Cass. civ. Sez. I, 25 luglio 2018, n. 19780
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22766/2017 proposto da:
B.C. e P.D., elettivamente domiciliati in Roma, Via Sistina n.42, presso lo studio dell’avvocato Giorgianni Francesco, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati Galizia Danovi Anna, Martuccelli Carlo, giusta procura speciale per Notaio dott. Pa.Ma. di Roma – Rep.n. (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
B.F., S.G., elettivamente domiciliati in Roma, Via Caio Mario n.27, presso lo studio dell’avvocatoSrubek Tomassy Chiara, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Carugno Cuccia Raffaella, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
contro
B.B., B.V., Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione;
– intimati –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 28/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/06/2018 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.
Svolgimento del processo
1. Con ricorso depositato il 3 novembre 2015, B.C. e P.D. chiedevano al Tribunale per i minorenni di Roma di riconoscere ai ricorrenti il diritto di mantenere rapporti significativi – interrotti o comunque resi assai difficoltosi dai genitori – con le nipoti minorenni B.B. e V., ai sensi dell’art. 317 bis c.c., con ogni conseguente statuizione di legge. Il Tribunale adito, con decreto del 5 aprile 2016, dichiarava il difetto di legittimazione in capo alla P. – in quanto seconda moglie del nonno e, quindi, non ascendente, a sua volta, delle minori – ed accoglieva la domanda proposta dal B..
2. Con decreto depositato il 28 giugno 2017, la Corte d’appello di Roma rigettava il reclamo incidentale della P. e del B., in punto legittimazione della prima al ricorso, ed accoglieva parzialmente il reclamo principale di B.F. e di S.G., genitori delle due bambine, riducendo il tempo di permanenza delle medesime presso il nonno. La Corte – pur dando atto della abituale frequentazione anche della P. da parte delle due bambine – reputava insuperabile la lettera dell’art. 317 bis c.c., che legittima all’azione solo gli “ascendenti”, ossia le persone legate alle minori da parentela in linea retta.
3. Per la cassazione di tale sentenza hanno, quindi, proposto ricorso B.C. e P.D. nei confronti di B.F. e di S.G., affidato a quattro motivi, illustrati con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 1. I resistenti hanno replicato con controricorso. Gli intimati B.B., B.V. e Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. In via pregiudiziale, la Corte è tenuta ad affrontare – con rilievo d’ufficio, non avendo nessuna delle parti sollevato la questione, sottratto altresì alla regola espressadall’art. 384 c.p.c., comma 3, (che impone al giudice di provocare il contraddittorio sulla questione rilevata d’ufficio), che si applica alle sole decisioni nel merito (Cass., 20/07/2011, n. 15964; Cass. Sez. U., 21/06/2007, n. 14385) – il dibattuto problema concernente l’ammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento emesso in sede di reclamo, exart. 739 c.p.c., nei confronti del decreto reso dal tribunale per i minorenni ai sensidell’art. 336 c.c., espressamente richiamato dalla novellata norma dell’art. 317 bis c.c..
1.1. Orbene, secondo il tradizionale orientamento di questa Corte, i provvedimenti modificativi, ablativi o restitutivi della potestà dei genitori, resi dal giudice minorile ai sensi degliartt. 330, 332, 333 e 336 c.c.(oggi richiamato, come dianzi detto, anche dall’art. 317 bis c.c.), configurano espressione di giurisdizione volontaria non contenziosa, in quanto non risolvono conflitti fra diritti posti su un piano paritario, ma sono preordinati all’esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei figli e sono, altresì, soggetti alle regole generali del rito camerale, sia pure con le integrazioni e specificazioni previste dalle citate norme. Con la conseguenza che detti provvedimenti, sebbene adottati dalla corte d’appello in esito a reclamo, non sono idonei ad acquistare autorità di giudicato, nemmeno “rebus sic stantibus”, in quanto modificabili e revocabili non solo “ex nunc”, per nuovi elementi sopravvenuti, ma anche “ex tunc”, per un riesame (di merito o di legittimità) delle originarie risultanze. Di talché – secondo tale indirizzo – essi esulano dalla previsionedell’art. 111 Cost.e non sono, pertanto, impugnabili neppure con ricorso straordinario per cassazione (cfr. ex plurimis, Cass., 17/06/2009, n. 14091; Cass., 14/05/2010, n. 11756; Cass., 31/05/2012, n. 8778; Cass., 13/09/2012, n. 15341; Cass., i 22/09/2016, n. 18562).
