T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, 7 gennaio 2019, n. 148
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6530 del 2015, proposto da
A.G., in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale nei confronti della figlia minore E.G. nata a G. il (…), rappresentato e difeso dagli avv.ti Pasquale Varone, Laura Di Fazio e Luciano Lione, con domicilio eletto presso lo studio Pasquale Varone in Roma, Lungotevere della Vittoria n. 9;
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
A.M.D., rappresentata e difesa dall’avv. Nicola Ciconte, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cola di Rienzo n. 212;
per l’annullamento
del provvedimento prot. (…) del 26.3.2015, emesso dal Comando Militare della Capitale, notificato in data 15.4.2015 e 20.4.2015 avente ad oggetto “Dichiarazione di decadenza dalla concessione dell’alloggio di servizio ERM 1778 sito in R., via Dei B. n. 116” con cui l’Amministrazione convenuta comunicava al Ten Col. A.G. che “ai sensi delle norme regolamentari per gli alloggi di servizio per le Forze Armate, è dichiarato decaduto dalla concessione dell’alloggio di servizio AST ERM 1778, sito in R. via Dei B. n. 116, con decorrenza 24 settembre 2013, a mente dell’art.330 lett. d), delD.P.R. n. 90 del 2010, per il seguente motivo: mancata occupazione stabile dell’alloggio da parte del concessionario;
di tutti gli atti presupposti, consequenziali e comunque connessi ed in particolare dell’atto n. E24476 0012592 del 26.3.2015, notificato al ricorrente per conoscenza il 15.4.2015 e il 20.4.2015, con cui l’Amministrazione convenuta comunicava alla moglie del ricorrente, sig.ra A.M.D., (in risposta alla richiesta dalla stessa avanzata in data 19.9.2014, di accesso ai benefici previsti dall’art. 4 comma 2 del Decreto del Ministro della Difesa del 7.5.2014) che non rientrava nei requisiti previsti dall’art. 4 comma 2 del Decreto del Ministro della Difesa del 7.5.2014, nello specifico, poiché l’applicazione dei benefici previsti dal predetto decreto (legittimazione alla conservazione della conduzione degli alloggi di servizio in deroga ai limiti previsti dalD.P.R. n. 90 del 2010) presuppone la condizione di “coniugi… che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, siano divorziati, ovvero legalmente separati … Tale situazione costituente requisito di legittimazione per la richiesta avanzata si concreta con l’omologazione del tribunale nei casi di separazione consensuale, ovvero con sentenza passata in giudicato, nel caso di separazione giudiziale… considerato che il procedimento di separazione personale che la riguarda risulta tuttora pendente, si comunica che l’istanza in oggetto non può trovare favorevole accoglimento”;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 novembre 2018 la dott.ssa Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
Con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 14 maggio 2015 e depositato il successivo 26 maggio 2015, il ricorrente – tenente colonnello dell’Esercito, concessionario dell’alloggio di servizio ERM 1778 in R., via Dei B. n. 116, separando dalla moglie sig.ra A.M.D. e, per questo, autorizzato a “vivere separatamente” da quest’ultima già con provvedimento del Tribunale di Roma del 24 settembre 2013, con assegnazione alla consorte della casa familiare – impugna, in proprio e in qualità di esercente la potestà genitoriale nei confronti della figlia minore, i provvedimenti con cui, in data 26 marzo 2015, il Comando Militare della Capitale lo ha dichiarato decaduto dalla concessione del su indicato alloggio di servizio e, ancora, ha respinto l’istanza avanzata dalla sig.ra D. per accedere ai benefici previsti dall’art. 4, comma 2, del decreto del Ministro della Difesa 7 maggio 2014, in ragione della carenza dei requisiti prescritti.
