Tribunale sez. I – Messina, 17/11/2022, n. 1918
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Il Tribunale di Messina, Prima Sezione Civile, composto dai Sigg.ri
Magistrati:
1) dott.ssa Caterina Mangano Presidente
2) dott. Corrado Bonanzinga Giudice,
3) dott. Ssa Viviana Cusolito Giudice est.,
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 6293/2019 R.G., posta in
decisione, con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.,
all’udienza di precisazione delle conclusioni del 13.7.2022 e
promossa da
C. R.S., c.fisc. .., elettivamente domiciliata presso lo studio
dell’avv. CURRO’ GIOVANNI che la rappresenta e difende giusta
procura in atti
PARTE ATTRICE
CONTRO
C. S., c.fisc. .., elettivamente domiciliato presso lo studio
dell’avv. GIORDANO PIERO che lo rappresenta e difende giusta procura
in atti
PARTE CONVENUTA
E con l’intervento del PM presso il Tribunale di Messina.
OGGETTO: Dichiarazione giudiziale di paternità.
CONCLUSIONI
All’udienza di precisazione delle conclusioni i procuratori delle
parti hanno concluso come da verbale.
Con atto di citazione ritualmente notificato C. R.S. citava in giudizio C. S., esponendo che
dalla relazione con lo stesso, protrattasi per dieci anni, dal 1999 all’aprile 2009, erano nati i
figli C. A., il .., ed C. E., il .. riconosciuti solo dalla stessa. Esponeva che il convenuto non si
era mai occupato dei figli, disinteressandosi degli stessi sia sotto il profilo morale che
materiale e che solo in rarissime occasioni lo stesso aveva fatto loro dei regali ed aveva
elargito minime somme ricaricando una Postepay. Precisava che, anche attese le
accresciute esigenze dei ragazzi, ella non riusciva più da sola a fare fronte alle stesse ed,
in particolare, alle spese universitarie per la figlia C. A., anche tenuto conto che ella, con lo
stipendio di funzionario amministrativo presso il Commissariato di PS di Milazzo, doveva
anche provvedere al pagamento delle rate di mutuo per la casa di abitazione anche dei
ragazzi e della rata della automobile. Ancora aggiungeva che il convenuto non aveva voluto
raggiungere alcun accordo e solo raramente aveva fornito un aiuto per il pagamento di
qualche bolletta, pur essendo lo stesso un imprenditore, titolare di una ditta individuale.
Tutto ciò premesso concludeva chiedendo che fosse accertato e dichiarato che il convenuto
è il padre di C. A. e C. E., con ordine all’Ufficiale di Stato Civile di procedere alla trascrizione
della sentenza e con aggiunta del cognome qualora i figli avessero manifestato il loro
consenso. Chiedeva, altresì, la condanna dello stesso al rimborso delle spese sostenute in
via esclusiva per il mantenimento dei ragazzi, nonché la condanna a corrispondere una
somma mensile per il mantenimento degli stessi, fino al raggiungimento della indipendenza
economica. Chiedeva, ancora, la condanna del convenuto al risarcimento del danno
familiare, con riserva di richiedere il sequestro conservativo sui beni dello stesso e con
vittoria di spese e compensi.
Con comparsa depositata in data 30.4.2020 si costituiva il convenuto contestando il
contenuto dell’atto di citazione e chiedendone il rigetto. Rilevava che egli si era occupato
dei ragazzi, anche acquistando regali per gli stessi, corrispondendo somme di denaro e
financo provvedendo alla ristrutturazione dell’immobile di proprietà della attrice. Escludeva,
inoltre, di essersi disinteressato dei figli sotto il profilo morale e, pertanto, chiedeva il rigetto
della domanda di risarcimento del danno endofamiliare. In ultimo, rilevava la infondatezza
della richiesta di mantenimento.
Nel corso del giudizio veniva ammessa ed espletata ctu al fine di accertare la compatibilità
biologica fra il convenuto ed i figli della attrice nonché interrogatorio formale delle parti e
prova per testi. Alla udienza del 13.7.2022, dopo la audizione dei figli della attrice, la causa
veniva assunta in decisione.
