conto doc. 10,13,14, 15);
ritenuto ancora che le condizioni reddituali del ricorrente appaiano integrate ulteriormente in ragione
dei numerosi versamenti di denaro contante, emergenti quantomeno negli anni 2018, 2019 e 2020;
anche nel corso dell’anno 2021 – pur senza volere prendere in considerazione il versamento della
non trascurabile somma di € 180.000,00 del 22.09.2021, seguito da prelievo di pari importo in data
08.10.2021 – compare almeno un altro versamento in denaro contante, per la somma di € 1.750,00,
in data 19.04.2021 (doc. 13); tali versamenti – in uno con la collaborazione in favore di ditta
SEMPRONIO prospettata dalla resistente e non oggetto di specifica contestazione da parte del
ricorrente quanto alla sussistenza ontologica di un “contratto di prestazione occasionale” (dichiarato,
ma non prodotto in causa), seppure ridimensionato quanto ad importanza economica (cfr. p. 8 nate
conclusive, penultimo capoverso) – inducono a ritenere verosimile l’allegazione della disponibilità per
TULLIO di ulteriori fonti di guadagno; peraltro, anche la somma di € 180.000,00, che il ricorrente ha
dichiarato essere transitata dal proprio libretto bancario al conto corrente in vista di un acquisto
immobiliare poi sfumato, integra un elemento suscettibile di valutazione quanto meno sul piano della
capacità patrimoniale, appunto per un valore corrispondente; rileva ancora il Collegio come il
ricorrente abbia omesso di produrre le movimentazioni inerenti al libretto bancario, di cui vi è in atti
soltanto copia del saldo (per circa sessanta mila euro) alla data del 23.09.2021, dunque
successivamente al versamento sul conto corrente del capitale summenzionato (cfr. doc. 12), cui
deriva, quale conclusione, la disponibilità di un patrimonio mobiliare in capo al ricorrente non
inferiore ad € 190.000,00; costituisce circostanza pacifica che il ricorrente non sostenga spese di
alloggio, vivendo in un immobile di sua proprietà; non vi è invece evidenza negli estratti conto bancari
del dichiarato pagamento delle rate di restituzione di un mutuo ipotecario per l’acquisto della casa
di importo mensile pari alla somma di € 812,00; dagli estratti conto si evince piuttosto il pagamento
mensile di € 463,99 verosimilmente riconducibile ad un canone di noleggio/leasing, ovvero ad una
rata di acquisto di una vettura BMW, di cui non vi allegazione alcuna in atti (cfr. estratti conto cit.);
non vi è in atti prova documentale di particolari spese mediche del ricorrente medesimo, che lo stesso
ha soltanto asserito di sostenere nel tempo in ragione dell’esperienza vissuto in Libano ed a parziale
erosione della pensione conseguentemente riconosciutagli quale vittima di terrorismo; ritenuto
dunque che dalle risultanze dagli estratti conto bancari in atti si traggano elementi sintomatici di una
verosimile capacità di spesa del ricorrente superiore ai dati reddituali della sola pensione, la cui
precisa entità non è apprezzabile in modo compiuto sulla base della documentazione
complessivamente offerta in comunicazione;
ritenuto pertanto, che in ragione della capacità di spesa risultante dalle richiamate movimentazioni
bancarie di denaro contante, oltre che delle ulteriori osservazioni sopra esposte, perdano rilievo
anche le allegazioni difensive svolte dal ricorrente in punto di aumento delle spese rese necessarie
per l’assistenza in favore della anziana madre e della di lui sorella;
rilevato, quanto alle condizioni economiche della resistente CORNELIA, che dalla documentazione in
atti emerge come la stessa, già occupata fin dall’epoca del divorzio, secondo quanto pacificamente
rappresentato da entrambe le parti, risulta attualmente lavorare come operaia magazziniera in
regime pari-time presso s.p.a.; dalle dichiarazione fiscali risulta che la stessa ha goduto di un reddito
imponibile annuo di € 20.552,00 nell’anno di imposta 2017, di € 18.536,00 nell’anno 2018 e di €
17.644,00 nel 2019, per un ammontare medio mensile netto rispettivamente pari ad € 1.396,00, €
1.270,00

Ai fini dell’assegnazione si può favorire il coniuge più debole.

