Cass. pen. Sez. I, 12 aprile 2018, n. 16358
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
B.A.P., nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del Tribunale per i minorenni di Milano in data 6/03/2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. TOCCI Stefano, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Svolgimento del processo
1. A seguito della richiesta di rinvio a giudizio davanti al Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i Minorenni di Milano per rispondere del delitto di cui agliartt. 110 e 648 c.p., B.A. aveva beneficiato della sospensione del processo con messa alla prova ai servizi minorili applicata, per un periodo pari a un anno, con ordinanza dello stesso giudice in data 17/10/2011.
Nel corso della misura, egli era stato sottoposto a un progetto elaborato dal Servizio sociale minorile che prevedeva interventi di orientamento formativo e lavorativo, di sostegno per il conseguimento del patentino per il ciclomotore, per il mantenimento della frequenza di uno sport di squadra, per lo svolgimento di attività di utilità sociale, da individuarsi a carico dello stesso servizio sociale, nonché colloqui di monitoraggio con l’assistente sociale e di sostegno psicologico dell’equipe penale. Dopo un iniziale periodo in cui B. aveva aderito al progetto educativo, egli aveva successivamente disatteso gli impegni assunti, interrompendo bruscamente i contatti con gli operatori psico-sociali e riallacciando strumentalmente i rapporti con i servizi soltanto in prossimità dell’udienza finale.
Per tale motivo, con sentenza in data 3/10/2012 il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i Minorenni di Milano aveva ritenuto che la messa alla prova si fosse conclusa con esito negativo e aveva condannato l’imputato alla pena di sette mesi e quattro giorni di reclusione, riconosciute le attenuanti generiche ed applicata la diminuente della minore età.
1.1. Successivamente, B. era stato nuovamente tratto a giudizio davanti al Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i Minorenni di Milano per rispondere dei delitti di cui agli artt. 81, 609 octies, 609 bis e 609 ter c.p.; e conordinanza in data 14/04/2014era stato ammesso, una seconda volta, alla sospensione del procedimento con messa alla prova al Servizio sociale minorile per un periodo di un anno e sei mesi. Il progetto elaborato dal Servizio sociale prevedeva il mantenimento della frequenza scolastica, con profitto e buon comportamento, colloqui di sostegno psicologico, con cadenza quantomeno quindicinale, finalizzati anche alla rielaborazione dei reati e dei sottesi stili di vita e relazionali con i pari; lo svolgimento di attività socialmente utili inizialmente presso un oratorio e successivamente presso altri contesti al fine di incentivare “sentimenti di condivisione e di empatia”, di attività di servizio alla persona, con l’inserimento, ove possibile, in gruppi rivolti alla presa in carico di minori coinvolti in reati di stampo sessuale, nonché colloqui di verifica e di sostegno con l’assistente sociale, con il coinvolgimento dei familiari.
La misura, anche in questo frangente, non era stata gestita in maniera adeguata, sicché in sede di relazione conclusiva, datata 16/09/2015, il Servizio affidatario aveva sottolineato l’esito negativo del percorso di messa alla prova. Su tali basi, il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Milano aveva valutato sfavorevolmente l’andamento della misura, sottolineando come il giovane si fosse sottratto ad una presa in carico psicologica, avesse interrotto e ripreso i rapporti con gli operatori a proprio piacimento, si fosse mantenuto “emotivamente distante rispetto alle relazioni di aiuto a lui offerte”, avesse autonomamente orientato la propria progettualità lavorativa, dimostrando una “totale mancanza di interesse al contesto penale”, non avesse svolto “alcuna significativa riflessione sulle condotte di reato”, non palesando alcun “movimento trasformativo” sia sul piano comportamentale che attitudinale. In questa prospettiva, il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Milano, con sentenza in data 13/10/2015, lo aveva condannato, con la riduzione per il rito prescelto e con la diminuentedell’art. 98 c.p., ritenuta prevalente sulle aggravanti contestate, alla pena di due anni e sei mesi di reclusione.