Tutto ciò premesso preliminarmente deve rilevarsi la inammissibilità, stante la tardività, della
eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta esclusivamente nella comparsa
conclusionale, atto destinato esclusivamente ente ad illustrare le difese già svolte in giudizio.
Nel merito, la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità avanzata dalla attrice è
fondata e deve essere accolta.
Sul punto deve rilevarsi che la attrice ha agito ai sensi dell’art. 269 c.c. affinchè fosse
dichiarata giudizialmente la paternità del C. S. dei figli C. A. ed C. E..
La attrice era legittimata ad agire ai sensi dell’art. 273 c.c. avendo ella agito quale genitore
esercente la responsabilità sui figli minori. Risulta, inoltre, dagli atti del giudizio che i minori,
ai sensi del secondo comma della norma citata, hanno espresso il consenso per la
proposizione della azione, consenso peraltro dagli stessi ribadito in sede di audizione
davanti al giudice istruttore.
Del tutto non pertinente dunque appare il riferimento contenuto nella comparsa di risposta
del C. S. alla previsione di cui all’art. 250 c.c. che disciplina la diversa ipotesi del
riconoscimento effettuato dal genitore ed, al quarto comma, la ipotesi ulteriore nella quale il
genitore che non ha riconosciuto per primo può ottenere dal tribunale una pronunzia che
rimuova il rifiuto del consenso dell’altro genitore.
Pertanto, la affermazione del C. S. – ripetuta in tutti gli atti del giudizio secondo la quale “La
C. R.S. non ha mai richiesto al convenuto alcun consenso affinché questi potesse effettuare,
nelle forme e modi di legge, il riconoscimento spontaneo dei minori, né d’altronde ha dato
prova di ciò nel ricorso” – appare giuridicamente del tutto errata.
Invero, a fronte del riconoscimento effettuato per prima dei minori da parte della C. R.S., si
sarebbero potute verificare le seguenti ipotesi:
1) Il C. S., con il consenso della C. R.S., senza alcuna necessità di provvedimento
giurisdizionale, avrebbe potuto procedere davanti all’Ufficiale di Stato civile al
riconoscimento dei figli che non avessero compiuto i 14 anni;
2) Il C. S., con l’assenso dei figli che avessero già compiuto i 14 anni, senza alcuna necessità
di provvedimento giurisdizionale, avrebbe potuto procedere davanti all’Ufficiale di Stato
civile al riconoscimento degli stessi;
3) Nel caso in cui la C. R.S. avesse rifiutato il consenso, il C. S. avrebbe potuto azionare la
previsione di cui all’art. 250, 4° comma cpc per ottenere una sentenza che – ove sussistenti
i presupposi – tenesse luogo del consenso mancante.
In nessun caso, dunque, la attrice avrebbe dovuto richiedere al C. S. un consenso e, a fronte
del mancato riconoscimento da parte dello stesso, la stessa ha correttamente agito ai sensi
dell’art. 269 c.c. per sentire dichiarare giudizialmente la paternità.
Ciò premesso, la consulenza espletata ha consentito di affermare che il C. S. è il padre
biologico dei figli della attrice.
Invero, il ctu ha così concluso:
“A seguito dei prelievi di DNA, dei test biomolecolari-genetici e della conseguente analisi
biostatistica, i risultati ottenuti precedentemente descritti permettono di accertare che:
– i profili genetici di C. S. e C. A. sono totalmente compatibili con il rapporto di filiazione
naturale, avendo la figlia ed il padre biologico almeno un allele in comune per ciascun locus
nel profilo di DNA autosomico (si veda tabella 7.1). I calcoli biostatistici di PP, illustrati
precedentemente, danno un valore di 99,99999049%, con un LR> 10.000 (precisamente
10511165.27), come descritto nell’allegato n.6A, e confermano matematicamente la
paternità.
– i profili genetici di C. S. e C. E. sono totalmente compatibili con il rapporto di filiazione
naturale, avendo il figlio ed il padre biologico almeno un allele in comune per ciascun locus
nel profilo di DNA autosomico (si veda tabella 7.1). I calcoli biostatistici di PP, illustrati
precedentemente, danno un valore di 99,99992741%, con un LR> 10.000 (precisamente
1377520.5), come descritto nell’allegato n.6B, e confermano matematicamente la
paternità.”.
