Mancato versamento del mantenimento per i figli

Cass. pen. Sez. VI, 19 gennaio 2017, n. 2666
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico – Presidente –
Dott. TRONCI Andrea – Consigliere –
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. CORBO Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.I., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/06/2014 della Corte d’appello di Trieste;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. LOY Maria Francesca, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo.
1. Con sentenza emessa il 3 giugno 2014, la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Trieste, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di B.I. per il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., e L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, commesso dal marzo 2010 al dicembre 2011 per aver versato alla ex-compagna la sola somma di 150 Euro mensili, salvo conguagli parziali successivi, per il mantenimento del figlio minorenne, a fronte dell’obbligo di corrispondere l’importo di 350 Euro mensili fissata dal Tribunale per i Minorenni, e per aver omesso di versare la quota del 50 % delle spese mediche e straordinarie, anch’essa stabilita dal precisato giudice, nonchè la condanna alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 200 di multa; ha poi ridotto l’importo liquidato a titolo di danno non patrimoniale ed ha subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento di questa sola somma in favore della parte civile.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe, personalmente il B., articolando due motivi.
2.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all’affermata sussistenza del reato per il quale è stata pronunciata condanna, sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto il profilo soggettivo.
Si deduce che la sentenza impugnata assume la responsabilità del B., senza aver considerato l’intera evoluzione del rapporto dell’imputato con la convivente L.E., escludendo erroneamente la necessità del consenso preventivo del ricorrente all’effettuazione delle spese mediche e scolastiche, e ritenendo attendibili le dichiarazioni della persona offesa, in assenza di riscontri. In particolare, non si è tenuto conto nè della necessità per il ricorrente di versare oltre 2.100 Euro mensili a titolo di rate per due mutui ipotecari, nè della circostanza che, con riferimento ad uno dei due rapporti debitori, pari a 1.500 Euro mensili, 750 Euro erano a carico della L., essendo la donna cointestataria del contratto (e dell’immobile per una modestissima quota); ciò, tanto più che la stessa si è sempre rifiutata sia di conferire incarico ad una agenzia immobiliare per la vendita dell’immobile su cui grava il mutuo cointestato, sia di prestare il consenso per la rinegoziazione del mutuo stesso.
2.2. Nel secondo motivo, si lamenta mancata assunzione di prova decisiva, in riferimento all’affermata sussistenza del reato, sotto il profilo del dolo.
Si deduce che i giudici di merito non hanno ammesso la testimonianza dell’agente della banca Bo.An. in ordine al rifiuto della L. di prestare il consenso per la rinegoziazione del mutuo, il cui pagamento è necessario per il mantenimento della proprietà.
3. In data 28 luglio 2016, l’avvocato Marco Marocco, nominato difensore di fiducia dell’imputato dopo la fissazione dell’udienza per il giudizio di legittimità, ha depositato atto contente quattro motivi nuovi.
3.1. Nel primo motivo nuovo, si lamenta vizio di motivazione, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in ordine al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa.
Si deduce, innanzitutto, che l’affermazione della L., secondo cui le spese ricreative erano state oggetto di richieste scritte cui l’imputato si era opposto, ed erano state consigliate dal pediatra, è del tutto priva di riscontri documentali. Si rileva, poi, che l’esame complessivo del contenuto della deposizione dibattimentale della donna aveva evidenziato un atteggiamento ostile ed ostruzionistico della stessa, che la quantificazione dell’importo delle spese straordinarie non corrisposte, indicato in circa 3.000 Euro, era avvenuto in termini del tutto approssimativi, e che la dichiarazione circa la disponibilità a vendere l’immobile su cui gravava il mutuo cointestato è stata smentita dalle parole del teste I.C., agente immobiliare.
3.2. Nel secondo motivo nuovo, si lamenta vizio di motivazione, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in ordine alla valutazione complessiva degli elementi istruttori.
Si deduce che la sentenza impugnata non ha tenuto conto nè della necessità per il B., come da lui affermato, di rivolgersi ai genitori, nel corso del 2011, al fine di fronteggiare le proprie difficoltà economiche, nè del costante scoperto di conto corrente dello stesso per un importo superiore a 15.000 Euro, nè dell’assenza di accertamenti sui redditi da lui percepiti nel corso del 2011, nè della richiesta della L. di ottenere 4.000 Euro per cedere la quota di sua pertinenza dell’immobile su cui gravava il mutuo cointestato.
3.3 Nel terzo motivo nuovo, si lamenta mancata assunzione di prova decisiva, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in ordine alla denegata audizione del teste Bo.An..
Si deduce che la deposizione del Bo. sarebbe stata decisiva perchè avrebbe evidenziato sia la situazione di difficoltà economica in cui versava il B., sia l’atteggiamento ostruzionistico della L. nella pratica di rinegoziazione del mutuo cointestato.
3.4. Nel quarto motivo nuovo, si lamenta violazione di legge, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in ordine alla sussistenza del dolo del reato addebitato.
Si deduce che agli atti non risulta alcun elemento da quale ritenere la volontà del B. di non adempiere, e che, anzi, il ricorrente ha fatto tutti gli sforzi possibili, tanto che, alla fine, e dopo i conguagli effettuati, il debito residuo, secondo la stessa parte lesa, ammonterebbe a circa 200 Euro: l’omissione nei versamenti è stata limitata nel tempo, e solo per le difficoltà economiche sopraggiunte.
Motivi della decisione.
1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perchè il fatto oggetto di contestazione e di condanna nei giudizi di merito non è previsto dalla legge come reato.
2. Al B. è stato contestato il reato di cui alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, sin dalla fase dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Anche le successive sentenze di condanna emesse nei confronti del medesimo da parte del Tribunale e della Corte d’appello di Trieste hanno qualificato il fatto a norma della L. n. 54 del 2006, art. 3.
Dagli atti emerge con chiarezza che il B. era legato alla denunciante L.E. non da rapporto di coniugio, bensì da rapporto di convivenza.
Deve escludersi, però, che la L. n. 54 del 2006, art. 3, si riferisca anche alla violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza.
Invero, la disposizione in esame, in forza della quale “in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica la L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies”, deve essere letta nel contesto della disciplina dettata dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, e, in particolare, dell’art. 4, comma 2, che recita: “Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonchè ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”.
L’enunciato linguistico dell’art. 4, comma 2, cit. risulta introdurre una distinzione tra le diverse classi di ipotesi: precisamente, da un punto di vista sintattico, le disposizioni della L. n. 54 del 2006, sono indicate come da applicare non “in caso di figli di genitori non coniugati” – come, invece, “in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio” – ma “ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”. Tale precisazione non risulta essere una formula verbale priva di possibili significati rilevanti, poichè la disciplina dettata dalla L. n. 54 del 2006 – oltre a prevedere le disposizioni penali di cui all’art. 3 e le “disposizioni finali” di cui all’art. 4 – regola, all’art. 1, i provvedimenti che il giudice deve adottare in relazione ai figli allorchè interviene la separazione tra i genitori, modificando l’art. 155 c.c., e introducendo gli artt. 155 bis, 155 ter, 155 quater, 155 quinquies e 155 sexies c.c., nonchè, all’art. 2, profili processuali relativi alle controversie in materia di esercizio della potestà genitoriale e di affidamento, modificando l’art. 708 c.p.c., e introducendo l’art. 709 ter c.p.c.. Può allora concludersi che, mentre in caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio si applicano tutte le disposizioni previste dalla L. n. 54 del 2006, per quanto riguarda i figli di genitori non coniugati il riferimento ai “procedimenti relativi” agli stessi assolve alla funzione di circoscrivere l’ambito delle disposizioni applicabili a quelle che concernono i procedimenti indicati dalla L. n. 54 del 2006, e che sono quelli civili di cui all’art. 2, e non anche alle previsioni normative che attengono al diritto penale sostanziale.
La soluzione appena indicata, oltre ad essere attenta al dato testuale delle disposizioni di legge, risponde anche al principio del cd. “diritto penale minimo” e non lede la posizione sostanziale dei figli di genitori non coniugati, per la cui tutela è possibile il ricorso a tutte le azioni civili, e ferma restando, inoltre, l’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2.
3. Deve escludersi, poi, che, nel caso in esame, il fatto possa essere riqualificato a norma dell’art. 570 c.p., comma 2, n. 2.
Da un lato, infatti, è altamente opinabile procedere ad una riqualificazione del fatto di reato direttamente con la sentenza della Corte di cassazione, ed avendo riguardo ad una fattispecie più grave di quella contestata nel corso di tutto il processo.
Dall’altro, poi, in ogni caso, nella sentenza impugnata sono evidenziati solo ritardi parziali nell’adempimento, e, alla fine del periodo, un inadempimento complessivo pari a 200 Euro, ovvero a 270,35 Euro considerando anche gli incrementi ISTAT.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2017

Attitudine al lavoro proficuo e misura dell’assegno di mantenimento

Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 13 gennaio 2017, n. 789
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9549-2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BARI, depositato il 08/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO IMMACOLATA, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS) e (OMISSIS) addivenivano nel 2007 a una separazione consensuale con cui stabilivano, tra l’altro, che il marito corrispondesse alla moglie l’importo mensile di Euro 550,00, soggetto a rivalutazione secondo gli indici ISTAT, di cui Euro 300,00 per il mantenimento del figlio minore (OMISSIS) e Euro 250,00 quale assegno in favore della consorte; nella convenzione di separazione le parti prevedevano, inoltre, che le spese straordinarie per il mantenimento del figlio, fino alla concorrenza di Euro 600,00 annui, fossero a carico di (OMISSIS), mentre gli importi ulteriori dovessero riversarsi su entrambi i genitori nella misura del 50% ciascuno.
Con proprio ricorso ex articolo 710 c.p.c. (OMISSIS) adiva il Tribunale di Trani per richiedere la modifica dei patti di separazione e, in particolare: perche’ si riducesse al 50% il contributo al mantenimento posto a suo carico a favore del figlio minore; perche’ si escludesse o, in subordine, si riducesse congruamente l’assegno di mantenimento in favore della moglie; perche’ si escludesse il tetto massimo annuale delle spese straordinarie posto interamente a suo carico, prevedendo che tali spese fossero ripartite tra i genitori nella misura del 50%.
Costituitasi in giudizio, (OMISSIS) chiedeva il rigetto del ricorso e, in via riconvenzionale, la maggiorazione dell’assegno di mantenimento, il versamento degli assegni familiari, l’affidamento esclusivo del figlio minore, nonche’ l’ammonimento ex articolo 709 ter c.p.c. per asserite reiterate violazioni della convenzione di separazione.
Il Tribunale di Trani, con decreto depositato il 2 agosto 2012, accoglieva quest’ultima istanza e poneva a carico del datore di lavoro del ricorrente l’onere del pagamento diretto del contributo di mantenimento; rigettava le altre richieste.
Proponeva reclamo (OMISSIS), affermando che il decreto del Tribunale dovesse essere riformato con riguardo alle statuizione che concernevano l’ammonimento, l’ordine di pagamento diretto dell’assegno di mantenimento a carico del datore di lavoro, la riduzione del predetto assegno e la regolamentazione delle spese straordinarie; si costituiva anche in questa fase di gravame (OMISSIS), la quale spiegava appello incidentale domandando che le fossero riconosciuti gli assegni familiari con decorrenza dal provvedimento presidenziale assunto in data 20 aprile 2006.
La Corte di appello di Bari, con decreto depositato l’8 gennaio 2014, accoglieva parzialmente il reclamo principale e per l’effetto revocava sia l’ammonimento, sia l’obbligo di pagamento diretto dell’assegno di mantenimento posto a carico del datore di lavoro del reclamante, sia l’obbligo di (OMISSIS) di versare alla moglie l’assegno di mantenimento, fermo restando l’obbligo del contribuito in favore del figlio (OMISSIS); disponeva inoltre che le spese straordinarie relative a detto mantenimento dovessero gravare per il 70% sul marito e per il 30% sulla moglie, senza fissazione di alcun tetto di spesa. La stessa Corte distrettuale accoglieva, poi, il reclamo incidentale di (OMISSIS) e statuiva che gli assegni familiari andassero versati – da (OMISSIS) ove gia’ dallo stesso percepiti e dalla sua amministrazione di appartenenza ove da lui non riscossi – all’avente diritto, e cio’ a far data dal decreto di omologa della separazione.
Il suddetto decreto e’ stato oggetto dell’impugnazione per cassazione proposta da (OMISSIS). Il ricorso si basa su di un unico, articolato motivo.
Resiste con controricorso (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il motivo di ricorso e’ rubricato come segue:
violazione e falsa applicazione degli articoli 143, 155, 156 e 2697 c.c. e articolo 710 c.p.c. e dei principi in tema di revisione dell’assegno di mantenimento, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4 e articolo 111 Cost.. La ricorrente muove dal rilievo per cui l’ammontare dello stipendio mensile del marito, all’atto della convenzione di separazione consensuale, era di Euro 1.100,00 1.200,00 mensili: cio’ che il controricorrente aveva ribadito anche nel ricorso per reclamo ex articolo 739 c.p.c.. L’istante aveva peraltro contestato tale affermazione, deducendo che lo stipendio mensile netto di (OMISSIS) era pari a Euro 1.895,31. La Corte di appello era poi pervenuta alla riduzione dell’assegno di mantenimento decurtando da tale importo la somma mensile di Euro 420,00 mensili affermando, del tutto apoditticamente, che tale importo era riferito a crediti al consumo contratti nell’interesse della famiglia. Quest’ultima affermazione era totalmente priva di motivazione; inoltre il giudice del reclamo aveva preso in considerazione finanziamenti non gia’ sopravvenuti, ma gia’ esistenti all’epoca della separazione. Allorquando la Corte territoriale aveva affermato che finanziamenti erano stati contratti da (OMISSIS) nell’interesse della famiglia, essa si era riferita evidentemente alla famiglia costituita con la ricorrente: di contro, controparte, seppure falsamente, aveva sostenuto che i finanziamenti erano tutti posteriori alla separazione, sicche’ l’affermazione del giudice di secondo grado era contraddetta da quanto sostenuto in causa dal controricorrente. Lamenta inoltre la ricorrente che il decreto impugnato non aveva conferito alcun rilievo al miglioramento della capacita’ reddituale di (OMISSIS): miglioramento che era sopravvenuto alla separazione. In particolare, l’istante sottolinea che lo stipendio della controparte si era incrementato dall’importo di Euro 1.100,00 – 1.200,00 mensili a quello di Euro 1.895,00: ne’ lo stesso poteva essere ridotto di Euro 420,00 mensili in ragione dei finanziamenti, dal momento che questi erano gia’ esistenti all’epoca della separazione. Tale incremento ben avrebbe potuto consentire la corresponsione, in favore della ricorrente, casalinga priva di reddito, dell’assegno di mantenimento del modestissimo importo di Euro 250,00 mensili. Oltretutto, aggiunge, ove pure si trascurasse l’importo dei finanziamenti, risulterebbe confermato che il controricorrente aveva ottenuto un incremento stipendiale, rispetto al momento della separazione, di Euro 275,00 – 375,00.
Il mantenimento dell’assegno si imponeva, altresi’, per il venir meno della spesa mensile originariamente affrontata da (OMISSIS) per il canone di locazione dell’immobile da lui non piu’ occupato. Con riferimento poi alle ragioni specifiche fondanti la soppressione dell’assegno di mantenimento, assume la ricorrente che la Corte di merito aveva operato un inaccettabile automatismo, ritenendo che la nascita della nuova figlia del controricorrente comportasse di per se’ l’esclusione del diritto della moglie separata alla percezione del contributo convenuto. Sul punto, il giudice del gravame aveva omesso qualsiasi riferimento al miglioramento della situazione economica di (OMISSIS), ne’ aveva spiegato per quale ragione la nascita della nuova figlia escludesse che lo stesso controricorrente potesse essere chiamato a una contribuzione in favore della moglie.
Ai fini della revoca dell’assegno di mantenimento non poteva del resto assumere rilievo la circostanza per cui l’istante non avesse trovato una propria sistemazione lavorativa: tra l’altro, la stessa ricorrente aveva 43 anni ed era priva di qualsiasi specifica professionalita’. La ricorrente si duole infine del fatto che la Corte di appello, incorrendo in violazione di legge, aveva eliminato il tetto massimo delle spese straordinarie convenuto della convenzione di separazione consensuale, ponendo l’onere relativo per il 70% a carico del marito e per la restante quota del 30% a carico della moglie. Evidenziava, in particolare, l’assenza dei presupposti per la modifica degli originari accordi, dovendosi aver riguardo, a tal fine, alle sole eventuali modifiche delle condizioni economiche delle parti.
Occorre premettere che il decreto emesso in camera di consiglio dalla corte d’appello a seguito di reclamo avverso i provvedimenti emanati dal tribunale sull’istanza di revisione delle disposizioni accessorie alla separazione, in quanto incidente su diritti soggettivi delle parti, nonche’ caratterizzato da stabilita’ temporanea, che lo rende idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus, e’ impugnabile dinanzi alla Corte di cassazione con il ricorso straordinario ai sensi dell’articolo 111 Cost., e, dovendo essere motivato, sia pure sommariamente, puo’ essere censurato anche per carenze motivazionali, le quali sono prospettabili in rapporto all’articolo 360 c.p.c., u.c., nel testo novellato dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, che qualifica come violazione di legge il vizio di cui al n. 5 del primo comma, alla luce dei principi del giusto processo, che deve svolgersi nel contraddittorio delle parti e concludersi con una pronuncia motivata (Cass. S.U. 21 ottobre 2009, n. 22238).
Va nondimeno osservato che il novellato articolo 360 c.p.c., n. 5 esclude la censura del vizio di motivazione in quanto tale (consentendo il ricorso per cassazione per il solo caso dell’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione), con la sola eccezione dell’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante.
Puo’ anticiparsi fin d’ora che l’impugnazione proposta risulta fondata avendo riguardo non gia’ alla fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, ma a quella di cui al n. 3 dello stesso articolo.
Le censure sottendono tre diversi ordini di questioni: la variazione delle condizioni economiche che interessano il controricorrente, il rilievo attribuito dal decreto impugnato alla condizione di disoccupazione della ricorrente e l’ammissibilita’ del disposto mutamento della disciplina delle spese straordinarie. Le prime due sono tra loro intimamente connesse in quanto afferiscono entrambe al tema dell’eliminazione dell’assegno di mantenimento di cui fruiva l’odierna ricorrente in forza della convenzione di separazione.
Avendo riguardo ai primi due profili, che possono dunque esaminarsi congiuntamente, la Corte di merito, dopo aver dato atto che il controricorrente aveva avuto una figlia dalla relazione di fatto instaurata con altra donna a seguito della separazione, ha evidenziato che il maggior onere che egli doveva sopportare per sostenere la nuova nata non poteva non ripercuotersi sul diritto di (OMISSIS) a continuare a godere dell’assegno di mantenimento. Ha quindi osservato che la situazione reddituale del ricorrente (Euro 1.450,00 mensili, dovendosi detrarre dallo stipendio mensile di Euro 1.895,00 le trattenute alla fonte per Euro 420,00 relative a rate di rimborso per debiti contratti da (OMISSIS) nell’interesse della famiglia) escludeva che lo stesso controricorrente potesse essere chiamato a un qualsiasi contributo economico in favore della moglie, dato che l’aumento dei costi determinati dalla situazione di dissociazione della famiglia imponeva un contenimento delle esigenze degli interessati, a meno di non voler sensibilmente pregiudicare l’analogo paritetico diritto dell’obbligato a conservare anch’egli un tenore di vita simile (non uguale) a quello condotto in precedenza. Ha aggiunto, in proposito, che il diritto della moglie al mantenimento doveva ritenersi recessivo rispetto al diritto del minore – quantunque nato da una relazione di fatto – di essere mantenuto dal genitore. La Corte di Bari ha evidenziato, poi, che (OMISSIS), in violazione dei patti di separazione, pur essendo ancora giovane e avendo un figlio ormai sedicenne che non necessitava della sua costante presenza fisica, non si era procurata una sistemazione lavorativa neppure part-time; ha sottolineato, al riguardo, che l’odierna istante per un verso aveva inviato il suo curriculum presso strutture alberghiere senza avere alcuna specifica competenza del settore e continuato a collaborare (a suo dire, senza essere retribuita) col fratello nell’esercizio commerciale da lui gestito, cosi’ sottraendo impegno e risorse alla ricerca di un lavoro adeguatamente compensato.
Ora, in materia di separazione personale dei coniugi, la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli dal nuovo partner, pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza sopravvenuta che puo’ portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico (Cass. 12 luglio 2016, n. 14175; analogo principio trova applicazione in tema di divorzio: Cass. 28 settembre 2015, n. 19194; Cass. 11 aprile 2011, n. 8227; Cass 30 novembre 2007, n. 25010). Il criterio deve valere, evidentemente, nell’ipotesi in cui si faccia questione dell’assegno di mantenimento al coniuge separato. E’ da escludere, pero’ – in quanto non vi e’ alcun indice normativo che possa fondare una tale conclusione – che il diritto alimentare del coniuge separato sia recessivo rispetto a quello del nuovo figlio, come invece ritenuto dalla Corte distrettuale. Sicche’ anche in tale ipotesi dovra’ valutarsi l’incidenza della circostanza sopravvenuta per verificare se sia in concreto giustificata, a mente dell’articolo 156 c.p.c., u.c., la revoca o la modifica delle condizioni gia’ fissate.
La Corte di appello si e’ fatta carico di tale apprezzamento e deve escludersi che quest’ultimo possa essere censurato avendo riguardo al dato dell’incremento reddituale di cui, secondo la ricorrente, avrebbe beneficiato (OMISSIS): rammenta infatti l’odierna istante che lo stipendio percepito dal coniuge al momento della convenzione di separazione era pari a circa Euro 1.200,00. In proposito, va pero’ rilevato che quel che rileva, ai fini del mutamento delle condizioni della separazione, e’ la situazione che maturi in momento successivo a quello in cui sono stati adottati i provvedimenti di cui all’articolo 156 c.c., o in cui sia stato concluso l’accordo di separazione (anch’esso soggetto alla clausola implicita rebus sic stantibus).
Il nuovo giudizio, rimesso al giudice del merito, esige che quest’ultimo valuti, nel loro insieme, le circostanze rilevanti per la determinazione circa la concessione e la misura dell’assegno di mantenimento. La Corte distrettuale, nel considerare, nello specifico, il tema della modificazione delle condizioni economiche di (OMISSIS), ha preso in considerazione due elementi che rivestivano importanza decisiva ai fini della ponderazione che ad essa era rimessa: la nuova paternita’ del controricorrente e la misura del suo stipendio (pari a Euro 1.895,00, da cui andava pero’ detratta la somma di Euro 420,00, oggetto di ritenuta per l’ammortamento dei finanziamenti contratti in precedenza). A fronte di quest’ultimo dato, poco rileva quale fosse lo stipendio percepito dallo stesso (OMISSIS) all’epoca della convenzione di separazione: conta, invece, l’entita’ dello stipendio al momento in cui doveva essere assunta la decisione e il raffronto dell’ultima misura della retribuzione con le sopravvenute esigenze del controricorrente legate al mantenimento della nuova figlia.
D’altro canto, la mancata esplicitazione, nel corpo della sentenza, di un percorso motivazionale afferente l’aumento dello stipendio e’ del tutto irrilevante, visto che il giudice del reclamo ha argomentato il proprio convincimento in ordine alle circostanze che potevano giustificare il mutamento delle condizioni della separazione e, come accennato in precedenza, nella nuova formulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, attuata con il Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito in L. n. 134 del 2012, e’ assente ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata: sicche’ il sindacato di legittimita’ in tema di motivazione e’ ridotto al “minimo costituzionale”, essendo denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’ (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053). Per altro verso, non potrebbe nemmeno sostenersi che ricorra l’ipotesi di “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, visto che la circostanza dell’incremento reddituale (inteso come differenza matematica tra i due valori dello stipendio) non ha, in se’, il crisma della decisivita’, (essendo determinante, di contro, la comparazione del dato attuale della retribuzione con le esigenze di mantenimento della nuova nata nel frattempo sopraggiunte).
La valutazione svolta al riguardo dalla Corte di merito potrebbe essere quindi contestata solo in punto di fatto, con una censura non ammissibile nella presente sede.
Per quel che concerne, invece, l’aspetto del mancato reperimento, da parte della ricorrente, di una sistemazione lavorativa, occorre richiamare il principio, consolidato presso questa Corte di legittimita’, secondo cui in tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacita’ di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tenere conto non solo dei redditi in denaro ma anche di ogni utilita’ o capacita’ dei coniugi suscettibile di valutazione economica: con l’avvertenza, pero’, che l’attitudine del coniuge al lavoro assume in tal caso rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilita’ di svolgimento di un’attivita’ lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non gia’ di mere valutazioni astratte ed ipotetiche (Cass. 13 febbraio 2013, n. 3502; Cass. 25 agosto 2006, n. 18547; Cass. 2 luglio 2004, n. 12121).
La conclusione cui e’ pervenuta la Corte di merito non puo’ allora essere condivisa, dal momento che essa non si fonda sulla concreta possibilita’, da parte dell’istante di svolgere un’attivita’ lavorativa: infatti, sono stati scrutinati, quali unici dati fattuali, l’invio, da parte della ricorrente, del proprio curriculum a strutture alberghiere (per cui non avrebbe avuto specifica competenza) e una imprecisata collaborazione prestata dalla stessa istante presso l’esercizio commerciale del fratello (spiegandosi, al riguardo, che tale attivita’ avrebbe sottratto impegno e risorse alla ricerca di una occupazione): ma tali circostanze non sono in se’ rappresentative della effettiva possibilita’, da parte della ricorrente, di ottenere una collocazione sul mercato del lavoro.
Ai fini che qui interessano, rileva, invece, il sopraggiungere di fatti che abbiano determinato situazioni nuove rispetto a quelle tenute presenti dalle parti al momento della conclusione dell’accordo iniziale: occorreva, ad esempio, la dimostrazione che il coniuge beneficiato dell’assegno avesse acquisito professionalita’ diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, ovvero che lo stesso avesse ricevuto, nel periodo successivo al perfezionamento della convenzione di separazione, effettive offerte di lavoro, o che ancora avesse comunque potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione.
Sul punto relativo alla capacita’ lavorativa della ricorrente la sentenza va quindi cassata: competera’ al giudice di rinvio procedere a un nuovo apprezzamento della vicenda occorsa e giudicare, in conseguenza, del mantenimento, della riduzione o della soppressione dell’assegno di mantenimento. Cio’ tenendo conto che l’attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilita’ di svolgimento di un’attivita’ lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non gia’ di mere valutazioni astratte ed ipotetiche.
Pure fondata e’ la censura riguardante la statuizione con cui sono state regolamentate le spese straordinarie.
La decisione si fonda, infatti, sul duplice rilievo per cui la fissazione di un tetto massimo delle predette spese era, da un lato, potenzialmente foriera di incomprensioni e litigi tra i coniugi e, dall’altro, priva di coerenza, perche’ non teneva conto della necessita’ di assicurare sempre e comunque al figlio la tutela delle sue esigenze, anche oltre l’impegno economico predeterminato. In tal modo, pero’, la Corte distrettuale ha omesso di considerare che l’articolo 156 c.c., comma 7 ammette la modificazione delle condizioni di separazione allorquando “sopravvengono giustificati motivi”: ora, in tema di separazione consensuale, applicandosi in via analogica l’articolo 156 c.c., comma 7, i giustificati motivi che autorizzano il mutamento delle relative condizioni consistono in fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale gli accordi erano stati stipulati (Cass. 22 novembre 2007, n. 24321; cfr. pure Cass. 8 maggio 2008, n. 11488). Ne consegue che l’accordo non e’ modificabile in ragione di un semplice riesame circa l’opportunita’ delle soluzioni concordate dai coniugi nell’intercorsa convenzione.
Anche sul punto si impone, dunque, la cassazione. Il ricorso e’ dunque accolto nei sensi di cui alla motivazione.
Al giudice di rinvio e’ rimessa la statuizione circa le spese della presente fase di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa alla Corte di appello di Bari, in altra composizione, anche per le spese della fase di legittimita’

