Matrimonio breve senza figli mitiga la solidarietà familiare,ma c’è disparità e inabilità.

Tribunale di Alessandria, 16 giugno2021.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ALESSANDRIA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale di Alessandria, Sezione Civile, riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati: Dott. Antonio Marozzo Presidente Dott. Giuseppe Bersani Giudice Dott. Martina Bianchi Giudice Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento recante il numero R.G. 3141/2017, in materia di scioglimento del matrimonio, promosso da: P (C.F. ____________), con l’Avv. ____; – ricorrente – contro F (C.F. ____________), con l’Avv. _____ – resistente – Intervento del Pubblico Ministero in data 27 novembre 2017; posta in decisione sulle conclusioni formulate in sede di udienza del 18 marzo 2021. MOTIVAZIONE Parte ricorrente adiva l’intestato Tribunale premettendo di aver contratto matrimonio con rito civile con F in GAVI (AL) il ___/2009; l’atto di matrimonio veniva trascritto nei registri dello Stato Civile del Comune di GAVI (AL) (atto n.___, parte I del registro degli atti di matrimonio dell’anno 2009), dal matrimonio non sono nati figli. Parte ricorrente deduceva come i coniugi fossero separati in virtù di sentenza di separazione n. 427/2017 emessa dal Tribunale di Alessandria in data 14.4.2017, e chiedeva a questo Tribunale di pronunciare lo scioglimento del matrimonio, invocando la fattispecie di cui all’art. 3 n. 2 lettera b) della legge 1/12/1970, n. 898, modificata dalla legge 6/3/1987, n. 74 e successivamente dalla legge 6/5/2015 n. 55. Parte ricorrente chiedeva altresì che non venisse disposto alcun assegno divorzile a favore della moglie. 2 Si costituiva in giudizio F non opponendosi alla domanda di scioglimento del matrimonio, tuttavia chiedendo la corresponsione di un assegno divorzile a proprio favore. Avanti al Presidente del Tribunale, veniva inutilmente esperito il tentativo di conciliazione ed il Presidente, con ordinanza del 22.11.2017, autorizzava i coniugi a vivere separati e disponeva il passaggio alla fase istruttoria, assumendo i provvedimenti provvisori ed urgenti concernenti l’assegno di divorzio in favore della moglie. In sede di ordinanza presidenziale in particolare veniva ritenuto “la resistente, sebbene non abbia del tutto perso la propria capacità lavorativa, la conserva solo in minima parte ed è esclusa, normativamente, da una serie di impieghi incompatibili con la grave patologia di cui soffre; in proposito non è corretta e va stigmatizzata l’affermazione del ricorrente secondo cui la resistente si sarebbe volontariamente dimessa dall’impiego presso il Comune di Gavi, suggestivamente commentata con la considerazione che molti giovani avrebbero aspirato a quel posto in sua vece, vistoche si è trattato al contrario di un contratto a termine, ottenuto grazie al centro per l’impiego e non più rinnovato né rinnovabile, nonostante le richieste dell’interessata, in quanto avente ad oggetto un’attività (cantoniera) incompatibile con la patologia riconosciuta; che anche la circostanza che la resistente vive nella casa in comproprietà dei coniugi, seppur vada convenientemente apprezzata, non è tuttavia risolutiva sull’an dell’assegno divorzile, ma semmai sulla sua determinazione, al di là del fatto che la casa è ancora gravata da un mutuo consistente, attualmente pagato dal ricorrente, quindi non è affatto definitivamente acquisita al patrimonio comune dei coniugi ed è inoltre oggetto di divisione giudiziale; – che, pertanto, sussistono i presupposti dell’assegno divorzile, poiché con i propri soli mezzi la resistente non sarebbe in grado di vivere autonomamente in condizioni “libere e dignitose”; – che, nel determinare l’entità dell’assegno, si debba tener conto delle seguenti circostanze: o il quid novi rappresentato dal ricorrente rispetto alle circostanze considerate dal Tribunale nella sentenza di separazione, della nascita della seconda figlia, evento che sicuramente provoca un aumento dell’esborso economico a lui richiesto dalla nuova famiglia di fatto, cui tuttavia dovrà contribuire anche l’attuale compagna, perfettamente abile al lavoro; o la breve durata del matrimonio, protrattosi per circa 3 anni ed il fatto che dallo stesso non siano nati figli, presupposti che entrambi impongono di mitigare sotto il profilo quantitativo il principio di solidarietà su cui si fonda la sussistenza dei presupposti per riconoscere un assegno divorzile; – che, infine, nulla debba disporsi in ordine ai criteri di ripartizione degli oneri gravanti sulla casa coniugale, potendosi in questa sede provvedere solo sull’assegnazione di essa, in presenza del presupposto, assente nel caso di specie, 3
rappresentato dalla convivenza con figli minori o non economicamente autosufficienti, in quanto ogni altra questione relativa alla proprietà, al possesso e, a fortiori, al pagamento delle somme relative esula dalla competenza funzionale del giudice della separazione e/o del divorzio (Cass., sez. 1a, 1.8.2013 n. 18440)”; veniva quindi posto provvisoriamente a carico di parte ricorrente un assegno divorzile pari ad euro 300 mensili. Avanti al G.I. nominato, le parti si costituivano, integravano le proprie difese ed all’udienza in data 30.5.2018 precisavano le conclusioni come in epigrafe indicate in punto scioglimento del matrimonio, la causa veniva quindi rimessa al Collegio per la decisione solo in punto status. Con sentenza non definitiva n. 672/2018 pubbl. il 31/07/2018 r.g. n. 3141/2017 il Tribunale di Alessandria, pronunciava quindi lo scioglimento del matrimonio civile contratto dai signori P. ed F. Successivamente la causa veniva istruita mediante produzioni documentali, e venivano precisate le conclusioni in data 18 marzo 2021. Parte ricorrente concludeva chiedendo “pronunciare lo scioglimento del vincolo matrimoniale inter partes; – esentarlo dal corrispondere alla persona di F un contributo assistenziale mensile, sussistendo, a proprio sommesso avviso, i presupposti perché le fosse negato tout court; – ordinare all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Gavi l’annotazione dell’emananda sentenza in calce all’Atto di Matrimonio tra P ed F, Anno 2009 N. ___ P.1 S. Vinte le spese in caso di resistenza” e “in subordinatissima ipotesi, porre a carico di P il pagamento a favore di F dell’importo mensile non superiore ad € 250,00 o in quell’altro equitativamente meglio visto da rivalutarsi annualmente secondo gli indici ISTAT con effetto dal dì della proposizione del ricorso” (memoria integrativa parte ricorrente richiamata). Parte resistente concludeva richiamando la comparsa di costituzione e chiedendo “Pronunciare lo scioglimento del vincolo matrimoniale tra le parti, con emissione di sentenza parziale sul vincolo; 2) ordinare all’Ufficio dello Stato Civile del Comune di Gavi l’annotazione dell’emananda sentenza in calce all’atto di Matrimonio tra le parti; – 3) rigettare la richiesta del signor P. di essere esentato dal corrispondere l’assegno di mantenimento a favore della signora F.; – 4) riconoscere a favore della signora F. un assegno al mantenimento pari ad euro 850,00# mensili rivalutabile secondo gli indici Istat, (comprensivi del 50% della rata di mutuo in Gavi, circostanza imputata in capo al signor P. nel provvedimento di separazione e allo stesso precedentemente accollata da ordinanza Presidenziale).”; specificando che detto assegno non doveva intendersi comprensivo della rata di mutuo della casa, che nel frattempo è stata venduta. 4
La causa, previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., veniva rimessa al Collegio per la decisione. Anzitutto si dà atto della sentenza n. 672/2018 pubbl. il 31/07/2018 r.g. n. 3141/2017, con la quale il Tribunale di Alessandria pronunciava lo scioglimento del matrimonio civile contratto dai signori P ed F, di talché residuo oggetto del contendere è la debenza o meno di un assegno divorzile a carico di parte ricorrente. Con riguardo all’assegno divorzile, si ricorda che la lg. 898/1970 prevede all’art. 5 co. 6 “con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno odi quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.”. L’interpretazione della norma è stata in ultimo chiarita dalle Sezioni Unite che hanno statuito come “il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezzadei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazionedei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto” e “le due parti della norma sono state interpretate in modo dicotomico pur essendo legate da un nesso di dipendenza logica testuale che ne impone un esame esegetico unitario. Il giudice dispone sull’assegno di divorzio in relazione all’inadeguatezza dei mezzi ma questa valutazione avviene tenuto conto dei fattori indicati nella prima parte della norma” (Cass. SS.UU., sent. 11.7.2018, n. 18287). Analizzando anzitutto la situazione economico-reddituale di F., la stessa ha dedotto di essere “affetta da sindrome demielinizzante con riconoscimento di soggetto INVALIDO con riduzione permanente della capacità lavorativa dal 74% al 99% (art. 2 e 13 L. 118/71 e art. 8 DL. 509/88) con la percentuale del 75% con decorrenza 29.10.2012” (all.1 resistente); parte resistente invero argomentavacome “esistono ragioni oggettive che limitano gravemente la possibilità della ex moglie di procurarsi un lavoro stabile. Tra l’altro la convenuta, nonostante la propria patologia, ha sempre dimostrato una 5
autoresponsabilità economica diretta ad ottenere l’indipendenza dal marito, ma nonostante ciò non è semplice raggiungere tale traguardo avendo una capacità lavorativa ridotta al 75% a causa della sua malattia invalidante”, al contempo dando atto di essere riuscita a reperire dei lavoretti durati pochi mesi (comparsa di costituzione). Orbene, la difficoltà a reperire un lavoro da parte della resistente deve ritenersi provata; invero a fronte di una invalidità con riduzione della capacità lavorativa pari al 75 %, si può ritenere provato anche per presunzioni semplici che sussista una oggettiva difficoltà a reperire un lavoro confacente alla propria situazione di salute. Al contempo, parte resistente ha dedotto di riuscire a reperire, comunque, dei lavori, in ultimo ha prodotto i CU2021 dai quali si desume che abbia lavorato per giorni 59 per il Comune di Gavi, e per 31 giorni per Rubber s.r.l., oltre a figurare ulteriori 49 giorni di lavoro nel CU2021 dell’INPS. Tanto per il totale di euro 3987, 21 annuali (risultanti dalle sole Certificazioni Uniche). Si deve ritenere, dunque, che parte resistente abbia comunque una capacità lavorativa residua, che riesce a mettere a frutto; detta capacità lavorativa residua tuttavia, non permette comunque a parte resistente di procurarsi mezzi adeguati – in assoluto- per il proprio mantenimento – per l’anno 2020 ha potuto disporre di circa 330 euro al mese derivanti da lavoro -. A fronte della necessità di un assegno divorzile a favore della parte resistente, si passa ad analizzare la situazione economico-reddituale di parte ricorrente; questi risulta avere a carico due figli minori, di cui il primo con problematiche di salute; parte ricorrente deduceva inoltre quali spese euro 480 mensili di affitto, 120 euro per l’asilo e 200 di vestiario. Ulteriore spesa dedotta da parte ricorrente, il mutuo della ex casa coniugale, che ammontava ad euro 540 mensili secondo quanto dedotto da parte ricorrente, appare essere venuta meno considerato che parte ricorrente in sede di comparsa conclusionale ha dato atto di come la ex casa coniugale sia stata venduta. Analizzando le dichiarazioni dei redditi di parte ricorrente emerge un reddito complessivo lordo per l’anno 2015 pari ad euro 49.257 euro, che al netto delle imposte, corrisponde a circa euro 3200 mensili (considerando 12 mensilità). Parimenti, dalla dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2020, ammissibile in quanto documentazione sopravvenuta, emerge un reddito lordo complessivo pari a 45.302, che al netto delle imposte, corrisponde a circa euro 3100 mensili (considerando 12 mensilità). Dunque, pur debitamente considerando il carico famigliare dato dai figli minori del P., comunque emerge una situazione economica dello stesso che gli permette di fare fronte ad un contributo nei 6
confronti della ex moglie, considerando anche come sia venuto meno il peso derivante dalla ex casa coniugale, dato dedotto dallo stesso ricorrente. Considerate le rispettive situazioni economiche delle parti, le spese di ognuno, la durata, breve, del matrimonio, il fatto che non siano nati figli, circostanze queste ultime che impongono di mitigare la solidarietà “post” coniugale, si reputa congruo fissare un contributo mensile al mantenimento di F pari ad euro 400. Considerato che l’ammontare dell’assegno divorzile come sopra determinato viene fondato anche su una circostanza sopravvenuta, il venir meno della casa coniugale, che comportava ulteriori spese, di cuisi era tenuto conto in sede di provvedimenti presidenziali, la debenza dell’assegno divorzile in misura pari ad euro 400 viene fatta decorrere a partire dal mese di luglio 2021. Le spese di lite, in ragione della parziale soccombenza di entrambe le parti, vanno compensate. P.Q.M.
il Tribunale di Alessandria, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, eccezione e difesa, così provvede: – dà atto del già pronunciato lo scioglimento del matrimonio celebrato tra i Sig. P (C.F. ___) e F (C.F. _____), in Gavi (AL), il ____ 2009; – pone a carico di P un assegno divorzile a favore di F, da corrispondersi alla stessa entro il 5 di ogni mese, a partire dal luglio 2021, pari ad euro 400, rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT; – dichiara integralmente compensate le spese di lite. Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di legge.

