Di Gianfranco Dosi
I La necessità della previa pronuncia di separazione (ancorché consensuale) per accedere al divorzio
Nel trattare il tema della separazione personale dei coniugi non si può fare a meno di osservare come il nostro ordinamento giuridico preveda, per accedere alle procedure di divorzio, una neces¬saria previa procedura di separazione, ancorché consensuale (in tribunale o nella forma degiuri¬sdizionalizzata della negoziazione assistita da avvocati). La separazione dei coniugi, nella maggior parte degli altri ordinamenti giuridici, è quasi sempre solo la situazione di fatto a cui consegue il divorzio (per esempio in Germania il divorzio è ammesso dopo un anno di separazione di fatto che salgono a tre se l’altro coniuge si oppone; in Inghilterra dopo due anni se il divorzio è consensuale o dopo cinque anni se manca il consenso dell’altro coniuge). In ogni caso anche dove prevista come procedura giudiziaria (come in Francia o in Spagna) non è mai obbligatoria prima del divorzio ma solo alternativa al divorzio.
La ragione di questa scelta del legislatore italiano ha ragioni evidentemente storiche e specifi¬camente culturali del nostro Paese. Nessuna norma della Costituzione impedirebbe al legislatore ordinario di abrogare l’istituto della separazione, essendo invalicabile soltanto il principio di ugua¬glianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29 Cost.) che non sarebbe in alcun modo mortificato dalla previsione del solo divorzio.
Negli ultimi anni il legislatore si è fatto, tuttavia, carico dell’esigenza di avviare una trasformazione che ha interessato anche il tema della tradizionale indisponibilità degli istituti che regolamentano la crisi della coppia coniugale, prevedendo procedure degiurisdizionalizzate (art. 6 e art. 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.132, come modificato dalla legge di conversione 10 novem¬bre 2014, n. 162), ma non cancellando neanche in questi casi l’istituto della separazione. Anche se effettuata, perciò, attraverso la negoziazione assistita o davanti all’ufficiale di stato civile, la separazione in questi casi è pur sempre una forma di separazione consensuale disciplinata però da regole diverse rispetto a quelle processuali tradizionali. Non bisogna fare l’errore di ritenere che esistano due separazioni consensuali. Si tratta della stessa separazione consensuale che i coniugi possono raggiungere con due modalità diverse anche se la convenzione di negoziazione assistita prevede obblighi di assistenza legale e di trasparenza nella trattativa (l’art. 2 parla espressamente di “buona fede e lealtà”) che non sono indicati per la separazione consensuale in tribunale1.
Il legislatore degli ultimi anni è, però, se non altro, venuto incontro all’esigenza di non porre ir¬ragionevoli sbarramenti temporali alla possibilità di divorziare in tempi accettabili, introducendo norme di più rapido accesso al divorzio con la legge 6 maggio 2015, n. 55 (Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi) a seguito della quale i coniugi possono chiedere il divorzio dopo dodici mesi dall’avvenuta com¬parizione innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e dopo sei mesi dalla separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, o dall’accordo di negoziazione. I tempi sono quindi più brevi rispetto ai tre anni che la normativa sul divorzio prevedeva prima di questa modifica.
Infine, la legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) ha abolito l’istituto della separazione (anche consen¬suale) per le unioni civili tra persone dello stesso sesso ammettendole al divorzio immediato (art. 1, comma 24).
II I due principi fondamentali che connotano la separazione consensuale
Nell’ambito delle norme sulla separazione personale dei coniugi il codice civile dedica il solo articolo 158 alla separazione consensuale prevedendo semplicemente al primo comma che “La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l’omologazione del giudice” e al secondo comma che “Quando l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli è in con¬trasto con l’interesse di questi il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adot¬tare nell’interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l’omologazione”.
La disposizione prevede, quindi, due principi fondamentali.
a) Il principio secondo cui l’efficacia dell’accordo dipende dall’omologazione
Il primo principio consiste, come si è sopra detto, nel fatto che il codice non attribuisce efficacia alle condizioni di separazione concordate, se non interviene il provvedimento giudiziario di omo¬loga dell’accordo.
Si tratta di un principio che ha subìto nel tempo una forte erosione di significato che lo ha relegato a principio di natura sostanzialmente processuale in quanto l’omologazione non ha, come segnala la giurisprudenza che tra breve verrà richiamata, alcuna valenza sostitutiva o integrativa della volontà dei coniugi, potendo il giudice interloquire solo relativamente all’assetto concordato che concerne l’affidamento e il mantenimento dei figli.
Tanto che si può fondatamente sostenere che l’omologazione ha acquisito di fatto una esclusiva funzione di controllo dei diritti del figli, non potendo il giudice intervenire in atri ambiti; anche se va segnalata una tuttora persistente prassi giurisprudenziale di merito (non sostenuta però dalla giu¬risprudenza di legittimità) che tende ad intromettersi negli aspetti relativi alla negozialità coniugale spostando poco plausibilmente il baricentro dell’istituto dall’accordo dei coniugi all’omologazione.
Al principio che l’efficacia degli accordi è condizionata dall’intervento giudiziario apporta in so¬stanza solo una deroga formale la previsione contenuta nell’art. 6 del Decreto-legge 12 settembre 2014, n.132, come modificato dalla legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162 che ammette i coniugi ad accordi di separazione personale realizzati con le modalità della negoziazione assista da un avvocato per parte, alla condizione che siano autorizzati (se vi sono figli) o vistati (se non vi sono figli) dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale competente. Qui invece dell’omologa del tribunale il provvedimento che fa acquistare efficacia alla separazione è l’autorizzazione o il visto del Procuratore della Repubblica.
Viceversa il principio è certamente e significativamente derogato dalla previsione di cui all’art. 12 della normativa da ultimo citata che ammette i coniugi ad accordi di separazione direttamente davanti al Sindaco quale ufficiale di stato civile alla condizione che non abbiamo figli minori o non autosufficienti economicamente comuni. Ai fini della annotazione negli uffici di stato civile della loro separazione (di fatto consensuale) i coniugi devono solo percorrere una procedura di tipo amministrativo inevitabile per la finalità di pubblicità di stato civile. Il Sindaco deve solo prendere atto dell’accordo e non ha alcun potere di veto e meno che mai di omologa.
b) Il principio del controllo giudiziario di conformità dell’accordo ai diritti dei figli
Il secondo principio fondamentale che disciplina la separazione consensuale è quello secondo cui, allorché vi siano figli, la separazione consensuale è condizionata al controllo da parte del Giudice (o del Procuratore della Repubblica in caso di negoziazione assistita) della non contrarietà all’inte¬resse dei figli delle condizioni concordate tra i coniugi relativamente al loro affidamento (per i figli minori) e al loro mantenimento (anche per i figli maggiorenni).
L’art. 158 c.c. prevede che in caso di ritenuto contrasto dell’accordo con l’interesse dei figli “il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adottare nell’interesse dei figli”. In verità il controllo è normalmente effettuato nell’ambito dell’udienza in cui i coniugi confermano il loro accordo davanti al Presidente del tribunale. Viceversa negli accordi di negoziazione la ritenuta inadeguatezza dell’accordo rispetto all’interesse dei figli obbliga il Procuratore della Repubblica a rinviare i coniugi davanti al Presidente del tribunale il quale in una udienza apposita provvederà ad autorizzare o meno l’accordo dei coniugi (art. 6 della normativa citata).
Necessità dell’omologazione del tribunale (o necessità dell’autorizzazione o del visto del Procu¬ratore della Repubblica in caso di accordi di negoziazione assistita ovvero dell’autorizzazione del Presidente del tribunale) e non contrarietà dell’accordo all’interesse dei figli minori, costituiscono i due fondamentali principi che connotano l’istituto della separazione consensuale.
III L’accordo dei coniugi nella prospettiva contrattualistica
a) L’inquadramento dell’accordo in giurisprudenza come negozio giuridico
La separazione consensuale è un vero e proprio negozio giuridico. Si tratta di manifestazioni di volontà dirette a raggiungere gli effetti giuridici che la legge attribuisce alla separazione personale dei coniugi. Ed è evidente che l’accordo costituisce quindi la parte centrale e più importante della separazione lasciando in secondo piano l’omologazione che ha la funzione soltanto di attribuire efficacia ad un accordo già di per sé pienamente valido, ma ancora, appunto, inefficace, prima dell’omologazione.
Non è sempre stato così. In passato, concezioni meno propense ad attribuire rilevanza e significa¬tività all’autonomia privata avevano spostato il baricentro sull’omologazione anziché sull’accordo dei coniugi, privilegiando la funzione pubblicistica anche nella separazione consensuale.
In una prospettiva decisamente orientata ad attribuire piena rilevanza all’accordo dei coniugi, devono essere segnalate soprattutto quelle decisioni che, in giurisprudenza hanno via via posto a fondamento degli accordi di separazione consensuale ogni previsione finalizzata a regolare l’asset¬to personale ed economico dei rapporti post-matrimoniali tra i coniugi.
All’origine questo orientamento oggi decisamente contrattualistico della separazione consensuale era ancora sfumato e molte decisioni si fondavano ancora sulla distinzione tra aspetti essenziali della separazione (status, affidamento, mantenimento) e aspetti più propriamente contrattuali. Il passaggio ad una prospettiva unitaria di tipo contrattualistico è stato certamente, ma non solo, fa¬vorito dal dibattito sui limiti dell’esenzione fiscale operata dalla legge (art. 19, legge 6 marzo 1987, n. 74) e dalla giurisprudenza, per agevolare il raggiungimento di un assetto post-matrimoniale tra coniugi anche relativamente alla distribuzione delle proprietà familiari2.
Fondamentale in questa prospettiva è stata all’inizio di questo percorso, per esempio, Cass. civ. Sez. I, 15 maggio 1997, n. 4306 nella quale si affermava che sono pienamente valide le clau¬sole dell’accordo di separazione che riconoscono ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento, sostenendo peraltro per la prima volta che Il suddetto accor¬do di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi.
Gli stessi principi sono stati ribaditi successivamente da Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2007, n. 24321 secondo cui gli accordi di separazione consensuale tra i coniugi possono del tutto legit¬timamente contenere, pattuizioni patrimoniali tra i coniugi, che configurano non una convenzione matrimoniale ma un vero e proprio accordo espressione di libera autonomia contrattuale.
Ed ugualmente fondamentali, nella prospettiva della centralità dell’autonomia negoziale dei coniu¬gi, sono state anche Cass. civ. Sez. I, 20 novembre 2003, n. 17607 e Cass. civ. Sez. I, 12 settembre 2014, n. 19319 le quali con decisione hanno affermato che l’atto che dà sostanza e fondamento alla separazione consensuale ha natura senz’altro negoziale. In tale accordo- si legge in queste sentenze – si dispiega, infatti, pienamente l’autonomia dei coniugi e la loro valutazione della gravità della crisi coniugale, con esclusione di ogni potere di indagine del giudice sui motivi della decisione di separarsi e di valutazione circa la validità di tali motivi, in piena coerenza con la centralità del principio del consenso nel modello di famiglia delineato dalla legge e in ragione del tasso di negozialità dalla stessa legge riconosciuto in relazione ai diversi momenti e aspetti della dinamica familiare. Non si può dubitare – afferma la sentenza – della natura negoziale (quand’an¬che non contrattuale) dell’accordo che dà sostanza e fondamento alla separazione consensuale tra i coniugi, non essendo ravvisabile, nell’atto di omologazione, una funzione sostitutiva o integrativa della volontà delle parti o di governo dell’autonomia dei coniugi. L’accordo di separazione ha na¬tura negoziale e ad esso possono applicarsi, nei limiti della loro compatibilità, le norme del regime contrattuale che riguardano in generale la disciplina del negozio giuridico o che esprimono principi generali dell’ordinamento, come quelle in tema di vizi del consenso e di capacità delle parti.
Gli stessi principi successivamente sono stati ribaditi da Cass. civ. Sez. I, 4 settembre 2004, n. 17902 secondo cui stante la natura negoziale dell’accordo che dà sostanza e fondamento alla separazione consensuale tra coniugi, e non essendo ravvisabile, nell’atto di omologazione, una funzione sostitutiva o integrativa della volontà delle parti, ma rappresentando la procedura ed il decreto di omologazione condizioni di efficacia del sottostante accordo tra i coniugi (salvo che per quanto riguarda i patti relativi all’affidamento ed al mantenimento dei figli minorenni, sui quali il giudice è dotato di un potere d’intervento più penetrante), deve ritenersi ammissibile l’azione di annullamento della separazione consensuale omologata per vizi della volontà, la cui esperibilità, non limitata alla materia contrattuale, ma estensibile ai negozi relativi a rapporti giuridici non pa¬trimoniali, genus cui appartengono quelli di diritto familiare – presidia la validità del consenso come effetto del libero incontro della volontà della parti.
Ugualmente secondo Cass. civ. Sez. I, 20 marzo 2008, n. 7450 la natura negoziale dell’accordo di separazione consensuale rende applicabili le norme generali che disciplinano la materia dei vizi della volontà.
Fondamentale è poi, nella medesima prospettiva di valorizzazione dell’autonomia privata, Cass. civ. Sez. I, 30 aprile 2008, n. 10932 dove si ribadisce che la separazione consensuale trova la sua unica fonte nel consenso manifestato dai coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale, men¬tre la successiva omologazione agisce come mera condizione legale di efficacia dell’accordo, già integrante un negozio giuridico perfetto ed autonomo. In quest’ultimo, in particolare, si dispiega pienamente l’autonomia dei coniugi e la loro valutazione circa la gravità della crisi coniugale, con esclusione di ogni potere di indagine del giudice sui motivi della decisione di separarsi e di sinda¬cato circa la validità di tali motivi.
Anche secondo Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2013, n. 26202 – che nega la ricorribilità per cassazione ex art. 111 Costituzione, per mancanza dei richiesti caratteri di definitività e decisorie¬tà, del provvedimento emesso dalla corte d’appello che ha pronunciato sul reclamo nei confronti del decreto di omologa della separazione consensuale – afferma che la parte che ritenga sussistente un ipotetico vizio dell’accordo di separazione può agire con l’azione ordinaria di annullamento, la cui esperibilità presidia la validità del consenso come effetto del libero incontro della volontà delle parti.
È pacifico, insomma, in giurisprudenza – come ha ribadito Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18066 – che in caso di separazione consensuale l’intervento del giudice, realizza, in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli, un controllo solo esterno, attesa la natura negoziale dell’accordo da affermarsi in ragione dell’ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti. Ne consegue che i coniugi possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l’affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori.
Più recentemente la giurisprudenza di legittimità ha ricostruito molto efficacemente in modo uni¬tario l’accordo di separazione, superando la distinzione tra accordi di separazione propriamente detti ed accordi stipulati “in occasione della separazione”, e affermando che tutti gli accordi che prevedono, nel contesto di una separazione tra coniugi, atti comportanti trasferimenti patrimoniali dall’uno all’altro coniuge o in favore dei figli, debbano essere ricondotti nell’ambito delle “condi¬zioni della separazione” in considerazione del carattere di “negoziazione globale” che la coppia in crisi attribuisce al momento della “liquidazione” del rapporto coniugale, attribuendo quindi a detti accordi la qualificazione di contratti tipici, denominati “contratti della crisi coniugale”, la cui causa è proprio quella di definire in modo non contenzioso e tendenzialmente definitivo la crisi.
L’occasione è stata rappresentata da un avviso di liquidazione notificato a due coniugi dall’Agenzia delle Entrate di Forlì per il recupero dell’imposta di registro e delle ulteriori imposte ipotecaria e catastale in seguito ad un trasferimento di quote di un terreno operato in virtù di un accordo di separazione. Gli interessati non avevano corrisposto le imposte avendo ritenuto il trasferimento esente ai sensi dell’art. 19 della legge 74/87. La Commissione tributaria di Forlì e poi quella regio¬nale dell’Emilia Romagna accoglievano l’impugnazione dei coniugi e l’Agenzia delle entrate presen¬tava, quindi, ricorso in Cassazione richiamando l’orientamento restrittivo di Cass. civ. Sez. V, 3 dicembre 2001, n. 15231 secondo cui l’esenzione non potrebbe avere applicazione generalizzata a tutti gli accordi occasionati dalla separazione.
Ciascuno dei coniugi, obbligati solidalmente, aveva impugnato l’avviso di liquidazione e pertanto l’Agenzia delle entrate aveva dovuto presentare distinti ricorsi avverso le distinte pronunce delle commissioni tributarie. I due procedimenti si sono svolti parallelamente e la Sezione tributaria della Corte di cassazione li ha decisi con due sentenze gemelle (Cass. civ. Sez. V, 3 febbraio 2016, n. 2111 e Cass. civ. Sez. V, 17 febbraio 2016, n. 3110)
Nel respingere i ricorsi dell’Agenzia delle entrate, la sezione tributaria della Cassazione dichiara testualmente di dover disattendere il precedente richiamato dall’Agenzia delle entrate (cioè Cass. n. 15231/2001) alla stregua di considerazioni che giustificano un mutamento d’indirizzo e ciò, “non solo in virtù di una rivalutazione critica di talune argomentazioni ivi espresse, ma soprattutto alla stregua del mutato quadro normativo di riferimento che, nel contesto di un’evoluzione verosimil¬mente non ancora del tutto conclusa, ha fortemente valorizzato la centralità dell’accordo tra le parti nella definizione della crisi coniugale”.
Affermano i giudici che la sentenza 15231/2001 aveva recepito, quanto alle conseguenze che se ne assumono in ambito tributario, la distinzione tra contenuto necessario ed eventuale degli accordi di separazione, nel primo dovendo ricomprendersi il consenso reciproco a vivere separati, l’affida¬mento dei figli, l’assegnazione della casa familiare in funzione del preminente interesse della prole e la previsione di assegno di mantenimento a carico di uno dei coniugi in favore dell’altro, ove ne ricorrano i presupposti. Nel secondo ricomprendendo invece i patti che trovano solo occasione nella separazione, costituiti da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata.
Come si vedrà tra breve, il nuovo orientamento della Sezione tributaria cerca di superare que¬sta distinzione tradizionale della separazione consensuale, proposta dalla giurisprudenza, come accordo nel quale sussisterebbero due contenuti differenziati (contenuto essenziale e contenuto eventuale) accogliendo, invece, una concezione unitaria che vede nella separazione consensuale un accordo di “negoziazione globale” dei coniugi a cui attribuire un medesimo effetto unitario, nello specifico quello dell’esenzione fiscale, senza che sia possibile scindere l’accordo in contenuti differenziati.
La giurisprudenza della sezione tributaria della Corte di cassazione – ammettono i giudici – pur riconoscendo l’applicabilità dell’esenzione di cui all’art. 19 della legge 74/87 “a tutti gli atti e con¬venzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio o alla separazione personale, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge” ha pur sempre avuto modo di chiarire che “l’esenzione non opera quando si tratti di atti ed accordi che non siano finalizzati allo scioglimento della comunione tra coniugi conseguente alla separazione, ma siano soltanto occasionalmente generati dalla separazione” (cfr appunto Cass. n. 15231/2001).
Ciò che appare di maggior rilievo nel senso di giungere al superamento del precedente indirizzo è il mutato contesto normativo di riferimento che – quantunque in modo non sempre consapevole e soprattutto coerente – ha certamente attribuito all’elemento del consenso tra i coniugi il ruolo centrale nella definizione della crisi coniugale. Questo percorso è culminato nelle disposizioni del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, artt. 6 e 12, convertito con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, che hanno, rispettivamente, esteso il procedimento di negoziazione assi¬stita da avvocati alla separazione consensuale, al divorzio ed alla modifica delle condizioni di sepa¬razione e di divorzio (art. 6) e previsto che “i coniugi possono concludere, innanzi al Sindaco, quale Ufficiale dello stato civile… un accordo di separazione personale, di divorzio o di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio (art. 12), i quali, ad ogni effetto di legge, “tengono luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i corrispondenti procedimenti”. Queste nuove disposizioni, riducendo drasticamente l’intervento dell’organo giurisdizionale in procedimenti tradizionalmente segnati da vasta area di diritti indisponibili legati allo status coniugale ed alla tutela dei figli minori, nel quadro di interventi definiti di degiurisdizionalizzazione, hanno di fatto attribuito al consenso tra i coniugi un valore ben più pregnante rispetto a quello che, anche a seguito dell’introduzione del divorzio a domanda congiunta delle parti, aveva pur sempre indotto unanimemente dottrina e giurisprudenza ad escludere che nel nostro ordinamento giuridico potesse avere cittadinanza il cosiddetto divorzio consensuale.
Perciò nel mutato contesto normativo di riferimento, deve riconoscersi il carattere di negoziazio¬ne globale a tutti gli accordi di separazione che, anche attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari o immobiliari, siano volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale, destinata a sfociare, di lì a breve, nella cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o nello scioglimento del matrimonio civile.
In tale contesto – affermano i giudici – non sembra potersi più ragionevolmente negare – quale che sia la forma che i negozi concretamente vengano ad assumere – che detti negozi siano da intendersi quali “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio”, che, come tali possono usufruire dell’esenzione di cui all’art. 19 della legge 74/87 nel testo conseguente alla pronuncia n. 154/1999 della Corte costituzionale, salvo che l’Amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio a suo carico, la finalità elusiva degli atti medesimi.
Il principio affermato – per certi versi rivoluzionario e capace in sé di eliminare ogni contenzioso nella prospettiva fiscale – è, quindi, che “tutti gli atti di trasferimento immobiliare contemplati negli accordi di separazione consensuale tra coniugi godono dell’esenzione fiscale, senza che rilevi che gli stessi siano solo occasionalmente generati dalla separazione ovvero che non siano connessi all’affidamento dei figli, al loro mantenimento ed a quello del coniuge, o al godimento della casa di famiglia”.
