Quando opera la “vis attractiva” del T.O. rispetto alla competenza del T.M.?

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Svolgimento del processo
1.In data 30/07/2020 il Tribunale di Fermo veniva investito del giudizio di separazione tra i coniugi
A.A. e B.B., che si concludeva con decreto di omologazione di separazione consensuale del
17/12/2020, pubblicato il 02/01/2021.
1.1. – Frattanto, in data 09/09/2020 la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di
Ancona chiedeva al Tribunale per i minorenni di Ancona l’adozione dei provvedimenti ex artt. 330 e
333 c.c., a carico dei predetti A.A. e B.B., nell’interesse del minore C.C..
1.2. – Con ordinanza del 10.02.2021 il Tribunale per i minorenni di Ancona si è dichiarato
incompetente ex art. 38 disp.att. c.c., stante la pendenza dinanzi al Tribunale di Fermo del giudizio di
separazione instaurato dai coniugi A.A.-B.B..
1.3. – Di conseguenza, in data 11/03/2021 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Fermo
ha presentato allo stesso Tribunale la richiesta di adozione dei provvedimenti ex artt. 330 e 333 c.c. a
carico di A.A. e B.B..
1.4. – Con ordinanza del 10.02.2021 il Tribunale di Fermo, che precedentemente, in data 17/12/2020,
aveva omologato la separazione consensuale dei coniugi, ha sollevato d’ufficio conflitto negativo di
competenza, ritenendo che competente ad adottare i provvedimenti ex artt. 330 e 333 c.c., nei
confronti dei genitori del minore B.B. sia il Tribunale per i minorenni di Ancona.
2.Il P.G., premessa l’ammissibilità del regolamento di competenza d’ufficio, praticabile anche
nell’ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione (Cass. 6898/204, 16959-2011, 31770-2021)
ha concluso per la competenza del Tribunale ordinario di Fermo, in quanto dinanzi ad esso era
pendente, “al momento della proposizione del primo ricorso del P.M.”, il giudizio di separazione dei
coniugi A.A.-B.B., senza che la sopravvenuta conclusione di quel giudizio, in virtù di decisione non
più impugnabile, possa comportare il ripristino della competenza del tribunale per i minorenni, non
essendo l’art. 5 c.p.c., espressamente derogato dall’art. 38 disp.att. c.c..
2.1. In altri termini, la vis attractiva a favore del tribunale ordinario non potrebbe venir meno per
effetto di vicende nuove verificatesi in epoca successiva all’esercizio dell’azione (come si
desumerebbe a contrario da Cass. n. 2833 del 2015 e da Cass. n. 20202 del 2018).
Motivi della decisione
3. – Il regolamento è ammissibile, poichè, in tema di provvedimenti limitativi della responsabilità
genitoriale in pendenza di un giudizio di separazione personale, è sempre proponibile il regolamento
di competenza di ufficio per individuare chi sia competente tra il tribunale ordinario e quello per i
minorenni, in applicazione analogica dell’art. 45 c.p.c., trattandosi di materia nella quale il giudice
dispone di poteri officiosi d’iniziativa, ai fini tanto dell’instaurazione e della prosecuzione del
procedimento quanto della pronuncia di merito (Cass. 2073-2020).
4. – Nel caso in esame non è in discussione il principio – condiviso tanto dal Tribunale per i minorenni
di Ancona quanto dal Tribunale ordinario di Fermo – in base al quale, ai sensi dell’art. 38 disp.att. c.c.
(nel testo sostituito dalla L. n. 219 del 2012, art.3) la competenza del tribunale per i minorenni nei
procedimenti di cui all’art. 333 c.c. resta esclusa (…) nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti,
giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c. “; la questione sottoposta al
giudizio di questa Corte è invece quale sia la sorte di quel principio qualora venga meno il presupposto
della pendenza dei menzionati giudizi.
5. – Come visto, al relativo quesito la Procura generale ha risposto nel senso che “la individuazione
del giudice naturale deve essere compiuta tenendo conto della situazione di fatto e di diritto esistente
al momento della proposizione della domanda, come si evince dall’art. 5 c.p.c.”, e quindi “non vi
sono ragioni per affermare che competente ad adottare i provvedimenti limitativi della responsabilità
genitoriale debba tornare ad essere il Tribunale dei Minorenni quantunque il ricorso del P.M. sia stato
formalizzato a seguito di instaurazione dinanzi al tribunale ordinario del procedimento di
separazione”.
6. – Il Collegio ritiene invece che al quesito debba essere data soluzione opposta, in quanto l’art. 38
disp. att. c.c. introduce una deroga alla competenza del tribunale per i minorenni, quale giudice
naturale sui provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale, sicchè il venir meno del
presupposto di tale eccezione, su cui si fonda la “vis attractiva” del tribunale ordinario, deve
comportare il ripristino della regola ordinaria.
6.1. – A tale conclusione inducono la natura (derogatoria della competenza attribuita in via generale
ad un giudice specializzato: Cass. 3490-2021), la lettera (“nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse
parti, giudizio di separazione”: Cass. 16569-2021) e la ratio (evitare la futura emissione di pronunce
contrastanti e incompatibili: Cass. 16339/2021) dell’art. 38 disp.att. c.c., le quali convergono
sinergicamente a far ritenere che la deroga alla competenza del tribunale per i minorenni debba essere
interpretata in senso tassativo e restrittivo, con sua conseguente “riespansione” qualora il presupposto
della “vis attractiva” al tribunale ordinario (pendenza del giudizio di separazione, divorzio o ex art.
316 c.c.) venga meno, perchè è così che la causa torna effettivamente al suo giudice naturale.
7. – Anche il percorso tracciato dalla lettura nomofilattica dell’art. 38 disp. att. c.c. è coerente con una
simile conclusione.
7.1. – Questa Corte ha già avuto modo di circoscriverne l’ambito processuale di efficacia, affermando
che la “vis attractiva” esiste “fino alla definitiva conclusione” del giudizio di separazione (Cass.
3490/2021).
7.2. – E’ stato poi declinato il criterio della prevenzione, nel senso che la “vis attractiva” del tribunale
ordinario è limitata all’ipotesi in cui il procedimento dinanzi a questo sia stato instaurato per primo
(Cass. 16340-2021, 1866-2019), mentre l’art. 38 disp.att. c.c. non opera quando il procedimento di
separazione venga instaurato successivamente, nel qual caso i due giudizi proseguono
autonomamente, ferma restando la competenza del tribunale minorile sulla decadenza dalla
responsabilità genitoriale (Cass. 16569-2021).