Mantenimento dei figli: padre condannato ex art. 96 c.p.c. per aver dissimulato le sue reali capacità economiche

Cass. Civ., Sez. VI – 1, Ord., 30 aprile 2021, n. 11475
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE SESTA CIVILESOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. FERRO Massimo -Presidente -Dott. DI MARZIO Mauro -Consigliere -Dott. TRICOMI Laura -rel. Consigliere -Dott. TERRUSI Francesco -Consigliere -Dott. CAMPESE Eduardo -Consigliere -ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA sul ricorso 35045-2019 proposto da: D.Q.W.A., elettivamente domiciliato in ROMA, …, presso lo studio dell’avvocato M.M., che lo rappresenta e difende;-ricorrente -controF.E., elettivamente domiciliata in ROMA, …., presso lo studio dell’avvocato G.P., che la rappresenta e difende;-controricorrente -avverso il decreto RG. N. 51378/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 19/04/2019;udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI LAURA.
Svolgimento del processo Che:Con ricorso depositato il 25/3/2015 D.Q.W.A. chiedeva che il contributo al mantenimento del figlio W.G., nato il 5/6/1996 dalla relazione con F.E., già fissato in Euro 800,00, fosse ridotto e devoluto direttamente al ragazzo. La F. chiedeva il rigetto delle avverse domande e, in via riconvenzionale, l’incremento dell’assegno.
Respinte in primo grado le contrapposte domande, con condanna di D.Q. al pagamento delle spese di lite in favore della F. e con condanna dello stesso al pagamento di una ulteriore somma a titolo di responsabilità ex art. 96 c.p.c. sempre in favore della F., D.Q. proponeva reclamo che veniva rigettato dalla Corte di appello di Roma -Sezione Persona e Famiglia. D.Q. ha proposto ricorso per cassazione con cinque mezzi,illustrati da memoria, avverso il decreto in epigrafe indicato. F. ha replicato con controricorso corredato da memoria.
Motivi della decisione Che:1. Preliminarmente va disattesa l’eccezione, sollevata da F., di incapacità naturale del ricorrente e di nullità della procura speciale rilasciata in data 14/11/2019 dal D.Q. all’Avv. M., fondata sull’assunto che il primo, in occasione dell’esame giudiziale svoltosi in data 11/12/2019 nella procedura per la nomina di un amministratore di sostegno, non aveva saputo rispondere a domande elementari sul suo nome e la sua età, perchè la instaurazione della procedura per la nomina dell’amministratore di sostegno non è univocamente destinata a sopperire carenze cognitive dell’eventuale amministrato, nel caso di specie, peraltro, non meglio precisate, nè ancora accertate.2. Con il primo motivo si sostiene la nullità del decreto per violazione degliartt. 132 c.p.c.,e 118 disp. att. c.p.c. con riferimento alla richiesta di attribuzione diretta di parte dell’assegno di mantenimento al figlio, come previstodall’art. 337-septies c.c.Il ricorrente sostiene che l’espressa domanda in merito non sarebbe stata oggetto di pronuncia da parte della Corte capitolina che si era limitata a rigettare integralmente il reclamo senza esporre le ragioni di fatto e di diritto della decisione.Il primo motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi.La Corte di appello, pur non dando esplicito atto di tale profilo della domanda, ha adottato una complessiva statuizione di rigetto che si sofferma sia sull’età del ragazzo (22 anni), sia sulla stabile collocazione presso la madre, sia sulla circostanza che è questa ad essere tenuta a soddisfare quotidianamente le esigenze materiali, formative ericreative del figlio, con una statuizione che appare motivatamente anche se implicitamente reiettiva della richiesta di parziale attribuzione diretta al figlio della somma dovuta, in considerazione degli oneri gravanti sulla madre che appaiono incompatibili, nel caso concreto ed in assenza di una richiesta del figlio, ad una parcellizzazione dell’assegno.3. Con il secondo motivo si sostiene la nullità del decreto per violazione degliartt. 132 c.p.c.,e 118 disp. att. c.p.c. con riferimento alla domanda di revoca dell’attribuzione diretta alla F. delle spese del giudizio di primo grado disposta in violazione del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 133, essendo stata ammessa la stessa al patrocinio a spese dello Stato.Il motivo è inammissibile per carenza di specificità. La prospettazione del ricorrente circa la proposizione di domanda in merito non è assistita dalla dovuta specificità ex art. 366c.p.c., comma 1, n. 6, ed anzi risulta smentita dalle conclusioni rese nel reclamo (riportate in ricorso, fol. 10) ove era chiesto di “revocare il capo di liquidazione delle spese di lite del primo grado in favore della sig.ra F. e disporre l’integrale compensazione per quanto sopra detto”, di guisa che la questione dell’attribuzione in favore dello Stato, anche ove fosse stata proposta, appare abbandonata e non più coltivata dall’odierno ricorrente nelle conclusioni, ove ha insistito solo per la compensazione. Resta da dire che tale questione può essere proposta e risolta mediante il ricorso al procedimento di correzione dell’errore materiale.4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c.,per motivazione apparente con riferimento alla richiesta di revoca della condanna ex art. 96 c.p.c. Sostiene che la seguente motivazione, addotta dalla Corte distrettuale, “Va altresì confermatala condanna del D.Q., ai sensi dell’art. 96 c.p.c.,in considerazione del comportamento processuale del medesimo per avere dissimulato le sue reali capacità economiche” sia apparente e rappresenti una mera clausola di stile. Si duole che la Corte distrettuale non abbia precisato quali atteggiamenti dissimulatori egli avrebbe posto in essere, appiattendosi sulla statuizione di primo grado, senza indicare le ragioni del rigetto del motivo di appello.
Il motivo è infondato. La decisione impugnata è, sia pure sinteticamente, motivata, tanto più che la lettura va integrata con quanto accertato in merito alle condizioni economiche del D.Q. ed alla valutazione della condotta ostativa ad un accertamento reddituale e patrimoniale completo tenuta dallo stesso, di guisa che la decisione appare conforme al principio secondo il quale “in materia di responsabilità processuale aggravata, condotte sintomatiche dell’elemento soggettivo della mala fede o della colpa grave non si ravvisano soltanto nella consapevolezza della infondatezza in jure della domanda, ma anche nella omessa deduzione di circostanze fattuali dirimenti ai fini della corretta ricostruzione della vicenda controversa.” (Cass. n. 4136 del 21/02/2018). Va soggiunto che, in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 19298 del 29/09/2016).5. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91c.p.c.comma 1, e art. 92c.p.c.comma 2, in relazione al motivo di appello con cui aveva chiesto che la condanna alle spese di lite subita dal D.Q. in primo grado venisse riformata con applicazione della compensazione, atteso che in primo grado sia la domanda principale che la riconvenzionale proposta dalla F. erano state integralmente disattese, di guisa che entrambi erano risultati soccombenti. Il motivo è infondato. L’art. 92c.p.c.comma 2, in parte qua invariato in conseguenza delle novelle che hanno interessato il complesso della norma, dispone che “Se vi è soccombenza reciproca (…) il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti.”. La norma, pertanto, consente (“può”) al giudice di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite tra le parti in caso di reciproca soccombenza, ma non lo obbliga inevitabilmente a tale decisione. Dunque, anche nell’ipotesi di soccombenza reciproca, il limite di fronte al quale si arresta la discrezionalità del giudice riguardo alla distribuzione dell’onere delle spese di lite è rappresentato dall’impossibilità di addossarne, in tutto o in parte, il carico alla parte interamente vittoriosa, poichè ciò si tradurrebbe in un’indebita riduzione delle ragioni sostanziali della stessa, ritenute fondate nel merito. Nel caso di specie, certamente non è stato violato tale limite, essendo stato respinto il ricorso principale di D.Q., che dunque non può ritenersi totalmente vittorioso, anche a fronte del rigetto della domanda riconvenzionale proposta dalla F. (cfr. Cass. n. 26918 del 24/10/2018; Cass. n. 1572 del 23/01/2018; Cass. n. 10685 del 17/04/2019).6. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione all’omesso esame del fatto costituito dalla perdita del finanziamento pubblico conseguente alla revoca del finanziamento comunitario erogato dalla Regione Lazio per un importo complessivo di Euro 228.546,85=, fatto non preso in esame dal Tribunale, nè dalla Corte di appello, alla quale era stato nuovamente sottoposto, circostanza dunque richiamata per giustificare la riduzione dell’assegno di mantenimento per la prole.Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi.Come risulta dal decreto impugnato (fol. 4), il D.Q. aveva sostenuto che le sue ipotizzate condizioni facoltose erano “irrealizzabili perchè, essendo oramai privo dei proventi dell’eredità immobiliare familiare a causa dei pignoramenti subiti, versa(va) anche a seguito del fallimento dell’impresa agricola intrapresa, in precarie condizioni che gli consentono di sopravvivere solo mediante ricorso ad occasionali e sporadici lavori a giornata, nel settore agricolo”.Orbene la Corte capitolina, nel disattendere in toto tale prospettazione, non ha ignorato le vicende ruotanti attorno all’attività agricola non andata a buon fine, delle quali fa espressa menzione contrariamente a quanto assume il ricorrente -, così come ha considerato le vicende pignorative che ne avevano aggredito il patrimonio immobiliare. Tuttavia, ha ritenuto di confermare la mancata dimostrazione del peggioramento delle condizioni economiche di D.Q., procedendo ad una valutazione complessiva degli esiti dell’attività istruttoria e valorizzando: l’omessa produzione della
documentazione richiesta in merito alle due società di cui l’obbligato possedeva delle quote; l’assenza di chiarezza e di spiegazioni in merito ai cospicui introiti confluiti fino al 2011 sul conto di D.Q., per poi ridursi improvvisamente; la mancata dimostrazione di eventi modificativi capaci di determinare un significativo peggioramento delle sue condizioni economiche, di guisa che la chiusura dei conti non appariva riconducibile a motivazioni trasparenti; il fatto che il D.Q. dichiarava redditi esigui anche quando movimentava somme liquide di importo elevato sui suoi conti bancari; la circostanza che la persona, rinvenuta dal custode giudiziario nell’immobile sito in Roma Via Rubra 58, pignorato nel 2016, aveva dichiarato diessere affittuaria proprio di D.Q. senza contratto di locazione e che questi non aveva dimostrato che il custode giudiziario aveva provveduto ad incamerare i proventi della locazione degli immobili.La decisione risulta pertanto in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale “il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, nè gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga -in maniera concisa ma logicamente adeguata -gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto.” (Cass. n. 29730 del 29/12/2020; Cass. n. 3601 del 20/02/2006); la censura non si confronta affatto con la complessiva ratio decidendi, nè illustra in che misura la circostanza dedotta, peraltro non ignorata dalla Corte di appello, sisarebbe potuta ritenere decisiva. 7. In conclusione il ricorso va rigettato, infondati i motivi terzo, quarto, inammissibili i motivi primo, secondo e quinto.Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo, con attribuzione al difensore della controricorrente dichiaratosi antistatario.Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dallaL. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).
P.Q.M.
-Rigetta il ricorso, infondati i motivi terzo e quarto, inammissibili i motivi primo, secondo e quinto;-Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00=, oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, ed accessori di legge, con attribuzione al difensore della controricorrente dichiaratosi antistatario;-Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52;-Dà atto, ai sensi delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52,in quanto disposto d’ufficio.

La valutazione di inidoneità genitoriale va attualizzata.

