Il figlio nato da parto anonimo non può conoscere informazioni sulla madre, nemmeno se deceduta e nemmeno in presenza di fratelli e sorelle.
Tribunale per i minorenni di Genova, 13 maggio 2019
Il Tribunale per i Minorenni di Genova, riunito in camera di consiglio del 13 maggio 2019 nel-la persona dei signori:
Dr. Luca Villa Presidente rel
Dr.ssa Cinzia Miniotti Giudice
Dr.ssa Lucia Spada Giudice onorario
Dr. Giorgio Macario Giudice onorario
Ha pronunciato il seguente
DECRETO DEFINITIVO
nel procedimento ex art 28 co 5 l. 184/84 a seguito di ricorso proposto da
C. C. nata a xxx il xx.xx.1958, residente in YYYY
Esaminata l’istanza proposta dalla signora C. C., con cui si chiede l’autorizzazione ad accedere a tutte le informazioni inerenti la propria origine nonché l’identità dei propri genitori biologici e in particolare quella della propria madre biologica.
Premesso che una precedente istanza era stata dichiarata inammissibile con decreto presidenziale 30.3.2011 trattandosi di figlia di madre che non intendeva essere nomi-nata e che, alla luce della nuova pronuncia è stata presentata una nuova istanza il 22.11.2017;
Letta e richiamata la sentenza n. 278/2013 della Corte Costituzionale che ha dichiara-to l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 7 della legge 184/1983 così come novellato dall’art. 24, comma 7 della legge 149/2001, “nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, del d.p.r. 3 novembre 2000, numero 396 (regolamento per la revisione la semplificazione dell’ordinamento dello stato civi-le, a norma dell’art. 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) – su richiesta del figlio, ai fini di un eventuale revoca di tale dichiarazione”.
Sentita la richiedente ed esaminati gli atti;
Rilevato che l’autorizzazione da parte del Tribunale per i minorenni al rilascio di in-formazioni, atti e documenti riguardanti l’origine della persona e l’identità dei genito-ri biologici della stessa è richiesta solo nel caso di persona che sia stata adottata (art. 28 L. 184 del 1983) e considerato che, nel caso di specie, l’istante risulta figlio di “donna che non consente di essere nominata” come si evince dall’atto integrale di na-scita;
Rilevato che l’istanza è stata depositata da parte di persona adottata;
Rilevato che:
si è proceduto ad acquisire la documentazione necessaria volta ad identificare la madre biologica ed in particolare (i riferimenti saranno necessariamente generici al fine di non consentire una compiuta identificazione per le ragioni di seguito esposte) è stata acquisita la cartella clinica dalla quale emergevano le generalità della madre e che si trattava si degente “secondipara”.
dai documenti anagrafici è così emerso: che la donna aveva avuto una prima figlia una decida di anni prima della ri-corrente nell’ambito, probabilmente, di un primo matrimonio essendo stata riconosciuta dal padre di cui portava il relativo cognome;
ha avuto un secondo figlio alcuni anni dopo la nascita della ricorrente, il cui re-lativo padre e marito della donna è in seguito deceduto;
la madre biologica della ricorrente è deceduta circa 5 anni fa.
Rilevato che non si può pertanto procedere ad interpello della madre.
Rilevato che all’udienza del 2 aprile 2019 è stata sentita la ricorrente, la quale ha chiesto che al colloquio potesse partecipare la propria figlia. La ricorrente, che ha avuto un’esistenza serena, ha appreso solamente in tarda età, ed in particolare in occasione del funerale della propria madre ed in maniera del tutto fortuita, la pro-pria origine adottiva e ha preferito non chiedere al padre le ragioni di tale omessa comunicazione preferendo rivolgersi ad altri parenti. Quanto alle motivazioni della domanda ex art 28 l. adoz. ha preferito attendere la morte del proprio padre (avve-nuta nel 1998). Non sa neppure lei se è pronta a ricevere comunicazioni e in caso di revoca dell’anonimato non avrebbe delle cose specifiche da comunicare alla madre ritenendo che sarebbe lei a dover dare delle spiegazioni sull’abbandono1 (che ipotizza come dovuto a giovane età o induzione da parte di altri). Se poi il Tribunale avesse accertato che la madre fosse potenzialmente pregiudizievole preferirebbe essere contattata per poter rinunciare alla domanda.