In altri termini, il principio di prevenzione vale “a senso unico”, poichè quando il giudizio di
separazione, o di divorzio, o ex art. 316 c.c. viene promosso successivamente, esso non esercita
alcuna “vis attractiva” su quello già in corso per l’adozione dei provvedimenti nell’interesse dei minori
di cui agli artt. 330 ss. c.c., rispetto al quale prosegue autonomamente (Cass. 16340-2021, 1866-
2019), salva la precisazione sopra vista.
7.3. – Questa Corte ha affermato che l’interpretazione per cui il tribunale per i minorenni resta
competente a conoscere della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di decadenza o la limitazione
della potestà genitoriale ancorchè, nel corso del giudizio, sia stata proposta innanzi al tribunale
ordinario domanda di separazione personale o di divorzio dei coniugi, è condivisibile perchè: i)
aderente al dato letterale dell’art. 38 disp.att. (“sia (già) in corso”); ii) rispettosa del principio della
“perpetuatio jurisdictionis” di cui all’art. 5 c.p.c.; iii) coerente con le ragioni di economia processuale
e di tutela dell’interesse superiore del minore, che trovano fondamento nella Cost., artt. 111 8 CEDU,
24 Carta di Nizza (Cass. 2833-2015 e 20202-2018).
8. – Può essere utile ricordare che il criterio della prevenzione è venuto meno con la c.d. “riforma
Cartabia” (L. n. 206 del 2021, art. 1, comma 28 d D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 149) – applicabile ai
procedimenti instaurati dal 22 giugno 2022 – che, intervenendo proprio sull’art. 38 disp.att. c.c., ha
modificato i criteri del riparto di competenza tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni,
estendendo la “vis attractiva” del primo al caso in cui il procedimento innanzi al tribunale ordinario
sia introdotto dopo l’instaurazione di quello innanzi al tribunale per i minorenni (salvo l’art. 709ter
c.p.c., in quanto il procedimento per l’attuazione dei provvedimenti emessi dal tribunale per i
minorenni deve essere necessariamente introdotto di fronte a quest’ultimo).
8.1. – L’intervento riformatore, valorizzando il concetto di effettiva pendenza dei procedimenti
dinanzi ai due diversi giudici, sembra esprimere la prevalenza della ratio di evitare pronunce
incompatibili anche sul principio della “perpetuatio jurisdictionis” ex art. 5 c.p.c. Tale scelta del
legislatore trova una giustificazione consistente altresì nella ratio complessiva sottesa alla regolazione
dei rapporti di competenza fra tribunale ordinario e tribunale minorile in questa materia e cioè quella
della concentrazione dell’accertamento giudiziale nelle ipotesi di limitazione della responsabilità
genitoriale che, per il carattere intrinseco di rilevanza e urgenza delle relative decisioni, richiede e
impone una conoscenza non parcellizzata della situazione familiare e la necessità di evitare decisioni
giudiziali contrastanti.
Dal punto di vista concettuale, la nuova voluntas legislatoris non solo non confligge con la soluzione
divisata dal Collegio nel caso in esame, ma anzi l’avvalora.
9. – In conclusione deve affermarsi che la “vis attractiva” del tribunale ordinario rispetto alla
competenza del tribunale per i minorenni opera, ai sensi dell’art. 38 disp. att. c.c., a condizione che,
nel momento in cui perviene al medesimo tribunale ordinario una richiesta di adozione dei
provvedimenti ex artt. 330 e 333 c.c., il giudizio di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c. non sia già
definitivamente concluso, nel qual caso resta ferma la competenza del tribunale per i minorenni.
P.Q.M.
La Corte dichiara la competenza del Tribunale per i minorenni di Ancona dinanzi al quale dovrà
proseguire il processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 dicembre 2022.

Violenza sessuale e attendibilità della persona offesa

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente –
Dott. SOCCI Angelo M. – Consigliere –
Dott. PAZIENZA Vittorio – Consigliere –
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere –
Dott. MAGRO Maria B. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Svolgimento del processo
1. Con sentenza della Corte di appello di Bari dell’8 novembre 2021, in parziale riforma della
decisione del Tribunale di Bari (giudizio abbreviato) del 25 novembre 2020, riqualificato il reato di
cui all’art. 56-628 c.p., ai sensi degli art. 56 e 610 c.p., unificati i reati con la continuazione, è stata
rideterminata la pena nei confronti di A.A. in anni 8 di reclusione (imputato dei reati, nei due
procedimenti riuniti RGNR 7594/2020 e 7395/2020, di cui agli art. 56 e 628 c.p., – capo 1, commesso
in danno di B.B. il (Omissis) -; L. n. 110 del 1975, art. 4 e art. 61 c.p., n. 2 capo 2, commesso il
(Omissis) -; art. 81 e 337 c.p., – capo 3, commesso in danno dei Carabinieri C.C. e D.D., il (Omissis)
-; art. 612 bis c.p., commi 1 e 2 – capo 1, commesso in danno di E.E., dal (Omissis) -; art. 609 bis,
comma 1 – in danno di E.E., commesso il (Omissis), capo 2 -; art. 605 c.p., comma 1, e art. 582 c.p., –
capo 3, commesso il (Omissis) in danno di E.E. -).
2. L’imputato ha proposto ricorso in cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2. 1. Nullità della sentenza per violazione di legge processuale stabilita a pena di nullità (art. 178
c.p.p., lett. C). La difesa per il procedimento RGNR 7395/2020 (reati di cui agli art. 56 e 628 c.p. –
capo 1, commesso in danno di B.B. il (Omissis) -; L. n. 110 del 1975, art. 4 e art. 61 c.p., n. 2 capo 2,
commesso il (Omissis) -; art. 81 e 337 c.p., – capo 3, commesso in danno dei Carabinieri C.C. e D.D.,
il (Omissis) -) formulava richiesta di giudizio abbreviato, senza condizioni. Mentre per il
procedimento RGNR 7594/2020 il giudizio abbreviato era stato richiesto condizionato all’escussione
di due testi.
In data 24 novembre 2020 il Presidente della Sezione GIP / GUP del Tribunale disponeva
l’assegnazione di entrambi i procedimenti ad un solo giudice, per l’eventuale riunione richiesta dalla
difesa. Il provvedimento veniva notificato solo all’Avv. N.Q., di fiducia, ma non era notificato all’altro
difensore dell’imputato (Avv. A.D.B.) e neanche alla persona offesa e al suo difensore.