1.3. Le due sentenze di condanna erano state, quindi, unificate dal provvedimento di cumulo del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Milano in data 23/08/2016, che aveva determinato la pena espianda in tre anni, un mese e quattro giorni di reclusione.
2. In data 6/10/2016, B.A.P. aveva presentato, a mezzo del difensore avv. Luigi Marinelli, richiesta di applicazione dell’art. 657 bis c.p.p., in relazione al periodo, pari a complessivi due anni e sei mesi, nel quale il giovane era stato ammesso alla prova in relazione alle condanne unificate dal menzionato provvedimento di cumulo.
In data 10/10/2016, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Milano aveva rigettato la richiesta, sul presupposto della non applicabilità al processo minorile dell’art. 657 bis c.p.p., previsto per i soli imputati adulti, avuto riguardo alle sostanziali differenze, sia sul piano strutturale che funzionale, tra le due ipotesi di sospensione del processo con messa alla prova.
2.1. Per tale ragione, in data 12/10/2016, B.A.P. aveva personalmente formulato un incidente di esecuzione volto ad ottenere il riconoscimento dello scomputo previsto dalla citata disposizione.
Tuttavia, con ordinanza in data 6/03/2017, il Tribunale per i minorenni di Milano, pronunciandosi in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato la predetta richiesta. Anche secondo il giudice minorile, infatti, le due ipotesi di sospensione del processo con messa alla prova avrebbero una sostanziale diversità, sia sul piano strutturale che della ratio, con una spiccata vocazione in senso educativo e non afflittivo dell’istituto previsto per il processo minorile.
Tale circostanza, secondo il giudice dell’esecuzione, avrebbe impedito l’estensione dell’art. 657 bis c.p., al caso in esame, atteso che il principio di sussidiarietà previsto dalD.P.R. n. 448 del 1988,art.1, avrebbe consentito l’estensione al processo minorile delle norme del codice di procedura penale soltanto ove si fosse in presenza di una sostanziale lacuna nel sistema regolativo proprio del rito minorile; lacuna nella specie non ravvisabile.
Sotto altro, ma connesso, profilo, essendosi in presenza di una disposizione che si sarebbe inserita in uno specifico e autonomo sistema di regole, non sarebbe stato, dunque, possibile configurare alcuna violazione del principio di uguaglianza, essendo il diverso regime giustificato dalle peculiarità del processo minorile e del relativo istituto della messa alla prova.
3. Avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione ha proposto ricorso per cassazione lo stesso B., a mezzo del difensore di fiducia, avv. Luigi Marinelli, deducendo, con un unico articolato motivo di impugnazione, inosservanza o erronea applicazione della legge penale e processuale nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensidell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B), C) ed E).
Si opina, da parte del ricorrente, che ilD.P.R. n. 448 del 1988,art.1, consenta la estensione, anche al processo minorile, delle disposizioni del codice di procedura penale previste per i maggiorenni; e, sotto altro profilo, che la mancata applicazione della norma de qua sarebbe ingiustificata, creerebbe un assetto sostanzialmente discriminatorio e, dunque, sarebbe incostituzionale per contrasto con il principio di eguaglianza.
4. In data 14/07/2017, il Procuratore generale presso questa Corte ha depositato in Cancelleria la propria requisitoria scritta, con la quale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. A parere del P.G., l’art. 657 bis c.p.p., sarebbe, infatti, applicabile anche al processo minorile in virtù della menzionata clausola di estensione contemplata dalD.P.R. n. 448 del 1988,art.1, laddove l’opposta soluzione ricostruttiva contrasterebbe con i principi posti dagliartt. 3 e 31 Cost., su cui si baserebbe l’intero diritto penale minorile.
Motivi della decisione
1. Ritiene il Collegio che la sollecitata applicazione estensiva dell’art. 657 bis c.p.p., alla messa alla prova per i minorenni, prevista dal D.P.R. n. 448 del 1998, art. 28, non sia, alla luce dei dati testuali e di sistema, praticabile.