Restituzione della casa goduta in comodato

Cass. civ. Sez. I, 2 febbraio 2017, n. 2771
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERNABAI Renato – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16288-2014 proposto da:
C.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI CORRIDORI 48, presso l’avvocato ISIDORO TOSCANO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERLUIGI VULCANO, giusta procura a margine del ricorso;
-ricorrente- –
contro
CO.CA.DA., nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante della ESSEDIEMME S.R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GAETANO KOCH 42, presso l’avvocato VITANTONIO AMODIO, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE PADRONE, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 315/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 13/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato ALDO VERINI SUPPLIZI, con delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato RAFFAELE PADRONE che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con ricorso in data 9 settembre 2009, Co.Ca.Da., in proprio e quale legale rappresentante della Essediemme s.r.l. adiva il Tribunale di Bari, chiedendo dichiararsi risolto il contratto di comodato stipulato con i coniugi Co.Do. (figlio dell’istante) e C.M.A., avente ad oggetto due appartamenti siti in (OMISSIS), il primo di sua proprietà, di quattro vani ed accessori, l’altro di tre vani e accessori di proprietà della società, con condanna dei medesimi al rilascio ed al risarcimento dei danni. I resistenti si costituivano eccependo che i due immobili – unificati in un unico appartamento – erano stati assegnati alla C., affidataria del figlio minore C., con il provvedimento di omologa della separazione personale dei coniugi in data 19 gennaio 2009. Con sentenza n. 166/2010, il Tribunale adito rigettava la domanda.
2. L’appello proposto dal Co. veniva parzialmente accolto dalla Corte di Appello di Bari con sentenza n. 315/2014, depositata il 13 marzo 2014 e notificata il 16 aprile 2014. Il giudice del gravame riteneva che l’esigenza di rispetto, da parte del comodante (padre del marito e legale rappresentante della società proprietaria di uno degli immobili), della destinazione dei due appartamenti per cui è causa a casa coniugale potesse considerarsi limitata, attesa la sopravvenuta separazione dei coniugi, ad uno solo di essi, considerato l’evidente sovradimensionamento rispetto alle esigenza di vita della sola madre, affidataria del figlio minore, e di quest’ultimo.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso C.M.A. nei confronti di Co.Ca.Da., in proprio e quale legale rappresentante della Essediemme s.r.l., affidato a due motivi. Il resistente ha replicato con controricorso.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso C.M.A. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
1.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte di Appello abbia dichiarato cessato il comodato relativamente ad uno dei due appartamenti, sebbene l’appellante non avesse in alcun modo dedotto che gli alloggi, di mq. 140 ciascuno, sarebbero sovradimensionati rispetto alle esigenze di vita della C. e del figlio minore. Il recesso di Co.Ca.Da. dal comodato sarebbe stato, invero, “esercitato ad nutum con riferimento ad entrambi gli appartamenti”, essendo stati tutti e due adibiti dai coniugi, Co.Do. (figlio dell’odierno resistente) e C.M.A. a casa coniugale. Di qui l’evidente vizio di ultrapetizione nel quale sarebbe incorsa l’impugnata sentenza.
1.2. Il motivo è inammissibile.
1.2.1. La ricorrente non ha, invero, nè riprodotto almeno nei punti essenziali, nè allegato al ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 eart. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, l’atto di appello del Co., al fine di consentire alla Corte di valutare – nel rispetto del principio di autosufficienza – l’eventuale sussistenza del vizio di extrapetizione dedotto.
1.2.2. E’ bensì vero, infatti, che la Corte di cassazione, chiamata ad accertare un “error in procedendo” è giudice anche del fatto, ed abbia, pertanto, il potere di accedere agli atti di causa. E tuttavia, tale potere-dovere della Corte presuppone pur sempre l’ammissibilità della relativa censura, il che comporta che gli atti dai quali dovrebbe desumersi l’error in procedendo, oltre che indicati, siano anche riprodotti (nelle parti essenziali), nel rispetto del principio di autosufficienza, ai sensi delle disposizioni succitate (cfr., ex plurimis, Cass. 1170/2004; 8575/2005; 16245/2005). Tanto più che, nel caso concreto, l’allegazione da parte dell’appellante del sovradimensionamento dell’immobile adibito a casa coniugale si desume – al contrario di quanto assume la ricorrente – dalla parte di atto in appello trascritta, invece, dal Co. nel controricorso (p. 5), nel quale si fa espressa menzione del fatto che la nuora dell’appellante non avrebbe potuto “pretendere di vivere con l’unico figlio in una magione di 300 mq. pur disponendo di un proprio appartamento”.
1.3. Il mezzo, poichè inammissibile, non può, pertanto, trovare accoglimento.
2. Con il secondo motivo di ricorso, C.M.A. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 155 e 155 quater (nel testo applicabile ratione temporis), nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione s un punto decisivo del giudizio, in relazioneall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
2.1. La ricorrente si duole del fatto che la Corte di Appello abbia erroneamente ritenuto – peraltro con motivazione del tutto incongrua e contraddittoria – che l’esigenza, sancita dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte, cui lo stesso giudice di appello ha affermato di aderire, di rispetto da parte del comodante (padre del marito e legale rappresentante della società proprietaria di uno degli immobili) della destinazione dei due appartamenti per cui è causa a casa coniugale potesse considerarsi limitata, attesa la sopravvenuta separazione dei coniugi, ad uno solo di essi, considerato l’evidente sovradimensionamento rispetto alle esigenza della sola madre, affidataria del figlio minore e di quest’ultimo. Osserva, per contro, l’istante che il provvedimento di assegnazione, disposto nell’interesse del minore, aveva avuto ad oggetto l’intero complesso immobiliare, ossia i due appartamenti unificati dai comodatari, e che, pertanto, esso non fosse rivedibile da parte del giudice di appello, perdurando la loro destinazione ad utilizzazione come casa familiare.
2.2. La censura è infondata.
2.2.1. La sentenza di appello ha, invero, accertato che i due appartamenti per cui è causa erano stati concessi in comodato ai coniugi e che “li stessi tutt’ora li abitavano” (p. 4), come affermato dallo stesso appellante Co.Ca.Da., e che entrambi gli immobili erano stati assegnati alla moglie convivente con il figlio minore (p. 5). In tale prospettiva, la Corte territoriale ha respinto il motivo di appello con il quale il Co. aveva dedotto che gli immobili in discussione sarebbero stati adibiti a studi professionali e sarebbero stati solo saltuariamente occupati. Il giudice di seconde cure ha, tuttavia, dichiarato cessato il comodato limitatamente all’appartamento di proprietà della società, disponendo, pertanto, il rilascio parziale dell’immobile, considerando che, per effetto della separazione e dell’allontanamento del marito dal nucleo familiare, l’occupazione dei due appartamenti – per un’estensione complessiva di ben 280 mq. – fosse spropositata in relazione alle esigenze abitative della sola madre e del figlio minore.
2.2.2. Ebbene, le conclusioni cui è pervenuto il giudice di seconde cure sono condivisibili, sebbene la motivazione debba essere integrata.
2.2.2.1 Va osservato, al riguardo, che il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi – salva la concentrazione del rapporto in capo all’assegnatario, ancorchè diverso dal comodatario – il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare. Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagliartt. 1803 e 1809 c.c., sorge per un uso determinato ed ha – in assenza di un’espressa indicazione della scadenza – una durata determinabile “per relationem”, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall’insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari che avevano legittimato l’assegnazione dell’immobile (cfr. Cass. S.U. 20448/2014; Cass. 2506/2016).
2.2.2.2. Ne consegue che, in sede di valutazione della domanda di rilascio dell’immobile adibito a casa familiare, proposta dal comodante, il giudice è tenuto ad accertare, ai sensidell’art. 1810 c.c., se l’uso cui il bene attribuito incomodato è stato adibito perduri, atteso che nelcomodato senza determinazione di durata la restituzione del bene è dovuta quando è cessato l’uso cui la cosa era stata destinata. E non può revocarsi in dubbio che – essendo possibile, perfino in sede di assegnazione della casa familiare da parte del giudice della separazione, un’assegnazione parziale al coniuge affidatario di figli minori, se essa non contrasta con l’interesse preminente di questi ultimi ex art. 155 quater c.c. (applicabile ratione temporis) (Cass. 8580/2014) – siffatta verifica vada condotta in relazione all’intero bene, nel senso che esso debba nella sua totalità essere adibito a casa familiare, nell’interesse dei figli minori (o maggiorenni non autosufficienti) conviventi con il coniuge. In caso contrario, il giudice non potrà che procedere alla restituzione, quanto meno parziale, del bene al terzo comodante, legittimo proprietario, il cui diritto dominicale non può essere ulteriormente compresso, laddove non sia giustificato dall’utilizzazione dell’intero immobile come casa familiare, nell’interesse dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti. Dal dispostodell’art. 1022 c.c.si evince, infatti, un principio generale secondo il quale il diritto di abitazione di una casa può essere esercitato, da colui che ne sia titolare, solo nei limiti del soddisfacimento dei bisogni suoi e della sua famiglia. Ed è del tutto evidente che tale accertamento, vertendo su una situazione di fatto contingente, non può che essere demandato al giudice di merito.
2.2.3. Orbene, nel caso di specie, la Corte di Appello ha accertato in fatto che entrambi gli alloggi avevano un’estensione di ben 140 mq. ciascuno e che l’appellante Co.Ca.Da. aveva evidenziato come il godimento di quasi 300 mq. di immobile in capo alla nuora ed al nipote fosse sovradimensionato rispetto allo stesso interesse di quest’ultimo, soprattutto dopo che anche il figlio Co.Do., a seguito della separazione, aveva lasciato l’abitazione familiare. La Corte territoriale ha, altresì, accertato che, a fronte di tali allegazioni dell’appellante, i coniugi appellati “nulla hanno dedotto al riguardo”. Ed, in verità, neppure nel presente giudizio di legittimità la ricorrente ha dedotto, con la censura in esame, specifiche circostanze o elementi probatori tali da evidenziare che sia conforme all’interesse del minore il perdurare dell’uso dell’intero immobile per la considerevolissima consistenza suindicata.
2.2.4. Va, infine, rilevato che il denunciato vizio di motivazione dell’impugnata sentenza, sotto il profilo della insufficienza e contraddittorietà, non può ritenersi sussistente. nella vigenza del nuovo testodell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile ratione temporis). L’anomalia motivazionale costituzionalmente rilevante, posta a fondamento della previsione novellata, si esaurisce, invero, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. S.U. 8053 e 8054/2014; Cass. 21257/2014; 23828/2015). E non può revocarsi in dubbio che siffatto radicale vizio della motivazione della sentenza di appello, sia da escludere nel caso di specie.
2.3. La doglianza suesposta va, pertanto, disattesa.
3. Il ricorso proposto da C.M.A. deve essere, di conseguenza, integralmente rigettato.
4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione;
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie ed accessori di legge. Ai sensi del cD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art.13, comma 1quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 1 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

MEDIAZIONE CIVILE E COMMERCIALE

MEDIAZIONE CIVILE E COMMERCIALE
di Gianfranco Dosi
(Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, come modificato dal decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito nella legge 9 agosto 2013, n. 98)

La normativa sulla mediazione civile e commerciale è contenuta sostanzialmente nel decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, emanato sulla base della delega contenuta nell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 60 (Dispo¬sizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile) fortemente influenzato dalla direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale.
In seguito alla sentenza con cui Corte cost. 6 dicembre 2012, n. 272 dichiarò l’illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 5 del decreto legislativo 28/2010 (la cui questione era stata sollevata da T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 12 aprile 2011, n. 3202) nella parte in cui, eccedendo la delega legislativa, aveva previsto che in alcune specifiche ipotesi il procedimento di mediazione fosse da considerare condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la normativa sulla mediazione venne fatta oggetto di una consistente riforma operata con il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, (cosiddetto decreto “del fare”) convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 che reintrodusse con legge (riparando, perciò, al difetto rilevato dalla Corte costituzionale) le ipotesi di obbligatorietà del tentativo di mediazione, cogliendo però anche l’occasione per altri significativi interventi di riforma.
In particolare la riforma del 2013 introduceva (con decorrenza dal 20 settembre 2013) a) un criterio di com¬petenza territoriale per la presentazione della domanda; b) il principio che il procedimento di mediazione è su¬bordinato al consenso delle parti espresso in un incontro preliminare di programmazione; c) che lo svolgimento dell’incontro preliminare di programmazione della mediazione è condizione di procedibilità (in materie espressa¬mente indicate) e deve svolgersi entro 30 giorni dal deposito dell’istanza; d) la gratuità del primo incontro di pro¬grammazione in caso di mancato accordo; e) l’esclusione delle controversie sulla responsabilità civile derivante dalla circolazione automobilistica dalle materie per cui è previsto l’incontro di programmazione, f) l’aggiunta delle controversie in tema di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria; g) il fatto che il giudice può ordinare alle parti di procedere alla mediazione e non solo invitarle; h) la durata massima dell’intera procedura ridotta a tre mesi; i) il principio che gli avvocati sono mediatori di diritto ed hanno l’obbligo di aggiornamento professionale, l) che gli avvocati assistono le parti durante l’intera procedura di mediazione; m) una nuova disci¬plina in tema di efficacia esecutiva dell’accordo di mediazione.
Nel frattempo la legge 11 dicembre 2012, n. 220, aveva disciplinato la mediazione in materia di controversie condominiali, introducendo l’art. 71-quater nelle disposizioni di attuazione del codice civile che prescrive la competenza territoriale obbligatoria del luogo in cui si trova il condominio e la necessità dell’amministratore di munirsi, per partecipare alla mediazione o per la proposta di mediazione, di delibera assembleare (da approvarsi con la maggioranza dell’art. 1136, comma 2, c.c. e cioè del numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio).
Qualche ulteriore modifica venne poi introdotta dall’art. 1-bis, comma 2, del decreto legislativo 6 agosto 2015, n. 130 di attuazione della direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori.
Per quanto attiene alle fonti giuridiche va anche menzionato il decreto interministeriale 18 ottobre 2010, n. 180 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28).
Di mediazione civile, come si è all’inizio accennato, si era occupata anche l’Unione Europea, con la Direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008 (Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale) volta a fornire agli Stati membri le linee da seguire per facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e per promuovere la composizione conciliativa delle controversie. Successivamente se ne sono anche occupati la Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2011 sull’attuazione della direttiva sulla mediazione negli Stati membri, il Regolamento 21 maggio 2013 n. 524 per i consumatori, la Direttiva 21 maggio 2013 n. 11 sull’ADR per i consu¬matori e la Relazione 26.8.2016 della Commissione europea sull’applicazione della direttiva 2008/52/CE.
* * *
Se si guarda alle riforme che il legislatore ha introdotto in questi ultimi anni – dalla mediazione civile alla nego¬ziazione assistita – ci si accorge che, con l’obiettivo dichiarato di rispondere a necessità strutturali di carattere deflattivo e alternativo, il sistema della giustizia si è andato costruendo nel tempo intorno a tre pilastri che sem¬brano connotarlo ormai in un modo che appare stabile e definitivo. Per la soluzione delle controversie nell’area dei diritti disponibili il sistema giustizia si presenta oggi – in una coraggiosa e competitiva sinergia tra apparati pubblici e organismi privati – come insieme di alternative interscambiabili caratterizzate ciascuna da differenti fattori di appetibilità e di fattibilità.
Le procedure alternative dovranno prima o poi diventare la regola e non l’eccezione per la soluzione delle con¬troversie su diritti disponibili e pertanto va invertito il tradizionale approccio al tema dell’inquadramento siste¬matico che mette in genere al primo posto la giurisdizione e ai posti successivi l’arbitrato, la mediazione e la negoziazione.
Al primo posto, come primo pilastro, vanno quindi collocate oggi la mediazione civile e commerciale e la negoziazione assistita, finalizzate entrambe alla soluzione consensuale delle controversie civili e commerciali relative a diritti disponibili. Si tratta di un pilastro rinvenibile nell’esperienza giuridica di molti altri Paesi e che ha raggiunto nell’ambito della giustizia una propria dignità di sistema consensuale a prescindere ed oltre le esigenze di deflazione del carico giurisdizionale. La potenzialità deflattiva di questo sistema di risoluzione alternativa dei conflitti non può più essere considerata la sua funzione primaria che va, invece, rintracciata nel suo ruolo paral¬lelo di sistema di giustizia basato sul consenso e non sulla coazione. Il termine “conciliazione”, che prima di oggi connotava da solo nel linguaggio comune sia la procedura tesa alla soluzione consensuale di una controversia sia l’atto in sé dell’accordo, è stato molto opportunamente sostituito da quello di “mediazione finalizzata alla conciliazione della controversia” o di “negoziazione assistita da avvocati” che riesce a dare meglio l’idea della circostanza che per giungere a risolvere una controversia è necessario un percorso di avvicinamento che, sia pure senza particolari formalismi, deve pur sempre avere un proprio setting senza il quale perderebbe la propria plausibilità. In questo contesto va ribadito che la “conciliazione” non è l’abbandono di una pretesa, quasi una riconciliazione, ma la soluzione consensuale di un conflitto. Il momento finale di un confronto tra le parti.
L’arbitrato costituisce l’altro pilastro della giustizia, il secondo. Non solo e non tanto il tradizionale e solenne arbitrato rituale, ma soprattutto di quello previsto nell’art. 808-ter c.p.c (arbitrato irrituale) – introdotto dal D. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – dove si legge che “le parti possono […] stabilire che la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale”. A questo modello di diritto comune sono riconducibili le modalità di arbitrato varate per i conflitti di lavoro dalla riforma di cui all’art. 31 della l. 4 novembre 2010, n. 183 che ha pre¬visto con decorrenza dal 24 novembre 2010 la risoluzione arbitrale irrituale delle controversie davanti alle com¬missioni di conciliazione (nuovo art. 412 c.p.c.) o con le eventuali modalità previste dai contratti collettivi (nuovo art. 412-ter, c.p.c.) ovvero davanti ad appositi collegi di conciliazione e arbitrato irrituale per i quali è stata anche introdotta una propria agile procedura (nuovo art. 412-quater, c.p.c.). Sono queste le nuove forme di risoluzione arbitrale delle controversie nel campo dei conflitti di lavoro ai quali il legislatore è giunto recentemente, nel conte¬sto e a conclusione di un più vasto intervento legislativo di riforma realizzatosi in questo settore negli ultimi anni.
Il terzo pilastro resta pur sempre quello importante della giurisdizione alla quale permane, in virtù della riserva costituzionale di cui al fondamentale art. 24 della Costituzione, la responsabilità primaria di garantire coazione alle domande di giustizia poste dalla conflittualità sociale, nel rispetto irrinunciabile del diritto di chiunque di agire in giudizio per la tutela contenziosa dei propri interessi e dei propri diritti, disponibili e non disponibili. Il nostro sistema processuale civile, pur soffrendo di rigidità tali che pensare di modificarlo con qualche ritocco è utopistico, continua ad apprestare faticosamente tutele nei tradizionali settori della cognizione, dell’esecuzione e delle garanzie cautelari. Considerate le dimensioni dello sforzo riformatore necessario e l’intasamento delle aule di giustizia, non si può escludere che, ove il trend in tema di procedure alternative riuscisse ad incoraggiare rifor¬me più radicali, il contenuto della giurisdizione possa circoscriversi un giorno alla tutela dei soli diritti indisponibili e al controllo sulle decisioni rese nell’ambito dei sistemi alternativi.

Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’art. 60 delle legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie ci¬vili e commerciali), come modificato dal decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito nella legge 9 agosto 2013, n. 98.
CAPO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1 1
1 testo originario
Definizioni
1. Ai fini del presente decreto legislativo, si intende per:
a) mediazione: l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa;
b) mediatore: la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo;
c) conciliazione: la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione;
d) organismo: l’ente pubblico o privato, presso il quale si svolge il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto;
e) registro: il registro degli organismi istituito con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 16 del presente decreto, nonché, sino all’emanazione di tale decreto, il registro degli organismi istituito con il decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222.
Il primo articolo della legge – che con la riforma del 2013 non è stato sostanzialmente modificato rispetto al testo originario – si prefigge di dare la definizione dei termini più significativi del settore disciplinato.
L’aspetto che più merita di essere segnalato è la distinzione che viene proposta tra la mediazione (intesa come procedimento finalizzato a raggiungere un accordo) e la conciliazione (intesa come l’accordo con cui si compone la controversia). La mediazione civile e commerciale è un procedimento, quindi, volto alla possibile conciliazione di una controversia e non si confonde con la conciliazione in sé.
Il mediatore viene indicato come la persona fisica (o le persone fisiche) che, individualmente o come collegio svolgono la mediazione, prive di potere giudicante .
Il procedimento di mediazione si svolge su istanza degli interessati, presso uno degli organismi, iscritti nel registro istituito con decreto del Ministro della giustizia. Si occupa specificamente degli organismi l’art. 16 della legge.
Art. 2 2
Controversie oggetto di mediazione
1. Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commer¬ciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto.
2. Il presente decreto non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controver¬sie civili e commerciali, né le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi.
La mediazione civile è prevista per la soluzione delle sole controversie su diritti disponibili. E’ questo il dato che accomuna tutte le alternative alla risoluzione giudiziaria dei conflitti, quali l’arbitrato (art. 806 c.p.c.), la negozia¬zione assistita da avvocati (l’art. 2, comma 2, lett. b, decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito nella
Art. 1
(Definizioni)
1. Ai fini del presente decreto legislativo, si intende per:
a) mediazione: l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa;
b) mediatore: la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo;
c) conciliazione: la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione;
d) organismo: l’ente pubblico o privato, presso il quale può svolgersi il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto;
e) registro: il registro degli organismi istituito con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 16 del presente decreto, nonché, sino all’emanazione di tale decreto, il registro degli organismi istituito con il decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222.
2 Testo originario
Art. 2
(Controversie oggetto di mediazione)
1. Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti di¬sponibili, secondo le disposizioni del presente decreto.
2. Il presente decreto non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, né le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi.
legge 10 novembre 2014, n. 162) ed anche la transazione (art. 1966 c.c.). Il principio non concerne naturalmen¬te gli aspetti risarcitori (che sono diritti disponibili) relativi alla violazione di un diritto indisponibile.
La disposizione (rimasta invariata nella formulazione originaria) si presenta come genericamente riferita all’ac¬cesso alle procedure di mediazione ai fini della conciliazione di una controversia. In realtà l’accesso è connotato e disciplinato in modo diverso a seconda delle ipotesi che la normativa prevede. Infatti non sempre l’accesso alla mediazione è volontario e facoltativo (spesso anche concordato tra le parti); in alcuni casi è previsto dome ob¬bligatorio (nello specifico allorché la legge lo prevede come condizione di procedibilità di una eventuale domanda giudiziaria o perché consegue ad un ordine del giudice).
In passato si è sempre parlato tradizionalmente di mediazione facoltativa (o volontaria) per riferirsi alle ipotesi in cui non è previsto alcun obbligo per le parti di accedere ad un procedimento di mediazione; di mediazione ob¬bligatoria per riferirsi alle specifiche ipotesi previste dalla legge in cui le parti sono obbligate, prima di rivolgersi al giudice, ad esperire (a pena di improcedibilità della domanda) il procedimento di mediazione; di mediazione delegata per riferirsi al possibile invito rivolto alle parti dal giudice a promuovere una procedura di mediazione.
La riforma del 2013 ha riscritto in buona parte l’art. 5 che ora prevede quindi al comma 1-bis le ipotesi di me¬diazione obbligatoria ante causam, al comma 2 il potere del giudice in corso di causa, “valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti” di disporre, anche in sede di appello, che le parti accedano alla mediazione; di mediazione concordata allorché l’obbligo del previo ricorso alle mediazione civile è contenuto come clausola in un contratto o in un atto (per esempio costitutivo di un ente).
A seguito delle riforme del 2013 la classificazione tradizionale va perciò riformulata in quanto anche la media¬zione demandata dal giudice (che prima della riforma del 2013 costituiva solo un invito alla mediazione), come d’altra parte quella (già nel testo originario) riferibile a clausole contrattuali che prevedono l’obbligo della previa mediazione, sono di fatto ipotesi in cui il tentativo di raggiungere un accordo è obbligatorio e costituiscono, an¬che a processo già iniziato, condizione di procedibilità della domanda.
Si può quindi proporre una bipartizione che preveda da un lato la mediazione facoltativa (anche eventualmen¬te su invito del giudice che si ritiene sopravviva alla riforma) e dall’altro le tre ipotesi di mediazione obbligato¬ria (in primo luogo le ipotesi previste nell’art. 5, comma 1-bis; poi le ipotesi di mediazione demandata dal giu¬dice in primo grado o in appello a cui si riferisce l’art. 5, comma 2; e da ultimo le ipotesi di clausole contrattuali che rendono obbligatoria per le parti la previa mediazione, a cui si riferisce l’art, 5, comma 5).
La previsione della obbligatorietà della mediazione non comporta che le parti siano obbligate a raggiungere un accordo, ma solo che si adoperino per raggiungerlo. È, quindi, il tentativo di raggiungere l’accordo, e non il rag¬giungimento dello stesso, ad essere obbligatorio. Anche per tale motivo si parla di mediazione obbligatoria (come obbligo di avviare la procedura di mediazione) e non di conciliazione obbligatoria
Le interferenze tra mediazione e processo civile sono disciplinate dall’art. 5 della normativa.
In giurisprudenza Trib. Roma Sez. VIII, 28 gennaio 2016 ha ritenuto che la Pubblica Amministrazione è tenu¬ta alla partecipazione al procedimento di mediazione in quanto la partecipazione al procedimento di mediazione, per esempio delegata dal giudice, è obbligatoria per legge e proprio in considerazione di ciò non è giustificabile una negativa e generalizzata scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione neppure ove tale condotta muova dal timore di incorrere in danno erariale a seguito della conciliazione.
Anche il giudizio sull’equa riparazione per durata irragionevole del processo ex art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 secondo Cass. civ. Sez. Unite, 22 luglio 2013, n. 17781 costituisce materia di diritto disponibile sog¬getto alla mediazione facoltativa.
CAPO II
DEL PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE
Art. 3 3
Disciplina applicabile e forma degli atti
3 Testo originario
Art. 3
(Disciplina applicabile e forma degli atti)
1. Al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell’organismo scelto dalle parti.
2. Il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento ai sensi dell’articolo 9, nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico.
3. Gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità.
4. La mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo.
1. Al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell’organismo scelto dalle parti.
2. Il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento ai sensi dell’articolo 9, nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico.
3. Gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità.
4. La mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell’orga¬nismo.
L’art. 3 del decreto legislativo istitutivo – non toccato dalla riforma del 2013 – esprime il principio generale della informalità della procedura di mediazione (ribadito poi nell’art. 8 comma 2, dove si precisa che il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo) che, tuttavia, non è di portata così ampia come potrebbe sembrare. Certamente la caratteristica del procedimento di mediazione, come di ogni altra alternativa al processo, è quella di una proce¬dura non strutturata attraverso eccessivi formalismi procedurali. Tuttavia l’informalità non si spinge fino al punto da non prevedere regole, che, infatti, la stessa legge prescrive facendo rinvio al regolamento di cui – ai sensi dell’art. 16 della normativa – ogni organismo di mediazione deve obbligatoriamente dotarsi.
Vi sono, naturalmente, nella legge istitutiva anche disposizioni e vincoli inderogabili che impongono il rispetto di alcuni criteri formali, come avviene per esempio in merito ai criteri di determinazione della competenza terri¬toriale (art. 3), ai requisiti (di cui si occupa l’art. 12) perché l’accordo possa essere considerato titolo esecutivo o perché possa avere altrimenti l’omologazione da parte del tribunale, oppure ancora le disposizioni (previste nell’art. 8) in ordine all’obbligatoria assistenza degli avvocati.
Il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento – giusta quanto previsto nell’articolo 9 – nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico.
Il procedimento inizia col deposito di un’istanza presso un organismo di mediazione. Il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda (si trat¬ta di un incontro che assume specifica rilevanza nelle ipotesi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale). Tutto ciò viene poi comunicato alle parti. La parte chiamata in mediazione è libera di parteciparvi o meno. Il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo per la definizione della controversia. Possono essere tenute sessioni separate, ove il mediatore incontra separatamente le parti. Al procedimento, come detto, si applica il regolamento dell’organismo. Il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. L’accordo può essere raggiunto spontaneamente dalle parti ovvero su proposta del mediatore al quale la legge attribuisce la facoltà (o il dovere su domanda congiunta) di formulare e presentare alle parti una proposta conciliativa scritta. Le parti sono libere di accettare o meno la proposta. A con¬clusione del procedimento il mediatore se non viene raggiunto l’accordo redige verbale di accordo negativo mentre se viene raggiunto l’accordo, redige un verbale al quale è allegato il testo dell’accordo sottoscritto dalle parti. Il verbale è depositato presso la segreteria dell’organismo e di esso è rilasciata copia alle parti che lo richiedono.
Art. 4 4
Accesso alla mediazione
1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima do¬manda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell’istanza.
4 Testo originario
Art. 4
(Accesso alla mediazione)
1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data della ricezione della comunicazione.
2. L’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa.
3. All’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione.
2. L’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa.
3. All’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informa¬zione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informa¬zione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazio¬ne è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione.
1) L’accesso alla mediazione
Secondo quanto dispone il primo comma dell’art. 4 (nel testo modificato con la riforma del 2013) anche per la mediazione è necessario seguire un criterio di competenza territoriale nel senso che la domanda di mediazione è obbligatoriamente “presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia”. Prima della riforma del 2013 non era prevista una competenza territoriale specifica. La domanda va presenta alla sede legale dell’organismo.
Questo criterio identifica la circoscrizione giudiziaria all’interno della quale devono essere situati gli organismi tra i quali la parte istante può scegliere quello a cui rivolgersi.
La parti possono derogare a tale criterio di competenza territoriale in tutti i casi in cui il codice di procedura civile prevede la possibilità di derogare alla competenza territoriale per accordo tra le parti (Circolare della Commis¬sione per lo studio della mediazione e della conciliazione del Consiglio Nazionale Forense del 6 dicembre 2013).
Nel caso di domanda presentata ad un organismo di mediazione non territorialmente competente nessuna norma attribuisce all’organismo il compito di rifiutare di iniziare il procedimento. L’onere di sollevare l’eccezione di in¬competenza resta delle parti ed in tal caso il mediatore ne darà atto nel verbale del primo incontro (che enuncerà la motivazione dell’esito negativo per eccezione di incompetenza sollevata dalla parte invitata). Nel caso in cui la parte invitata, invece, non si presenta il verbale sarà di mancata partecipazione. In entrambi i casi, allorché si tratti di tentativo di mediazione obbligatoria, sarà il giudice ad inviare poi le parti davanti all’organismo competente.
Così ha ritenuto Trib. Monza, 17 dicembre 2014 precisando che nel caso in cui il tentativo di mediazione obbligatoria sia iniziato dinnanzi ad un organismo incompetente territorialmente, il giudice deve concedere un successivo ulteriore termine per l’avvio del tentativo dinnanzi all’organismo competente, non ostandovi l’inutile decorso, nel frattempo, del termine trimestrale ex art. 6 del D.Lgs. n. 28/2010.
La giurisprudenza ha precisato che il meccanismo legislativo in questione postula che sia dapprima individuato il foro giudiziale, secondo le regole sottese a tale determinazione, e solo di riflesso sia individuato l’organismo cui accedere in fase conciliativa (Cass. civ. Sez. VI, 2 settembre 2015, n. 17480).
Del tutto ragionevolmente Trib. Napoli, 14 marzo 2016 e già prima Trib. Milano Sez. IX, 29 ottobre 2013 hanno precisato che anche per le mediazioni attivate su disposizione del giudice, la domanda di mediazione deve essere presentata mediante deposito dell’istanza presso un organismo che abbia sede nel luogo del giudice ter¬ritorialmente competente per la controversia, ma la domanda di mediazione presentata unilateralmente dinanzi ad un organismo che non ha competenza territoriale, non produrrebbe effetti. Questa sentenza esprime anche il convincimento che il termine di quindici giorni indicato dal giudice per la presentazione dell’istanza stessa avreb¬be carattere di perentorietà. Viceversa Trib. Milano Sez. I, 27 settembre 2016 non ritiene che il termine di quindici giorni indicato dal giudice sia perentorio. In ogni caso – e salva la diversa soluzione che la questione potrebbe avere in ordine all’applicazione delle sanzioni previste nell’art. 8, comma 4-bis – sia il rispetto che il mancato rispetto del termine non escludono la possibilità che il giudice possa ordinare un successivo tentativo di mediazione.
Secondo Trib. Verona, 27 gennaio 2014 l’art. 4 del decreto istitutivo non attribuisce rilievo, ai fini della deter¬minazione della competenza per territorio dell’organismo di mediazione, a criteri diversi da quelli contenuti nella sia perentorio III del titolo primo del codice di procedura civile cosicché non rilevano, al fine suddetto, eventi processuali come la litispendenza o la continenza.
In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territo¬rialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda.
L’istanza con cui inizia il procedimento di mediazione deve contenere alcuni requisiti formali minimi che sono l’indicazione a) dell’organismo, b) delle parti, c) dell’oggetto della controversia, d) delle ragioni della pretesa. Naturalmente la presenza di tali requisiti va valutata non rigidamente formale ma in senso sostanziale, facendo riferimento all’oggetto della pretesa e non all’eventuale qualificazione giuridica indicata dalle parti.
È ammessa anche un’istanza congiunta presentata da tutte le parti della controversia.
Secondo la giurisprudenza l’onere di “presentazione della domanda di mediazione” deve ritenersi assolto con il mero invio per posta raccomandata della medesima alla sede dell’organismo prescelto, non essendo invece necessario l’effettivo ricevimento della domanda stessa da parte di quest’ultimo (Trib. Firenze Sez. III, 14 settembre 2016) ed inoltre l’insufficiente determinatezza della domanda di mediazione, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, preclude una pronunzia sul merito da parte del giudice dovendo escludersi che, in tale ipotesi, il procedimento di mediazione sia stato utilmente esperito e che la condizione di procedibilità si sia realizzata (Trib. Genova Sez. VI, 31 maggio 2016).
2) Gli obblighi dell’avvocato e la sua partecipazione alla mediazione
L’ultimo comma dell’art. 3 dispone che all’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato informi l’assistito della possibilità di avvalersi della mediazione e delle agevolazioni fiscali di cui agli artt. 17 e 20 nonché dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’avvocato deve quindi informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della mediazione finalizzata alla conciliazione. Si tratta di un dovere esercitabile per ogni tipo di controversia su diritti disponibili.
L’art. 40 del Codice deontologico forense prevede l’obbligo per l’avvocato di informare il cliente delle “ipotesi di soluzioni possibili delle controversie”.
L’informativa deve essere fornita chiaramente; fornita per iscritto; contenuta in un documento sottoscritto dall’assistito; allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio.
Non dovrebbe trattarsi di una mera dichiarazione generica della parte contenuta nel mandato alle liti “dovendo invece contenere un apposito contenuto specifico che riproduca i diritti, le regole e gli oneri della mediazione” (Trib. Varese, 6 maggio 2011).
Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1 (cioè se non provvede ad inviare le parti alla mediazione) informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione.
La mancata allegazione all’atto introduttivo del giudizio dell’informativa in forma scritta resa alla parte assistita in relazione alla possibilità di avvalersi della procedura di mediazione civile, determina la sola annullabilità del contratto d’opera professionale concluso tra l’avvocato ed il proprio assistito e giammai conseguenze sul piano processuale (Trib. Massa, 26 marzo 2015).
Va tenuto presente che, in difformità dalla prassi spesso seguita dagli avvocati, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che il documento contenente l’informativa sulla mediazione, ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 28 del 2010, pur dovendo essere sottoscritto dall’assistito e allegato all’atto introduttivo del giudizio, non è equipollente alla procura ad litem, dalla quale si distingue per oggetto e funzione, restando estraneo al conferimento dello ius postulandi (Cass. civ. Sez. VI, 7 luglio 2016, n. 13886).
L’art. 4, precisa poi che in caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile e che, con particolare riferimento alla mediazione facoltativa, il giudice stesso informi la parte della facoltà di chiedere la mediazione.
La riforma del 2013 ha prescritto che agli incontri di mediazione partecipino le parti con i loro avvocati. Come si vedrà nell’art. 8 si prevede, appunto, che “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della pro¬cedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”. Il senso del nuovo testo dell’art. 8 è anche quello di escludere che al procedimento di mediazione possa partecipare esclusivamente l’avvocato in rappre¬sentanza della parte a differenza di quanto avviene in sede processuale in cui è previsto che all’avvocato possa essere conferito espressamente il potere di conciliare la causa in rappresentanza del proprio assistito (art. 183, secondo comma, c.p.c.).
Art. 5 5
Condizione di procedibilità e rapporti con il processo
1-bis. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condo¬minio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanzia¬ri, è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero i procedimenti previsti dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, e dai rispettivi regolamenti di attuazione ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’ar-ticolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La presente disposizione ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termi¬ne di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazio¬ne non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.
2. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima

5 Testo originario
Art. 5
(Condizione di procedibilità e rapporti con il processo)
1. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, suc¬cessioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, con¬tratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestual¬mente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.
2. Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può invitare le stesse a procedere alla me¬diazione. L’invito deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Se le parti aderiscono all’invito, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
3. Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascri¬zione della domanda giudiziale.
4. I commi 1 e 2 non si applicano:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;
c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;
d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;
e) nei procedimenti in camera di consiglio;
f) nell’azione civile esercitata nel processo penale.
5. Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, se il contratto, lo statuto ovvero l’atto costitutivo dell’ente prevedono una clausola di mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice o l’arbitro, su ecce¬zione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo il giudice o l’arbitro fissa la successiva udienza quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi. La domanda è pre¬sentata davanti all’organismo indicato dalla clausola, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti ad un altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di cui all’articolo 4, comma 1. In ogni caso, le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all’atto costitutivo, l’individuazione di un diverso organismo iscritto.
6. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della doman¬da giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo.

dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
2-bis. Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo.
3. Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, ne’ la trascrizione della domanda giudiziale.
4. I commi 1-bis e 2 non si applicano:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di con¬cessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;
c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile;
d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;
e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;
f) nei procedimenti in camera di consiglio;
g) nell’azione civile esercitata nel processo penale.
5. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, se il contratto, lo statuto ovvero l’atto costitutivo dell’ente prevedono una clausola di mediazione o conciliazio¬ne e il tentativo non risulta esperito, il giudice o l’arbitro, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo il giudice o l’arbitro fissa la successiva udienza quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi. La domanda è presentata davanti all’organismo in¬dicato dalla clausola, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti ad un altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di cui all’articolo 4, comma 1. In ogni caso, le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all’atto costitutivo, l’individuazione di un diverso organismo iscritto.
6. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla pre¬scrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedi¬sce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo.
1) I tre casi di mediazione obbligatoria
a) La mediazione obbligatoria ante causam nelle materie indicate nel primo comma (comma 1 bis) dell’art. 5
Nelle materie elencate nell’attuale primo comma (comma 1-bis, dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell’o¬riginario primo comma dell’articolo 5) la mediazione è obbligatoria essendo prevista come condizione di proce¬dibilità della domanda giudiziale.
La parte che intende agire in giudizio ha, perciò, l’onere di tentare la mediazione mentre in ogni altra materia la mediazione potrà essere avviata dalle parti su base volontaria e facoltativa, sia prima che durante il processo.
Si dirà, a commento dell’art. 8, che l’onere di partecipazione alla mediazione è assolto soltanto se sostanzial¬mente e non solo formalmente si realizza un’attività procedimentale di mediazione.
In questi casi l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza.
Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di tre mesi previsto come termine massimo della mediazione nell’art. 6 della legge ed allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il ter¬mine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
Le controversie in cui è obbligatoria la previa mediazione sono le seguenti: 1) condominio; 2) diritti reali; 3) di¬visione; 4) successioni ereditarie; 5) patti di famiglia; 6) locazione, comodato, affitto di aziende; 7) risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria; 8) risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità; 9) contratti assicurativi, bancari e finanziari.
L’elencazione è considerata tassativa (Trib. Monza Sez. II, 26 marzo 2015).
Non è il rito a determinare l’obbligatorietà del procedimento di mediazione, bensì la natura della controversia e pertanto la mediazione obbligatoria trova applicazione anche nel processo sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis c.p.c (Trib. Torino Sez. III, 23 marzo 2015).
In giurisprudenza si è precisato che la domanda di riduzione di donazioni per lesione della quota di legittima e di scioglimento della comunione ereditaria che si venga a costituire per l’effetto, concerne la materia delle succes¬sioni, ed è quindi soggetta al previo esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria (Trib. Frosinone, 8 novembre 2016).
La controversia inerente un contratto di apertura di credito rientra tra quelle soggette all’esperimento del ten¬tativo obbligatorio di conciliazione atteso che per controversie bancarie ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis devono intendersi quelle relative a contratti aventi ad oggetto operazioni o servizi bancari (Trib. Verona, 28 ottobre 2014).
Anche le domande spiegate in via riconvenzionale, qualora incidano su una delle materie elencate dall’art. 5, comma 1-bis, sono sottoposte al tentativo obbligatorio di mediazione civile e commerciale. Con la conseguenza che, qualora il procedimento sia già stato esperito, ma con riferimento alle sole domande principali, il giudice dovrà assegnare un termine per la sua rinnovazione (Trib. Verona, Sez. III, 12 maggio 2016; Trib. Verona Sez. III, 18 dicembre 2015).
Si è anche affermato che se soltanto una delle domande proposte in giudizio è soggetta a mediazione obbliga¬toria e l’altra no, non sarebbe opportuno disporne la separazione per consentire l’espletamento della formalità di rito della mediazione, perché ciò facendosi si comprometterebbe la prospettiva conciliativa che deve neces¬sariamente investire tutta la controversia, ben potendo per contro il giudice disporre la mediazione anche per la domanda che non sia soggetta all’obbligo in questione (Trib. Verona Sez. III, 25 giugno 2015).
Secondo Trib. Nola 24 febbraio 2015 alla dichiarazione d’improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo per mancato esperimento della mediazione prevista quale condizione di procedibilità della domanda, consegue la conferma del decreto ingiuntivo opposto.
b) La mediazione obbligatoria demandata dal giudice in corso di causa
La seconda ipotesi in cui esperire il procedimento di mediazione è obbligatorio è quella in cui la mediazione è demandata (ex officio) dal giudice in corso di causa. Se ne occupa il secondo comma dell’art. 5 dove si prevede che il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il com¬portamento delle parti, può sempre disporre l’esperimento del procedimento di mediazione. Nel testo originario della norma si trattava di un semplice invito (si parlava di mediazione delegata). L’attuale testo – dopo la riforma del 2013 – prevede un vero e proprio obbligo di eseguire l’ordine del giudice.
Anche in tal caso – come nelle ipotesi sopra richiamate di cui al primo comma – l’esperimento del procedimento di mediazione diventa di fatto (e d’altro lato la norma lo prevede espressamente) condizione di procedibilità (meglio di proseguibilità) della domanda giudiziale, in primo grado o in sede di appello.
Tuttavia la sanzione secondo una parte della giurisprudenza non potrebbe essere la dichiarazione di improcedi¬bilità ma solo interna al processo ex art. 116 c.p.c. (art. 8, comma 4-bis) (Trib. Taranto, 16 aprile 2015). Di contrario avviso Trib. Vasto, 23 aprile 2016 secondo cui la parte che non compare al primo incontro, ha l’onere di esplicitare le ragioni del rifiuto di svolgere una mediazione demandata dal giudice, pena l’improcedibilità della domanda e/o l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4-bis, D.Lgs. n. 28/2010. Nello stesso senso Trib. Firenze, 5 giugno 2015 secondo cui il mancato esperimento del procedimento di mediazio¬ne nel termine assegnato dal giudice determina l’improcedibilità della domanda.
Naturalmente la dichiarazione di improcedibilità (che effettivamente sembra in linea con il testo della norma) che segue ad una valutazione di mancato esperimento del procedimento di mediazione o di non corretta esecuzione della mediazione, significa soltanto che le parti dovranno esperire nuovamente correttamente la mediazione (non che debbano trovare per forza una soluzione conciliativa della controversia). Il principio resta sempre quello per cui l’onere di partecipazione alla mediazione è assolto soltanto se sostanzialmente e non solo formalmente si realizza un’attività procedimentale di mediazione.
Il provvedimento del giudice è adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa.
Si è precisato pragmaticamente in giurisprudenza – discostandosi, tuttavia, un po’ arbitrariamente dal testo della legge – che l’invio delle parti alla mediazione da parte del giudice dovrebbe essere disposto “quando ciò appaia opportuno per i seguenti motivi: l’incertezza circa l’esito del giudizio; la natura fiduciaria del pregresso rapporto negoziale intercorso tra attore e convenuto, che potrebbe favorire la trattativa; il modesto valore economico del¬la controversia; la gravità dell’incombente istruttorio costituito dal giuramento decisorio, chiesto per contrastare l’altrui eccezione di prescrizione presuntiva” (Trib. Milano Sez. IX 14 ottobre 2015).
L’incipit del secondo comma dell’art. 5 (“Fermo quanto previsto dal comma 1-bis …”) potrebbe portare ad una interpretazione riduttiva della riforma se venisse interpretato nel senso di escludere nelle ipotesi di obbligato¬rietà di cui al comma 1-bis la mediazione demandata dal giudice (come se dicesse “salvo quanto previsto…”). L’espressione è stata finora, invece, ragionevolmente interpretata nel senso che il giudice può disporre sempre l’esperimento del procedimento di mediazione, sia nei casi di mediazione facoltativa che di mediazione obbliga¬toria (Trib. Milano Sez. IX, 29 ottobre 2013) ed anche quando si fosse verificata la sanatoria derivante dalla mancata eccezione o dal mancato rilievo d’ufficio del mancato esperimento della mediazione, potendosi verifica¬re, quindi anche casi di cosiddetta doppia mediazione.
La giurisprudenza ha affermato che la circostanza che prima e fuori della causa sia stata proposta una domanda di mediazione (volontaria o obbligatoria), non è impeditiva all’esercizio ed all’attivazione da parte del Giudice della mediazione demandata di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28 del 2010 (Trib. Roma, 30 ottobre 2015 “in ragione della diversità di presupposti e contesto nei quali si collocano la mediazione obbligatoria e quella deman¬data”; Trib. Roma, 5 dicembre 2013) e ha precisato altresì che qualora alla procedura di mediazione disposta dal giudice una delle parti non abbia partecipato in assenza di valide e comprovate giustificazioni, sussistendo concrete possibilità conciliative frustrate da detta irrituale partecipazione, attese le conseguenze che possono derivare a carico delle parti dalla mancata o irrituale partecipazione alla mediazione, il giudice può concedersi alle stesse la possibilità di rinnovare la mediazione in modo rituale (Trib. Roma, 14 dicembre 2015).
Il richiamo nell’incipit ai commi 3 e 4, invece, sta a significare che il giudice è anche lui vincolato al contenuto dei commi in questione (non potendosi esimere quindi dal prendere in considerazione l’eventuale richiesta di provvedimenti urgenti e non potendo inviare le parti in mediazione nelle ipotesi indicate nel quarto comma).
Nel provvedimento con cui dispone l’esperimento del procedimento di mediazione il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di tre mesi previsto nell’art. 6 come termine massimo di durata del pro¬cedimento di mediazione e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
Secondo la giurisprudenza la mediazione obbligatoria esperita ancorché successivamente al termine di 15 giorni assegnato dal Giudice, non comporta la improcedibilità prevista per il mancato esperimento del procedimento, in assenza di espressa previsione di perentorietà del termine assegnato dal giudice, dovendosi dare prevalenza all’effetto sostanziale dello svolgimento del procedimento (Trib. Milano Sez. I, 27 settembre 2016; contra, Trib. Napoli, 14 marzo 2016 e Trib. Ivrea, 11 marzo 2016 che ritengono il termine perentorio). La questio¬ne non ha molta importanza dal momento comunque che il giudice, come detto, potrebbe sempre avviare le parti alla mediazione sia che non abbiano adempiuto con tempestività all’adempimento, sia che abbiamo comunque osservato con tempestività l’ordine di procedere alla mediazione e questa non abbia portato all’accordo.
In giurisprudenza si è sostenuto ragionevolmente che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’onere di esperire la mediazione obbligatoria grava sul debitore opponente in quanto parte processuale che ha provocato l’instaurazione del processo ordinario di cognizione (Cass. civ. Sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24629; Trib. Ferrara, 8 settembre 2016; Trib. Vasto, 30 maggio 2016; Trib. Trento, 23 febbraio 2016; Trib. Milano Sez. XIII, 9 dicembre 2015; Trib. Chieti, 8 settembre 2015; Trib. Genova Sez. III, 15 giugno 2015; Trib. Firenze Sez. III, 30 ottobre 2014). Non è condivisibile quanto sostenuto da altra giurisprudenza secon¬do cui l’onere graverebbe sulla parte opposta “che ha deciso di portare in giudizio il proprio conflitto per la tutela di un suo diritto” (Trib. Firenze Sez. II, 15 febbraio 2016) o che dovrebbe essere il magistrato a scegliere discrezionalmente quale debba essere la parte in concreto onerata dell’avvio della mediazione (Trib. Pavia, 26 settembre 2016).
Secondo Trib. Trapani, 16 luglio 2016 in caso di mediazione demandata, il mediatore è tenuto a verificare quali siano le parti del giudizio ed a trasmettere a ciascuna di esse la lettera di convocazione per l’incontro preli¬minare con mezzi che ne assicurino la ricezione; l’inosservanza di tali formalità non può ritorcersi a danno della parte attrice, che avrà diritto ad un nuovo termine per la rinnovazione del procedimento.
Sempre in caso di mediazione demandata dal giudice, l’istanza rivolta all’organismo di conciliazione deve conte¬nere un chiaro riferimento all’oggetto del contendere, affinché il Giudice possa verificare che il procedimento sia stato espletato con riguardo alla controversia dedotta in giudizio (Trib. Verona Sez. III, 23 giugno 2016).
c) Le clausole contrattuali di previa mediazione obbligatoria
La terza ipotesi in cui è obbligatorio procedere alla mediazione è quello (al quale si riferisce il comma 5 dell’art. 5) in cui sussistano clausole contrattuali che prevedono l’obbligo della mediazione. Si prevede che se il tentativo di mediazione contrattualmente previsto come obbligatorio non risulta esperito, il giudice (o eventualmente l’ar¬bitro), su eccezione di parte, proposta nella prima difesa (e quindi non d’ufficio) assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di tre mesi di durata massima del procedimento. Allo stesso modo, conclude sul punto il comma 5, il giudice o l’arbitro fissa la successiva udienza quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi.
Quindi, il mancato esperimento del procedimento di mediazione previsto da una clausola sottoscritta dalle parti può essere fatto valere in giudizio solo dalla parte interessata (nella prima difesa) e non può essere rilevato d’ufficio dal giudice.
Resta sempre salva, anche in questo caso, la possibilità che il giudice disponga la mediazione.
2) L’eccezione e il rilievo dell’improcedibilità della domanda giudiziale
L’art. 5 si occupa anche di individuare e disciplinare il meccanismo di raccordo tra il tentativo obbligatorio di me¬diazione e il processo civile. In particolare per i casi di cui al comma 1-bis il meccanismo è quello dell’eccezione di parte o del rilievo di ufficio entro la prima udienza, mentre per il caso dell’obbligo derivante dalle clausole contrattuali è escluso il rilievo d’ufficio.
Benché l’intero comma 1-bis sia richiamato anche per la mediazione demandata dal giudice (il comma 2 inizia, infatti, con la frase “fermo quanto previsto dal comma 1-bis”), il meccanismo del rilievo di eccezione di parte o d’ufficio entro la prima udienza non appare ipotizzabile nel caso di mediazione demandata dal giudice, trattan¬dosi di mediazione in corso di causa, in cui quindi le conseguenze derivanti della mancata adesione all’ordine del giudice sono solo quelle previste nell’art. 8, comma 4-bis (“Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”). Effettivamente per questa ragione parte della giurisprudenza ha ritenuto che nei casi in cui la media¬zione è demandata dal giudice, in difetto di adesione all’ordine del giudice la dichiarazione di improcedibilità non sarebbe possibile (Trib. Taranto, 16 aprile 2015). Si è già detto che invece altra parte della giurisprudenza ritiene ammissibile la dichiarazione di improcedibilità (Trib. Vasto, 23 aprile 2016 secondo cui la parte che non compare al primo incontro, ha l’onere di esplicitare le ragioni del rifiuto di svolgere una mediazione demandata dal giudice, pena l’improcedibilità della domanda e/o l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4-bis, D.Lgs. n. 28/2010 e Trib. Firenze, 5 giugno 2015 secondo cui il mancato esperimento del procedimento di mediazione nel termine assegnato dal giudice determina l’improcedibilità della domanda).
Nello specifico, per ciò che attiene alla obbligatorietà della mediazione ante causam, il comma 1-bis nella sua seconda parte prescrive che l’improcedibilità derivante dal mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. In tal caso il giudice assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di durata massima della mediazione di tre mesi previsto dall’art. 6 riformato del decreto legislativo.
Quindi le ipotesi che si possono verificare sono due: a) la mediazione non è stata tentata ed entro la prima udien¬za il convenuto eccepisce l’improcedibilità o il giudice la rileva: in tal caso il giudice assegna con ordinanza alle parti il termine di quindici giorni per iniziare il procedimento di mediazione e fissa l’udienza successiva dopo la scadenza del termine di tre mesi previsto come termine massimo di durata della mediazione. Se le parti insieme o una di esse (quindi non solo l’attore ma anche il convenuto) propongono la domanda di mediazione il procedi¬mento andrà avanti regolarmente. b) la mediazione è già iniziata ma il giudizio è stato promosso prima della sua conclusione: in tal caso il giudice ne prende atto e fissa per la prosecuzione della causa una udienza successiva (con salvezza di tutti i diritti) alla scadenza del termine massimo di tre mesi previsto come durata massima del procedimento di mediazione.
In giurisprudenza si è precisato che la disposizione secondo cui la improcedibilità deve essere eccepita dal con¬venuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza, non si applica nei pro¬cedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione (Trib. Genova Sez. VI, 31 maggio 2016).
In caso di clausole contrattuali di mediazione l’eccezione può essere sollevata solo dalla parte (l’art. 5, comma 5 prevede infatti che “il giudice o l’arbitro, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione…”).
L’espediente processuale che il decreto legislativo n. 28 del 2010 ha previsto – consistente nell’imporre al giudice di rinviare la causa ad una udienza successiva allo spirare del termine della mediazione – evita la sospensione del processo ed impedisce che nel processo in cui si controverte di questioni civili o commerciali si pongano problemi di riassunzione e quindi di rischio di estinzione del processo per mancata riassunzione. Non c’è alcuna sospensione del giudizio ma solo un rinvio dell’udienza per un periodo non superiore ai tre mesi previsti dall’art. 6 del decreto 28/2010 come durata massima del procedimento di mediazione. Non c’è, pertanto, nessun rischio di allungamento dei tempi del processo.
Allorché, quindi, la causa sia iniziata (o prosegua, in primo grado o in appello, nonostante l’ordine del giudice di invio alla mediazione) senza l’esperimento del procedimento di mediazione o prima che questo si sia concluso si verificano le seguenti evenienze: a) Il convenuto non eccepisce l’improcedibilità – perché non ha interesse o per altri motivi – entro la prima udienza. b) Il giudice – nelle prime due ipotesi sopra viste – non rileva l’improcedibili¬tà d’ufficio, entro la prima udienza. In tali ipotesi la causa va avanti senza che sia più possibile in merito sollevare alcuna eccezione formale in ordine al previo esperimento del procedimento di mediazione. Come detto, tuttavia, il secondo comma dell’art. 5 del decreto legislativo riformato, prevede che il giudice, anche in sede di giudizio di appello, possa sempre disporre l’esperimento del procedimento di mediazione. Il che significa che, benché non siano possibili più rilievi formali in ordine alla procedibilità, in sostanza alla mediazione si potrà accedere in qualsiasi momento della causa anche in appello.
3) I provvedimenti giudiziali urgenti
Secondo quanto prevede il comma 3 dell’art. 5 lo svolgimento della mediazione non preclude la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale. Il che significa che in tutti i casi sopra indicati in cui il tentativo di mediazione è obbligatorio è sempre possibile richiedere al giudice eventuali provvedimenti urgenti e indilazionabili ed è sempre ammissibile iniziare il procedimento al fine di trascrivere la domanda giudiziale.
La parte che intende azionare una pretesa in sede giudiziaria ed ha necessità di un provvedimento di urgenza o di trascrivere la domanda, può senz’altro iniziare la causa, senza previo esperimento del procedimento di media¬zione, procedendo agli atti necessari a soddisfare la sua pretesa di urgenza o di trascrizione.
4) L’avveramento della condizione di procedibilità presuppone il primo incontro tra le parti
La riforma del 2013 ha introdotto il comma 2-bis nel quale si prevede che quando l’esperimento del procedimen¬to di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale – e quindi in tutti e tre i casi di mediazione cosiddetta obbligatoria – la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo.
Il legislatore del 2013 ha insomma reagito alla prassi distorta che si era affermata di non presentarsi al primo incontro di mediazione al quale di fatto oggi le parti sono obbligate a presentarsi. Ove le parti disertassero il primo incontro la condizione di procedibilità non può dirsi avverata.
Il principio è stato ribadito anche in giurisprudenza affermandosi che ai sensi dell’art. 5, comma 2-bis, D.Lgs. n. 28/2010, la condizione di procedibilità della domanda giudiziale si considera avverata quando il primo incon¬tro davanti al mediatore si conclude senza accordo, non essendo sufficiente la mera proposizione della relativa istanza (Trib. Firenze Sez. III, 27 aprile 2016).
5) I casi in cui è esclusa l’obbligatorietà della previa mediazione
Ai sensi del comma 4 dell’art. 5, non sussiste obbligatorietà della previa mediazione (nelle materie indicate al comma 1 bis) né il giudice può disporre l’esperimento della mediazione nelle seguenti situazioni:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e so¬spensione della provvisoria esecuzione. La logica che impone alle parti di “incontrarsi” in una sede stragiudiziale, prima di adire il giudice, è strutturalmente collegata ad un (futuro) processo destinato a svolgersi fin dall’inizio in contraddittorio fra le parti. All’istituto sono quindi per definizione estranei i casi in cui invece il processo si debba svolgere in una prima fase necessariamente senza contraddittorio, come accade per il procedimento per decreto ingiuntivo.
b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;
In giurisprudenza App. Firenze, 29 gennaio 2016 ha confermato che in relazione al procedimento per con¬valida di sfratto, il tentativo di mediazione, previsto dall’art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 28 del 2010, diviene condi¬zione di procedibilità unicamente dopo la pronuncia dei provvedimenti adottati nella fase sommaria, dovendosi ritenere esperibile solo dopo il mutamento del rito disposto all’udienza ex art. 667 c.p.c. e, quindi, anche dopo la pronuncia dei provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666 c.p.c. e per il giudizio a cognizione piena derivato dalla opposizione e dal successivo mutamento del rito. È onere della parte avviare il procedimento di mediazione all’esito del mutamento del rito e, di conseguenza, la verifica di cui all’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28 citato è operata solo all’udienza fissata ex art. 667 c.p.c..
c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile.
Sebbene le prescrizioni relative alla mediazione obbligatoria ed a quella demandata non si applicano a tale pro¬cedimento, tuttavia, un invito del giudice alle parti di andare in mediazione è possibile anche in tali casi quale percorso volontario concordato dalle parti all’esito della prospettazione da parte del giudice delle evidenti mag¬giori utilità di una buona mediazione (Trib. Roma, 16 luglio 2015 secondo cui all’interno di un procedimento di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite di cui all’articolo 696-bis c.p.c., il giudice ben può prospettare alle parti in alternativa a quella, usuale, della nomina di un consulente tecnico di ufficio, l’introduzione di una procedura di mediazione, nell’ambito della quale le parti possono invitare e sollecitare il mediatore alla nomina di un consulente tecnico, con i relativi indubbi aspetti positivi del percorso di mediazione).
d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;
e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;
f) nei procedimenti in camera di consiglio;
g) nell’azione civile esercitata nel processo penale.
6) La disciplina della prescrizione e della decadenza
Una clausola di salvaguardia opportuna è contenuta nell’ultimo comma dell’art. 5 del decreto legislativo 28/2010 dove si prevede che dal momento della comunicazione all’altra parte la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Si fa qui riferimento naturalmente all’art. 2943 c.c. che preve¬de l’interruzione della prescrizione al momento della domanda giudiziale (notifica della citazione o deposito del ricorso).
Ugualmente avviene in caso di decadenza. Quando un diritto deve esercitarsi entro un certo termine a pena di decadenza (art. 2964 c.c.) dal momento della comunicazione all’altra parte la domanda di mediazione impedisce la decadenza “per una sola volta”, dispone l’art. 5 ultimo comma. La ratio di tale scelta risiede nell’esigenza di evitare che vengano proposte istanze strumentali di mediazione al solo fine di differire la scadenza del termine di decadenza. Il momento dal quale l’istanza di mediazione produce tali effetti è, a norma dell’art. 5, comma 6, quello della sua comunicazione alle altre parti (Trib. Palermo Sez. II, 18 settembre 2015).
Se la mediazione fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal deposito del verbale di mancata conciliazione. Si verifica quindi una ipotesi espressa di interru¬zione della decadenza.
Art. 6 6
Durata
1. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi.
2. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ov¬vero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo del comma 1-bis dell’articolo 5 ovvero ai sensi del comma 2 dell’articolo 5, non è soggetto a sospensione feriale.
Sono numerose le disposizioni che nel decreto legislativo 28/2010 si riferiscono al tema della durata della me¬diazione.
Il legislatore ha voluto che la mediazione abbia tempi rapidi di svolgimento ma ha lasciato agli organismi liber¬tà nella individuazione dei ritmi del procedimento, stabilendo soltanto che il regolamento dell’organismo deve prevedere modalità di sollecito adempimento dell’attività di mediazione (l’art. 3 precisa come si è visto che “Il regolamento deve garantire … modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico”.
L’art. 6 – riformato in questo nel 2013 – prescrive, in ogni caso, che il procedimento di mediazione deve avere una durata non superiore a tre mesi (quattro, secondo il testo originario del decreto istitutivo) che decorrono
6 Testo originario
Art. 6
(Durata)
1. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a quattro mesi.
2. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del quarto o del quinto periodo del comma 1 dell’articolo 5, non è soggetto a sospensione feriale.

dal deposito della domanda di mediazione (che coincide con la data di ricezione della domanda da parte dell’or¬ganismo: art. 4, primo comma) o dalla scadenza del termine di quindici giorni fissato dal giudice in difetto di promovimento della procedura o negli altri casi (art. 5). Il termine suddetto non è soggetto a sospensione feriale (art. 6, secondo comma).
Il termine d tre mesi, è ragionevolmente ritenuto dalla giurisprudenza un termine ordinatorio e soprattutto nella disponibilità delle parti (Trib. Varese, 20 giugno 2012).
Sempre in relazione al sollecito espletamento del procedimento l’art. 8 prescrive, infine, che, ricevuta la do¬manda di mediazione, il responsabile dell’organismo deve fissare il primo incontro tra le parti “non oltre quindici giorni dal deposito della domanda”.
A proposito di quest’ultima disposizione c’è da dire che il termine di tre mesi di durata massima appare certa¬mente più congruo di quello di quattro mesi previsto prima della riforma del 2013.
Ugualmente congruo, dopo la riforma del 2013, è il termine di trenta giorni entro cui deve svolgersi dalla doman¬da iniziale il primo incontro del procedimento di mediazione.
Il tema della durata della mediazione è anche legato al problema dei rapporti tra l’attività di mediazione e il pro¬cesso civile. Come si è detto il procedimento di mediazione è congegnato e modulato in tempi e modi tali da non subire il rischio della riassunzione e dell’estinzione. L’art. 5 non prevede la sospensione del processo per consen¬tire la mediazione. Il giudice “ ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”. La disposizione è in linea con le esigenze di mantenere i tempi della mediazione e del processo ragionevolmente contenuti
Art. 7 7
Effetti sulla ragionevole durata del processo
1. Il periodo di cui all’articolo 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis e 2, non si computano ai fini di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89.
L’art. 7 indica gli effetti del tempo utilizzato per la mediazione sulla ragionevole durata del processo, prevedendo che il periodo di durata della mediazione ivi compreso il periodo di rinvio disposto dal giudice, non si computa “ai fini di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n.89”.
Art. 8 8
Procedimento
1. All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della doman¬da. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri suc¬

7 Testo originario
Art. 7
(Effetti sulla ragionevole durata del processo)
1. Il periodo di cui all’articolo 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell’articolo 5, comma 1, non si computano ai fini di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n.89.
8 Testo originario
Art. 8
(Procedimento)
1. All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre quindici giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comu¬nicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari.
2. Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo.
3. Il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia.
4. Quando non può procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti.
5. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.

cessivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvo¬cati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari.
2. Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo.
3. Il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia.
4. Quando non può procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organi¬smo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti.
4-bis. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi pre¬visti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.
1) Il procedimento di mediazione
Le formalità procedimentali sono ridotte al minimo in applicazione del principio generale – contenuto nell’art. 3 – secondo cui “gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità”, ribadito nell’art. 8 che avverte che il procedimento di mediazione si svolge senza formalità.
Nonostante ciò la riforma del 2013 proprio modificando in tre punti l’art. 8 ha introdotto alcune regole precise e inderogabili per la partecipazione al procedimento. In particolare: a) l’obbligo di partecipazione delle parti con l’assistenza degli avvocati; b) l’obbligo di un primo incontro preliminare; c) in caso di ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione la condanna al pagamento dei una somma pari al contributo unificato in aggiunta alla valutazione di tale contegno ex art. 116 c.p.c.
Il procedimento di mediazione – di cui si occupa specificamente l’art. 8 del decreto 28/2010 – ha inizio con la domanda di una parte (o di entrambe le parti insieme: situazione che la legge non prevede ma che non va affatto esclusa).
L’organismo prescelto dal richiedente tra quelli aventi la sede principale nella circoscrizione giudiziaria che sa¬rebbe competente per il giudizio (art. 4, primo comma) designa un mediatore (ed eventualmente uno o più mediatori ausiliari per le controversie che richiedono specifiche competenze tecniche) e fissa il primo incontro tra le parti da tenersi non oltre trenta giorni dal deposito della domanda.
Dopo di che è compito del richiedente o dell’organismo (che può prevedere l’assunzione diretta da parte sua dell’onere) comunicare all’altra parte “con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione” il contenuto della do¬manda e il provvedimento di fissazione del primo incontro.
Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione – come si è visto (art. 5, ultimo comma) – gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo.
Il mediatore si adopera affinché le parti “raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia”. Così si esprime il terzo comma dell’art. 8 del decreto. Tutta la fase procedimentale trova regolamentazione in questa sintetica indicazione legislativa.
Il mediatore naturalmente può anche avvalersi di esperti iscritti negli albi presso i tribunali. Saranno i regola¬menti di procedura degli organismi a prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi.
Il procedimento si snoda in una o più sedute nel corso delle quali il mediatore potrà naturalmente avere anche incontri separati con le parti per approfondire gli aspetti che ritiene utili. Lo prevede espressamente l’art. 9 il quale dopo aver chiarito e prescritto che chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o nel procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza, ribadisce questo principio anche “rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate” . Quanto dichiarato o ap¬preso nelle sessioni separate, non può essere comunicato alle altre parti se non con il consenso della parte dalla quale provengono le informazioni.
2) La partecipazione delle parti personalmente con l’avvocato
Secondo la principale modifica introdotta nel 2013, al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Già si è detto di questa fondamentale riforma trattando a commento dell’art.4 degli obblighi dell’avvocato e della sua partecipazione alla mediazione.
Il senso del nuovo testo dell’art. 8 è quindi quello di escludere che al procedimento di mediazione possa parteci¬pare esclusivamente l’avvocato in rappresentanza della parte a differenza di quanto avviene in sede processuale in cui è previsto che all’avvocato possa essere conferito espressamente il potere di conciliare la causa in rappre¬sentanza del proprio assistito (art. 183, secondo comma, c.p.c.).
Il procedimento di mediazione esperito senza l’assistenza di un avvocato non può considerarsi validamente svol¬to sicché la domanda giudiziale dovrà essere dichiarata improcedibile (Trib. Torino, 30 marzo 2016).
I protagonisti della mediazione sono in ogni caso le parti. Ed è stata proprio la legge di riforma del 2013 a pre¬scrivere che esse debbono partecipare personalmente alla mediazione, assistite come detto dagli avvocati.
Già in precedenza Trib. Vasto 9 marzo 2015 – che verrà più oltre ancora richiamata – aveva affermato che qualora il tentativo di mediazione, disposto dal giudice, sia stato infruttuosamente esperito fra i soli avvocati del¬le parti, il giudicante non potrà che dichiarare l’improcedibilità del giudizio, posto che la sanatoria prevista all’art. 5, comma 1-bis, per i casi di mediazione obbligatoria ex lege si applica solamente nei casi in cui la mediazione, alla data del rilievo giudiziale, non sia stata attivata ovvero non risulti ancora terminata, non anche al caso in cui essa si sia effettivamente svolta, ma in violazione delle prescrizioni che regolano il suo corretto espletamento. E tra queste prescrizioni, come detto, vi è quella della presenza personale delle parti.
Il valore e la funzione della mediazione sta proprio nel delineare un ambito informale ma specifico, diverso dal processo, nel quale ridare la parola alle parti e consentire loro di mettere in gioco i propri interessi al fine di tro¬vare una soluzione che, a prescindere dai profili strettamente tecnico-giuridici del problema, risponda alle loro esigenze di vita, che non coincidono solo e necessariamente con gli specifici interessi in conflitto ma hanno una estensione spesso ben maggiore e più complessa. Ciò rende personalissima l’attività che è funzionale al possibile accordo di mediazione e, di regola, non delegabile a terzi, salvo casi eccezionali che non possono essere esclusi a priori e nei quali non può essere negato alla parte di scegliere, sulla base dei propri rapporti personali di fidu¬cia, insindacabili da chiunque, il soggetto che, opportunamente delegato (diverso dall’avvocato), meglio la potrà rappresentare nella mediazione con la controparte (Trib. Ferrara, 28 luglio 2016).
In giurisprudenza si è perentoriamente chiarito che ai sensi del D.Lgs. n. 28/2010, in tema di mediazione obbli¬gatoria potrà considerarsi formata la condizione di procedibilità se all’incontro vi è la presenza personale delle parti e se le parti effettuano un tentativo di mediazione vero e proprio, in considerazione della lettera e della ratio delle disposizioni di cui al citato D.Lgs. n. 28/2010 atteso che l’istituto della mediazione mira ad un’effet¬tiva interazione tra le parti di fronte al mediatore che deve potere comprendere gli interessi delle stesse parti al fine di una soluzione extragiudiziale della controversia (Trib. Palermo Sez. I, 29 luglio 2015 secondo cui il responsabile dell’organismo di mediazione deve necessariamente fissare il primo incontro tra le parti e non può revocare tale fissazione all’esito della comunicazione della mancata adesione ad opera della parte chiamata, la quale comporta, in assenza di giustificazione, l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 8, comma 4-bis, D.Lgs. n. 28 del 2010).
L’ipotesi in cui all’incontro davanti al mediatore compaiano i soli difensori, anche in rappresentanza delle parti, non può considerarsi in alcun modo mediazione, come si desume dalla lettura coordinata dell’art. 5, comma 1-bis e dell’art. 8, che prevedono che le parti esperiscano o partecipino al procedimento di mediazione con l’”assisten¬za degli avvocati”, e questo implica la presenza degli assistiti, personale o a mezzo di delegato, cioè di soggetto comunque diverso dal difensore.
Il fatto che la partecipazione della parte alla mediazione vada considerata obbligatoria, è praticamente ormai affermato da tutta la giurisprudenza secondo cui la partecipazione ha natura di atto personalissimo e non de¬legabile (Trib. Vasto, 9 marzo 2015; Trib. Firenze, 26 novembre 2014; Trib. Bologna Sez. III, 11 no¬vembre 2014; Trib. Firenze Sez. II, 19 marzo 2014), anche in considerazione del fatto che l’istituto della mediazione, quale mezzo alternativo di risoluzione delle controversie, mira, mediante il ruolo e la professionalità del mediatore, a riattivare la comunicazione tra le parti in conflitto al fine di verificare la possibilità di soluzione conciliativa della vertenza. In tale contesto è del tutto coerente con la logica dell’istituto che il ruolo del difensore tecnico deve essere di mera assistenza della parte che partecipa alla mediazione e non mai di rappresentanza degli interessi della stessa (Trib. Firenze Sez. III, 24 marzo 2016).
Nella ordinanza sopra richiamata Trib. Vasto, 9 marzo 2015 si legge che ai fini del rispetto della condizione di procedibilità della domanda grava sul mediatore in qualità di soggetto istituzionalmente preposto ad esercitare funzioni di verifica e di garanzia della puntuale osservanza delle condizioni di regolare espletamento della pro¬cedura, l’onere di adottare ogni opportuno provvedimento finalizzato ad assicurare la presenza personale delle parti, ad esempio disponendo – se necessario – un rinvio del primo incontro, sollecitando anche informalmente il difensore della parte assente a stimolarne la comparizione, ovvero dando atto a verbale che, nonostante le ini¬ziative adottate, la parte a ciò invitata non ha inteso partecipare personalmente agli incontri, né si è determinata a nominare un suo delegato (diverso dal difensore), per il caso di assoluto impedimento a comparire.
Il principio è stato affermato molto chiaramente da Trib. Vasto, 23 giugno 2015 secondo cui le parti ancorché libere di scegliere l’organismo di mediazione al quale rivolgersi, sono tenute a partecipare personalmente, as¬sistite dal proprio difensore, all’incontro preliminare, informativo e di programmazione, che si svolgerà davanti al mediatore dell’organismo prescelto e nel quale verificheranno se sussistano effettivi spazi per procedere util¬mente in mediazione.
Si legge in questa ordinanza che incombe sul mediatore l’onere di verbalizzare i motivi eventualmente addotti dalle parti assenti per giustificare la propria mancata comparizione personale e, comunque, di adottare ogni opportuno provvedimento finalizzato ad assicurare la presenza personale delle stesse, ad esempio disponendo – se necessario – un rinvio del primo incontro o sollecitando anche informalmente il difensore della parte assente a stimolarne la comparizione ovvero dando atto a verbale che, nonostante le iniziative adottate, la parte a ciò invitata non ha inteso partecipare personalmente agli incontri, né si è determinata a nominare un suo delegato (diverso dal difensore), per il caso di assoluto impedimento a comparire.
La mediazione si fonda proprio sulla esistenza di un contrasto di opinioni, di vedute, di volontà, di intenti, di interpretazioni, che il mediatore esperto tenta di sciogliere favorendo l’avvicinamento delle posizioni delle parti fino al raggiungimento di un accordo amichevole (Trib. Roma, 29 maggio 2014).
Molto chiara sul punto Trib. Bologna, 5 giugno 2014 secondo cui ‘ordine del giudice di attivare il procedimento di mediazione può intendersi osservato, secondo le disposizioni di cui agli artt. 5, comma 5-bis e 8, D.Lgs. n. 28 del 2010, come modificato dalla legge n. 98 del 2013 ed alla luce del contesto europeo nel quale si collocano, solo in caso di presenza della parte (o di un di lei delegato), accompagnato dal difensore e non anche in caso di comparsa del solo difensore, anche quale delegato della parte. La natura della mediazione, invero, di per sé richiede che all’incontro dinanzi al mediatore siano presenti di persona (anche e soprattutto) le parti, poiché l’i¬stituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore.
Il principio, insomma, ormai ribadito costantemente in giurisprudenza è che non si può ritenere che l’ordine del giudice sia osservato quando siano solo gli avvocati che si recano dal mediatore in quanto è irrazionale ritenere che debbano essere gli avvocati a ricevere i chiarimenti sulla funzione e sulle modalità della mediazione e che essi possano dichiarare il rifiuto di procedere alla mediazione tra le tante.
3) Il primo incontro preliminare
Ci si sofferma ora sul primo incontro (preliminare o filtro) che costituisce anch’esso uno dei punti fondamentali della riforma del 2013.
Durante il primo incontro – avverte il riformato primo comma dell’art. 8 – il mediatore chiarisce alle parti la fun¬zione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.
Il primo incontro è fondamentale nell’ottica della riforma del 2013. Come giustamente è stato notato in giuri¬sprudenza deve trattarsi di un incontro reale alla presenza delle parti e non di un incontro formale. Per esempio Trib. Firenze, 26 novembre 2014 ha precisato in proposito che a mente dell’art. 5, commi 1° bis e 2°, D.Lgs. n. 28/2010, non può dirsi integrata la condizione di procedibilità dell’azione giurisdizionale in mancanza di un effettivo avvio del tentativo, che le parti non hanno il potere d’inibire al primo incontro.
D’altra parte è proprio questo il motivo per il quale il comma 2-bis dell’art. 5 nel testo introdotto nel 2013 ha espressamente prescritto che quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo, con ciò volendo intendere che, ai fini dell’avveramento della condizione di procedibilità, il primo incontro deve realizzarsi necessariamente.
Sono considerate illegittime tutte le condotte ostruzionistiche delle parti alle quali – secondo il punto di vista della giurisprudenza – non può essere riconosciuto un potere di veto assoluto ed incondizionato sulla possibilità di dar seguito alla procedura di mediazione, comportando, una siffatta eventualità, il rischio di legittimare con¬dotte delle parti tese ad aggirare l’applicazione effettiva della normativa in materia di mediazione, frustrando la finalità stessa dell’istituto, che non è quella di introdurre una sorta di adempimento burocratico svuotato di ogni contenuto funzionale e sostanziale, ma che, invece, consiste nell’offrire ai contendenti un’utile occasione per cercare una soluzione extra giudiziale della loro vertenza, in tempi più rapidi ed in termini più soddisfacenti rispetto alla risposta che può fornire il Giudice con la sentenza. Ne consegue che sono illegittime tutte quelle condotte contrarie alla ratio legis della mediazione e poste in essere dalle parti al solo scopo di eludere il dettato normativo (Trib. Vasto, 23 aprile 2016).
Si è anche detto però che la mancata presenza e partecipazione della parte all’incontro stabilito per la mediazio¬ne obbligatoria non comporterebbe ipso iure la definizione del procedimento, posto che il mediatore, se la parte presente lo richiede, può nominare un consulente tecnico d’ufficio e formulare una proposta se il regolamento dell’organismo lo prevede (Trib. Roma, 9 aprile 2015).
La riforma del 2013 non ha abrogato l’obbligo del compenso (in caso di mancata comparizione della parte con¬venuta al primo incontro) di 40 euro previsto dal regolamento 180/2010 (di cui si parlerà a commento dell’art. 17). Il regolamento all’art. 16 prevede che per le spese di avvio ciascuna parte deve corrispondere un importo di euro 40,00 da versarsi al momento del deposito della domanda di mediazione (dalla parte istante) e al mo¬mento della adesione al procedimento (per la parte chiamata alla mediazione). La circolare 27 settembre 2013 aveva previsto che nulla è dovuto per il verbale di mancata comparizione solo se non si presenta la parte che ha attivato la procedura di mediazione, non se non si presenta la parte convenuta. La riforma del 2013 ha, tuttavia, inserito un comma 5-ter nell’art. 17 del decreto 28/2010 con cui si prevede che “nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.
4) La mancata partecipazione alla mediazione
La scelta di una parte di non partecipare alla mediazione può essere oggetto di valutazione del giudice nel corso del successivo giudizio di merito: a norma dell’art. 8, comma 4-bis, infatti, dalla mancata partecipazione al pro¬cedimento di mediazione senza giustificato motivo il giudice potrà desumere argomenti di prova ai sensi dell’art. 116, comma 2 del codice di procedura civile che prevede che in tema di valutazione delle prove il giudice possa desumere argomenti di prova “dal contegno delle parti stesse nel processo”.
È evidente che l’obiettivo della norma – anche ammesso che non abbia un carattere sanzionatorio – è quello di scoraggiare e disincentivare comportamenti ostruzionistici nei confronti dell’attività di mediazione e, in genere, il comportamento di chi considera la mediazione come mero adempimento formale da rispettare al solo scopo, decorsi i tre mesi previsti dalla legge, di potersi rivolgere al giudice.
La seconda parte dell’art.8, comma 4-bis, dispone una sanzione di carattere economico con riferimento alla man¬cata ingiustificata partecipazione a tutte le ipotesi di mediazione obbligatoria previste nell’art. 5, consistente nel¬la condanna al versamento di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.
Non sono previste altre sanzioni di natura economica. Correttamente quindi si è precisato in giurisprudenza che la mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione attivato dall’istante, non è idonea ad implicare nel successivo giudizio di merito una condanna della stessa parte al pagamento delle spese di media¬zione, non contemplate dall’art. 8 del D.Lgs. n. 28 del 2010 (Trib. Monza Sez. I, 10 febbraio 2016).
La parte che non compare al primo incontro, ha l’onere di esplicitare le ragioni del rifiuto di svolgere una media¬zione demandata dal giudice, pena l’improcedibilità della domanda e/o l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4-bis, D.Lgs. n. 28/2010 (Trib. Vasto Ordinanza, 23 aprile 2016)
Non può affermarsi che ogni qualvolta la controparte ritenga erronea la tesi della parte che l’ha convocata in mediazione, e pertanto inutile la sua partecipazione all’esperimento di mediazione, essa sia validamente dispen¬sata dal comparirvi, in quanto, così ragionando, sussisterebbe sempre in ogni causa un giustificato motivo di non comparizione” (Trib. Roma, 29 maggio 2014). Inoltre “la sussistenza di una situazione di litigiosità tra le parti non può di per se sola giustificare il rifiuto di partecipare al procedimento di mediazione, giacché tale procedimento è precipuamente volto ad attenuare la litigiosità, tentando una composizione della lite basata su categorie concettuali del tutto differenti rispetto a quelle invocate in giudizio e che prescindono dalla attribuzione di torti e di ragioni, mirando al perseguimento di un armonico contemperamento dei contrapposti interessi delle parti” (Trib. Termini Imerese, 9 maggio 2012).
Molto forte e isolato il messaggio di Trib. Milano, 21 luglio 2016 secondo cui la parte che ostacola la risolu¬zione della lite in via stragiudiziale, deve risarcire il danno alla controparte che ha proposto la mediazione anche se facoltativa, laddove lo strumento della mediazione risulti obiettivamente funzionale ad evitare – con minimi costi per il convenuto – il giudizio nell’interesse di entrambe le parti e del sistema giustizia, trattandosi di spese senz’altro causalmente inerenti il recupero del credito, da porre pertanto a carico della parte inadempiente.
Art. 9 9
Dovere di riservatezza
1. Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo.
2. Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti.
L’art. 9 prescrive un obbligo generale di riservatezza (cosiddetta esterna) rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo per chiunque presta la propria opera o il proprio ser¬vizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione. Ugualmente al secondo comma è previsto un obbligo la riservatezza (cosiddetta interna) rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acqui¬site nel corso delle sessioni separate.
Art. 10 10
Inutilizzabilità e segreto professionale
1. Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassun¬to o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio.
2. Il mediatore non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle in¬formazioni acquisite nel procedimento di mediazione, ne’ davanti all’autorità giudiziaria ne’ davanti ad altra autorità. Al mediatore si applicano le disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili.
L’art. 10 sempre in tema di riservatezza al primo comma prevede l’inutilizzabilità nella successiva eventuale sede processuale delle dichiarazioni rese o delle informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione.
È evidente che per l’avvocato la violazione di questo divieto costituisce illecito disciplinare.
Al secondo comma tutela il mediatore precisando che non può essere mai tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite estendendo a lui la garanzie previste per il segreto professionale nel codice di procedura penale.
La riservatezza è limitata al merito della lite e non agli atti di svolgimento del procedimento ed al rifiuto, espresso al primo incontro, di proseguire nella mediazione. Tale rifiuto, anzi, deve essere verbalizzato, affinché il giudice possa trarne le valutazioni di competenza: ai sensi dell’art. 8, co. 4-bis, D.Lgs. n. 28/2010, infatti, dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, cui deve essere equiparato l’ingiustifi¬cato rifiuto a proseguire la mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova (Trib. Roma Sez. XIII, 25 gennaio 2016).
9 Testo originario
Art. 9
(Dovere di riservatezza)
1. Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo.
2. Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti.
10 Testo originario
Art. 10
(Inutilizzabilità e segreto professionale)
1. Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio.
2. Il mediatore non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel proce¬dimento di mediazione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Al mediatore si applicano le disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili.
Art. 11 11
Conciliazione
1. Se è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo. Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le par¬ti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento. Prima della formula¬zione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’articolo 13.
2. La proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al me¬diatore, per iscritto ed entro sette giorni, l’accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata. Salvo diverso accordo delle parti, la proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento.
3. Se è raggiunto l’accordo amichevole di cui al comma 1 ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sotto¬scrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento.
4. Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con l’indicazione della pro¬posta; il verbale è sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sot¬toscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione.
5. Il processo verbale è depositato presso la segreteria dell’organismo e di esso è rilasciata copia alle parti che lo richiedono.
1) La proposta di conciliazione e i suoi rapporti con il processo civile
Se le parti nel corso della seduta o delle sedute di mediazione non raggiungono un accordo, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento.
Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’ar¬ticolo 13.
La proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, l’accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata.
Salvo diverso accordo delle parti, la proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento.
11 Testo originario
Art. 11
(Conciliazione)
1. Se è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo. Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento. Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’articolo 13.
2 La proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, l’accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata. Salvo diverso accordo delle parti, la proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento.
3 Se è raggiunto l’accordo amichevole di cui al comma 1 ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti pre¬visti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento.
4. Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con l’indicazione della proposta; il verbale è sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione.
5. Il processo verbale è depositato presso la segreteria dell’organismo e di esso è rilasciata copia alle parti che lo richiedono.

Le disposizioni in tema di proposta conciliativa da parte del mediatore hanno sollevato nel dibattito sulla media¬zione tre problemi.
Il primo legato alla drasticità della norma che prevede che il mediatore possa sempre formulare una proposta di conciliazione (art. 11 primo comma: “Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una propo¬sta di conciliazione”). E’ stata vista in questo meccanismo l’attribuzione al mediatore di funzioni che sarebbero al di là del loro compito e che potrebbero non essere esercitate con la dovuta competenza. L’art. 11, tuttavia prevede che le parti possono sempre rifiutare la proposta del mediatore e quindi non sembra che vi siano con¬troindicazioni particolari nella previsione.
Più controversa – ed è questa la seconda questione – la plausibilità del meccanismo di raccordo tra la mancata accettazione della proposta e le ricadute che l’art. 13 del decreto prevede in tale ipotesi. Si parlerà più oltre del regime delle spese processuali il quale prevede una penalizzazione per la parte vittoriosa in giudizio che non ha accettato la proposta e sempre che la sentenza corrisponda interamente al contenuto della proposta stessa (espressioni che, peraltro, lasciano intendere come il legislatore sia bene a conoscenza della possibile influen¬zabilità del giudice dal testo della proposta) ed una ulteriore possibile penalizzazione anche allorché la sentenza sia diversa dalla proposta.
È pur vero che questo raccordo – di cui il mediatore deve mettere a conoscenza le parti al momento in cui formu¬la la proposta (art. 11, primo comma, ultima parte) – costituisce una sollecitazione rivolta dal legislatore a risol¬vere con la mediazione una controversia, ma è anche altrettanto vero che si tratta di un raccordo non necessario. Il meccanismo della previsione in taluni casi dell’obbligo di promuovere la mediazione prima della causa, costi¬tuisce un meccanismo di sufficiente sollecitazione, senza che siano necessarie forme di penalizzazione di dubbia costituzionalità. L’art. 24 della costituzione sul diritto di difesa non tollera questo tipo di inutili condizionamenti.
Il terzo aspetto problematico – strettamente collegato al precedente – è costituito dalla previsione dell’obbligo di riportare nel verbale di mancata conciliazione il testo della proposta. La ratio è certamente quella di consentire l’applicabilità della norma di cui all’art. 13 (altrimenti di impossibile applicazione) ma anche al di là di questo aspetto, la sua problematicità deriva dal condizionamento che il testo della proposta può avere sul giudice della causa. Il convincimento del giudice può fondarsi legittimamente sul contegno delle parti “nel processo” (art. 116 c.p.c.) e quindi non sul contegno “fuori il processo”, ma non può escludersi che il giudice possa quanto meno rimanere condizionato psicologicamente dal contenuto della proposta.
In giurisprudenza si è affermato che nella scelta dell’organismo di mediazione, è opportuno che le parti si rivol¬gano ad enti il cui regolamento non contenga clausole limitative del potere, riconosciuto al mediatore dall’art. 11, secondo comma, del D.Lgs. n. 28/10, di formulare una proposta di conciliazione quando l’accordo amichevole tra le parti non è raggiunto, in particolare restringendo detta facoltà del mediatore al solo caso in cui tutte le parti gliene facciano concorde richiesta; tali previsioni regolamentari frustrano, infatti, lo spirito della norma – che è quello di stimolare le parti al raggiungimento di un accordo – e non consentono al giudice di fare applicazione delle disposizioni previste dall’art. 13 del citato decreto, in materia di spese processuali, così vanificandone la ratio ispiratrice, tesa a disincentivare rifiuti ingiustificati di proposte conciliative ragionevoli (Trib. Vasto, 23 giugno 2015).
Scrive il giudice in questa ordinanza che la formulazione di una proposta di conciliazione da parte del mediatore – tutte le volte in cui le parti non abbiano raggiunto un accordo amichevole ed anche in assenza di una richiesta congiunta delle stesse – costituisce un passaggio fondamentale della procedura di mediazione, vieppiù valoriz¬zato dalle disposizioni del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, il quale – modificando l’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo – ha introdotto il comma 2-quinquies, a norma del quale “non è riconosciuto alcun indennizzo: [……] c) nel caso di cui all’articolo 13, primo comma, primo periodo, del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28”, con ciò confermando la tendenza del legisla¬tore ad introdurre nell’ordinamento meccanismi dissuasivi di comportamenti processuali ostinatamente protesi alla coltivazione della soluzione giudiziale della controversia, la cui individuazione presuppone necessariamente la previa formulazione (o, comunque, la libera formulabilità) di una proposta conciliativa da parte del mediatore ed il suo raffronto ex post con il provvedimento giudiziale di definizione della lite.
2) Il verbale di conciliazione o di mancata conciliazione e il loro rapporto con il processo civile
Prescrive l’art. 11 che “se è raggiunto l’accordo amichevole …ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere”.
Il verbale di conciliazione costituisce perciò l’atto più significativo dell’intero procedimento perché è destinato a regolamentare l’assetto definitivo che le parti hanno inteso programmare con la conciliazione della loro controversia
Il medesimo articolo 11 prevede anche che se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
Altra indicazione che dà sempre l’art. 11 è quella secondo cui l’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento.
Quindi il verbale di conciliazione a) deve essere redatto dal mediatore o dalle stesse parti eventualmente con l’aiuto dei rispettivi avvocati consulenti; b) il verbale deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore; c) l’au¬tografia della sottoscrizione delle parti – o l’eventuale impossibilità di sottoscrivere per motivi legati alla inabilità delle parti – deve essere certificata dal mediatore; d) ove nel verbale si dia atto della conclusione di un contratto soggetto a trascrizione ai sensi dell’art. 2643 c.c., la certificazione dal parte del mediatore della autografia della firma delle parti non è più sufficiente ed occorre per procedere alla trascrizione l’autentica di un notaio, even¬tualmente in sede di mediazione ovvero anche successivamente.
Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale di mancata conciliazione.
Ove il mediatore abbia formulato la proposta di conciliazione il verbale di mancata conciliazione deve contenere anche il testo della proposta. Il verbale è, poi, sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale – anche in questo caso – certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nel verbale di mancata conciliazione si deve anche dare atto della eventuale mancata partecipazione alla mediazione di una delle parti.
Quindi il verbale di mancata conciliazione a) deve essere redatto dal mediatore; b) deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore; c) ove il mediatore abbia formulato una proposta di conciliazione il verbale di mancata conciliazione ne deve riportare il testo; d) l’autografia della sottoscrizione delle parti – o l’eventuale impossibi¬lità di sottoscrivere – deve essere certificata dal mediatore; e) ove con la conciliazione le parti hanno raggiunto un contratto trascrivibile, ai fini della trascrizione, il verbale deve anche essere autenticato da un notaio; f) nel verbale di mancata conciliazione si deve dare atto della eventuale mancata partecipazione di una delle parti.
Il verbale di conciliazione o quello di mancata conciliazione sono obbligatoriamente depositati presso la segrete¬ria dell’organismo che ne rilascia copia alle parti che lo richiedono (art. 11, ultimo comma):
3) La posizione del convenuto e dei terzi
Il convenuto in mediazione può aderire all’invito e presentarsi davanti al mediatore presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo. Si è già esaminato criticamente l’ultimo comma dell’art. 8 – pensato, come detto, soprattutto per il convenuto ma di cui non si può escludere l’applicazione anche per l’attore – laddove prevede che “dalla mancata partecipazione senza giustificato moti¬vo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile”.
Come si ripete il decreto delegato ha disciplinato la mediazione come facoltà per chiunque intenda percorrere questa strada prima o nel corso di una causa (art. 3 e 4) e come obbligo in alcune ipotesi tassative per l’attore del previo esperimento della mediazione (art. 5) lasciando al convenuto la scelta se aderire alla domanda di mediazione o astenersi dal partecipare, correndo il rischio che dalla mancata partecipazione il giudice possa de¬sumere contro di lui argomenti di prova (art. 116, secondo comma, c.p.c.).
La disciplina del procedimento di mediazione riconosce perciò al convenuto alcuni diritti che è necessario riepi¬logare sinteticamente.
Innanzitutto il convenuto ha il diritto di aderire o meno alla domanda di conciliazione proposta dall’attore (o di accedere alla mediazione insieme all’attore con domanda congiunta) sia nei casi in cui l’accesso alle procedure è libero (art. 2 del decreto legislativo delegato) sia nei casi in cui per l’attore il proponimento di una domanda di mediazione è considerata condizione di ammissibilità dell’azione giudiziaria (art. 5).
In secondo luogo al pari dell’attore, il convenuto in un giudizio ha sempre il diritto – riconosciuto a chiunque dall’art. 2 del decreto legislativo 28/2010 – di “accedere alla mediazione per la conciliazione di una controver¬sia civile e commerciale vertente su diritti disponibili” e quindi egli potrebbe promuovere un procedimento di mediazione in corso di causa dopo aver rifiutato per esempio di presentarsi all’invito che l’attore gli abbia fatto ritualmente prima dell’inizio della causa. Nessuna norma della riforma preclude all’attore o al convenuto di pro¬muovere o accedere al procedimento di mediazione più volte.
Inoltre in convenuto è sempre libero di aderire o meno all’invito rivolto alle parti dal giudice nel corso della causa di accedere alla mediazione.
Un problema si pone per le eventuali istanze o domande riconvenzionali del convenuto che abbia aderito o meno alla richiesta di mediazione.
Al momento dell’acceso alla procedure di mediazione, infatti, la mediazione è circoscritta alle domande dell’at¬tore e il convenuto che aderisca all’attività di mediazione, non avrebbe alcun obbligo di ampliare il thema deci¬dendum. Certamente egli ha, però, facoltà di proporre all’organismo di mediazione una richiesta di tipo ricon¬venzionale; in tal caso la prassi prevede che il mediatore ponga anche il nuovo tema nell’attività di mediazione. D’altro lato – come si è avuto modo sopra di accennare – anche la disciplina del contratto di transazione (art. 1965 c.c.) prevede la possibilità di estendere l’accordo “a rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa” iniziale.
L’accordo eventuale che contempli anche i punti inseriti dal convenuto nella mediazione escluderà che egli possa in futuro agire in giudizio in via autonoma su questi aspetti. La natura negoziale della conciliazione consentirà al giudice, per escludere l’ammissibilità della pretesa, di interpretare l’atto di conciliazione. Di più. Benché la legge non lo preveda non dovrebbero esservi dubbi sul fatto che ove il convenuto non formuli in sede di mediazione anche una richiesta riconvenzionale (che dipenda dal titolo dedotto dall’attore o che appartiene al procedimento come mezzo di eccezione: argomentando ex art. 36 c.p.c.) potrebbe considerarsi che egli vi abbia rinunciato.
Nell’ipotesi invece in cui il convenuto non si presenti all’attività di mediazione al problema se per la procedibilità della domanda riconvenzionale in sede di giudizio sia necessario il previo esperimento della mediazione, deve darsi risposta positiva non essendoci ragioni per differenziare il trattamento delle domande giudiziali in relazione alla natura principale o riconvenzionale delle medesime.
Il convenuto, pertanto, che non si presenti alla mediazione, allorché si costituisce in giudizio è tenuto a proporre a pena di improcedibilità una domanda preventiva di mediazione se nella sua comparsa di costituzione sono contenute domande riconvenzionali nelle materia per le quali la riforma prevede tassativamente la preventiva attività di mediazione. Vale anche in questo caso la precisazione – contenuta nel primo comma dell’art. 5 del decreto legislativo 28/2010 – che all’udienza, il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6.
Gli obblighi di informativa da parte dell’avvocato – prescritti nell’art. 4 – trovano applicazione, sebbene non espressamente indicato, anche per il convenuto. All’atto del conferimento dell’incarico, quindi, anche l’avvocato del convenuto sarà tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione e delle agevolazioni fiscali.
L’avvocato del convenuto non è invece tenuto ad informare il proprio assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale sebbene la questione sarà certamente oggetto di riflessione comune se non altro ai fini dell’eccezione eventuale di mancata proposizione da parte dell’attore della previa domanda obbligatoria di mediazione.
Ai sensi dell’art. 5 il convenuto ha, poi, facoltà a pena di decadenza di eccepire l’improcedibilità della domanda nei casi specifici e tassativi indicati nella prima parte della stessa norma in cui l’attore non abbia promosso il tentativo di conciliazione stragiudiziale. Uguale potere, come si è visto, ha il giudice entro la prima udienza di comparizione delle parti. Ove questi poteri non siano esercitati il difetto di procedibilità viene sanato.
Il legislatore ha pensato al litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.) o facoltativo (art. 103 c.p.c.) prevedendo che la mediazione è finalizzata ad assistere “due o più soggetti” nella ricerca di un accordo e nella formulazione di una proposta per la risoluzione della controversia. In tal caso la domanda giudiziaria deve essere preceduta dall’invito rivolto a tutti i litisconsorti. Ha anche pensato al caso in cui due o più soggetti accedano in via preven¬tiva separatamente alla mediazione prevedendo che “ in caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda (art. 4, comma 1, del decreto legislativo 28/2010).
Nella riforma non si fa, però, cenno né alla chiamata di terzi né all’intervento di terzi.
Cosicché non trova regolamentazione l’ipotesi in cui un terzo volontariamente decide di “intervenire in un proces¬so tra altre persone per far valere nei confronti di tutte le parti o di alcune di esse un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo” (intervento autonomo: art. 105, primo comma, c.p.c.) o semplicemente per “sostenere le ragioni di alcuna delle parti quando vi ha un proprio interesse (intervento ade¬sivo: art. 105, secondo comma, c.p.c.). Ugualmente la riforma non ha disciplinato il caso in cui il terzo sia chia¬mato in giudizio in garanzia da una parte (art. 106 c.p.c.) o anche per altri motivi dal giudice (art. 107 c.p.c.).
Volendo fare applicazione dei principi del processo civile (art. 106, 167, 269 c.p.c.) ma al tempo stesso anche della norma generale che prevede che il procedimento di mediazione si svolge senza formalità (art.. 3, comma 3, ribadito nell’art. 8, comma 2) potrebbe ipotizzarsi quanto segue:
a) il convenuto in mediazione può sempre chiedere nelle sue difese che la mediazione si estenda anche a terze persone. In tal caso chiederà all’organismo (che fisserà una nuova data dell’incontro) di poter invitare alla me¬diazione il terzo, comunicando all’interessato la domanda.
b) ove il terzo venga a conoscenza della procedura di mediazione che lo interessa, prima che essa sia conclusa, potrà fare domanda all’organismo per essere invitato a partecipare alla mediazione e il procedimento – ove le altre parti concordino – potrà continuare con la sua partecipazione.
c) ove l’interesse alla partecipazione del terzo emerga dalla discussione tra le parti nel corso del procedimento di mediazione, non è irragionevole, ipotizzare che lo stesso mediatore possa richiedere alle parti se desiderano che la mediazione si estenda al terzo e conceda alle parti un breve rinvio per poter portare il terzo a conoscenza del procedimento con invito a prendervi parte.
Ove la questione della partecipazione del terzo emerga nel corso del processo non può esservi altra soluzione se non quella di lasciare al giudice in applicazione del secondo comma dell’art. 5 del decreto legislativo 28/2010 l’onere di invitare le parti a includere nell’attività di mediazione anche i terzi che non vi abbiano già partecipato assegnando eventualmente, con il loro accordo, il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
4) L’accordo e il verbale conciliativo
Nel linguaggio della mediazione si parla di mediazione facilitativa ove l’accordo venga raggiunto spontaneamen¬te dalle parti e di mediazione aggiudicativa ove l’accordo consegua alla proposta del mediatore.
Il verbale di accordo deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sot¬toscrizione delle parti.
Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere au¬tenticata dal notaio.
Di grande interesse è l’indicazione prevista nell’ultima parte del terzo comma dell’art. 11 secondo cui l’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni viola¬zione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento. Si tratta di una applicazio¬ne nel campo negoziale dell’art. 614-bis c.p.c. che appunto prevede la possibilità che una sentenza di condanna di obblighi di fare e di non fare possa contenere a garanzia della sua esecuzione corretta anche la previsione di sanzioni pecuniarie per il caso di inadempimento.
Art. 12 12
Efficacia esecutiva ed esecuzione
1. Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. L’accordo di cui al periodo precedente deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’articolo 480, secondo comma, del codice di pro¬cedura civile. In tutti gli altri casi l’accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico. Nelle controversie transfrontaliere di cui all’articolo 2 della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, il ver¬bale è omologato dal Presidente del tribunale nel cui circondario l’accordo deve avere esecuzione.
2. Il verbale di cui al comma 1 costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecu¬zione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Circa l’efficacia esecutiva dell’accordo conciliativo l’art. 12 D.lgs. 28/2010 (come riformato nel 2013) dispone che l’accordo allegato al verbale costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, qualora tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato e l’accordo sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati, i quali attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico (in caso di esecuzione l’accordo deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’art. 480, comma 2, c.p.c.).
Poiché come si è detto, nel primo comma dell’art. 8 si prescrive che “al primo incontro e agli incontri successivi,
12 Testo originario
Art. 12
(Efficacia esecutiva ed esecuzione)
1. Il verbale di accordo, il cui contenuto non è contrario all’ordine pubblico o a norme imperative, è omologato, su istanza di parte e previo accertamento anche della regolarità formale, con decreto del presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l’orga¬nismo. Nelle controversie transfrontaliere di cui all’articolo 2 della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, il verbale è omologato dal presidente del tribunale nel cui circondario l’accordo deve avere esecuzione.
2. Il verbale di cui al comma 1 costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”, è praticamente im¬possibile che alla mediazione le parti non siano assistite da un avvocato.
Per questo non ha molto senso la previsione secondo cui qualora una delle parti aderenti alla mediazione non fosse assistita da un avvocato, è necessario presentare apposita istanza al presidente del tribunale, il quale, con decreto, omologa l’accordo, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico. In ogni caso si è precisato in giurisprudenza che il provvedimento di rigetto dell’istanza di omologazione dell’accordo di mediazione va comunicato anche all’organismo di mediazione (Trib. Firenze, 2 luglio 2015).
Molto opportunamente la Direttiva europea 28/2010 sul versante dei rapporti tra Stati membri aveva raccoman¬dato di regolamentare la mediazione in modo tale da non rischiare di essere ritenuta dagli utenti un’alternativa deteriore al procedimento giudiziario, evitando cioè che il rispetto degli accordi derivanti dalla mediazione do¬vesse dipendere solo dalla buona volontà delle parti ma incoraggiando gli Stati membri a prevedere modalità concrete di esecuzione e di attuazione.
L’art. 60 della legge 69/2009 raccomandava al Governo di prevedere nel decreto legislativo attuativo “che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale”.
Non è una novità della riforma l’aver attribuito al verbale di conciliazione anche valore per l’iscrizione dell’ipo¬teca giudiziale. Relativamente ai rispettivi ambiti di disciplina lo avevano già previsto dapprima la normativa in materia di conciliazione nelle controversie societarie (art. 40 comma 8, decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5) e successivamente anche l’art. 696-bis c.p.c. in materia di consulenza tecnica preventiva anche ai fini della conciliazione, introdotto dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 di riforma della procedura civile.
Secondo la disciplina generale processuale il verbale di conciliazione costituisce sì titolo esecutivo come previsto nell’art. 185, secondo comma, c.p.c. (cui fa anche riferimento l’art. 88 disp. att. c.p.c.) ma non dà titolo all’iscri¬zione dell’ipoteca giudiziale (art. 2818 c.c.).
In passato si era posto il problema se il verbale di conciliazione potesse costituire titolo esecutivo efficace anche ai fini dell’esecuzione degli obblighi di fare o di non fare. La giurisprudenza di merito per lo più lo escludeva, ma la Corte costituzionale nel 2002 dichiarava infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 612 c.p.c. nella parte in escluderebbe questa possibilità sostenendo una lettura dell’art. 612, 1° comma, c.p.c., nel senso che esso consente il procedimento di esecuzione anche se il titolo esecutivo sia costituito dal verbale di conciliazione (Corte cost. 10 luglio 2002, n. 336). Nella motivazione la Corte richiamava il principio secondo cui la conciliazione giudiziale è un istituto preordinato alla definizione delle liti e che eventuali ragioni ostative all’e¬secuzione degli obblighi di cui all’art. 612 c.p.c. devono essere valutate non “ex post”, e cioè nel procedimento di esecuzione, bensì, se esse preesistono, in sede di formazione dell’accordo conciliativo da parte del giudice che lo promuove e sotto la cui vigilanza può concludersi solo se la natura della causa lo consente, mentre eventuali ragioni di ineseguibilità sopravvenute alla conciliazione giudiziale o preesistenti, nel caso di conciliazione conclu¬sesi al di fuori del controllo del giudice, possono essere oggetto di opposizione.
L’art. 12, nel testo modificato nel 2013, ha innovato la categoria dei titoli esecutivi ex lege attraverso il ricono¬scimento di detta qualità all’accordo di conciliazione sottoscritto dalle parti e dagli avvocati innanzi ad organismi di conciliazione accreditati, senza la necessità della previa omologazione giudiziale; il dato letterale della citata disposizione normativa conferisce prima facie valenza di titolo esecutivo al mero accordo munito delle suindicate sottoscrizioni e che l’intervento degli avvocati assolve di per sé ad uno scopo certificatorio dell’eseguita verifica re¬lativa al rispetto delle norme imperative e dei principi di ordine pubblico (Trib. Bari Sez. II, 7 settembre 2016).
Art. 13 13
Spese processuali
1. Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrispond1e interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato
13 Testo originario
Art. 13
(Spese processuali)
1. Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazio¬ne della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le disposizioni di cui al presente comma si applica¬no altresì’ alle spese per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4.
2. Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4. Il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese di cui al periodo precedente.
3. Salvo diverso accordo le disposizioni precedenti non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri.