Corte d’Appello di Campobasso, 11 gennaio 2022

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI CAMPOBASSO
La Corte d’appello di Campobasso – collegio civile – riunita in camera
di consiglio, nelle persone dei magistrati:
Maria Grazia D’ERRICO – presidente
Gianfranco PLACENTINO – consigliere
Marco Giacomo FERRUCCI – consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di appello n. 231/2020 R.G., avverso la sentenza n.
276/2020 pronunciata in data 13.7.2020 dal Tribunale di Larino in
composizione collegiale, a definizione del proc. n. 316/2018 R.G.,
avente ad oggetto: cessazione degli effetti civili del matrimonio;
TRA
An.De. (c.f. (…)), rappresentato e difeso, in forza di procura in
calce all’atto di appello, dall’avv. (…) ((…)@puntopec.it);
APPELLANTE PRINCIPALE
CONTRO
An.Lu. (c.f. (…)), rappresentata e difesa, in forza di procura in calce
alla comparsa di costituzione in appello, dall’avv. (…) ((…)@pec.it);
APPELLATA E APPELLANTE INCIDENTALE
NONCHÉ’
PROCURATORE GENERALE presso la Corte d’appello di Campobasso;
INTERVENTORE
1. Il Tribunale di Larino in composizione collegiale, con sentenza n. 276/2020 del 13.7.2020,
pronunciata a definizione del giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio tra An.De.
e An.Lu., ha:
– pronunziato la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato con rito concordatario
in Montecilfone il 15.9.2002 tra la An.Lu. e il An.De., trascritto presso l’Ufficio dello stato civile
del Comune di Montecilfone al n. 5, Parte II, serie A del registro degli atti di matrimonio
dell’anno 2002;
– ordinato all’Ufficiale dello stato civile del Comune di Montecilfone di procedere alla
trascrizione e alle annotazioni della presente sentenza ai sensi del DPR 3.11.2000 n. 396;
– confermato, quanto all’affidamento, alla collocazione e al mantenimento dei figli minori Sa. e
Lo. nonché all’assegnazione dell’uso della casa familiare, le statuizioni adottate con l’ordinanza
presidenziale del 13.9.2018, da intendersi qui integralmente ripetute e trascritte;
– ammonito An.De. in ordine al rispetto della disposizione di cui all’art. 337 ter, 3° comma, c.c.,
che prevede che in caso di disaccordo dei genitori sulle decisioni di maggiore importanza per i
figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale dei
minori la decisione sia rimessa al Giudice;
– diffidato entrambi i genitori all’immediata cessazione di ogni sterile ostruzionismo reciproco
nell’esercizio della responsabilità genitoriale e all’avvio di una leale e costruttiva collaborazione
nell’interesse superiore dei figli;
– disposto che il Servizio sociale del comune di residenza dei minori prenda in carico il nucleo
familiare, sostenendolo con opportune indicazioni e azioni idonee a ripristinare un clima di
maggiore serenità e coesione fra i genitori nella gestione della vita dei figli, monitorando
l’evoluzione dei rapporti fra genitori e figli nonché fra gli stessi genitori e riferendo
direttamente al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni in caso di
riscontrate violazioni delle indicazioni suggerite o di altre condotte suscettibili di arrecare
pregiudizio ai figli minori;
– compensato integralmente le spese processuali fra le parti private. An.De. ha proposto
appello con ricorso depositato il 10.9.2020, chiedendo la riforma della sentenza impugnata
nella parte in cui ha disposto l’assegnazione del diritto di abitazione della casa familiare alla
An.Lu., chiedendone la revoca e/o, se del caso, l’assegnazione della casa in suo favore.
An.Lu. si è costituita in giudizio con comparsa depositata il 21.10.2020, chiedendo il rigetto
dell’impugnazione e in via incidentale la parziale riforma della sentenza impugnata, con
condanna dell’appellante al risarcimento dei danni per non aver rispettato gli obblighi posti a
suo carico ex art. 709-ter c.p.c., l’affido condiviso dei figli minori a entrambi i genitori con
collocazione principale presso la madre e imposizione al An.De. dell’obbligo di versare un
assegno mensile di euro 500,00 a titolo di mantenimento dei figli e contribuire al 50% delle
spese sanitarie. All’udienza del 26.1.2021, di cui è stata disposta la trattazione scritta ex art.