In particolare, il ricorrente espone quanto segue:
– nell’imminenza della prima udienza di comparizione dinanzi al Tribunale di Roma (23.9.2013), comunicava all’Amministrazione ed all’Ente gestore responsabile dell’alloggio (il Comando Militare della Capitale) di avere intrapreso un procedimento per la separazione giudiziale dalla moglie;
– in riscontro a tale comunicazione, l’Amministrazione interessata inviava una nota, tra gli altri, al Tribunale Civile di Roma per rappresentare la rientranza dell’alloggio di servizio nel patrimonio demaniale dello Stato, sottoposto – in quanto tale – al regime di cuiall’art. 823 c.c.;
– nonostante tale nota, conprovvedimento del 24 settembre 2013il Tribunale Civile di Roma “autorizzava i coniugi a vivere separatamente e assegnava alla moglie sig.ra A.M. Dell’Abbate l’alloggio demaniale adibito a casa familiare … sul presupposto del collocamento nell’immobile (alloggio di servizio) della minore E.G. (di diciassette anni) e della figlia maggiorenne non economicamente indipendente, Alessandra G. (studentessa universitaria disoccupata) unitamente alla madre”, attribuendo espressamente prevalenza alla funzione di “luogo di aggregazione della famiglia” dell’alloggio;
– seppure a conoscenza di quanto disposto in tale provvedimento e, ancora, nonostante l’inoltro da parte della sig.ra D. di un’istanza per “vedersi riconoscere” il mantenimento della conduzione dell’alloggio demaniale ex art. 4, comma 2, del decreto del Ministro della Difesa del 7 maggio 2014, in data 3 novembre 2014 l’Amministrazione avviava il procedimento di decadenza della concessione;
– il successivo 26 marzo 2015 l’Amministrazione adottava i provvedimenti impugnati, ossia il provvedimento di decadenza con “decorrenza 24 settembre 2013 (data del provvedimento presidenziale che ha assegnato l’alloggio in questione alla moglie)” e il provvedimento di rigetto dell’istanza di concessione dei benefici di cui alD.M. del 7 maggio 2014, presentata dalla sig.ra D..
Avverso tali provvedimenti il ricorrente insorge deducendo i seguenti motivi di diritto:
1. VIOLAZIONE DI NORME DI DIRITTO CON RIFERIMENTO ALL’ART.330DELD.P.R. N. 90 DEL 2010, AGLIARTT. 29 E 30 DELLA COSTITUZIONE, ALL’ART. 4 COMMA 2 DEL DECRETO DEL MINISTRO DELLA DIFESA DEL 7.5.2014,ALL’ART. 708 DEL C.P.C., in ragione della carenza di inadempimenti al predetto ascrivibili, della persistenza della destinazione dell’alloggio ad abitazione del nucleo familiare secondo il provvedimento immediatamente esecutivo emesso dal Tribunale di Roma, tanto più in ragione del rilievo che la separazione tra i coniugi non produce lo scioglimento del matrimonio e, in particolare, non determina il venire meno della coabitazione e dell’affectio coniugalis, e, dunque, dell’inequivoca sussistenza di esigenze di tutela della famiglia, la cui importanza ha, tra l’altro, trovato espresso riconoscimento anche nelle prescrizioni del su richiamato D.M., con premura di aggiungere, ancora, che, quando quest’ultimo “si riferisce alla nozione di separazione legale fra i coniugi, non può aver escluso dai casi concreti rientranti nella norma, la specifica situazione” in cui il giudice ordinario abbia autorizzato i coniugi a vivere separati e che la circostanza che l’Amministrazione abbia lasciato trascorrere oltre un anno prima di avviare il procedimento volto alla decadenza esprime “una volontà abdicativa ed acquiescente in ordine al recupero dell’immobile”.
2. ECCESSO DI POTERE SOTTO IL PROFILO DELLA CARENZA DI ISTRUTTORIA, posto che l’Amministrazione ha pretermesso il fine pubblico all’interesse della prole minorenne e non economicamente autosufficiente a conservare la propria sede abitativa e, dunque, ha operato sulla base di un’istruttoria inadeguata e insufficiente.
3. ECCESSO DI POTERE PER IRRAGIONEVOLEZZA, ERRONEI PRESUPPOSTI DI FATTO – CONTRASTO PALESE CON ALTRE MANIFESTAZIONI DI ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA PROMANANTI DA PARTE DELLA STESSA AUTORITA’.