Non era mancata in verità, anche in passato, qualche sporadica pronuncia di segno contrario, nella quale si era affermato che sono impugnabili con ricorso per cassazione, ai sensidell’art. 111 Cost., i provvedimenti emessi ai sensidell’art. 330 c.c.e quelli resi in via provvisoria ed urgente exart. 333 c.c., in quanto incidono comunque – sia pure non in una procedura contenziosa – su posizioni di diritto soggettivo in conflitto (Cass. Sez. U., 09/01/2001, n.1; Cass., 16/06/1983, n. 4128; Cass., 07/11/1985, n. 5408). Ma l’indirizzo successivo si è subito affrettato a smentire la tesi, tornando a rinchiudersi a riccio nella prescelta opzione di considerare non ricorribili i decreti in parola, poiché mancanti del requisito della definitività e della intangibilità, riconoscibile ai soli provvedimenti aventi attitudine al passaggio in cosa giudicata.
1.2. E tuttavia, tale indirizzo non ha incontrato il consenso della dottrina assolutamente prevalente, che più volte si è espressa in senso fortemente critico al riguardo, per diversi ordini di ragioni.
Non si è mancato, anzitutto, di osservare che l’opzione interpretativa prescelta dall’indirizzo maggioritario della Corte Suprema non terrebbe conto della tendenziale definitività, rebus sic stantibus, dei provvedimenti in parola, essendo tutt’altro che scontata la possibilità di modificarli o revocarli anche ex tunc, in forza della mera rivalutazione delle circostanze preesistenti alla pronuncia. La limitazione – sostenuta da tale dottrina – della modifica e della revoca di detti provvedimenti alle sole sopravvenienze – o, al più, anche alle circostanze preesistenti, ma soltanto se non dedotte in precedenza dalla parte interessata – con la conseguente incisione sui decreti camerali esclusivamente ex nunc, comporterebbe, pertanto, un’indiscutibile stabilità degli stessi, allo stato degli atti, aprendo la strada al ricorso exart. 111 Cost.
Si è rilevato, poi, che il predetto orientamento di legittimità sarebbe inspiegabilmente ed irragionevolmente distonico rispetto a quello adottato dalla stessa Corte nella materia dell’affidamento dei minori, nella quale la ricorribilità per cassazione dei provvedimenti emessi in sede di reclamo è pacifica, sebbene l’art. 337 quinquies c.c. eart. 710 c.p.c.lascino intravedere nel loro tenore letterale – ben più dei provvedimenti de potestate – una modificabilità e revocabilità “piene”.
Nell’ottica del bilanciamento degli interessi in gioco, si è, da ultimo, osservato che l’incisione dei provvedimenti in parola su diritti, anche costituzionalmente garantiti (artt. 2 e 30 Cost.), e su status, renderebbe senz’altro preferibile ed auspicabile una soluzione più garantistica, che riconosca la possibilità del ricorso per cassazione exart. 111 Cost..
1.3. L’impostazione tradizionale seguita dalla giurisprudenza di legittimità è stata, alla fine, sottoposta a revisione critica da questa Corte, che ha sostanzialmente recepito le summenzionate sollecitazioni provenienti dalla dottrina pressoché unanime.
Si è, per vero, affermato che – anche alla luce delle recenti modifiche apportateall’art. 38 disp. att. c.c.dallaL. n. 219 del 2012, che ha attribuito al giudice ordinario anche i procedimenti exartt. 330 e 333 c.c., “nell’ipotesi in cui sia in corso tra le stesse parti giudizio di separazione o divorzio”, con conseguente pacifica ammissibilità, in tal caso, del ricorso per cassazione – deve essere superato l’orientamento secondo il quale i provvedimenti “de potestate” che attengono alla compressione della titolarità della responsabilità genitoriale (ovvero i provvedimenti di decadenza o limitativi di cui, rispettivamente, agliartt. 330 e 333 c.c.), poiché vengono assunti nell’interesse del solo minore, a prescindere dalle richieste dei genitori, non sono idonei ad acquisire valenza di giudicato rebus sic stantibus. Con la conseguenza che il ricorso straordinario per cassazione exart. 111 Cost., avverso il decreto emesso in sede di reclamo dalla Corte d’appello, deve essere dichiarato inammissibile.
Essendo indubitabile che il decreto adottato dal tribunale per i minorenni, con il quale si dispone la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale, incide su diritti di natura personalissima, di primario rango costituzionale, deve – per converso – ritenersi che tale provvedimento, emanato peraltro all’esito di un procedimento che si svolge con la presenza di parti processuali in conflitto tra loro, abbia attitudine al cd. giudicato rebus sic stantibus. Tale provvedimento non è, invero, né revocabile né modificabile, se non per la sopravvenienza di fatti nuovi, e non per la mera rivalutazione delle circostanze preesistenti già esaminate. Pertanto, dopo che la Corte d’appello lo abbia confermato, revocato o modificato in sede di reclamo exart. 739 c.p.c., il decreto camerale – secondo l’orientamento innovativo in esame – acquista una sua definitività, ed è senz’altro impugnabile con il ricorso per cassazione che va, di conseguenza, ritenuto pienamente ammissibile (cfr. Cass., 29/01/2016, n. 1743; Cass., 29/01/2016, n. 1746; Cass., 21/11/2016, n. 23633).