Corte di Cassazione, Sez. I , 30 giugno 2021 n. 18603
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. ACIERNO Maria – Presidente -Dott. PARISE Clotilde – Consigliere -Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere -Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere -Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere -ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 15212/2019 proposto da: T.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea Brini, come da procura speciale conferita in calce al ricorso per cassazione. – ricorrente – contro F.S., rappresentata e difesa dall’Avv. Manuela Cecchi, elettivamente domiciliata nello studio dell’Avv. Giulia Sarnari, in Roma, via G. Nicotera, n. 29, giusta procura speciale allegata al controricorso. – controricorrente – avverso la sentenza della Corte di appello di FIRENZE, n. 345/2019, pubblicata il 15 febbraio 2019; udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19 aprile 2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.
RILEVATO Che:
1. Con sentenza del 15 giugno 2019, la Corte di appello di Firenze ha rigettato l’appello proposto da T.C. in materia di assegnazione della casa coniugale e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da F.S., ha disposto l’affidamento esclusivo del minore, T.L., alla madre e ordinato alla società 2
“tuOtempO” di pagare mensilmente alla F. la somma di Euro 350,00 mensili, previa trattenuta sui compensi del T. e comunque nel limite massimo di un terzo.2. La Corte di appello di Firenze, a sostegno della decisione impugnata, richiamando l’art. 337 quinquies c.c., ha rilevato che l’assegnazione della casa coniugale doveva essere disposta tenuto prioritariamente conto dell’interesse dei figli, fatta eccezione per circostanze particolari nel caso in esame neanche ipotizzate, nè avevano rilievo le vicende relative alla proprietà dell’abitazione, di cui comunque il T. era divenuto proprietario, in quanto la madre nel dicembre 2015 aveva revocato la donazione delle quote effettuata a suo favore e a favore del fratello e aveva lasciato interamente a lui la piena proprietà della Doma s.r.l.. 3. I giudici di secondo grado hanno disposto, inoltre, l’affido esclusivo del figlio minore alla madre, stante che i comportamenti evidenziati dalla stessa e posti in essere dal T. (sostituzione della serratura e vendita dell’abitazione familiare, locazione della stessa) dimostravano la carenza del più elementare rispetto delle esigenze del figlio in tenera età, che al momento dello spoglio aveva poco più di sei anni, a fronte dei propri interessi, il che rendeva evidente che l’affidamento condiviso era contrario all’interesse del minore; non ricorrevano comunque le condizioni per l’affidamento esclusivo rafforzato o super esclusivo, chiesto dalla F., restando comunque opportuno un coinvolgimento del padre nelle decisioni di maggiore interesse per il minore.4. T.C. ricorre per la cassazione della sentenza impugnata con atto affidato a due motivi.5. F.S. ha resistito con controricorso. CONSIDERATO Che:1. In via preliminare va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso perchè, contrariamente a quanto assunto dalla F., sia l’introduzione dell’atto, sia la procura speciale contengono l’elezione di domicilio e il ricorso anche l’indirizzo pecdel legale del T..2. Va pure disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per laviolazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, essendo stato rispettato l’onere previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che impone alla parte ricorrente, a pena d’inammissibilità, nel giudizio di cassazione, trattandosi di rimedio a critica vincolata, l’indicazione di motivi aventi caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata e di indicare puntualmente le norme di legge 3
di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. U., 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass., 24 febbraio 2020, n. 4905).3. In ultimo va rigettata pure l’eccezione di inammissibilità sollevata ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., posto che la condizione di ammissibilità del ricorso, indicata nell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, non è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, laddove non vengano individuate le decisioni e gli argomenti sui quali l’orientamento contestato si fonda (Cass., 8 febbraio 2011, n. 3142).4. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 337 quinquies e 337 sexies c.c., trovando nel caso in esame applicazione l’art. 337 sexies c.c. e non già la norma richiamata dai giudici di secondo grado, ovvero l’art. 337 quinquies c.c.; che l’art. 337 sexies c.c., configurava l’interesse dei figli come elemento prioritario, ma non esclusivo e che era possibile fare ricorso ad altri criteri, con specifica motivazione in merito, che assumeva maggiore rigore via via che aumentava l’età della prole; che era pacifico che l’immobile già adibito a casa familiare non era e non è mai stato di sua proprietà; la Corte, inoltre, aveva omesso di considerare le sue condizioni economiche che erano state debitamente documentate in primo grado dinanzi al Tribunale di Firenze. 4.1 Il primo motivo è infondato.4.2 E’ giurisprudenza di questa Corte che l’art. 337 sexies c.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 154 del 2013, in vigore dal 7 febbraio 2014) nella parte in cui prevede che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli” ha una ratio di protezione nei confronti di questi ultimi, tutelandone l’interesse a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti,per mantenere le consuetudini di vita e le relazioni che in esso si radicano (Cass., 2013, n. 21334).L’assegnazione della casa coniugale non rappresenta, infatti, una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio o un modo per realizzare il mantenimento del coniuge più debole ed è espressamente 4
condizionata soltanto all’interesse dei figli, essendo scomparso il criterio preferenziale costituito dall’affidamento della prole, a fronte del superamento, in linea di principio, dell’affidamento monogenitoriale in favore della scelta, di regola, dell’affido condiviso (Corte Costituzionale, 30 luglio 2008, n. 308).Questa Corte ha, infatti, ribadito che la scelta cui il giudice è chiamato non può prescindere dall’affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti che funge da presupposto inderogabile dell’assegnazione e che suddetta scelta non può essere condizionata dalla ponderazione tra gli interessi di natura solo economica dei coniugi o tanto meno degli stessi figli, in cui non entrino in gioco le esigenze della permanenza di questi ultimi nel quotidiano loro habitat domestico inteso come centro della vita e degli affetti dei medesimi (Cass., 22 novembre 2010, n. 23591).Con l’ulteriore corollario che l’assegnazione della casa coniugale è “uno strumento di protezione della prole e non può conseguire altre e diverse finalità” e che “detta assegnazione non ha più ragion d’essere soltanto se, per vicende sopravvenute, la casa non sia più idonea a svolgere tale essenziale funzione” (Cass., 22 luglio 2015 n. 15367; Cass., 12 ottobre 2018, n. 25604).4.3 In ultimo, va richiamato l’ulteriore principio affermato da questa Corte secondo cui ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6, nel testo sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 11, applicabile anche in tema di separazione personale, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorchè non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero – ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto – anche oltre i nove anni. Tale opponibilità conserva, beninteso, il suo valore finchè perduri l’efficacia della pronuncia giudiziale, costituente il titolo in forza del quale il coniuge, che non sia titolare di un diritto reale o personale di godimento dell’immobile, acquisisce il diritto di occuparlo, in quanto affidatario di figli minori o convivente con figli maggiorenni non economicamente autosufficienti (Cass., Sez. U., 26 luglio 2002, n. 11096; Cass., 19 giugno 2005, n. 12296; Cass., 3 marzo 2006, n. 4719).4.4 Orbene, non può revocarsi in dubbio che i principi di diritto richiamati abbiamo trovato applicazione nel caso in esame (al di là del richiamo improprio dell’art. 337 quinquies c.c.), avendo la Corte territoriale sottolineato, per l’appunto, la prevalenza dell’interesse dei figli ed avendo affermato che l’immobile in questione, nella disponibilità del T., era “incontestatamente” l’abitazione della coppia e del figlio minore L., nato il (OMISSIS).5
Deve, quindi, ribadirsi che la presenza di una prole da tutelare con l’assegnazione della casa coniugale rende improponibile un giudizio di comparazione tra le esigenze della proprietà (anche del soggetto terzo) e quelle di tutela dei figli della coppia separata o divorziata, nè è possibile ancorare alla tutela del preteso coniuge economicamente più debole una eventuale revoca di assegnazione della casa coniugale, atteso che, come dianzi detto, il diritto personale di godimento in questione esula dal tema dei diritti patrimoniali conseguenziali alla pronuncia di separazione o divorzio.5. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 337 ter e 337 quater c.c., in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., non avendo la F. dato la prova dei comportamenti richiamati nei confronti del figlio, nè poteva ritenersi che egli fosse divenuto sostanzialmente proprietario dell’immobile, poichè l’immobile oggetto di revoca di donazione era stato venduto il 18 dicembre 2015 alla società Germana Sail & Charter LTD e il contratto di affitto era stato stipulato da quest’ultima società ed anche nel provvedimento di reintegra nel possesso del 19 maggio 2017 era stato affermato che lo spoglio era collocabile nell’arco temporale tra il 27 e il 29 dicembre 2015, quando era già di proprietà della società Germana Sail & Charter LTD. 5.1 Il motivo è fondato.5.2 In proposito, mette conto rilevare che nel quadro della nuova disciplina relativa ai “provvedimenti riguardo ai figli” dei coniugi separati, di cui ai citati artt.155 e 155 bis c.p.c., come modificati dalla L. n. 54 del 2006, improntata alla tutela del diritto del minore (già consacrato nella Convenzione di New York del 20 novembre 1989 resa esecutiva in Italia con la L. n. 176 del 1991) alla cd. “bigenitorialità”, ovvero al diritto, dei figli a continuare ad avere un rapporto equilibrato con il padre e con la madre anche dopo la separazione, l’affidamento “condiviso”, che comporta l’esercizio della responsabilità genitoriale da parte di entrambi ed una condivisione, appunto, delle decisioni di maggior importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore, si pone non più come evenienza residuale, bensì come regola; rispetto alla quale costituisce, invece, ora accezione la soluzione dell’affidamento esclusivo: alla regola dell’affidamento condiviso può, dunque, derogarsi solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore” (Cass., 8 febbraio 2012, n. 1777).Pur non potendo ragionevolmente ritenersi comunque precluso l’affidamento condiviso, di per sè, dalla mera conflittualità esistente fra i coniugi, poichè avrebbe altrimenti una applicazione, evidentemente, solo residuale, occorre, perchè possa derogarsi alla regola dell’affidamento condiviso, che risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità6
educativa o comunque tale appunto da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore (Cass., 18 giugno 2008, n. 16593).5.3 Con la duplice conseguenza che:non avendo il legislatore ritenuto di tipizzare le circostanze ostative all’affidamento condiviso, la loro individuazione resta rimessa alla decisione del Giudice nel caso concreto da adottarsi con provvedimento motivato, con riferimento alla peculiarità della fattispecie che giustifichi, in via di eccezione, l’affidamento esclusivo;l’esclusione della modalità dell’affidamento condiviso dovrà risultare sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, maanche in negativo sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della responsabilità genitoriale e sulla non rispondenza, quindi, all’interesse del figlio dell’adozione, nel caso concreto, del modello legale prioritario di affidamento.5.4 Ancora va evidenziato che “In materia di affidamento dei figli minori, il giudicedella separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale – posto, per la separazione, nell’art. 155 c.c., comma 1 e, per il divorzio, dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 6, rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurreal massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. L’individuazione di talegenitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, giudizio che, ancorandosi ad elementi concreti, potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonchè sull’apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente che è in grado di offrire al minore” (Cass., 27 giugno 2006, n. 14840).5.5 Ciò posto, la decisione in esame non risulta conforme ai principi enunciati da questa Corte, perchè non ha rispettato da un lato il parametro normativo sull’affido condiviso e quello duplice in negativo e in positivo, giurisprudenziale, e dall’altro, non ha operato una valutazione attuale dell’inidoneità del padre, atteso che la prognosi si fonda su comportamenti del genitore risalenti nel tempo.5.6 Nello specifico, infatti, la Corte territoriale ha motivato l’affidamento del figlio minore in via esclusiva alla F. richiamando i comportamenti evidenziati dalla madre e posti in essere dal T., ovvero la sostituzione della serratura e poi la vendita dell’abitazione familiare e la locazione della stessa, nonchè la circostanza che il figlio minore avesse poco più di sei anni al momento dello spoglio, ed affermando che tali comportamenti dimostravano la carenza nel T. del più elementare rispetto delle esigenze del figlio in tenera età, a fronte dei propri interessi, il che rendeva evidente che l’affidamento condiviso era contrario all’interesse del minore.6. Per quanto esposto, va accolto il secondo motivo e rigettato il primo; la sentenza impugnata va cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte di appello di Firenze, in altra composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

L’allontanamento dalla casa familiare da parte del coniuge non assegnatario deriva direttamente dal provvedimento