Il D.P.R. n. 448 del 1998, art. 28, stabilisce, al comma 1, che “il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all’esito della prova disposta a norma del comma 2. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno”; e, al comma 2, che “con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato”.
IlD.Lgs. 28 luglio 1989, n. 272,art.27, recante Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie delD.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, prevede, al comma 2, che il progetto di intervento elaborato dai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali, sulla base del quale il giudice provvede a norma del citato art. 28, deve prevedere tra l’altro: a) le modalità di coinvolgimento del minorenne, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita; b) gli impegni specifici che il minorenne assume; c) le modalità di partecipazione al progetto degli operatori della giustizia e dell’ente locale; d) le modalità di attuazione eventualmente dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa.
Sul piano contenutistico le prescrizioni possono consistere in: prescrizioni formali per le esigenze di controllo sociale; prescrizioni di tipo riparatorio; prescrizioni di vario contenuto quali il trattamento sanitario, la terapia disintossicante, il trattamento psicologico/psichiatrico; prescrizioni aventi un contenuto in positivo, quali ad esempio l’obbligo di frequentare scuole professionali o di svolgere determinate attività lavorative.
Ai sensi delD.P.R. n. 448 del 1988,art.29, decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia dato esito positivo. Dunque, la valutazione circa l’esito della stessa viene compiuta alla stregua degli effetti che la prova ha prodotto sulla personalità del minore, essendo l’istituto rivolto, secondo una autorevole dottrina, al “completamento, al consolidamento della personalità del minore”. Ne consegue che la prova possa, quindi, ritenersi fallita nel caso in cui essa non abbia inciso positivamente sulla personalità del minore, quand’anche le sue prescrizioni siano state formalmente rispettate. Ed in caso di esito negativo, il giudice dispone la prosecuzione del procedimento e si pronuncia, nel merito, sui fatti oggetto di imputazione.
2. Quanto, invece, all’istituto della sospensione del processo per messa alla prova dell’imputato maggiorenne, introdotto dallalegge 28/04/2014, n. 67, esso si configura come un procedimento alternativo rispetto al rito ordinario, riconducibile, sul piano sostanziale, alle cause estintive del reato; effetto che si produce in caso di esito positivo della prova.
Sul piano procedimentale, ai sensi dell’art. 168 bis c.p., comma 1, e art. 464 bis c.p.p., comma 1, il rito si instaura su esclusiva iniziativa dell’imputato, il quale deve altresì consentire all’esecuzione del programma di trattamento cui viene sottoposto a seguito della sospensione del processo.
Nessun consenso deve essere espresso dal pubblico ministero, salvo il caso di domanda di sospensione del procedimento presentata nel corso delle indagini preliminari.
Il beneficio può essere chiesto unicamente dagli indagati o dagli imputati di reati puniti con pena detentiva che, sola o congiunta alla pena pecuniaria, non sia superiore nel massimo a quattro anni e di quelli previstiall’art. 550 c.p.p., comma 2. Inoltre, la sospensione è preclusa per i delinquenti e contravventori abituali o professionali e per i delinquenti per tendenza; non può essere concessa nuovamente qualora sia stata revocata o qualora la prova non abbia dato esito positivo, e, in ogni caso, non può essere concessa più di una volta.
Ai sensi dell’art. 168 bis c.p., commi 2 e 3, e art. 464 bis c.p.p., comma 4, la prova consiste in una attività, indefettibile, dal contenuto retributivo, consistente nell’affidamento dell’imputato al servizio sociale, secondo le modalità definite nel programma di trattamento concordato con l’U.E.P.E. e nello svolgimento del lavoro di pubblica utilità; nonché, in una attività, soltanto facoltativa, di natura riparativa, diretta all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, alle restituzioni, al risarcimento del danno, ove possibile nonché alla eventuale mediazione con la persona offesa.
