Corte d’Appello di Campobasso, 11 gennaio 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI CAMPOBASSO
La Corte d’appello di Campobasso – collegio civile – riunita in camera
di consiglio, nelle persone dei magistrati:
Maria Grazia D’ERRICO – presidente
Gianfranco PLACENTINO – consigliere
Marco Giacomo FERRUCCI – consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di appello n. 231/2020 R.G., avverso la sentenza n.
276/2020 pronunciata in data 13.7.2020 dal Tribunale di Larino in
composizione collegiale, a definizione del proc. n. 316/2018 R.G.,
avente ad oggetto: cessazione degli effetti civili del matrimonio;
TRA
An.De. (c.f. (…)), rappresentato e difeso, in forza di procura in
calce all’atto di appello, dall’avv. (…) ((…)@puntopec.it);
APPELLANTE PRINCIPALE
CONTRO
An.Lu. (c.f. (…)), rappresentata e difesa, in forza di procura in calce
alla comparsa di costituzione in appello, dall’avv. (…) ((…)@pec.it);
APPELLATA E APPELLANTE INCIDENTALE
NONCHÉ’
PROCURATORE GENERALE presso la Corte d’appello di Campobasso;
INTERVENTORE
1. Il Tribunale di Larino in composizione collegiale, con sentenza n. 276/2020 del 13.7.2020,
pronunciata a definizione del giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio tra An.De.
e An.Lu., ha:
– pronunziato la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato con rito concordatario
in Montecilfone il 15.9.2002 tra la An.Lu. e il An.De., trascritto presso l’Ufficio dello stato civile
del Comune di Montecilfone al n. 5, Parte II, serie A del registro degli atti di matrimonio
dell’anno 2002;
– ordinato all’Ufficiale dello stato civile del Comune di Montecilfone di procedere alla
trascrizione e alle annotazioni della presente sentenza ai sensi del DPR 3.11.2000 n. 396;
– confermato, quanto all’affidamento, alla collocazione e al mantenimento dei figli minori Sa. e
Lo. nonché all’assegnazione dell’uso della casa familiare, le statuizioni adottate con l’ordinanza
presidenziale del 13.9.2018, da intendersi qui integralmente ripetute e trascritte;
– ammonito An.De. in ordine al rispetto della disposizione di cui all’art. 337 ter, 3° comma, c.c.,
che prevede che in caso di disaccordo dei genitori sulle decisioni di maggiore importanza per i
figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale dei
minori la decisione sia rimessa al Giudice;
– diffidato entrambi i genitori all’immediata cessazione di ogni sterile ostruzionismo reciproco
nell’esercizio della responsabilità genitoriale e all’avvio di una leale e costruttiva collaborazione
nell’interesse superiore dei figli;
– disposto che il Servizio sociale del comune di residenza dei minori prenda in carico il nucleo
familiare, sostenendolo con opportune indicazioni e azioni idonee a ripristinare un clima di
maggiore serenità e coesione fra i genitori nella gestione della vita dei figli, monitorando
l’evoluzione dei rapporti fra genitori e figli nonché fra gli stessi genitori e riferendo
direttamente al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni in caso di
riscontrate violazioni delle indicazioni suggerite o di altre condotte suscettibili di arrecare
pregiudizio ai figli minori;
– compensato integralmente le spese processuali fra le parti private. An.De. ha proposto
appello con ricorso depositato il 10.9.2020, chiedendo la riforma della sentenza impugnata
nella parte in cui ha disposto l’assegnazione del diritto di abitazione della casa familiare alla
An.Lu., chiedendone la revoca e/o, se del caso, l’assegnazione della casa in suo favore.
An.Lu. si è costituita in giudizio con comparsa depositata il 21.10.2020, chiedendo il rigetto
dell’impugnazione e in via incidentale la parziale riforma della sentenza impugnata, con
condanna dell’appellante al risarcimento dei danni per non aver rispettato gli obblighi posti a
suo carico ex art. 709-ter c.p.c., l’affido condiviso dei figli minori a entrambi i genitori con
collocazione principale presso la madre e imposizione al An.De. dell’obbligo di versare un
assegno mensile di euro 500,00 a titolo di mantenimento dei figli e contribuire al 50% delle
spese sanitarie. All’udienza del 26.1.2021, di cui è stata disposta la trattazione scritta ex art.