Pertanto, deve essere qui dichiarato giudizialmente che C. S. è il padre di C. A. e C. E..
Parte attrice ha chiesto che, una volta dichiarata la paternità del C. S., fosse posto a carico
dello stesso l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli.
Rileva in proposito il Collegio che il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole,
stabilito dall’art. 147 cod. civ., obbliga i genitori a far fronte ad una molteplicità di esigenze
dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo,
scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna
predisposizione – fino a quando la loro età lo richieda – di una stabile organizzazione
domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione.
Tale principio trova conferma nel nuovo testo dell’art. 337 ter c.c. il quale, nell’imporre a
ciascuno dei genitori l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura
proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella
determinazione del contributo, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso
goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di
permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura
da loro assunti.
Nel caso di specie è pacifico che il C. S. non ha mai convissuto con la C. R.S. e con i figli
né mai lo stesso ha tenuto presso di sé gli stessi.
Inoltre dalla documentazione acquisita risulta che solo per un limitato periodo (da settembre
2005 a marzo 2006) lo stesso ha inviato delle somme con cadenza mensile mentre, per i
restanti anni, dalla documentazione prodotta dallo stesso C. S., risultano pagamenti per
singoli acquisiti (abbigliamento, spesa alimentare, biciclette) ed alcune ricariche di poste
pay ed il pagamento di alcune bollette della utenza della energia elettrica, senza, tuttavia,
alcuna regolarità. Non appare, invero, sufficiente la dichiarazione della teste L. che ha
affermato – senza che ciò corrisponda alcun supporto documentale – che il C. S.
corrispondeva alla attrice, durante l’anno, somme per € 8.000,00 per il mantenimento dei
ragazzi.
Deve, dunque, ritenersi che la C. R.S. abbia, di fatto provveduto quasi integralmente da sola
al mantenimento dei figli, considerato che – a parte quei pochi mesi in cui risulta una
contribuzione mensile – è stata la stessa a dovere provvedere alle esigenze di
organizzazione domestica ed a tutti gli altri aspetti sopra richiamati. Inoltre, come già
rilevato, la presenza del C. S. risulta essere stata del tutto sporadica e, pertanto, non può
affermarsi che lo stesso abbia contribuito in via diretta al mantenimento dei figli, tenendoli
con sè.
Per questi motivi, la domanda avanzata dalla C. R.S. in ordine al rimborso di quanto speso
per i figli deve trovare accoglimento nei termini che seguono.
Ha chiarito, sul punto, la Suprema Corte che in materia di mantenimento del figlio naturale,
la domanda di rimborso delle somme anticipate da un genitore può essere proposta nel
giudizio di accertamento della paternità o maternità naturale (Cass. 17914/2010).
Per costante giurisprudenza “L’obbligazione di mantenimento del figlio riconosciuto da
entrambi i genitori, per effetto della sentenza dichiarativa della filiazione naturale,
collegandosi allo “status” genitoriale, sorge con decorrenza dalla nascita del figlio, con la
conseguenza che il genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere esclusivo del
mantenimento del minore anche per la porzione di pertinenza dell’altro genitore, ha diritto di
regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dagli artt. 148 e 261
del cod. civ. da interpretarsi però alla luce del regime delle obbligazioni solidali stabilito
nell’art. 1299 cod. civ. Pertanto, il “quantum” dovuto in restituzione nel periodo di
mantenimento esclusivo non può essere determinato sulla base dell’importo stabilito per il
futuro nella pronuncia relativa al riconoscimento del figlio naturale, via via devalutato, in
quanto l’ammontare dovuto trova limite negli esborsi presumibilmente sostenuti in concreto
dal genitore che ha per intero sostenuto la spesa senza però prescindere né dalla
considerazione del complesso delle specifiche e molteplici esigenze effettivamente
soddisfatte o notoriamente da soddisfare nel periodo in considerazione né dalla
valorizzazione delle sostanze e dei redditi di ciascun genitore quali all’epoca goduti ed
evidenziati, eventualmente in via presuntiva, dalle risultanze processuali, né infine dalla
correlazione con il tenore di vita di cui il figlio ha diritto di fruire, da rapportare a quello dei
suoi genitori.” (Cass., 4 novembre 2010, n. 22506; da ultimo Cass., 22 luglio 2014, n.