Molto significativo è il fatto che nelle due decisioni la forza della decisione è collocata nell’ambito della nuova cornice normativa culminata nella disciplina di cui agli artt. 6 e 12 del decreto legge n. 132 del 2014, convertito con modificazioni nella legge n. 162 del 2014 dove gli accordi “rinvengo¬no il loro fondamento nella centralità del consenso dei coniugi” che assume quindi una natura di presupposto autosufficiente per la dignità di tutti gli accordi.
b) La nullità e l’annullabilità dell’accordo
La concezione della separazione consensuale come negozio giuridico comporta che alla separa¬zione consensuale sono da considerare pienamente applicabili le norme in materia di validità del negozio giuridico, restando quindi la separazione consensuale sempre esposta alle azioni di nullità (imprescrittibile) e di annullamento per vizi della volontà (prescrittibile in cinque anni: art. 1442 c.c.).
Molte sentenze hanno ribadito nel tempo – con il consolidarsi della concezione della separazione consensuale come negozio giuridico – l’ammissibilità dell’annullamento degli accordi di separazione per vizi del consenso.
Possono essere richiamate in proposito, per esempio, Cass. civ. Sez. I, 5 marzo 2001, n. 3149 secondo cui l’allegazione degli eventuali vizi dell’accordo di separazione, ovvero della sua simu¬lazione, sono rimessi al giudizio ordinario, secondo le regole generali e Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2007, n. 24321 che ha precisato che gli eventuali vizi (nullità o annullabilità) che inficiano la validità dell›accordo di separazione omologato e la sua eventuale simulazione non sono deducibili attraverso il giudizio camerale attivato a norma del combinato disposto degli artt. 710 e 711 cod. proc. civ. ma attraverso un giudizio ordinario, secondo le regole generali.
Ulteriore importante sentenza dove si afferma lo stesso principio è Cass. civ. Sez. I, 20 marzo 2008, n. 7450 nella quale si legge che “la giurisprudenza di questa Corte, argomentando dalla natura negoziale (quand’anche non contrattuale) dell’accordo che dà sostanza e fondamento alla separazione consensuale tra coniugi, nonché dal fatto che non è ravvisabile, nell’atto di omologa¬zione, una funzione sostitutiva o integrativa della volontà delle parti o di governo dell’autonomia dei coniugi (rappresentando la procedura ed il decreto di omologazione condizioni di efficacia del sottostante accordo tra gli stessi coniugi, salvo che per quanto riguarda i patti relativi all’affida¬mento ed al mantenimento dei figli minorenni, rispetto ai quali il giudice è dotato di un potere di intervento più penetrante), abbia ritenuto applicabili alla separazione consensuale omologata le norme generali che disciplinano la materia dei vizi della volontà, nei limiti in cui dette norme risultino compatibili con la specificità di tale negozio di diritto familiare, riconoscendo ammissibi¬le la relativa azione di annullamento, la cui esperibilità, non limitata all’istituto contrattuale ma estensibile ai negozi che riguardano i rapporti giuridici non patrimoniali, cui appartengono quelli appunto di diritto familiare, presidia la validità del consenso come effetto del libero incontro della volontà delle parti”.
Anche molto chiara è Cass. civ. Sez. I, 30 aprile 2008, n. 10932 secondo cui l’inquadramento dell’accordo di separazione nella categoria negoziale, pur escludendo che allo stesso possa esser attribuita natura di contratto, non esclude che all’accordo stesso possano applicarsi, nei limiti della loro compatibilità, le norme del regime contrattuale che riguardano in generale la disciplina del ne¬gozio giuridico o che esprimono principi generali dell’ordinamento, come quelle in tema di vizi del consenso e di capacità delle parti. Tuttavia, tali vizi dovranno esser dedotti mediante instaurazione di un giudizio ordinario diretto ad ottenere l’annullamento del negozio stesso, e non già tramite re¬clamo ex art. 739 c.p.c. alla Corte d’appello, e successivo ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.: quest’ultimo strumento di ricorso, in particolare, non può esser esperito per ottenere la revisione di provvedimenti non aventi natura decisoria, quali senza dubbio devono definirsi i provvedimenti di omologazione, rebus sic stantibus, emessi in occasione della separazione consensuale.
Di grande significato sono nella medesima prospettiva anche Cass. civ. Sez. I, 20 novembre 2003, n. 17607 e più di recente Cass. civ. Sez. I, 12 settembre 2014, n. 19319 in cui si afferma che il problema della natura della separazione consensuale ha lungamente impegnato la dottrina e la giurisprudenza di merito, anche per le implicazioni in ordine alla possibilità di re¬voca del consenso alla separazione prima del provvedimento di omologazione, ed hanno trovato negli anni soluzioni diverse, ritenendosi da alcuni, orientati per una impostazione pubblicistica dell’istituto, che il consenso costituisca mero presupposto del provvedimento giudiziale, cui va attribuito il ruolo di unico fatto costitutivo della separazione, configurandosi da altri la separazione consensuale come fattispecie a formazione progressiva, nell’ambito della quale il consenso dei coniugi e l’omologazione del tribunale costituiscono elementi parimenti necessari e concorrenti per il conseguimento dello stato di coniuge separato, sostenendosi ancora da altri, nell’ambito di una prospettiva privatistica della fattispecie, ispirata ad una accentuata valorizzazione dell’autonomia dei coniugi, desunta dall’intero sistema delle relazioni matrimoniali tracciato nella legge di riforma del diritto di famiglia, che la causa della separazione sta nella volontà dei coniugi, mentre l’omolo-gazione agisce come mera condizione legale di efficacia dell’accordo.
Tale ultima posizione appare condivisa dalla più recente giurisprudenza di legittimità, orientata nel senso che la separazione trova la sua unica fonte nel consenso manifestato dai coniugi dinanzi al presidente del tribunale e che la successiva omologazione è unicamente diretta ad attribuire effi¬cacia dall’esterno all’accordo di separazione, assumendo la funzione di condizione sospensiva della produzione degli effetti delle pattuizioni stipulate tra i coniugi, già integranti un negozio giuridico perfetto ed autonomo.
A fondamento di detto orientamento si è richiamato il chiaro tenore letterale del primo comma dell’art. 158 c.c. e del quarto comma dell’art. 711 c.p.c., che espressamente riferiscono al momen¬to della efficacia il decreto di omologazione della separazione fondata sul solo consenso dei coniu¬gi, e si è tratto ulteriore argomento dalla limitazione posta dal secondo comma dell’art. 158 c.c., introdotto dalla legge di riforma del diritto di famiglia, ai poteri del giudice nella fase di controllo: si è pertanto rilevato che l’accordo tra i coniugi costituisce l’elemento fondante della condizione di coniugi separati e del regolamento dei loro rapporti, mentre il provvedimento di omologazione svolge la funzione di controllare la compatibilità della convenzione rispetto alle norme cogenti ed ai principi di ordine pubblico, nonché di compiere la più pregnante indagine circa la conformità delle condizioni relative all’affidamento ed al mantenimento dei minori al loro interesse, e quindi di imprimere efficacia giuridica all’accordo stesso.
In tale prospettiva questa Suprema Corte ha in più occasioni qualificato l’accordo di separazione come atto essenzialmente negoziale, espressione della capacità dei coniugi di autodeterminarsi responsabilmente, tanto da definirlo, riprendendo una efficace espressione della dottrina, come uno dei momenti di più significativa emersione della negozialità nel diritto di famiglia.
Non vi è, quindi, ragione di dubitare della natura negoziale dell’atto che dà sostanza e fondamento alla separazione consensuale, atteso che in tale accordo si dispiega pienamente l’autonomia dei coniugi e la loro valutazione sulla crisi coniugale, con esclusione di ogni potere di indagine del giu¬dice sui motivi della decisione di separarsi e di valutazione circa la validità di tali motivi, in piena coerenza con la centralità del principio del consenso nel modello di famiglia delineato dalla legge.
L’inquadramento nella categoria negoziale (sia pure con esclusione della natura contrattuale dell’accordo di separazione) se comporta la non operatività delle norme proprie del contratto che trovano ragione nella specifica natura, appunto, del contratto, non esclude che possano applicarsi, nei limiti della loro compatibilità, le norme del regime contrattuale che riguardano in generale la disciplina del negozio giuridico o che esprimono principi generali dell’ordinamento, come quelle in tema di vizi del consenso e di capacità delle parti (peraltro richiamate in varie norme del codice relative alla materia familiare, come in tema di celebrazione del matrimonio e di riconoscimento dei figli).
In giurisprudenza di merito tutti questi principi sono stati ben riassunti da Trib. Palermo, 14 settembre 2017.
L’accordo di separazione consensuale raggiunto sede di negoziazione assistita “tiene luogo dei provvedimenti giudiziali” che definiscono i procedimenti di separazione e divorzio o di modifica (art. 6, comma 3, prima parte ma anche art. 12, comma 3 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.132, come modificato dalla legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162). Pertanto in questo contesto degiurisdizionalizzato gli accordi di separazione e divorzio sono trattati come se fossero sentenze o decreti di omologa con la conseguenza che è possibile nei loro confronti un’azione di annullamento per vizi della volontà.
c) L’orientamento contrario all’ammissibilità dell’impugnazione per simulazione della separazione consensuale
L’orientamento prevalente oggi in giurisprudenza è teso a negare l’ammissibilità dell’impugnazione per simulazione della separazione consensuale3
Nel 1986 la questione dell’ammissibilità dell’impugnazione della separazione consensuale per si¬mulazione venne trattata da una decisione della Cassazione che la considerò in linea generale ammissibile. Si tratta di Cass. civ. Sez. III, 18 dicembre 1986, n. 7681 nella quale si affermò che l’assegnazione in sede di separazione personale, ancorché consensuale, della casa di abita¬zione ad uno dei coniugi integra, a favore dell’altro, lo stato di urgente ed improrogabile necessità che, ai sensi della legge n. 253 del 1950, legittima a far cessare la proroga legale del contratto di locazione “salva la facoltà per il terzo di provare la simulazione della procedura di separazione”. Quindi si ammetteva che il terzo potesse far valere la simulazione dell’assegnazione prevista in sede di separazione.
Molte altre decisioni in seguito dichiararono possibile l’impugnativa per simulazione della separa¬zione consensuale (Cass. civ. Sez. I, 5 marzo 2001, n. 3149; Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2007, n. 24321; Cass. civ. Sez. I, 20 marzo 2008, n. 7450) ma si trattava di sentenze che solo indirettamente accennavano al tema della simulazione e in cui il thema decidendm non era espressamente quello della simulazione.
La prima decisione che in assoluto dichiarava inammissibile l’impugnazione per simulazione della separazione consensuale è Cass. civ. Sez. I, 20 novembre 2003, n. 17607 nella quale avverso una sentenza non definitiva di divorzio, la moglie aveva presentato appello denunciando il mancato accoglimento della propria eccezione pregiudiziale di improponibilità della domanda di divorzio per essere stata la separazione consensuale un accordo simulatorio teso unicamente alla risoluzione di problemi fiscali. La Corte d’appello rigettava l’impugnazione, osservando in motivazione che cor¬rettamente il primo giudice aveva ritenuto l’inammissibilità dell’eccezione di simulazione, “atteso che non può ritenersi applicabile in via analogica alla fattispecie della separazione consensuale omologata la normativa di cui all’art. 1414 c.c., dettata per disciplinare atti giuridici di contenuto patrimoniale, né esperibile la relativa azione di nullità con riguardo al complesso procedimento giurisdizionale nel quale detta separazione si realizza, tenuto conto della peculiarità del procedi¬mento, delle richieste del pubblico ministero, della funzione attiva del presidente del tribunale ai fini dell’accertamento della volontà delle parti e dell’espletamento del tentativo di conciliazione, nonché dell’efficacia costitutiva dell’omologazione del collegio, chiamato a svolgere un’opera di controllo sia sul piano della legittimità sia – nei limiti di cui al secondo comma dell’art. 158 c.c. – su quello del merito. La moglie proponeva ricorso per cassazione”. La Corte di Cassazione riteneva il ricorso infondato correggendo però la motivazione che la Corte territoriale aveva espresso.
Nella prima parte della motivazione si ribadisce la natura negoziale della separazione consensuale e il fatto che l’omologazione è diretta unicamente ad attribuire efficacia all’accordo. Nella secon¬da parte della motivazione si ribadisce l’applicabilità delle disposizioni sul contratto in quanto gli adempimenti del presidente non escludono che la separazione possa essere simulata e l’omolo¬gazione non ha natura integrativa o sostituiva della volontà dei coniugi. Si legge che l’esclusione della natura contrattuale dell’accordo di separazione ed il suo inquadramento nella categoria ne¬goziale, se comporta la non operatività delle norme proprie del contratto che trovano ragione nella specifica natura di questo, non esclude che possano applicarsi, nei limiti della loro compatibilità, le norme del regime contrattuale che riguardano in generale la disciplina del negozio giuridico o che esprimono principi generali dell’ordinamento, come quelle in tema di vizi del consenso e di capacità delle parti.
Nella terza parte della motivazione si afferma però che l’impugnazione per simulazione non è am¬missibile, in quanto “i rilievi che precedono non appaiono risolutivi ai fini della soluzione del pro¬blema in esame, richiedendo la questione della ammissibilità della impugnazione per simulazione dell’accordo di separazione un’ulteriore riflessione non tanto sul piano della natura dell’accordo e del suo rapporto con il decreto di omologazione, quanto su quello degli effetti che l’ordinamen¬to attribuisce al provvedimento giudiziale. Occorre invero considerare che nel momento in cui i coniugi convengono, nello spirito e nella prospettiva della loro intesa simulatoria, di chiedere al Tribunale l’omologazione della loro (apparente) separazione esse in realtà concordano nel voler conseguire il riconoscimento di uno “status” dal quale la legge fa derivare effetti irretrattabili tra le parti e nei confronti dei terzi, salve le ipotesi della riconciliazione e dello scioglimento definitivo del vincolo. È qui appena il caso di ricordare che con la separazione giudiziale e con quella con¬sensuale omologata vengono meno a carico dei coniugi gli obblighi di carattere morale derivanti dal matrimonio, come quelli di coabitazione, di fedeltà e di assistenza, prevedendo l’art. 156 c.c., nella formulazione introdotta dal legislatore della riforma del diritto di famiglia, soltanto obblighi di natura patrimoniale; che l’art. 232, comma 2, c.c. fa venir meno la presunzione di concepimento nel matrimonio del figlio nato decorsi trecento giorni dalla pronuncia della separazione giudiziale o dalla omologa di quella consensuale o dalla data di comparizione dei coniugi davanti al giudice quando sono stati autorizzati a vivere separati; che ai sensi dell’art. 191 c.c. la separazione per¬sonale determina lo scioglimento della comunione dei beni; ancora, che il regolamento per la re¬visione dell’ordinamento dello stato civile di cui al D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396prevede all’art. 69, lett. d), che della omologazione della separazione consensuale sia fatta annotazione negli atti di matrimonio. Nella situazione considerata la volontà di conseguire detto “status” è effettiva, e
3 Sull’ampio dibattito in giurisprudenza in ordine alla impugnazione per simulazione della separazione consen¬suale cfr la voce
non simulata: l’iniziativa processuale diretta ad acquisire la condizione formale di coniugi separati, con le conseguenti implicazioni giuridiche, si risolve in una iniziativa nel senso della efficacia della separazione (che vale a superare e neutralizzare il precedente accordo simulatorio, ponendosi in antitesi con esso. Appare invero logicamente insostenibile che i coniugi possano disvolere con detto accordo la condizione di separati ed al tempo stesso volere l’emissione di un provvedimento giudiziale destinato ad attribuire determinati effetti giuridici a detta condizione: l’antinomia tra tali determinazioni non può trovare altra composizione che nel considerare l’iniziativa processuale come atto incompatibile con la volontà di avvalersi della simulazione.
Gli stessi principi sono poi stati riaffermati da Cass. civ. Sez. I, 12 settembre 2014, n. 19319 in una vicenda in cui la simulazione era stata eccepita da un terzo. La vicenda giudiziaria aveva visto contrapposte due donne: la moglie separata di un professionista e l’ex coniuge del medesimo. La prima – assumendo di aver acquisito la proprietà della metà di un compendio immobiliare in virtù degli accordi di separazione – aveva convenuto in giudizio la seconda chiedendo la divisione del compendio di cui entrambe risultavano intestatarie ciascuna per la metà. La convenuta assumeva di aver avuto l’assegnazione dell’immobile quale casa familiare e in via riconvenzionale chiedeva l’accertamento della simulazione assoluta della separazione tra l’attrice e l’ex coniuge e, in via su¬bordinata, la condanna dell’attrice al rimborso della metà della somma da essa versata per il mu¬tuo gravante sull’immobile. Il Tribunale di Roma, per quanto qui interessa, riconosceva il diritto di abitazione della convenuta sui due appartamenti ma rigettava la domanda di simulazione. La Corte d’appello confermava questa parte della decisione. Avverso la sentenza l’ex coniuge divorziata del professionista proponeva ricorso per cassazione denunciando tra l’altro la violazione dell’art. 1414 c.c. sotto il profilo della ritenuta inammissibilità della simulazione dell’accordo di separazione. La Corte rigettava il ricorso osservando quanto segue: “Nell’unico precedente nel quale è stata speci¬ficamente affrontata la questione (Cass. 20 novembre 2003, n. 17607) questa Corte ha affermato che pur non potendosi dubitare della natura negoziale (quand’anche non contrattuale) dell’accordo di separazione consensuale tra coniugi, e pur non essendo ravvisabile, nell’atto di omologazione, una funzione sostitutiva o integrativa della volontà delle parti o di governo dell’autonomia dei coniugi, è da escludere l’impugnabilità per simulazione dell’accordo di separazione una volta omo-logato, giacché l’iniziativa processuale diretta ad acquisire l’omologazione, e quindi la condizione formale di coniugi separati, con le conseguenti implicazioni giuridiche, si risolve in una iniziativa nel senso della efficacia della separazione che vale a superare il precedente accordo simulatorio, ponendosi in antitesi con esso In senso contrario, non possono richiamarsi le pronunzie (Cass. 20 marzo 2008, n. 7450; Cass. 22 novembre 2007, n. 24321; Cass. 5 marzo 2001, n. 3149) che in sede di giudizio di revisione delle condizioni di separazione hanno affermato, con espressione certamente non assunta a ratio decidendi, che ogni questione relativa alla simulazione dell’accordo posto a base della separazione era estranea all’oggetto di quel giudizio e doveva essere prospet¬tata in apposita sede.
d) La piena validità degli accordi non trasfusi nella separazione consensuale anche suc¬cessivi alla omologazione
Anche sul punto relativo alla validità dei patti non trasfusi nella separazione si è assistito in giu¬risprudenza ad una evoluzione da posizioni restrittive secondo cui tutti gli accordi relativi alla separazione consensuale, indipendentemente dal loro oggetto e dal momento in cui intervengono, debbano essere sottoposti al controllo del giudice che, con il decreto di omologazione, vi conferisce efficacia, con la conseguenza che gli accordi non inseriti né richiamati nel verbale di separazione sono inefficaci, ad un orientamento favorevole a riconoscere come prioritario nella separazione consensuale l’aspetto negoziale ammettendosi quindi che i coniugi possano esprimere validamente la loro negozialità anche attraverso patti contestuali o precedenti la separazione, come nel caso di scritture private che i coniugi sottoscrivono per ragioni diverse a latere della separazione ma che non sono richiamate negli accordi o sono modificative degli accordi omologati.
Si tratta di una linea di tendenza molto chiara nella direzione del pieno riconoscimento della ne¬gozialità dei coniugi e dell’espansione della sfera di operatività dell’autonomia privata anche in relazione al diritto di famiglia.
Quanto alle pattuizioni convenute in scritture private tra i coniugi prima o contestualmente alla separazione e non trasfuse nell’accordo omologato il principio che trova applicazione è quello secondo cui tali pattuizioni sono operanti se si collocano in posizione di non interferenza rispetto all’accordo omologato o in posizione di maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato.
Questo criterio giurisprudenziale potrebbe essere incerto e portare alla inoperatività del principio ma il senso è comunque quello di garantire che non via siano prevaricazioni di un coniuge sull’altro e quindi di non ammettere la validità di patti che in relazione al loro contenuto potrebbero diminu¬ire le garanzie offerte dall’accordo omologato. Si pensi ad un patto con cui i coniugi convengano una sensibile riduzione dell’importo dell’assegno di mantenimento non compensata da contro¬prestazioni che giustifichino quella riduzione. In tal caso di fronte alla contestazione della validità della scrittura in questione il giudice all’attenzione del quale la questione viene portata (si pensi ad un giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo richiesto per l’importo dell’assegno omologato) potrebbe ritenere invalida la pattuizione. Da qui l’incertezza evidentemente del criterio proposto. In ogni caso tali pattuizioni si configurano come contratti atipici, aventi presupposti e finalità di¬versi ed autonomi rispetto al contenuto tipico del regolamento concordato tra i coniugi, destinato ad acquistare efficacia giuridica con l’omologazione. A tali pattuizioni, pertanto, può riconoscersi validità solo in quanto risultino tali da assicurare una maggiore vantaggiosità all’interesse protetto dalla norma, ovvero concernano un aspetto non preso in considerazione dall’accordo omologato e sicuramente compatibile con questo, o ancora costituiscano clausole meramente specificative dell’accordo stesso, non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull’accordo omologato con soluzioni alternative di cui non sia certa a priori la uguale o migliore rispondenza all’interesse tutelato attraversi il controllo giudiziario ex art. 158 c.c. (Cass. civ. Sez. I, 8 novembre 2006, n. 23801 che ha ritenuto valido un patto a latere di trasferimento di beni immobili; Cass. civ. Sez. I, 30 agosto 2004, n. 17434 che ha ritenuto valido un patto con cui si aumentava l’importo dell’assegno di mantenimento; Cass. civ. Sez. I, 10 ottobre 2005, n. 20290 che ha ritenuto valida una scrittura privata relativa alla vendita della casa assegnata alla moglie; Cass. civ. Sez. III, 24 ottobre 2007, n. 22329 che ha ritenuto valida la promessa di cessione di un coniuge all’altro della comproprietà dell’immobile; Cass. civ. Sez. I, 28 luglio 1997, n. 7029 che rite¬neva valido un accordo di pagamento di un assegno mensile per tre anni; nella giurisprudenza di merito Trib. Livorno, 7 febbraio 2018; Trib. Roma Sez. I, 26 marzo 2013; Trib. Milano Sez. III, 20 settembre 2011; Trib. Milano, 11 maggio 2009; Trib. Lecce, 15 aprile 2003).