1 “Cosa vorrei dire a mia madre nel caso in cui fossi contatta? Nulla, è lei che deve dirmi qualcosa, Come sono andate le cose”
Lette le conclusioni formulate dal PM in data 16.4.2019 (“dà parere favorevole al for-nire informazioni della ricorrente in ordine alla propria madre biologica – ormai dece-duta – omesso ogni dato che possa far risalire all’identità die fratelli biologici”).
Il Tribunale osserva.
Si ritiene di non poter autorizzare l’accesso alle informazioni sull’identità della madre.
L’evoluzione normativa e giurisprudenziale sul tema dell’accesso alle origini in presenza di madre che ha fatto la scelta dell’anonimato prende le mosse dalla Sen-tenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 25 settembre 2012 – Ricorso n.33783/09 – Godelli c. Italia. In tale pronuncia non viene minimamente preso in con-siderazione non solo l’ipotesi della presenza di fratelli, ma neppure l’ipotesi del de-cesso della madre.
Stringendo l’esame alle valutazioni della Corte al fine di individuare i principi che hanno portato a considerare una violazione dell’art 8 della Carta CEDU si possono richiamare i paragrafi 66-71:
66. La Corte deve cercare di stabilire se, nella presente causa, sia stato mantenuto un giusto equilibrio nella ponderazione dei diritti e degli interessi concorrenti ossia, da una parte, quello della ricorrente a conoscere le proprie origini e, dall’altro, quello della madre a mantenere l’anonimato.
67. La Corte ha affermato che gli Stati possono scegliere i mezzi che ritengono più idonei ad assicurare in modo equo la conciliazione tra la protezione della madre e la richiesta legittima dell’interessata di avere accesso alle sue origini nel rispetto dell’interesse generale.
68. Nella fattispecie, la Corte osserva che, contrariamente alla situazione nella cau-sa Odièvre (sopra citata, § 48), la ricorrente non ha avuto accesso a nessuna infor-mazione sulla madre e la famiglia biologica che le permettesse di stabilire alcune radici della sua storia nel rispetto della tutela degli interessi dei terzi. Senza un bi-lanciamento dei diritti e degli interessi presenti e senza alcuna possibilità di ricorso, la ricorrente si è vista opporre un rifiuto assoluto e definitivo di accedere alle pro-prie origini personali.
69. Se è vero che la ricorrente, oggi sessantanovenne, è riuscita a costruire la pro-pria personalità anche in assenza di informazioni relative all’identità della madre biologica, si deve ammettere che l’interesse che può avere un individuo a conoscere la sua ascendenza non viene meno con l’età, anzi avviene il contrario. La ricorrente ha del resto dimostrato un interesse autentico a conoscere l’identità della madre, poiché ha tentato di acquisire una certezza al riguardo. Un tale comportamento pre-suppone delle sofferenze morali e psichiche, anche se queste non vengono accertate da un punto di vista sanitario (Jäggi c. Svizzera, n. 58757/00, § 40, CEDU 2006 X).
70. La Corte osserva che, a differenza del sistema francese esaminato nella sentenza Odièvre, la normativa italiana non tenta di mantenere alcun equilibrio tra i diritti e gli interessi concorrenti in causa. In assenza di meccanismi destinati a bilancia-re il diritto della ricorrente a conoscere le proprie origini con i diritti e gli inte-ressi della madre a mantenere l’anonimato, viene inevitabilmente data una prefe-renza incondizionata a questi ultimi. Peraltro, nella sentenza Odièvre la Corte osser-va che la nuova legge del 22 gennaio 2002 aumenta la possibilità di revocare il segre-to dell’identità e agevola la ricerca delle origini biologiche grazie alla creazione di un Consiglio nazionale per l’accesso alle origini personali. Di immediata applicazio-ne, essa permette ormai alle persone interessate di chiedere la reversibilità del segreto dell’identità della madre, a condizione che quest’ultima vi acconsenta (§ 49), nonché di avere accesso a informazioni non identificative. In Italia, il progetto di legge di riforma della legge n. 184/1983 è a tutt’oggi all’esame del Parlamento dal 2008 (§ 27 supra).