4. ECCESSO DI POTERE PER MOTIVAZIONE CARENTE INCONGRUA – DISPARITA’ DI TRATTAMENTO.
5. ECCESSO DI POTERE SOTTO IL PROFILO DEL TRAVISAMENTO ED ERRONEA VALUTAZIONE DEI FATTI, tenuto conto che l’Amministrazione ha totalmente disatteso ilDM del 7 maggio 2014, atteso che il predetto “risulta legalmente separato a far data dal 24.9.2013, in forza dell’Ordinanza n. R.G. 20709/13 emessa dal Tribunale di Roma, già prodotta il 30.9.2013”, come, del resto, confermato dai molteplici effetti di quest’ultima.
Con atto depositato in data 10 giugno 2015 si è costituito il Ministero della Difesa, il quale – nel prosieguo e, precipuamente, in data 20 giugno 2015 – ha prodotto una memoria, connotata – in sintesi – dal seguente contenuto: – premesso che, per mero errore materiale, l’alloggio in discussione è stato indicato come “AST”, mentre si tratta di un alloggio “ASI”, l’impugnazione da parte del ricorrente del provvedimento di rigetto dell’istanza ex art. 4 delD.M. 7 maggio 2014va dichiarata inammissibile per difetto di “legittimazione ad agire”; – per quanto attiene, invece, all’impugnazione del provvedimento di decadenza della concessione, l’art. 303 (leggasi: 313) delD.P.R. n. 90 del 2010è chiaro e inequivoco nello stabilire la stretta dipendenza della concessione di alloggi ASI dalla necessità di consentire la costante presenza del dipendente in prossimità della sede di servizio e, dunque, rende evidente “l’imprescindibilità della utilizzazione dello stesso quale abitazione” di quest’ultimo, oltre che del suo nucleo familiare, come, peraltro, confermato dalle deroghe particolari riportate nel successivo art. 320; – tenuto conto delle previsioni vigenti in materia, l’allontanamento del ricorrente dall’alloggio non poteva che condurre alla decadenza della relativa concessione, trattandosi di un “allontanamento volontario”, peraltro riconosciuto in un provvedimento giudiziale, affatto riconducibile alle deroghe di cui sopra; – trattando nel merito le censure afferenti il provvedimento di rigetto dell’istanza della sig.ra D., non può che prendersi atto dell’insussistenza, alla data di entrata in vigore del richiamato D.M., dei presupposti ivi previsti e, in particolare, della mancata emissione, a tale data, di una sentenza di separazione personale dei coniugi o dell’omologazione di quella consensuale.
In data 10 giugno 2015 la sig.ra A.M.D. ha depositato un atto di intervento ad adiuvandum, teso a porre in evidenza che “ad oggi, la famiglia del Ten. Col. G. risulta ancora… composta, oltre che dal medesimo, dalla moglie, odierna istante, e dai figli” e, quindi, la “fattispecie invocata dall’Amministrazione e di cui all’art. 330, comma 1, lett. f non può dirsi integrata”.
Con ordinanza n. 2653 del 25 giugno 2015 la Sezione ha respinto l’istanza cautelare.
Tale ordinanza è stata riformata dal Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 4030 del 9 settembre 2015.
In data 20 novembre 2018 il ricorrente ha depositato documenti, tra cui la sentenza di separazione n. 3128 del 16 febbraio 2016, nella quale è dato, tra l’altro, leggere che “il Tribunale…. assegna la casa coniugale, situata in R., via Dei B. 116, a A.M.D., quale genitore convivente con le figlie maggiorenni non autonome economicamente”, nonché la sentenza parziale n. 22280 del 10/27 novembre 2017 di cessazione degli effetti civili del matrimonio, riportante, tra l’altro, la conferma dell’assegnazione della casa familiare alla ex moglie del predetto.
Il successivo 31 ottobre 2018 il ricorrente ha, poi, depositato una memoria con cui ha replicato all’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Amministrazione, adducendo di avere agito anche in veste di genitore esercente la responsabilità genitoriale, nonché insistito sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 delD.M. 7 maggio 2014per ingiusta o, meglio, erronea pretermissione della considerazione del fine pubblico preminente “rappresentato dall’interesse della prole minorenne e/o economicamente insufficiente a conservare la propria sede abitativa familiare” e sulla disparità di trattamento, tenuto, tra l’altro, conto dell’antecedenza dell’avvio del procedimento di separazione e, quindi, dell’emissione del provvedimento del Tribunale del 24.9.2013 (già riportante l’assegnazione della casa familiare alla moglie) alla data di entrata in vigore del su indicato decreto.