221 comma 4 del d.l. n. 34 del 19.5.2020, conv. con modificazioni dalla legge n. 77 del
17.7.2020, la decisione è stata riservata, con concessione del termine di trenta giorni per il
deposito di note conclusive.
2. Oggetto dell’impugnazione principale è unicamente la decisione di assegnare la casa
coniugale alla An.Lu., che il tribunale ha adottato richiamando -così come per l’affidamento, la
collocazione e il mantenimento dei figli minori Sa. e Lo. – le statuizioni adottate con l’ordinanza
presidenziale del 13.9.2018.
Con il predetto provvedimento il presidente del tribunale ha, tra l’altro: affidato i figli minori
Sa. e Lo. ad entrambi i genitori, con collocazione principale presso il padre e con facoltà, per la
madre, di vederli e tenerli con sé nei tempi e modi stabiliti con il decreto del 16/23.2.2015 di
modifica delle condizioni di separazione; posto a carico di ciascun genitore l’obbligo di
provvedere direttamente al mantenimento ordinario dei figli minori per il periodo di
convivenza con ciascuno; confermato tutte le altre condizioni della separazione di cui al
decreto del 16/23.2.2015, tra cui quella relativa all’assegnazione alla moglie della casa
coniugale di Montecilfone.
L’appellante, proprietario della predetta abitazione, propone unico articolato motivo di appello
con cui deduce l’illogicità della decisione per errata applicazione dell’art. 6 comma 6 della
legge n. 898/1970.
Evidenzia che il decreto del 16/23.2.2015, con cui sono stati modificati i patti della
separazione, previo recepimento degli accordi bonari raggiunti dalle parti, ha assegnato
l’immobile alla An.Lu., in quanto all’epoca era collocato in via prevalente presso di lei uno dei
figli; i presupposti di tale assegnazione sono venuti meno con la collocazione presso il padre
anche del secondo figlio minore Lo., disposta con ordinanza presidenziale del 13.9.2018.
Aggiunge che il paese di Montecilfone non costituisce più un centro di interessi per i figli
minori, che vivono con il padre e che dopo la separazione solo per un breve periodo di tempo
hanno soggiornato con la madre. Deduce, infine, che, secondo la costante interpretazione
della giurisprudenza, può giustificare l’assegnazione della casa familiare al coniuge non
proprietario solo una stabile convivenza, e non anche una sporadica frequentazione, con i figli
minori.
Le censure proposte sono infondate, dovendosi confermare la decisione adottata.
Con l’ordinanza presidenziale del 13.9.2018, recepita e confermata con la sentenza impugnata,
dopo l’audizione dei coniugi e l’ascolto del figlio minore ultradodicenne Sa., già collocato in via
prevalente presso il padre, è stata stabilita la prevalente collocazione paterna anche dell’altro
figlio Lo. (in considerazione del superiore interesse dei figli alla conservazione e al
consolidamento della solidarietà fraterna), sono stati stabiliti i termini del diritto di visita da
parte della madre in senso conforme al provvedimento adottato in sede di modifica delle
condizioni di separazione, che prevede, fra l’altro, che durante il periodo scolastico i minori
permangano presso ciascun genitore a pomeriggi alterni durante la settimana (dal lunedì al
venerdì) e a fine settimana alterni (dal sabato alla domenica, con pernottamento).
Dato atto che il padre aveva dichiarato di risiedere a Palata e aveva quindi chiesto che i figli
convivessero con lui nella casa sita nel predetto comune, non intendendo tornare nella casa di
Montecilfone, il tribunale ha stabilito che la casa familiare rimanesse assegnata alla moglie
“avuto riguardo all’interesse dei minori alla conservazione, pur entro i Limiti temporali più
ristretti derivanti dal presente provvedimento, dell’ambiente nel quale essi sono cresciuti ed
hanno vissuto anche dopo la separazione”.
Secondo quanto previsto dall’art. 6 comma 6 della legge n. 898/1970, come modificato dall’art.