Tribunale Crotone, Sent., 27 aprile 2021
TRIBUNALE DI CROTONE
nella persona del Giudice monocratico dott. Emmanuele Agostini ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 1492 del Ruolo Generale contenzioso dell’anno 2020 e vertente TRAG.A. (C.F.: (…)), nato a C. il (…), elettivamente domiciliato in Crotone (c.a.p. 88900), alla via…., nello studio dell’Avv. ….(C.F.: (…) -pec:….), che lo rappresenta e difende giusta procura in calce all’atto di citazione in opposizione Attore opponente EZ.R. (C.F.: (…)), nata a C. il (…), elettivamente domiciliata in Crotone (c.a.p. 88900), alla via…., presso lo studio dell’Avv. ….(pec:…), che la rappresenta e difende per mandato in calce alla comparsa di costituzione
Convenuta opposta-Oggetto:Opposizione ad atto di precetto ex art. 615 co. 1 c.p.c.
Svolgimento del processo -Motivi della decisione La presente sentenza è redatta secondo i canoni dettati dall’art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., così come modificati dalla L. n. 69 del 2009, e cioè limitandosi alla concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, locuzione quest’ultima interpretata come estrinsecazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla decisione, che può prescindere dal dar conto di tutte le questioni prospettate dalle parti ove non costituiscano premesse logicamente e giuridicamente necessarie (Trib. Monza, sent. 27.7.2016).1. Con atto di citazione ritualmente notificato G.A. premetteva che: con decreto n.575/2020 del 18.3.2020, reso dal Tribunale di Crotone in sede di V. G., la casa coniugale sita in C., al L. U. I, n. 14 era stata assegnata a Z.R.; tuttavia, il Tribunale non gli aveva ordinato il rilascio della casa coniugale; che, in assenza di titolo esecutivo preordinato al rilascio dell’immobile, la Z. gli aveva fatto notificare un atto di precetto per rilascio di immobile, in data 29.7.2020.Chiedeva, pertanto, a questo Tribunale1) In via preliminare, di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo;2) di accertare, nel merito, che egli non deve rilasciare l’abitazione sita in C., al L. U. I, n. 14.2. Si costituiva la convenuta opposta Z.R. con propria comparsa, chiedendo il rigetto dell’opposizione in quanto infondata, previo rigetto dell’istanza di sospensiva, considerato che il provvedimento di assegnazione della casa è un’entità inscindibile con l’ordine al non assegnatario al rilascio della stessa.3. Con ordinanza del 26.1.2021 l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo era rigettata.4. In assenza di attività istruttoria, all’udienza del 4.2.2021 i procuratori precisavano le conclusioni come da verbale. Concessi i termini ex art. 190 co. 1 c.p.c. per le difese finali, il Giudice tratteneva la causa in decisione.5. L’opposizione è infondata e deve essere rigettata.
Nel decreto n. 575/2020 del 18.3.2020, R.G.V.G. 759/2019, il Tribunale di Crotone ha assegnato la casa familiare, sita in C. al L. U. I, n. 14 a Z.R., affinché la abiti con i figli minori.E’ evidente che una siffatta pronuncia comporta la necessità che l’ex convivente G.A. si allontani dalla casa familiare, non avendo alcuna rilevanza la successiva precisazione contenuta nel medesimo decreto in ordine all’insussistenza dei presupposti per l’emissione di un ordine di protezione ex art. 342 c.p.c. (precisazione formulata proprio in quanto l’allontanamento dalla casa costituisce effetto dell’assegnazione, non essendo necessaria, all’uopo, l’emissione di specifico ordine di allontanamento).L’allontanamento dalla casa familiare da parte del coniuge o dell’ex convivente non assegnatario deriva direttamente dal provvedimento ovvero dalla sentenza che attribuisce il diritto ad abitare la casa familiare, che costituisce titolo esecutivo, anche -secondo la giurisprudenza -quando l’ordine di rilascio non sia stato con essi esplicitamente pronunciato (cfr. Cass., 31.1.2012, n. 1367, che ha enunciato il principio in esame con riguardo all’opposizione, esperita dal coniuge già assegnatario della casa familiare, al precetto notificato dall’altro coniuge per il rilascio dell’immobile).La natura speciale del diritto di abitazione, ai sensi dell’art. 155 quater c.c., è infatti tale per cui esso non sussiste senza allontanamento dalla casa familiare di chi non ne è titolare (così Cass., n. 1367/2012, cit); l’assegnazione della casa familiare, essendo finalizzata all’esclusiva tutela della prole, è valida ed efficace anche se detenuta a titolo diverso dalla proprietà e come tale, infatti, è opponibile ai proprietari ed ai terzi: “Anche nel caso in cui la casa coniugale sia posseduta a titolo diverso dalla proprietà dal coniuge non assegnatario, se nell’immobile, prima della separazione o del divorzio, era stabilita la residenza familiare, l’assegnazione è opponibile ai proprietari ed ai terzi” (Cass. Civ. n. 3302/2018, 24254/2018).Sul piano dell’esecuzione, il provvedimento con cui il diritto viene attribuito contiene in sé, implicitamente, la condanna al rilascio nei confronti dell’altro coniuge, essendo il rilascio non consequenziale all’attribuzione, ma coessenziale per il diritto stesso. Ne deriva la totale irrilevanza della indicazione o meno dell’espresso ordine di rilascio nel provvedimento attributivo del diritto, per idoneità del titolo, contenente anche solo la espressa attribuzione del diritto, alla esecuzione.6. Le spese seguono la soccombenza e sono calcolate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, in applicazione dei valori medi secondo il valore della causa (indeterminabile a complessità bassa), opportunamente ridotti per la semplicità delle questioni giuridiche controverse ed esclusa la fase istruttoria, non svolta, e tenuto conto anche della fase cautelare,
P.Q.M.
Il Tribunale di Crotone, in persona del Giudice monocratico dott. Emmanuele Agostini, definitivamente pronunciando sulla causa n. 1492/2020 R.G.A.C., ogni altra e diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così provvede:
rigetta l’opposizione spiegata e per l’effetto dichiara la sussistenza del diritto di Z.R. al rilascio dell’immobile in forza dell’atto di precetto notificato il 29.7.2020;2) condanna l’opponente G.A. al pagamento delle spese di lite sostenute da Z.R., che liquida in Euro 4.591,00 per compensi professionali, oltre compenso forfettario del 15%, IVA e CPA come per legge, da corrispondersi direttamente in favore dell’avv. Antonella Stefanizzi, dichiaratasi anticipataria.

L’Assicurazione RCA opera nel caso di sosta e posizione di arresto del veicolo?

Tribunale Reggio Emilia, 15 Giugno 2021. Est. Morlini.
TRIBUNALE ORDINARIO di REGGIO EMILIA
SEZIONE SECONDA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Gianluigi Morlini ha pronunciato ex art. 190 c.p.c. la seguente
omissis
FATTO
La controversia trae origine da un drammatico fatto di cronaca, del quale si sono a lungo occupati anche i media locali, accaduto il 9/3/2013 verso le ore 13:00 in piazza della Repubblica a Guastalla.
In particolare, allorquando l’autocarro adibito ad uso speciale di ‘furgone rosticceria’ di proprietà di M. Francesco era parcheggiato nella piazza ed all’interno del veicolo erano presenti il M. ed altre persone intente a vendere al pubblico polli allo spiedo, il mezzo meccanico ha preso fuoco, cagionando un terribile incendio, domato solo dopo diverse ore, che ha provocato la morte di tre persone, il ferimento di molte altre e pesanti danni materiali alle auto ed ai beni circostanti.
In seguito a tali fatti, M. è stato condannato penalmente per omicidio colposo, lesioni, incendio e danneggiamento, con sentenza passata in giudicato in ordine all’accertamento dei fatti pur se non ancora definitiva con riferimento all’entità della pena di otto anni di reclusione (cfr. all. 16 fascicolo di parte attrice); e la sentenza di condanna, sul punto passata in giudicato, ha statuito che l’incendio è stato cagionato, ex aliis, dalla manomissione e dalla modifica dell’impianto GPL di alimentazione del forno, avendo M. sostituito “autonomamente e impropriamente alcuni componenti dell’impianto… e del forno… in tal modo manipolando e agendo non solo sulle parti soggette a periodica sostituzione e usura dell’impianto, ma anche su parti fisse del medesimo, modificando l’impianto originariamente installato… collegando in maniera anomala e impropria all’impianto gas del furgone… una bombola di gas GPL che al momento del fatto si trovava in esercizio in posizione inclinata/orizzontale o capovolta… utilizzando per la cottura quattro bombole di GPL anziché tre come previsto dall’allestimento originario del mezzo” (cfr. all. 1 fascicolo di parte attrice).
A seguito di tale evento, M. ha azionato una polizza per responsabilità civile verso terzi stipulata con la Generali Italia s.p.a., la quale ha erogato l’intero importo del massimale.
Tuttavia, non essendo il massimale idoneo a coprire tutti i danni provocati, M. ha altresì chiesto a Generali di indennizzare i residui danni subiti dai terzi in forza della diversa ed ulteriore polizza stipulata per responsabilità civile automobilistica; ma l’assicurazione ha frapposto un diniego, ritenendo la polizza RCA non operativa in relazione ai fatti di causa.
Pertanto, promuovendo la presente controversia M. ha convenuto in giudizio Generali, chiedendo di accertare l’operatività della polizza RCA nella fattispecie per cui è processo.
Costituendosi in giudizio, ha resistito l’assicurazione, sul presupposto della inoperatività della polizza.
Non avendo le parti rassegnato istanze istruttorie ed essendo la causa prettamente documentale, è stata fissata udienza di precisazione delle conclusioni con la concessione dei termini per difese conclusive ex articolo 190 c.p.c.
DIRITTO
a) Come esposto in parte narrativa, è pacifico tra le parti che, allorquando il ‘furgone rosticceria’ era parcheggiato a motore spento in una piazza cittadina ed era utilizzato per la vendita al pubblico di polli allo spiedo, esso ha preso fuoco, anche a seguito della manomissione dell’impianto GPL da parte dell’assicurato.
Oggetto di causa è quindi quello di comprendere se tale evento sia o meno ricompreso nella polizza RCA.
Al quesito, in assenza di precedenti giurisprudenziali esattamente specifici noti a questo giudice, si ritiene di fornire risposta negativa.
Infatti, va certamente dato atto alla difesa di parte attrice che il concetto di circolazione stradale oggetto del rischio assicurativo può includere anche la posizione di arresto del veicolo (cfr. Cass. n. 3257/2016 e Cass. Sez. Un. n. 8620/2015).
Tuttavia, la stessa giurisprudenza di legittimità ha precisato che, nel caso di posizione di arresto del veicolo, l’assicurazione RCA opera solo se il sinistro può essere eziologicamente ricollegabile alla circolazione, mentre non opera laddove il sinistro sia intervenuto per causa autonoma, ivi compreso il caso fortuito, di per sé sufficiente a determinarlo e pertanto idonea ad interrompere il nesso della sua derivazione causale dalla circolazione (cfr. Cass. n. 2092/2012 e Cass. n. 3108/2010).
Pertanto, se per un verso è stato ritenuto coperto dall’assicurazione il danno cagionato da un incendio propagatosi da un autocarro parcheggiato in sosta immediatamente dopo il verificarsi di anomalie al motore; per altro verso è stata esclusa l’operatività della RCA in un caso, assimilabile a quello qui in esame, nel quale l’incendio di un’auto in sosta è stato cagionato dalla fuoriuscita di gas mentre il proprietario dell’auto in sosta maldestramente tentava di rifornire l’auto durante la sosta presso l’abitazione di un privato (Cass. n. 5398/2013).
Ciò premesso in diritto, si osserva in fatto che nella fattispecie per cui è processo, per un verso il sinistro si è verificato non già in una fase di stasi propedeutica alla ripresa della circolazione, e cioè in quella situazione di circolazione statica che secondo la giurisprudenza legittima l’operatività della RCA; ma piuttosto in una fase di sosta, in area preclusa al traffico, non funzionale ad una ripartenza e connaturata invece allo svolgimento di attività commerciale di vendita che nulla ha a che vedere con la circolazione oggetto del rischio assicurativo. E d’altronde, il fatto che M. abbia ritenuto opportuno stipulare, oltre alla polizza RCA, all’evidenza necessaria per la circolazione del veicolo, anche una polizza RCT per la copertura assicurativa nel caso di eventi occorsi durante lo svolgimento dell’attività commerciale, lumeggia che lo stesso attore ha ritenuto detta attività non coperta dalla polizza RCA ed ha ritenuto quindi che le due polizze coprissero rischi diversi.
In ogni caso e comunque, e l’argomento è davvero dirimente, come più sopra illustrato il sinistro è stato cagionato, secondo la sentenza penale sul punto passata in giudicato ed il cui accertamento fa qui stato ex art. 654 c.p.p., dalla radicale manomissione dell’impianto di GPL ad opera dell’assicurato, ciò che in tutta evidenza integra un’ipotesi di caso fortuito, addebitabile peraltro all’assicurato, che interrompe il nesso causale con la circolazione stradale e che dunque esclude l’operatività della polizza RCA alla stregua dell’insegnamento giurisprudenziale di legittimità sopra richiamato.
b) La soluzione qui preferita in ordine all’inoperatività della polizza RCA in relazione alla fattispecie per cui è processo, risulta poi coerente anche con la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.
La Corte ha infatti a più riprese ribadito che, al fine di garantire l’uniforme applicazione in tutto il territorio dell’Unione delle norme poste dalla direttiva UE 2009/103 a tutela delle persone coinvolte nei sinistri stradali e della libera concorrenza all’interno del mercato dei servizi assicurativi, la nozione di ‘circolazione dei veicoli’, contenuta nell’art. 3 di tale direttiva, non può essere rimessa alla discrezionalità di ciascuno Stato membro, bensì costituisce una nozione autonoma del diritto dell’Unione, che deve essere interpretata, conformemente alla giurisprudenza costante della Corte, tenendo conto in particolare del contesto di detta disposizione e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenza del 4 settembre 2014, Vnuk, C-162/13, punti 41 e 42; sentenza del 28 novembre 2017, C-514/16, Rodrigues De Andrade, punti 28 e 29; sentenza del 20 dicembre 2017, Núñez Torreiro, C-334/16, punto 24; sentenza del 20 giugno 2019, Línea Directa Aseguradora SA, C-100/18, punto 32).
Ciò premesso, la decisione C-514/16 (in particolare punti 34, 38 e 40) pare decisiva ai fini dell’esclusione dell’operatività dell’assicurazione RCA nel caso per cui è processo, in quanto, facendo riferimento ad un mezzo (trattore) destinato, oltre che all’uso come mezzo di trasporto, ad essere utilizzato ad altri fini (nel caso, come macchina da lavoro), chiarisce che “rientra nella nozione di ‘circolazione dei veicoli’, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, qualunque uso di un veicolo in quanto mezzo di trasporto”, ma che “è importante determinare se, nel momento in cui si è verificato l’incidente in cui tale veicolo è stato coinvolto, detto veicolo fosse usato principalmente come mezzo di trasporto, nel qual caso tale uso può rientrare nella nozione di ‘circolazione dei veicoli’, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della prima direttiva, o in quanto macchina da lavoro, nel qual caso l’uso in questione non può rientrare nella suddetta nozione”.
Atteso che il sinistro per cui qui si discute si è verificato allorquando il mezzo era utilizzato come ‘macchina da lavoro’ e non già come ‘mezzo di trasporto’, viene quindi confermata l’inoperatività della polizza RCA.
c) In ragione di quanto sopra, la domanda attorea va rigettata, rimanendo assorbite le ulteriori difese della convenuta in ordine all’aggravamento del rischio ex articolo 1898 c.c. ed alla omologazione del veicolo.
Nonostante la soccombenza attorea, la novità della questione trattata, in relazione alla quale si è detto non sono stati rinvenuti precedenti esattamente specifici, giustifica la totale compensazione delle spese ex articolo 92 comma 2 c.p.c.
P.Q.M.
il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica
definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti, ogni diversa istanza disattesa
– rigetta la domanda;
– compensa integralmente tra le parti le spese di lite.