All’udienza pubblica del 19 novembre 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione
1.In ragione di quanto riportato nella narrativa in fatto che precede, il Collegio ravvisa la necessità di rilevare – in via preliminare – che:
– l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Amministrazione resistente in relazione all’impugnazione da parte del ricorrente del provvedimento di rigetto dell’istanza presentata dalla sig.ra D. per l’accesso ai benefici di cui alD.M. 7 maggio 2014non è meritevole di positivo riscontro, atteso che – come, tra l’altro, posto in evidenza dal predetto – quest’ultimo ha agito non solo “in proprio” ma anche “in qualità di esercente della potestà genitoriale nei confronti della figlia minore E.G.” e, in termini più generali, in qualità di padre di ragazze non economicamente dipendenti, ossia in veste di soggetto titolare – in quanto tale – di un chiaro interesse alla permanenza di quest’ultime all’interno della casa familiare;
– per quanto attiene all’intervento ad adiuvandum della sig.ra M.D.A., lo stesso è da considerare inammissibile nella parte in cui investe – seppure formalmente, tenuto conto di quanto in esso riportato – il provvedimento di rigetto dell’istanza dalla predetta presentata ex art. 4 delD.M. 7 maggio 2014, essendo evidente l’assoluta configurabilità della sig.ra D. come cointeressato in ragione della piena legittimazione della stessa a proporre ex se l’impugnazione in via principale (cfr., ex multis, TAR Lazio, Roma, Sez. I, 18 marzo 2009, n. 2789).
In sintesi:
– il ricorso è ammissibile;
– l’atto di intervento ad adiuvandum è inammissibile nella parte in cui investe il provvedimento di rigetto dell’stanza presentata dalla sig.ra Dell’Abata per la concessione dei benefici di cui all’art. 4 delD.M. 7 maggio 2014.
2. Nel merito, il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.
2.1. Ai fini del decidere, appare opportuno ricordare che:
– la controversia prospettata riguarda la legittimità di un provvedimento di decadenza della concessione di un alloggio ASI, adottato nei confronti di un concessionario che – avendo già avviato un procedimento di separazione giudiziale dal coniuge – risulta essere stato autorizzato dal Tribunale Civile, con provvedimento risalente al 2013, a vivere separatamente dalla moglie, con contestuale assegnazione della casa familiare (da identificare – appunto – con l’alloggio ASI) a quest’ultima in virtù di quanto riportato nel medesimo provvedimento, nonché la legittimità del provvedimento di diniego opposto alla moglie di accedere ai benefici di cui all’art. 4, comma 2, delD.M. 7 maggio 2015, pur in presenza del provvedimento giudiziale di cui sopra;
– in altri termini, la controversia de qua inerisce l’ambito di operatività dell’artt.330delD.P.R. 15 marzo 2010, n. 90, rubricato “decadenza dalla concessione”, in relazione a quanto poi previsto dalD.M. 7 maggio 2014, poi parzialmente innovato dalD.M. 24 luglio 2015;
– come noto, ilD.P.R. n. 90 del 15 marzo 2010regolamenta, infatti, anche la concessione degli alloggi di servizio ai militari, contemplando – tra questi – gli “alloggi ASI”, ossia gli alloggi connessi con l’incarico e, dunque, concessi al personale a cui “siano affidati incarichi che richiedano la costante presenza del titolare nella sede di servizio per il soddisfacimento delle esigenze di funzionalità e sicurezza del servizio medesimo” (cfr. art. 313, comma 1, lett. c), soggetti – in quanto tali – ad una particolare disciplina, ricomprendente anche l’ipotesi della “decadenza” dalla concessione, mentre ilD.M. 7 maggio 2014riporta previsioni dirette – in particolare – a tutelare interessi diversi, ritenuti meritevoli – in ogni caso – di considerazione e tutela, mediante la sostanziale introduzione di “deroghe” al regime ordinario che regolamenta l’utilizzo di tali alloggi a favore di determinate categorie di soggetti, definite anche “fasce protette”, individuate nei portatori di handicap, nei coniugi superstiti del personale dipendente deceduto in servizio o per causa di servizio (art. 2), nei coniugi superstiti “non legalmente separati né divorziati, nonché nei coniugi del personale militare e civile della Difesa titolare di concessione di alloggi di servizio” (art. 4, comma 2), in ragione dell’implicito riconoscimento della preminenza di tali interessi sull’interesse pubblico posto a presidio dello stesso rilascio della concessione.