L’avviso di fissazione dell’udienza del 25 novembre 2020 doveva essere notificato a tutte le parti
processuali.
La Corte di appello, erroneamente, ha rigettato l’eccezione di nullità, in quanto il difensore
dell’imputato, presente all’udienza, non aveva eccepito l’omessa notifica all’altro difensore,
nonostante fosse stato specificamente interpellato dal giudice. Invece il giudice aveva verbalizzato la
correttezza delle notifiche e, pertanto, la difesa nulla avrebbe potuto eccepire. Infatti, il
provvedimento che aveva fissato l’udienza è del 24 novembre, per il giorno successivo (25 novembre
2020). Conseguentemente la verifica della regolarità della notifica poteva avvenire solo attraverso il
giudice, direttamente in udienza. La domanda posta dal giudice al difensore presente è stata solo
quella della sussistenza di altro codifensore, non già della regolarità della notifica all’altro difensore.
Non sussisteva alcun margine da parte del difensore presente di eccepire l’omessa notifica.
2. 2. Nullità della sentenza per violazione di legge processuale stabilita a pena di nullità (art. 438
c.p.p.).
All’udienza del 25 novembre 2020 il giudice, senza un provvedimento di ammissione del rito
abbreviato, ha disposto la discussione. Non sono state ammesse le prove testimoniali, alle quali il
ricorrente aveva subordinato la richiesta di giudizio abbreviato.
Per giurisprudenza consolidata il giudice prima di invitare le parti alla discussione avrebbe dovuto
ammettere il giudizio abbreviato (anche quello senza alcuna subordinazione).
In assenza di un’ordinanza di ammissione la difesa non poteva fare altrimenti; ha potuto solo eccepire
la nullità nell’atto di appello.
Per la Corte di appello, invece, l’assenza di eccezioni avrebbe sanato la nullità.
2. 3. Mancanza di motivazione sulla ritenuta attendibilità della persona offesa (E.E.).
Il giudice di secondo grado ha reiterato l’errore del Tribunale, ritenendo la parte offesa attendibile.
Nell’appello la difesa aveva evidenziato alcuni aspetti critici nelle dichiarazioni della donna. Alle
specifiche contestazioni dell’appello la sentenza non ha fornito adeguata motivazione. La sentenza
non ha dato spiegazioni del perchè la donna, pur sapendo di dover consumare rapporti sessuali con
l’imputato la sera del (Omissis), si era recata volontariamente in albergo; non chiese nessun aiuto
neanche al personale dell’albergo. L’imputato, se avesse voluto violentare la E.E. lo avrebbe fatto in
auto o in campagna e non in un albergo, dove la vittima avrebbe potuto chiedere aiuto facilmente.
L’imputato ha incontrato anche la figlia (insieme alla sua compagna) della donna e questo dimostra
che la parte offesa non aveva paura di lui.
La parte offesa, del resto, si era intrattenuta con l’imputato a parlare su dei gradini prima delle presunte
violenze. La donna, inoltre, ha sempre gestito la relazione con l’imputato nelle stanze di albergo. Il
portiere dell’albergo (F.F.) non riferisce di una donna impaurita all’arrivo in albergo. Durante la notte
la donna non ha mai urlato o chiesto aiuto; solo al momento dell’uscita la donna ha urlato.
2. 4. Violazione di legge (art. 62 bis c.p.).
La Corte di appello non riconosce all’imputato le circostanze attenuanti generiche omettendo qualsiasi
motivazione, nonostante specifica richiesta in sede di appello.
2. 5. Violazione di legge (art. 81, 132 e 133 c.p.) e vizio della motivazione sul trattamento
sanzionatorio superiore al minimo edittale.
La sentenza impugnata ha determinato la pena base per il reato più grave (art. 609 bis c.p.) in anni 8
di reclusione senza specifica motivazione. La pena superiore al minimo edittale non è stata
adeguatamente motivata. Anche gli aumenti per la continuazione risultano eccessivi (anni 1 di
reclusione per il delitto ex art. 612 bis c.p. ed anni 1 e mesi 6 di reclusione per il delitto ex art. 605
c.p.), senza specifica e dettagliata motivazione.
Ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è manifestamente infondato, in quanto i motivi sono generici e ripetitivi dell’appello,
senza critiche specifiche di legittimità alle motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre, il ricorso,
articolato in fatto, valutato nel suo complesso, richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del
fatto, non consentita in sede di legittimità.
4. I primi due motivi processuali sono in palese contrasto con la giurisprudenza consolidata della
Corte di Cassazione.
In caso di omesso avviso di fissazione udienza ad uno dei due difensori di fiducia dell’imputato, si
configura una nullità a regime intermedio che deve essere eccepita in udienza dal difensore presente,
sicchè la mancata proposizione dell’eccezione sana la nullità, a prescindere dal fatto che l’imputato,
regolarmente citato, sia presente o meno. (Sez. 5 -, Sentenza n. 55800 del 03/10/2018 Ud. (dep.
12/12/2018) Rv. 274620 – 01).
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso in cassazione era onere dell’imputato presente
accertarsi della omessa notifica e proporre la relativa eccezione: “La nullità a regime intermedio,
derivante dall’omesso avviso dell’udienza a uno dei due difensori dell’imputato, è sanata dalla mancata
proposizione della relativa eccezione a opera dell’altro difensore comparso, pur quando l’imputato
non sia presente. (In motivazione la Corte ha precisato che è onere del difensore presente, anche se
nominato d’ufficio in sostituzione di quello di fiducia regolarmente avvisato e non comparso,
verificare se sia stato avvisato anche l’altro difensore di fiducia ed il motivo della sua mancata
comparizione, eventualmente interpellando il giudice)” (Sez. U, Sentenza n. 39060 del 16/07/2009
Ud. (dep. 08/10/2009) Rv. 244187 – 01).
5. L’ammissione del giudizio abbreviato, per fatti concludenti quali l’invito alla discussione, non
necessita di un provvedimento formale: “L’accesso al giudizio abbreviato non necessita di
un’ordinanza che disponga l’ammissione al rito con formula sacramentale, essendo sufficiente che il
giudice adotti un provvedimento equipollente, avente la stessa funzione di carattere ordinatorio e
propulsivo del procedimento. (Nella specie la Corte ha ritenuto legittimo il provvedimento del giudice
che, “dato atto della scelta del rito abbreviato”, aveva poi dichiarato ” aperta la discussione”)” (Sez.