16657).
Pertanto “nell’ipotesi in cui al mantenimento abbia provveduto, integralmente o comunque
al di là delle proprie sostanze, uno soltanto dei genitori, a lui spetta il diritto di agire in
regresso, per il recupero della quota del genitore inadempiente, secondo le regole generali
del rapporto tra condebitori solidali” (Cass., 22 novembre 2000, n. 15063).
Il genitore avrà, dunque, il diritto di ripetere nei confronti di quest’ultimo, qualora questi non
abbia partecipato alle spese di mantenimento, una quota delle spese sostenute.
L’art. 1299 c.c., prevede il regresso tra condebitori solidali, quando l’obbligazione sia stata
adempiuta da uno solo di essi. L’azione di regresso presuppone che il coobbligato solidale
abbia adempiuto per l’intero l’obbligazione. La domanda di rimborso delle spese avanzata
dalla madre, pertanto, può esercitarsi nei limiti degli obblighi gravanti sui genitori in base ai
principi di cui agli artt. 316 e 316 bis c.c. (che hanno sostituito dopo la riforma della filiazione
attuata con l.n.219/2012 e con d. l.gvo 154/2013 gli art.147 e 148 e abrogato l’art. 261 c.c.),
nel senso che è obbligo dei genitori adempiere ai loro doveri nei riguardi dei figli in
proporzione alle loro sostanze e capacità di lavoro professionale e casalingo, ma trattandosi
di rimborso di spese, già sostenute, queste devono essere, almeno attraverso l’applicazione
di un metodo presuntivo, adeguatamente provate nel loro an e nel quantum da chi alleghi
di averle sostenute anche in luogo dell’altro obbligato, secondo le regole generali dell’azione
di regresso.
E’ possibile chiederne la rifusione, applicando matematicamente al tempo passato la misura
del contributo di mantenimento da fissarsi per il futuro, solo qualora con l’applicazione dei
criteri presuntivi questo parametro appaia congruo, mentre qualora non si possa ricorrere a
tale criterio, il genitore che formula la domanda di regresso è onerato di fornire la prova,
quanto meno presuntiva degli esborsi effettivamente sostenuti (v. Cass., 4 novembre 2010,
n. 22506; Cass., 22 luglio 2014, n. 16657).
Come sopra rilevato, parte attrice ha dedotto di avere provveduto sostanzialmente da sola
a tutte le esigenze dei figli e che il C. S. aveva solo sporadicamente provveduto.
Sulla base di quanto documentato dal C. S., deve affermarsi che la contribuzione da parte
dello stesso sia stata limitata e, dunque, deve affermarsi che sia stata la attrice ad avere
provveduto alle esigenze dei figli da sola dalla nascita degli stessi (avvenute nel 2002 e
2004) sino ad oggi, con eccezione di quel breve periodo in cui la contribuzione è stata
mensile ed ad eccezione di quelle sporadiche elargizioni (per regali, acquisto di
abbigliamento e, solo per un limitato periodo, per il pagamento delle utenze).
Ciò fonda il diritto della stessa ad ottenere il rimborso di una quota di quanto speso che,
considerata la parziale e limitata partecipazione del C. S., può attestarsi intorno al 40%.
Tenuto conto che la attrice è dispendente del Ministero dell’Interno e percepisce una
retribuzione di circa € 1200,00 mensili, considerato anche che la stessa ha anche una altra
figlia, può ritenersi congruo affermare che la stessa abbia destinato a C. A. e C. E. una
somma mensile pari ad € 300,00 (pari ad € 150,00 ciascuno) e considerato che gli stessi
sono nati nel .. e nel .. e considerato, altresì, quanto detto sulla parziale contribuzione del
C. S., lo stesso deve essere condannato a corrispondere alla C. R.S., a titolo di regresso
per le spese dalla stessa sostenute in via esclusiva per il mantenimento dei figli, la somma
di € 25.000,00, importo determinato equitativamente tenuto conto dei bisogni dei figli – in
assenza di prove specifiche su spese straordinarie- e di quanto avrebbe potuto la attrice
destinare alle esigenze degli stessi.