1.4. Tutto ciò premesso, ritiene la Corte che tale ultimo indirizzo – che assume uno specifico rilievo nella presente controversia, atteso il richiamo al procedimento camerale exart. 336 c.c., operato dall’art. 317 bis dello stesso codice – debba essere confermato in questa sede, per le ragioni che si passa ad esporre.
1.4.1. Per intanto, va precisato che non si ravvisa la necessità di (rimettere l’esame della questione alle Sezioni Unite, considerato che l’indirizzo summenzionato – al quale si intende aderire – rappresenta, men che un’opzione interpretativa in contrasto con quella sostenuta in precedenza, piuttosto una rivisitazione dell’indirizzo tradizionale necessitata da ragioni obiettive, connesse alla menzionata novella dell’art. 38 disp. att., introdotta dalla L. 10 dicembre 2002, n. 219, art. 3, comma 1, nonché alla mutata veste assunta dal minore nei procedimenti giurisdizionali che lo riguardano.
Ed invero, proprio con riferimento all’ipotesi – ricorrente nella specie – del procedimento finalizzato all’accertamento del diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti, questa Corte ha – ormai da tempo – affermato che il minore assume la qualità di parte e, in quanto tale, come affermato anche dall’art. 315 bis c.c., introdotto dallaL. 10 dicembre 2012, n. 219, ha diritto di essere ascoltato, purché abbia compiuto gli anni dodici, ovvero, sebbene di età inferiore, sia comunque capace di discernimento (Cass., 05/03/2014, n. 5097; Cass. Sez. U., 21/10/2009, n. 22238). Ebbene è di tutta evidenza che la mutata veste del minore, ormai “parte” del processo come le altre, nei giudizi che lo riguardano, vale a trasformare tali giudizi – ancorché non contenziosi – in procedimenti che comunque dirimono conflitti tra posizioni soggettive diverse. Ed il rilievo trova una chiara conferma nella previsione secondo cui il genitore investito dalla richiesta di decadenza o di compressione della potestà (nel caso dell’art. 317 bis, il nonno), ed il minore ultradodicenne (ed anche infradodicenne, se capace di discernimento), devono essere sentiti e devono essere assistiti da un difensore (art. 336 c.c., commi 2 e 4).
1.4.2. Ciò posto, al fine di evidenziare le ragioni che inducono ad aderire all’orientamento più innovativo, va anzitutto osservato che, anche a voler restare aderenti al tenore letterale delle disposizioni che disciplinano l’affidamento dei minori e di quelle in materia di incisione sulla responsabilità genitoriale (ed oggi anche sul cd. diritto di visita dei nonni), risulta evidente che il dato testuale non rivela una maggior stabilità nelle misure sull’affidamento dei minori, di quanto non faccia per i provvedimenti de potestate. Nei primi, anzi, le formule usatenell’art. 710 c.p.c.e nell’art. 337 quinquies c.c. – del tutto generiche ed aspecifiche, quanto alle ragioni legittimanti la richiesta di revisione – fanno pensare a una revocabilità “piena”, mentre un riferimento alla stabilità rebus sic stantibus affiora piuttostonell’art. 332 c.c.sul reintegro della responsabilità genitoriale, stante il riferimento testuale alla sopravvenuta cessazione delle ragioni per le quali la decadenza era stata pronunciata.
Eppure è pacifico – nella giurisprudenza di questa Corte – che il decreto pronunciato dalla corte d’appello in sede di reclamo avverso il provvedimento del tribunale in materia di modifica delle condizioni della separazione personale, concernenti – non soltanto le questioni patrimoniali – ma anche l’affidamento dei figli ed il rapporto con essi, ha carattere decisorio e definitivo ed è, pertanto, ricorribile in cassazione ai sensidell’art. 111 Cost.(cfr., ex plurimis, Cass., 26/03/2015, n. 6132; Cass., 10/05/2013, n. 11218; Cass., 06/11/2006, n. 23673; Cass., 28/08/2006, 18627).