6 -, Sentenza n. 34543 del 30/05/2018 Ud. (dep. 20/07/2018) Rv. 274021 – 01).
Anche la mancata ammissione delle testimonianze alle quali era stato subordinato il rito abbreviato
per uno dei procedimenti riuniti non comporta nessuna nullità, in quanto il difensore ha aderito
all’invito alla discussione senza nulla eccepire: “Qualora l’imputato, a seguito del rigetto della
richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria, non riproponga tale
richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (come previsto dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 169 del 2003, dichiarativa della parziale incostituzionalità
dell’art. 438 c.p.p., comma 6), ma chieda, invece, di definire il processo con giudizio abbreviato non
condizionato, la mancata ammissione della prova cui era subordinata l’iniziale richiesta non può
essere dedotta come motivo di gravame, ferma restando la facoltà di sollecitare l’esercizio dei poteri
di integrazione istruttoria “ex officio” ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 3″ (Sez. 1 -, Sentenza n.
12818 del 14/02/2020 Ud. (dep. 23/04/2020) Rv. 279324 – 01; vedi anche Sez. 2 -, Sentenza n. 13368
del 27/02/2020 Ud. (dep. 30/04/2020) Rv. 278826 – 0).
6. Nel merito l’imputato contesta molto genericamente l’attendibilità della parte offesa senza
confrontarsi con le complete e logiche motivazioni della sentenza impugnata.
La decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) contiene ampia
e adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del
ricorrente, e sulla piena attendibilità della donna, parte offesa, peraltro con numerosi riscontri alle sue
dichiarazioni.
In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri
di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati
di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204
del 07/10/2015 – dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482).
In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della
motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà
(intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti
essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze
che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa
illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei
significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a
conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza
probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015,0., Rv. 262965).
In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo
perchè il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte,
avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poichè ciò si tradurrebbe in una
rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 – dep.
28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705).
7. La Corte di appello (e il Giudice di primo grado), come visto, ha con esauriente motivazione,
immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha
portato alla valutazione di attendibilità della parte donna.
Infatti, in tema di reati sessuali, poichè la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del
convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l’attendibilità del teste; tale giudizio,
essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può
essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità,
specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi
probatoria. (Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 – dep. 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).
Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere
poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata
da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del
suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui
vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice
indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo
così l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha
rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti
di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria
l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una
ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare Spazio ad
una valida alternativa. (Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 – dep. 14/01/2015, Pirajno e altro, Rv. 261730);
le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa,
le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità
soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso
essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi
testimone. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep. 24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).
7. 1. Nel caso in giudizio le analisi delle due decisioni (conformi) sono precise, puntuali e rigorose
nell’affrontare l’attendibilità della donna, rilevando come i fatti sono emersi dalle dichiarazioni lineari
della stessa e dai riscontri. La Corte evidenzia come la sera del (Omissis) l’imputato aveva atteso la
donna sotto la sua abitazione e sotto minaccia grave fu costretta a recarsi con lui nell’Hotel (in passato
la donna era stata brutalmente picchiata e minacciata di morte dall’imputato, con riferimento al
possesso di una pistola). Conseguentemente la parte offesa non si è recata volontariamente in Hotel
per consumare rapporti sessuali consensuali con l’imputato, ma sotto la costrizione di minacce gravi
e per evitare di essere brutalmente picchiata, come era successo altre volte (come evidenziato dalle
annotazioni di servizio richiamate). La madre della ricorrente riferiva che la figlia tornava spesso a
casa con i cellulari distrutti dall’imputato durante gli attacchi di gelosia. Il portiere dell’albergo, G.G.,
ha riferito delle urla della donna la mattina. Il proprietario dell’albergo ha riferito del buco nel muro
(per il lancio del coltello da parte dell’imputato) e del danneggiamento di una sfera di cristallo, come
riferito dalla parte offesa.
Su questi aspetti il ricorso, articolato in fatto e in maniera del tutto generica, reitera le motivazioni
dell’atto di appello senza confrontarsi con la sentenza impugnata. Sostanzialmente non contiene
censure di legittimità nei confronti delle motivazioni della sentenza impugnata. Ripropone
acriticamente dubbi soggettivi, adeguatamente risolti dalle decisioni di merito.
8. Del tutto generici e manifestamente infondati i motivi sul trattamento sanzionatorio e sul mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di appello ha ritenuto adeguata ai
fatti la pena di anni 8 di reclusione (per il reato base) con un aumento per la continuazione di anni 1
di reclusione per il delitto ex art. 612 bis c.p. ed anni 1 e mesi 6 di reclusione per il delitto ex art. 605
c.p.
La pena, quindi, risulta al di sotto della media edittale e non necessitava di specifica e dettagliata
motivazione: “In tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di
sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del
giudice, se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso
argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena” (Sez.
3, n. 38251 del 15/06/2016 – dep. 15/09/2016, Rignanese e altro, Rv. 26794901; vedi anche Sez. 4, n.
46412 del 05/11/2015 – dep. 23/11/2015, Scaramozzino, Rv. 26528301 e Sez. 2, n. 28852 del
08/05/2013 – dep. 08/07/2013, Taurasi e altro, Rv. 25646401).
Inoltre, la sentenza impugnata evidenzia la gravità dei fatti in relazione “alo spessore criminale e alla
pericolosità dell’imputato appellante”.
9. Manifestamente infondato, anche, il motivo sul mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche. La sentenza della Corte di appello pur non motivando sul motivo dell’appello
rileva, comunque, che la pena determinata, non molto distante dal minimo edittale risulta adeguata al
fatto.
La motivazione suddetta implicitamente rigetta la richiesta di riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche, in quanto la pena è stata ritenuta congrua per i fatti in giudizio e non era possibile
irrogare una pena al di sotto del minimo edittale.
Infatti, “La richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa con
motivazione implicita allorchè sia adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione
del trattamento sanzionatorio, fondata su analogo ordine di motivi. (In applicazione del principio, la
Corte ha ritenuto immune da censure l’impugnata sentenza d’appello che, nel confermare la
determinazione della pena effettuata dal primo giudice, aveva evidenziato la pregnanza delle
circostanze aggravanti, dando implicitamente conto dell’impossibilità di addivenire ad una
mitigazione della pena inflitta)” (Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019 – dep. 21/03/2019, DULAN
CRISTIAN, Rv. 27505701).