Nel dettaglio, nel programma di trattamento devono essere indicate, se “necessario e possibile”, “le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale”, “le prescrizioni comportamentali” (relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali) e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, quali le misure finalizzate alla riparazione in favore della vittima e a vantaggio della collettività, consistenti nel lavoro di pubblica utilità e in attività di volontariato di rilievo sociale. Quanto, in particolare, al lavoro di pubblica utilità, l’art. 168 bis c.p., comma 3, stabilisce che esso consista in una prestazione non retribuita, individuata sulla base della professionalità e delle attitudini lavorative del richiedente, da svolgersi presso lo Stato, gli enti territoriali, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale sanitaria o di volontariato, da svolgersi con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato.
Ove non debba pronunciare sentenza di proscioglimento exart. 129 c.p.p., il giudice, decidendo con ordinanza, accoglie l’istanza allorquando, in base ai criteri di cuiall’art. 133 c.p., compia un apprezzamento favorevole in relazione alla gravità del fatto, alla idoneità del programma, alla prognosi positiva in relazione alla futura astensione dal commettere ulteriori reati. In tal caso, il giudice deve indicare la durata della sospensione che, comunque, non può essere superiore a due anni se si procede per un reato per il quale è prevista la pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria e ad un anno per i reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria.
Nella fase esecutiva, l’U.E.P.E. deve compiere le periodiche verifiche sull’andamento della prova, su cui deve relazionare il giudice, proponendo eventuali modifiche al programma di trattamento, l’abbreviazione della durata della prova, ovvero la revoca dell’ordinanza ammissiva nel caso in cui ricorra talune delle condotte previste dall’art. 168 quater c.p., (e, dunque, la grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte; il rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità; la commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede).
Alla fine del periodo di prova, il giudice ne valuta l’esito sulla base della relazione conclusiva dell’U.E.P.E., avuto riguardo al comportamento tenuto dall’imputato e al rispetto delle prescrizioni stabilite.
In caso di esito positivo, il giudice dichiara con sentenza che il reato è estinto; e, in caso contrario, dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso.
In caso di successiva condanna, l’art. 657 bis c.p.p., stabilisce che il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente alla prova comunque eseguita, computando un giorno di reclusione o di arresto, oppure duecentocinquanta Euro di multa o di ammenda, per ogni tre giorni di prova.
3. Alla luce delle evidenziate caratteristiche dei due istituti, deve rilevarsi che la sospensione del processo con messa alla prova per gli imputati minorenni presenta significative differenze, sia sul piano strutturale che funzionale, rispetto al corrispondente istituto previsto per gli adulti.
Sotto il primo aspetto, 1) esso non ha limitazioni oggettive e soggettive; 2) comporta lo svolgimento di attività di osservazione trattamento e sostegno e l’assoggettamento a disposizioni che prescindono da richieste o dal consenso del minore; 3) ha ad oggetto, sul piano contenutistico, prescrizioni variamente modulabili e almeno tendenzialmente connotate da una minore afflittività; 4) ha una durata diversa; 5) il suo esito è strettamente correlato con la valutazione della personalità dell’imputato e, quindi, può essere negativo anche nel caso in cui vengano rispettate le prescrizioni previste nel progetto.
Sotto il profilo funzionale, mentre la presenza, nel caso della messa alla prova per gli adulti, del lavoro di pubblica utilità connota l’istituto in termini prettamente afflittivi, questa caratterizzazione, nel caso dell’istituto minorile, assume un rilievo eventuale e comunque meno pregnante, a favore delle istanze educative che sono proprie del processo minorile.
Dalle evidenziate differenze tra i due istituti consegue, come anticipato, ad avviso del Collegio la impossibilità di estendere l’art. 657 bis c.p.p., anche al processo minorile, in particolare per quanto concerne il rigido automatismo previsto dalla norma, la quale, in ragione dei profili afflittivi delle prescrizioni altrettanto rigidamente disciplinate per l’istituto previsto dall’art. 168 bis c.p., contempla un meccanismo di fungibilità costruito alla stregua di un criterio matematico: tre giorni di messa alla prova corrispondono a un giorno di pena detentiva da detrarre (ovvero a 250 Euro di pena pecuniaria), che sembra non esportabile automaticamente in ogni caso di messa alla prova del minorenne.