In definitiva, si tratta di previsioni che – pur tendenti al soddisfacimento di esigenze differenti – non possono che essere lette e interpretate in maniera coerente e combinata le une rispetto alle altre.
2.2. Per meglio definire la problematica, appare opportuno aggiungere che:
– secondo l’orientamento pressoché consolidato della giurisprudenza del giudice ordinario, “l’alloggio assegnato in concessione …. è qualificabile come “casa familiare”, in quanto viene ceduto, ancorché in correlazione con le prestazioni lavorative, al fine di soddisfare le esigenze abitative” non solo del dipendente ma anche dei componenti della sua famiglia, sicché – in caso di separazione e/odivorzio- tale “alloggio può ben essere attribuito al coniuge diverso dal concessionario, se affidatario della prole, ai sensi dellaL. 1 dicembre 1970, n. 898”, seppure con l’ulteriore, non indifferente, precisazione che quest’ultimo – per effetto dell’assegnazione della casa familiare – subentra sì nel godimento del bene, con conseguentemente obbligo di pagare il corrispettivo per l’utilizzo dell’alloggio al concedente, ma “non nel rapporto concessorio, ormai cessato” (Cass. Civ., Sez. I, 8 marzo 2018, n. 5575),
– della questione ha avuto, peraltro, modo di occuparsi anche la Corte dei Conti, la quale – con la deliberazione n. 10 del 2015 della Sezione Centrale di Controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato – ha espressamente qualificato i soggetti contemplati all’art. 4 delD.M. del 7 maggio 2014come “occupanti sine titulo protetti” in quanto “occupanti dell’immobile che possono mantenerne la conduzione pur avendo perso il titolo”, ossia soggetti nei cui confronti non è possibile procedere al c.d. “recupero coattivo” (ricordando, tra l’altro, che il su indicato D.M. ha ampliato la “fascia degli utenti”, includendovi, tra gli altri, i separati o divorziati).
3. In base a quanto in precedenza riportato ma anche in ragione della situazione venutasi a determinare tra il ricorrente e la moglie, il Collegio è, pertanto, indotto a ritenere che la controversia prospettata finisca – in verità – primariamente con l’investire la legittimità non tanto del provvedimento di decadenza, non privo, in ogni caso, di una valenza c.d. “presupposta”, quanto del provvedimento di diniego di concessione dei benefici di cui alD.M. 7 maggio 2014.
Preso – in altri termini – atto che il ricorrente non vive più nell’alloggio di servizio, peraltro assegnato alla moglie in esito ai provvedimenti del giudice civile, risulta, infatti, evidente che il bene della vita, sotteso all’impugnazione dal predetto proposta, si identifica con il mantenimento della conduzione dell’alloggio in capo alla moglie, in quanto affidataria della prole.
In ragione di quanto in precedenza ripotato, risulta inequivoco come – ai fini del decidere – assuma carattere dirimente l’individuazione dell’ambito di operatività dell’art. 4, comma 2, delD.M. 7 maggio 2015.
Tale previsione ammette che, tra gli altri, i “coniugi di personale militare e civile della Difesa titolare di concessione di alloggi di servizio, che alla data di entrata in vigore del presente decreto, siano divorziati ovvero legalmente separati” possano mantenere “la conduzione” di alloggi di servizio, assumendo così – in linea con quanto in precedenza rilevato – la veste di soggetti “sine titulo” protetti.