Detta somma deve essere maggiorata di interessi dalla domanda (16.12.2019) al soddisfo,
avendo chiarito sul punto la Suprema Corte che in materia di filiazione naturale, il diritto al
rimborso delle spese a favore del genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio fin
dalla nascita, ancorché trovi titolo nell’obbligazione legale di mantenimento imputabile
anche all’altro genitore, ha natura in senso lato indennitaria, in quanto diretto ad
indennizzare il genitore, che ha riconosciuto il figlio, degli esborsi sostenuti da solo per il
mantenimento della prole. Ne consegue che il giudice di merito, ove l’importo non sia
altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare, legittimamente provvede, per le somme
dovute dalla nascita fino alla pronuncia, secondo equità trattandosi di criterio di valutazione
del pregiudizio di portata generale, fermo restando che, essendo la richiesta di indennizzo
assimilabile ad un’azione di ripetizione dell’indebito, gli interessi, in assenza di un
precedente atto stragiudiziale di costituzione in mora, decorrono dalla data della domanda
giudiziale (Cass. 16657/2014).
Quanto, invece, al contribuito per il mantenimento, si rileva che dagli atti risulta che entrambi
i ragazzi non sono ancora autonomi essendo impegnati in attività di studio.
Da ciò discende il diritto degli stessi a percepire dal C. S., quale genitore, un contributo
mensile per il proprio mantenimento, da corrispondersi alla C. R.S., in quanto genitore con
essi conviventi.
Tenuto conto della documentazione in atti (dalla quale risulta che, negli ultimi anni il C. S.
ha dichiarato redditi imponibili compresi fra i € 20.00,00 ed i 24.000,00 e che lo stesso è
titolare di numerosi beni immobili, alcuni produttivi di reddito), considerato altresì che seppur
dalla istruttoria emerge che lo stesso ha una moglie ed altri tre figli ma non ha fornito prova
in ordine alla mancata indipendenza economica dei figli o della moglie, ritiene il Collegio che
possa porsi a carico dello stesso l’obbligo di versare alla C. R.S., a titolo di contributo per i
ragazzi, la somma mensile di € 500,00 oltre aggiornamento istat annuale ed oltre la quota
del 50% delle spese straordinarie da compiersi nell’interesse dei figli.
Quanto alla domanda di condanna del convenuto al risarcimento del danno endofamiliare
avanzata dalla attrice nell’interesse dei figli si rileva che, secondo la Suprema Corte, “Il diritto
del figlio ad essere educato e mantenuto (artt. 147 e 148 cod. civ.) è, in conclusione,
eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione (Cass. 5562 del 2012). Alla
formula costituita dall’endiadi “diritto ad essere educato e mantenuto” non può attribuirsi un
valore soltanto descrittivo. Essa contiene e presuppone il più ampio ed immanente diritto,
desumibile dalla lettura coordinata degli artt. 2 e 30 Cost., di condividere fin dalla nascita
con il proprio genitore la relazione filiale, sia nella sfera intima ed affettiva, di primario rilievo
nella costituzione e sviluppo dell’equilibrio psicofisico di ogni persona, sia nella sfera sociale,
mediante la condivisione ed il riconoscimento esterno dello status conseguente alla
procreazione. Entrambi i profili integrano il nucleo costitutivo originario dell’identità
personale e relazionale dell’individuo e la comunità familiare costituisce la prima formazione
sociale che un minore riconosce come proprio riferimento affettivo e protettivo. Nell’art. 24
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, fonte integratrice dello statuto dei
diritti fondamentali di rango costituzionale delle persone, è specificamente contenuto, al
comma 3, il diritto per il bambino alla protezione e alle cure necessarie al suo benessere
nonché quello d’intrattenere relazioni e contatti diretti con i propri genitori. La privazione di
entrambi gli elementi fondanti il nucleo dei doveri di solidarietà del rapporto di filiazione
costituisce una grave violazione dell’obbligo costituzionale (nel senso rafforzato
dall’integrazione con la fonte costituzionale costituita dal diritto dell’Unione europea e dalla
Convenzione di New York del 20.11.89 ratificata con L. n. 176 del 1991, sui diritti del
fanciullo) sopra delineato. Si determina, pertanto, un automatismo tra procreazione e
responsabilità genitoriale, declinata secondo gli obblighi specificati negli artt. 147 e 148 cod.