221 comma 4 del d.l. n. 34 del 19.5.2020, conv. con modificazioni dalla legge n. 77 del
17.7.2020, la decisione è stata riservata, con concessione del termine di trenta giorni per il
deposito di note conclusive.
2. Oggetto dell’impugnazione principale è unicamente la decisione di assegnare la casa
coniugale alla An.Lu., che il tribunale ha adottato richiamando -così come per l’affidamento, la
collocazione e il mantenimento dei figli minori Sa. e Lo. – le statuizioni adottate con l’ordinanza
presidenziale del 13.9.2018.
Con il predetto provvedimento il presidente del tribunale ha, tra l’altro: affidato i figli minori
Sa. e Lo. ad entrambi i genitori, con collocazione principale presso il padre e con facoltà, per la
madre, di vederli e tenerli con sé nei tempi e modi stabiliti con il decreto del 16/23.2.2015 di
modifica delle condizioni di separazione; posto a carico di ciascun genitore l’obbligo di
provvedere direttamente al mantenimento ordinario dei figli minori per il periodo di
convivenza con ciascuno; confermato tutte le altre condizioni della separazione di cui al
decreto del 16/23.2.2015, tra cui quella relativa all’assegnazione alla moglie della casa
coniugale di Montecilfone.
L’appellante, proprietario della predetta abitazione, propone unico articolato motivo di appello
con cui deduce l’illogicità della decisione per errata applicazione dell’art. 6 comma 6 della
legge n. 898/1970.
Evidenzia che il decreto del 16/23.2.2015, con cui sono stati modificati i patti della
separazione, previo recepimento degli accordi bonari raggiunti dalle parti, ha assegnato
l’immobile alla An.Lu., in quanto all’epoca era collocato in via prevalente presso di lei uno dei
figli; i presupposti di tale assegnazione sono venuti meno con la collocazione presso il padre
anche del secondo figlio minore Lo., disposta con ordinanza presidenziale del 13.9.2018.
Aggiunge che il paese di Montecilfone non costituisce più un centro di interessi per i figli
minori, che vivono con il padre e che dopo la separazione solo per un breve periodo di tempo
hanno soggiornato con la madre. Deduce, infine, che, secondo la costante interpretazione
della giurisprudenza, può giustificare l’assegnazione della casa familiare al coniuge non
proprietario solo una stabile convivenza, e non anche una sporadica frequentazione, con i figli
minori.
Le censure proposte sono infondate, dovendosi confermare la decisione adottata.
Con l’ordinanza presidenziale del 13.9.2018, recepita e confermata con la sentenza impugnata,
dopo l’audizione dei coniugi e l’ascolto del figlio minore ultradodicenne Sa., già collocato in via
prevalente presso il padre, è stata stabilita la prevalente collocazione paterna anche dell’altro
figlio Lo. (in considerazione del superiore interesse dei figli alla conservazione e al
consolidamento della solidarietà fraterna), sono stati stabiliti i termini del diritto di visita da
parte della madre in senso conforme al provvedimento adottato in sede di modifica delle
condizioni di separazione, che prevede, fra l’altro, che durante il periodo scolastico i minori
permangano presso ciascun genitore a pomeriggi alterni durante la settimana (dal lunedì al
venerdì) e a fine settimana alterni (dal sabato alla domenica, con pernottamento).
Dato atto che il padre aveva dichiarato di risiedere a Palata e aveva quindi chiesto che i figli
convivessero con lui nella casa sita nel predetto comune, non intendendo tornare nella casa di
Montecilfone, il tribunale ha stabilito che la casa familiare rimanesse assegnata alla moglie
“avuto riguardo all’interesse dei minori alla conservazione, pur entro i Limiti temporali più
ristretti derivanti dal presente provvedimento, dell’ambiente nel quale essi sono cresciuti ed
hanno vissuto anche dopo la separazione”.
Secondo quanto previsto dall’art. 6 comma 6 della legge n. 898/1970, come modificato dall’art.