Ebbene, tale difformità di indirizzo – giustificata sulla base del rilievo che i provvedimenti de potestate non avrebbero l’attitudine ad assumere valenza di giudicato rebus sic stantibus, poiché non attinenti all’esercizio della potestà genitoriale come quelli in materia di affidamento, ma soltanto alla compressione della titolarità di tale responsabilità, e che la loro assunzione avverrebbe nell’esclusivo interesse del minore – non può più essere mantenuta.
1.4.3. Come ben ha rilevato la citata decisione di questa Corte n. 23633/2016, invero, sotto il primo profilo non si tiene conto del fatto che il più contiene il meno, “sicché l’esercizio della responsabilità ben può essere regolato attraverso la sua (parziale o totale) compressione”. Sotto il secondo profilo, non si considera che anche nei giudizi di separazione, di divorzio, o promossi ai sensidell’art. 316 c.c., “i provvedimenti concernenti l’affidamento dei minori sono assunti nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole”; e nondimeno, in siffatti giudizi, la ricorribilità per cassazione – come detto – non viene in alcun modo posta in discussione.
Ma vi è di più. La modificadell’art. 38 disp. att. c.c., introdotta dallaL. n. 219 del 2012, ha attribuito al giudice ordinario anche i procedimenti exartt. 330 e 333 c.c., “nell’ipotesi in cui sia in corso tra le stesse parti giudizio di separazione o divorzio”, con conseguente pacifica ammissibilità, in tal caso, del ricorso per cassazione. Ne discende che sarebbe oltremodo contraddittorio ed illogico – con evidenti ricadute sul piano costituzionale (artt. 3 e 24 Cost.) – continuare ad attribuire ai soli provvedimenti emessi dal giudice ordinario in materia di affidamento dei figli minori l’attitudine al cd. giudicato rebus sic stantibus, con conseguente ammissibilità del ricorso per cassazione, negando siffatta attitudine ai provvedimenti de potestate, emessi dallo stesso giudice, sebbene sia gli uni che gli altri siano soggetti a modifica o revoca solo in presenza di mutamenti delle circostanze.
Ed è di palese evidenza che tale differenziazione di regime giuridico dei provvedimenti in parola non potrebbe in alcun modo essere giustificata, in caso di provvedimenti ablatori o limitativi della potestà genitoriale (artt. 330 e 333 c.c.), o di provvedimenti emessi ai sensi dell’art. 317 bis c.c., neppure per il fatto che si tratti di provvedimenti ordinariamente – al di fuori del caso suindicato – resi dal tribunale per i minorenni e non dal giudice ordinario, non potendo la giustificazione di una disparità di trattamento di tal fatta – che incide sul regime delle tutele in materia connotata da una particolare delicatezza – trovare un fondamento giuridico nella speciale competenza del suddetto organo giurisdizionale.
1.4.4. Ad ogni buon conto, la rilevanza degli interessi in gioco non consente la riduzione del problema all’analisi del solo dato letterale, ossia della portata e del tenore testuale delle norme in comparazione. Il nodo più importante da sciogliere risiede, infatti, nel bilanciamento degli interessi in una materia nella quale – come rilevato dalle decisioni nn. 1743, 1746 e 23633/2016 di questa Corte – si riscontra una significativa incidenza su diritti di natura personalissima, di primario rango costituzionale. Di fronte a misure come la decadenza dalla responsabilità genitoriale o la compressione del cd. diritto di visita dei nonni, la revocabilità e modificabilità “a tutto campo”, che garantisca massima flessibilità ai provvedimenti, rischia di tradursi – per vero – in una continua ed altalenante revisione dei provvedimenti stessi ad opera dello stesso giudice, in una materia nella quale l’esigenza di certezza e stabilità delle decisioni si pone, invece, in modo particolarmente intenso, nell’interesse prioritario dei minori. Mentre un regime di revocabilità limitata – cui faccia seguito la possibilità di ottenere una pronuncia risolutiva della Coste Suprema, ai sensidell’art. 111 Cost.- è decisamente più rispondente all’esigenza di certezza nei rapporti familiari.
1.4.5. Sotto tale ultimo profilo, non convince affatto l’affermazione – più volte operata dall’indirizzo tradizionale secondo cui i provvedimenti emessi ai sensi degli artt. 330 e ss. e 317 bis c.c. non sarebbero idonei ad acquistare l’autorità del giudicato, neppure rebus sic stantibus, in quanto modificabili e revocabili non solo “ex nunc”, per nuovi elementi sopravvenuti, ma anche “ex tunc”, per un riesame (di merito o di legittimità) delle originarie risultanze, con la conseguenza che essi esulano dalla previsione dell’art.111 Cost..