Le attenuanti generiche previste dell’art. 62-bis c.p., sono state introdotte con la funzione di mitigare
la rigidità dell’originario sistema di calcolo della pena, per rimuovere il limite posto al giudice con la
fissazione del minimo edittale, allorchè questi intenda determinare la pena al di sotto di tale limite,
con la conseguenza che, ove questa situazione non ricorra, perchè il giudice valuta la pena da
applicare al di sopra del limite, o nel minimo edittale, il diniego di riconoscimento delle generiche
diviene solo elemento di calcolo e non costituisce mezzo di determinazione della sanzione e non può,
quindi, dar luogo nè a violazione di legge, nè al corrispondente difetto di motivazione (Vedi Sez. 3,
n. 44883 del 18/07/2014 – dep. 28/10/2014, Cavicchi, Rv. 260627).
Del resto, la richiesta delle circostanze attenuanti generiche in appello risulta proposta in modo
alquanto generico senza specificazione degli elementi positivi da considerare (Vedi Sez. 3, Sentenza
n. 57116 del 29/09/2017 Ud. (dep. 21/12/2017) Rv. 271869 – 0); nell’appello si censura solo l’omessa
motivazione della sentenza di primo grado, senza specificare elementi positivi da valutare per il
riconoscimento delle circostanze ex art. 62 bis c.p..
9. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza
13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono
elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima
consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro
3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a
norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2022

Accertamento filiazione e rimborso oneri in unico giudizio

Tribunale sez. I – Messina, 17/11/2022, n. 1918
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Il Tribunale di Messina, Prima Sezione Civile, composto dai Sigg.ri
Magistrati:
1) dott.ssa Caterina Mangano Presidente
2) dott. Corrado Bonanzinga Giudice,
3) dott. Ssa Viviana Cusolito Giudice est.,
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 6293/2019 R.G., posta in
decisione, con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.,
all’udienza di precisazione delle conclusioni del 13.7.2022 e
promossa da
C. R.S., c.fisc. .., elettivamente domiciliata presso lo studio
dell’avv. CURRO’ GIOVANNI che la rappresenta e difende giusta
procura in atti
PARTE ATTRICE
CONTRO
C. S., c.fisc. .., elettivamente domiciliato presso lo studio
dell’avv. GIORDANO PIERO che lo rappresenta e difende giusta procura
in atti
PARTE CONVENUTA
E con l’intervento del PM presso il Tribunale di Messina.
OGGETTO: Dichiarazione giudiziale di paternità.
CONCLUSIONI
All’udienza di precisazione delle conclusioni i procuratori delle
parti hanno concluso come da verbale.
Con atto di citazione ritualmente notificato C. R.S. citava in giudizio C. S., esponendo che
dalla relazione con lo stesso, protrattasi per dieci anni, dal 1999 all’aprile 2009, erano nati i
figli C. A., il .., ed C. E., il .. riconosciuti solo dalla stessa. Esponeva che il convenuto non si
era mai occupato dei figli, disinteressandosi degli stessi sia sotto il profilo morale che
materiale e che solo in rarissime occasioni lo stesso aveva fatto loro dei regali ed aveva
elargito minime somme ricaricando una Postepay. Precisava che, anche attese le
accresciute esigenze dei ragazzi, ella non riusciva più da sola a fare fronte alle stesse ed,
in particolare, alle spese universitarie per la figlia C. A., anche tenuto conto che ella, con lo
stipendio di funzionario amministrativo presso il Commissariato di PS di Milazzo, doveva
anche provvedere al pagamento delle rate di mutuo per la casa di abitazione anche dei
ragazzi e della rata della automobile. Ancora aggiungeva che il convenuto non aveva voluto
raggiungere alcun accordo e solo raramente aveva fornito un aiuto per il pagamento di
qualche bolletta, pur essendo lo stesso un imprenditore, titolare di una ditta individuale.
Tutto ciò premesso concludeva chiedendo che fosse accertato e dichiarato che il convenuto
è il padre di C. A. e C. E., con ordine all’Ufficiale di Stato Civile di procedere alla trascrizione
della sentenza e con aggiunta del cognome qualora i figli avessero manifestato il loro
consenso. Chiedeva, altresì, la condanna dello stesso al rimborso delle spese sostenute in
via esclusiva per il mantenimento dei ragazzi, nonché la condanna a corrispondere una
somma mensile per il mantenimento degli stessi, fino al raggiungimento della indipendenza
economica. Chiedeva, ancora, la condanna del convenuto al risarcimento del danno
familiare, con riserva di richiedere il sequestro conservativo sui beni dello stesso e con
vittoria di spese e compensi.
Con comparsa depositata in data 30.4.2020 si costituiva il convenuto contestando il
contenuto dell’atto di citazione e chiedendone il rigetto. Rilevava che egli si era occupato
dei ragazzi, anche acquistando regali per gli stessi, corrispondendo somme di denaro e
financo provvedendo alla ristrutturazione dell’immobile di proprietà della attrice. Escludeva,
inoltre, di essersi disinteressato dei figli sotto il profilo morale e, pertanto, chiedeva il rigetto
della domanda di risarcimento del danno endofamiliare. In ultimo, rilevava la infondatezza
della richiesta di mantenimento.
Nel corso del giudizio veniva ammessa ed espletata ctu al fine di accertare la compatibilità
biologica fra il convenuto ed i figli della attrice nonché interrogatorio formale delle parti e
prova per testi. Alla udienza del 13.7.2022, dopo la audizione dei figli della attrice, la causa
veniva assunta in decisione.
Tutto ciò premesso preliminarmente deve rilevarsi la inammissibilità, stante la tardività, della
eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta esclusivamente nella comparsa
conclusionale, atto destinato esclusivamente ente ad illustrare le difese già svolte in giudizio.
Nel merito, la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità avanzata dalla attrice è
fondata e deve essere accolta.
Sul punto deve rilevarsi che la attrice ha agito ai sensi dell’art. 269 c.c. affinchè fosse
dichiarata giudizialmente la paternità del C. S. dei figli C. A. ed C. E..
La attrice era legittimata ad agire ai sensi dell’art. 273 c.c. avendo ella agito quale genitore
esercente la responsabilità sui figli minori. Risulta, inoltre, dagli atti del giudizio che i minori,
ai sensi del secondo comma della norma citata, hanno espresso il consenso per la
proposizione della azione, consenso peraltro dagli stessi ribadito in sede di audizione
davanti al giudice istruttore.