11 della legge n. 74/1987, “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui
vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età”, con l’ulteriore
precisazione che la decisione sull’assegnazione deve tener conto delle condizioni economiche
dei coniugi e delle ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole.
La ratio della disposizione in esame, costantemente posta in evidenza dalla giurisprudenza, è
quella di consentire ai figli la conservazione dell’ habitat domestico, inteso come il centro degli
affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita della famiglia,
con la conseguenza che, pur dovendo il giudice prendere in esame, ai fini dell’assegnazione, le
condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione, favorendo il coniuge più debole,
“non ha il potere di disporre L ‘assegnazione a favore del coniuge che non vanti alcun diritto –
reale o personale – sull’immobile e che non sia affidatario della prole minorenne o convivente
con figli maggiorenni non ancora provvisti, senza Loro colpa, di sufficienti redditi propri. Tale
assegnazione, pertanto, non può essere disposta come se fosse una componente dell’assegno
di divorzio, allo scopo di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole” (Cass.,
14.5.2007, n. 10994; Cass., SU 28.10.1995, n. 11297).
Non ricorre certamente nel caso in esame l’ipotesi per la quale la giurisprudenza esclude la
possibilità di assegnare la casa al coniuge non proprietario, dal momento che i figli sono stati
affidati ad entrambi i genitori.
Neppure costituisce ostacolo assoluto all’assegnazione della casa familiare alla An.Lu. la
circostanza che sia stato stabilito il collocamento prevalente dei figli minori presso il padre,
non potendo rinvenirsi né nella lettera della norma richiamata né nella interpretazione
consolidata della giurisprudenza alcuna indicazione nel senso che in caso di affidamento
congiunto solo il collocamento temporalmente prevalente giustifica l’assegnazione della casa
familiare.
Le pronunce della Cassazione su cui l’appellante fonda tale prospettazione si riferiscono a
ipotesi diversa da quella che viene in considerazione nel presente giudizio (in quel caso si
trattava di valutare se fosse configurabile una stabile dimora con il genitore del figlio
maggiorenne iscritto all’università di altra città) e pertanto i principi in quella sede affermati
non possono essere automaticamente estesi al caso in esame, in cui si tratta di accertare la
sussistenza di un legame dei figli minori con la casa familiare in cui vive il genitore a cui sono
stati affidati, sia pure con collocamento non prevalente.
Posto che l’art. 6 comma 6 della legge n. 898/1970 non impedisce l’assegnazione della casa
familiare al coniuge non proprietario se affidatario di figli minori ma non collocatario
prevalente, la decisione assunta dal primo giudice è condivisibile, in quanto fondata su una
corretta ponderazione dell’interesse dei minori, valutata in relazione alle modalità
dell’affidamento condiviso in concreto disposte.
Non può dubitarsi del fatto che il An.De. abbia prospettato al primo giudice l’intenzione di
continuare a vivere con i figli a Palata, quindi in una casa diversa da quella familiare; conferma
di tanto si trae dallo stesso contegno difensivo tenuto nel presente grado di giudizio, dal
momento che né con l’atto di appello né con le successive difese l’appellante principale ha
dichiarato di voler andare a vivere nella casa familiare di Montecilfone, paese rispetto al quale
ha anzi affermato non esservi alcun legame significativo dei figli.
A fronte di tale volontà, il primo giudice ha giustamente ritenuto meritevole di tutela
l’interesse dei minori a conservare, sia pure entro limiti temporali più ristretti, l’ambiente
familiare in cui sono cresciuti e hanno vissuto anche dopo la separazione.
Tale interesse è particolarmente evidente se si considera l’ampiezza dei periodi di permanenza
dei figli con la madre: durante il periodo scolastico è stabilito che i minori permangano presso
ciascun genitore a giorni alterni dal lunedì al venerdì e a fine settimana alterni con
pernottamento; durante il periodo estivo i due fratelli, secondo quanto riferito da Sa., vivono
entrambi con il padre fino a metà luglio e con la madre fino all’inizio della scuola.