È bensì vero, infatti, che la disposizione dell’art. 742 cod. proc civ. – secondo cui i decreti emessi in camera di consiglio possono essere modificati o revocati in ogni tempo (con salvezza dei diritti acquistati dai terzi di buona fede, per effetto di convenzioni anteriori alla modifica o alla revoca) – nel consentire al giudice l’esercizio dello ius poenitendi, è evidentemente finalizzata ad escludere l’applicabilità ai procedimenti camerali del divieto del bis in idem, escludendo, in tal modo, che tali provvedimenti possano rivestire l’idoneità al giudicato formale e sostanziale (art. 324 c.p.c.,art. 2909 c.c.).E tuttavia, va osservato che la previsionedell’art. 111 Cost., comma 7 è stata da sempre interpretata fin dalla remota pronuncia di questa Corte del 30/07/1953, n. 2593 – nel senso che la ricorribilità per cassazione, al di là della forma del provvedimento, è ancorata alla natura decisoria del medesimo, ossia alla sua idoneità a definire una controversia su diritti soggettivi e status, ed alla definitività del provvedimento stesso, da intendersi non soltanto come attitudine al giudicato formale e sostanziale, ma anche come indisponibilità, nei suoi confronti, di rimedi (impugnatori ed oppositori) diversi dal ricorso straordinario per cassazione.
A tal riguardo, deve – pertanto – condividersi l’indirizzo interpretativo sostenuto da una consistente parte della dottrina, secondo la quale – proprio al fine di non sottrarre tale delicati provvedimenti ad un più immediato controllo garantistico della Corte Suprema, quale unico rimedio percorribile in materia – la possibilità della modifica e della revoca exart. 742 c.p.c.è limitata alla valutazione dei soli vizi di merito o di legittimità sopravvenuti, con esclusione di una nuova valutazione di circostanze o fatti preesistenti. In altri termini, una volta decorsi i termini per il reclamo (art. 739 c.p.c.), o una volta che questo sia stato disatteso, il provvedimento camerale acquista una sua definitività (art. 741 c.p.c.), che può essere inficiata, sia per quanto concerne i vizi di merito – atteso che la cognizione del giudice del reclamo, nella materia della giurisdizione volontaria, finalizzata alla tutela anche di interessi pubblicistici e superindividuali, si estende anche alla opportunità o convenienza del provvedimento impugnato – sia per quanto concerne i vizi di legittimità, solo in presenza di specifiche sopravvenienze di fatto o di diritto.
In mancanza – come nel caso di specie – la acquisita stabilità del provvedimento (cd. giudicato rebus sic stantibus) può essere posta in discussione esclusivamente con il rimedio costituito dal ricorso straordinario per cassazione, ai sensidell’art. 111 Cost., comma 7.
1.6. Per tutte le ragioni esposte, dunque, il ricorso per cassazione exart. 111 Cost., proposto nel caso di specie avverso il provvedimento emesso in sede di reclamo, ai sensidell’art. 739 c.p.c.eart. 336 c.c., deve ritenersi ammissibile.
2. Passando, quindi, all’esame del merito, va rilevato che, con il secondo e quarto motivo di ricorso – che rivestono un carattere preliminare rispetto agli altri – B.C. e P.D. denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 317 bis, 333, 336 e 337 ter c.c.,artt. 2, 3, 24, 30 e 117 Cost., artt. 7 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e 24 della Carta di Nizza, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazioneall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
2.1. I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto non legittimata P.D., seconda moglie di B.C., nonno paterno delle minori B.B. e V., a richiedere in giudizio – ai sensi dell’art. 317 bis c.c. – che venga salvaguardato il suo diritto a mantenere un rapporto significativo con le nipoti. Il giudice del reclamo – avverso il provvedimento di prime cure, che aveva dichiarato il difetto di legittimazione attiva della P., ed accolto il ricorso del B. – avrebbe, invero, erroneamente ritenuto che l’odierna ricorrente, non essendo una parente biologica delle minori, fosse sfornita della legittimazione ad attivare il procedimento ai sensi degli artt. 317 bis e 336 c.c., atteso che la prima delle suindicate disposizioni prevede che solo “gli ascendenti” – ossia i familiari in linea retta ascendente – hanno il “diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni”.
La Corte territoriale – ad avviso degli istanti – non avrebbe, peraltro, tenuto conto del fatto che la centralità dell’interesse dei minori, sancita anche a livello Europeo, comporterebbe l’esigenza di valorizzare e proteggere il nucleo familiare, anche di fatto, sul quale i medesimi hanno fondato le loro relazioni affettive, nella specie costituito dal nonno e dalla di lui seconda moglie, come del resto evidenziato – in più punti della decisione – dalla stessa Corte d’appello nell’impugnato provvedimento. Il giudice di seconde cure avrebbe del tutto omesso di considerare, invero, il fatto – decisivo per la controversia – costituito dal rapporto affettivo e di frequentazione esistente tra le minori e la P., in forza del quale quest’ultima si è trovata a svolgere “un ruolo del tutto sovrapponibile a quello di una premurosa nonna biologica e come tale è stata ed è percepita dalle bambine” (p. 31 del ricorso).