civ., che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare,
nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli
obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Nella recente pronuncia di questa sezione
n. 5652 del 2012, relativa ad una fattispecie del tutto analoga a quella formante oggetto del
presente giudizio, la Corte, oltre ad aver ribadito il principio sopra esposto, secondo il quale
gli obblighi contenuti negli artt. 147 e 148 cod. civ., di diretta derivazione costituzionale,
sorgono per il mero fatto della nascita, ha, specificamente affermato che “La violazione dei
doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole (nella specie il
disinteresse mostrato dal padre nei confronti del figlio per lunghi anni) non trova sanzione
solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi
dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; questa, pertanto,
può dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai
sensi dell’art. 2059 cod. civ. esercitatile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione
giudiziale di paternità e maternità”.
Ritiene il Collegio che, dagli elementi raccolti, emerge che i figli hanno senza dubbio subito
un pregiudizio dalla condotta del C. S., il quale, pur consapevole della paternità, non ha
comunque proceduto al riconoscimento degli stessi. Risulta dalla testimonianze acquisite
che la C. R.S. aveva più volte richiesto al C. S. di riconoscere i figli ma non lo stesso non vi
ha mai provveduto. Risulta anche che siffatta richiesta era stata avanzata anche tramite
legale già nel 2016 e che alla stessa non era seguita alcuna risposta.
Il pregiudizio è apparso evidente anche dalla audizione dei figli i quali, con sofferenza, hanno
affermato che il padre era solito “rinviare tutte le questioni importanti, come quella del
riconoscimento e del cognome” e, proprio in virtù della sofferenza dagli stessi maturata in
proposito, hanno chiesto di non assumere, all’esito del presente giudizio, il cognome dello
stesso.
Pertanto, tenuto conto dei principi espressi dalla Suprema Corte in proposito, deve
affermarsi la sussistenza, in capo a C. A. e C. E., di un danno morale che può essere
liquidato, in via equitativa, nella misura di € 5.000,00 ciascuno, somma aggiornata alla data
odierna e da maggiorarsi di interessi dalla presente sentenza al soddisfo.
Le spese del giudizio, comprese quella della consulenza espletata, in base alla
soccombenza, devono essere poste a carico del C. S. e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Messina, Prima Sezione Civile, uditi i procuratori delle parti, definitivamente
pronunciando sulla domanda proposta da C. R.S. con atto di citazione ritualmente notificato
nei confronti di C. S., e con l’intervento del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Messina,
disattesa ogni contraria domanda, eccezione e difesa, così provvede:
1) Dichiara che C. S. è il padre di C. A. nata a Catania il.. (atto di nascita del Comune di
Catania n. .., parte 2, serie B) e di C. E., nato a Catania il .. (atto di nascita del Comune di
Catania n. .., parte 2, serie B);
2) condanna C. S. a corrispondere, per le causali di cui in motivazione, a C. R.S., la somma
di € 25.000,00 oltre interessi dal 16.12.2019;
3) condanna C. S. al risarcimento del danno, in favore di C. A. e C. E., che liquida in €
5.000,00 per ciascuno, oltre interessi legali dalla presente sentenza al soddisfo;
4) dispone che C. S. versi a C. R.S., a titolo di contributo per il mantenimento dei figli C. A.
e C. E., entro il 5 di ogni mese, la somma di € 500,00 oltre aggiornamento istat annuale ed
oltre la quota del 50% delle spese straordinarie;
5) condanna C. S. alla rifusione delle spese processuali in favore di C. R.S. che liquida in €
48,87 per spese vive ed € 7616,00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa;
6) pone le spese di ctu in via definitiva a carico di C. S..