Del tutto non pertinente dunque appare il riferimento contenuto nella comparsa di risposta
del C. S. alla previsione di cui all’art. 250 c.c. che disciplina la diversa ipotesi del
riconoscimento effettuato dal genitore ed, al quarto comma, la ipotesi ulteriore nella quale il
genitore che non ha riconosciuto per primo può ottenere dal tribunale una pronunzia che
rimuova il rifiuto del consenso dell’altro genitore.
Pertanto, la affermazione del C. S. – ripetuta in tutti gli atti del giudizio secondo la quale “La
C. R.S. non ha mai richiesto al convenuto alcun consenso affinché questi potesse effettuare,
nelle forme e modi di legge, il riconoscimento spontaneo dei minori, né d’altronde ha dato
prova di ciò nel ricorso” – appare giuridicamente del tutto errata.
Invero, a fronte del riconoscimento effettuato per prima dei minori da parte della C. R.S., si
sarebbero potute verificare le seguenti ipotesi:
1) Il C. S., con il consenso della C. R.S., senza alcuna necessità di provvedimento
giurisdizionale, avrebbe potuto procedere davanti all’Ufficiale di Stato civile al
riconoscimento dei figli che non avessero compiuto i 14 anni;
2) Il C. S., con l’assenso dei figli che avessero già compiuto i 14 anni, senza alcuna necessità
di provvedimento giurisdizionale, avrebbe potuto procedere davanti all’Ufficiale di Stato
civile al riconoscimento degli stessi;
3) Nel caso in cui la C. R.S. avesse rifiutato il consenso, il C. S. avrebbe potuto azionare la
previsione di cui all’art. 250, 4° comma cpc per ottenere una sentenza che – ove sussistenti
i presupposi – tenesse luogo del consenso mancante.
In nessun caso, dunque, la attrice avrebbe dovuto richiedere al C. S. un consenso e, a fronte
del mancato riconoscimento da parte dello stesso, la stessa ha correttamente agito ai sensi
dell’art. 269 c.c. per sentire dichiarare giudizialmente la paternità.
Ciò premesso, la consulenza espletata ha consentito di affermare che il C. S. è il padre
biologico dei figli della attrice.
Invero, il ctu ha così concluso:
“A seguito dei prelievi di DNA, dei test biomolecolari-genetici e della conseguente analisi
biostatistica, i risultati ottenuti precedentemente descritti permettono di accertare che:
– i profili genetici di C. S. e C. A. sono totalmente compatibili con il rapporto di filiazione
naturale, avendo la figlia ed il padre biologico almeno un allele in comune per ciascun locus
nel profilo di DNA autosomico (si veda tabella 7.1). I calcoli biostatistici di PP, illustrati
precedentemente, danno un valore di 99,99999049%, con un LR> 10.000 (precisamente
10511165.27), come descritto nell’allegato n.6A, e confermano matematicamente la
paternità.
– i profili genetici di C. S. e C. E. sono totalmente compatibili con il rapporto di filiazione
naturale, avendo il figlio ed il padre biologico almeno un allele in comune per ciascun locus
nel profilo di DNA autosomico (si veda tabella 7.1). I calcoli biostatistici di PP, illustrati
precedentemente, danno un valore di 99,99992741%, con un LR> 10.000 (precisamente
1377520.5), come descritto nell’allegato n.6B, e confermano matematicamente la
paternità.”.
Pertanto, deve essere qui dichiarato giudizialmente che C. S. è il padre di C. A. e C. E..
Parte attrice ha chiesto che, una volta dichiarata la paternità del C. S., fosse posto a carico
dello stesso l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli.
Rileva in proposito il Collegio che il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole,
stabilito dall’art. 147 cod. civ., obbliga i genitori a far fronte ad una molteplicità di esigenze
dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo,
scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna
predisposizione – fino a quando la loro età lo richieda – di una stabile organizzazione
domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione.
Tale principio trova conferma nel nuovo testo dell’art. 337 ter c.c. il quale, nell’imporre a
ciascuno dei genitori l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura
proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella
determinazione del contributo, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso
goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di
permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura
da loro assunti.
Nel caso di specie è pacifico che il C. S. non ha mai convissuto con la C. R.S. e con i figli
né mai lo stesso ha tenuto presso di sé gli stessi.
Inoltre dalla documentazione acquisita risulta che solo per un limitato periodo (da settembre
2005 a marzo 2006) lo stesso ha inviato delle somme con cadenza mensile mentre, per i
restanti anni, dalla documentazione prodotta dallo stesso C. S., risultano pagamenti per
singoli acquisiti (abbigliamento, spesa alimentare, biciclette) ed alcune ricariche di poste
pay ed il pagamento di alcune bollette della utenza della energia elettrica, senza, tuttavia,
alcuna regolarità. Non appare, invero, sufficiente la dichiarazione della teste L. che ha
affermato – senza che ciò corrisponda alcun supporto documentale – che il C. S.
corrispondeva alla attrice, durante l’anno, somme per € 8.000,00 per il mantenimento dei
ragazzi.
Deve, dunque, ritenersi che la C. R.S. abbia, di fatto provveduto quasi integralmente da sola
al mantenimento dei figli, considerato che – a parte quei pochi mesi in cui risulta una
contribuzione mensile – è stata la stessa a dovere provvedere alle esigenze di
organizzazione domestica ed a tutti gli altri aspetti sopra richiamati. Inoltre, come già
rilevato, la presenza del C. S. risulta essere stata del tutto sporadica e, pertanto, non può
affermarsi che lo stesso abbia contribuito in via diretta al mantenimento dei figli, tenendoli
con sè.
Per questi motivi, la domanda avanzata dalla C. R.S. in ordine al rimborso di quanto speso
per i figli deve trovare accoglimento nei termini che seguono.
Ha chiarito, sul punto, la Suprema Corte che in materia di mantenimento del figlio naturale,
la domanda di rimborso delle somme anticipate da un genitore può essere proposta nel
giudizio di accertamento della paternità o maternità naturale (Cass. 17914/2010).