2.2. Le censure sono fondate.
2.2.1. Va anzitutto rilevato che l’interesse al ricorso contrariamente all’assunto dei resistenti – deve ritenersi sussistente in capo ad entrambi i ricorrenti (anche al B. che ha visto accolta la sua domanda), essendo portatori entrambi – a prescindere dalla soccombenza – di un interesse a preservare le condizioni per l’armonica e serena crescita delle nipoti, derivanti dal mantenimento della frequentazione con il nucleo familiare, sia pure di fatto, con il quale le medesime erano abituate a rapportarsi.
2.2.2. Tanto premesso, va osservato che la Corte d’appello – nel pronunciarsi sul cd. diritto di visita dei nonni, previsto dall’art. 317 bis c.c. – ha fatto leva esclusivamente sulla lettera della norma, che recita: “Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni”. E siccome la P. – seconda moglie del B. – non è la nonna biologica delle due gemelline, B. e V., ne ha tratto la conseguenza che la medesima, in quanto non legata alle stesse da un rapporto di parentela, non sarebbe titolare, sul piano sostanziale, del diritto previsto dall’art. 317 bis c.c., e – di conseguenza – non sarebbe legittimata, sul piano processuale, ad azionarlo in giudizio.
Tale assunto non può essere condiviso, dovendo la norma succitata essere interpretata sistematicamente, alla luce delle disposizioni costituzionali (artt. 2 e 30 Cost.), Europee (art. 24 della Carta di Nizza) ed internazionali (art. 8 della CEDU), che formano il nuovo quadro normativo di riferimento multilivello (art. 117 Cost.), dal quale non si può prescindere nell’interpretazione della legge ordinaria nazionale.
2.2.3. In tale prospettiva, va osservato che, secondo la Corte EDU, l’articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare) tende sostanzialmente a premunire l’individuo dalle ingerenze arbitrarie delle pubbliche autorità e può anche generare obblighi positivi inerenti a un “rispetto” effettivo della vita familiare. Il confine tra gli obblighi positivi e negativi derivanti per lo Stato da questa disposizione non si presta ad una definizione ben precisa; i principi applicabili sono comunque comparabili. In entrambi i casi, si deve avere riguardo, invero, al giusto equilibrio da garantire tra gli interessi concomitanti dell’individuo e della società nel suo insieme, tenendo conto in ogni caso che l’interesse superiore del minore deve costituire la considerazione determinante e, a seconda della propria natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori o degli altri familiari (Corte EDU, 09/02/2017, Solarino c. Italia).
Con specifico riferimento alla posizione dei nonni, la Corte Europea ha, poi, affermato che l’art. 8 CEDU ha essenzialmente lo scopo di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri. Esso non si limita, peraltro, ad imporre allo Stato di astenersi da tali ingerenze, giacché a tale impegno negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o familiare. Questi possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita familiare nelle relazioni degli individui tra loro, tra cui la predisposizione di un “arsenale giuridico” adeguato e sufficiente per garantire i diritti legittimi degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie o delle misure specifiche appropriate. Questo “arsenale” deve permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire il genitore e il figlio, anche in caso di conflitto che oppone i due genitori, e lo stesso vale quando si tratta, come nel caso di specie, delle relazioni tra il minore e i nonni, dovendo lo Stato attivarsi per favorire la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate, tenendo conto – in particolare – degli interessi superiori del minore e dei diritti conferiti allo stesso dall’articolo 8 della Convenzione” (Corte EDU, 20/01/2015, Manuello e Nevi c. Italia; Corte EDU, 07/12/2017, Beccarini e Ridolfi c. Italia).
Da ultimo, la Corte di Giustizia di Lussemburgo ha affermato che la nozione di “diritto di visita”, contenuta all’art. 1, paragrafo 2, lett. a), nonché all’art. 2, punti 7 e 10, delRegolamento CE n. 2201/2003del Consiglio del 27 novembre 2003 (relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale), deve essere interpretata nel senso che essa comprende anche il diritto di visita dei nonni nei confronti dei loro nipoti minorenni. Sulla scorta del documento di lavoro della Commissione relativo al riconoscimento reciproco delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale (COM 2001 166 definitivo), in data 27 marzo 2001, la Corte ha, per vero, osservato che il progetto del Consiglio d’Europa di convenzione sulle relazioni personali riguardanti i minori, riconosce il diritto per questi ultimi di intrattenere relazioni personali non soltanto con i loro genitori, ma anche con altre persone aventi legami familiari con loro, come i nonni. In definitiva, il legislatore dell’Unione ha scelto l’opzione secondo cui nessuna disposizione deve restringere il numero di persone possibili titolari della responsabilità genitoriale o di un diritto di visita, sempre che sia importante che il minore intrattenga relazioni personali con tali persone, dovendo comunque privilegiarsi “l’interesse superiore del minore” medesimo (Corte Giustizia, 31/05/2018, Valcheva c. Babanarakis).