71. Nel caso di specie la Corte osserva che, se la madre biologica ha deciso di man-tenere l’anonimato, la normativa italiana non dà alcuna possibilità al figlio adottivo e non riconosciuto alla nascita di chiedere l’accesso ad informazioni non identificati-ve sulle sue origini o la reversibilità del segreto. In queste condizioni, la Corte ritie-ne che l’Italia non abbia cercato di stabilire un equilibrio e una proporzionalità tra gli interessi delle parti in causa e abbia dunque oltrepassato il margine di discrezio-nalità che le è stato accordato.
Anche la già citata sentenza della Corte Costituzionale n. 278/2013, nel solco della Sentenza Godelli, non esamina in alcun passaggio l’ipotesi della madre decedu-ta.
Nel dichiarare illegittima la disciplina dell’articolo 28 della l. 184/83 la Corte si sofferma unicamente sul rapporto madre-figlio/a senza prendere in alcuna conside-razione soggetti terzi.
In particolare la Corte evidenzia:
Peraltro, in questa prospettiva, anche il diritto del figlio a conoscere le proprie origini – e ad accedere alla propria storia parentale – costituisce un elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona, come pure riconosciuto in varie pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo. E il relativo bisogno di conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di re-lazione di una persona in quanto tale. Elementi, tutti, affidati alla disciplina che il legislatore è chiamato a stabilire, nelle forme e con le modalità reputate più opportune, dirette anche a evi-tare che il suo esercizio si ponga in collisione rispetto a norme – quali quelle che disciplinano il diritto all’anonimato della madre – che coinvolgono, come si è detto, esigenze volte a tute-lare il bene supremo della vita.
5.(..).
Con la disposizione all’esame, l’ordinamento pare, infatti, prefigurare una sorta di “cri-stallizzazione“ o di “immobilizzazione“ nelle relative modalità di esercizio: una volta interve-nuta la scelta per l’anonimato, infatti, la relativa manifestazione di volontà assume connotati di irreversibilità destinati, sostanzialmente, ad “espropriare” la persona titolare del diritto da qualsiasi ulteriore opzione; trasformandosi, in definitiva, quel diritto in una sorta di vincolo obbligatorio, che finisce per avere un’efficacia espansiva esterna al suo stesso titolare e, dunque, per proiettare l’impedimento alla eventuale relativa rimozione proprio sul figlio, alla posizione del quale si è inteso, ab origine, collegare il vincolo del segreto su chi lo abbia ge-nerato.
Tutto ciò è icasticamente scolpito dall’art. 93, comma 2, del ricordato d.lgs. n. 196 del 2003, secondo cui «Il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler esse-re nominata avvalendosi della facoltà di cui all’articolo 30, comma 1, del decreto del Presi-dente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni dalla formazione del do-cumento».
Ebbene, a cercare un fondamento a tale sistema – che commisura temporalmente lo spa-zio del “vincolo” all’anonimato a una durata idealmente eccedente quella della vita umana –, se ne ricava che esso riposa sulla ritenuta esigenza di prevenire turbative nei confronti della madre in relazione all’esercizio di un suo “diritto all’oblio” e, nello stesso tempo, sull’esigenza di salvaguardare erga omnes la riservatezza circa l’identità della madre, eviden-temente considerata come esposta a rischio ogni volta in cui se ne possa cercare il contatto per verificare se intenda o meno mantenere il proprio anonimato.