Va anche valorizzata la circostanza che, al di là della preferenza manifestata da Sa. in ordine al
collocamento prevalente, i figli hanno un rapporto sereno ed equilibrato con entrambi i
genitori, ciascuno dei quali non frappone ostacoli alla frequentazione dell’altro genitore; è
quindi possibile che essi stiano nella casa di Montecilfone anche in periodi ulteriori rispetto a
quelli regolamentati.
Anche a prescindere da tale circostanza, la permanenza presso la madre a pomeriggi alterni e a
fine settimana alterni nel periodo ordinario, considerato che la mattina i ragazzi generalmente
non sono a casa in quanto impegnati nella frequenza scolastica, realizza un collocamento
sostanzialmente paritario dei figli minori presso i genitori, che ha evidentemente giustificato la
mancata previsione a carico della madre di un assegno a titolo di contributo nel mantenimento
dei figli, che sarebbe stato necessario ove la prevalenza del collocamento presso il padre fosse
stata marcata. Prive di fondamento sono le deduzioni di parte appellante in ordine alla brevità
del periodo in cui i due figli hanno vissuto nella casa familiare dopo la separazione: Sa. è
andato a vivere con il padre due anni dopo la separazione omologata nell’aprile 2013 e Lo.
subito dopo la pronuncia dell’ordinanza presidenziale nel settembre 2018.
Ai fini della valutazione dell’interesse a conservare l’habitat domestico occorre avere riguardo
al complessivo periodo in cui i figli hanno vissuto nella casa familiare anche, e soprattutto,
prima della separazione dei genitori; tale periodo è certamente consistente, in quanto i due
ragazzi, nati nel 2004 e nel 2009, vi hanno trascorso tutta l’infanzia, la fanciullezza e la prima
adolescenza, così sviluppandovi un legame che è da presumere assai intenso e che sarebbe
deleterio recidere del tutto.
Se il legislatore attribuisce rilevanza all’interesse dei figli maggiorenni a conservare l’habitat
domestico e la giurisprudenza non esclude tale interesse persino in caso di assenze prolungate
(ad esempio per studi universitari o lavoro in altra città: v. Cass., n. 11320/2005), a maggior
ragione deve considerarsi meritevole di tutela quello di figli dell’età di diciassette e dodici anni
a vivere nella casa familiare per un periodo di tempo sostanzialmente paritario rispetto a
quello che trascorrono nell’abitazione dell’altro genitore.
È da escludere, poi, che siano venuti meno i legami affettivi dei minori con la casa di
Montecilfone per il solo fatto che essi frequentano la scuola in paesi diversi: la permanenza di
un legame intenso con la casa familiare non è influenzata dall’esistenza di interessi di studio, di
lavoro e di altra natura in posti diversi, come confermato dalla giurisprudenza che si è in
precedenza richiamata in merito alla posizione dei figli maggiorenni che studiano in altra città
e che non interrompono, per ciò solo, il collegamento stabile con l’abitazione del genitore, se
vi fanno ritorno ogni qualvolta gli impegni lo consentono.
3. An.Lu. censura la decisione del tribunale di accogliere solo parzialmente la richiesta dalla
stessa proposta ex art. 709-ter c.p.c., infliggendo al An.De. la sanzione dell’ammonimento,
ritenuta dal primo giudice sufficiente allo scopo di prevenire ulteriori violazioni. Deduce che il
comportamento tenuto dal An.De. è lesivo dei principi relativi all’affido condiviso e giustifica la
modifica delle modalità dell’affidamento dei figli, con la collocazione prevalente presso di lei, e
la condanna dell’altro coniuge al risarcimento dei danni.
L’episodio che ha indotto il tribunale a infliggere al An.De. la sanzione dell’ammonimento è
costituito dal trasferimento del minore Lo. dalla scuola primaria di Montecilfone a quella di
Palata, senza il consenso della An.Lu. Il tribunale ha dato atto che la decisione, eccedendo
l’ordinaria amministrazione, avrebbe dovuto essere concordata tra i coniugi e, in caso di
disaccordo, avrebbe richiesto l’intervento del giudice ex art. 337 comma 3 c.p.c.; pur
stigmatizzando la decisione unilaterale adottata dal An.De., ha tuttavia ritenuto che tale
spostamento, peraltro interno al medesimo istituto operante in entrambi i comuni, sia prima
facie ragionevole in ragione della mutata collocazione prevalente del minore, sostanzialmente
ratificandolo. In relazione alle circostanze complessivamente considerate deve concordarsi con
l’affermazione del primo giudice, secondo il quale la vicenda “scaturisce da un profilo di
inadeguatezza comune a entrambi i genitori – L’incapacità di instaurare un dialogo costruttivo e
sereno in funzione della gestione condivisa dell’allevamento e dell’educazione dei figli – dal
quale non sono derivate, allo stato, significative conseguenze pregiudizievoli per i minori”.