Per quanto attiene alle modificazioni degli accordi successive all’omologazione della separazione ovvero alla pronuncia presidenziale di cui all’art. 708 c.p.c., trovando legittimo fondamento nel disposto dell’art. 1322 c.c., devono ritenersi valide ed efficaci, a prescindere dall’intervento del giudice ex art. 710 c.p.c., “qualora non superino il limite di derogabilità consentito dall’art. 160 c.c.” – cioè quando non violino i diritti fondamentali garantiti tra i coniugi (si pensi alla rinuncia all’assegno con controbilanciata da nulla) – e, in particolare, quando non interferiscano con l’ac¬cordo omologato, ma ne specifichino il contenuto con disposizioni maggiormente rispondenti con gli interessi ivi tutelati; anche in questo caso prevale quindi l’esigenza di non esporre un accordo omologato alla prevaricazione di una parte sull’altra (Cass. civ. Sez. I, 11 giugno 1998, n. 5829; Cass. civ. Sez. I, 10 ottobre 2005, n. 20290; Cass. civ. Sez. I, 30 agosto 2004, n. 17434).
La negozialità tra i coniugi può esprimersi certamente anche in relazione alle condizioni relative all’affidamento e al mantenimento dei figli.
e) Le attribuzioni patrimoniali, il trust e la costituzione di vincoli di destinazione
L’inquadramento contrattualistico della separazione consensuale consente di esaltare le possibilità offerte dalla negozialità molto oltre il tradizionale campo dell’assetto economico stabilito con il semplice assegno di mantenimento. Mentre il giudice è vincolato a questa modalità di determina¬zione dell’assetto post-matrimoniale, essendo escluso un suo qualunque intervento sugli aspetti negoziali, viceversa i coniugi possono, nella sistemazione dei rapporti patrimoniali effettuata con la separazione consensuale, convenire forme di attribuzione economica, integrative o sostitutive dell’assegno di mantenimento, in funzione satisfattiva dell’obbligo di assistenza coniugale.
Naturalmente siamo fuori della previsione di definitività prevista nell’art. 5, comma 8 della legge sul divorzio dove si prevede che “su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione, ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico”.
La caratteristica di definitività e di irreversibile tacitazione delle rispettive pretese attribuita all’as¬segno una tantum divorzile non è estensibile alla separazione – ostandovi non solo l’assenza di una norma specifica che lo preveda – ancorché il mantenimento possa, in sede di separazione con¬sensuale, essere certamente attribuito in un’unica soluzione, anche sotto forma di trasferimento di diritti reali.
L’autonomia negoziale trova, perciò, ampio spazio anche in sede di separazione e pertanto i coniu¬gi possono certamente convenire che l’assolvimento dell’obbligazione di mantenimento coniugale avvenga mediante una prestazione monetaria una tantum o una determinata attribuzione patri¬moniale ovvero un trasferimento di diritti reali. Quindi l’accordo dei coniugi in sede di separazione sulla corresponsione del mantenimento in un’unica soluzione o mediante un trasferimento patri¬moniale, ancorché venisse qualificato “a definitiva sistemazione di ogni reciproca pretesa derivante dal matrimonio”, non potrà inibire nuove domande economiche e non potrà impedire che il giudice accolga una domanda di attribuzione dell’assegno divorzile o di revisione delle condizioni econo¬miche pattuite.
La questione è stata affrontata in passato da Cass. civ. Sez. I, 10 marzo 2006, n. 5302 la qua¬le, dando per presupposto il diritto delle parti a concordare tra di loro in sede di separazione un mantenimento in unica soluzione, aveva espressamente affermato che quell’accordo non avrebbe mai potuto considerarsi dotato del carattere di definitività analogo a quello previsto in sede di¬vorzile dalla legge. Si legge nella sentenza che gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, i reciproci rapporti economici una volta per tutte sono nulli avuto riguardo alla natura assistenziale di detto assegno, previsto a tutela del coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo con la conseguenza che “la disposizione dell’art. 5, ottavo comma, della legge n. 898 del 1970 nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987 – a norma del quale, su accordo delle parti, la corresponsione dell’assegno divorzile può avvenire in un’unica soluzione, ove ritenuta equa dal tribunale, senza che si possa, in tal caso, proporre alcuna successiva domanda a conte¬nuto economico – non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio, e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati secundum ius, non possono implicare rinuncia all’assegno di divorzio”.
Nella medesima prospettiva Cass. civ. Sez. VI, 25 luglio 2014, n. 17028 ha ribadito – in conformità ad una giurisprudenza sul punto assolutamente consolidata – che la determinazione dell’assegno divorzile è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separa¬zione dei coniugi. Conseguentemente, anche se negli accordi di separazione è stato pattuito che nessun assegno venga versato dal marito per il mantenimento della moglie, è comunque il giudice a dover procedere alla verifica del rapporto delle attuali condizioni economiche delle parti con il pregresso stile di vita coniugale, e decidere poi sull’eventuale diniego o sull’eventuale riconosci¬mento al coniuge debole dell’assegno divorzile.
Pertanto deve affermarsi che i coniugi sono liberi di concordare in sede di separazione l’assetto economico post-coniugale anche attraverso modalità diverse dalla corresponsione dell’assegno periodico di separazione – come nella vicenda sopra descritta in cui l’accordo prevedeva reciproche (in altri casi unilaterali) rimesse patrimoniali anche molto consistenti, ed anche (come effetto di quelle attribuzioni) rinunciando all’assegno di separazione – ma non possono validamente attribu¬ire a quell’accordo natura di definitività, analoga a quella che la legge sul divorzio prevede come conseguenza della corresponsione del mantenimento divorzile in unica soluzione. Ove lo facessero, il giudice del divorzio potrebbe sempre ritenere non vincolante quell’accordo.
Molte sono anche le espressioni della negozialità rese possibili da istituti che operano la separazio¬ne e la destinazione di patrimoni a beneficio di interessi meritevoli di tutela quali indubbiamente sono quelli relativi alla definizione dell’assetto post-matrimoniale4.
Il trust è un esempio di separazione di patrimonio per il perseguimento di interessi non tipicizzati, cioè capace di adattarsi al perseguimento di interessi di diversa natura. Non ne esiste una discipli¬na giuridica di diritto positivo italiano. E’ disciplinato dalla “Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento” adottata all’Aja il 1° luglio 1985, ratificata dall’Italia con legge 16 ottobre 1989, n. 364, in vigore dal 1° gennaio 1992.
La disciplina del trust si caratterizza per il fatto che la Convenzione – recependo il modello anglo¬sassone della distinzione tra proprietà “reale” e proprietà “personale” – consente che negli ordina¬menti in cui è ratificata si possa realizzare la costituzione di un patrimonio separato a tutela della posizione di determinati beneficiari. La proprietà “personale” da parte del trustee (cioè del fiducia¬rio) del patrimonio fiduciariamente amministrato è una relazione tra un soggetto e un bene il cui contenuto può essere di volta in volta differente ed estrinsecarsi in un potere di amministrazione o in un potere di custodia. Ritorna qui la distinzione tra interessi dinamici e interessi conservativi. Si tratta, perciò, nella sostanza di un mandato “fiduciario” ad amministrare o a custodire che diventa “obbligatorio” in connessione con quanto prevede la Convenzione (dove si specifica che il trustee è obbligato all’attuazione dello scopo e che i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee: art. 2 e 11). Il patrimonio confluito nel trust viene ad ap¬partenere, quindi, ad una entità autonoma e distinta rispetto a chiunque altro, alla quale vanno imputati gli effetti degli atti gestori posti in essere dal trustee che amministra i beni in trust, sotto la propria responsabilità e nell’interesse del beneficiario, come se il patrimonio gestito fosse di quest’ultimo il quale, però, non può rivendicarne la proprietà.
Nel 2006 nel nostro sistema giuridico è stata introdotta una norma di carattere generale che, per il perseguimento di qualsiasi interesse meritevole di tutela, consente la trascrivibilità, con effetti erga omnes, di vincoli su beni immobili o mobili registrati. Si tratta dell’art. 2645-ter c.c. (intro¬dotto nel nostro sistema giuridico dall’art. 39-novies della legge 23 febbraio 2006, n. 51) con cui il legislatore ha previsto la possibilità (contrattuale o unilaterale) di destinare – per un certo tempo o per la durata della vita del beneficiario – specifici beni immobili (o mobili registrati) ad uno scopo meritevole di tutela, attraverso la trascrizione nei registri immobiliari del vincolo di destinazione, opponibile a tutti i creditori (salvo a quelli di destinazione).
Si tratta di una norma che non definisce nella sostanza l’atto di destinazione attraverso cui rea¬lizzare l’interesse avuto di mira (per questo si parla di destinazione atipica) e che secondo alcuni non ha introdotto, perciò, una nuova fattispecie ad effetti reali, ma soltanto un particolare tipo di effetto negoziale obbligatorio, appunto quello di destinazione, opponibile quale conseguenza della trascrizione. Secondo questa linea interpretativa l’effetto destinatorio sarebbe, anzi, accessorio rispetto agli effetti di un negozio cui si dovrebbe necessariamente accompagnare e non sarebbe possibile, quindi, l’imposizione del vincolo di destinazione senza il contestuale trasferimento della proprietà immobiliare.
L’art. 2645-ter intitolato “Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi me¬ritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche” prevede che “gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo superiore ai novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di desti¬nazione; per la realizzazione di tali interessi può agire oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’art. 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo”.
La norma ha introdotto nel nostro sistema la possibilità, quindi, di separare una massa patrimo¬niale dal proprio patrimonio, purché la separazione in questione sia finalizzata al perseguimento di interessi meritevoli di tutela (non tipicamente indicati dal legislatore), e di poter trascrivere questa destinazione per renderla opponibile erga omnes. Un’eccezione, quindi, ad uno dei principi fondamentali del nostro sistema giuridico: quello secondo cui il debitore risponde dell’adempimen¬to delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.), principio inderogabile di ordine pubblico che non consente limitazioni di responsabilità se non nei casi espressamente stabiliti dalla legge, anche se si tratta di un principio largamente ormai eroso dall’introduzione di molteplici eccezioni normative. Dal 2006, dunque, l’art. 2645-ter del codice civile è diventato, appunto, uno dei casi previsti dalla legge in cui è consentita una limitazione di responsabilità del debitore, attraverso la segregazione di una parte del patrimonio riservata alla soddisfazione dei soli creditori dello scopo perseguito.
La maggior parte degli scopi meritevoli di tutela fanno riferimento alle aree tradizionali della soli¬darietà sociale e familiare. Pertanto il diritto di famiglia è l’area elettiva dell’espansione prevedibile dell’artt. 2645-ter del codice civile. I “bisogni della famiglia” costituiscono d’altro lato nell’espe¬rienza storica del diritto di famiglia il settore maggiormente esplorato in tema di segregazione patrimoniale (art. 170 c.c.: fondo patrimoniale; art. 28 c.c.: fondazioni di famiglia). Il diritto di famiglia è affollato di “interessi meritevoli di tutela”: il mantenimento, l’educazione, l’istruzione professionale, l’avviamento al lavoro, la protezione degli incapaci, la tutela dei minori, la solidarie¬tà coniugale, familiare e parentale, la tutela delle situazioni di svantaggio, di invalidità, di malattia, di dipendenza, la protezione degli anziani, l’assistenza sociale e sanitaria.
La giurisprudenza ha riconosciuto legittimo un vincolo di destinazione contenuto in un accordo di separazione consensuale nel quale un coniuge si era impegnato ad apporre il vincolo sugli immo¬bili di sua proprietà a garanzia di doveri alimentari, obbligandosi a non cedere gli immobili a terzi (Trib. Bologna, 5 dicembre 2009); un vincolo di destinazione per far fronte al mantenimento di un figlio nato fuori dal matrimonio (Trib. Trieste, 19 settembre 2007); un vincolo in sede di separazione a garanzia del mantenimento dei figli (Trib. Reggio Emilia, 26 marzo 2007 che ha omologato l’accordo in forza del quale l’obbligo di mantenimento nei confronti dei figli minori incombente sul coniuge veniva adempiuto, in unica soluzione, mediante il trasferimento in capo all’altro coniuge della piena proprietà di beni immobili, gravati di un vincolo di destinazione ai sensi dell’art. 2645-ter del codice civile; il coniuge proprietario si impegnava in virtù di tale vincolo, ad impiegare i frutti derivanti dagli immobili per il mantenimento dei figli e a non alienare gli stessi immobili fino al raggiungimento dell’autosufficienza economica dell’ultimo figlio).
Tutte le soluzioni negoziali adottate dai coniugi sono naturalmente sempre esposte all’azione re¬vocatoria5 non ostandovi l’omologazione dell’accordo da parte del tribunale (Cass. civ. Sez. III, 14 marzo 2006, n. 5473; C. Conti Sicilia Sez. giurisdiz. 23 febbraio 2017, n. 111 Trib. Taranto Sez. I, 1 agosto 2017).
f) Efficacia rebus sic stantibus dell’accordo ma non modificabilità degli accordi con¬trattuali
Nelle due importanti decisioni sopra riportate che hanno negato l’ammissibilità dell’impugnazione per simulazione della separazione consensuale (Cass. civ. Sez. I, 20 novembre 2003, n. 17607 e Cass. civ. Sez. I, 12 settembre 2014, n. 19319) – sia pur criticate per la conclusione spe¬cifica a cui sono giunte – i giudici della Cassazione hanno ribadito con particolare chiarezza, come si è detto, il punto di vista della giurisprudenza sulla natura giuridica dell’accordo che sorregge la separazione consensuale, sul rapporto tra tale accordo ed il decreto di omologazione, nonché sulla natura e sulla funzione dell’intervento giurisdizionale, ribadendo che la giurisprudenza di legittimi¬tà, è orientata nel senso che la separazione trova la sua unica fonte nel consenso manifestato dai coniugi dinanzi al presidente del tribunale e che la successiva omologazione è unicamente diretta ad attribuire efficacia dall’esterno all’accordo di separazione, assumendo la funzione di condizione sospensiva della produzione degli effetti delle pattuizioni stipulate tra i coniugi, già integranti un negozio giuridico perfetto ed autonomo.
Effettivamente, come anche si è visto, la Corte di cassazione ha in più occasioni qualificato l’ac¬cordo di separazione come atto essenzialmente negoziale, espressione della capacità dei coniugi di autodeterminarsi responsabilmente, tanto da definirlo come uno dei momenti di più significativa emersione della negozialità nel diritto di famiglia (Cass. civ. Sez. I, 15 maggio 1997, n. 4306; Cass. civ. Sez. I, 15 marzo 1991, n. 2788; Cass. civ. Sez. I, 5 marzo 2001, n. 3149; Cass. civ. Sez. I, 4 settembre 2004, n. 17902; Cass. civ. Sez. I, 29 marzo 2005, n. 6625).
L’inquadramento pacifico nella categoria negoziale, se comporta la non operatività delle norme proprie del contratto che trovano ragione nella specifica natura di questo, non esclude che possa¬no applicarsi, nei limiti della loro compatibilità, le norme del regime contrattuale che riguardano in generale la disciplina del negozio giuridico o che esprimono principi generali dell’ordinamento, come quelle in tema di vizi del consenso e di capacità delle parti. E non è comunque ravvisabi¬le, nell’atto di omologazione, una funzione sostitutiva o integrativa della volontà delle parti o di governo dell’autonomia dei coniugi. L’atto di omologazione non è legato da un rapporto diretto ed immediato con il negozio di separazione, non investendo l’accordo in sé e non svolgendo una funzione sostitutiva o integrativa della volontà delle parti (Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2007, n. 24321; Cass. civ. Sez. I, 20 marzo 2008, n. 7450) in quanto diretto a controllare la validità dell’”iter” processuale, a tutelare l’interesse dei figli minori ed a verificare il rispetto delle norme di ordine pubblico, esso non governa l’autonomia dei coniugi e non si confonde, ma si combina in maniera estrinseca con la loro volontà, fissata nell’accordo da omologare.
Molto efficacemente in alcune sentenze – da ultimo in Cass. civ. Sez. I, 19 agosto 2015, n. 16909 – si è affermato che l’accordo di separazione ha un contenuto essenziale ed un contenuto eventuale, distinzione che può essere mantenuta per meglio comprendere quanto tra breve si dirà in ordine alle conseguenze in tema di modificabilità (e che è, però, stata superata, come si è detto, nella prospettiva della concessione a tutto l’accordo in sé, e non solo nella sua parte essenziale, dell’esenzione fiscale). Si osserva, in sostanza, che l’accordo mediante il quale i coniugi pongo¬no consensualmente termine alla convivenza può racchiudere una pluralità di pattuizioni, oltre a quelle che integrano il suo contenuto tipico e che a questo non sono immediatamente riferibili, nel senso esattamente, cioè, che l’accordo stesso è suscettibile di riguardare negozi i quali, pur trovando la loro occasione nella separazione consensuale, non hanno causa in essa, risultando appunto semplicemente “occasionati” dalla separazione medesima senza dipendere dai diritti e dagli obblighi che derivano dal matrimonio, onde tali negozi costituiscono espressione di libera autonomia contrattuale, sempre che non comportino una lesione di diritti inderogabili (si può fare riferimento, tra le altre, alle già richiamata Cass. civ. Sez. I, 15 maggio 1997, n. 4306; Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2007, n. 24321; Cass. civ. Sez. III, 14 marzo 2006, n. 5473).
Acquisita quindi la conclusione che gli accordi in sede di separazione e divorzio hanno certamente tutti natura negoziale, occorre brevemente esaminare i problemi derivanti dalla riconosciuta effi¬cacia rebus sic stantibus delle clausole della separazione (Cass. civ. Sez. VI, 18 luglio 2013, n. 17618; Cass. civ. Sez. I, 8 maggio 2013, n. 10720; Cass. civ. Sez. I, 29 dicembre 2011, n. 30033; Cass. civ. Sez. I, 9 maggio 2011, n. 10077) per verificare se anche quelle negoziali cui è attribuita natura contrattuale siano o meno soggette a questa efficacia non definitiva.
Il problema (il mito) della clausola rebus sic stantibus ricorre di continuo tra i temi più scottanti del “diritto contrattuale di famiglia”, in particolare ogni volta che si tenta di ricondurre gli accordi al principio della necessaria stabilità tra le parti delle pattuizioni negoziali. L’opinione della giurispru¬denza sulla validità rebus sic stantibus dei provvedimenti sui figli e sui provvedimenti economici nel diritto di famiglia appare del tutto consolidata ed alla base stessa dei principi di modificabilità espressi nell’art. 710 c.p.c. e nell’art. 9 della legge sul divorzio.
A questo riguarda occorre dare conto più approfonditamente della distinzione, che a questi fini può essere utile mantenere, tra contenuto necessario degli accordi di separazione e di divorzio (da qualcuno definito “tipico” e in sostanza coincidente con le clausole collegate ai diritti e agli obbli¬ghi nascenti dal matrimonio) e contenuto eventuale (da qualcuno definito “atipico” concernente clausole di vario contenuto che le parti possono sempre liberamente inserire nella loro separazio¬ne o nel loro divorzio). Nel contenuto necessario si indicano anche clausole negoziali collegate al mantenimento mentre nel contenuto eventuale si aggregano clausole contrattuali soltanto “occa¬sionate dalla separazione” e che potrebbero anche essere stipulate al di fuori della separazione.
La distinzione serve a chiarire che tutto quanto attiene al contenuto necessario della separazione e del divorzio (riferibile all’affidamento e al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa familiare, alle statuizioni economiche tra coniugi relative all’assegno di mantenimento), ancorché frutto di accordo tra le parti, non può che soggiacere alla clausola rebus sic stantibus che costitui¬sce una regola necessaria nel diritto di famiglia, destinato per natura, ad adeguarsi alle circostanze sopravvenute, intuitivamente per quanto riguarda i figli e con ogni necessario accorgimento, per evitare rendite di posizione, per ciò che concerne i rapporti economici tra i coniugi (Corte costitu¬zionale 11 febbraio 2015, n. 11 che ha confermato la piena legittimità di quell’orientamento che in giurisprudenza tende a ridimensionare il peso del pregresso tenore di vita a vantaggio degli altri elementi che la legge sul divorzio indica quali criteri di attribuzione e quantificazione dell’assegno).
Non così, però, per il contenuto negoziale eventuale, sottratto certamente al potere di intervento del tribunale. Non è pensabile che gli accordi concernenti questioni che soltanto le parti possono negoziare e concordare (un trasferimento immobiliare, la trascrizione di un vincolo di destina¬zione, una donazione, un trust, appunto la determinazione una tantum del mantenimento e così via, quale che ne sia il loro carattere: divisorio, risarcitorio, compensativo) possano essere elusi dall’applicazione di una regola quale quella della validità rebus sic stantibus delle condizioni di se¬parazione e divorzio che qui contrasterebbe irrimediabilmente con il principio che “il contratto ha forza di legge tra le parti” e che “non può essere sciolto che per mutuo consenso” (art. 1372 c.c.).
A questa conclusione è giunta testualmente la giurisprudenza in due sentenze. Dapprima con Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18066 in cui in sostanza si afferma che le clausole di trasferimento di immobile tra coniugi ovvero da uno dei genitori al figlio minore recepita dalla sentenza di divorzio, non sono modificabile nelle forme e secondo la procedura di cui agli artt. 710 e 711 cod. proc. civ.