Ma né l’una né l’altra esigenza può ritenersi dirimente: non la prima, in quanto al perico-lo di turbativa della madre corrisponde un contrapposto pericolo per il figlio, depaupera-to del diritto di conoscere le proprie origini; non la seconda, dal momento che la maggiore o minore ampiezza della tutela della riservatezza resta, in conclusione, affidata alle diverse mo-dalità previste dalle relative discipline, oltre che all’esperienza della loro applicazione.
Sul piano più generale, una scelta per l’anonimato che comporti una rinuncia irreversibile alla “genitorialità giuridica” può, invece, ragionevolmente non implicare anche una definitiva e irreversibile rinuncia alla “genitorialità naturale”: ove così fosse, d’altra parte, risulterebbe introdotto nel sistema una sorta di divieto destinato a precludere in radice qualsiasi possibilità di reciproca relazione di fatto tra madre e figlio, con esiti difficilmente compatibili con l’art. 2 Cost.
In altri termini, mentre la scelta per l’anonimato legittimamente impedisce l’insorgenza di una “genitorialità giuridica”, con effetti inevitabilmente stabilizzati pro futuro, non appare ragionevole che quella scelta risulti necessariamente e definitivamente preclusiva anche sul versante dei rapporti relativi alla “genitorialità naturale”: potendosi quella scelta riguardare, sul piano di quest’ultima, come opzione eventualmente revocabile (in seguito alla iniziativa del figlio), proprio perché corrispondente alle motivazioni per le quali essa è stata compiuta e può essere mantenuta.
6.– La disciplina all’esame è, dunque, censurabile per la sua eccessiva rigidità.
Ciò, d’altra parte, risulta sulla base degli stessi rilievi, in sostanza, formulati dalla Corte EDU nella richiamata “sentenza Godelli”.
In essa – come accennato e nei termini di seguito precisati – si è stigmatizzato che la normativa italiana non darebbe «alcuna possibilità al figlio adottivo e non riconosciuto alla nascita di chiedere l’accesso ad informazioni non identificative sulle sue origini o la rever-sibilità del segreto», a differenza di quanto, invece, previsto nel sistema francese, scrutinato, in parte qua, nella sentenza 13 febbraio 2003, nel “caso Odièvre”.
Ora, è agevole osservare, quanto al primo rilievo, che il già citato art. 93 del d.lgs. n. 196 del 2003 prevede espressamente, al comma 3, la comunicabilità, in ogni tempo (e nel termine di cento anni fissato per il segreto), delle informazioni “non identificative” ricavabili dal certi-ficato di assistenza al parto o dalla cartella clinica, tuttavia ancorandola soltanto all’osservanza, ai fini della tutela della riservatezza della madre, delle relative «opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile».
Resta evidente che l’apparente, quanto significativa, genericità, o elasticità, della formula «opportune cautele» sconta l’ovvia – e sia pure non insormontabile – difficoltà di determinare con esattezza astratte regole dirette a soddisfare esigenze di segretezza variabili in ragione delle singole situazioni concrete. Altrettanto evidente che debba, inoltre, essere assicurata la tutela del diritto alla salute del figlio, anche in relazione alle più moderne tecniche diagnosti-che basate su ricerche di tipo genetico.
Il vulnus è, dunque, rappresentato dalla irreversibilità del segreto. La quale, risultan-do, per le ragioni anzidette, in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., deve conseguentemente esse-re rimossa.
Restano assorbiti i motivi di censura formulati in riferimento agli ulteriori parametri.
Sarà cómpito del legislatore introdurre apposite disposizioni volte a consentire la veri-fica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nomi-nata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, se-condo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della verifica di cui innanzi si è detto.
Il tema del decesso della madre è stato invece affrontato dalla Corte di Cassa-zione in tre pronunce.