11 della legge n. 74/1987, “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui
vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età”, con l’ulteriore
precisazione che la decisione sull’assegnazione deve tener conto delle condizioni economiche
dei coniugi e delle ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole.
La ratio della disposizione in esame, costantemente posta in evidenza dalla giurisprudenza, è
quella di consentire ai figli la conservazione dell’ habitat domestico, inteso come il centro degli
affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita della famiglia,
con la conseguenza che, pur dovendo il giudice prendere in esame, ai fini dell’assegnazione, le
condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione, favorendo il coniuge più debole,
“non ha il potere di disporre L ‘assegnazione a favore del coniuge che non vanti alcun diritto –
reale o personale – sull’immobile e che non sia affidatario della prole minorenne o convivente
con figli maggiorenni non ancora provvisti, senza Loro colpa, di sufficienti redditi propri. Tale
assegnazione, pertanto, non può essere disposta come se fosse una componente dell’assegno
di divorzio, allo scopo di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole” (Cass.,
14.5.2007, n. 10994; Cass., SU 28.10.1995, n. 11297).
Non ricorre certamente nel caso in esame l’ipotesi per la quale la giurisprudenza esclude la
possibilità di assegnare la casa al coniuge non proprietario, dal momento che i figli sono stati
affidati ad entrambi i genitori.
Neppure costituisce ostacolo assoluto all’assegnazione della casa familiare alla An.Lu. la
circostanza che sia stato stabilito il collocamento prevalente dei figli minori presso il padre,
non potendo rinvenirsi né nella lettera della norma richiamata né nella interpretazione
consolidata della giurisprudenza alcuna indicazione nel senso che in caso di affidamento
congiunto solo il collocamento temporalmente prevalente giustifica l’assegnazione della casa
familiare.
Le pronunce della Cassazione su cui l’appellante fonda tale prospettazione si riferiscono a
ipotesi diversa da quella che viene in considerazione nel presente giudizio (in quel caso si
trattava di valutare se fosse configurabile una stabile dimora con il genitore del figlio
maggiorenne iscritto all’università di altra città) e pertanto i principi in quella sede affermati
non possono essere automaticamente estesi al caso in esame, in cui si tratta di accertare la
sussistenza di un legame dei figli minori con la casa familiare in cui vive il genitore a cui sono
stati affidati, sia pure con collocamento non prevalente.
Posto che l’art. 6 comma 6 della legge n. 898/1970 non impedisce l’assegnazione della casa
familiare al coniuge non proprietario se affidatario di figli minori ma non collocatario
prevalente, la decisione assunta dal primo giudice è condivisibile, in quanto fondata su una
corretta ponderazione dell’interesse dei minori, valutata in relazione alle modalità
dell’affidamento condiviso in concreto disposte.
Non può dubitarsi del fatto che il An.De. abbia prospettato al primo giudice l’intenzione di
continuare a vivere con i figli a Palata, quindi in una casa diversa da quella familiare; conferma
di tanto si trae dallo stesso contegno difensivo tenuto nel presente grado di giudizio, dal
momento che né con l’atto di appello né con le successive difese l’appellante principale ha
dichiarato di voler andare a vivere nella casa familiare di Montecilfone, paese rispetto al quale
ha anzi affermato non esservi alcun legame significativo dei figli.
A fronte di tale volontà, il primo giudice ha giustamente ritenuto meritevole di tutela
l’interesse dei minori a conservare, sia pure entro limiti temporali più ristretti, l’ambiente
familiare in cui sono cresciuti e hanno vissuto anche dopo la separazione.
Tale interesse è particolarmente evidente se si considera l’ampiezza dei periodi di permanenza
dei figli con la madre: durante il periodo scolastico è stabilito che i minori permangano presso
ciascun genitore a giorni alterni dal lunedì al venerdì e a fine settimana alterni con
pernottamento; durante il periodo estivo i due fratelli, secondo quanto riferito da Sa., vivono
entrambi con il padre fino a metà luglio e con la madre fino all’inizio della scuola.