la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì alle spese per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4.
2. Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4. Il giudice deve indicare esplici¬tamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese di cui al periodo precedente.
3. Salvo diverso accordo, le disposizioni dei commi 1 e 2 non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri.
L’art.13 del decreto legislativo 28/2010 prevede una rilevante eccezione al principio processuale della soccom¬benza (articoli 91 e 92 c.p.c.). Allorché, infatti, il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta di conciliazione, il giudice esclude la ripetizione delle spese (comprensive delle spese di avvio e della spese di mediazione) sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto.
Quindi la parte vittoriosa nel processo che non aveva accolto la proposta di conciliazione fatta dal mediatore, viene ad essere oggettivamente penalizzata ove la decisione del giudice corrisponde a quella proposta. In tal caso la parte vittoriosa non solo non ha diritto alla liquidazione da parte del giudice in suo favore delle spese pro¬cessuali sostenute, ma è, al contrario, condannata al pagamento delle spese sostenute dalla parte soccombente. Ed inoltre è condannata al versamento di una penale pari al valore del contributo unificato previsto per la causa. Si tratta di disposizioni la cui applicazione, stando al testo della norma (“il giudice esclude”), è obbligatoria da parte del giudice.
Se, invece, il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’arti¬colo 8, comma 4. Si tratta in questo caso di una norma ad applicazione discrezionale, con l’unico vincolo che “il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento”.
Resta sempre ferma ove ve ne siano i presupposti – come prescrive l’art. 13 – l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile in tema di responsabilità aggravata. Pertanto nonostante l’applicazione delle disposizioni esaminate, il giudice può sempre condannare una parte al rimborso delle spese sostenute dall’altra per trasgressione al dovere di lealtà e probità o al risarcimento dei danni se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito con mala fede o colpa grave.
Ai fini della coincidenza tra i due provvedimenti, il raffronto tra la proposta e il contenuto del provvedimento che definisce il giudizio – con la sentenza conclusiva ovvero con una sentenza parziale o con una sentenza non definitiva – è operazione che compete al giudice, anche se occorre osservare che la coincidenza deve essere “integrale” come ammonisce la relazione che accompagna il decreto legislativo.
La relazione che accompagna il decreto legislativo n. 28 del 2010 è molto esplicita sul significato di questo mec¬canismo di incentivazione alla mediazione. “La parte che ha rifiutato la proposta – si legge nella relazione – può vedersi addossarle conseguenze economiche del processo anche se vittoriosa quando vi sia piena coincidenza tra il contenuto della proposta e il provvedimento che definisce il giudizio. E’ questa, infatti, la palmare dimo¬strazione che l’atteggiamento da essa tenuto nel corso della mediazione è stato ispirato a scarsa serietà e che la giurisdizione è stata impegnata per un risultato che il procedimento di mediazione avrebbe permesso di raggiun¬gere in tempi molto più rapidi e meno dispendiosi. La disciplina delle spese viene dunque intesa come risposta dell’ordinamento alla strumentalizzazione tanto della mediazione che del servizio giustizia”.
Le disposizioni di cui sopra si applicano, come sopra detto, altresì alle spese per l’indennità corrisposta al media¬tore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 28/2010. Quindi, ai fini dell’applicazione dell’art. 13 del decreto legislativo n. 28 del 2010, alle spese processuali propriamente dette sono equiparate le spese sostenute dalle parti nel corso della mediazione.
Salvo diverso accordo le disposizioni precedenti non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri in quanto – come avverte la relazione di accompagnamento al decreto legislativo – “nel procedimento arbitrale il regime delle spese è peculiare e non è ravvisabile la necessità di scongiurare l’abuso del processo”.
Art. 14 14
Obblighi del mediatore
1. Al mediatore e ai suoi ausiliari è fatto divieto di assumere diritti o obblighi connessi, diretta¬mente o indirettamente, con gli affari trattati, fatta eccezione per quelli strettamente inerenti alla prestazione dell’opera o del servizio; è fatto loro divieto di percepire compensi direttamente dalle parti.
2. Al mediatore è fatto, altresì, obbligo di: a) sottoscrivere, per ciascun affare per il quale è desi¬gnato, una dichiarazione di imparzialità secondo le formule previste dal regolamento di procedura applicabile, nonché gli ulteriori impegni eventualmente previsti dal medesimo regolamento; b) in¬formare immediatamente l’organismo e le parti delle ragioni di possibile pregiudizio all’imparzialità nello svolgimento della mediazione; c) formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative; d) corrispondere immediatamente a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell’organismo.
3. Su istanza di parte, il responsabile dell’organismo provvede alla eventuale sostituzione del mediatore. Il regolamento individua la diversa competenza a decidere sull’istanza, quando la me¬diazione è svolta dal responsabile dell’organismo.
Art. 15 15
Mediazione nell’azione di classe
1. Quando è esercitata l’azione di classe prevista dall’articolo 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni, la conciliazione, intervenuta dopo la scadenza del termine per l’adesione, ha effetto anche nei confronti degli ade¬renti che vi abbiano espressamente consentito.
Per comprendere bene il significato dell’art. 15 bisogna ricordare il meccanismo dell’azione di classe, istituto introdotto nel nostro ordinamento con l’articolo 49 della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia) che lo ha inserito nel codice del consumo (decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206) come articolo 140-bis all’interno del titolo di quella legge che si occupa delle azioni inibitorie a tutela dei consumatori.
L’art,. 139 e 140 del codice di consumo si occupano delle azioni delle associazioni di consumatori e di utenti a tutela degli interessi collettivi, appunto, dei consumatori e degli utenti mentre l’art. 141 si occupa della compo¬sizione stragiudiziale delle controversie tra consumatore e professionista.
La collocazione è quindi quella giusta per un’azione di classe, cioè, posta a tutela dei diritti di una pluralità di consumatori.
L’art. 410-bis infatti prevede che quelli che sono identificati come “diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti” sono tutelabili anche attraverso un’azione cosiddetta di classe.
In base a questa nuova disposizione, ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà man¬dato o comitati cui partecipa – e sarà questa naturalmente la regola – può agire (davanti al tribunale ordinario avente sede nel capoluogo della regione in cui ha sede l’impresa nei cui confronti si chiede tutela) per l’accerta¬

14 Testo originario
Art. 14
(Obblighi del mediatore)
1. Al mediatore e ai suoi ausiliari è fatto divieto di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati, fatta eccezione per quelli strettamente inerenti alla prestazione dell’opera o del servizio; è fatto loro divieto di percepire compensi direttamente dalle parti.
2. Al mediatore è fatto, altresì, obbligo di:
a) sottoscrivere, per ciascun affare per il quale è designato, una dichiarazione di imparzialità secondo le formule previste dal regolamento di procedura applicabile, nonché gli ulteriori impegni eventualmente previsti dal medesimo regolamento;
b) informare immediatamente l’organismo e le parti delle ragioni di possibile pregiudizio all’imparzialità nello svolgimento della mediazione;
c) formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative;
d) corrispondere immediatamente a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell’organismo.
3. Su istanza di parte, il responsabile dell’organismo provvede alla eventuale sostituzione del mediatore. Il regolamento indivi¬dua la diversa competenza a decidere sull’istanza, quando la mediazione è svolta dal responsabile dell’organismo.
15 Testo originario
Art. 15
(Mediazione nell’azione di classe)
1. Quando è esercitata l’azione di classe prevista dall’articolo 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 set-tembre 2005, n. 206, e successive modificazioni, la conciliazione, intervenuta dopo la scadenza del termine per l’adesione, ha effetto anche nei confronti degli aderenti che vi abbiano espressamente consentito.

mento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni per fatti accaduti dopo il 16 agosto del 2009.
I diritti tutelati sono a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica; b) i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale; c) i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.
Chi intende avvalersi della tutela deve aderire all’azione di classe, senza ministero di difensore con un atto di adesione, che documenti il proprio titolo ad agire, da depositare nella cancelleria del tribunale in cui l’azione è stata esercitata. L’adesione comporta in linea di principio la rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria indi¬viduale fondata sul medesimo titolo.
Gli effetti sulla prescrizione decorrono dalla notificazione della domanda e, per coloro che hanno aderito succes¬sivamente, dal deposito dell’atto di adesione.
La domanda principale si propone con atto di citazione notificato anche all’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale, il quale può intervenire limitatamente al giudizio di ammissibilità. Ed infatti all’esito della prima udienza il tribunale decide con ordinanza sull’ammissibilità della domanda. La domanda è dichiarata inammissi¬bile quando è manifestamente infondata, quando sussiste un conflitto di interessi ovvero quando il giudice non ravvisa l’identità dei diritti individuali tutelabili dalla legge, nonché quando il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe.
L’ordinanza che decide sulla ammissibilità è reclamabile davanti alla corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione se anteriore. Sul reclamo la corte d’appello decide con ordinanza in camera di consiglio non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso. Il reclamo dell’ordinanza ammissiva non sospende il procedimento davanti al tribunale.
Con l’ordinanza con cui ammette l’azione il tribunale fissa anche naturalmente i termini e le modalità della più opportuna pubblicità, ai fini della tempestiva adesione degli appartenenti alla classe. L’esecuzione della pubbli¬cità è condizione di procedibilità della domanda.
Con la stessa ordinanza il tribunale definisce i caratteri dei diritti individuali oggetto del giudizio, specificando i criteri in base ai quali i soggetti che chiedono di aderire sono inclusi nella classe o devono ritenersi esclusi dall’a¬zione e fissa un termine perentorio, non superiore a centoventi giorni dalla scadenza di quello per l’esecuzione della pubblicità, entro il quale gli atti di adesione, anche a mezzo dell’attore, sono depositati in cancelleria.
Se accoglie la domanda, il tribunale pronuncia sentenza di condanna con cui liquida le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all’azione o stabilisce il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione di dette somme.
La sentenza diviene esecutiva decorsi centottanta giorni dalla pubblicazione.
La sentenza che definisce il giudizio fa stato anche nei confronti degli aderenti.
È sempre fatta salva, naturalmente, l’azione individuale dei soggetti che non aderiscono all’azione collettiva.
Non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la scadenza del termine per l’adesione assegnato dal giudice. Viceversa le azioni di classe proposte entro detto ter¬mine sono riunite d’ufficio se pendenti davanti allo stesso tribunale; altrimenti il giudice successivamente adìto ordina la cancellazione della causa dal ruolo, assegnando un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per la riassunzione davanti al primo giudice.
Infine la legge prevede che le rinunce e le transazioni intervenute tra le parti non pregiudicano i diritti degli aderenti che non vi hanno espressamente consentito.
Ebbene, ora la riforma in materia di mediazione e conciliazione avverte che quando è esercitata l’azione di clas¬se, la conciliazione, intervenuta dopo la scadenza del termine per l’adesione, ha effetto anche nei confronti degli aderenti che vi abbiano espressamente consentito.
Il che vuol dire che chi intende promuovere un’azione di classe, anche attraverso l’associazione di consumatori o il comitato cui ha dato mandato (o da cui il mandato è stato sollecitato) deve preventivamente promuovere il procedimento di mediazione essendo la domanda di risarcimento (nei confronti dell’impresa responsabile del danno) una domanda che ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010 deve essere obbligatoriamente preceduta dall’istanza di mediazione.
L’impresa potrebbe aderire e conciliare la vertenza. In tal caso la causa è finita.
Ove, invece, non vi sia conciliazione (come è presumibile) la causa andrà avanti e, dopo la prima udienza con l’ordinanza in materia di ammissibilità dell’azione, il tribunale indica i mezzi di pubblicizzazione che rendono possibile l’adesione di altri titolari dei medesimi diritti lesi. Quando l’attore avrà raccolto gli atti di adesione li depositerà nel termine previsto in tribunale.
Da questo momento – in cui diventa più plausibile che l’impresa possa conciliare la vertenza – gli aderenti che abbiamo specificato nell’atto di adesione o successivamente di voler aderire alla eventuale conciliazione, saranno tutti destinatari degli effetti della conciliazione stessa.
CAPO III
ORGANISMI DI MEDIAZIONE
Art. 16 16
Organismi di mediazione e registro. Elenco dei formatori
1. Gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nel¬le materie di cui all’articolo 2 del presente decreto. Gli organismi devono essere iscritti nel registro.
2. La formazione del registro e la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, l’istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono spe¬cifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico. Fino all’adozione di tali decreti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei decreti del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222 e 23 luglio 2004, n. 223. A tali disposizioni si conformano, sino alla medesima data, gli organismi di composizione extragiudiziale previsti dall’articolo 141 del codi¬ce del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.
3. L’organismo, unitamente alla domanda di iscrizione nel registro, deposita presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura e il codice etico, comunicando ogni successiva variazione. Nel regolamento devono essere previste, fermo quanto stabilito dal presente decreto, le procedure telematiche eventualmente utilizzate dall’organismo, in modo da garantire la sicu¬rezza delle comunicazioni e il rispetto della riservatezza dei dati. Al regolamento devono essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati, proposte per l’approvazione a norma dell’articolo 17. Ai fini dell’iscrizione nel registro il Ministero della giustizia valuta l’idoneità del regolamento.
4. La vigilanza sul registro e’ esercitata dal Ministero della giustizia e, con riferimento alla sezione per la trattazione degli affari in materia di consumo di cui al comma 2, anche dal Ministero dello sviluppo economico.
16 Testo originario
Art. 16
(Organismi di mediazione e registro. Elenco dei formatori)
1. Gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle materie di cui all’articolo 2 del presente decreto. Gli orga¬nismi devono essere iscritti nel registro.
2. La formazione del registro e la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, l’istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e interna¬zionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico. Fino all’adozione di tali decreti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei decreti del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222 e 23 luglio 2004, n. 223. A tali disposizioni si conformano, sino alla medesima data, gli organismi di composizione extragiudiziale previsti dall’articolo 141 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.
3. L’organismo, unitamente alla domanda di iscrizione nel registro, deposita presso il Ministero della giustizia il proprio regola¬mento di procedura e il codice etico, comunicando ogni successiva variazione. Nel regolamento devono essere previste, fermo quanto stabilito dal presente decreto, le procedure telematiche eventualmente utilizzate dall’organismo, in modo da garantire la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della riservatezza dei dati. Al regolamento devono essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati, proposte per l’approvazione a norma dell’articolo 17. Ai fini dell’iscri¬zione nel registro il Ministero della giustizia valuta l’idoneità’ del regolamento.
4. La vigilanza sul registro è esercitata dal Ministero della giustizia e, con riferimento alla sezione per la trattazione degli affari in materia di consumo di cui al comma 2, anche dal Ministero dello sviluppo economico.
5. Presso il Ministero della giustizia è istituito, con decreto ministeriale, l’elenco dei formatori per la mediazione. Il decreto stabilisce i criteri per l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché per lo svolgimento dell’attività di forma¬zione, in modo da garantire elevati livelli di formazione dei mediatori. Con lo stesso decreto, è stabilita la data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione di cui al presente comma costituisce per il mediatore requisito di qualificazione professionale.
6. L’istituzione e la tenuta del registro e dell’elenco dei formatori avvengono nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e stru¬mentali già esistenti, e disponibili a legislazione vigente, presso il Ministero della giustizia e il Ministero dello sviluppo economico, per la parte di rispettiva competenza, e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.
4-bis. Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori. Gli avvocati iscritti ad organismi di me¬diazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense. Dall’attuazione della presente disposi¬zione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
5. Presso il Ministero della giustizia è istituito, con decreto ministeriale, l’elenco dei formatori per la mediazione. Il decreto stabilisce i criteri per l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché per lo svolgimento dell’attività di formazione, in modo da garantire elevati livelli di formazione dei mediatori. Con lo stesso decreto, è stabilita la data a decorrere dalla quale la par¬tecipazione all’attività di formazione di cui al presente comma costituisce per il mediatore requisito di qualificazione professionale.
6. L’istituzione e la tenuta del registro e dell’elenco dei formatori avvengono nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali già esistenti, e disponibili a legislazione vigente, presso il Ministero della giustizia e il Ministero dello sviluppo economico, per la parte di rispettiva compe¬tenza, e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.
Art. 17 17
Risorse, regime tributario e indennità
1. In attuazione dell’articolo 60, comma 3, lettera o), della legge 18 giugno 2009, n. 69, le agevolazio¬ni fiscali previste dal presente articolo, commi 2 e 3, e dall’articolo 20, rientrano tra le finalità del Mi¬nistero della giustizia finanziabili con la parte delle risorse affluite al «Fondo Unico Giustizia» attribuite al predetto Ministero, ai sensi del comma 7 dell’articolo 2, lettera b), del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, e dei commi 3 e 4 dell’articolo 7 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 30 luglio 2009, n. 127.
2. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.
3. Il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente.
17 Testo originario
Art. 17
(Risorse, regime tributario e indennità)
1. In attuazione dell’articolo 60, comma 3, lettera o), della legge 18 giugno 2009, n. 69, le agevolazioni fiscali previste dal pre¬sente articolo, commi 2 e 3, e dall’articolo 20, rientrano tra le finalità del Ministero della giustizia finanziabili con la parte delle risorse affluite al «Fondo Unico Giustizia» attribuite al predetto Ministero, ai sensi del comma 7 dell’articolo 2, lettera b), del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, e dei commi 3 e 4 dell’articolo 7 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 30 luglio 2009, n. 127.
2. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.
3. Il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente.
4. Con il decreto di cui all’articolo 16, comma 2, sono determinati:
a) l’ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e le modalità di riparti¬zione tra le parti;
b) i criteri per l’approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati;
c) le maggiorazioni massime delle indennità dovute, non superiori al venticinque per cento, nell’ipotesi di successo della media¬zione;
d) le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità ai sensi dell’articolo 5, comma 1.
5. Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’articolo 5, comma 1, all’organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 30 maggio 2002, n. 115. A tale fine la parte è tenuta a depositare presso l’organismo apposita dichiarazio¬ne sostitutiva dell’atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo mediatore, nonché a produrre, a pena di inammissibilità, se l’organismo lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato.
6. Il Ministero della giustizia provvede, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, al monitoraggio delle mediazioni concernenti i soggetti esonerati dal pagamento dell’indennità di mediazione. Dei risultati di tale monitoraggio si tiene conto per la determi¬nazione, con il decreto di cui all’articolo 16, comma 2, delle indennità spettanti agli organismi pubblici, in modo da coprire anche il costo dell’attività prestata a favore dei soggetti aventi diritto all’esonero.
7. L’ammontare dell’indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto Nazionale di Statistica, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente.
8. Alla copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni dei commi 2 e 3, valutati in 5,9 milioni di euro per l’anno 2010 e 7,018 milioni di euro a decorrere dall’anno 2011, si provvede mediante corrispondente riduzione della quota delle risorse del «Fondo unico giustizia» di cui all’articolo 2, comma 7, lettera b) del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modifica¬zioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, che, a tale fine, resta acquisita all’entrata del bilancio dello Stato.
9. Il Ministro dell’economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui ai commi 2 e 3 ed in caso si verifichino scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 8, resta acquisito all’entrata l’ulteriore importo necessario a garantire la copertura finanziaria del maggiore onere a valere sulla stessa quota del Fondo unico giustizia di cui al comma 8.