Essendo la decisione unilateralmente adottata dal An.De. sostanzialmente conforme
all’interesse del figlio Lo. in relazione alla sopravvenuta modifica del suo collocamento
prevalente e dovendo, quindi, escludersi effetti pregiudizievoli per i figli, sproporzionata
sarebbe stata la modifica delle condizioni dell’affidamento, con la previsione del collocamento
prevalente presso la madre dello stesso Lo. o di entrambi i figli.
Nessuna specifica argomentazione, del resto, ha svolto l’appellata in ordine alla rispondenza
all’interesse dei figli del collocamento che ella sollecita come conseguenza della condotta
tenuta dal An.De. nel singolo episodio ricordato; neppure ha censurato l’affermazione del
primo giudice, secondo cui i minori hanno diritto a consolidare e sviluppare il rapporto di
fratellanza e, quindi, a essere collocati presso lo stesso genitore.
Per di più la stessa appellata riconosce di essere titolare di un diritto di visita assai ampio,
utilizzando tale argomento per contrastare l’avversa impugnazione relativa all’assegnazione
della casa familiare; la modifica del collocamento prevalente, quindi, pur non apportando una
modifica sostanziale della posizione della An.Lu., contravverrebbe a un desiderio espresso dal
maggiore dei figli, che si è fatto portavoce anche della volontà del più piccolo.
Non giustificandosi la modifica delle modalità di affidamento dei figli minori, deve essere
rigettata anche la richiesta di assegno a carico dell’appellante principale, a titolo di contributo
al mantenimento degli stessi.
Per le stesse ragioni esposte non può essere accolta la richiesta di condanna al risarcimento
dei danni, la cui sussistenza deve essere esclusa in ragione della rispondenza all’interesse del
minore della decisione unilaterale del An.De.
In conclusione, deve ritenersi adeguata a prevenire ulteriori violazioni da parte del An.De. la
sanzione dell’ammonimento allo stesso inflitta, opportunamente accompagnata dalla diffida a
entrambi i coniugi a cessare immediatamente ogni sterile ostruzionismo reciproco
nell’esercizio della responsabilità genitoriale e dalla delega al Servizio sociale del comune di
residenza dei minori di presa in carico del nucleo familiare allo specifico fine di ripristinare un
clima di serenità e coesione tra genitori nella gestione dei figli; successivi comportamenti
eventualmente tenuti dal An.De. non sono idonei a influire sul giudizio prognostico compiuto
al momento in cui la sanzione è stata irrogata, potendo, al limite, fondare eventuali ulteriori
richieste ex art. 709-ter c.p.c.
4. In considerazione della soccombenza reciproca delle parti, va disposta la compensazione
integrale delle spese processuali del presente grado di giudizio.
Ricorrono i presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n.
115/2002, ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta
integralmente nei confronti di entrambi gli appellanti.
P.Q.M.
la Corte d’appello di Campobasso – collegio civile,
pronunciando definitivamente sull’appello principale proposto con ricorso depositato il
10.9.2020 da An.De. nei confronti di An.Lu. avverso la sentenza n. 276/2020, pronunciata dal
Tribunale di Larino il 13.7.2020, nonché sull’appello incidentale proposto dall’appellata con
comparsa depositata il 21.10.2020, così provvede:
1) rigetta l’appello principale;
2) rigetta l’appello incidentale;
3) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio;
4) dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n.
115/2002, ai fini del raddoppio del contributo unificato a carico di appellante principale e
incidentale.
Così deciso nella camera di consiglio della corte, in data 1° dicembre 2021.