Nella prime due (Cass sezione I civile, sentenza n. 15024 dep. 21.7.2016, est Bi-sogni e sentenza sezione I civile 9 novembre 2016, n. 22838 est Acierno), in seguito richiamate sul tema generale dalla Sentenza delle Sezioni Unite n 1946/17 del 20.12.2016 (dep. 25.1.2017), non si esamina in alcun caso l’ipotesi della presenza di eredi o di fratelli biologici, mentre nella terza (Cass Sez. 1 6963 del 29.5.2017, dep. 20.3.2018, est. Acierno) tale ipotesi è trattata, ma riguarda in realtà una vicenda di adozione di minore nato da genitore noto, e non da madre che aveva scelto l’anonimato, e nel quale la richiesta riguardava direttamente la conoscenza dei fratelli la cui esistenza era reciprocamente nota.
In particolare la sentenza n. 22838/2016 evidenzia come in caso di decesso non si possa procedere all’interpello con le modalità adottate dai Tribunali per i mi-norenni: “Tale procedimentalizzazione è inutilizzabile, tuttavia, nella fattispecie dedotta nel presente giudizio, dal momento che è impossibile procedere all’interpello della madre “natu-rale”, perché non più in vita. In tale ipotesi, non appare, prima facie, possibile procedere ad alcun bilanciamento d’interessi. L’alternativa sembra porsi in modo radicale. Se si riconosce all’adottato anche in questa peculiare ipotesi il diritto di conoscere le proprie origini, si can-cella lo speculare diritto all’anonimato della madre biologica, ancorché’ il legislatore abbia voluto preservarlo fino a cento anni dalla nascita del figlio ex articolo 93 sopra citato. Se in-vece si conserva il diritto all’anonimato, in mancanza della possibilità dell’interpello della madre, si vanifica del tutto il diritto del figlio a conoscere le proprie origini, nonostante il ri-conoscimento di esso imposto dalle pronunce sopra illustrate”.
La corte così pertanto prosegue ritenendo di risolvere a priori tale bilanciamento:
«5.3 Il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini deve essere garantito anche nel caso in cui non sia più’ possibile procedere all’interpello della madre naturale. A tale inevitabile conclusione, imposta dal delineato quadro costituzionale e convenzionale, è già’ pervenuta questa Corte con la recentissima sentenza n. 15024 del 2016. L’irreversibilità del segreto sull’identità della madre naturale non è più’ compatibile con l’attuale configurazione del di-ritto all’identità personale così come desumibile dall’interpretazione integrata dell’articolo 2 Cost. e dell’articolo 8 Cedu, nella parte in cui tutela il diritto alla vita privata. Lo sbarramento temporale imposto dal Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 93, alla rivelabilità dell’identità della donna che ha scelto l’anonimato al momento della nascita del figlio, non è temperato, nella specie, dalla possibilità di verifica della eventuale sopravvenuta volontà di revoca della scelta compiuta alla nascita.
L’interpretazione della norma che identifichi nell’intervenuta morte della donna, un ostacolo assoluto al riconoscimento del diritto a conoscere le proprie origini da parte dell’adottato, determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra i figli nati da donne che han-no scelto l’anonimato ma non sono più in vita e i figli di donne che possono essere interpel-late sulla reversibilità della scelta operata alla nascita. Tale opzione ermeneutica sarebbe, inoltre, viziata di irragionevolezza perché sottoporrebbe il riconoscimento e l’esercizio di un diritto della persona di primario rilievo ad un fattore meramente eventuale quale quello del momento in cui si chiede il riconoscimento del proprio diritto».
Aderendo questo tribunale a tale principio di diritto il tribunale per i Minorenni di Genova ha già consentito l’accesso all’identità della madre deceduta, ma si è trat-tato di ipotesi nelle quali non risultava la presenza di eredi.
Il tema dei fratelli è stato invece trattato nella sentenza della Corte di Cassa-zione n. 6963/17 ed è interessante e pertinente perché il tema del diritto alla riserva-tezza dei fratelli viene affrontato, seppur in ipotesi non sovrapponibile.