4. Pur in presenza delle evidenziate differenze tra i due istituti, attinenti sia al piano strutturale sia a quello funzionale, anche l’istituto della messa alla prova per i minorenni può presentare però, in concreto e caso per caso, significativi profili di afflittività.
Ciò è evidente nelle situazioni in cui, tra le prescrizioni, sia previsto l’inserimento comunitario obbligatorio con obbligo di permanenza all’interno della struttura, attesa la consistente limitazione della libertà di movimento che esso implica. Ma ad analoga valutazione deve pervenirsi anche nel caso in cui le prescrizioni, lungi dal presentare un contenuto “debole”, consistente in una mera offerta trattamentale e di sostegno educativo, consistano, come nella fattispecie in esame, in un obbligo di fare (o di non fare), atteso che anche in tali ipotesi è comunque configurabile una limitazione della libertà personale, il cui contenuto presenta, ontologicamente, un carattere afflittivo, al di là della finalizzazione verso un obiettivo di natura prettamente educativa.
Ne consegue che, in tale evenienza, l’esclusione di qualunque rilevanza del percorso seguito durante la prova, pur segnato da un epilogo sfavorevole, realizza un regime ingiustificatamente differenziato rispetto all’assetto regolativo che caratterizza l’omologo istituto per gli imputati maggiorenni, sì da confliggere con il principio di uguaglianza postodall’art. 3 Cost..E ciò tanto più ove si consideri lo specialissimo statuto, ispirato a una prospettiva di deciso favor, che l’ordinamento penale riconosce, sia sul piano sostanziale che processuale, agli imputati minorenni, a sua volta radicato nella previsionedell’art. 31 Cost., comma 2, secondo cui la Repubblica “protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Un principio, questo, che con specifico riferimento alla Giustizia minorile è stato declinato nel senso che l’intervento giudiziario deve essere funzionale a preservare e consolidare i processi educativi che riguardano il minore, soggetto da tutelare in quanto tale, adattando gli istituti giuridici alle sue peculiari esigenze (cfr. Corte cost., sent. n. 222 del 1983, secondo cuil’art. 31, secondo comma, Cost.è alla base del principio secondo il quale il processo minorile deve essere ispirato alla prevalente esigenza educativa del minore; sent. n. 109 del 1997, secondo cui la protezione della gioventù exart. 31 Cost., si attua attraverso la “specifica individualizzazione e flessibilità del trattamento che l’evolutività della personalità del minore e la preminenza della funzione rieducativa richiedono”). In questo modo, peraltro, si configura un evidente collegamento conl’art. 27 Cost., comma 3, il quale finalizza l’intervento penale al principio rieducativo, secondo quanto riconosciuto dalla Consulta con la sentenza n. 222 del 1983, la quale ha affermato che la funzione di recupero del minore, imposta dall’interesse superiore alla protezione del medesimo espressonell’art. 31 Cost., comma 2, deve essere perseguita mediante la richiesta di interventi individualizzati da parte di organi giurisdizionali specializzati, attraverso istituti processuali ad hoc e “mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale, in armonia con la meta additata al terzo commadell’art. 27 Cost., nonchè dall’art. 14, paragrafo 4, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (adottato a New York il 19 dicembre 1966 e la cui ratifica ed esecuzione sono state disposte conL. 25 ottobre 1977, n. 881)” oltre che dalle “Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile” (dette anche Regole di Pechino), approvate dal VI Congresso dell’ONU nel 1985.