Va anche valorizzata la circostanza che, al di là della preferenza manifestata da Sa. in ordine al
collocamento prevalente, i figli hanno un rapporto sereno ed equilibrato con entrambi i
genitori, ciascuno dei quali non frappone ostacoli alla frequentazione dell’altro genitore; è
quindi possibile che essi stiano nella casa di Montecilfone anche in periodi ulteriori rispetto a
quelli regolamentati.
Anche a prescindere da tale circostanza, la permanenza presso la madre a pomeriggi alterni e a
fine settimana alterni nel periodo ordinario, considerato che la mattina i ragazzi generalmente
non sono a casa in quanto impegnati nella frequenza scolastica, realizza un collocamento
sostanzialmente paritario dei figli minori presso i genitori, che ha evidentemente giustificato la
mancata previsione a carico della madre di un assegno a titolo di contributo nel mantenimento
dei figli, che sarebbe stato necessario ove la prevalenza del collocamento presso il padre fosse
stata marcata. Prive di fondamento sono le deduzioni di parte appellante in ordine alla brevità
del periodo in cui i due figli hanno vissuto nella casa familiare dopo la separazione: Sa. è
andato a vivere con il padre due anni dopo la separazione omologata nell’aprile 2013 e Lo.
subito dopo la pronuncia dell’ordinanza presidenziale nel settembre 2018.
Ai fini della valutazione dell’interesse a conservare l’habitat domestico occorre avere riguardo
al complessivo periodo in cui i figli hanno vissuto nella casa familiare anche, e soprattutto,
prima della separazione dei genitori; tale periodo è certamente consistente, in quanto i due
ragazzi, nati nel 2004 e nel 2009, vi hanno trascorso tutta l’infanzia, la fanciullezza e la prima
adolescenza, così sviluppandovi un legame che è da presumere assai intenso e che sarebbe
deleterio recidere del tutto.
Se il legislatore attribuisce rilevanza all’interesse dei figli maggiorenni a conservare l’habitat
domestico e la giurisprudenza non esclude tale interesse persino in caso di assenze prolungate
(ad esempio per studi universitari o lavoro in altra città: v. Cass., n. 11320/2005), a maggior
ragione deve considerarsi meritevole di tutela quello di figli dell’età di diciassette e dodici anni
a vivere nella casa familiare per un periodo di tempo sostanzialmente paritario rispetto a
quello che trascorrono nell’abitazione dell’altro genitore.
È da escludere, poi, che siano venuti meno i legami affettivi dei minori con la casa di
Montecilfone per il solo fatto che essi frequentano la scuola in paesi diversi: la permanenza di
un legame intenso con la casa familiare non è influenzata dall’esistenza di interessi di studio, di
lavoro e di altra natura in posti diversi, come confermato dalla giurisprudenza che si è in
precedenza richiamata in merito alla posizione dei figli maggiorenni che studiano in altra città
e che non interrompono, per ciò solo, il collegamento stabile con l’abitazione del genitore, se
vi fanno ritorno ogni qualvolta gli impegni lo consentono.
3. An.Lu. censura la decisione del tribunale di accogliere solo parzialmente la richiesta dalla
stessa proposta ex art. 709-ter c.p.c., infliggendo al An.De. la sanzione dell’ammonimento,
ritenuta dal primo giudice sufficiente allo scopo di prevenire ulteriori violazioni. Deduce che il
comportamento tenuto dal An.De. è lesivo dei principi relativi all’affido condiviso e giustifica la
modifica delle modalità dell’affidamento dei figli, con la collocazione prevalente presso di lei, e
la condanna dell’altro coniuge al risarcimento dei danni.
L’episodio che ha indotto il tribunale a infliggere al An.De. la sanzione dell’ammonimento è
costituito dal trasferimento del minore Lo. dalla scuola primaria di Montecilfone a quella di
Palata, senza il consenso della An.Lu. Il tribunale ha dato atto che la decisione, eccedendo
l’ordinaria amministrazione, avrebbe dovuto essere concordata tra i coniugi e, in caso di
disaccordo, avrebbe richiesto l’intervento del giudice ex art. 337 comma 3 c.p.c.; pur
stigmatizzando la decisione unilaterale adottata dal An.De., ha tuttavia ritenuto che tale
spostamento, peraltro interno al medesimo istituto operante in entrambi i comuni, sia prima
facie ragionevole in ragione della mutata collocazione prevalente del minore, sostanzialmente
ratificandolo. In relazione alle circostanze complessivamente considerate deve concordarsi con
l’affermazione del primo giudice, secondo il quale la vicenda “scaturisce da un profilo di
inadeguatezza comune a entrambi i genitori – L’incapacità di instaurare un dialogo costruttivo e
sereno in funzione della gestione condivisa dell’allevamento e dell’educazione dei figli – dal
quale non sono derivate, allo stato, significative conseguenze pregiudizievoli per i minori”.