4. Fermo restando quanto previsto dai commi 5-bis e 5-ter del presente articolo, con il decreto di cui all’articolo 16, comma 2, sono determinati:
a) l’ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le parti;
b) i criteri per l’approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati;
c) le maggiorazioni massime dell’indennità dovute, non superiori al 25 per cento, nell’ipotesi di successo della mediazione;
d) le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di pro¬cedibilità ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell’articolo 5, comma 2.
5-bis. Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del presente de¬creto, all’organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presi¬dente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni. A tale fine la parte è tenuta a depositare presso l’organismo apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo mediatore, nonché a produrre, a pena di inammissibilità, se l’organismo lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato.
5-ter. Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione.
6. Il Ministero della giustizia provvede, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, al monitorag¬gio delle mediazioni concernenti i soggetti esonerati dal pagamento dell’indennità di mediazione. Dei risultati di tale monitoraggio si tiene conto per la determinazione, con il decreto di cui all’ar¬ticolo 16, comma 2, delle indennità spettanti agli organismi pubblici, in modo da coprire anche il costo dell’attività prestata a favore dei soggetti aventi diritto all’esonero.
7. L’ammontare dell’indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto Nazionale di Statistica, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente.
8. Alla copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni dei commi 2 e 3, valutati in 5,9 milioni di euro per l’anno 2010 e 7,018 milioni di euro a decorrere dall’anno 2011, si provvede mediante cor¬rispondente riduzione della quota delle risorse del «Fondo unico giustizia» di cui all’articolo 2, com¬ma 7, lettera b) del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, che, a tale fine, resta acquisita all’entrata del bilancio dello Stato.
9. Il Ministro dell’economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui ai commi 2 e 3 ed in caso si verifichino scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 8, resta acquisito all’entrata l’ulteriore importo necessario a garantire la copertura finanziaria del maggiore onere a valere sulla stessa quota del Fondo unico giustizia di cui al comma 8. 2. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.
1) Le agevolazioni fiscali
L’art. 17, che si occupa sostanzialmente del regime tributario e delle indennità di mediazione, prevede, per quanto qui rileva, alcune regole:
a) In primo luogo per quel favor conciliationis che è alla base di tutto il sistema, si prevede che tutti gli atti, do¬cumenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.
b) In secondo luogo si prevede l’esenzione dall’imposta di registro del verbale di conciliazione entro il valore di 50.00 euro, mentre se il valore è superiore l’imposta è dovuta per l’importo eccedente tale limite.
c) Quindi, premesso che secondo quanto disposto nell’art. 16 le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati sono disciplinate con appositi decreti del Ministro della giustizia, si attribuisce al Ministero il potere di determinare l’ammontare delle indennità stesse. Come si dirà l’art. 20, sempre in tema di agevola¬zioni fiscali, prevede che alle parti che corrispondono l’indennità ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento di mediazione presso gli organismi è riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un credito d’imposta commisurato all’indennità stessa, fino a concorrenza di euro cinquecento. In caso di insuccesso della mediazione, il credito d’imposta è ridotto della metà.
d) Si precisa, poi, con il comma 5-bis introdotto dalla riforma del 2013 che quando la mediazione è condizio¬ne di procedibilità della domanda ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del decreto, all’organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (a tale fine la parte è tenuta a depositare presso l’organismo apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo mediatore, nonché a produrre, a pena di inammissibilità, se l’organismo lo richiede, la documen¬tazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato). Quindi l’organismo non può richiedere in questi casi le indennità. Poiché la disposizione si riferisce solo alle indennità si deve ritenere che siano, invece, dovute le spese di avvio della procedura.
e) Si prevede, infine, con il comma 5-ter, anch’esso introdotto nel 2013, che nel caso di mancato accordo all’e¬sito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione.
2) Il patrocinio gratuito per il compenso professionale all’avvocato
Il problema, per chi si trova nelle condizioni di reddito che gli consentono di accedere al patrocinio gratuito, è, però, quello di verificare se oltre al beneficio consistente nel non dover pagare le indennità all’organismo di mediazione (quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del decreto) si possa anche pretendere di non pagare l’avvocato. Cioè se, nei due casi di mediazione obbligatoria previsti (art. 5 comma 1-bis e art. 5, comma 2) l’interessato possa anche beneficiare del patrocinio a spese dello Stato per il compenso professionale dell’avvocato. Posto infatti che nel procedimento di mediazione “le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato” (art. 8, comma 1), ci è chiesti se non si debba per ciò stesso ipotizzare quanto meno dei casi di mediazione obbligatoria che l’interessato possa beneficiare del patrocinio gratuito.
La risposta potrebbe essere positiva se si considera che l’art. 75 del DPR 115/2002 (testo unico sulle spese di giustizia) prevede al primo comma che l’ammissione al patrocinio a spese dello stato “è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse”. Effettivamente se da un lato l’attività professionale di natura stragiudiziale che l’avvocato si trova a svolgere nell’interesse del proprio assistito non è ammessa al patrocinio, in quanto esplicantesi fuori del processo (con la conseguenza che il relativo compenso si pone a carico del cliente) Cass. civ. Sez. Unite, 19 aprile 2013, n. 9529, confermando la condanna disciplinare inflitta ad un avvocato per aver preteso un compenso dal cliente ammesso al beneficio, ha condiviso l’opinione del Consiglio Nazionale Forense secondo cui “ove si tratti di attività professionale svolta in vista della successiva azione giudiziaria essa deve essere ricompresa nell’azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato, sicché in relazione ad essa il professionista non può chiedere il com¬penso al cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato”.
D’altra parte la direttiva comunitaria 2002/8/CE del Consiglio del 27 gennaio 2003 (recepita in Italia con D. Lgs 27 maggio 2005, n. 116) all’art. 10 prevede che “ il patrocinio è altresì esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni previste dal presente decreto, qualora l’uso di tali mezzi sia previsto come obbligatorio dalla legge qualora il giudice vi abbia rinviato le parti in causa”.
3) I costi della mediazione
La mediazione ha costi – sostenuti dagli organismi di mediazione – la cui copertura è assicurata dall’obbligo di pagamento di indennità agli organismi e perciò ai mediatori da parte degli utenti del procedimento.
L’art. 60 della legge delega 18 giugno 2009, n. 69 stabiliva che il Governo avrebbe dovuto disciplinare la media¬zione, evidentemente riferendosi con questa espressione anche al regime delle spese, non essendo certamente possibile lasciare al mercato la determinazione delle tariffe. Pertanto i decreti delegati o i regolamenti avrebbero dovuto disciplinare anche le indennità dovute agli organismi e ai mediatori. Due soli erano i criteri che la legge delega indicava. In primo luogo si prescriveva che le indennità spettanti ai conciliatori, da porre a carico delle parti, siano stabilite, anche con atto regolamentare, in misura maggiore per il caso in cui sia stata raggiunta la conciliazione tra le parti. In secondo luogo, per le controversie in particolari materie, si prevedeva che ove il mediatore si fosse avvalso di esperti, iscritti nell’albo dei consulenti e dei periti presso i tribunali, il compenso per questi ultimi fossero stabiliti con riferimento ai compensi stabiliti per le consulenze e per le perizie giudiziali.
L’art. 16 e l’art. 17 del decreto legislativo 28 del 2010 come modificato nel 2013 prevedono, come si è detto, che nei regolamenti attuativi devono essere determinati a) l’ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le parti; b) i criteri per l’approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati. A tale proposito l’art.. 16 che disciplina gli organismi di mediazione precisa che gli organismi unitamente alla domanda di iscri¬zione nel registro, sono obbligati a depositare presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di pro¬cedura (comunicandone ogni successiva variazione) al quale devono essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati, proposte per l’approvazione a norma dell’articolo 17); c) le maggiorazioni massime delle indennità dovute, non superiori al venticinque per cento, nell’ipotesi di successo della mediazione; d) le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria.
La stessa norma prevede che l’ammontare dell’indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto Nazionale di Statistica, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente.
Il sistema è stato attuato dal regolamento n. 180 del 4 novembre 2010 (Regolamento recante la determina¬zione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo n. 28 del 2010) modificato successivamente dal decreto del Ministero della giusti¬zia 6 luglio 2011, n. 145.
Sulla base di queste disposizioni è previsto un tariffario con l’indicazione dei minimi e dei massimi e con la previ¬sione – conforme a quanto previsto nell’art. 17 del decreto 28/2010 – che nell’ipotesi di successo della mediazio¬ne è prevista una maggiorazione non superiore al venticinque per cento e una riduzione nel caso in cui il ricorso alla mediazione costituisca condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria.
Il regolamento – che si occupa proprio dei criteri di determinazione dell’indennità – indica che l’indennità com¬prende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione.
Per le spese di avvio si prevede che ciascuna parte deve corrispondere un importo di euro 40,00 oltre iva da versarsi al momento del deposito della domanda di mediazione (dalla parte istante) e al momento della adesione al procedimento (per la parte chiamata alla mediazione). Sul punto Cons. Stato Sez. IV, 22 aprile 2015, n. 1694 ha ritenuto del tutto legittimo che in materia di mediazione delle controversie civili e commerciali, le spese di avvio siano dovute per il primo incontro di cui all’art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010. Una circolare del Ministero in data 27 settembre 20913 ha precisato che l’indennità in questione non è dovuta se al primo incontro non si presenta la parte che ha attivato la mediazione.
Per le spese di mediazione si prevede che ciascuna parte deve corrispondere l’importo indicato nella seguente tabella A allegata al regolamento
Tabella A
Valore della lite – Spesa (per ciascuna parte)
Fino a Euro 1.000: Euro 65;
da Euro 1.001 a Euro 5.000: Euro 130;
da Euro 5.001 a Euro 10.000: Euro 240;
da Euro 10.001 a Euro 25.000: Euro 360;
da Euro 25.001 a Euro 50.000: Euro 600;
da Euro 50.001 a Euro 250.000: Euro 1.000;
da Euro 250.001 a Euro 500.000: Euro 2.000;
da Euro 500.001 a Euro 2.500.000: Euro 3.800;
da Euro 2.500.001 a Euro 5.000.000: Euro 5.200;
oltre Euro 5.000.000: Euro 9.200.
Il regolamento n. 180/2010 all’art. 16 – nel testo modificato dal decreto n. 145/ 2011 – prevede che gli importi minimi delle indennità per ciascun scaglione di riferimento, sono derogabili.
L’importo massimo delle spese di mediazione per ciascun scaglione di riferimento:
a) può essere aumentato in misura non superiore a un quinto tenuto conto della particolare importanza, com¬plessità o difficoltà dell’affare;
b) deve essere aumentato in misura non superiore a un quarto in caso di successo della mediazione;
c) deve essere aumentato di un quinto nel caso di formulazione della proposta ai sensi dell’articolo 11 del decreto legislativo;
d) nelle materie di cui all’articolo 5, comma 1 [1-bis] del decreto legislativo, deve essere ridotto a euro quaranta per il primo scaglione e ad euro cinquanta per tutti gli altri scaglioni, ferma restando l’applicazione della lettera c) del presente comma per i primi sei scaglioni, e della metà per i restanti, salva la riduzione prevista dalla lettera e) del presente comma, e non si applica alcun altro aumento tra quelli previsti dal presente articolo a eccezione di quello previsto dalla lettera b) del presente comma;
e) deve essere ridotto di un terzo quando nessuna delle controparti di quella che ha introdotto la mediazione, partecipa al procedimento.
Secondo il regolamento si considerano importi minimi quelli dovuti come massimi per il valore della lite ricom¬preso nello scaglione immediatamente precedente a quello effettivamente applicabile; l’importo minimo relativo al primo scaglione è liberamente determinato.
Il valore della lite è indicato nella domanda di mediazione secondo i criteri previsti nel codice di procedura civile (articoli 10 – 16 c.p.c.).
Qualora il valore risulti indeterminato, indeterminabile, o vi sia una notevole divergenza tra le parti sulla stima, l’organismo decide il valore di riferimento, sino al limite di euro 250.000, e lo comunica alle parti. In ogni caso, se all’esito del procedimento di mediazione il valore risulta diverso, l’importo dell’indennità è dovuto secondo il corrispondente scaglione di riferimento.
Quanto alle modalità di pagamento dell’indennità, la disposizione regolamentare prevede che le spese di me¬diazione sono corrisposte prima dell’inizio del primo incontro di mediazione in misura non inferiore alla metà” e comprendono anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione, indipendentemente dal numero di incontri svolti. Esse rimangono fisse anche nel caso di mutamento del mediatore nel corso del proce¬dimento ovvero di nomina di un collegio di mediatori, di nomina di uno o più mediatori ausiliari, ovvero di nomina di un diverso mediatore per la formulazione della proposta.
Il regolamento di procedura dell’organismo può prevedere che le indennità debbano essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo. In ogni caso, nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, l’organismo e il mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione.
Le spese di mediazione sono dovute in solido da ciascuna parte che ha aderito al procedimento.
A differenza degli organismi costituiti dagli enti pubblici che devono seguire le indennità previste dalle legge, gli organismi privati possono stabilire autonomamente gli importi delle indennità dovute dalle parti – ferma l’appro¬vazione da parte del Ministero della giustizia – ma restano fermi gli importi fissati per le materie di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 28 del 2010 e ferma ogni altra disposizione di cui all’art. 17 di cui si è detto.
L’ammontare delle indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alle variazioni degli indici Istat.
Si riporta l’art. 16 (relativo alle indennità) del decreto del Mistero della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 come modificato dal decreto 6 luglio 2011.
Articolo 16 – Criteri di determinazione dell’indennità
1.L’indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione.
2.Per le spese di avvio, a valere sull’indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte un importo di euro 40,00 che è versato dall’istante al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento.
3.Per le spese di mediazione è dovuto da ciascuna parte l’importo indicato nella tabella A allegata al presente decreto.
4.L’importo massimo delle spese di mediazione per ciascun scaglione di riferimento, come determinato a nor¬ma della medesima tabella A:
a)può essere aumentato in misura non superiore a un quinto tenuto conto della particolare importanza, com¬plessità o difficoltà dell’affare;
b) deve essere aumentato in misura non superiore a un quarto in caso di successo della mediazione;
c) deve essere aumentato di un quinto nel caso di formulazione della proposta ai sensi dell’articolo 11 del de¬creto legislativo;
d) nelle materie di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, deve essere ridotto di un terzo per i pri¬mi sei scaglioni, e della metà per i restanti, salva la riduzione prevista
dalla lettera e) del presente comma, e non si applica alcun altro aumento tra quelli previsti dal presente artico¬lo a eccezione di quello previsto dalla lettera b) del presente comma;
e) deve essere ridotto a euro quaranta per il primo scaglione e ad euro cinquanta per tutti gli altri scaglioni, ferma restando l’applicazione della lettera c) del presente comma quando nessuna delle controparti di quella che ha introdotto la mediazione, partecipa al procedimento.
5. Si considerano importi minimi quelli dovuti come massimi per il valore della lite ricompreso nello scaglione immediatamente precedente a quello effettivamente applicabile;l’importominimorelativoalprimoscaglionee’liberamentedeterminato.
6. Gli importi dovuti per il singolo scaglione non si sommano in nessun caso tra loro.
7.Il valore della lite è indicato nella domanda di mediazione a norma del codice di procedura civile.
8. Qualora il valore risulti indeterminato, indeterminabile, o vi sia una notevole divergenza tra le parti sulla stima, l’organismo decide il valore di riferimento, sino al limite di euro 1.250.000, e lo comunica alle parti. In ogni caso, se all’esito del procedimento di mediazione il valore risulta diverso, l’importo dell’indennità è dovuto secondo il corrispondente scaglione di riferimento.
9.Le spese di mediazione sono corrisposte prima dell’inizio del primo incontro di mediazione in misura non in¬feriore alla metà. Il regolamento di procedura dell’organismo può prevedere che le indennità debbano essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo. In ogni caso, nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, l’organismo e il mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione.
10.Le spese di mediazione comprendono anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di media¬zione, indipendentemente dal numero di incontri svolti. Esse rimangono fisse anche nel caso di mutamento del mediatore nel corso del procedimento ovvero di nomina di un collegio di mediatori o di nomina di uno o più mediatori ausiliari, ovvero di nomina di un diverso mediatore per la formulazione della proposta ai sensi dell’articolo 11 del decreto legislativo.
11. Le spese di mediazione indicate sono dovute in solido da ciascuna parte che ha aderito al procedimento.
12.Ai fini della corresponsione dell’indennità, quando più soggetti rappresentano un unico centro d’interessi si considerano come un’unica parte.
13. Gli organismi diversi da quelli costituiti dagli enti di diritto pubblico interno stabiliscono gli importi di cui al comma 3, ma restano fermi gli importi fissati dal comma 4, lettera d), per le materie di cui all’articolo 5,com¬ma 1,del decreto legislativo. Resta altresì ferma ogni altra disposizione di cui al presente articolo.
14. Gli importi minimi delle indennità per ciascun scaglione di riferimento, come determinati a norma della ta¬bella A allegata al presente decreto, sono derogabili.
(omissis)
Tabella A (articolo 16, comma 4)
Valore della lite – Spesa (per ciascuna parte) – In caso di procedimento in contumacia
Fino a Euro 1.000 Euro 65 Euro 40
da Euro 1.001 a Euro 5.000 Euro 130 Euro 50
da Euro 5.001 a Euro 10.000 Euro 240 Euro 50
da Euro 10.001 a Euro 25.000 Euro 360 Euro 50
da Euro 25.001 a Euro 50.000 Euro 600 Euro 50
da Euro 50.001 a Euro 250.000 Euro 1.000 Euro 50
da Euro 250.001 a Euro 500.000 Euro 2.000 Euro 50
da Euro 500.001 a Euro 2.500.000 Euro 3.800 Euro 50
da Euro 2.500.001 a Euro 5.000.000 Euro 5.200 Euro 50
Oltre Euro 5.000.000 Euro 9.200 Euro 50
Art. 18 18
Organismi presso i tribunali
1. I consigli degli ordini degli avvocati possono istituire organismi presso ciascun tribunale, av¬valendosi di proprio personale e utilizzando i locali loro messi a disposizione dal presidente del tribunale. Gli organismi presso i tribunali sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all’articolo 16.
Art. 19 19
Organismi presso i consigli degli ordini professionali e presso le camere di commercio
1. I consigli degli ordini professionali possono istituire, per le materie riservate alla loro compe¬tenza, previa autorizzazione del Ministero della giustizia, organismi speciali, avvalendosi di proprio personale e utilizzando locali nella propria disponibilità’.
18 Testo originario
Art. 18
(Organismi presso i tribunali)
1. I consigli degli ordini degli avvocati possono istituire organismi presso ciascun tribunale, avvalendosi di proprio personale e utilizzando i locali loro messi a disposizione dal presidente del tribunale. Gli organismi presso i tribunali sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all’articolo 16.
19 Testo originario
Art. 19
(Organismi presso i consigli degli ordini professionali e presso le camere di commercio)
1. I consigli degli ordini professionali possono istituire, per le materie riservate alla loro competenza, previa autorizzazione del Ministero della giustizia, organismi speciali, avvalendosi di proprio personale e utilizzando locali nella propria disponibilità.
2. Gli organismi di cui al comma 1 e gli organismi istituiti ai sensi dell’articolo 2, comma 4, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all’articolo 16.
2. Gli organismi di cui al comma 1 e gli organismi istituiti ai sensi dell’articolo 2, comma 4, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all’ar¬ticolo 16.
CAPO IV
DISPOSIZIONI IN MATERIA FISCALE E INFORMATIVA
Art. 20 20
Credito d’imposta
1. Alle parti che corrispondono l’indennità ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento di media¬zione presso gli organismi è riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un credito d’impo¬sta commisurato all’indennità stessa, fino a concorrenza di euro cinquecento, determinato secondo quanto disposto dai commi 2 e 3. In caso di insuccesso della mediazione, il credito d’imposta è ridotto della metà.
2. A decorrere dall’anno 2011, con decreto del Ministro della giustizia, entro il 30 aprile di ciascun anno, e’ determinato l’ammontare delle risorse a valere sulla quota del «Fondo unico giustizia» di cui all’articolo 2, comma 7, lettera b), del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, destinato alla copertura delle minori entrate derivanti dalla concessione del credito d’imposta di cui al comma 1 relativo alle mediazioni concluse nell’anno precedente. Con il medesimo decreto è individuato il credito d’imposta effet¬tivamente spettante in relazione all’importo di ciascuna mediazione in misura proporzionale alle risorse stanziate e, comunque, nei limiti dell’importo indicato al comma 1.
3. Il Ministero della giustizia comunica all’interessato l’importo del credito d’imposta spettante entro 30 giorni dal termine indicato al comma 2 per la sua determinazione e trasmette, in via te¬lematica, all’Agenzia delle entrate l’elenco dei beneficiari e i relativi importi a ciascuno comunicati.
4. Il credito d’imposta deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi ed è utilizzabile a decorrere dalla data di ricevimento della comunicazione di cui al comma 3, in com¬pensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché, da parte delle persone fisiche non titolari di redditi d’impresa o di lavoro autonomo, in diminuzione delle imposte sui redditi. Il credito d’imposta non dà luogo a rimborso e non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, ne’ del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, com¬ma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
5. Ai fini della copertura finanziaria delle minori entrate derivanti dal presente articolo il Ministero della giustizia provvede annualmente al versamento dell’importo corrispondente all’ammontare delle risorse destinate ai crediti d’imposta sulla contabilità speciale n. 1778 «Agenzia delle entrate – Fondi di bilancio».
20 Testo originario
Art. 20
(Credito d’imposta)
1. Alle parti che corrispondono l’indennità ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento di mediazione presso gli organismi è riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un credito d’imposta commisurato all’indennità stessa, fino a concorrenza di euro cinquecento, determinato secondo quanto disposto dai commi 2 e 3. In caso di insuccesso della mediazione, il credito d’imposta è ridotto della metà.
2. A decorrere dall’anno 2011, con decreto del Ministro della giustizia, entro il 30 aprile di ciascun anno, è determinato l’am¬montare delle risorse a valere sulla quota del «Fondo unico giustizia» di cui all’articolo 2, comma 7, lettera b), del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, destinato alla copertura delle minori entrate derivanti dalla concessione del credito d’imposta di cui al comma 1 relativo alle mediazioni concluse nell’anno pre¬cedente. Con il medesimo decreto è individuato il credito d’imposta effettivamente spettante in relazione all’importo di ciascuna mediazione in misura proporzionale alle risorse stanziate e, comunque, nei limiti dell’importo indicato al comma 1.
3. Il Ministero della giustizia comunica all’interessato l’importo del credito d’imposta spettante entro 30 giorni dal termine in¬dicato al comma 2 per la sua determinazione e trasmette, in via telematica, all’Agenzia delle entrate l’elenco dei beneficiari e i relativi importi a ciascuno comunicati.
4. Il credito d’imposta deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi ed è utilizzabile a decorrere dalla data di ricevimento della comunicazione di cui al comma 3, in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché, da parte delle persone fisiche non titolari di redditi d’impresa o di lavoro autonomo, in diminuzione delle imposte sui redditi. Il credito d’imposta non dà luogo a rimborso e non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, nè del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
5. Ai fini della copertura finanziaria delle minori entrate derivanti dal presente articolo il Ministero della giustizia provvede an-nualmente al versamento dell’importo corrispondente all’ammontare delle risorse destinate ai crediti d’imposta sulla contabilità speciale n. 1778 «Agenzia delle entrate – Fondi di bilancio».