Il padre non può impedire alla ex compagna infedele di esercitare le sue facoltà nei riguardi dei figli

Cass. Pen., Sez. VI, Sent., 04 giugno 2021, n. 22086
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. MOGINI Stefano -Presidente -Dott. DI STEFANO Pierluigi -Consigliere -Dott. RICCIARELLI Massimo -Consigliere -Dott. GIORGI Maria Silvia -Consigliere -Dott. SILVESTRI Pietro -rel. Consigliere -ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Napoli;avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 07/11/2019 nel procedimento nei riguardi di I.L., nato a (OMISSIS);udita la relazione svolta dal Consigliere, Silvestri Pietro;lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Svolgimento del processo1. La Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza di condanna, ha assolto I.L. dal reato di cui all’art. 574 c.p. All’imputato è contestato di avere sottratto alla madre, che ne condivideva la potestà genitoriale, le figlie minori, rendendosi irrintracciabile e comunque impedendo alla donna di vedere le bambine.2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Napoli, deducendo tre motivi.
2.1. Con il primo si lamenta vizio di motivazione nella parte in cui la Corte ha ritenuto non provata la sussistenza della condotta contestata -e cioè che l’imputato avesse impedito alla donna l’esercizio delle sue facoltà -in ragione del fatto che le figlie nel corso degli anni avevano manifestato uno scarso interesse nei confronti della madre; si tratterebbe di un travisamento delle testimonianze rese dalla stessa madre e dell’assistente sociale M. e, soprattutto, quanto all’atteggiamento delle minori, non sarebbe stato considerato che il disinteresse di queste sarebbe stato conseguente proprio all’atteggiamento ostruzionistico dell’imputato, che non avrebbe mai rispettato gli ordini imposti dall’Autorità giudiziaria, nè favorito gli incontri madre-figlia.L’imputato avrebbe tenuto un comportamento dolosamente finalizzato ad impedire l’incontro della madre con le bambine.2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 192 c.p.p.; la Corte avrebbe errato nel ritenere non attendibili -e comunque non riscontrate-le dichiarazioni della persona offesa nella parte in cui questa, cittadina extracomunitaria e mal inserita in un paese straniero, aveva fatto riferimento ad una condizione di superiorità fisica e morale dell’imputato nei suoi riguardi. Non sarebbe stato spiegato perchè la ricostruzione dell’imputato sarebbe maggiormente attendibile di quella della persona offesa.2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge quanto all’art. 574 c.p.; il reato sarebbe stato escluso perchè si è ritenuto di ricondurre i fatti ad una mera conflittualità tra coniugi.3. E’ stata depositata una memoria nell’interesse dell’imputato con la quale si insiste nel chiedere il rigetto del ricorso. Motivi della decisione1. Il ricorso è fondato.2. Nell’ambito di un’articolata e puntuale motivazione il Tribunale aveva spiegato come:-l’imputato e la sua famiglia, dopo aver scoperto una relazione della odierna parte offesa con il fratello del ricorrente, reagirono impedendo alla donna di avere qualunque contatto con le figlie, negandole qualsiasi sostentamento, al punto da costringerla ad allontanarsi per cercare un alloggio ed a fermarsi per alcuni mesi in diversi luoghi;-nel corso di tutto questo periodo la donna non riuscì ad avere contatti con le minori, anche quando cercò di incontrarle a scuola;-la persona offesa era stata prima destinataria di un provvedimento di sospensione della potestà genitoriale e, successivamente, di un ulteriore provvedimento con cui furono prescritti incontri protetti con le figlie che tuttavia l’imputato sostanzialmente boicottò;-a distanza di quattro anni, anche a seguito di un contenzioso giudiziario, la donna non avesse ancora avuto la possibilità di vedere le figlie e che quando ciò accadde la figlia maggiore “non voleva rivederla”.Le dichiarazioni della donna, aveva argomentato il Tribunale, trovavano conferma in quelle dell’assistente sociale M. in ordine ai mancati incontri, tenuto conto che il Tribunale di Nola il 25.2.2016 aveva invitato le parti, e in particolar modo l’imputato, ad avere un atteggiamento collaborativo e che ancora il 12.7.2017 non era stato ancora consentito alla donna di incontrare le figlie.In tale contesto il Tribunale aveva formulato un giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, confermate “aliunde”.3. Le Sezioni unite della Corte hanno evidenziato come l’obbligo della motivazione rinforzata si impone per il giudice di appello tutte le volte in cui ritenga di ribaltare la decisione del giudice di primo grado, sia assolutoria che di condanna. Tale principio è ormai consolidato ed è parte integrante dell’ordinamento giuridico vivente; tale obbligo non opera invece nel caso di conferma della sentenza di primo grado,perchè, in questa ipotesi, la motivazione della decisione di appello si salda con quella precedente fino a formare un unico complesso argomentativo.
Quanto all’obbligo di motivazione rafforzata -dunque, a prescindere dalla previsionedell’art. 603 c.p.p.,comma 3 bis, quando il giudice deve dare una spiegazione razionalmente diversa rispetto alla ratio decidendi di una sentenza di primo grado ed arrivare a spiegare altrettanto razionalmente perchè ritiene di ribaltarla, deve indicare le ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado.L’obbligo di motivazione rafforzata è inoltre compatibile con la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, atteso chel’art. 533 c.p.p.è ormai diventato la regola fondamentale di giudizio. (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272480).Il tema su cui riflettere è allora cosa debba intendersi per motivazione rinforzata. Si nota correttamente in dottrina che una motivazione rafforzata è quella che abbia una “forza persuasiva superiore”, in grado cioè di conferire alla “nuova” decisene la maggior solidità possibile. La motivazione rinforzata presuppone ed impone, innanzitutto, una cautela decisionale, cioè un’attenzione valutativa e una prudenza deliberativa per così dire maggiorate nella disamina di quel dato istituto di diritto sostanziale o processuale, ovvero per quel determinato aspetto fattuale della vicenda giuridica. Fare riferimento ad una “motivazione rafforzata” significa attendersi un apparato giustificativo nel quale siano esposte quelle tappe non eludibili del percorso che il giudice è tenuto a compiere nell’attività di giudizio: tappe che -di nuovo -possono essere tanto di diritto sostanziale quanto di diritto processuale, segnate direttamente dalla legge oppure ricavabili da indicazioni giurisprudenziali espresse e consolidate. Insomma, si osserva acutamente in dottrina, una motivazione sempre più vincolata nelle sue cadenze.4. La Corte di appello di Napoli non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati. A fronte della ricostruzione fattuale e della compiuta valutazione delle prove da parte del Tribunale, la Corte ha ritenuto di dover pervenire ad un giudizio assolutorio attraverso una valorizzazione del profilo della conflittualità tra i coniugi, originato anche dalla relazione sentimentale intrattenuta tra la donna ed il fratello dell’imputato. Muovendo da tale dato di presupposizione la Corte ha ritenuto non provata la condotta del reato e, in particolare, il fatto che l’imputato avesse impedito alla donna di esercitare le sue facoltà nei riguardi dei figli; secondo la Corte i continui cambiamenti di domicilio della donna avevano reso “difficili” i contatti che l’imputato avrebbe dovuto garantire ed il comportamento ostruzionistico del ricorrente sarebbe riconducibile proprio al clima di forte conflittualità. Dunque, si argomenta, non vi sarebbe la prova che l’imputato abbia voluto sottrarre le minori alla potestà genitoriale della donna.5. Si tratta di una motivazione instabile e viziata. Non è affatto chiaro nel ragionamento della Corte, che avrebbe adottare una motivazione rafforzata: a) perchè l’infedeltà della donna avrebbe dovuto legittimare l’imputato ad eliminare ogni rapporto di questa con i figli, anche per il periodo in cui non viera nessun provvedimento che a fare ciò lo legittimasse; b) quale sarebbe stato il “reciproco” clima conflittuale e perchè la conflittualità avrebbe dovuto impedire alla donna di avere contatti con i propri figli; c) perchè sarebbero inattendibili le dichiarazioni della donna; d) perchè non avrebbero capacità dimostrativa degli assunti accusatori le dichiarazioni degli altri testimoni ed i documenti che avevano messo in evidenza il comportamento ostruzionistico dell’imputato. Una motivazione tutt’altro che rafforzata, in realtà sbrigativa, con cui si è demolita la motivazione della sentenza di primo grado, con un ragionamento probatorio sincopato, avulso dalle risultanze processuali. Ne consegue che la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2021.