Successivamente lo stesso principio è stata espresso da Cass. civ. Sez. I, 19 agosto 2015, n. 16909 la quale, sul presupposto proprio della differenza tra contenuto essenziale e contenuto eventuale, ha escluso nel modo più assoluto che le clausole contrattuali eventuali possano essere oggetto di modifica su domanda di parte. Si legge in questa importante sentenza che la separa¬zione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti (in sostanza le pattuizioni volte ad assolvere ai doveri di solidarietà coniugale per il tempo successivo alla separazione) – ed un contenuto eventuale, non direttamente collegato al precedente matrimonio, ma costituito dalle pattuizioni che i coniugi intendono concludere in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata, a seconda della situazione pregressa e concernenti altre statuizioni economiche. Pertanto, l’accordo mediante il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può racchiudere ulteriori pattuizioni, distinte da quelle che integrano il suo contenuto tipico predetto e che ad esso non sono immediatamente riferibili: si tratta di quegli accordi che pur trovando la loro occasione nella separazione consensuale, non han¬no causa in essa, risultando semplicemente assunti “in occasione” della separazione medesima, senza dipendere dai diritti e dagli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio, ma costituen¬do espressione di libera autonomia contrattuale (nel senso che servono a costituire, modificare od estinguere rapporti giuridici patrimoniali ai sensi dell’art. 1321 c.c.), al fine di regolare in modo tendenzialmente completo tutti i pregressi rapporti, e che sono del tutto leciti, secondo le ordinarie regole civilistiche negoziali e purché non ledano diritti inderogabili. Queste diverse pattuizioni – concludono i giudici della prima sezione della Corte di cassazione – si configurano come del tutto autonome e riguardano profili fra di loro pienamente compatibili, sebbene diverso ne sarà il tratta¬mento allorché una delle parti ne chieda la modifica o la conferma, in sede di ricorso ad hoc ex art. 710 c.p.c. o in sede di divorzio. Infatti, in caso di sopravvenienza di un quid novi, modificativo della situazione in relazione alla quale gli accordi erano stati stipulati, è possibile la modificazione degli accordi solo con riguardo alle clausole aventi causa nella separazione personale, ma non per gli autonomi patti, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell’art. 1372 del codice civile.
La parte negoziale necessaria della separazione consensuale è, quindi, modificabile in ragione della clausola rebus sic stantibus, mentre la parte contrattuale eventuale è soggetta alla regola pacta sunt servanda.
IV La procedura
All’interno delle norme del codice di procedura civile che concernono i procedimenti in materia di famiglia, l’art. 711 è dedicato alla separazione consensuale.
Art. 711 (Separazione consensuale)
Nel caso di separazione consensuale previsto nell’articolo 158 del codice civile, il presidente, su ricorso di entrambi i coniugi, deve sentirli nel giorno da lui stabilito e curare di conciliarli nel modo indicato nell’articolo 708.
Se il ricorso è presentato da uno solo dei coniugi, si applica l’articolo 706 ultimo comma.
Se la conciliazione non riesce, si dà atto nel processo verbale del consenso dei coniu¬gi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole.
La separazione consensuale acquista efficacia con la omologazione del tribunale, il quale provvede in camera di consiglio su relazione del presidente.
Le condizioni della separazione consensuale sono modificabili a norma dell’articolo precedente.
Naturalmente questa disposizione – pur autosufficiente – non può essere letta se non insieme ad altre che la precedono, relative alla separazione personale dei coniugi e che, come norme in parte applicabili anche alla separazione consensuale, discipli¬nano la fase di avvio anche nelle procedure di separazione giudiziale (articoli 706 e 707 c.p.c.)6.
Nonostante la semplicità del testo della norma, sono molteplici i problemi che questa disposizione presenta.
a) La natura del ricorso introduttivo
Il codice di procedura definisce ricorso l’atto introduttivo della separazione consensuale (art. 711) così come quello della separazione giudiziale (art. 707), attribuendo, quindi, forma e natura ca¬merale al procedimento di separazione consensuale (e alla fase iniziale presidenziale di quello
6 Art. 706 (Forma della domanda)
La domanda di separazione personale si propone al tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio, con ricorso che deve conte¬nere l’esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata.
Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero, o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente, e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica.
Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve essere tenuta entro novanta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto, ed il termine entro cui il coniuge convenuto può deposita¬re memoria difensiva e documenti. Al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate.
Nel ricorso deve essere indicata l’esistenza di figli di entrambi i coniugi. (2)
Art. 707 (Comparizione personale delle parti)
I coniugi debbono comparire personalmente davanti al presidente con l’assistenza del difensore.
Se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto.
Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata.
giudiziale).
Trattandosi di un procedimento di volontaria giurisdizione non è previsto per la separazione con¬sensuale l’obbligo dell’assistenza legale (non trovando applicazione l’art. 82 c.p.c. che limita alle cause contenziose l’obbligo del patrocinio legale), anche se nella maggior parte dei casi il ricorso consensuale è redatto da uno o più avvocati e contiene la procura al difensore.
L’obbligo dell’assistenza da parte di un avvocato (uno per parte) è invece previsto per il caso in cui i coniugi procedano alla separazione attraverso un accordo di negoziazione assistita (art. 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.132, come modificato dalla legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162).
b) La competenza territoriale inderogabile
La competenza territoriale (valida anche per l’individuazione del Procuratore della repubblica com¬petente per la procedura terminale della negoziazione assistita) è indicata nell’art. 706 – con riferimento sia alla procedura giudiziale che a quella consensuale – nel “tribunale del luogo dell’ul¬tima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio”.
Si tratta di competenza inderogabile in quanto l’art. 28 c.p.c. esclude che il foro territoriale possa esse stabilito per accordo delle parti nelle “cause previste nei numeri 1, 2, 3 e 5 dell’art. 70” e cioè nelle cause in cui il pubblico ministero deve intervenire, a pena di nullità rilevabile d’ufficio, tra cui, appunto, “le cause matrimoniali, comprese quelle di separazione personale dei coniugi” (art. 70 n. 2).
c) Inapplicabilità analogica del criterio per il divorzio a domanda congiunta del foro del luogo di residenza dell’uno o dell’altro coniuge
L’ultima parte del primo comma dell’art. 4 della legge sul divorzio prevede che “La domanda con¬giunta può essere proposta al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’uno o dell’altro coniuge”.
Una tale disposizione sarebbe del tutto logico e ragionevole che venisse applicata anche alla se¬parazione. Tuttavia, considerata la natura eccezionale della disposizione divorzile, nella prassi non viene considerata applicabile la stessa regola alla separazione. Con la conseguenza che per la separazione consensuale l’unico criterio ammissibile sembra essere quello della competenza terri¬toriale “del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio”.
L’opinione comunque che la domanda di separazione consensuale possa essere proposta indiffe-rentemente al tribunale del luogo di residenza o domicilio dell’uno o dell’altro coniuge non sarebbe del tutto irragionevole neanche dal punto di vista strettamente giuridico. Il criterio previsto per il divorzio a domanda congiunta nell’art. 4 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sarebbe infatti applicabile alla separazione ex art. 23 legge 6 marzo 1987, n. 74 che estende alla separazione le norme processuali sul divorzio. In dottrina si discute se l’art. 23 della legge 74/1987 – la cui appli¬cazione è espressamente stabilita “fino all’entrata in vigore del nuovo testo del codice di procedura civile” – possa essere considerato ancora in vigore dopo le riforme processuali sulla separazione e sul divorzio degli ultimi anni (che hanno ristrutturato autonomamente i due procedimenti); nella giurisprudenza di legittimità la norma è stata ritenuta ancora operante sul presupposto che le pur numerose modifiche legislative non hanno realizzato una organica riforma processuale (Cass. civ. Sez. I, 27 aprile 2011, n. 9373; Cass. civ. Sez. I, 28 giugno 2006, n. 15017).
d) Il rilievo dell’incompetenza territoriale e la non impugnabilità dell’ordinanza che la dichiara
Secondo l’art. 38 c.p.c. “l’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio sono eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata”. E’ eviden¬te che, trattandosi di un ricorso congiunto, la disposizione non può trovare applicazione. Pertanto può applicarsi soltanto il secondo comma della norma dove si prevede che “L’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti dall’articolo 28 sono rilevate d’uf¬ficio non oltre l’udienza di cui all’articolo 183” e cioè – nell’interpretazione datane pacificamente – “non oltre la prima udienza” e quindi all’udienza presidenziale.
La questione è decisa, dal Presidente del tribunale ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti (art. 38).
In seguito alla riforma operata con la legge 18 giugno 2009, n. 69 tutte le questioni relative alla competenza sono decise dal giudice della causa con ordinanza “in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall’eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni”. Quin7di si tratta di una ordinanza e non più di una sentenza.
L’ordinanza che decide solo sull’eccezione di incompetenza senza decidere nel merito è impugna¬bile esclusivamente con regolamento (necessario) di competenza (art. 42 c.p.c.) sul quale come è noto si pronuncia la Corte di cassazione.
La giurisprudenza ritiene, però, inammissibile il regolamento di competenza avverso provvedi¬menti che non abbiano natura definitiva e decisoria come tutti quelli adottati dal tribunale per i minorenni o dal tribunale ordinario per regolamentare l’affidamento dei figli minori e in tutti i pro¬cedimenti di volontaria giurisdizione (Cass. civ. Sez. Unite, 10 ottobre 2003, n. 14671) trova applicazione la regola in base alla quale la non ricorribilità per cassazione del provvedimento finale si estende a qualsiasi violazione anche processuale del procedimento.
Non può, quindi, trovare applicazione, secondo la giurisprudenza, l’art. 42 c.p.c. in base al quale l’ordinanza che dichiara la l’incompetenza può essere impugnata soltanto con istanza di rego¬lamento di competenza. Ciò perché, concludendosi la procedura della separazione consensuale con un provvedimento di volontaria giurisdizione reclamabile ma senza che il decreto camerale della Corte d’appello possa essere a sua volta ricorribile per cassazione (art. 739, ult. co. c.p.c.) (Cass. civ. Sez. I, 8 marzo 2001, n. 3390 dove si precisa che in tema di separazione personale tra coniugi, il decreto di omologazione di detta separazione non è impugnabile per cassazione ex art. 111 cost. per mancanza dei richiesti caratteri di definitività e decisorietà. Esso, infatti, pur incidendo su diritti soggettivi, non decide sugli stessi, e non ha, pertanto, attitudine ad acqui¬stare l’efficacia del giudicato sostanziale. Ne consegue altresì la inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 cost. avverso il provvedimento della Corte d’appello che pronuncia sul reclamo avverso il decreto in questione. Ugualmente Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2013, n. 26202 secondo cui avverso il provvedimento emesso dalla corte d’appello che ha pronunciato sul reclamo nei confronti del decreto di omologa della separazione consensuale dei coniugi non è ammesso il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. per mancanza dei richiesti caratteri di definitività e decisorietà, poiché detto provvedimento incide su diritti soggettivi, senza tuttavia decidere su di essi e non ha attitudine ad acquistare l’efficacia del giudicato sostanziale. Non può, pertanto, essere proposto ricorso straordinario per Cassazione contro il provvedimento della Corte d’appello che dichiari inammissibile il reclamo avverso il decreto di omologazione di una separazione consensuale.
e) La fissazione dell’udienza presidenziale
Anche se si tratta di un procedimento non contenzioso non vi sono ragioni per escludere l’ap¬plicazione di quanto previsto nell’art. 706 c.p.c. in ordine alla fissazione della data dell’udienza presidenziale entro i “cinque giorni successivi al deposito in cancelleria” del ricorso, in ordine all’in¬dicazione che l’udienza presidenziale “deve essere tenuta entro novanta giorni dal deposito del ricorso”. Nella prassi questi termini vengono considerati tuttavia del tutto ordinatori.
Naturalmente il decreto di fissazione dell’udienza va notificato insieme al ricorso introduttivo del giudizio solamente nel caso in cui la domanda sia stata proposta da uno soltanto dei coniugi, men¬tre se è stata proposta congiuntamente la notifica non è assolutamente necessaria.
f) L’udienza presidenziale e la comparizione personale delle parti
L’udienza presidenziale ha una struttura semplificata dovendosi limitare il presidente a prendere atto delle condizioni di separazione concordate dai coniugi raccogliendo il loro consenso e potendo interloquire soltanto, come si è detto, “relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli” (art. 158 c.c.).
Le parti devono comparire personalmente non essendo prevista la possibilità di una procura a terze persone. La separazione è un atto personalissimo per il quale non è ammessa la rappresentanza.
Se uno o entrambi i coniugi non compaiono all’udienza fissata cessano gli effetti della domanda e il processo deve essere archiviato.
La legge prevede pe di più l’obbligo del tentativo di conciliazione, inteso evidentemente nel si¬gnificato tradizionale di tentativo di riconciliazione. Un incombente realizzato dal Presidente del tribunale spesso senza troppa convinzione e talvolta anche omesso. Se il tentativo di conciliazione dovesse avere effetto positivo il presidente farà redigere ai sensi dell’art. 126 c.p.c. il processo verbale di conciliazione e il giudizio si estingue.
Una decisione di merito ha negato l’omologazione della separazione consensuale in un caso in cui, all’udienza presidenziale, non è stato possibile effettuare il tentativo di conciliazione in quanto i coniugi, anziché comparire personalmente, si sono fatti sostituire da procuratori speciali (Trib Pavia 9 aprile 2003).
Non è vietato al presidente di assumere eventualmente informazioni o di procedere per esempio all’audizione di persone, anche se questo in genere non avviene.
g) L’assistenza legale
Non è previsto l’obbligo per le parti di essere assistite dal difensore in quanto l’art. 82 c.p.c. sull’obbligo delle parti di stare in giudizio con il ministero o con l’assistenza di un difensore trova applicazione nei soli giudizi contenziosi e non nell’ambito della volontaria giurisdizione.
Non trova applicazione, quindi, in questo caso, il primo comma dell’art. 707 c.p.c. (comparizione personale delle parti) ove si prescrive che “I coniugi debbono comparire personalmente davanti al presidente con l’assistenza del difensore”.
h) Il patrocinio a spese dello Stato
Anche nelle procedure di separazione consensuale è ammissibile il patrocinio a spese dello Stato.
Viceversa nelle procedure degiurisdizionalizzate di negoziazione assistita questo non è previsto8 e ciò rende meno appetibili le procedure alternative.
i) Il ricorso per separazione consensuale presentato da un solo coniuge
Sembra un paradosso ed è certamente infrequente, ma l’art. 711 c.p.c. prevede anche che il ricor¬so per separazione consensuale possa essere presentato anche da un solo coniuge (“Se il ricorso è presentato da uno solo dei coniugi, si applica l’articolo 706 ultimo comma.”).
In tal caso trova applicazione l’ultimo comma dell’art. 706 (nel testo precedente alla sostituzione di tale norma operata con il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80) che prevedeva che “il presidente fissa con decreto il giorno della comparizione dei coniugi davanti a sé e il termine per la notificazione del ricorso e del decreto”.
Pertanto in caso di ricorso presentato da un solo coniuge si attiva la procedura ordinaria del ricorso giudiziale.
l) L’intervento del Pubblico ministero
L’ordinamento giudiziario (Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12 e successive modificazioni) pre¬scrive in via generale all’art. 69 che il pubblico ministero “esercita le funzioni che la legge gli attri¬buisce” – prevedendo, perciò, una riserva di legge rispetto ai compiti a lui attribuiti (anche nuovi, come per esempio nel caso della negoziazione assistita ex art. 6 decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162) – mentre all’art. 75 prevede che “Il pub¬blico ministero esercita l’azione civile ed interviene nei processi civili nei casi stabiliti dalla legge…”9.
Le funzioni del pubblico ministero in ambito civile sono poi nel dettaglio precisate nel codice di procedura civile con l’attribuzione di: a) un dovere/potere di promovimento dell’azione civile li¬mitatamente ai casi stabiliti dalla legge e quindi tipicizzato (art. 69 10); b) un potere/dovere di iniziativa anch’esso tipicizzato affinché attraverso la nomina di un curatore speciale possa essere iniziata un’azione di status (articoli 244 e 264 c.c.); c) d’un dovere di intervento, a pena di nullità, nelle cause civili espressamente indicate e di un potere di intervento in quelle in cui è ravvisabile un “pubblico interesse” (art. 70 11).
L’intervento è obbligatorio, quindi, nei casi in cui il pubblico ministero ha potere di azione (art. 72 con riferimento all’art. 70, comma 1, n. 1, c.p.c.) e nelle cause tassativamente indicate nella parte residua dell’art. 70 c.p.c. (in cui il pubblico ministero non ha, naturalmente, potere di azione) che, limitatamente al settore del diritto di famiglia, sono le cause matrimoniali e quelle riguardanti lo stato e la capacità delle persone. Non vi è alcun motivo per non ritenere che anche la separazione consensuale costituisca una causa (in senso ampio) matrimoniale. Cass. civ. Sez. I, 14 luglio 1993, n. 7774 ha messo in dubbio che il pubblico ministero debba intervenire nel giudizio di se¬parazione consensuale.
Nei casi sopra richiamati di intervento il pubblico ministero non è “parte necessaria” ma “interven¬tore necessario” e pertanto non si verifica un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in quanto il con¬cetto di litisconsorzio è strettamente legato a quello di parte processuale. Il litisconsorzio riguarda solo le parti e non altri soggetti.
Per quanto riguarda i poteri del pubblico ministero interveniente ad essi fa riferimento l’art. 72 c.p.c. che li diversifica a seconda delle diverse ipotesi. Viceversa nei casi in cui fa difetto il pote¬re di azione del pubblico ministero – e quindi per quanto qui rileva, sostanzialmente nelle cause matrimoniali e di stato in cui il pubblico ministero non ha potere di azione (o ha solo un potere di semplice iniziativa) – l’intervento obbligatorio del pubblico ministero è connotato da poteri diversi. Egli – stando al testo dell’art. 72 c.p.c. – “può produrre documenti, dedurre prove e prendere con¬clusioni nei limiti delle domande proposte dalle parti”. Pertanto, non può formulare nuove richieste, ma concludere per l’accoglimento o il rigetto delle domande delle parti.
Quindi, conclusasi l’udienza presidenziale, il fascicolo del procedimento, viene rimesso a cura del
8 Il decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito con modificazioni nella legge 10 novembre 2014, n. 162 esclude l’applicazione delle norme sul patrocinio a spese dello Stato prevedendo anzi all’art. 3, comma 6, che “Quando il procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda, all’avvocato non è dovuto compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 e successive modificazioni”.
9 cfr la voce PUBBLICO MINSTERO
10 Art. 69. (Azione del pubblico ministero). Il pubblico ministero esercita l’azione civile nei casi stabiliti dalla legge.
11 Art. 70. (Intervento in causa del pubblico ministero). Il pubblico ministero deve intervenire, a pena di nullità rilevabile d’ufficio: 1) nelle cause che egli stesso potrebbe proporre; 2) nelle cause matrimoniali, comprese quel¬le di separazione personale dei coniugi; 3) nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone…5) negli altri casi previsti dalla legge.
Deve intervenire in ogni causa davanti alla Corte di cassazione.
Può infine intervenire in ogni altra causa in cui ravvisa un pubblico interesse.
cancelliere al Pubblico ministero per il suo parere sulla separazione. Il pubblico ministero svolge le sue conclusioni con la possibilità di rilevare il difetto di legittimazione processuale delle parti, il difetto di competenza territoriale e potrebbe esprimere il parere contrario all’omologazione della separazione a causa della presenza di clausole o condizioni contrastanti con l’interesse dei figli.
L’art. 72 c.p.c. espressamente prevede al terzo comma che “Il pubblico ministero può proporre impugnazioni contro le sentenze relative a cause matrimoniali, salvo che per quelle di separazione personale dei coniugi”. Pertanto è esclusa l’impugnazione da parte del PM della separazione con¬sensuale.
m) I poteri del PM nella separazione consensuale effettuata con la negoziazione assi¬stita
Secondo il decreto legge 12 settembre 2014, n.132, modificato dalla legge di conversione 10 no¬vembre 2014, n. 162 12una convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, oltre che di divorzio o di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
In mancanza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero economicamente non auto¬sufficienti, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita è trasmesso al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente il quale, quando non ravvisa irregola¬rità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti successivi di trasmissione all’ufficio di stato civile per l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio.
In presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero eco-nomicamente non autosufficienti, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, quando ritiene che l’accordo risponde all’interesse dei figli, lo autorizza. Quando ritiene, invece, che l’accordo non risponde all’interesse dei figli, il procuratore della Repubblica lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo ad autorizzare o meno l’accordo sempre ai fini dei successivi adempimenti relativi all’annotazione.
L’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di divorzio e di modifica delle relative condizioni.
Se, quindi, non vi sono figli minori (o maggiorenni non autosufficienti o nelle altre condizioni equi¬parate) – e quindi se non vi sono esigenze pubblicistiche di tutela da soddisfare – il procuratore della repubblica si limita all’apposizione di un nulla osta sull’accordo a condizione che non rinvenga irregolarità (mancanze e difetti formali o errori relativi per esempio ai termini non ancora decorsi per il divorzio o anche relativi alla competenza territoriale). Il pubblico ministero può richiedere documenti giustificativi per esempio sulla dichiarata autosufficienza o non incapacità di eventuali figli maggiorenni; in taluni casi potendo anche eventualmente disporre indagini. Le parti – avvi¬sate dell’eventuale diniego del nulla osta – dovranno regolarizzare l’accordo o sanare i vizi in altro modo, oppure rinunciare alla prospettiva della degiurisdizionalizzazione. Il diniego di nulla osta del pubblico ministero non è impugnabile e le parti non potranno che seguire la strada tradizionale giudiziaria.
Se, invece, vi sono figli minori (o maggiorenni non autosufficienti o portatori di handicap grave o altrimenti incapaci) il pubblico ministero dovrà procedere alla verifica di tipo pubblicistico della corrispondenza dell’accordo all’interesse dei figli (così espressamente l’art. 6 comma 2 della leg¬ge). Proprio a questo fine si conferma come necessaria la prassi instauratasi un po’ ovunque di richiedere l’allegazione di documentazione anche sui redditi, idonea a dare indicazioni sulla plausi¬bilità della clausole economiche relative al mantenimento dei figli. E’, però, soprattutto necessario che l’accordo esprima con sufficiente compiutezza le clausole dell’affidamento (analogamente a quanto già oggi avviene nella redazione degli atti di separazione consensuale) per consentirne la loro adeguata valutazione da parte del pubblico ministero.