Per costante giurisprudenza “L’obbligazione di mantenimento del figlio riconosciuto da
entrambi i genitori, per effetto della sentenza dichiarativa della filiazione naturale,
collegandosi allo “status” genitoriale, sorge con decorrenza dalla nascita del figlio, con la
conseguenza che il genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere esclusivo del
mantenimento del minore anche per la porzione di pertinenza dell’altro genitore, ha diritto di
regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dagli artt. 148 e 261
del cod. civ. da interpretarsi però alla luce del regime delle obbligazioni solidali stabilito
nell’art. 1299 cod. civ. Pertanto, il “quantum” dovuto in restituzione nel periodo di
mantenimento esclusivo non può essere determinato sulla base dell’importo stabilito per il
futuro nella pronuncia relativa al riconoscimento del figlio naturale, via via devalutato, in
quanto l’ammontare dovuto trova limite negli esborsi presumibilmente sostenuti in concreto
dal genitore che ha per intero sostenuto la spesa senza però prescindere né dalla
considerazione del complesso delle specifiche e molteplici esigenze effettivamente
soddisfatte o notoriamente da soddisfare nel periodo in considerazione né dalla
valorizzazione delle sostanze e dei redditi di ciascun genitore quali all’epoca goduti ed
evidenziati, eventualmente in via presuntiva, dalle risultanze processuali, né infine dalla
correlazione con il tenore di vita di cui il figlio ha diritto di fruire, da rapportare a quello dei
suoi genitori.” (Cass., 4 novembre 2010, n. 22506; da ultimo Cass., 22 luglio 2014, n.
16657).
Pertanto “nell’ipotesi in cui al mantenimento abbia provveduto, integralmente o comunque
al di là delle proprie sostanze, uno soltanto dei genitori, a lui spetta il diritto di agire in
regresso, per il recupero della quota del genitore inadempiente, secondo le regole generali
del rapporto tra condebitori solidali” (Cass., 22 novembre 2000, n. 15063).
Il genitore avrà, dunque, il diritto di ripetere nei confronti di quest’ultimo, qualora questi non
abbia partecipato alle spese di mantenimento, una quota delle spese sostenute.
L’art. 1299 c.c., prevede il regresso tra condebitori solidali, quando l’obbligazione sia stata
adempiuta da uno solo di essi. L’azione di regresso presuppone che il coobbligato solidale
abbia adempiuto per l’intero l’obbligazione. La domanda di rimborso delle spese avanzata
dalla madre, pertanto, può esercitarsi nei limiti degli obblighi gravanti sui genitori in base ai
principi di cui agli artt. 316 e 316 bis c.c. (che hanno sostituito dopo la riforma della filiazione
attuata con l.n.219/2012 e con d. l.gvo 154/2013 gli art.147 e 148 e abrogato l’art. 261 c.c.),
nel senso che è obbligo dei genitori adempiere ai loro doveri nei riguardi dei figli in
proporzione alle loro sostanze e capacità di lavoro professionale e casalingo, ma trattandosi
di rimborso di spese, già sostenute, queste devono essere, almeno attraverso l’applicazione
di un metodo presuntivo, adeguatamente provate nel loro an e nel quantum da chi alleghi
di averle sostenute anche in luogo dell’altro obbligato, secondo le regole generali dell’azione
di regresso.
E’ possibile chiederne la rifusione, applicando matematicamente al tempo passato la misura
del contributo di mantenimento da fissarsi per il futuro, solo qualora con l’applicazione dei
criteri presuntivi questo parametro appaia congruo, mentre qualora non si possa ricorrere a
tale criterio, il genitore che formula la domanda di regresso è onerato di fornire la prova,
quanto meno presuntiva degli esborsi effettivamente sostenuti (v. Cass., 4 novembre 2010,
n. 22506; Cass., 22 luglio 2014, n. 16657).
Come sopra rilevato, parte attrice ha dedotto di avere provveduto sostanzialmente da sola
a tutte le esigenze dei figli e che il C. S. aveva solo sporadicamente provveduto.
Sulla base di quanto documentato dal C. S., deve affermarsi che la contribuzione da parte
dello stesso sia stata limitata e, dunque, deve affermarsi che sia stata la attrice ad avere
provveduto alle esigenze dei figli da sola dalla nascita degli stessi (avvenute nel 2002 e
2004) sino ad oggi, con eccezione di quel breve periodo in cui la contribuzione è stata
mensile ed ad eccezione di quelle sporadiche elargizioni (per regali, acquisto di
abbigliamento e, solo per un limitato periodo, per il pagamento delle utenze).
Ciò fonda il diritto della stessa ad ottenere il rimborso di una quota di quanto speso che,
considerata la parziale e limitata partecipazione del C. S., può attestarsi intorno al 40%.
Tenuto conto che la attrice è dispendente del Ministero dell’Interno e percepisce una
retribuzione di circa € 1200,00 mensili, considerato anche che la stessa ha anche una altra
figlia, può ritenersi congruo affermare che la stessa abbia destinato a C. A. e C. E. una
somma mensile pari ad € 300,00 (pari ad € 150,00 ciascuno) e considerato che gli stessi
sono nati nel .. e nel .. e considerato, altresì, quanto detto sulla parziale contribuzione del
C. S., lo stesso deve essere condannato a corrispondere alla C. R.S., a titolo di regresso
per le spese dalla stessa sostenute in via esclusiva per il mantenimento dei figli, la somma
di € 25.000,00, importo determinato equitativamente tenuto conto dei bisogni dei figli – in
assenza di prove specifiche su spese straordinarie- e di quanto avrebbe potuto la attrice
destinare alle esigenze degli stessi.
Detta somma deve essere maggiorata di interessi dalla domanda (16.12.2019) al soddisfo,
avendo chiarito sul punto la Suprema Corte che in materia di filiazione naturale, il diritto al
rimborso delle spese a favore del genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio fin
dalla nascita, ancorché trovi titolo nell’obbligazione legale di mantenimento imputabile
anche all’altro genitore, ha natura in senso lato indennitaria, in quanto diretto ad
indennizzare il genitore, che ha riconosciuto il figlio, degli esborsi sostenuti da solo per il
mantenimento della prole. Ne consegue che il giudice di merito, ove l’importo non sia
altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare, legittimamente provvede, per le somme
dovute dalla nascita fino alla pronuncia, secondo equità trattandosi di criterio di valutazione
del pregiudizio di portata generale, fermo restando che, essendo la richiesta di indennizzo
assimilabile ad un’azione di ripetizione dell’indebito, gli interessi, in assenza di un
precedente atto stragiudiziale di costituzione in mora, decorrono dalla data della domanda
giudiziale (Cass. 16657/2014).
Quanto, invece, al contribuito per il mantenimento, si rileva che dagli atti risulta che entrambi
i ragazzi non sono ancora autonomi essendo impegnati in attività di studio.
Da ciò discende il diritto degli stessi a percepire dal C. S., quale genitore, un contributo
mensile per il proprio mantenimento, da corrispondersi alla C. R.S., in quanto genitore con
essi conviventi.