Figli minori: caduta avvenuta in uno scivolo d’acqua e disattenzione del padre

Cass. Civ., Sez. VI – 3, Ord., 18 maggio 2021, n. 13503

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. AMENDOLA Adelaide -Presidente -Dott. CIRILLO Francesco Maria -rel. Consigliere -Dott. POSITANO Gabriele -Consigliere -Dott. TATANGELO Augusto -Consigliere -Dott. CRICENTI Giuseppe -Consigliere -ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14886-2019 proposto da:F.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAVOUR 305, presso lo studio legale dell’avvocato VIETTI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI A. FLORIO;-ricorrente -controP.L.;-intimato -avverso la sentenza n. 1914/2018 della CORTE D’APPELLO DI TORINO, depositata il 07/11/2018;udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non partecipata del 02/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO FRANCESCO MARIA.
Svolgimento del processo1. F.A., in qualità di esercente la potestà sulla figlia minore F.E., convenne in giudizio P.L., davanti al Tribunale di Asti, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni patiti dalla figlia minore a seguito di una caduta avvenuta in uno scivolo d’acqua all’interno del complesso sportivo gestito dal convenuto, cui aveva fatto seguito la rottura degli incisivi superiori. A sostegno della domanda espose, tra l’altro, che il convenuto era stato condannato per il delitto di cui all’art. 590 c.p.,in relazione all’episodio per cui è causa, con sentenza definitiva cui si era accompagnata la condanna al pagamento di una provvisionale di Euro 8.000.Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda;a suo dire, infatti, il sinistro era da ricondurre alla condotta impropria della bambina, la quale era caduta mentre stava risalendo in senso contrario lo scivolo sito nella piscina, ed alla disattenzione del padre.
Il Tribunale accolse in parte la domanda e, riconosciuta la responsabilità del convenuto e del padre della bambina in pari misura, condannò il convenuto al pagamento della somma di Euro 8.000, peraltro già riconosciuta in sede di giudizio penale a titolo di provvisionale, con compensazione delle spese di lite.2. La pronuncia è stata appellata in via principale da F.E., nel frattempo divenuta maggiorenne, e in via incidentale da P.L. e la Corte d’appello di Torino, con sentenza del 7 novembre 2018, in parziale accoglimento di entrambi gli appelli, ha accertato che il danno patito dalla F. era da liquidare nella misura di Euro 4.269,30, somma superata da quella già corrisposta dal P. a titolo di provvisionale, ha rigettato ogni ulteriore domanda risarcitoria ed ha compensato integralmente tra le parti le spese del giudizio di appello.Ribadita la pari responsabilità delle parti nell’incidente in questione, la Corte territoriale ha rilevato che la F. non aveva fornito alcuna prova dell’effettiva esistenza di un danno patrimoniale, posto che le speseindicate dalla c.t. di parte non erano supportate da alcuna documentazione, per cui quel danno non doveva essere risarcito. Era invece da accogliere la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, posto che la vittima aveva dimostrato che in conseguenza del sinistro aveva patito l’avulsione di uno degli incisivi superiori e la parziale frattura coronale dell’altro incisivo; danno questo, tale da comportare un’invalidità permanente nella misura del 3 per cento.3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Torino ricorre F.E. con atto affidato a due motivi.P.L. non ha svolto attività difensiva in questa sede.Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di Consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie. Motivi della decisione1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in riferimento agliartt. 115 e 132 c.p.c.,edall’art. 118 disp. att. c.p.c.Sostiene la ricorrente che la sentenza sarebbe errata sia nella parte in cui ha ridotto la percentuale di invalidità permanente dal 4 per cento riconosciuta dal c.t. di parte al 3 per cento, sia in quella in cui ha del tutto rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale. A tal proposito, la censura rileva che il danno ai denti richiederà la sostituzione periodica delle protesi, le cui ricevute non potevano essere prodotte in anticipo, e che i documenti contabili attestanti le spese erano nelladisponibilità della madre della ricorrente, deceduta, per cui la parte era stata nell’impossibilità di produrli.1.1. Il motivo, quando non inammissibile, non è comunque fondato. Osserva il Collegio che la censura relativa alla riduzione della percentualedi invalidità permanente ai fini del danno non patrimoniale si risolve in una sollecitazione indebita al riesame del merito. Il ricorso sostiene, infatti, che la Corte d’appello avrebbe dovuto seguire le indicazioni del c.t. di parte, senza considerare che la sentenza impugnata ha affrontato la questione e, dopo aver evidenziato la lacunosità della documentazione prodotta, ha ritenuto superflua la richiesta di una c.t.u. ed ha ridotto la percentuale di invalidità dal 4 al 3 per cento in considerazione del fatto che tale invalidità tende, col trascorrere del tempo, ad assestarsi in riduzione. Ragionamento che è convincente tanto più in quanto si fa riferimento ad un danno limitato a due denti, dei quali uno danneggiato in parte.Quanto, poi, al rigetto delladomanda volta al risarcimento del danno patrimoniale, nessuna violazione delle norme invocate è ravvisabile nella sentenza, la quale si è limitata a constatare, con un accertamento di merito non sindacabile in questa sede, che la F. aveva prodotto una documentazione frammentaria, lacunosa e tale da non fornire alcun riscontro degli esborsi sopportati; particolare che, sia pure indirettamente, lo stesso ricorso conferma là dove osserva che i documenti contabili relativi ai trattamenti odontoiatrici subiti erano in possesso della madre della ricorrente, separata dal marito e poi deceduta.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in riferimentoall’art. 1341 c.c.edall’art. 115 c.p.c.
Sostiene la ricorrente che suo padre era entrato nel centro sportivo accompagnando contemporaneamente tre figli, per cui era nell’impossibilità di seguire i movimenti di tutti. Sarebbe errata, perciò, la decisione anche nella parte in cui ha riconosciuto a suo carico l’esistenza di una concorrente responsabilità; ogni eventuale clausola limitativa di tale responsabilità, ove anche prevista, avrebbe dovuto essere approvata per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c.citato.2.1. Il motivo non è fondato.Osserva la Corte che la sentenza impugnata ha accertato che il padre della F. non era presente al momento del fatto, che la piscina dov’è avvenuta la caduta non era del tutto priva di custodia ed ha osservato che, ove tale custodia fosse mancata del tutto, la responsabilità del genitore avrebbe dovuto essere valutata con maggior rigore. Tali argomenti sono condivisibili, perchè il fatto di accompagnare contemporaneamente tre figli minori, tutti bisognosi di controllo, in una struttura solo parzialmente custodita e potenzialmente fonte di pericolo non può essere un elemento che sgrava il genitore di ogni responsabilità; anzi, al contrario, conferma la sussistenza di una sua colpevolezza.Evidentemente infondata, se non addirittura inammissibile per probabile novità, è la censura avente ad oggetto l’art. 1341 c.c.; nel caso di specie, infatti, non si tratta di una clausola di esonero della responsabilità che il gestore della struttura acquatica avrebbe predisposto a suo favore, ma, al contrario, di un accertamento ben motivato in ordine alla sussistenza di un concorso di colpa, in pari misura, del gestore e del padre dell’odierna ricorrente.3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato. Sussistono, tuttavia, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Diffamazione mediante la diffusione di notizie lesive dell’altrui reputazione attraverso la bacheca di Facebook

Cass. Pen., Sez. V, Sent., 17 maggio 2021, n. 19359
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. CATENA Rossella -Presidente -Dott. SETTEMBRE Antonio -rel. Consigliere -Dott. DE MARZO Giuseppe -Consigliere -Dott. ROMANO Michele -Consigliere -Dott. TUDINO Alessandrina -Consigliere -ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:B.E., nato il (OMISSIS);avverso la sentenza del 09/01/2020 della CORTE APPELLO di MILANO;visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE;lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. LOCATELLI Giuseppe, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo1. La Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato B.E. per diffamazione in danno di R.M.. L’imputato, transessuale esercente la prostituzione, aveva, comunicando con più persone attraverso Facebook, sostenuto la presunta omosessualità del R., nonchè di aver intrattenuto con un lui un rapporto sessuale; inoltre, lo aveva apostrofato come “frocio” e “schifoso”.2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato con tre motivi.2.1. Col primo lamenta la violazione degliartt. 8 c.p.p.e segg. per il fatto che il giudizio si è celebrato a Milano, ritenuto luogo di domicilio dell’imputato, sebbene quest’ultimo non abbia mai dichiarato di essere domiciliato nel capoluogo lombardo. Secondo il ricorrente, siccome il reato è stato commesso
con l’ausilio di Internet, riconducibile ad un provider italiano, la competenza sarebbe stata dell’Autorità giudiziaria di Roma.2.2. Col secondo contesta il carattere diffamatorio delle espressioni indirizzate a R., che avrebbero perso, per “l’evoluzione” della coscienza sociale, il carattere dispregiativo ad esse attribuito dal giudicante. Con lo stesso motivo contesta che la comunicazione a mezzo Internet integri l’aggravante di cuiall’art. 595 c.p., comma 3, atteso che la messaggistica di Facebook sarebbe riconducibile alla sfera privata.2.3. Col terzo motivo si duole della mancata assunzione di una prova decisiva, rappresentata dall’audizione del conduttore della trasmissione “(OMISSIS)”, sebbene fosse stata acquisita a dibattimento la registrazione radiofonica del 30 giugno 2016 effettuata dall’emittente suddetta.2.4. Col quarto motivo si duole del fatto che la Corte di merito abbia considerato diffamatoria l’ulteriore espressione a lui attribuita: “se un uomo sta con un altro uomo a letto cosa è? In gergo è un frocio. Mi Sbaglio?”. Motivi della decisioneIl ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.1. In base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte -ostentatamente ignorata dal ricorrente -la competenza per territorio per il reato di diffamazione, commesso mediante la diffusione di notizie lesive dell’altrui reputazione allocate in un sito della rete “Internet”, va determinata in forza del criterio del luogo di domicilio dell’imputato, in applicazione della regola suppletiva stabilitadall’art. 9 c.p.p.,comma 2, (cass., n. 16307 del 15/3/2011). Immune da censure, pertanto, è la decisione del giudicante, che ha tenuto conto, per valutare la competenza, del domicilio dell’imputato, che vive stabilmente a Milano e ivi esercita la propria attività.2. Destituita di ogni fondamento è l’affermazione, contenuta in ricorso, che le espressioni imputate a B.E. abbiano perso il carattere dispregiativo ad esse attribuito dal giudicante, per una presunta “evoluzione” della coscienza sociale (motivi 2 e 4). Le suddette espressioni costituiscono invece, oltre che chiara lesione dell’identità personale, veicolo di avvilimento dell’altrui personalità e tali sono percepite dalla stragrande maggioranza della popolazione italiana, come dimostrato dalle liti furibonde innescate -in ogni dove -dall’attribuzione delle qualità sottese alle espressioni di cui si discute e dal fatto che, nella prassi, molti ricorrono -per recare offesa alla persona -proprio ai termini utilizzati dall’imputato.3. La diffusione di un messaggiodiffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 c.p., comma 3, sotto il profilo dell’offesa arrecata “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” diverso dalla stampa, poichè la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone, anche se non puòdirsi posta in essere “col mezzo della stampa”, non essendo i social network destinati ad un’attività di informazione professionale diretta al pubblico (cass., n. 4873 del 14/11/2016). Correttamente, pertanto, è stata ritenuta integrata, nella specie, l’ipotesi aggravata di cui all’art. 595 c.p., comma 3, trattandosi di comunicazione avvenuta con un social di ampia diffusione.4. L’acquisizione della registrazione della trasmissione radiofonica di “(OMISSIS)” non aveva bisogno del consenso della difesa dell’imputato. Si tratta di prova ai sensidell’art. 234 c.p.p.che può essere acquisita senza consenso e può essere liberamente apprezzata dal giudicante, come è in effetti avvenuto. Peraltro, il ricorrente non deduce nemmeno di essersi opposto, a suo tempo, all’acquisizione della prova suddetta e non deduce nemmeno la difformità della registrazione acquisita rispetto alla trasmissione originaria, sicchè non è dato apprezzare la rilevanza della questione. Quanto alla rinnovazione dell’istruttoria, finalizzata a esaminare il conduttore della trasmissione televisiva, trattasi, anche in questo caso, di deduzione manifestamente infondata, dal momento che l’imputato non ha mai contestato il proferimento delle frasi a lui attribuite, essendosi sempre limitato, nel merito, a dedurre la liceità del suo operato. Logicamente e correttamente, pertanto, i giudici hanno ritenuto irrilevante l’allargamento della piattaforma probatoria.
5. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro tremila, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stresso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 a favore della Cassa delle ammende.

Coniuge divorziato, coniuge superstite e accertamento della ripartizione della pensione di reversibilità