2.2.4. Se, dunque, la giurisprudenza Europea succitata ha evidenziato la necessità di ampliare il più possibile i contatti del minore con persone appartenenti al suo nucleo familiare allargato, nella misura in cui tali relazioni si traducono in un beneficio per l’equilibrio psico-fisico del medesimo, è la nozione stessa di nucleo familiare ad essere stata rivisitata ed ampliata dalla giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di Giustizio della U.E. Si è, invero, affermato – al riguardo – che la questione dell’esistenza o dell’assenza di una vita familiare è essenzialmente una “questione di fatto”, che dipende dalla sussistenza di legami personali stretti tra i soggetti che appartengono ad un certo nucleo familiare (Corte EDU, 13/06/1979, Marckx c. Belgio). Il concetto di “famiglia” di cui all’articolo 8 della Convenzione riguarda, infatti, le relazioni basate sul matrimonio ed anche altri legami familiari “de facto”, in cui le parti convivono al di fuori del matrimonio, o in cui altri fattori dimostrano che la relazione è sufficientemente stabile (Corte EDU, 24/01/2017 Grande Camera, Paradiso e Campanelli c. Italia; Corte EDU, 27/10/1994, Kroon e altri c. Paesi Bassi; Corte EDU, 18/12/1986, Johnston e altri c. Irlanda).
Nello stesso senso si è pronunciata, da ultimo, la Corte di Giustizia, con riferimento al caso di un cittadino dell’Unione che aveva esercitato la sua libertà di circolazione, recandosi e soggiornando in modo effettivo, conformemente alle condizioni di cui all’art.7, paragrafo 1, delladirettiva 2004/38/CEdel Parlamento Europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, in uno Stato membro diverso da quello di cui aveva la cittadinanza, e in tale occasione aveva “sviluppato o consolidato una vita familiare” con un cittadino di uno Stato terzo dello stesso sesso, al quale si era, poi, unito con un matrimonio legalmente contratto nello Stato membro ospitante.
La Corte ha affermato – in proposito – che, a norma l’art. 21, paragrafo 1, TFUE le autorità competenti dello Stato membro di cui il cittadino dell’Unione aveva la cittadinanza non potevano rifiutarsi di concedere un diritto di soggiorno sul territorio di detto Stato membro al suddetto cittadino di uno Stato terzo (dapprima compagno, poi, coniuge del primo), per il fatto che l’ordinamento di tale Stato membro non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso, dovendo lo Stato destinatario della richiesta riconoscere comunque la stabile relazione affettiva venuta a crearsi tra il suo cittadino e l’altro soggetto, e non ostacolare il diritto di quest’ultimo di esercitare il diritto, sancito dall’art. 21, paragrafo 1, TFUE, di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (Corte Giustizia, 05/06/2018, Coman e Hamilton).
2.2.5. L’accezione più ampia, attribuita dalla giurisprudenza Europea al concetto di “famiglia”, si ripercuote – com’è ovvio, stante la preminenza dell’interesse dei minori, sancita a livello internazionale – soprattutto sul rapporto dei genitori con i figli, in relazione al quale la Corte EDU non opera, tuttavia, alcuna distinzione tra legami di sangue e rapporti “sociali”, purché connotati da una stabile relazione affettiva tra l’adulto ed il minore.
Nonostante l’assenza di un legame biologico e di un legame di filiazione giuridicamente riconosciuto dallo Stato convenuto, la Corte Europea ha, invero, ritenuto che possa esistere un vita familiare tra genitori affidatari che si siano presi cura di un minore per un certo periodo di tempo ed il minore in questione, sulla base degli stretti legami personali tra loro, del ruolo rivestito dagli adulti nei confronti del figlio e del tempo trascorso insieme (Corte EDU, 27/04/2010, Moretti e Benedetti c. Italia; Corte EDU, 17/01/2012, Kopf e Liberda c. Austria; Corte EDU, 24/01/2017, cit.).