In questa prospettiva, la previsione di un regime giuridico chiaramente sfavorevole per il minore, il quale, secondo la tesi accolta dal giudice dell’esecuzione, non potrebbe in alcun modo o misura scomputare dalla pena inflittagli il periodo trascorso in messa alla prova, diversamente da quanto previsto per l’omologo istituto applicabile agli adulti, sembra configurare una violazione dei principi di tutela del minore e della finalità educativa dell’intervento penale postidall’art. 31 Cost., comma 2, eart. 27 Cost., comma 3, e del principio di eguaglianza, non apparendo il regime, che per il minorenne non prevede alcun computo delle restrizioni eventualmente patite nella pena ancora da espiare, giustificato in rapporto alla rilevanza costituzionale degli interessi in gioco, riconducibili all’ambito della libertà personale, sottoposta a limitazioni di varia intensità e cogenza nel corso della prova.
In altri termini, attese le ragioni della già evidenziata impraticabilità di una automatica estensione dell’art. 657 bis c.p.p., alla messa alla prova minorile, il dubbio sulla legittimità costituzionale investe non la mancata applicabilità, sic et simpliciter, della norma in questione al rito minorile, quanto piuttosto l’impossibilità, per il giudice, di tenere in alcun conto, per il minore condannato a seguito di esito negativo della messa alla prova, del periodo trascorso in assoggettamento a tale regime, valutando, all’esito del pur negativo esperimento, le limitazioni della libertà personale alle quali sia stato comunque nelle more sottoposto: analogamente, a quanto è ora consentito in caso di revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova, ex art. 47, comma 11 (già comma 10), ord. pen. (L. n. 354 del 1975), dopo che Corte cost. n. 343 del 1987, sulla scorta di principi analoghi a quelli affermati già da Corte cost. sentenze nn. 185 del 1985 e 312 del 1985, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale normativa nella parte in cui non consente al Tribunale di sorveglianza di determinare la residua pena detentiva da espiare, tenuto conto della durata delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il trascorso periodo di affidamento in prova.
Il dubbio di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui all’art. 657 bis c.p.p., eD.P.R. n. 448 del 1988,art.29, nella parte in cui non prevedono che, in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice determina la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova, con riferimentoall’art. 3 Cost.,art. 31 Cost., comma 2, eart. 27 Cost., comma 3, non può ritenersi, per conseguenza, manifestamente infondato.
5. Nella fattispecie concreta, la questione appare, quindi, sicuramente rilevante.
Durante i due distinti periodi di messa alla prova ai quali è stato sottoposto, in entrambi i casi dichiarati anticipatamente conclusi con esito negativo, al ricorrente è stato prescritto, tra l’altro, lo svolgimento di attività socialmente utili, la cui consistenza e afflittività, unitamente a quella delle altre attività e prestazioni indicate nei progetti, che stando agli atti risulterebbero almeno in parte realizzati e di cui si è fatto resoconto in sintesi nella parte in “fatto”, non è stata menomamente valutata dai giudici del merito.
L’incidenza della relativa decisione sul presente giudizio è resa manifesta dal fatto che, da un lato, la non valutabilità delle restrizioni connesse al periodo di messa alla prova costituisce proprio l’oggetto del ricorso; dall’altro lato, solo la invocata, ma oggi non prevista, possibilità di valutare tali afflizioni consentirebbe un annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di sorveglianza perché proceda ad esame del sostanziale aggravamento del trattamento sanzionatorio subito dal condannato in ragione della sua sottoposizione alla messa alla prova.
6. Alla stregua delle considerazioni che precedono, deve in conclusione ritenersi rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agliartt. 3, 27 e 31 Cost., la questione di legittimità costituzionale delD.P.R. n. 448 del 1988,art.29, e art. 657 bis c.p.p., nella parte in cui non prevedono che, in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice possa determinare la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova.
Va per l’effetto disposta l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, mentre il giudizio in corso deve essere sospeso.
A cura della Cancelleria la presente ordinanza sarà notificata ai ricorrenti e alle parti civili, al Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, al Presidente del Consiglio dei Ministri e sarà comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
P.Q.M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agliartt. 3, 31 e 27 Cost., la questione di legittimità costituzionale delD.P.R. n. 448 del 1988,art.29, e art. 657 bis c.p.p., nella parte in cui non prevedono che, in caso di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice determina la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova. Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al ricorrente, al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.