L’uso del termine “autorizzazione” indicato per l’atto di competenza del procuratore della repubbli¬ca è sintomatico del fatto che la legge attribuisce alle parti un diritto vero e proprio di accordarsi. L’autorizzazione è, infatti, un provvedimento amministrativo che rimuove un ostacolo all’esercizio di un diritto già attribuito.
Il procuratore della repubblica non può bloccare il procedimento e restituire gli atti agli interessati con il diniego di autorizzazione. Infatti l’art. 6 prevede che se il pubblico ministero ritiene l’accordo corrispondente all’interesse dei figli lo autorizza con provvedimento (nella prassi apposto in calce all’accordo a lui trasmesso) da emettere entro cinque giorni (il termine in questione non è espres¬samente indicato ma lo si desume dal fatto che in caso di disaccordo sul contenuto il pubblico ministero ha cinque giorni di tempo per trasmettere l’accordo al presidente del tribunale). Se il pubblico ministero ritiene, invece, che l’accordo non sia conforme all’interesse dei figli, non può rigettare la richiesta di autorizzazione ma deve trasmettere l’accordo, appunto entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa la comparizione delle parti entro trenta giorni (cioè per una udienza da tenere non oltre i successivi trenta giorni) e “provvede senza ritardo”. Si ritiene – del tutto plausibilmente – che il provvedimento con cui il pubblico ministero trasmette l’accordo al presidente del tribunale debba essere motivato, per dare al presidente indicazioni sulle ritenute ragioni di dissenso circa il contenuto dell’accordo.
V Incapacità di agire e separazione consensuale
La natura negoziale dell’accordo di separazione – e quindi la piena applicazione delle regole del negozio giuridico tra cui la capacità di agire – esclude la possibilità di ipotizzare la separazione consensuale in caso di incapacità di agire di uno dei coniugi. Pertanto in caso di interdizione di uno dei coniugi non sarà possibile la separazione consensuale.
Viceversa il minore di età emancipato perché ammesso al matrimonio può certamente separarsi consensualmente anche senza l’intervento del curatore trattandosi un atto personalissimo, a meno che non siano concordati atti di straordinaria amministrazione.
VI Il consenso e la revoca del consenso
Uno dei problemi che ha interessato il dibattito in dottrina e giurisprudenza – ma che in verità non si presenta frequentemente – è quello relativo alla situazione che si verifica allorché dopo aver concordato le condizioni della separazione, uno dei coniugi ci ripensi e intenda dissentire rispetto alle condizioni concordate.
Questo ripensamento potrebbe verificarsi prima della conferma davanti al Presidente del tribunale delle condizioni che erano state indicate nel ricorso introduttivo firmato da entrambi i coniugi, op¬pure anche dopo l’udienza presidenziale ma prima dell’omologazione.
Nel primo caso (ripensamento prima dell’udienza presidenziale), volendo considerare l’udienza presidenziale come il momento in cui viene espresso il consenso da entrambi i coniugi al testo pre¬disposto e sottoscritto nel ricorso introduttivo, non può che concludersi nel senso che il presidente è tenuto a darne atto archiviando la procedura e non potendo certo procedere agli adempimenti successivi. Insomma la legge si disinteressa di fatto del ricorso introduttivo. L’art. 711 c.p.c. chiari¬sce che ”se la conciliazione non riesce , si dà atto del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole”. Pertanto è proceduralmente questo il momento che segna l’acquisizione formale del consenso dei coniugi.
Nel secondo caso (consenso ritirato da entrambi o da uno dei coniugi dopo l’udienza presidenziale ma prima dell’omologazione) la soluzione da adottare è meno semplice. Premesso che certamente la revoca del consenso deve essere manifestata per iscritto e depositata in tribunale dopo l’udienza presidenziale e prima dell’omologazione, nella giurisprudenza di merito prevale l’orientamento che attribuisce all’omologazione la natura di condizione di efficacia di un accordo già valido e che quindi assegna all’accordo delle parti (confermato davanti al Presidente) la natura di un atto negoziale ormai irrevocabile.
Nella giurisprudenza di merito accanto a decisioni che ritengono che il consenso prestato all’udien¬za presidenziale sia revocabile unilateralmente fino al momento della omologazione (Trib. Mila¬no 10 novembre 1982; App. Venezia 11 giugno 1983; Trib Napoli 13 marzo 1989; Trib Milano 11 luglio 1991; App. Bari 30 agosto 1993), ve ne sono altre che esprimono il diverso orientamento intendendo l’omologazione quale condizione di efficacia e non di validità della sepa¬razione e negando, perciò la revocabilità unilaterale del consenso prestato (App. Roma 3 luglio 1986; Trib. Monza 19 novembre 1992; Trib. Bari 3 marzo 1993; Trib. Bari 22 gennaio 1994; App. Napoli 29 gennaio 1996).13
In Cass. civ. Sez. I, 20 novembre 2003, n. 17607 si è effettivamente precisato che i problemi relativi alla cosiddetta “revoca del consenso” hanno lungamente impegnato la dottrina e la giuri¬sprudenza di merito, ed hanno trovato negli anni soluzioni diverse, ritenendosi da alcuni, orientati per una impostazione pubblicistica dell’istituto, che il consenso costituisca mero presupposto del provvedimento giudiziale, cui va attribuito il ruolo di unico fatto costitutivo della separazione, configurandosi da altri la separazione consensuale come fattispecie a formazione progressiva, nell’ambito della quale consenso dei coniugi ed omologazione del tribunale costituiscono elementi parimenti necessari e concorrenti per il conseguimento dello stato di coniuge separato, sostenen¬dosi ancora da altri, nell’ambito di una prospettiva privatistica della fattispecie, ispirata ad una accentuata valorizzazione dell’autonomia dei coniugi, desunta dall’intero sistema delle relazioni matrimoniali tracciato nella legge di riforma del diritto di famiglia, che la causa della separazione sta nella volontà dei coniugi, mentre l’omologazione agisce come mera condizione legale di effi¬cacia dell’accordo.
Tale ultima posizione appare condivisa dalla più recente giurisprudenza di legittimità, orientata nel senso che la separazione trova la sua unica fonte nel consenso manifestato dai coniugi dinanzi al presidente del tribunale e che la successiva omologazione è unicamente diretta ad attribuire effi¬cacia dall’esterno all’accordo di separazione, assumendo la funzione di condizione sospensiva della produzione degli effetti delle pattuizioni stipulate tra i coniugi, già integranti un negozio giuridico perfetto ed autonomo.
13 citate in . ARCERI, Il consenso nella separazione consensuale, tra diritto al ripensamento, impugnazione per vizi della volontà e procedimento di modifica, in Famiglia e Diritto, 2008, 1122).
A fondamento di detto orientamento – che deve essere in questa sede riaffermato – si è richiamato il chiaro tenore letterale del primo comma dell’art. 158 c.c. e del quarto comma dell’art. 711 c.p.c., che espressamente riferiscono al momento della efficacia il decreto di omologazione della sepa¬razione fondata sul solo consenso dei coniugi, e si è tratto ulteriore argomento dalla limitazione posta dal secondo comma dell’art. 158 c.c., introdotto dalla legge di riforma del diritto di famiglia, ai poteri del giudice nella fase di controllo: si è pertanto rilevato che l’accordo tra i coniugi costi¬tuisce l’elemento fondante della condizione di coniugi separati e del regolamento dei loro rapporti, mentre il provvedimento di omologazione svolge la funzione di controllare la compatibilità della convenzione rispetto alle norme cogenti ed ai principi di ordine pubblico, nonché di compiere la più pregnante indagine circa la conformità delle condizioni relative all’affidamento ed al mantenimen¬to dei minori al loro interesse, e quindi di imprimere efficacia giuridica all’accordo stesso. In tale prospettiva questa Suprema Corte ha in più occasioni qualificato l’accordo di separazione come atto essenzialmente negoziale, espressione della capacità dei coniugi di autodeterminarsi respon¬sabilmente, tanto da definirlo, riprendendo una efficace espressione della dottrina, come uno dei momenti di più significativa emersione della negozialità nel diritto di famiglia.
VII La consensualizzazione della separazione giudiziale
Nella prassi è molto diffusa la trasformazione del rito da giudiziale in consensuale, anche se non tutti i tribunali seguono la stessa procedura. Per lo più il giudice istruttore verbalizza nel corso di una udienza la decisione dei coniugi di consensualizzare il procedimento e definisce la causa in corso con una dichiarazione di non doversi procedere avendo i coniugi deciso di separarsi consen¬sualmente, rimettendo le parti davanti al Presidente (oppure, dove il giudice istruttore ha anche una delega presidenziale, raccogliendo in separato verbale le condizioni e riservando al tribunale la decisione sull’omologazione.
La consensualizzazione è cosa diversa dalla precisazione di conclusioni congiunte nella causa di separazione. In questo caso la separazione viene, infatti, pronunciata con sentenza, anche se le conseguenze giuridiche della separazione sono, naturalmente, le stesse.
VIII L’ascolto del figlio minore
Rinviando all’apposita voce l’approfondimento delle molteplici problematiche relative all’ascolto del minore14 va detto, con riferimento alle procedure in genere di separazione e divorzio, che l’obbli¬gatorietà dell’ascolto subordinato all’accertamento di una sufficiente maturità del figlio è prescritta oggi per le procedure contenziose di separazione e divorzio e per quelle relative all’affidamento di figli nati fuori del matrimonio dall’art. 337-octies c.c. (già art. 155-sexies nel testo inserito dalla legge 14 febbraio 2006, n. 54, riformato con la legge 10 dicembre 2012, n. 219 e con il D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) dove si prevede che “Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’art. 337-ter [provvedimenti riguardo ai figli nel procedimento di separazio¬ne, divorzio o affidamento] il giudice dispone l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”.
La novità della riforma del 2012 e 2013 sulla filiazione sta soprattutto nel fatto di aver esteso espressamente a qualsiasi procedura giudiziaria – e non solo a quelle relative all’affidamento in sede di scissione della coppia genitoriale – il diritto del minore ad essere ascoltato. Il principio generale è stato specificato nel nuovo articolo 315-bis del codice civile il quale è intitolato “Di¬ritti e doveri del figlio” e al secondo comma precisa solennemente che “il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”.
Sempre la medesima riforma ha chiarito anche quali devono essere le modalità dell’ascolto del minore prescrivendo in proposito nell’articolo 336-bis del codice civile che “Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal pre¬sidente del tribunale o dal giudice delegato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedi¬mento motivato. L’ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore spe¬ciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all’ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell’inizio dell’adempimento. Prima di procedere all’ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto. Dell’adempimento è redatto processo verbale nel qua¬le è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video”.
Secondo l’articolo 38-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile – introdotto dall’articolo 96 del D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 di attuazione della legge – “i difensori, il curatore speciale e il pubblico ministero non devono richiedere l’autorizzazione del giudice allorché l’ascolto avviene con mezzi tecnici quali l’uso di uno specchio unitamente ad impianto citofonico”.
14 Voce ASCOLTO DEL MINORE
Quindi l’ordinamento italiano contiene ora – dopo le riforme del 2013 – una disciplina giuridica ben definita e molto chiara sull’ascolto del minore nell’ambito delle procedure giudiziarie che lo riguardano.
Ebbene, premesso quanto sopra, vi è da aggiungere che la riforma operata con la legge 219/2012 ha aggiunto nel sopra citato articolo 337-octies del codice civile per il caso in cui non si tratti di una procedura contenziosa, la precisazione che “nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo”.
All’audizione del minore “nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedi¬menti che lo riguardano” (art. 336-bis c.c.) si può rinunciare, quindi, secondo le norme esaminate, in primo luogo nei casi in cui il minore non è capace di discernimento, spettando al giudice valutare la capacità di discernimento del minore infradodicenne prima di procedere eventualmente all’audi¬zione; in secondo luogo in caso di “contrasto con l’interesse del minore” come potrebbe avvenire allorché il minore si trovi in una condizione personale di sofferenza determinata da una malattia o da una compromissione delle sue competenze cognitive od espressive o semplicemente sia stato già più volte ascoltato per esempio in un procedimento penale relativo ad abusi da lui subiti; in terzo luogo nel caso in cui il minore rifiuti l’audizione, in quanto, il riconoscimento di un diritto al minore di essere ascoltato (art. 315-bis c.c.) presuppone anche il rispetto del diritto del minore di non essere ascoltato; infine nel caso in cui l’ascolto appaia manifestamente superfluo (articoli 336-bis e 337-octies del codice civile) come, appunto in genere avviene quando i genitori hanno concordato le condizioni di affidamento e di mantenimento relative al loro figlio minore, situazione in cui si deve riconoscere ai genitori il diritto di saper adottare una decisione che tenga conto delle aspirazioni e delle esigenze del figlio minore. E’ nella separazione consensuale in sé che il sistema giuridico riconosce ai genitori competenza a regolamentare la vita dei figli minori e una audizione obbligatoria anche in questi casi sarebbe veramente inutilmente intrusiva.
Il che non significa tuttavia che anche in sede di verifica giudiziaria dell’accordo non possano emergere dall’esame delle condizioni concordate dai genitori elementi che consiglino di procedere ugualmente all’audizione.
IX L’omologazione
a) La natura dell’omologazione
L’omologazione è il provvedimento di volontaria giurisdizione che consente all’accordo di sepa¬razione di diventare efficace. Non ha alcuna funzione integrativa o sostitutiva della volontà dei coniugi e, nel rapporto tra volontà dei coniugi e intervento dell’organo giudiziario va certamente considerato in secondo piano.
Si è già detto come in Cass. civ. Sez. I, 20 novembre 2003, n. 17607 – che si è occupata della questione della revoca del consenso – si è affermato come nell’impostazione pubblicistica dell’isti¬tuto della separazione consensuale il consenso dei coniugi viene considerato mero presupposto del provvedimento giudiziale, cui va attribuito il ruolo di unico fatto costitutivo della separazione, mentre nell’ambito di una prospettiva privatistica, ispirata ad una accentuata valorizzazione dell’au¬tonomia dei coniugi, desunta dall’intero sistema delle relazioni matrimoniali tracciato nella legge di riforma del diritto di famiglia, la causa della separazione sta nella volontà dei coniugi, mentre l’o¬mologazione agisce come mera condizione legale di efficacia dell’accordo. Ed è tale ultima posizione che appare condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, orientata nel senso che la separazione tro¬va la sua unica fonte nel consenso manifestato dai coniugi dinanzi al presidente del tribunale men¬tre la successiva omologazione è unicamente diretta ad attribuire efficacia dall’esterno all’accordo di separazione, assumendo la funzione di condizione sospensiva della produzione degli effetti delle pattuizioni stipulate tra i coniugi, già integranti un negozio giuridico perfetto ed autonomo.
Si ricorda che Cass. civ. Sez. I, 30 aprile 2008, n. 10932 aveva avuto modo di precisare molto efficacemente che la separazione consensuale trova la sua unica fonte nel consenso manifestato dai coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale, e la successiva omologazione agisce come mera condizione legale di efficacia dell’accordo, già integrante un negozio giuridico perfetto ed autonomo.
Fondamentali nella prospettiva privatistica della centralità dell’autonomia negoziale delle parti sono state anche Cass. civ. Sez. I, 20 novembre 2003, n. 17607 e Cass. civ. Sez. I, 12 set¬tembre 2014, n. 19319 secondo cui non si può più dubitare della natura negoziale (quand’anche non contrattuale) dell’accordo che dà sostanza e fondamento alla separazione consensuale tra i coniugi, non essendo ravvisabile, nell’atto di omologazione, una funzione sostitutiva o integrativa della volontà delle parti o di governo dell’autonomia dei coniugi.
A fondamento di detto orientamento si è richiamato il chiaro tenore letterale del primo comma dell’art. 158 c.c. e del quarto comma dell’art. 711 c.p.c., che espressamente riferiscono al momen¬to della efficacia il decreto di omologazione della separazione fondata sul solo consenso dei coniu¬gi, e si è tratto ulteriore argomento dalla limitazione posta dal secondo comma dell’art. 158 c.c., introdotto dalla legge di riforma del diritto di famiglia, ai poteri del giudice nella fase di controllo: si è pertanto rilevato che l’accordo tra i coniugi costituisce l’elemento fondante della condizione di coniugi separati e del regolamento dei loro rapporti, mentre il provvedimento di omologazione svolge la funzione di controllare la compatibilità della convenzione rispetto alle norme cogenti ed ai principi di ordine pubblico, nonché di compiere la più pregnante indagine circa la conformità delle condizioni relative all’affidamento ed al mantenimento dei minori al loro interesse, e quindi di imprimere efficacia giuridica all’accordo stesso
Non è prevista alcune omologazione nella separazione consensuale effettuata con le modalità della negoziazione assistita. Come si è già detto il decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162 all’art. 6 prevede l’autorizzazione o il visto del pubblico ministero mentre all’art. 12 per la separazione consensuale direttamente davanti all’uffi¬ciale di stato civile prescrive una procedura nella quale non è previsto nessun atto autorizzatorio; l’ufficiale di stato civile deve solo prendere atto dell’accordo e non ha alcun potere di veto e meno che mai di omologa.
b) La separazione non omologata
Il problema più serio che la separazione non omologata pone è quello di valutare l’efficacia o meno delle pattuizioni coniugali concordate in vista dell’omologazione. Si può fondatamente affermare che la mancata omologazione fa venir meno l’efficacia degli accordi patrimoniali fra le parti, in quanto, proprio attingendo ai principi generali del negozio giuridico, non vi possono essere dubbi circa il fatto che i coniugi abbiano inteso condizionare quelle pattuizioni all’omologa. A meno che non si provi che si trattava di pattuizioni a latere del tutto indipendenti dall’accordo sottoposto all’omologa e in posizione di non interferenza con le clausole sottoposte all’omologazione. Anche in quest’ultimo caso sarà però difficile che non si trattasse di clausole complessivamente tra loro collegate e anch’esse condizionate all’omologa.
La riconciliazione successiva all’omologa non farà venir meno, invece, gli effetti delle pattuizioni patrimoniali in quanto la riconciliazione estingue solo gli effetti personali della separazione.
c) L’impugnazione del decreto che non omologa la separazione
Contro l’eventuale decreto di diniego della omologazione, i coniugi possono proporre reclamo alla Corte d’appello nel termine di dieci giorni dalla comunicazione (art. 739 c.p.c.).
Non è ipotizzabile l’impugnazione del decreto di omologa trattandosi di provvedimento adottato sulla base di richiesta concorde dei coniugi ai quali difetterebbe un interesse ad agire con l’im¬pugnazione. Né appare ipotizzabile una omologa parziale che lascerebbe aperto un interesse ad impugnare.
Concludendosi la procedura della separazione consensuale con un provvedimento di volontaria giurisdizione il decreto camerale che non omologa la separazione è impugnabile in Corte d’appello ma a sua volta il decreto della Corte d’appello non è ricorribile per cassazione (art. 739 ult.co. c.p.c.), neanche ex art. 111 Cost. in quanto è atto privo di contenuto decisorio e non ha attitudine ad acquistare l’efficacia di giudicato sostanziale. E’ stato sempre questo il punto di vista della giuri¬sprudenza espresso per esempio già in Cass. civ. Sez. I, 8 marzo 2001, n. 3390 dove si precisa che in tema di separazione personale tra coniugi, il decreto di omologazione di detta separazione non è impugnabile per cassazione ex art. 111 cost. per mancanza dei richiesti caratteri di defini¬tività e decisorietà. Esso, infatti, pur incidendo su diritti soggettivi, non decide sugli stessi, e non ha, pertanto, attitudine ad acquistare l’efficacia del giudicato sostanziale. Ne consegue altresì la inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 della Costituzione avverso il provvedimento della Corte d’appello che pronuncia sul reclamo avverso il decreto in questione.
Il punto di vista sulla non ricorribilità per cassazione è stato poi ribadito da Cass. civ. Sez. I, 30 aprile 2008, n. 10932 secondo cui il decreto omologativo della separazione consensuale, essen¬do privo dei caratteri della definitività e della decisorietà, poiché incide su diritti soggettivi, senza tuttavia decidere su di essi e non ha attitudine ad acquistare l’efficacia del giudicato sostanziale, non è impugnabile in cassazione ex art. 111 Costituzione.
Ugualmente Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2013, n. 26202 secondo cui avverso il provve¬dimento emesso dalla corte d’appello che ha pronunciato sul reclamo nei confronti del decreto di omologa della separazione consensuale dei coniugi non è ammesso il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. per mancanza dei richiesti caratteri di definitività e decisorietà, poi¬ché detto provvedimento incide su diritti soggettivi, senza tuttavia decidere su di essi e non ha attitudine ad acquistare l’efficacia del giudicato sostanziale. Non può, pertanto, essere proposto ricorso straordinario per Cassazione contro il provvedimento della Corte d’appello che dichiari inammissibile il reclamo avverso il decreto di non omologazione di una separazione consensuale.
d) La separazione omologata come titolo esecutivo
Il verbale di separazione omologato ha efficacia di titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c. come ha chia¬rito Cass. civ. Sez. I, 10 novembre 1994, n. 9393 dove si afferma che le clausole della separa¬zione consensuale omologata in tema di mantenimento, nel loro contenuto originario od in quello ridefinitivo in esito alla procedura di cui agli art. 710 e 711 c.p.c., hanno, ai sensi dell’art. 158 c.c. (nel testo risultante dalla pronuncia della corte costituzionale n. 186 del 18 febbraio 1988), natura di titolo giudiziale, anche ai fini dell’iscrizione d’ipoteca a norma dell’art. 2818 c.c., al pari delle statuizioni in proposito incluse nella sentenza di separazione. Ne discende che l’avente diritto a detto mantenimento non è abilitato, per difetto di interesse, a reclamare, con il rito ordinario o con quello monitorio, una decisione di condanna all’adempimento, la quale si tradurrebbe nella reiterazione di un titolo di cui già gode.