Come accennato, dalla lettura emerge chiaramente che il minore non era stato partorito da donna che intendeva rimanere anonima, in quanto il ricorrente è a cono-scenza di essere andato in adozione in famiglia diversa da quella individuata per i propri fratelli.
Se ne ricava agevolmente, sebbene non espressamente affermato, che si è trattato di un procedimento ex art 8 e segg l. 184/83 all’esito del quale più fratelli so-no stati dichiarati adottabili ed in seguito collocati in diverse famiglie.
L’istanza ex art 28 non riguardava infatti la conoscenza delle generalità della madre ma quella delle proprie sorelle, fattispecie non espressamente contemplata dalla disciplina dell’art 28 e per tale ragione la domanda era stata rigettata dalla Cor-te d’Appello di Torino.
Con sviluppo argomentativo che questo tribunale condivide, la Corte di Cassa-zione ha ritenuto che, nel solco delle pronunce CEDU e della Corte di legittimità, non direttamente ostensibili tali dati, ma ha ritenuto possibile garantire un bilanciamento tra gli interessi dei vari fratelli procedendo, in maniera analoga al parto in anonimo, ad un interpello degli stessi.
In particolare ritiene la Corte che il diritto a conoscere le proprie origini “costi-tuisce un’espressione essenziale del diritto all’identità personale. Lo sviluppo equilibrato della personalità individuale e relazionale si realizza soprattutto attraverso la costruzione della propria identità esteriore, di cui il nome e la discendenza giuridicamente rilevante e ricono-scibile costituiscono elementi essenziali, e di quella interiore” e può richiedere “la cono-scenza e l’accettazione della discendenza biologica e della rete parentale più prossima”. Ag-giunge la Corte che tale diritto si compone di una “pluralità di elementi anche dialettici (…) quali il diritto a conoscere la verità sulla propria storia personale e quello a conservare la costruzione preesistente dell’identità propria e dei terzi eventualmente coinvolti”.
Tale diritto peraltro non è assoluto, ma deve essere contemperato attraverso “l’interpello della madre biologica al fine di verificarne il consenso all’eventuale revoca della scelta dell’anonimato fatta al momento della nascita. Il diritto di quest’ultima a conservare l’identità costruita anche mediante il segreto sull’abbandono del figlio al momento del parto è stato ritenuto rilevante nel bilanciamento d’interessi compiuto dalla Corte ma è stata eli-minata l’intangibilità della scelta, sul rilievo dell’intrinseca mutabilità delle tappe dello svi-luppo e consolidamento della personalità umana”.
A tal fine si è ritenuto di estendere il principio dell’interpello, ma si riconosce la non sovrapponibilità delle due situazioni evidenziando che “Nei confronti dei genitori biologici, il legislatore ha svolto una valutazione generale ex ante sulla netta preminenza del diritto dell’adottato rispetto a quello dei genitori biologici tale da escludere alcun bilanciamento d’interessi da eseguirsi ex post. La scelta del legislatore in ordine ai genitori biologici consegue alla peculiare natura del loro ruolo nel complesso processo che conduce allo status filiationis dell’adottato. La medesima soluzione non è, tuttavia, automaticamente applica-bile anche al diritto di conoscere l’identità delle proprie sorelle e fratelli, in considerazione della radicale diversità della loro posizione rispetto a quella dei genitori biologici con riferi-mento sia alle ragioni della decisione riguardante lo status di figlio adottivo del richiedente sia all’incidenza di questa decisione sullo sviluppo della sua personalità. Può legittimamente determinarsi una contrapposizione tra il diritto del richiedente di conoscere le proprie ori-gini, e quello delle sorelle e dei fratelli a non voler rivelare la propria parentela biologica ed a non voler mutare la costruzione della propria identità attraverso la conoscenza d’in-formazioni ritenute negativamente incidenti sul raggiunto equilibrio di vita. Soltanto nei confronti dei