Tenuto conto della documentazione in atti (dalla quale risulta che, negli ultimi anni il C. S.
ha dichiarato redditi imponibili compresi fra i € 20.00,00 ed i 24.000,00 e che lo stesso è
titolare di numerosi beni immobili, alcuni produttivi di reddito), considerato altresì che seppur
dalla istruttoria emerge che lo stesso ha una moglie ed altri tre figli ma non ha fornito prova
in ordine alla mancata indipendenza economica dei figli o della moglie, ritiene il Collegio che
possa porsi a carico dello stesso l’obbligo di versare alla C. R.S., a titolo di contributo per i
ragazzi, la somma mensile di € 500,00 oltre aggiornamento istat annuale ed oltre la quota
del 50% delle spese straordinarie da compiersi nell’interesse dei figli.
Quanto alla domanda di condanna del convenuto al risarcimento del danno endofamiliare
avanzata dalla attrice nell’interesse dei figli si rileva che, secondo la Suprema Corte, “Il diritto
del figlio ad essere educato e mantenuto (artt. 147 e 148 cod. civ.) è, in conclusione,
eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione (Cass. 5562 del 2012). Alla
formula costituita dall’endiadi “diritto ad essere educato e mantenuto” non può attribuirsi un
valore soltanto descrittivo. Essa contiene e presuppone il più ampio ed immanente diritto,
desumibile dalla lettura coordinata degli artt. 2 e 30 Cost., di condividere fin dalla nascita
con il proprio genitore la relazione filiale, sia nella sfera intima ed affettiva, di primario rilievo
nella costituzione e sviluppo dell’equilibrio psicofisico di ogni persona, sia nella sfera sociale,
mediante la condivisione ed il riconoscimento esterno dello status conseguente alla
procreazione. Entrambi i profili integrano il nucleo costitutivo originario dell’identità
personale e relazionale dell’individuo e la comunità familiare costituisce la prima formazione
sociale che un minore riconosce come proprio riferimento affettivo e protettivo. Nell’art. 24
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, fonte integratrice dello statuto dei
diritti fondamentali di rango costituzionale delle persone, è specificamente contenuto, al
comma 3, il diritto per il bambino alla protezione e alle cure necessarie al suo benessere
nonché quello d’intrattenere relazioni e contatti diretti con i propri genitori. La privazione di
entrambi gli elementi fondanti il nucleo dei doveri di solidarietà del rapporto di filiazione
costituisce una grave violazione dell’obbligo costituzionale (nel senso rafforzato
dall’integrazione con la fonte costituzionale costituita dal diritto dell’Unione europea e dalla
Convenzione di New York del 20.11.89 ratificata con L. n. 176 del 1991, sui diritti del
fanciullo) sopra delineato. Si determina, pertanto, un automatismo tra procreazione e
responsabilità genitoriale, declinata secondo gli obblighi specificati negli artt. 147 e 148 cod.
civ., che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare,
nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli
obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Nella recente pronuncia di questa sezione
n. 5652 del 2012, relativa ad una fattispecie del tutto analoga a quella formante oggetto del
presente giudizio, la Corte, oltre ad aver ribadito il principio sopra esposto, secondo il quale
gli obblighi contenuti negli artt. 147 e 148 cod. civ., di diretta derivazione costituzionale,
sorgono per il mero fatto della nascita, ha, specificamente affermato che “La violazione dei
doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole (nella specie il
disinteresse mostrato dal padre nei confronti del figlio per lunghi anni) non trova sanzione
solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi
dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; questa, pertanto,
può dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai
sensi dell’art. 2059 cod. civ. esercitatile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione
giudiziale di paternità e maternità”.
Ritiene il Collegio che, dagli elementi raccolti, emerge che i figli hanno senza dubbio subito
un pregiudizio dalla condotta del C. S., il quale, pur consapevole della paternità, non ha
comunque proceduto al riconoscimento degli stessi. Risulta dalla testimonianze acquisite
che la C. R.S. aveva più volte richiesto al C. S. di riconoscere i figli ma non lo stesso non vi
ha mai provveduto. Risulta anche che siffatta richiesta era stata avanzata anche tramite
legale già nel 2016 e che alla stessa non era seguita alcuna risposta.
Il pregiudizio è apparso evidente anche dalla audizione dei figli i quali, con sofferenza, hanno
affermato che il padre era solito “rinviare tutte le questioni importanti, come quella del
riconoscimento e del cognome” e, proprio in virtù della sofferenza dagli stessi maturata in
proposito, hanno chiesto di non assumere, all’esito del presente giudizio, il cognome dello
stesso.
Pertanto, tenuto conto dei principi espressi dalla Suprema Corte in proposito, deve
affermarsi la sussistenza, in capo a C. A. e C. E., di un danno morale che può essere
liquidato, in via equitativa, nella misura di € 5.000,00 ciascuno, somma aggiornata alla data
odierna e da maggiorarsi di interessi dalla presente sentenza al soddisfo.
Le spese del giudizio, comprese quella della consulenza espletata, in base alla
soccombenza, devono essere poste a carico del C. S. e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Messina, Prima Sezione Civile, uditi i procuratori delle parti, definitivamente
pronunciando sulla domanda proposta da C. R.S. con atto di citazione ritualmente notificato
nei confronti di C. S., e con l’intervento del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Messina,
disattesa ogni contraria domanda, eccezione e difesa, così provvede:
1) Dichiara che C. S. è il padre di C. A. nata a Catania il.. (atto di nascita del Comune di
Catania n. .., parte 2, serie B) e di C. E., nato a Catania il .. (atto di nascita del Comune di
Catania n. .., parte 2, serie B);
2) condanna C. S. a corrispondere, per le causali di cui in motivazione, a C. R.S., la somma
di € 25.000,00 oltre interessi dal 16.12.2019;
3) condanna C. S. al risarcimento del danno, in favore di C. A. e C. E., che liquida in €
5.000,00 per ciascuno, oltre interessi legali dalla presente sentenza al soddisfo;
4) dispone che C. S. versi a C. R.S., a titolo di contributo per il mantenimento dei figli C. A.
e C. E., entro il 5 di ogni mese, la somma di € 500,00 oltre aggiornamento istat annuale ed
oltre la quota del 50% delle spese straordinarie;
5) condanna C. S. alla rifusione delle spese processuali in favore di C. R.S. che liquida in €
48,87 per spese vive ed € 7616,00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa;
6) pone le spese di ctu in via definitiva a carico di C. S..