In base a quanto previsto nell’art. 6, comma, 3 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162 (L’accordo raggiunto a seguito della convenzio¬ne produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio) anche l’accordo di separazione consensuale raggiunto attraverso la negoziazione assistita da avvocati costituisce titolo esecutivo.
e) La separazione omologata come titolo per l’iscrizione di ipoteca
L’art. 158 c.c. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte Cost. 18 febbraio 1988, n. 186 nella parte in cui non prevede che il decreto di omologazione della separazione consensuale costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’art. 2818.
Il decreto di omologazione, quindi, costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, così come la sentenza di separazione giudiziale.
Sempre in base a quanto previsto nell’art. 6, comma, 3 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162 anche l’accordo di separazione consensuale raggiunto attraverso la negoziazione assistita da avvocati costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca.
X Gli effetti della separazione omologata
a) L’estinzione dei diritti e dei doveri non patrimoniali derivanti dal matrimonio
La separazione è istituto diverso dal divorzio dal punto di vista dello status, che con la separazione non muta formalmente, mentre muta radicalmente con lo scioglimento del vincolo. Questa diver¬sità di traduce anche in una diversità sostanziale nelle conseguenze sui diritti e sui doveri reciproci tanto che si ritiene in genere che la separazione personale produrrebbe l’indebolimento ma non l’estinzione dei doveri e dei diritti derivanti dal matrimonio.
Effettivamente, dal punto di vista dei diritti e dei doveri che derivano dal matrimonio, con la se¬parazione si determina una netta discontinuità rispetto al matrimonio, ma questa discontinuità consente di considerare non estinti solo i diritti e i doveri che hanno contenuto patrimoniale (sia pure nella misura in cui l’accordo dei coniugi o, in caso di contenzioso, il provvedimento del giudi¬ce, li ha trasformati in obbligazioni reciproche) o successorio. E sono, proprio, queste obbligazioni a costituire dopo la separazione lo status (ammesso che di status si possa parlare) di “separato”. Solo in questi limiti può essere accettata l’affermazione secondo cui il regime primario coniugale (definito sostanzialmente dall’insieme dei doveri e dei diritti indicati nell’art. 143 c.c.) costituireb¬be un regime ultra-attivo, nel senso che alla base anche di molti istituti post-matrimoniali (come l’assegno o altri diritti divorzili a contenuto patrimoniale) vi sarebbe pur sempre un collegamento con il regime solidaristico che si crea tra i coniugi al momento del matrimonio (regime che d’altro lato per gli aspetti patrimoniali sopravvive anche allo stesso scioglimento del matrimonio come dimostra la natura assistenziale dell’assegno divorzile).
Si tratta però soltanto di obbligazioni patrimoniali post-matrimoniali.
Sono viceversa da considerare estinti i diritti e i doveri di carattere morale come l’obbligazione di fedeltà, di coabitazione, di collaborazione, di assistenza morale.
Pertanto si può affermare che la separazione consensuale fa venir meno certamente, al momento dell’udienza in cui le condizioni concordate vengono confermate davanti al Presidente, le obbliga¬zioni di fedeltà, di coabitazione, di collaborazione e di assistenza morale. Non di assistenza mate¬riale dal momento che, quando pure non fosse stato concordato un assegno periodico coniugale, successivamente ai sensi dell’art. 710 c.p.c. una sopravvenienza potrebbe sempre far rivivere il diritto all’assistenza materiale.
b) L’estinzione del diritto a chiedere l’addebito della separazione
Una volta conclusasi la separazione in modo consensuale non sarà più possibile chiedere l’addebito della separazione.
L’addebito può essere richiesto soltanto nella causa giudiziale (né può essere certamente concor¬dato in sede consensuale) e può essere pronunciato soltanto con sentenza. Il principio è desumi¬bile chiaramente dall’art. 156 c.c. nel quale si afferma che il giudice “pronunciando la separazione” può dichiarare se vi è stata una domanda di parte a quale dei coniugi essa sia addebitabile.
In passato alcune pronunce avevano ammesso un coniuge, dopo la separazione consensuale, a promuove un ulteriore giudizio di separazione con addebito (sul presupposto di fatto di violazioni di doveri matrimoniali successivi alla consensuale) ma la giurisprudenza ha poi definitivamente cancellato questa possibilità escludendo quello che viene definito “mutamento del titolo della se¬parazione” (appunto da consensuale a giudiziale) affermando che nel nostro sistema non esistono due tipi di separazioni, consensuale e giudiziale con addebito, ma un solo tipo di separazione che, una volta definita in modo consensuale, rende impossibile la riapertura di una causa (tra le tante Cass. civ. Sez. I, 20 marzo 2008, n. 7450)
A sostegno di questo ripensamento la Cassazione ha affermato ragionevolmente che la responsa¬bilità della cessazione dell’unità familiare può essere accertata solo contestualmente alla pronuncia di separazione e che i comportamenti dei coniugi successivi a tale pronuncia potranno eventual¬mente rilevare solo ai fini del mutamento delle condizioni della separazione, ma non potranno costituire il fondamento di una sentenza di addebito successiva alla separazione, trattandosi di comportamenti ormai intrinsecamente privi di ogni influenza in ordine ad una già accertata impos¬sibilità di prosecuzione della convivenza (Cass. civ. Sez. I, 30 luglio 1999, n. 8272; Cass. civ. Sez. I, 19 settembre 1997, n. 9317; Cass. civ. Sez. I, 17 marzo 1995, n. 3098).
c) Lo scioglimento della comunione legale dei beni
Sulla base di quanto previsto nell’art. 191 c.c. (nel testo riformato dalla legge 6 maggio 2015, n. 55, Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi) ove i coniugi siano in regime di comunione die beni, “la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere sepa¬rati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato”.
Pertanto la riforma del 2015 ha anticipato il momento dello scioglimento della comunione in caso di consensuale al momento in cui i coniugi sottoscrivono il verbale di separazione davanti al Presi¬dente sempre che la separazione consensuale venga omologata.
d) Il venir meno della presunzione di concepimento durante il matrimonio
Il codice civile dopo aver affermato che “il marito è il padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio” (art. 231) prevede nell’art. 232 c.c. che “si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio”, precisando nel capoverso che la presunzione non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia con sentenza della separazione giudiziale o dalla omologazione della separazione consensuale ovvero dalla data in cui essi sono starti autorizzati a vivere separati.
Pertanto non è considerato del marito (e non si produce lo status di figlio nato nel matrimonio) il figlio nato a partire dal trecentesimo giorno successivo all’udienza (presidenziale) in cui i coniugi confermano nel verbale le condizioni della loro separazione consensuale (quale che sia il momento successivo in cui il tribunale pronuncia l’omologa), ancorché possa essere sempre provato che il figlio nato dopo i trecento giorni dall’udienza presidenziale sia stato concepito nel matrimonio (art. 234 c.c.).
e) La decorrenza dei sei mesi necessari per domandare il divorzio
Come si è avuto già modo di ricordare, in base all’art. 3 n. 2 lett. b della legge sul divorzio, come modificata dapprima dal decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito nella legge 10 no¬vembre 2014, n. 162 e successivamente dalla legge 6 maggio 2015, n. 55 (Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniu¬gi) i coniugi possono chiedere il divorzio dopo sei mesi dalla comparizione davanti al presidente del tribunale “nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto conte¬nente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile”.
XI L’annotazione della separazione consensuale a margine dell’atto di matrimonio
Il DPR 3 novembre 2000, n. 396 (Ordinamento di stato civile) all’art. 69 lett. d) prescrive l’anno¬tazione della omologazione della separazione consensuale negli atti di matrimonio.
Per questo motivo la cancelleria del tribunale comunica l’avvenuta omologazione della separazione consensuale agli uffici di stato civile del Comune ove il matrimonio è stato celebrato e iscritto (se civile) o trascritto (se concordatario).
In caso di separazione consensuale raggiunta con un accordo di negoziazione assistito da avvocati, in base all’art. 6 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162 gli avvocati (o uno di essi delegato dall’altro) sono obbligati a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia da essi autenticata dell’accordo (a pena di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 ad euro 10.000). Per questo al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Ordinamento di stato civile) all’art. 69 – che concerne le annotazioni sull’atto di ma¬trimonio – è stata aggiunta la previsione dell’annotazione degli accordi di negoziazione assistita.
Giurisprudenza
Trib. Livorno, 7 febbraio 2018 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È valida ed efficace la scrittura privata che si inserisce nelle vicende legate alla crisi familiare ed alla sua risoluzione che, in quanto tale, può definirsi quale accordo patrimoniale autonomo, antecedente ed accessorio agli accordi di separazione, in virtù della quale l›un coniuge si accolli il pagamento di spese ivi specificamente indicate. Le pattuizioni intervenute tra i coniugi anteriormente o contemporaneamente al decreto di omologazione della separazione consensuale ed ivi non trasfuse, sono, invero, operanti soltanto se si collocano, rispetto a quest›ultimo, in posizione di non interferenza, ovvero in posizione di conclamata e incontestabile maggiore o uguale rispondenza all›interesse tutelato attraverso il controllo di cui all›art. 158 c.c..
Cass. civ. Sez. I, 26 gennaio 2018, n. 2036 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’accordo raggiunto in sede di separazione consensuale non può disciplinare ciò che non ne ha costituito oggetto, ed il motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato. Nella specie il giudice di merito statuiva che le condizioni, concordate tra le parti, di una separazione personale consensuale non comportano, di per sé, la transazione in ordine ad ogni pretesa patrimoniale tra le stesse.
Trib. Palermo, 14 settembre 2017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il procedimento per la separazione consensuale omologata, “nel quale concorrono elementi di diritto privato e pubblico”, costituisce una fattispecie complessa, per cui il regolamento basato sull’accordo (di natura privatistica) tra i coniugi acquista efficacia giuridica solo attraverso il provvedimento di omologazione (di natura pubblicisti¬ca). In tale ambito, secondo la posizione “privatistica”, la separazione consensuale omologata èessenzialmente costituita dalla volontàconcorde dei coniugi di separarsi (e di definire altri eventuali aspetti della vita coniugale e familiare), mentre la successiva omologazione assume una va lenza di semplice condizione (sospensiva) di efficacia delle pattuizioni contenute in tale accordo (salvo per quanto riguarda i patti relativi all’affidamento ed al mantenimento dei figli minorenni, sui quali il giudice èdotato di un potere d’intervento piùpenetrante: art. 158, 2 co., c.c.). Nell’ambito di questa concezione, gli aspetti privatistici della la separazione consensuale omolo¬gata – riguardata nella sua natura di negozio familiare – ottengono la massima considerazione, sicchéla validitàdel consenso come effetto del libero incontro delle volontàdelle parti, èpresidiata dall’esperibilitàdell’azione di annullamento per vizi, non limitata alla materia contrattuale, ma estensibile ai negozi relativi a rapporti giuridici non patrimoniali, genus cui appartengono quelli di diritto familiare.
Considerata la natura negoziale dell’accordo che dà sostanza e fondamento alla separazione consensuale tra coniugi, in relazione al quale la procedura ed il decreto di omologazione costituiscono condizioni di efficacia del sottostante accordo tra i coniugi, deve ritenersi ammissibile sia l’azione di annullamento della separazione con¬sensuale omologata per vizi della volontà, sia l’azione per la dichiarazione di nullità anche parziale delle clausole dell’accordo.
Trib. Taranto Sez. I, 1 agosto 2017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso di trasferimento di bene immobile, effettuato da un coniuge in favore dell’altro, in occasione o in esecu¬zione dei patti assunti in sede di separazione consensuale omologata, è ammissibile l’esperimento dell’azione re¬vocatoria, non costituendo ostacolo a ciò, né l’avvenuta omologazione dell’accordo di separazione, né la pretesa inscindibilità di tale pattuizione dal complesso delle altre condizioni della separazione, né, infine, la circostanza che il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore siano stati pattuiti in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli.
Trib. Como, 6 giugno 2017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non può essere omologato il verbale di separazione consensuale tra coniugi nel quale questi ultimi chiedono sia riconosciuta la loro condizione di “separati in casa”, dal momento che una simile situazione non trova riconosci¬mento in alcun istituto giuridico tipico. Se fosse possibile assumere accordi svincolati da riferimenti oggettivi, l’istituto della separazione consensuale si potrebbe prestare ad operazioni elusive, accordi simulatori e potrebbe essere utilizzato per perseguire finalità illecite.
Cass. civ. Sez. Unite, 5 giugno 2017, n. 13912 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’accettazione della giurisdizione italiana nell’ambito del giudizio di separazione personale non esplica alcun effetto nel successivo procedimento di modifica delle condizioni della separazione instaurato per ottenere l’af¬fidamento di figli minori, sia perché quest’ultimo è un nuovo giudizio (come si evince anche dall’art. 12, par. 2, lett. a), del reg. CE n. 2201 del 2003), sebbene ricollegato al regolamento attuato con la decisione definitiva o con l’omologa della separazione consensuale non più reclamabile, in base al suo carattere di giudicato “rebus sic stantibus”, sia perché il criterio di attribuzione della giurisdizione fondato sulla cd. vicinanza, dettato nell’interes¬se superiore del minore come delineato dalla Corte di giustizia della UE, assume una pregnanza tale da compor¬tare l’esclusione della validità del consenso del genitore alla proroga della giurisdizione. (Regola giurisdizione)
Trib. Mantova Decreto, 4 aprile 2017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Sono conformi alla legge gli accordi stipulati in sede di separazione consensuale concernenti la disciplina dei rapporti tra i genitori e la figlia concepita e non ancora nata in quanto tesi alla tutela preventiva della nascitura in presenza di una crisi coniugale in atto.
Trib. Roma, 17 marzo 2017 (Giur. It., 2017, 7, 1602 nota di Cardinale)
In materia di separazione consensuale tra coniugi, gli avvocati che assistono le parti sono gli unici soggetti abili¬tati ad autenticare l’accordo concluso nell’ambito di una procedura di negoziazione assistita ed a tale accordo va riconosciuta piena equipollenza, anche ai fini della trascrizione, rispetto ai provvedimenti giudiziali, non ostando al riconoscimento agli avvocati del potere di attestazione della conformità della copia al documento originale la circostanza che questo non sia depositato presso il tribunale.
C. Conti Sicilia Sez. giurisdiz. 23 febbraio 2017, n. 111 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’impugnazione con l’azione revocatoria degli accordi patrimoniali tra i coniugi, nell’ambito della separazione consensuale, non può ritenersi preclusa né dall’avvenuta omologazione dell’accordo di separazione da parte del Tribunale, cui resta del tutto estranea la funzione di tutela dei terzi creditori, né dalla pretesa “inscindibilità” della pattuizione stessa dal complesso delle altre condizioni della separazione, trattandosi di patti che prevedono il trasferimento di beni immobili originando veri e propri contratti atipici, diretti a realizzare interessi certamente meritevoli di tutela, di cui può e deve essere accertata, al di là del nomen iuris utilizzato, la natura di atti a titolo oneroso o gratuito.
Trib. Milano Sez. IX, 8 ottobre 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’azione di annullamento per violenza morale, ex artt. 1434, 1435 c.c., è esperibile anche in relazione al con¬senso prestato dai coniugi a patti negoziali conclusi in occasione della separazione consensuale omologata. Tuttavia, non costituisce violenza morale invalidante il negozio, ai sensi dell’art. 1434 e segg. cod. civ., la mera rappresentazione interna di un pericolo, ancorché collegata a determinate circostanze oggettivamente esistenti; in particolare, la minaccia della madre di fissare la residenza abituale dei figli in luogo lontano da quello abituale, ove il marito non firmi gli accordi per una separazione consensuale, non integra la violenza morale richiesta dagli artt. 1434 e 1435 c.c. per la caducazione del contratto.
Cass. civ. Sez. V, 17 febbraio 2016, n. 3110 (Famiglia e Diritto, 2016, 4, 400)
Gli atti di trasferimento immobiliare contemplati negli accordi di separazione consensuale tra coniugi godono dell’esenzione fiscale, senza che rilevi che gli stessi siano solo occasionalmente generati dalla separazione ovve¬ro che non siano connessi all’affidamento dei figli, al loro mantenimento ed a quello del coniuge, o al godimento della casa di famiglia. Deve riconoscersi il carattere di negoziazione globale a tutti gli accordi di separazione che, anche mediante la previsione di trasferimenti mobiliari od immobiliari, siano volti a definire in modo ten¬denzialmente stabile la crisi coniugale, destinata a sfociare, di lì a breve, nella cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o nello scioglimento del matrimonio civile, ovvero in un divorzio non solo prefigurato, ma voluto dalle parti, in presenza delle necessarie condizioni di legge. Ne deriva l’impossibilità di negare che tali accordi, a prescindere dalla forma che concretamente vengano ad assumere, debbano intendersi quali “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio” e come tali possano usufruire dell’esenzione di cui all’art. 19 della legge n. 74 del 1987, nel testo conseguente alla pronuncia n. 154 del 1999 della Corte Costituzionale, salvo che l’Amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio cadente su di essa, la finalità elusiva degli atti medesimi. Gli accordi che prevedono, nel contesto di una separazione tra coniugi, atti comportanti trasferimenti patrimoniali dall’uno all’altro coniuge o in favore dei figli, essendo riconducibili nell’ambito delle “condizioni della separazione”, debbono intendersi quali “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio”; ne consegue che, in quanto tali, gli stessi ben possono usufruire della esenzione prevista dall’art. 19 della legge n. 74 del 1987, fatto salvo che l’Amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio posto a suo carico, la finalità elusiva degli atti medesimi.
Cass. civ. Sez. V, 3 febbraio 2016, n. 2111 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Gli atti di trasferimento immobiliare contemplati negli accordi di separazione consensuale tra coniugi godono dell’esenzione fiscale, senza che rilevi che gli stessi siano solo occasionalmente generati dalla separazione ovve¬ro che non siano connessi all’affidamento dei figli, al loro mantenimento ed a quello del coniuge, o al godimento della casa di famiglia. Deve riconoscersi il carattere di negoziazione globale a tutti gli accordi di separazione che, anche mediante la previsione di trasferimenti mobiliari od immobiliari, siano volti a definire in modo ten¬denzialmente stabile la crisi coniugale, destinata a sfociare, di lì a breve, nella cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o nello scioglimento del matrimonio civile, ovvero in un divorzio non solo prefigurato, ma voluto dalle parti, in presenza delle necessarie condizioni di legge. Ne deriva l’impossibilità di negare che tali accordi, a prescindere dalla forma che concretamente vengano ad assumere, debbano intendersi quali “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio” e come tali possano usufruire dell’esenzione di cui all’art. 19 della legge n. 74 del 1987, nel testo conseguente alla pronuncia n. 154 del 1999 della Corte Costituzionale, salvo che l’Amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio cadente su di essa, la finalità elusiva degli atti medesimi. Gli accordi che prevedono, nel contesto di una separazione tra coniugi, atti comportanti trasferimenti patrimoniali dall’uno all’altro coniuge o in favore dei figli, essendo riconducibili nell’ambito delle “condizioni della separazione”, debbono intendersi quali “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio”; ne consegue che, in quanto tali, gli stessi ben possono usufruire della esenzione prevista dall’art. 19 della legge n. 74 del 1987, fatto salvo che l’Amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio posto a suo carico, la finalità elusiva degli atti medesimi.
Cass. civ. Sez. I, 19 agosto 2015, n. 16909 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso re¬ciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, che trova solo occasione nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata (nella specie vendita della casa familiare e attribuzione del ricavato a ciascun coniuge in proporzione al denaro investito nel bene stesso). Ne consegue che questi ultimi non sono suscettibili di modifica (o conferma) in sede di ricorso “ad hoc” ex art. 710 c.p.c. o anche in sede di divorzio, la quale può riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell’art. 1372 c.c.
Cass. civ. Sez. I, 12 settembre 2014, n. 19319 (Foro It., 2014, 12, 1, 3455)
La separazione consensuale dei coniugi non può essere impugnata per simulazione.
L’accordo di separazione dei coniugi omologato non è impugnabile per simulazione poiché l’iniziativa processuale diretta ad acquisire l’omologazione, e quindi la condizione formale di coniugi separati, è volta ad assicurare ef¬ficacia alla separazione, così da superare il precedente accordo simulatorio, rispetto al quale si pone in antitesi dato che è logicamente insostenibile che i coniugi possano “disvolere” con detto accordo la condizione di separati ed al tempo stesso “volere” l’emissione di un provvedimento giudiziale destinato ad attribuire determinati effetti giuridici a tale condizione.
Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18066 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In caso di separazione consensuale o divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza incide sul vincolo matrimoniale ma, sull’accordo tra i coniugi, realizza – in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli – un controllo solo esterno attesa la natura negoziale dello stesso, da affermarsi in ragione dell’ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti. Ne consegue che i coniugi possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l’affidamento dei figli e le mo¬dalità di visita dei genitori
Cass. civ. Sez. VI, 25 luglio 2014, n. 17028 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La determinazione dell’assegno divorzile, alla stregua dell’art. 5 della legge sul divorzio, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti ed in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di sepa¬razione dei coniugi.
Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2013, n. 26202 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Avverso il provvedimento emesso dalla corte d’appello che ha pronunciato sul reclamo nei confronti del decreto di omologa della separazione consensuale dei coniugi non è ammesso il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. per mancanza dei richiesti caratteri di definitività e decisorietà, poiché detto provvedimento incide su diritti soggettivi, senza tuttavia decidere su di essi e non ha attitudine ad acquistare l’efficacia del giudicato sostanziale, potendo la parte che ritenga sussistente un ipotetico vizio dell’accordo di separazione agire con l’azione ordinaria di annullamento, la cui esperibilità presidia la validità del consenso come effetto del libero in¬contro della volontà delle parti. (Nell’enunciare il superiore principio di diritto, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso straordinario proposto da un terzo, creditore di uno dei coniugi, il quale, non intendendo denunciare il contenuto asseritamente illegittimo degli accordi intervenuti, si doleva dei vizi procedurali del decreto di omologa della separazione personale in sé considerato).