Essendo la decisione unilateralmente adottata dal An.De. sostanzialmente conforme
all’interesse del figlio Lo. in relazione alla sopravvenuta modifica del suo collocamento
prevalente e dovendo, quindi, escludersi effetti pregiudizievoli per i figli, sproporzionata
sarebbe stata la modifica delle condizioni dell’affidamento, con la previsione del collocamento
prevalente presso la madre dello stesso Lo. o di entrambi i figli.
Nessuna specifica argomentazione, del resto, ha svolto l’appellata in ordine alla rispondenza
all’interesse dei figli del collocamento che ella sollecita come conseguenza della condotta
tenuta dal An.De. nel singolo episodio ricordato; neppure ha censurato l’affermazione del
primo giudice, secondo cui i minori hanno diritto a consolidare e sviluppare il rapporto di
fratellanza e, quindi, a essere collocati presso lo stesso genitore.
Per di più la stessa appellata riconosce di essere titolare di un diritto di visita assai ampio,
utilizzando tale argomento per contrastare l’avversa impugnazione relativa all’assegnazione
della casa familiare; la modifica del collocamento prevalente, quindi, pur non apportando una
modifica sostanziale della posizione della An.Lu., contravverrebbe a un desiderio espresso dal
maggiore dei figli, che si è fatto portavoce anche della volontà del più piccolo.
Non giustificandosi la modifica delle modalità di affidamento dei figli minori, deve essere
rigettata anche la richiesta di assegno a carico dell’appellante principale, a titolo di contributo
al mantenimento degli stessi.
Per le stesse ragioni esposte non può essere accolta la richiesta di condanna al risarcimento
dei danni, la cui sussistenza deve essere esclusa in ragione della rispondenza all’interesse del
minore della decisione unilaterale del An.De.
In conclusione, deve ritenersi adeguata a prevenire ulteriori violazioni da parte del An.De. la
sanzione dell’ammonimento allo stesso inflitta, opportunamente accompagnata dalla diffida a
entrambi i coniugi a cessare immediatamente ogni sterile ostruzionismo reciproco
nell’esercizio della responsabilità genitoriale e dalla delega al Servizio sociale del comune di
residenza dei minori di presa in carico del nucleo familiare allo specifico fine di ripristinare un
clima di serenità e coesione tra genitori nella gestione dei figli; successivi comportamenti
eventualmente tenuti dal An.De. non sono idonei a influire sul giudizio prognostico compiuto
al momento in cui la sanzione è stata irrogata, potendo, al limite, fondare eventuali ulteriori
richieste ex art. 709-ter c.p.c.
4. In considerazione della soccombenza reciproca delle parti, va disposta la compensazione
integrale delle spese processuali del presente grado di giudizio.
Ricorrono i presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n.
115/2002, ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta
integralmente nei confronti di entrambi gli appellanti.
P.Q.M.
la Corte d’appello di Campobasso – collegio civile,
pronunciando definitivamente sull’appello principale proposto con ricorso depositato il
10.9.2020 da An.De. nei confronti di An.Lu. avverso la sentenza n. 276/2020, pronunciata dal
Tribunale di Larino il 13.7.2020, nonché sull’appello incidentale proposto dall’appellata con
comparsa depositata il 21.10.2020, così provvede:
1) rigetta l’appello principale;
2) rigetta l’appello incidentale;
3) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio;
4) dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n.
115/2002, ai fini del raddoppio del contributo unificato a carico di appellante principale e
incidentale.
Così deciso nella camera di consiglio della corte, in data 1° dicembre 2021.