Cass. Civ., Sez. I, Ord., 7 giugno 2021, n. 15817
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GENOVESE Francesco A. -Presidente Dott. TRICOMI Laura -Consigliere Dott. LAMORGESE Antonio P. -Consigliere Dott. PAZZI Alberto -Consigliere Dott. CARADONNA Lunella -rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 16913/2017 proposto da: (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in (OMISSIS), come da procura speciale in calce al ricorso per cassazione; -ricorrente -contro(OMISSIS), rappresentata e difesa dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in (OMISSIS), in virtu’ di procura speciale in calce al controricorso; -controricorrente -e nei confronti di: Fondo Nazionale Previdenza Lavoratori dei Giornali e Quotidiani “Fiorenzo Casella”, nella persona del legale rappresentante pro tempore; -intimato -avverso la sentenza della Corte di appello di ROMA, n. 2716/2017, pubblicata il 26 aprile 2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 aprile 2021 dal consigliere Lunella Caradonna.
RILEVATO IN FATTO CHE: 1. Con sentenza del 26 aprile 2017, la Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da (OMISSIS), coniuge divorziato del defunto (OMISSIS), avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 9666 del 5 maggio 2015, per ottenere il riconoscimento, ai sensi della L. n. 898 del 1970, articolo 9, di una quota della pensione integrativa di reversibilità erogata dal Fondo Nazionale di Previdenza Lavoratori dei Giornali e Quotidiani “Fiorenzo Casella” a favore di (OMISSIS), vedova del deceduto. 2. La Corte di appello di Roma, a sostegno della decisione impugnata, ha ritenuto, concordemente al giudice di primo grado, preclusiva all’accoglimento della domanda proposta, la pronuncia dello stesso Tribunale(la n. 1711 del 2008), che aveva riconosciuto in favore della ricorrente il 70% della pensione di reversibilità erogata dall’INPS a seguito del decesso dell’ex coniuge,riservando il residuo 30% alla (OMISSIS), coniuge superstite del de cuius, dato chein quella sede era emerso che la vedova già percepiva la pensione integrativa in esame e che in quel giudizio dovesse essere trattata anche la questione relativa al trattamento previdenziale erogato dal fondo. 3. (OMISSIS) ricorre per la cassazione della sentenza impugnata con atto affidato ad un unico motivo. 4. (OMISSIS) ha depositato controricorso. 5. Il Fondo Nazionale Previdenza Lavoratori dei Giornali e Quotidiani “Fiorenzo Casella”, non ha svolto attività difensiva.
6. La resistente ha depositato memoria. 7. La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTOCHE: 1. Con il primo ed unico motivo la ricorrente deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c., e del principio del “dedotto e deducibile”, in relazione al giudicato sulla pretesa di ottenere una quota della pensione di reversibilità erogata dal “Fondo Casella”, asserendo che la domanda in contestazione non era stata mai proposta nel precedente giudizio e che l’unico elemento costitutivo comune alle due azioni proposte era la causa petendi, consistente nella condizione di coniuge divorziato rivestita dalla (OMISSIS), mentre erano diversi sia i soggetti coinvolti (INPS e il Fondo Casella) e il petitum sostanziale riguardante il diritto a partecipare ad una quota di due diversi trattamenti pensionistici di reversibilità; rilevava, inoltre, l’autonomia della posizione giuridica vantata ed il collegamento diretto con il soggetto che in concreto era tenuto alla erogazione e la circostanza che l’incidenza del cumulo delle due diverse pensioni di reversibilità’ era una questione che non era intaccata dalla precedente sentenza e che avrebbe dovuto essere liberamente valutata dalla Corte di merito; inoltre, l’avere azionato la sola pretesa nei confronti dell’INPS, nonostante si fosse richiesto il diverso trattamento erogato dal Fondo, non implicava, alcuna rinuncia a fare valere il proprio diritto. 1.1 Il motivo è fondato. 1.2 Al riguardo, occorre muovere dalla premessa che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, “l’autorità del giudicato copre non solo il dedotto ma anche il deducibile in relazione al medesimo oggetto, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatte valere in giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre -proponibili sia in via di azione che di eccezione -le quali, sebbene non dedotte specificamente, si caratterizzano per la loro comune inerenza ai fatti costitutivi delle pretese anteriormente svolte (giudicato implicito)” (Cass., Sez. Lav., 13 maggio 2000, n. 6160; Cass. Sez. Lav., sent. 30 giugno 2009, n. 15343). Ne consegue che, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto circa una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituenti indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il petitum del primo (Cass., 26 febbraio 2019, n. 5486). Deve, infatti, ribadirsi, che l’autorità del giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti rappresentati dagli elementi costitutivi dell’azione, e presuppone quindi che la causa precedente e quella in atto abbiano in comune, oltre ai soggetti, anche il petitum e la causa petendi, restando irrilevante, a tal fine, l’eventuale identità delle questioni giuridiche o di fatto da esaminare per pervenire alla decisione (Cass., 24 marzo 2014, n. 6830). 1.3 Orbene, la Corte territoriale non ha fatto una corretta applicazione dei principi sopra richiamati in tema di giudicato. Va, infatti condiviso, l’assunto della ricorrente che la domanda in contestazione non era stata mai
proposta nel precedente giudizio e che l’unico elemento costitutivo comune alle due azioni proposte era la causa petendi, consistente nella condizione di coniuge divorziato rivestita dalla (OMISSIS), mentre erano diversi sia i soggetti coinvolti (INPS e il Fondo Casella), sia il petitum sostanziale riguardante il diritto a partecipare ad una quota dei due diversi trattamenti pensionistici di reversibilità. 1.3.1 Con riguardo ai soggetti coinvolti rileva la constatazione che nel precedente giudizio l’Ente erogatore fosse l’INPS, mentre nel caso in esame sia il Fondo Casella, in ragione del principio correttamente affermato che il giudicato richiede l’identità dei soggetti coinvolti e che lo stesso spiega efficacia nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo soltanto quando sussiste un nesso di pregiudizialità e di dipendenza fra le situazioni giuridiche dedotte (Cass., 23 aprile 2020, n. 8101; Cass., 4 luglio 2019, n. 17931), che nel caso in esame non sussiste, stante l’autonomia dei due trattamenti pensionistici in esame. Va nella stessa direzione l’orientamento di questa Corte secondo cui “la controversia tra l’ex coniuge e il coniuge superstite per l’accertamento della ripartizione -ai sensi della L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 3, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, articolo 13, -del trattamento di reversibilità deve necessariamente svolgersi in contraddittorio con l’ente erogatore atteso che, essendo il coniuge divorziato, al pari di quello superstite, titolare di un autonomo diritto di natura previdenziale, l’accertamento concerne i presupposti affinchè l’ente assuma un’obbligazione autonoma, anche se nell’ambito di una erogazione già dovuta, nei confronti di un ulteriore soggetto” (Cass., 22 maggio 2020, n. 9493). Nello specifico, l’esigenza è quella che essendo il coniuge divorziato titolare, al pari di quello superstite, di un proprio autonomo diritto di natura previdenziale, anche la controversia instaurata al limitato fine di ottenere l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tale diritto deve svolgersi in contraddittorio con l’ente erogatore, giacche’ pure se si controverte solo in ordine alla spettanza pro quota di un trattamento di reversibilità(già riconosciuto e del quale non viene in discussione l’ammontare complessivo), la lite non può mai configurarsi solo come una questione tra ex coniuge e coniuge superstite, non essendo indifferente per l’ente erogatore che si accerti la sussistenza dei presupposti di un diritto previdenziale azionatale nei suoi confronti, e, quindi, la sussistenza dei presupposti perché esso ente assuma, nei confronti di un ulteriore soggetto, un’obbligazione previdenziale autonoma, ancorchè nell’ambito di una erogazione già dovuta (ma ad un unico soggetto), non fosse altro perché le vicende e caratteristiche soggettive dei diversi titolari di autonomi diritti previdenziali, sia pure riferiti ad un unico trattamento di reversibilità, potrebbero diversamente incidere sull’estinzione delle relative obbligazioni (Cass., 18 luglio 2005, n. 15111). 1.3.2 Con riguardo al petitum,va osservato che la domanda di determinazione della quota della pensione di reversibilità proposta nei confronti della (OMISSIS), quale ex coniuge divorziato dal defunto (OMISSIS), ha ad oggetto due diverse prestazioni pensionistiche, l’una di vecchiaia, l’altra integrativa, fondate, all’evidenza, su posizioni contributive distinte. La prima, pensione di vecchiaia, da ricollegare ai trattamenti aventi natura obbligatoria; la seconda, pensione integrativa, riferibile ai contributi versati dal lavoratore defunto al Fondo nazionale di previdenza per i lavoratori dei giornali quotidiani Fiorenzo Casella, caratterizzati dalla mancanza di un nesso di corrispettività diretta tra contribuzione e prestazione lavorativa. Più specificamente, la pensione integrativa è una forma di pensione, che pure avente natura di retribuzione differita, èc ontraddistinta dalla mancanza di un nesso di corrispettività diretta tra la contribuzione e la prestazione lavorativa, ciò che riscontra la sostanziale autonomia tra il rapporto di lavoro e questa tipologia di previdenza complementare (Cass., 9 marzo 2015, n. 4684; Cass., 29 maggio 2013, n. 13399; Cass., Sez. U., 1 febbraio 1997, n. 974).
1.4 La Corte di appello ha, quindi, errato nell’affermare che la (OMISSIS) avrebbe dovuto dedurre la propria pretesa sul trattamento pensionistico riguardante il “Fondo Casella” nello stesso giudizio in cui aveva proposto la controversia relativa alla posizione pensionistica dell’ex coniuge e che, nel primo giudizio, avrebbe dovuto citare il Fondo Casella, perché oggetto della richiesta era l’intera posizione pensionistica a lei pienamente nota. 1.5 Nessun rilievo assume, peraltro, che (OMISSIS) avesse indicato, nel giudizio definito con la sentenza irrevocabile n. 1711 del 2008, il trattamento erogato dal Fondo Casella in via esclusiva alla (OMISSIS) tra le disponibilità economiche sui cui la predetta poteva contare (come emergeva da pag. 9 dell’atto di citazione del 12 gennaio 2005), trattandosi di argomentazione difensiva diretta a portare a conoscenza del Tribunale le complessive condizioni economiche della controparte, affinchè ne potesse tenere conto ai fini della determinazione delle rispettive quote. In ogni caso, proprio lo status di coniuge divorziato non rende sicura la conoscenza in capo allo stesso è dell’esistenza dei diversi trattamenti pensionistici facenti capo al coniuge defunto e ciò in ragione della centralità che assume l’ultimo domicilio, ossia del luogo incui il “de cuius” ha, al momento della morte, la generalità dei suoi interessi sia materiali, che economici, oltre che morali, sociali e familiari (Cass., 2 agosto 2013, n. 18560). 1.6 Rileva, piuttosto, come già detto, la diversità delle prestazioni previdenziali in questione -che derivano da posizioni contributive distinte ed ognuna con uno specifico provvedimento amministrativo di ammissione alla fruizione della prestazione previdenziale, che non implica necessariamente un unico accertamento della quota spettante all’avente diritto, che, piuttosto, deve essere determinata avuto riguardo a tutti i trattamenti pensionistici erogati al coniuge defunto. Non può, dunque, ritenersi preclusa, per effetto del giudicato, la domanda di riconoscimento formulata da (OMISSIS) di una quota della pensione di reversibilità erogata dal Fondo Nazionale Previdenza Lavoratori dei Giornali e Quotidiani, a titolo di trattamento pensionistico integrativo in favore del defunto (OMISSIS); né riverbera effetti nel presente giudizio la determinazione del trattamento pensionistico a Lei spettante, disposta con la sentenza n. 1711/2008, passata in autorità di cosa giudicata. 2. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere accolto; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

Comunione dei beni: un regime ancora attuale? La diversa consistenza economica impiegata da parte di ciascun coniuge per la famiglia.