2.2.6. Nella medesima prospettiva – di allargamento del concetto di famiglia nell’accezione di cui all’art. 8 CEDU e di tutela preminente dell’interesse dei minori, in conformità all’art. 24 della Carta di Nizza, secondo cui tutti gli atti relativi ai minori debbono privilegiare l’interesse preminente dei medesimi – si è, peraltro, sostanzialmente posta anche la giurisprudenza di questa Corte.
Si è, invero affermato che, in tema di adozione in casi particolari, laL. n. 183 del 1984,art. 44, comma 1, lett. d), integra una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l’adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando, come elemento caratterizzante il concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti (non familiari) che se ne prendono cura; con l’unica previsione della “condicio legis” della “constatata impossibilità di affidamento preadottivo” (Cass., 22/06/2016, n. 12962; nello stesso senso, Cass., 20/06/2017, n. 15202, in cui si fa riferimento “all’esistenza di un nucleo familiare di fatto che vede la minore accudita in modo esemplare dalla madre biologica e dall’adottante (compagna della madre) alla quale la minore riconosce ruolo genitoriale”).
2.2.7. Tutto ciò premesso in via di principio, va rilevato che, nel caso di specie, la stessa Corte d’appello ha più volte operato – come esattamente dedotto dai ricorrenti – riferimenti del tutto significativi al fatto che le minori avessero una frequentazione abituale con entrambi i nonni. Il decreto menziona, invero, il fatto che le bambine trascorrevano del tempo “dai nonni”, nella cui abitazione vi è perfino una stanza destinata alle nipoti, piena di giochi, e che nella casa degli stessi vi sono diverse “foto raffiguranti i nonni con le nipoti” (p. 5). La Corte ha fatto, inoltre, riferimento anche alla disponibilità dei genitori – sia pure con le modalità da essi imposte, ossia esclusivamente in loro presenza – “a far vedere le bambine ai nonni” (p. 6), atteggiamento certamente significativo di un riconoscimento dell’esistenza di un interesse affettivo reciproco tra la coppia di anziani e le due bambine.
Il giudice di seconde cure ha affermato, infine, che “non sono state dedotte né sono emerse ragioni specifiche indicative della necessità che il B. e la moglie non abbiano contatti con le minori, se non la conflittualità esistente tra padre e figlio” (p. 6), ed ha stabilito che il nonno possa incontrare le nipoti e “tenerle con sé, nel suo nucleo familiare (…)” (p. 7), ma non ne ha tratto la logica conseguenza che fosse necessario preservare tale nucleo familiare consentendo anche alla P. – ancorché non sia una “nonna biologica” delle bambine – di agire in giudizio per ottenere il riconoscimento del suo diritto a mantenere rapporti significativi con le nipoti. E’, di conseguenza, necessario che la delicata vicenda oggetto del presente procedimento venga approfonditamente riesaminata dalla Corte territoriale, alla luce dei principi di diritto, nazionale ed Europeo, in precedenza esposti.
2.3. Per tali ragioni, pertanto, le doglianze in esame devono essere accolte.
3. Restano assorbiti il primo (omessa pronuncia sull’attivazione, anche ufficiosa, da parte del giudice di secondo grado, del procedimento exart. 333 c.p.c.) ed il terzo motivo di ricorso (nullità dell’impugnato decreto sotto i profili sopra esposti), formulato, a detta degli stessi istanti, per mera completezza.
4. L’accoglimento del secondo e quarto motivo di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia, facendo applicazione dei seguenti principi di diritto: “i provvedimenti che incidono sul diritto degli ascendenti ad instaurare ed a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, ai sensi dell’art. 317 bis c.c., nel testo novellato dalD.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154,art.42, al pari di quelli ablativi della responsabilità genitoriale emessi dal giudice minorile ai sensi degliartt. 330 e 336 c.c., hanno attitudine al giudicato “rebus sic stantibus”, in quanto non revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi, sicchè il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica i predetti provvedimenti, è impugnabile con ricorso per cassazione exart. 111 Cost., comma 7″; “alla luce dei principi desumibili dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, dall’art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dagliartt. 2 e 30 Cost., il diritto degli ascendenti, azionabile anche in giudizio, di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, previsto dall’art. 317 bis c.c., cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, ai sensi dell’art. 315 bis c.c., non va riconosciuto ai soli soggetti legati al minore da un rapporto di parentela in linea retta ascendente, ma anche ad ogni altra persona che affianchi il nonno biologico del minore, sia esso il coniuge o il convivente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo ad instaurare con il minore medesimo una relazione affettiva stabile, dalla quale quest’ultimo possa trarre un beneficio sul piano della sua formazione e del suo equilibrio psicofisico”.
5. Il giudice di rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo e quarto motivo di ricorso; dichiara assorbiti il primo e terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.