Sulla base, dunque, delle peculiarità della vicenda in esame, adeguatamente valutate anche in ragione di quanto riportato nell’ordinanza del Consiglio di Stato n. 4030 del 9 settembre 2015, il Collegio non ravvisa validi motivi per discostarsi dall’orientamento della giurisprudenza secondo il quale non è possibile trascurare la data di avvio del procedimento giudiziale di separazione (cfr., tra gli altri, C.d.S., Sez. II, parere n. 1393 del 12 maggio 2017) e ciò tanto più nei casi in cui lo stesso procedimento abbia, poi, realmente condotto – come nell’ipotesi in trattazione – all’effettiva separazione dei coniugi.
Seppure risulti innegabile che il mero allontanamento dalla casa coniugale del coniuge concessionario non può rivestire giuridica rilevanza e che il procedimento di separazione deve sfociare in un provvedimento formale del giudice, non può essere sottaciuto o, comunque, ignorato che:
– il ricorrente ha attivato un procedimento di separazione “giudiziale”;
– l’avvio di tale procedimento risale ad un’epoca ampiamente antecedente all’entrata in vigore delD.M. 7 maggio 2014e, segnatamente, già a prima del 23 settembre 2013, data dell’udienza poi sfociata nell’emissione da parte del Tribunale civile delprovvedimento del 24 settembre 2013di autorizzazione dei coniugi a “vivere separati”, con contestuale assegnazione “alla moglie” della casa familiare;
– lo stesso procedimento ha, poi, effettivamente condotto in data 5 febbraio 2016 alla sentenza n. 3128 di separazione giudiziale dei coniugi, oltre che alla successiva sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Constatato così che le su indicate circostanze impongono di ricondurre la volontà dei coniugi di separarsi già almeno alla data del 23 settembre 2013 e, dunque, accertato che la successiva emissione della sentenza di separazione giudiziale in data 5 febbraio 2016 è, in effetti, attribuibile esclusivamente ai tempi della giustizia, immeritevoli di incidere sulle aspettative e sull’esercizio delle facoltà spettanti agli interessati, il Collegio ravvisa validi elementi per affermare che, nel caso in trattazione, risulta ragionevolmente presumibile che, in base alla volontà dei coniugi, la formalizzazione della separazione avrebbe avuto data anteriore e “utile” rispetto ai tempi delD.M. 7 maggio 2014e, pertanto, ribadisce – in linea con l’orientamento giurisprudenziale già richiamato – che la presa in considerazione di una data successiva non può che rivelarsi quanto meno contraddittoria, “tenuto conto della ricordata volontà, sottesa all’adozione del decreto del 2014, di ampliare le categorie di soggetti da tutelare alla luce dell’importanza sociale dell’impatto della disciplina sulle famiglie dei militari, evidenziata anche nei pareri delle Commissioni parlamentari resi sul testo” (cfr., tra gli altri, C.d.S., Sez. II, parere n. 1393 del 2017, già cit.), oltre che in spregio della parità di trattamento, intesa in senso sostanziale e non meramente formale.
4. Tanto è sufficiente per l’accoglimento del ricorso – con assorbimento delle ulteriori censure formulate – e, dunque, per l’annullamento dei provvedimenti impugnati, fatto – comunque – salvo il potere di vigilanza dell’Amministrazione resistente sulla persistenza della destinazione dell’immobile a casa familiare, a tutela della figlie, “economicamente non indipendenti”, come rilevato, tra l’altro, nella sentenza parziale del Tribunale ordinario di Roma n. 2280 del 2017, e, quindi, il potere della stessa Amministrazione di chiedere e ottenere il rilascio dell’immobile ove tale destinazione risulti non più sussistente, per il riespandersi dell’interesse pubblico alla corretta gestione degli immobili demaniali rispetto alle contrapposte esigenze di tutela della famiglia (cfr., tra l’altro, ord. Cass. Civ. n. 5575 del 2018, già cit.).
Tenuto conto delle peculiarità della vicenda in esame, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 6530/2015, come in epigrafe proposto:
– dichiara inammissibile l’intervento ad adiuvandum nella parte in cui riguarda il provvedimento di diniego dei benefici di cui all’art. 4, comma 2,D.M. 7 maggio 2014;
– accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati;
– compensa le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2018 con l’intervento dei Magistrati:
Concetta Anastasi, Presidente
Antonella Mangia, Consigliere, Estensore
Rosa Perna, Consigliere