genitori biologici, di conseguenza, il diritto del soggetto adottato adulto che vo-glia accedere alle informazioni sulle proprie origini si può configurare alla stregua di un dirit-to potestativo. Nei confronti delle sorelle e dei fratelli deve, invece, ritenersi necessario pro-cedere, in concreto, al bilanciamento degli interessi tra chi chiede di conoscere le proprie ori-gini e chi, per appartenenza al medesimo nucleo biologico familiare, può soddisfare tale esi-genza, ancorché riconosciuta come diritto fondamentale. Per realizzare in questa peculiare ipotesi il corretto bilanciamento tra le due posizioni almeno astrattamente in conflitto si deve ricorrere alla medesima modalità procedimentale che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 278 del 2013, e le S.U. di questa Corte, con la sentenza n. 1946 del 2017, hanno individuato come lo strumento idoneo a non impedire l’esercizio del diritto a conoscere le proprie origini anche nei confronti di soggetti diversi dai genitori biologici i quali, a differenza di questi ulti-mi, possono non assentire alla richiesta ma devono essere interpellati al riguardo. Le infor-mazioni che si vogliono conoscere, in quanto legate ad una comune origine biologica, hanno natura ontologicamente riservata, trattandosi di dati personali sensibili e sono, di conse-guenza, protette in via generale dalle ingerenze di terzi. D’altra parte, il diritto a conoscere la propria origine da parte dell’adottato adulto (infra o ultraventicinquenne, nel primo caso il diritto è condizionato in funzione dell’esclusivo interesse del richiedente, nel secondo manca di limitazioni) gode di un riconoscimento costituzionale, convenzionale e di diritto positivo (art. 28) non comprimibile (con esclusione dei genitori biologici) se non mediante il dissenso espresso del possessore delle informazioni richieste. Pur non sussistendo per le sorelle ed i fratelli un divieto espresso a far conoscere la propria identità, come quello che vige (con il forte temperamento individuato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità sopra illu-strata) per la madre biologica che ha scelto l’anonimato al momento del parto, deve ricono-scersi anche ai predetti componenti del nucleo familiare originario il diritto di essere interpel-lati in ordine all’accesso alle informazioni sulla propria identità, trovandosi a confronto posi-zioni giuridiche soggettive di pari rango e di contenuto omogeneo sulle quali non vi è stata alcuna predeterminazione legislativa della graduazione gerarchica dei diritti e degli interessi da comporre, come invece previsto nei commi 5 e 6 dell’art. 28, con riferimento all’adottato maggiorenne che voglia conoscere l’identità dei propri genitori biologici”.
Prima di calare tali principi nella vicenda in esame si deve evidenziare come nelle procedure sinora esaminate da questo e da altri Tribunali per i Minorenni, la de-cisione della madre di revocare o meno l’anonimato sia spesso influenzata e determi-nata dalla presenza o meno di eredi ed in particolare dalla conoscenza da parte degli stessi della vicenda adottiva. Così si è assistito a madri che non hanno revocato l’anonimato non avendo mai rappresentato ai propri figli la dolorosa vicenda che l’aveva portata a non riconoscere un figlio (frequente che neppure accettino di presentarsi in Tribunale), così come è frequente che, ricevuta la prima comunicazione, le madri chiedano un rinvio prima di revocare l’anonimato, proprio per spiegare ai figli, che nulla sapevano, quanto era successo e condividere la revoca dell’anonimato.
Ritiene il collegio che non possa accogliersi la soluzione offerta dal PM (rivelare le generalità della madre senza fornire le generalità dei fratelli), perchè per la ricor-rente sarebbe assai semplice effettuare tale verifica e poi entrare in contatto con i fratelli, senza che gli stessi siano stati preparati e informati, né che si possa procedere all’interpello dei fratelli così come ritenuto dalla Corte di Cassazione.