Cass. civ. Sez. VI, 18 luglio 2013, n. 17618 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La sentenza di divorzio, in relazione alle statuizioni di carattere patrimoniale in essa contenute, passa in cosa giudicata “rebus sic stantibus”; tuttavia, la sopravvenienza di fatti nuovi, successivi alla sentenza di divorzio, non è di per sé idonea ad incidere direttamente ed immediatamente sulle statuizioni di ordine economico da essa recate e a determinarne automaticamente la modifica, essendo al contrario necessario che i “giustificati motivi” sopravvenuti siano esaminati, ai sensi dell’art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, e succ. modif., dal giudice di tale norma previsto, e che questi, valutati detti fatti, rimodelli, in relazione alla nuova situazione, ricorrendone le condizioni di legge, le precedenti statuizioni. Da tanto consegue che l’ex coniuge, tenuto, in forza della sentenza di divorzio, alla somministrazione periodica dell’assegno divorzile, il quale abbia ricevuto la noti¬fica di atto di precetto con l’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dalla predetta sentenza, non può – in assenza di revisione, ai sensi del citato art. 9 della legge n. 898 del 1970, delle disposizioni concernenti la misura dell’assegno di divorzio da corrispondere all’ex coniuge – dedurre la sopravvenienza del fatto nuovo, in ipotesi suscettibile di determinare la modifica dell’originaria statuizione contenuta nella sentenza di divorzio, nel giudizio di opposizione a precetto, essendo del pari da escludere che il giudice di questa opposizione debba rimettere la causa al giudice competente ex art. 9 della legge n. 898 del 1970.
Cass. civ. Sez. I, 8 maggio 2013, n. 10720 (Famiglia e Diritto, 2014, 1, 31 nota di LAI)
Nel processo di separazione, il giudice d’appello, può modificare l’assegno di mantenimento per i figli minori anche soltanto con una diversa valutazione delle circostanze di fatto poste a fondamento della decisione im¬pugnata, senza che sia necessario il concorso di circostanze nuove. Infatti le circostanze nuove costituiscono condizione necessaria soltanto nel giudizio di revisione di cui agli artt. 155 ter c.c. e 710 c.p.c. ma non anche per il giudizio d’appello promosso dal coniuge che richieda una modificazione dell’assegno.
Trib. Roma Sez. I, 26 marzo 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Le pattuizioni convenute tra i coniugi prima del decreto di omologazione della separazione e non trasfuse nell’ac¬cordo omologato si configurano come contratti atipici, aventi presupposti e finalità diversi ed autonomi rispetto al contenuto tipico del regolamento concordato tra i coniugi, destinato ad acquistare efficacia giuridica soltanto in seguito al provvedimento di omologazione. A tali pattuizioni, pertanto, può riconoscersi validità solo in quanto, alla stregua di una indagine ermeneutica condotta nel quadro dei principi generali di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., risultino tali da assicurare una maggiore vantaggiosità all’interesse protetto dalla norma, ovvero concernano un aspetto non preso in considerazione dall’accordo omologato e sicuramente compatibile con questo, o ancora costituiscano clausole meramente specificative dell’accordo stesso, non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull’accordo omologato con soluzioni alternative di cui non sia certa a priori la uguale o migliore rispon-denza all’interesse tutelato attraversi il controllo giudiziario ex art. 158 c.c.
Cass. civ. Sez. I, 29 dicembre 2011, n. 30033 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È ammissibile la richiesta di assegno di divorzio nel procedimento per la modifica delle relative condizioni, ove esso non sia stato precedentemente chiesto, purché si dia conto di circostanze sopravvenute, rispetto alle statuizioni del divorzio operanti “rebus sic stantibus”.
Trib. Milano Sez. III, 20 settembre 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Secondo il condivisibile insegnamento della Suprema Corte, in tema di separazione consensuale le pattuizioni convenute dai coniugi prima del decreto di omologazione e non trasfuse nell’accordo omologato si configurano come contratti atipici, aventi presupposti e finalità diversi sia dalle convenzioni matrimoniali che dagli atti di libe¬ralità, nonché autonomi rispetto al contenuto tipico del regolamento concordato tra i coniugi, destinato ad acqui¬stare efficacia giuridica soltanto in seguito al provvedimento di omologazione: ad esse, pertanto, può riconoscer¬si validità solo in quanto, alla stregua di un’indagine ermeneutica condotta nel quadro dei principi stabiliti dagli artt. 1362 c.c. e ss., risultino tali da assicurare una maggiore vantaggiosità all’interesse protetto dalla norma (ad esempio prevedendo una misura dell’assegno di mantenimento superiore a quella sottoposta ad omologazione), ovvero concernano un aspetto non preso in considerazione dall’accordo omologato e sicuramente compatibile con questo, in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, o ancora costituiscano clausole meramente specificative dell’accordo stesso, non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull’accordo omologato con soluzioni alternative di cui non sia certa a priori l’uguale o migliore rispondenza all’interesse tu¬telato attraverso il controllo giudiziario di cui all’art. 158 c.c..
Cass. civ. Sez. I, 9 maggio 2011, n. 10077 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel procedimento di revisione dell’assegno di divorzio, ai fini dell’adeguamento del predetto alla rivalutazione monetaria è ammissibile la domanda riconvenzionale, che sia introdotta dal coniuge convenuto, ai fini della ri¬duzione dell’assegno stesso, poiché si tratta di pretesa strettamente collegata con quelle oggetto della domanda principale, implicante l’opportunità di un “simultaneus processus”; si tratta invero, pur se nel rito camerale, di un giudizio contenzioso, nel quale il giudice ha il dovere di pronunciarsi sulle domande ritualmente proposte, avendo tra l’altro la possibilità, nell’ambito di una loro trattazione congiunta, di valutare la complessiva situazio¬ne determinatasi e così se si siano verificate circostanze tali da giustificare la modifica di una decisione assunta “rebus sic stantibus”.
Cass. civ. Sez. I, 27 aprile 2011, n. 9373 (Famiglia e Diritto, 2011, 10, 877, nota di TOMMASEO)
L’art. 23 della legge n. 74/1987 estende ai giudizi di separazione personale, in quanto compatibili, le norme dell’art. 4 della legge sul divorzio che regolano i relativi giudizi: rimangono pertanto estranei dall’àmbito di appli¬cazione dell’art. 23 la disciplina dei procedimenti di revisione sia del regime del divorzio sia delle condizioni della separazione, sicché è da ritenersi che i decreti camerali pronunciati nei giudizi di revisione non siano immediata¬mente esecutivi poiché acquistano efficacia secondo le speciali regole di cui all’art. 741 c.p.c.
Trib. Bologna, 5 dicembre 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione personale, è valido l’accordo con cui un coniuge si impegna ad apporre un vincolo di destinazione sugli immobili di sua esclusiva proprietà, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645 ter c.c., obbli¬gandosi a non cedere l’immobile a terzi per tutta la durata del vincolo; la costituzione del vincolo sugli immobili e la natura della finalità perseguita impongono di per sé sole il divieto di alienazione ex art. 2645 ter c.c.
Trib. Milano, 11 maggio 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione consensuale. le pattuizioni convenute dai coniugi prima del decreto di omologazione e non trasfuse nell’accordo omologato si configurano come contratti atipici aventi presupposti e finalità diversi sia dalle convenzioni matrimoniali che dagli atti di liberalità, nonché autonomi rispetto al contenuto tipico del regolamento concordato tra i coniugi, destinato ad acquistare efficacia giuridica soltanto in seguito al provvedi¬mento di omologazione: ad esse, pertanto, può riconoscersi validità solo in quanto, alla stregua di un’indagine ermeneutica condotta nel quadro dei principi stabiliti dall’art. 1362 e ss. c.c., risultino tali da assicurare una maggiore vantaggiosità all’interesse protetto dalla norma (ad esempio prevedendo una misura dell’assegno di mantenimento superiore a quella sottoposta ad omologazione), ovvero concernano un aspetto non preso in considerazione dall’accordo omologato e sicuramente compatibile con questo, in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, o ancora costituiscano clausole meramente specificative dell’accordo stesso, non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull’accordo omologato con soluzioni alternative di cui non sia certa a priori la uguale o migliore rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo giudiziario di cui all’art. 158 c.c..
Cass. civ. Sez. I, 30 aprile 2008, n. 10932 (Famiglia e Diritto, 2008, 12, 1117 nota di ARCERI)
La separazione consensuale trova la sua unica fonte nel consenso manifestato dai coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale, e la successiva omologazione agisce come mera condizione legale di efficacia dell’accordo, già integrante un negozio giuridico perfetto ed autonomo. In quest’ultimo, in particolare, si dispiega pienamente l’autonomia dei coniugi e la loro valutazione circa la gravità della crisi coniugale, con esclusione di ogni potere di indagine del giudice sui motivi della decisione di separarsi e di sindacato circa la validità di tali motivi.
L’inquadramento dell’accordo di separazione nella categoria negoziale, pur escludendo che allo stesso possa esser attribuita natura di contratto, non esclude che all’accordo stesso possano applicarsi, nei limiti della loro compatibilità, le norme del regime contrattuale che riguardano in generale la disciplina del negozio giuridico o che esprimono principi generali dell’ordinamento, come quelle in tema di vizi del consenso e di capacità delle parti. Tuttavia, tali vizi dovranno esser dedotti mediante instaurazione di un giudizio ordinario diretto ad ottenere l’annullamento del negozio stesso, e non già tramite reclamo ex art. 739 c.p.c. alla Corte d’appello, e successivo ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.: quest’ultimo strumento di ricorso, in particolare, non può esser espe¬rito per ottenere la revisione di provvedimenti non aventi natura decisoria, quali senza dubbio devono definirsi i provvedimenti di omologazione, rebus sic stantibus, emessi in occasione della separazione consensuale.
Cass. civ. Sez. I, 20 marzo 2008, n. 7450 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione consensuale, la natura negoziale dell’accordo rende applicabili le norme generali che disciplinano la materia dei vizi della volontà e della simulazione, i quali, tuttavia, non sono deducibili attraverso il giudizio camerale ex artt.710-711 cod. proc. civ.; infatti, costituisce presupposto del ricorso a detta procedura l’allegazione dell’esistenza di una valida separazione omologata, equiparabile alla separazione giudiziale pronun¬ciata con sentenza passata in giudicato, con la conseguenza che la denuncia degli ipotetici vizi dell’accordo di separazione, ovvero della sua simulazione, resta rimessa al giudizio ordinario.
Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2007, n. 24321 (Famiglia e Diritto, 2008, 5, 446 nota di CASABURI)
In tema di separazione consensuale, applicandosi in via analogica l’art. 156, settimo comma, cod. civ., i giu-stificati motivi che autorizzano il mutamento delle relative condizioni consistono in fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale gli accordi erano stati stipulati; ne consegue che gli eventuali vizi (nullità o annullabilità) che inficiano la validità dell’accordo di separazione omologato e la sua eventuale si¬mulazione non sono deducibili attraverso il giudizio camerale attivato a norma del combinato disposto degli artt. 710 e 711 cod. proc. civ. ma attraverso un giudizio ordinario, secondo le regole generali.
Cass. civ. Sez. III, 24 ottobre 2007, n. 22329 (Giur. It., 2008, 7, 1687 nota di FRAGALE)
Le pattuizioni intervenute tra i coniugi anteriormente o contemporaneamente al decreto di omologazione della separazione consensuale, anche se non trasfuse nell’accordo omologato, sono operanti quando, collocandosi rispetto ad esso in posizione di non interferenza, vengano a riguardare un aspetto non disciplinato nell’accordo formale, siano sicuramente compatibili con esso, non ne modifichino la sostanza ed i relativi equilibri, assumono un carattere specificativo in chiave di incontestabile rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo di cui all’art. 158 c.c.
Trib. Trieste, 19 settembre 2007 (Nuova Giur. Civ., 2008, 6, 1, 687, nota di CINQUE)
L’interpretazione dell’art. 2645-ter c.c. che si riferisce a valori di rilevanza primaria o costituzionale conduce a considerare ammissibile una separazione patrimoniale a tutela della famiglia di fatto.
Per l’individuazione dei valori in nome dei quali operare la separazione si può fare riferimento al sistema co¬stituzionale, ovvero a beni ed interessi corrispondenti a valori della persona costituzionalmente garantiti, sulla falsariga di quelli selezionati dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione come meritevoli di ristoro ai sensi dell’art. 2059 c.c..
Trib. Reggio Emilia, Sez. I, 26 marzo 2007 (Famiglia e Diritto, 2008, 6, 616, nota di GALLUZZO)
È in facoltà del genitore di ottemperare agli obblighi di mantenimento previsti dagli artt. 147 e 148 c.c. mediante trasferimenti immobiliari una tantum contenuti in un verbale di separazione consensuale o in sue modifiche, anziché con un assegno periodico, anche con l’imposizione del vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. in quanto rispondente all’interesse della prole. Tale accordo, infatti, assicura alla prole una fonte certa di reddito, non aggredibile dai creditori del genitore intestatario.
L’art. 2645-ter c.c. può riferirsi sia a negozi atipici, sia a contratti con causa normativamente disciplinata, purché la destinazione patrimoniale realizzi interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322, co. 2, c.c.. La trascri¬zione dell’atto di destinazione consente una piena ed efficace garanzia sui beni rispetto agli atti di esecuzione, addirittura superiore alla previsione di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale: mentre l’impigno¬rabilità per debiti contratti per scopi estranei o differenti rispetto a quelli individuati nell’atto di destinazione dei beni (e dei relativi frutti) conferiti ai sensi del nuovo art. 2645-ter c.c. appare assoluta, l’art. 170 c.c.. assoggetta ad esecuzione i beni del fondo patrimoniale anche per debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, a condizione che il creditore non sia a conoscenza di tale ultima circostanza.
L’ambito di applicazione dell’art. 2645-ter c.c. è limitato agli immobili e ai mobili registrati. Tale norma si riferisce a negozi tipici e atipici che destinano i beni alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c.
Cass. civ. Sez. I, 8 novembre 2006, n. 23801 (Foro It., 2007, 4, 1, 1189)
In tema di separazione consensuale dei coniugi, non è esclusa la validità delle pattuizioni – integranti un con¬tratto atipico – stipulate tra i coniugi successivamente o in vista dell’omologazione dei loro accordi di separazio¬ne consensuale, comunque al di fuori di questi ultimi, al fine di integrarne la regolamentazione dei soli profili patrimoniali, sempre che – in relazione ai superiori interessi della famiglia – siano migliorative degli accordi in oggetto, ovvero concernono profili da questi non presi in considerazione senza alterarne nella sostanza l’assetto (nella specie, la Suprema corte ha ritenuto immune da vizi logici e giuridici, confermandola, la sentenza di merito che aveva ritenuto valida la pattuizione intervenuta tra i coniugi in vista della separazione consensuale, con la quale l’uno si impegnava a trasferire all’altro determinati beni immobili, in quanto non peggiorativa degli accordi omologati in relazione all’affidamento e al mantenimento dei figli minori).
In tema di separazione consensuale, le pattuizioni convenute dai coniugi prima del decreto di omologazione e non trasfuse nell’accordo omologato si configurano come contratti atipici, aventi presupposti e finalità diversi sia dalle convenzioni matrimoniali che dagli atti di liberalità, nonché autonomi rispetto al contenuto tipico del regolamento concordato tra i coniugi, destinato ad acquistare efficacia giuridica soltanto in seguito al provvedi¬mento di omologazione: ad esse, pertanto, può riconoscersi validità solo in quanto, alla stregua di un’indagine ermeneutica condotta nel quadro dei principi stabiliti dagli artt. 1362 e ss. cod. civ., risultino tali da assicurare una maggiore vantaggiosità all’interesse protetto dalla norma (ad esempio prevedendo una misura dell’assegno di mantenimento superiore a quella sottoposta ad omologazione), ovvero concernano un aspetto non preso in considerazione dall’accordo omologato e sicuramente compatibile con questo, in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, o ancora costituiscano clausole meramente specificative dell’accordo stesso, non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull’accordo omologato con soluzioni alternative di cui non sia certa a priori la uguale o migliore rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo giudiziario di cui all’art. 158 cod. civ.
Cass. civ. Sez. I, 28 giugno 2006, n. 15017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Al fine della determinazione del tribunale competente per territorio sulla domanda di separazione personale dei coniugi alla stregua del criterio “del luogo di residenza del coniuge convenuto al momento della proposizione del¬la domanda” (art. 8 della legge n. 74 del 1987, applicabile alle separazioni ex art. 23 della stessa legge, e già art. 706 cod. proc. civ.) – da ritenersi coincidente con il momento del deposito del ricorso -, tale luogo deve essere identificato, in via presuntiva, nella casa coniugale. La presunzione può essere vinta dal convenuto mediante la prova, a suo carico, dell’avvenuto trasferimento in altro luogo della residenza effettiva e della conoscibilità legale di tale trasferimento dalla parte attrice in forza delle risultanze anagrafiche, ovvero della sua conoscenza di fatto.
Cass. civ. Sez. III, 14 marzo 2006, n. 5473 (Nuova Giur. Civ., 2007, 3, 1, 371 nota di MARTINO)
Gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della “donazione”, e – tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all’actio revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. – rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occa¬sione dell’evento di “separazione consensuale” (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo – in quanto tale – da un lato alle connotazioni classiche dell’atto di “donazione” vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sé, ad un contesto – quello della separazione personale – caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell’affettività), e dall’altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l’assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua “tipicità” propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della “gratuità”, in ragione dell’eventuale ricorrenza – o meno – nel concreto, dei connotati di una sistemazione “solutorio-compensativa” più ampia e complessiva, di tutta quell’ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale.
Cass. civ. Sez. I, 10 marzo 2006, n. 5302 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, i reciproci rapporti economici in relazione al futuro ed eventuale divorzio con riferimento all’assegno divorzile sono nulli per illiceità della causa, avuto riguardo alla natura assistenziale di detto assegno, previsto a tutela del coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo. Ne consegue che la disposizione dell’art. 5, ottavo comma, della legge n. 898 del 1970 nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987 – a norma del quale, su accordo delle parti, la corresponsione dell’assegno divorzile può avvenire in un’ unica soluzione, ove ritenuta equa dal tribunale, senza che si possa, in tal caso, proporre alcuna successiva domanda a contenuto economico – non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio.
Cass. civ. Sez. I, 10 ottobre 2005, n. 20290 (Famiglia e Diritto, 2006, 2, 147 nota di OBERTO)
Le pattuizioni intervenute tra i coniugi anteriormente o contemporaneamente al decreto di omologazione della separazione consensuale, e non trasfuse nell’accordo omologato, sono operanti soltanto se si collocano, rispetto a quest’ultimo, in posizione di “non interferenza” – perché riguardano un aspetto che non è disciplinato nell’ac¬cordo formale e che è sicuramente compatibile con esso, in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, ovvero perché hanno un carattere meramente specificativo – oppure in posizione di conclamata e incontestabile maggiore o uguale rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo di cui all’art. 158 cod. civ. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la sentenza impugnata, che aveva escluso l’invalidità dell’accordo intervenuto tra i coniugi per l’alienazione della casa coniugale, di proprietà esclusiva del marito ed assegnata alla moglie, e per la ripartizione del ricavato tra loro, in quanto la perdita dell’abitazione da parte del coniuge assegnatario era giustificata dall’intenzione di quest’ultimo di trasferirsi in un’altra città, ed era comunque compensata dal beneficio economico derivante dall’attribuzione di parte del corrispettivo, che avrebbe consentito alla moglie di far fronte più largamente alle proprie esigenze ed a quelle della figlia a lei affidata).
In tema di separazione personale, le modificazioni pattuite dai coniugi successivamente all’omologazione, tro¬vando fondamento nell’articolo 1322 del c.c., devono ritenersi valide ed efficaci, anche a prescindere dallo speciale procedimento disciplinato dagli articoli 710 e 711 del c.p.c., senz’altro limite che non sia quello di de¬rogabilità consentito dall’articolo 160 del c.c. Le pattuizioni, invece, convenute dagli stessi coniugi antecedente¬mente o contemporaneamente al decreto di omologazione, e non trasfuse nell’accordo omologato, sono operanti soltanto se si collocano, rispetto a quest’ultimo, in posizione di non interferenza o in posizione di conclamata e incontestabile maggiore (o uguale) rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo di cui all’articolo 158 del codice civile.
Cass. civ. Sez. I, 29 marzo 2005, n. 6625 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La dichiarazione di addebito della separazione personale dei coniugi può essere richiesta e adottata solo nell’am¬bito del giudizio di separazione, dovendosi escludere l’esperibilità, in tema di addebito, di domande successive a tale giudizio, poiché il capoverso dell’art. 151 c.c. espressamente attribuisce la cognizione della relativa doman¬da alla competenza esclusiva del giudice della separazione. Ne consegue che, successivamente alla pronuncia di separazione senza addebito, come alla omologazione di separazione consensuale, le parti non possono chiedere, né per fatti sopravvenuti, né per fatti anteriori alla separazione, una pronuncia di addebito, a nulla rilevando, nel caso di separazione consensuale, nemmeno il carattere negoziale della stessa, e la conseguente applicabilità ad essa delle norme generali relative alla disciplina dei vizi della volontà – nei limiti in cui siano compatibili con la specificità di tale negozio di diritto familiare – implicando tale regime solo la possibilità di promuovere il relativo giudizio di annullamento.