di Michela Labriola
Il regime legale della comunione dei beni subisce, non da ora, una scarsa attuazione nei matrimoni italiani. Lo spirito iniziale con cui era stato concepito,con la riforma del1975,che mirava alla equiparazione tra i coniugi in ragione dei diversi contributi economici e di attività domestica forniti, negli anni si è andato perdendo atteso un maggiore ingresso delle donne nel mondo del lavoro. Senza dubbio, le consistenze patrimoniali c.d. personalissime utilizzate per la famiglia,da parte di ciascun coniuge in regime di comunione dei beni,e la rilevanza dei diversi contributi apportati,assumono un particolare rilievo nel momento della crisi matrimoniale e,quindi,dello scioglimento della comunione stessa.Tra le cause di scioglimento della comunione legale, a norma dell’art. 191 cod.civ.,c’è la cessazione degli effetti civili del matrimonio, che comporta, com’è noto,un affievolimento del principio solidaristico tra i coniugi evento che induce il coniuge più ricco a rivendicare il recupero, venuto meno l’affetto, della maggiore consistenza patrimoniale personale impiegata. Di conseguenza, l’esigenza del coniuge che ha maggiormente contribuito alla formazione del patrimonio familiare è quella di vedersi riconosciuta una quota più consistente in sede divisionale,dall’altro lato, il coniuge che ha diritto all’assegno di mantenimento o divorzile potrà contare sui parametri di cui all’art. 5,co. 6,L.898/1970ai fini di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali, in considerazione del contributo fornito alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli exconiugi1, traendo,dalla maggiore consistenza messa a disposizione del coniuge onerato,elementi probatori a proprio vantaggio. È dibattuto il tema se lo scioglimento della comunione legale comporti il passaggio automatico al regime della comunione ordinaria,atteso che la comunione dei beni si atteggia come una comunione senza quote predefinite. La questione non è di poco momento poiché lo scioglimento della comunione di beni, confluiti in regime patrimoniale legale,non equivale ad 1Ex multis Cass. civ.,sez. I, 24febbraio 2021, n.5055, in Mass. Gius. Civ., 2021; Cass. civ., sez. I, 29 gennaio 2019, n. 2480,in Dir. & Gius., 2019, 30; Cass. civ., sez. I, 16maggio 2017, n.12196,in Foro it.,2017, 6, 1859; Trib. Siena, 6novembre 2018, n.1271, inwww.laleggepertutti.it(cons. 27 aprile 2021) eTrib. Bologna sez. I, 17 luglio 2018, in Il familiarista.it,25 settembre 2018.
automatica divisione degli stessi,la divisione è un atto eventuale e successivo;pertanto, si ritiene che, ad eccezione dei nuovi acquisti che saranno esclusi dal regime patrimoniale dopo lo scioglimento, il compendio vada ancora gestito ed amministrato con i criteri della comunione legale sino al momento della effettiva divisione2. La disciplina della divisione dei beni della comunione è prevista dall’art. 194 cod.civ. L’articolo specifica,al 1° comma, che la divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti uguali l’attivo e il passivo;non è una presunzione semplice e non sembra ammessa la prova contraria. Viene,dunque,affermato un principio di egualitaria ripartizione assolutamente in linea con la ratio cui si ispira l’intera disciplina della comunione legale, la quale assicura ai coniugi la possibilità di partecipare nella stessa misura alle vicende patrimoniali del nucleo familiare. È necessario, però, evidenziare come questo orientamento non sia sempre stato pacifico: la dottrina3, infatti, aveva già esaminato la possibilità,per il coniuge che avesse contribuito in maniera notevolmente superiore alla creazione del patrimonio familiare,di richiedere una ripartizione non egualitaria, però ciò è risultato in contrasto sia con il principio generale di cui si è detto, sia con il dovere dei coniugi di contribuire ognuno in relazione alla propria capacità lavorativa, inoltre, tale soluzione minoritaria avrebbe per di più implicato una serie di difficoltà tecniche. Benché lo stesso spirito della comunione dei beni, quale regime legale, sia nel senso di assicurare la tutela per il coniuge che apporti all’interno della famiglia una prestazione di fatto più che di danaro4, come già detto, al momento della dissoluzione del matrimonio tale diversità di contributi personali può rappresentare un eccessivo sacrificio patrimoniale da parte di uno dei due. Per esempio, nel caso di un matrimonio di breve durata5,in regime di comunione dei beni, durante il quale sia stata co-acquistata la casa familiare (assegnata poi al genitore collocatario dei figli minori)con l’utilizzo di somme personali versate da uno solo dei due coniugi,il mancato godimento dell’abitazione da parte di quest’ultimo non solo può costituire un sacrifico patrimoniale ma, in ragione della comproprietà della casa familiare, il diverso impiego di somme personali per l’acquisto non sarà tenuto in considerazione nel momento della quantificazione dell’assegno di mantenimento. È indubbio come lo scioglimento della comunione dei beni sia evento che non incida solamente in ragione della possibile divisione della residualità delle consistenze rimaste dopo la separazione –c.d. comunione de residuo o comunione differita-ma anche sugli eventuali diritti al rimborso o di credito reciprocamente vantati6. 2DE PAOLAe MACRÌ,Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978.3E.RUSSO, Il denaro e l’ambito della surrogazione dei beni personali, in L’oggetto della comunione legale e i beni personali, Artt. 177-199. Il Codice Civile Commentario(a cura di P.SCHLESINGER), Milano, 1999, pag. 225, il quale sostiene che si debba ritenere possibile provare l’acquisto di un bene come personale a seconda della prevalenza del denaro impiegato.4M.COSTANZA, Rapporti patrimoniali e autonomia privata in Il nuovo diritto di famiglia, a cura di G.FERRANDO, Bologna 2011, pag.264, secondo la quale la contitolarità degli acquisti è giustificata, nel regime di comunione, da una compartecipazione reale da parte di entrambi i coniugi. 5Si pensi ad un apporto del coniuge c.d. debole non di tale entità da giustificare la con titolarità di un immobile.6Parte prevalente della dottrina ha sostenuto non trattarsi di ultrattività della comunione legale che, così opinando, cesserebbe i propri effetti al momento della divisione, v. sul punto Note introduttive agli artt. 186 ss., in Commentario al diritto italiano della famiglia,a cura di G.CIAN,G.OPPO,A.TRABUCCHI, III, Padova, 1992, pag. 230 ss. Inoltre, parte della dottrina ha ritenuto applicabile la disciplina della divisione ereditaria sul punto v. ALAGNA, Lo scioglimento della comunione legale: osservazioni e proposte, in Studi sulla riforma del diritto di
Sotto quest’ultimo aspetto, la Corte di Cassazione7ha escluso la possibilità che uno dei coniugi possa chiedere al giudice il riconoscimento, in sede di divisione, di una quota diversa rispetto al 50% contemplato dalla norma. La Suprema Corte osserva che la divisione dei beni oggetto della comunione legale fra coniugi, conseguente allo scioglimento di essa, con effetto ex nunc, per annullamento del matrimonio o per una delle altre cause indicate nell’art. 191 c.c., si effettua in parti eguali, secondo il disposto del successivo art. 194, senza possibilità di prova di un diverso apporto economico dei coniugi all’acquisto del bene in comunione, non essendo applicabile la disciplina della comunione ordinaria, nella quale l’eguaglianza delle quote dei partecipanti è oggetto di una presunzione semplice [ art. 1101 c.c. ], superabile mediante prova del contrario. Di conseguenza, nessuna automatica trasformazione sembra esserci dallo scioglimento della comunione dei beni alla comunione ordinaria, la cui eventuale divisibilità ha differenti modalità operative. Al di là delle ipotesi della comunione convenzionale, di seguito si esaminano alcune eccezioni alla regola generale. a)L’esclusione dal co-acquisto L’art. 179 cod.civ.,che enumera i«beni personali»,elenca le ipotesi di esclusione dei beni dalla comunione e sancisce che “non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali: (…) f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato nell’atto di acquisto”.Ciò si verifica, tra l’altro,quando, il prezzo di acquisto sia, nel suo ammontare complessivo, proveniente dalla vendita di un bene personale ovvero quando vi sia uno «scambio»(permuta), cosa che comporterà la titolarità di un solo coniuge che acquista per surrogazione. Nel momento in cui si procede alla divisione dei beni della comunione,a seguito di scioglimento,è possibile far accertare l’esclusione della comproprietà di un immobile acquistato con somme provenienti dalla vendita di un bene personale solo nei casi previsti dalla legge. Per quanto concerne la mancata dichiarazione da parte del coniuge non acquirente non è contemplata l’ipotesi per cui l’esclusione possa desumersi da fatti concludenti, ritenendosi condizione necessaria la partecipazione del coniuge all’atto e la sua la dichiarazione. Una deroga a tale ipotesi, come si vedrà, è frutto di costruzione giurisprudenziale. Sulla natura confessoria della dichiarazione, di recente la S.C.8ha ribadito il principio per cui l’esclusione dal co-acquisto, da parte del coniuge non acquirente intervenuto nell’atto, può subire un’azione di accertamento per la verifica circa l’effettiva natura di bene personalissimo impiegato nella trasformazione o circa la genuinità della dichiarazione stessa. famiglia, Milano, 1973, 505.Cfr.Cass.civ.,sez. I, 5aprile 2017, n. 8803, in. Mass.Giur., 2017. Contra Cass. civ., 24 luglio 2003, n.11467, cit. 7Cass. civ., 24 luglio 2003, n.11467, in Foro it., 2003, I,2966,connota di G.DE MARZO.8Cass. civ.,sez. II, 14 novembre 2018, n.29342 inRiv. Not., 2019, 1, II, 185 per cui “La dichiarazione resa nell’atto dal coniuge non acquirente, ai sensi dell’art. 179, comma 2,c.c., in ordine alla natura personale del bene, si pone, peraltro, come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall’art. 179, comma 1, lett. c), d) ed f), c.c.”.
Tale verifica è stata ammessa dalle Sez. Un.9ad esclusiva tutela del coniuge estromesso dall’acquisto –per riportare l’immobile in comunione -. La stessa norma, sempre a tutela del coniuge non acquirente,è soggetta ad interpretazione restrittiva, nonostante due datate sentenze della Corte di Cassazione10abbiano sostenuto che la dichiarazione che deve essere effettuata nell’atto pubblico, di cui parla la norma, debba ritenersi essenziale esclusivamente nei casi in cui sia incerto se l’acquisto sia stato effettuato o meno con l’investimento di denaro proprio (avuto in donazione, eredità, o che sia frutto dello scambio o investimento di beni egualmente personali);tuttavia,la giurisprudenza prevalente ritiene di dover seguire una interpretazione letterale dell’art. 179, co.1, lett. f) cod.civ., sottolineando come la locuzione “purché” non consenta di ipotizzare casi in cui la dichiarazione risulti superflua: questa, d’altro canto, rappresenta una tutela proprio per il coniuge acquirente e deve essere espressa. Quindi, ove il consenso del coniuge pretermesso non sia supportato dalla prova effettiva della natura del bene quale personalissimo-ovvero tra quelli elencati nell’art. 179 cod. civ.–ciò non sarà sufficiente ad escludere il bene dalla comunione. Ciò non toglie, però, ai coniugi la possibilità di accordarsiper una divisione non egualitaria, esclusivamente dopo lo scioglimento della comunione legale, in virtù dei principi di libertà negoziale e di disponibilità della quota caratterizzante la comunione ordinaria. b)Prevalenza della provvista impiegata per il co-acquisto Altra è l’ipotesi in cui la casa familiare, co-acquistata con atto pubblico,sia stata pagata utilizzando prevalentemente somme personali da parte di uno dei coniugi con il ricavato della vendita di un immobile di sua proprietà e il residuo prezzo con la spendita di danaro della comunione. Ci si è chiesti se sia possibile far rientrare tale questione tra quelle di esclusione del co-acquisto. La risposta è negativa, infatti, non è possibile, per escludere il detto bene dalla comunione,fornire la prova della prevalenza della provvista impiegata. In questo caso non è ipotizzabile estromettere il bene entrato in comunione per atto pubblico, attesa la tassatività dell’art. 2647 cod.civ.,che prevede l’obbligo di trascrizione degli atti di acquisto di beni personali a norma delle lettere c), d), e), ed f) dell’art. 179 a carico del coniuge titolare del bene escluso e che cessa di far parte della comunione. Di conseguenza, un atto trascritto, relativo ad un bene caduto in comunione avrà valore inter partes ed erga omnes, mentre, dimostrando l’elusione delle norme sulla comunione, un bene,erroneamente inserito in atto come «bene personale»,potrà rientrare in comunione. 9Cass.civ.,Sez. Un., 28 ottobre 2009,n. 22755,in Resp. civ. e prev.,2010, 2, 458.Il coniuge non acquirente può successivamente proporre domanda di accertamento della comunione legale anche rispetto a beni che siano stati acquistati come personali dall’altro coniuge, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente fosse intervenuto nel contratto per aderirvi. Tuttavia, se l’intervento adesivo ex art. 179, comma 2, c.c., assunse il significato di riconoscimento dei già esistenti presupposti di fatto dell’esclusione del bene dalla comunione, l’azione di accertamento presupporrà la revoca di quella confessione stragiudiziale, nei limiti in cui è ammessa dall’art. 2732 c.c. Se invece, come nel caso in esame, l’intervento adesivo exart. 179, comma 2, c.c., assunse il significato di mera manifestazione dei comuni intenti dei coniugi circa la destinazione del bene, occorrerà accertare quale destinazione il bene ebbe effettivamente, indipendentemente da ogni indagine sulla sincerità degli intenti così manifestati.10Cass. civ.,18 agosto 1994, n.7437 e Cass. civ., 8 febbraio 1993, n.1556.
Il dubbio è se sia ammissibile, quindi, per il coniuge che ha impiegato provviste personali considerevoli per l’acquisto di beni ricaduti in comunione, e che al momento della divisione voglia differenziarne le quote in base agli apporti personali,farsi riconoscere un diritto di credito nei confronti dell’ex coniuge.La dottrina meno recente11ha previstola possibilità di utilizzare i mezzi di prova per poter accertare che una particolare proprietà, in base al momento dell’acquisto, sia stata pagata con danaro in parte personalissimo e in parte della comunione (attuale o de residuo)pertanto, se è impiegato in prevalenza danaro personalissimo il bene acquisito sarà personale, salvo l’obbligo di rimborso ai sensi dell’art. 192 c.c. Ma sull’ammissibilità del rimborso e delle restituzioni va segnalato, tra gli altri, un recente provvedimento12che ha osservato come, ai sensi dell’art. 192, co.3,cod. civ., nel concetto di rimborsi e restituzioni non sia da ricomprendere l’impiego delle somme versate per l’acquisto di un immobile caduto in comunione, trovando, in tale ipotesi, applicazione l’art. 194, co. 1, cod.civ., ma vanno restituiti solo gli importi impiegati in spese ed investimenti per il patrimonio comune. Quindi, la procedura di divisione della comunione, ai sensi dell’art. 194 cod.civ.,non presenta dubbi interpretativi sulla natura dei Rimborsi e restituzioni dovuti all’art. 192,co. 3,cod.civ.,che sono dovuti al coniuge che ha utilizzato, in favore della comunione, somme personali dirette al miglioramento o all’accrescimento del bene in comunione. Tuttavia, di recente, nel tentativo di allentare le strette maglie d iprincipî propri di una legislazione che, in passato, si era mostrata desiderosa di alleggerire il coniuge «debole» dalla dipendenza economica ed era apparsa incurante dei rischi della limitazione della libera circolazione dei beni, alcuni autori si sono espressi in senso contrario. Si è sottolineato quanto la sorte dell’acquisto effettuato solo in parte mediante impiego di risorse personali e per la rimanenza con la spendita di danaro della comunione, possa trovare una soluzione de iure condendo, in quanto, nel silenzio della legge, pare sostenibile un regime di comproprietà indivisa tra titolarità personale e titolarità in comunione legale, in quote proporzionali all’incidenza dei rispettivi apporti13. La portata delle tutele previste con la riforma,che ha inserito la comunione dei beni quale regime legale patrimoniale, nell’attuale contesto socio economico deve essere rivista. Vanno contemperate le posizioni di ex coniugi, in quanto tali meno legati da motivazioni affettive e di solidarietà,che soffrono,al momento dell’attività divisionale, a causa di una condivisione patrimoniale di parità di quote, a beneficio, spesso, di una sola parte, valutandosi che, in alcune particolari ipotesi,ci si potrebbe trovare in presenza di una sorta indebito arricchimento,per esempio con l’impoverimento del coniuge che ha maggiormente impiegato quote personali nella comunione e, viceversa, miglioramento economico del coniuge debole. La soluzione potrebbe essere quella di attribuire alla disciolta comunione dei beni natura di comunione ordinaria, la cui disciplina divisionale consente di fornire, ove possibile,la prova contraria alla presunzione semplice sulla uguaglianza delle quote. 11E. RUSSO, op. cit.12Cass. civ., sez. I, 9 novembre 2012, n.19454, in Mass. Giust. Civ. 2012, 11, 1283;in senso sostanzialmente conforme cfr. Cass.civ.,24 maggio 2005,n. 10896.13G.OBERTO, I beni personali. Il nuovo diritto di famiglia. Trattato diretto da G.FERRANDO, Bologna, 2011, pag. 425.