Si potrebbe infatti procedere all’interpello in presenza di elementi certi dai quali desumere che gli stessi siano a conoscenza della vicenda adottiva, ma tale dato non è desumibile in alcun modo nella vicenda in esame, perchè l’unico soggetto de-positario di tale possibile “segreto” è la madre ormai deceduta. Né si può ovviamen-te procedere all’interpello degli stessi al solo fine di apprendere la conoscenza o me-no di tale vicenda perché ciò comporterebbe inevitabilmente la comunicazione di tale dato particolarmente sensibile.
Si ritiene che non siano necessarie eccessive dissertazioni per comprendere le potenzialmente gravi ricadute psicologiche del rivelare ad una persona, che mai ha saputo dalla propria madre che in epoca antecedente o successiva la propria nascita (nel caso in esame sono presenti entrambe le ipotesi), che la stessa tenne celata una gravidanza decidendo di non riconoscere il figlio mandandolo in adozione.
Il Tribunale non sa quale sia stata la narrazione famigliare, quale rappresenta-zione la madre abbia voluto dare di sé ai propri figli con scelte che lo Stato non può sindacare rendendosi altrimenti responsabile di una grave ingerenza nella vita privata dei fratelli e/o della madre, con evidente violazione dell’art 8 CEDU.
Anche la vicenda in esame insegna come l’apprendere la propria origine adot-tiva in maniera del tutto casuale e senza la possibilità di chiedere alla madre le ragioni della sua scelta, senza poter essere aiutati pertanto a ricostruire l’intera propria vi-cenda e la rappresentazione che la madre ha fornito di sé stessa e delle proprie vi-cende mentre era in vita, è notizia che apre conflitti emotivi e scenari traumatici che non possono essere superati con la mera convinzione che si è tratta da alcune ricer-che delle origini concluse con l’auspicato lieto fine.
Si consideri ad esempio, come è avvenuto nel caso di specie, che la ricorrente è nata quando il/la primo/a figlio/a si trovava in preadolescenza e quindi sicuramente in grado di discernere. Ed è verosimile – o comunque possibile come è esperienza di questo e di altri giudici minorili – che la madre sia riuscita a tenere celata la gravidan-za. E’ intuibile pertanto la quantità di domande che l’attuale adulto vorrebbe poter fare alla madre sul come e sul perché abbia deciso di non riconoscere tale figlio o la necessità di rileggere le vicende famigliari (i 2 fratelli sono figli di 2 padri diversi e l’istante potrebbe essere figlia di un terzo padre) senza avere alcun soggetto al quale potersi rivolgere e non potendo di certo trovare spiegazioni dalla conoscenza del fra-tello andato in adozione a seguito del non riconoscimento.
Il collegio ritiene pertanto di non poter dare accesso alle proprie origini non rinvenendo il Collegio una soluzione che possa bilanciare i contrapposti interessi – e qui tralasciando che sia nell’istanza, che nel verbale di udienza, la ricorrente mai ha evidenziato un interesse alla presenza di eventuali fratelli – e ritenendo che in questo specifico caso sia necessario limitare il diritto alla conoscenza delle proprie origini non potendosi comunicare le generalità della madre senza coinvolgere soggetti terzi po-tenzialmente portatori di interessi contrapposti.
Peraltro, essendo stata acquisita, a seguito della istanza, copia degli atti relati-vi al richiedente attraverso l’acquisizione della Cartella Clinica e copia dell’atto inte-grale di nascita, ben può accedersi alla domanda di accesso a detti atti, con omissione di ogni dato utile alla identificazione della madre e degli altri parenti della stessa.
PQM
Visto l’art. 28 legge 184/1983 e successive modifiche;
DICHIARA
non potersi procedere in ordine all’istanza del ricorrente relativa all’accesso alle in-formazioni riguardanti l’identità dei genitori biologici
AUTORIZZA
il rilascio di copia dell’acquisito atto integrale di nascita e la visone ed eventuale estrazione di copia della Cartella sanitaria relativi al richiedente con omissione di ogni atto utile alla identificazione della madre
INCARICA
il Giudice Onorario dr. Lucia Spada per l’accompagnamento alla visione e per l’estrazione degli atti.