Cass. civ. Sez. I, 4 settembre 2004, n. 17902 (Famiglia e Diritto, 2005, 5, 508 nota di PAGNI)
Stante la natura negoziale dell’accordo che dà sostanza e fondamento alla separazione consensuale tra coniugi, e non essendo ravvisabile, nell’atto di omologazione, una funzione sostitutiva o integrativa della volontà del¬le parti, ma rappresentando la procedura ed il decreto di omologazione condizioni di efficacia del sottostante accordo tra i coniugi (salvo che per quanto riguarda i patti relativi all’affidamento ed al mantenimento dei figli minorenni, sui quali il giudice è dotato di un potere d’intervento più penetrante), deve ritenersi ammissibile l’azione di annullamento della separazione consensuale omologata per vizi della volontà, la cui esperibilità, non limitata alla materia contrattuale, ma estensibile ai negozi relativi a rapporti giuridici non patrimoniali, genus cui appartengono quelli di diritto familiare – presidia la validità del consenso come effetto del libero incontro della volontà della parti.
È ammissibile l›azione di annullamento disciplinata dagli articoli 1427 e seguenti del c.c. nell›ipotesi di vizi del consenso dei coniugi nella separazione consensuale omologata. Tale principio trova fondamento nella natura della separazione consensuale omologata caratterizzata essenzialmente dal ruolo primario della volontà concorde dei coniugi di separarsi ovvero di definire i vari aspetti della vita coniugale e familiare, laddove il successivo provvedimento di omologazione assume la semplice valenza di condizione sospensiva di efficacia delle pattuizioni contenute nell›accordo coniugale. Il giudice, infatti, in tali ipotesi si limita a un controllo non penetrante e integrativo della volontà delle parti – diversamente da quanto avviene in relazione ai patti circa l›affidamento e il mantenimento dei figli minorenni, sui quali il giudice è dotato di un potere di intervento più penetrante -che non fornisce certezza assoluta sulla validità e genuinità della volontà manifestata dai coniugi in sua presenza. Né di ostacolo a tale ammissibilità si pone la particolare natura della separazione consensuale omologata in quanto l’estensibilità ai negozi di diritto familiare della normativa sull’annullamento dei contratti per i vizi del consenso trova fondamento nella disciplina generale del negozio giuridico e ancor prima nei principi generali dell’ordinamento.
Cass. civ. Sez. I, 30 agosto 2004, n. 17434 (Guida al Diritto, 2004, 42, 73)
Pur acquisendo la separazione consensuale efficacia con l’omologazione non è esclusa la validità di pattuizioni stipulate fra i coniugi, anche al di fuori degli accordi omologati, sia posteriori all’omologazione, sia anteriori o contemporanee all’accordo omologato, purché queste non ledano il contenuto minimo indispensabile del regime di separazione e non interferiscano con esso, ma si configurino in termini di maggiore rispondenza all’interesse della famiglia, in quanto incrementino, ad esempio, la misura dell’assegno di mantenimento o concernano altro aspetto non incluso nell’accordo omologato e compatibile con esso.
Cass. civ. Sez. I, 20 novembre 2003, n. 17607 (Guida al Diritto, 2003, 49, 31 nota di FIORINI)
L’atto che dà sostanza e fondamento alla separazione consensuale ha natura negoziale. In tale accordo, infatti, si dispiega pienamente l’autonomia dei coniugi e la loro valutazione della gravità della crisi coniugale, con esclu¬sione di ogni potere di indagine del giudice sui motivi della decisione di separarsi e di valutazione circa la validità di tali motivi, in piena coerenza con la centralità del principio del consenso nel modello di famiglia delineato dalla legge di riforma e in ragione del tasso di negozialità dalla stessa legge riconosciuto in relazione ai diversi mo¬menti e aspetti della dinamica familiare. Quanto precede non esclude, peraltro, che non è ammissibile dedurre la natura simulata di un siffatto accodo. Nel momento, infatti, in cui i coniugi convengono, nello spirito e nella prospettiva della loro intesa simulatoria, di chiedere al tribunale l’omologazione della loro apparente separazione esse in realtà concordano nel volere conseguire il riconoscimento di un nuovo status e la volontà di conseguire quest’ultimo è effettiva e non simulata, per cui appare logicamente insostenibile che i coniugi possano disvolere con detto accordo la condizione di separati e, al tempo stesso, volere l’emissione di un provvedimento giudiziale destinato ad attribuire determinati effetti giuridici a detta condizione: l’antinomia tra tali determinazioni non può trovare altra composizione che nel considerare l’iniziativa processuale come atto incompatibile con la volontà di avvalersi della simulazione.
Pur non potendosi dubitare della natura negoziale (quand’anche non contrattuale) dell’accordo che dà sostanza e fondamento alla separazione consensuale tra i coniugi, e pur non essendo ravvisabile, nell’atto di omologazione, una funzione sostitutiva o integrativa della volontà delle parti o di governo dell’autonomia dei coniugi, è da esclu¬dere l’impugnabilità per simulazione dell’accordo di separazione una volta omologato, giacché l’iniziativa proces¬suale diretta ad acquisire l’omologazione, e quindi la condizione formale dei coniugi separati, con le conseguenti implicazioni giuridiche, si risolve in una iniziativa nel senso della efficacia della separazione che vale a superare il precedente accordo simulatorio, ponendosi in antitesi con esso, essendo logicamente insostenibile che i coniugi possano “disvolere” con detto accordo la condizione di separati ed al tempo stesso “volere” l’emissione di un provvedimento giudiziale destinato ad attribuire determinati effetti giuridici a detta condizione.
L’accordo di separazione ha natura negoziale e a esso possono applicarsi, nei limiti della loro compatibilità, le norme del regime contrattuale che riguardano in generale la disciplina del negozio giuridico o che esprimono principi generali dell’ordinamento, come quelle in tema di vizi del consenso e di capacità delle parti. È tuttavia inammissibile l’impugnazione della separazione per simulazione quando i coniugi abbiano chiesto al tribunale l’omologazione della loro (simulata) separazione. In tal caso, la volontà di conseguire lo status di separati – dal quale la legge fa derivare effetti irretrattabili tra le parti e nei confronti dei terzi, salve le ipotesi della riconcilia¬zione e dello scioglimento definitivo del vincolo – è effettiva e non simulata.
Cass. civ. Sez. Unite, 10 ottobre 2003, n. 14671 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La pronuncia sulla competenza contenuta in un provvedimento camerale privo di decisorietà e definitività non è impugnabile con il regolamento di competenza ad istanza di parte, atteso che l’affermazione o la negazione della competenza stessa, preliminare e strumentale alla decisione di merito, non ha una sua natura specifica, diversa da quest’ultima, tale da giustificare un diverso regime di impugnazione e da rendere ipotizzabile un in¬teresse all’individuazione definitiva ed incontestabile del giudice chiamato ad emettere un provvedimento privo di decisorietà e definitività.
Trib. Lecce, 15 aprile 2003 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione consensuale, alle pattuizioni convenute dai coniugi prima del provvedimento di omolo¬gazione e non trasfuse nell’accordo omologato, può riconoscersi validità solo quando assicurino una maggiore vantaggiosità all’interesse protetto dalla norma o quando concernano un aspetto non preso in considerazione dall’accordo omologato e sicuramente compatibile con questo, in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, o quando costituiscono clausole meramente specificative dell’accordo stesso, di disciplina «se¬condaria», non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull’accordo omologato (nella specie il giudicante ha ritenuto giuridicamente operante solo il regolamento omologato, in forza del quale i coniugi avrebbero dovuto lasciare la casa coniugale nella piena disponibilità dell’usufruttuario della stessa, non potendosi riconoscere alcuna efficacia al patto di separazione anteriore al verbale di omologazione – e non trasfuso nello stesso – con il quale i coniugi avevano concordato che l’immobile sarebbe stato concesso in locazione alla moglie, dietro versamento al marito – nudo proprietario dell’immobile – di un certo importo a titolo di canone mensile).
Trib Pavia 9 aprile 2003 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non può essere omologata la separazione consensuale in un caso in cui, all’udienza presidenziale, non è stato possibile effettuare il tentativo di conciliazione in quanto i coniugi, anziché comparire personalmente, si sono fatti sostituire da procuratori speciali.
Cass. civ. Sez. V, 3 dicembre 2001, n. 15231 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Le agevolazioni di cui all’art. 19 l. 6 marzo 1987 n. 74, come interpretato e modificato dalla Corte cost. con sentenza n. 154 del 1999, operano – quanto agli atti ed accordi finalizzati allo scioglimento della comunione tra i coniugi conseguente alla separazione – limitatamente all’effetto naturale della separazione, costituito dallo scioglimento automatico della comunione legale, e non competono con riferimento ad atti – solo occasionalmente generati dalla separazione – di scioglimento della comunione ordinaria tra gli stessi coniugi, che ben potrebbe persistere nonostante la separazione.
Cass. civ. Sez. I, 8 marzo 2001, n. 3390 (Famiglia e Diritto, 2001, 4, 443)
In tema di separazione personale tra coniugi, il decreto omologativo di detta separazione non è impugnabile per cassazione ex art. 111 cost. per mancanza dei richiesti caratteri di definitività e decisorietà. Esso, infatti, pur incidendo su diritti soggettivi, non decide sugli stessi, e non ha, pertanto, attitudine ad acquistare l’efficacia del giudicato sostanziale. Ne consegue altresì la inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 cost. avverso il provvedimento della Corte d’appello che pronuncia sul reclamo avverso il decreto in questione.
Non può essere proposto ricorso straordinario per Cassazione contro il provvedimento della Corte d’appello che dichiari inammissibile il reclamo avverso il decreto di omologazione di una separazione consensuale.
Cass. civ. Sez. I, 5 marzo 2001, n. 3149 (Famiglia e Diritto, 2001, 4, 442)
Applicandosi l’art. 156, comma 7, c.c. in via analogica alla separazione consensuale, i “giustificati motivi” che au¬torizzano la modificazione delle condizioni della separazione consistono in fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale gli accordi erano stati stipulati; ne consegue che nè gli eventuali vizi del consenso rispetto all’atto di separazione omologato nè la sua eventuale simulazione sono deducibili con il giudi¬zio camerale attivato ai sensi degli art. 710 e 711 c.p.c., costituendo presupposto del ricorso a detta procedura l’allegazione dell’esistenza di una valida separazione consensuale omologata.
Cass. civ. Sez. I, 30 luglio 1999, n. 8272 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione personale tra coniugi, non è ammissibile la domanda di mutamento del titolo della sepa¬razione stessa, da consensuale a giudiziale con addebito, essendo prevista l’accessoria ed eventuale pronuncia di addebito solo contestualmente al giudizio di separazione. Ciò in quanto, a seguito della riforma del diritto di famiglia, la separazione, quale effetto e rimedio di una convivenza ormai intollerabile, o tale da pregiudicare gravemente l’educazione della prole, non è più prevista come uno stato transitorio, determinato da colpe, in prospettiva della ricomposizione dell’unione coniugale, ma si sostanzia in un titolo autosufficiente di cessazione della convivenza, suscettibile di ulteriori e diversificati esiti. Di qui la volontà del legislatore, espressa nell’art. 151 c.c., di riservare esclusivamente al giudice chiamato a pronunciare la separazione il potere di statuire, ove ne ricorrano le circostanze, e se ne sia richiesto, l’addebitabilità della separazione, precludendo, in tal modo, la possibilità che questa sia prospettata “aliunde”, in altra sede, con autonoma domanda, in presenza di un prece¬dente titolo della separazione. La possibilità di attribuzione di addebito in precedenza non attribuito è configu¬rabile solo in caso di nuova pronuncia di separazione, emessa in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la eventuale riconciliazione.
Cass. civ. Sez. I, 11 giugno 1998, n. 5829 (Guida al Diritto, 2004, 38, 45)
Le modificazioni degli accordi, convenuti tra i coniugi, successive all’omologazione della separazione ovvero alla pronuncia presidenziale di cui all’art. 708 c.p.c., trovando legittimo fondamento nel disposto dell’art. 1322 c.c., devono ritenersi valide ed efficaci, a prescindere dall’intervento del giudice ex art. 710 c.p.c., qualora non superino il limite di derogabilità consentito dall’art. 160 c.c. e, in particolare, quando non interferiscano con l’accordo omologato ma ne specifichino il contenuto con disposizioni maggiormente rispondenti, all’evidenza, con gli interessi ivi tutelati.
Cass. civ. Sez. I, 19 settembre 1997, n. 9317 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In seguito all’abrogazione dell’art. 156 c.c. non sussistono a carico dei coniugi separati obblighi di carattere morale derivanti dal matrimonio ma solo obblighi di natura patrimoniale. Non sono conseguentemente valutabili fatti commessi in violazione di obblighi non più esistenti quando la separazione è stata pronunziata o consen¬sualmente accettata. In particolare l’obbligo di reciproca fedeltà anche dopo la separazione non trova riscontro nella lettera della legge e non si concilia con la funzione che, dopo l’introduzione del divorzio, l’istituto della separazione intende assicurare. Per la necessaria contestualità tra il giudizio di improseguibilità della convivenza e il giudizio di addebitabilità non è consentito, una volta che la separazione è stata pronunciata o omologata, stabilire con giudizio “a posteriori” che il fallimento dell’unione coniugale avrebbe potuto essere imputato a fatti e comportamenti diversi da quelli già considerati. Il mutamento del titolo della separazione per fatti conosciuti successivamente alla pronuncia è precluso dagli effetti del giudicato nell’ipotesi di separazione giudiziale con o senza addebito ed è in conflitto con l’accordo omologato nell’ipotesi di separazione consensuale.
Cass. civ. Sez. I, 28 luglio 1997, n. 7029 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione consensuale, le modificazioni pattuite dai coniugi antecedentemente o contemporane¬amente all’accordo omologato sono operanti soltanto se si collocano in posizione di non interferenza rispetto a quest’ultimo o in posizione di maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato.
Cass. civ. Sez. I, 15 maggio 1997, n. 4306 (Famiglia e Diritto, 1997, 5, 417 nota di CARAVAGLIOS)
Sono pienamente valide le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redat¬to da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., senza che la va¬lidità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi.
Il trasferimento di diritti reali immobiliari che si riconnetta alla convenzione diretta a regolare il regime di se¬parazione, ne segue la forma, senza che possa distinguersi fra trasferimenti onerosi e gratuiti, non assumendo tale distinzione rilievo, in quella sede, sotto il profilo formale, essendo l’atto disciplinato, in via esclusiva, dalla normativa specialedell’art. 126 c.p.c., che attribuendo anche al trasferimento forma di atto pubblico, ne consente – dopo l’omologazione che lo rende efficace – la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.
L’accordo di separazione ha un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati – ed un contenuto eventuale, costituito dalle pattuizioni necessarie ed opportune, in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata, a seconda della situazione familiare (affidamento dei figli; assegni di mantenimento; statuizioni eco¬nomiche connesse). Nel contenuto eventuale dell’accordo di separazione rientra quindi ogni statuizione finaliz¬zata a regolare l’assetto economico dei rapporti tra i coniugi in conseguenza della separazione, comprese quelle attinenti al godimento ed alla proprietà dei beni, il cui nuovo assetto sia ritenuto dai coniugi stessi necessario in relazione all’accordo di separazione e che il tribunale – con l’omologazione – non abbia considerato in contrasto con interessi familiari prevalenti rispetto a quelli disponibili di ciascuno di essi.
App. Napoli 29 gennaio 1996 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nelle more della pronuncia del decreto di omologazione non può essere unilateralmente revocato il consenso prestato dinanzi al presidente del tribunale per la separazione consensuale.
Cass. civ. Sez. I, 17 marzo 1995, n. 3098 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
A seguito della riforma del 1975, la separazione personale dei coniugi non è più determinata dalla cosciente violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio, bensì dal dato oggettivo dell’intollerabilità della convivenza o dal grave pregiudizio per i figli, non necessariamente dipendente dalla condotta volontaria di uno o di entrambi i coniugi, e la dichiarazione di addebito, prevista dall’art. 151, comma 2, c.c. si pone come una mera variante dell’accertamento della improseguibilità della convivenza, ossia come una modalità accessoria ed eventuale, accertabile solo se espressamente richiesta da una parte e ove ne ricorrano le circostanze. Ne consegue che la responsabilità della cessazione dell’unità familiare può essere accertata solo contestualmente alla pronuncia di separazione e che i comportamenti dei coniugi successivi a tale pronuncia potranno eventualmente rilevare solo ai fini del mutamento delle condizioni della separazione o per la richiesta di inibitoria dell’uso del cognome ai sensi dell’art. 156-bis c.c. (o in sede penale), ma non potranno costituire il fondamento di una sentenza di addebito successiva alla separazione, trattandosi di comportamenti ormai intrinsecamente privi di ogni influenza in ordine ad una già accertata impossibilità di prosecuzione della convivenza.
Cass. civ. Sez. I, 10 novembre 1994, n. 9393 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Le clausole della separazione consensuale omologata in tema di mantenimento, nel loro contenuto originario od in quello ridefinitivo in esito alla procedura di cui agli art. 710 e 711 c.p.c., hanno, ai sensi dell’art. 158 c.c. (nel testo risultante dalla pronuncia della corte costituzionale n. 186 del 18 febbraio 19 88), natura di titolo giudiziale, anche ai fini dell’iscrizione d’ipoteca a norma dell’art. 2818 c.c., al pari delle statuizioni in proposito incluse nella sentenza di separazione. Ne discende che l’avente diritto a detto mantenimento non è abilitato, per difetto di interesse, a reclamare, con il rito ordinario o con quello monitorio, una decisione di condanna all’adempimento, la quale si tradurrebbe nella reiterazione di un titolo di cui già gode.
Trib. Bari 22 gennaio 1994 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nelle more della pronuncia del decreto di omologazione non può essere unilateralmente revocato il consenso prestato dinanzi al presidente del tribunale per la separazione consensuale.
App. Bari 30 agosto 1993 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È illegittima l›omologazione della separazione consensuale qualora uno dei coniugi abbia revocato il consenso prestato nel ricorso.
Cass. civ. Sez. I, 14 luglio 1993, n. 7774 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La partecipazione del p.m. al procedimento di separazione consensuale dei coniugi ex art. 711 c.p.c. non è pre¬vista da tale norma, né è desumibile, come necessaria, dalla disciplina di procedimenti camerali, senza che ciò determini dubbi di legittimità costituzionale in ordine alla citata norma, con riguardo ad ipotesi di applicazione della medesima, strumentale alla pronunzia di provvedimenti non concernenti l’affidamento della prole e cioè specificamente incidenti sullo del minore, anche se la posizione del medesimo viene indirettamente contemplata ai fini della quantificazione delle prestazioni economiche stabilite in favore del coniuge affidatario.
Trib. Bari 3 marzo 1993 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nelle more della pronuncia del decreto di omologazione non può essere unilateralmente revocato il consenso prestato dinanzi al presidente del tribunale per la separazione consensuale.
Trib. Monza 19 novembre 1992 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nelle more della pronuncia del decreto di omologazione non può essere unilateralmente revocato il consenso prestato dinanzi al presidente del tribunale per la separazione consensuale.
Trib Milano 11 luglio 1991 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
E’ illegittima l’omologazione della separazione consensuale qualora uno dei coniugi abbia revocato il consenso prestato nel ricorso.
Cass. civ. Sez. I, 15 marzo 1991, n. 2788 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’accordo volto a regolare la separazione consensuale può contenere anche negozi che, in quanto non siano direttamente collegati ai diritti e agli obblighi connessi al matrimonio, rinvengono nella separazione una sem¬plice occasione e restano distinti dalle convenzioni di famiglia (nella specie, obbligazione di trasferimento di un immobile da un coniuge all’altro).
Trib Napoli 13 marzo 1989 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È illegittima l›omologazione della separazione consensuale qualora uno dei coniugi abbia revocato il consenso prestato nel ricorso.
Corte Cost. 18 febbraio 1988, n. 186 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
I rapporti patrimoniali tra coniugi separati, per quanto attiene sia al loro mantenimento personale che a quello dei figli, non possono essere assistiti da diversa garanzia, a seconda del titolo, consensuale o giudiziale, della separazione. È pertanto costituzionalmente illegittimo – per violazione dell’art. 3 Cost. – l’art. 158 del codice civile, nella parte in cui non prevede che il decreto di omologazione della separazione consensuale costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, ai sensi dell’art. 2818 del codice civile.
Cass. civ. Sez. III, 18 dicembre 1986, n. 7681 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’assegnazione in sede di separazione personale, ancorché consensuale, della casa di abitazione ad uno dei coniugi integra, a favore dell’altro, lo stato di urgente ed improrogabile necessità che, ai sensi dell’art. 4, n. 1, l. n. 253 del 1950, legittima a far cessare la proroga legale del contratto di locazione relativo ad un proprio alloggio, senza che assuma rilievo, salva la facoltà della controparte di provare la simulazione della procedura di separazione, la circostanza che detto coniuge non abbia abbandonato il domicilio coniugale, comportando la convivenza sotto lo stesso tetto con il coniuge separato un maggior bisogno di ottenere la disponibilità dell’ap¬partamento locato a terzi.
App. Roma 3 luglio 1986 (Foro It., 1986, I, 3133)
Nelle more della pronuncia del decreto di omologazione non può essere unilateralmente revocato il consenso prestato dinanzi al presidente del tribunale per la separazione consensuale.
App. Venezia 11 giugno 1983 (Giur. It., 1984, I,2, 666 nota di CIRILLO, MONOSI)
Il coniuge può unilateralmente revocare il consenso prestato alla separazione consensuale prima che sia inter¬venuta l’omologazione giudiziale, essendo tale provvedimento un elemento costitutivo della fattispecie, rispetto al quale la volontà dei coniugi si pone come un mero, benché necessario, presupposto.
Trib. Milano 10 novembre 1982 (Dir. Famiglia, 1982, 1358 nota di NAPPI)
Nel procedimento di separazione consensuale, in seno al quale la volontà dei coniugi manifestata avanti al pre¬sidente del tribunale ed il decreto di omologazione costituiscono elementi ugualmente necessari e concorrenti, il consenso manifestato dai coniugi configura un accordo-convenzione, revocabile, come tale, unilateralmente sino a quando non sia intervenuta l’omologazione del verbale da parte del tribunale.