L’art. 20, dispone che alle parti che corrispondono l’indennità agli organismi è riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un credito d’imposta (utilizzabile in compensazione o in diminuzione delle imposte) commisu¬rato all’indennità stessa, fino a concorrenza di euro cinquecento, mentre, in caso di insuccesso della mediazione, il credito d’imposta è ridotto della metà.
Art. 21 21
Informazioni al pubblico
1. Il Ministero della giustizia cura, attraverso il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con i fondi previsti dalla legge 7 giugno 2000, n. 150, la divulgazione al pubblico attraverso apposite campagne pubblicitarie, in particolare via internet, di informazioni sul procedimento di mediazione e sugli organismi abilitati a svolgerlo.
Capo V
Abrogazioni, coordinamenti e disposizioni transitorie
Art. 22 22
Obblighi di segnalazione per la prevenzione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo
1. All’articolo 10, comma 2, lettera e), del decreto legislati¬vo 21 novembre 2007, n. 231, dopo il numero 5) è aggiunto il seguente:«5-bis) mediazione, ai sensi dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69;»
Art. 23 23
Abrogazioni
1. Sono abrogati gli articoli da 38 a 40 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e i rinvii operati dalla legge a tali articoli si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del presente decreto.
2. Restano ferme le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e me¬diazione, comunque denominati, nonché le disposizioni concernenti i procedimenti di conciliazione relativi alle controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile. I procedimenti di cui al periodo precedente sono esperiti in luogo di quelli previsti dal presente decreto.
L’art. 54, comma 5, della legge delega 18 giugno 2009 n. 69 prevedendo che “sono abrogati gli articoli da 1 a 33, 41, comma 1, e 42 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 “aveva cancellato il rito societario introdotto nel 2003.
Parallelamente il decreto legislativo 4 marzo 2010 , n. 28 di attuazione della riforma in materia di mediazione e conciliazione all’art. 23 prevede l’abrogazione degli articoli da 38 a 40 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, precisando che i rinvii operati dalla legge a tali articoli si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del presente decreto.
21 Testo originario
Art. 21
(Informazioni al pubblico)
1. Il Ministero della giustizia cura, attraverso il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con i fondi previsti dalla legge 7 giugno 2000, n. 150, la divulgazione al pubblico attraverso apposite campagne pubbli¬citarie, in particolare via internet, di informazioni sul procedimento di mediazione e sugli organismi abilitati a svolgerlo.
22 Testo originario
Art. 22
(Obblighi di segnalazione per la prevenzione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo)
1.All’articolo 10, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, dopo il numero 5) è aggiunto il seguente:
«5-bis) mediazione, ai sensi dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69;».
23 Testo originario
Art. 23
(Abrogazioni)
1. Sono abrogati gli articoli da 38 a 40 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e i rinvii operati dalla legge a tali articoli si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del presente decreto.
2. Restano ferme le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati, nonché le disposizioni concernenti i procedimenti di conciliazione relativi alle controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile. I procedimenti di cui al periodo precedente sono esperiti in luogo di quelli previsti dal presente decreto.

Restano ferme, invece, le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, co¬munque denominati, nonché le disposizioni concernenti i procedimenti di conciliazione relativi alle controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile (il rinvio è da intendersi alle disposizioni del codice di procedura civile sul rito del lavoro come modificate dall’art. 31 della legge 183/2010) e i relativi procedimenti sono esperiti in luogo di quelli previsti dal decreto 28/2010.
Art. 24 24
Disposizioni transitorie e finali
1. Le disposizioni di cui all’articolo 5, comma 1, acquistano efficacia decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e si applicano ai processi successivamente iniziati. Il pre¬sente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti norma¬tivi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
APPENDICE
Legge 18 giugno 2009, n. 60
Art. 60.
(Delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale.
2. La riforma adottata ai sensi del comma 1, nel rispetto e in coerenza con la normativa co¬munitaria e in conformità ai princìpi e criteri direttivi di cui al comma 3, realizza il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti. I decreti legislativi previsti dal comma 1 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia e successivamente trasmessi alle Camere, ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal comma 1 o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di sessanta giorni.
3. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia;
b) prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione;
c) disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l’estensio¬ne delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso attraverso l’istituzione, presso il Ministero della giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubbli¬ca, di un Registro degli organismi di conciliazione, di seguito denominato «Registro», vigilati dal medesimo Ministero, fermo restando il diritto delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura che hanno costituito organismi di conciliazione ai sensi dell’articolo 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, ad ottenere l’iscrizione di tali organismi nel medesimo Registro;
d) prevedere che i requisiti per l’iscrizione nel Registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia;
e) prevedere la possibilità, per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i tribunali, organismi di conciliazione che, per il loro funzionamento, si avvalgono del personale degli stessi consigli;
24 Testo originario
Art. 24
(Disposizioni transitorie e finali)
1. Le disposizioni di cui all’articolo 5, comma 1, acquistano efficacia decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del pre¬sente decreto e si applicano ai processi successivamente iniziati.
f) prevedere che gli organismi di conciliazione istituiti presso i tribunali siano iscritti di diritto nel Registro;
g) prevedere, per le controversie in particolari materie, la facoltà di istituire organismi di concilia¬zione presso i consigli degli ordini professionali;
h) prevedere che gli organismi di conciliazione di cui alla lettera g) siano iscritti di diritto nel Re¬gistro;
i) prevedere che gli organismi di conciliazione iscritti nel Registro possano svolgere il servizio di mediazione anche attraverso procedure telematiche;
l) per le controversie in particolari materie, prevedere la facoltà del conciliatore di avvalersi di esperti, iscritti nell’albo dei consulenti e dei periti presso i tribunali, i cui compensi sono previsti dai decreti legislativi attuativi della delega di cui al comma 1 anche con riferimento a quelli stabiliti per le consulenze e per le perizie giudiziali;
m) prevedere che le indennità spettanti ai conciliatori, da porre a carico delle parti, siano stabilite, anche con atto regolamentare, in misura maggiore per il caso in cui sia stata raggiunta la conci¬liazione tra le parti;
n) prevedere il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione;
o) prevedere, a favore delle parti, forme di agevolazione di carattere fiscale, assicurando, al con¬tempo, l’invarianza del gettito attraverso gli introiti derivanti al Ministero della giustizia, a decor¬rere dall’anno precedente l’introduzione della norma e successivamente con cadenza annuale, dal Fondo unico giustizia di cui all’articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181;
p) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell’accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l’accordo successiva¬mente alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, salvo quanto previsto dagli articoli 92 e 96 del codice di pro¬cedura civile, e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato ai sensi dell’articolo 9 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115;
q) prevedere che il procedimento di conciliazione non possa avere una durata eccedente i quattro mesi;
r) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime di incompatibilità tale da garantire la neutralità, l’indipendenza e l’imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni;
s) prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Giurisprudenza
Trib. Firenze Sez. III, 23 novembre 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La mancata comparizione della parte invitata dinanzi al mediatore, nel procedimento di mediazione delegata, non consente di ritenere avverata la condizione di procedibilità, a ciò non ostando il dettato normativo di cui all’art. 5, comma 2 bis, D.Lgs. n. 28 del 2010, giacché tale disposizione non appare connotata da un’effettiva valenza precettiva.
Trib. Roma Sez. XIII, 29 settembre 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La mancata ed ingiustificata partecipazione del convenuto al procedimento di mediazione demandato dal giudice, nel corso del giudizio, può costituire argomento di prova ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c., nonché comportare la condanna della parte convenuta al pagamento nei confronti dell’Erario di una somma pari al valore del contributo unificato dovuto per il giudizio e a favore della controparte di una somma ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.
Trib. Milano Sez. I, 27 settembre 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il tentativo di mediazione obbligatorio esperito ancorché successivamente al termine di 15 giorni assegnato dal Giudice, non consente di ritenere operante la improcedibilità prevista per il mancato esperimento del procedimento, in assenza di espressa previsione di perentorietà del termine assegnato dal giudice ex art. 5 d. l.vo 4 marzo 2010 n. 28, dovendosi dare prevalenza all’effetto sostanziale dello svolgimento del procedimento.
Trib. Pavia, 26 settembre 2016 (Contratti, 2016, 12, 1130)
Nel provvedimento che ordina la mediazione in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è il magistrato a scegliere di-screzionalmente quale debba essere la parte in concreto onerata dell’avvio della mediazione potendo essere onerata l’opposta ed in mancanza anche l’opponente con la conseguenza che in caso di mancato avvio della mediazione, la domanda giudiziale sarà ritenuta improcedibile ed il decreto ingiuntivo revocato, mentre in caso di mancata regolare partecipazione alla mediazione saranno applicate le sanzioni dall’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010 e dell’art. 116, comma 2, c.p.c.
Trib. Pavia, 26 settembre 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il tentativo di mediazione non può considerarsi una mera formalità da assolversi con la sola partecipazione dei difensori all’in¬contro preliminare informativo che normalmente non è mediazione attiva, ma è necessaria la partecipazione delle parti per¬sonalmente o dei rispettivi procuratori speciali a conoscenza dei fatti e muniti del potere di conciliare e dei rispettivi difensori.
Trib. Frosinone, 8 novembre 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La domanda di riduzione di donazioni per lesione della quota di legittima e di scioglimento della comunione ereditaria che si ven¬ga a costituire per l’effetto, concerne la materia delle successioni, di talché è soggetta al previo esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria, ex art. 5, D.Lgs. n. 28 del 2010.
Trib. Milano Sez. I, 27 settembre 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il tentativo di mediazione obbligatorio esperito ancorché successivamente al termine di 15 giorni assegnato dal Giudice, non consente di ritenere operante la improcedibilità prevista per il mancato esperimento del procedimento, in assenza di espressa previsione di perentorietà del termine assegnato dal giudice ex art. 5 d. l.vo 4 marzo 2010 n. 28, dovendosi dare prevalenza all’effetto sostanziale dello svolgimento del procedimento.
Trib. Pavia, 26 settembre 2016 (Contratti, 2016, 12, 1130)
Nel provvedimento che ordina la mediazione in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è il magistrato a scegliere di-screzionalmente quale debba essere la parte in concreto onerata dell’avvio della mediazione potendo essere onerata l’opposta ed in mancanza anche l’opponente con la conseguenza che in caso di mancato avvio della mediazione, la domanda giudiziale sarà ritenuta improcedibile ed il decreto ingiuntivo revocato, mentre in caso di mancata regolare partecipazione alla mediazione saranno applicate le sanzioni dall’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010 e dell’art. 116, comma 2, c.p.c.
Trib. Firenze Sez. III, 14 settembre 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di mediazione, l’onere di “presentazione della domanda di mediazione” deve ritenersi assolto con il mero invio per posta raccomandata della medesima alla sede dell’organismo prescelto, non essendo invece necessario l’effettivo ricevimento della domanda stessa da parte di quest’ultimo.
Trib. Ferrara, 8 settembre 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di avviare la procedura di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 28 del 2010 grava sulla parte opponente che ha interesse al prosieguo dell’opposizione. In mancanza e, dunque, qualora la mediazione non venga avviata, il decreto ingiuntivo opposto diventa esecutivo.
Trib. Bari Sez. II, 7 settembre 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 12, D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, come modificato dal D.L. n. 69/2013, ha innovato la categoria dei titoli esecutivi ex lege attraverso il riconoscimento di detta qualità all’accordo di conciliazione sottoscritto dalle parti e dagli avvocati innanzi ad organi¬smi di conciliazione accreditati, senza la necessità della previa omologazione giudiziale; il dato letterale della citata disposizione normativa conferisce prima facie valenza di titolo esecutivo al mero accordo munito delle suindicate sottoscrizioni e che l’inter¬vento degli avvocati assolve di per sé ad uno scopo certificatorio dell’eseguita verifica relativa al rispetto delle norme imperative e dei principi di ordine pubblico.
Trib. Ferrara, 28 luglio 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il valore e la funzione della mediazione sta proprio nel delineare un ambito informale ma specifico, diverso dal processo, nel quale ridare la parola alle parti e consentire loro di mettere in gioco i propri interessi al fine di trovare una soluzione che, a prescindere dai profili strettamente tecnico-giuridici del problema, risponda alle loro esigenze di vita, che non coincidono solo e necessariamente con gli specifici interessi in conflitto ma hanno una estensione spesso ben maggiore e più complessa. Ciò rende personalissima l’attività che è funzionale al possibile accordo di mediazione e, di regola, non delegabile a terzi, salvo casi eccezionali che non possono essere esclusi a priori e nei quali non può essere negato alla parte di scegliere, sulla base dei propri rapporti personali di fiducia, insindacabili da chiunque, il soggetto che, opportunamente delegato, meglio la potrà rappresentare nella mediazione con la controparte.
Trib. Milano, 21 luglio 2016 (Contratti, 2016, 12, 1129)
La parte che ostacola la risoluzione della lite in via stragiudiziale, deve risarcire il danno alla controparte che ha proposto la mediazione anche se facoltativa, laddove lo strumento della mediazione risulti obiettivamente funzionale ad evitare – con minimi costi per il convenuto – il giudizio nell’interesse di entrambe le parti e del sistema Giustizia, trattandosi di spese senz’altro cau¬salmente inerenti il recupero del credito, da porre pertanto a carico della parte inadempiente.
Trib. Milano Sez. IV, 18 luglio 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nella conclusione del contratto preliminare di compravendita è infondata l’eccezione di inammissibilità o improcedibilità sollevata in relazione all’omesso esperimento del tentativo di conciliazione, dovendo distinguere l’obbligo contrattuale pattuito dalla statu¬izione legale del D.Lgs. n. 28 del 2010. Invero, una cosa è la previsione di un obbligo contrattuale, suscettibile di inadempimento, altra cosa è la deroga pattizia alla giurisdizione. Peraltro, ogni deroga all’esercizio del diritto costituzionale di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti soggettivi è insuscettibile sia di estensione analogica, sia di interpretazione estensiva, tant’è vero che persino le prescrizioni legali di obbligatorietà di un tentativo di conciliazione preventivo non danno luogo ad improcedibilità ove tale sanzione processuale non sia espressamente prevista.
Trib. Termini Imerese, 9 maggio 2012 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La sussistenza di una situazione di litigiosità tra le parti non può di per se sola giustificare il rifiuto di partecipare al procedimento di mediazione, giacché tale procedimento è precipuamente volto ad attenuare la litigiosità, tentando una composizione della lite basata su categorie concettuali del tutto differenti rispetto a quelle invocate in giudizio e che prescindono dalla attribuzione di torti e di ragioni, mirando al perseguimento di un armonico contemperamento dei contrapposti interessi delle parti.
Trib. Trapani, 16 luglio 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In caso di mediazione delegata, il mediatore è tenuto a verificare quali siano le parti del giudizio ed a trasmettere a ciascuna di esse la lettera di convocazione per l’incontro preliminare con mezzi che ne assicurino la ricezione; l’inosservanza di tali formalità non può ritorcersi a danno della parte attrice, che avrà diritto ad un nuovo termine per la rinnovazione del procedimento.
Cass. civ. Sez. VI, 7 luglio 2016, n. 13886 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il documento contenente l’informativa sulla mediazione, ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 28 del 2010, pur dovendo essere sotto¬scritto dall’assistito e allegato all’atto introduttivo del giudizio, non è equipollente alla procura “ad litem”, dalla quale si distingue per oggetto e funzione, restando estraneo al conferimento dello “ius postulandi”.
Trib. Verona Sez. III, 23 giugno 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In caso di mediazione delegata, l’istanza rivolta all’organismo di conciliazione deve contenere un chiaro riferimento all’oggetto del contendere, affinché il Giudice possa verificare che il procedimento sia stato espletato con riguardo alla controversia dedotta in giudizio.
Trib. Genova Sez. VI, 31 maggio 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di mediazione obbligatoria, giusta il disposto di cui all’art. 5 del D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, la improcedibilità deve es¬sere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Detta disposizione non si applica, tuttavia, nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione.
Trib. Genova Sez. VI, 31 maggio 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’insufficiente determinatezza della domanda di mediazione, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo conciliativo nell’am¬bito di quest’ultima, preclude una pronunzia sul merito da parte della giustizia togata docendo escludersi che, in tale ipotesi, il procedimento di mediazione sia stato utilmente esperito e che la condizione di procedibilità si sia realizzata.
In tema di mediazione obbligatoria, giusta il disposto di cui all’art. 5 del D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, la improcedibilità deve es¬sere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Detta disposizione non si applica, tuttavia, nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione.
Trib. Vasto, 30 maggio 2016 (Foro It., 2016, 11, 1, 3649)
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’onere di esperire la mediazione obbligatoria grava sul debitore opponente in quanto parte processuale che ha provocato l’instaurazione del processo ordinario di cognizione.
Trib. Verona Sez. III, 12 maggio 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Anche le domande spiegate in via riconvenzionale, qualora incidano su una delle materie elencate dall’art. 5, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 28/2010, sono sottoposte al tentativo obbligatorio di mediazione civile e commerciale; ne consegue che, qualora il procedimento sia già stato esperito, ma con riferimento alle sole domande principali, il Giudice dovrà assegnare un termine per la sua rinnovazione.
Trib. Firenze Sez. III, 27 aprile 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi dell’art. 5, comma 2-bis, D.Lgs. n. 28/2010, la condizione di procedibilità della domanda giudiziale si considera avverata quando il primo incontro davanti al mediatore si conclude senza accordo, non essendo sufficiente la mera proposizione della relativa istanza.
Trib. Vasto, 23 aprile 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di mediazione, alle parti non può essere riconosciuto un potere di veto assoluto ed incondizionato sulla possibilità di dar seguito alla procedura di mediazione, comportando, una siffatta eventualità, il rischio di legittimare condotte delle parti tese ad aggirare l’applicazione effettiva della normativa in materia di mediazione, frustrando la finalità stessa dell’istituto, che non è quella di introdurre una sorta di adempimento burocratico svuotato di ogni contenuto funzionale e sostanziale, ma che, invece, consiste nell’offrire ai contendenti un’utile occasione per cercare una soluzione extra giudiziale della loro vertenza, in tempi più rapidi ed in termini più soddisfacenti rispetto alla risposta che può fornire il Giudice con la sentenza. Ne consegue che sono illegittime tutte quelle condotte contrarie alla ratio legis della mediazione e poste in essere dalle parti al solo scopo di eludere il dettato normativo.
In tema di mediazione delegata, la parte che non compare al primo incontro, ha l’onere di esplicitare le ragioni del rifiuto di svol¬gere una mediazione demandata dal giudice, pena l’improcedibilità della domanda e/o l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4-bis, D.Lgs. n. 28/2010.
Trib. Torino, 30 marzo 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il procedimento di mediazione esperito senza l’assistenza di un avvocato non può considerarsi validamente svolto sicché la do¬manda giudiziale dovrà essere dichiarata improcedibile.
Trib. Firenze Sez. III, 24 marzo 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La partecipazione della parte sostanziale alla mediazione costituisce ha natura di atto personalissimo e non delegabile, in consi¬derazione dell’assunto che l’istituto della mediazione, quale mezzo alternativo di risoluzione delle controversie, mira, mediante il ruolo e la professionalità del mediatore, a riattivare la comunicazione tra le parti in conflitto al fine di verificare la possibilità di so¬luzione conciliativa della vertenza. In tale contesto è del tutto coerente con la logica dell’istituto che il ruolo del difensore tecnico deve essere di mera assistenza della parte che partecipa alla mediazione e non mai di rappresentanza degli interessi della stessa.
Trib. Napoli, 14 marzo 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Anche per le mediazioni attivate su disposizione del giudice, la domanda di mediazione deve essere presentata mediante depo¬sito dell’istanza presso un organismo che abbia sede nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia e il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza stessa ha carattere di perentorietà.
Trib. Napoli, 14 marzo 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di mediazione, il termine concesso dal giudice ex art. 5, comma 2 del D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28 per il deposito della istanza di mediazione ha natura perentoria e detta natura la si desume anche dalla gravità della sanzione prevista, atteso che l’improcedibilità della domanda giudiziale comporta la necessità di emettere sentenza di puro rito, così impedendo al processo di pervenire al suo esito fisiologico.
Anche per le mediazioni attivate su disposizione del giudice è vincolante la previsione di cui al novellato art. 1, comma 3, D.Lgs. n. 28/2010: la domanda di mediazione va presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo di mediazione del luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. La domanda di mediazione presentata unilateralmente dinanzi ad un organismo che non ha competenza territoriale, non produce effetti.
Trib. Ivrea, 11 marzo 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il termine concesso dal giudice per attivare la procedura di mediazione, in base all’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 28 del 2010, mediante deposito dell’istanza presso l’organismo deputato, deve considerarsi perentorio.
Trib. Trento, 23 febbraio 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione verte, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, sulla parte opponente poiché l’art. 5, D.Lgs. n. 28 del 2010 deve essere interpretato in conformità alla sua ratio e, dunque, al principio della ragionevole durata del processo, sulla quale può incidere negativamente il giudizio di merito che l’opponente ha interesse ad introdurre. In tal senso, invero, posto che l’onere di esperire il tentativo di mediazione grava sulla parte che ha interesse al processo e il potere di iniziarlo e che nel giudizio di opposizione tale soggetto è l’opponente, su questi deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria, pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo.
Trib. Firenze Sez. II, 15 febbraio 2016 (Società, 2016, 10, 1146 nota di MINELLI)
In tema di opposizione a decreto ingiuntivo l’onere di attivare la procedura mediativa grava sulla parte opposta. E’ infatti la parte opposta quella che ha deciso di portare in giudizio il proprio conflitto per la tutela di un suo diritto; ed è questa parte per prima che deve riflettere sulla possibilità di una più adeguata soddisfazione dei suoi interessi nel caso concreto attraverso strumenti più informali e duttili, o attraverso la ricomposizione di un rapporto di natura personale o commerciale.
Trib. Monza Sez. I, 10 febbraio 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La mancata ingiustificata partecipazione della controparte al procedimento di mediazione attivato dall’istante, non è idonea ad implicare nel successivo giudizio di merito una condanna della stessa parte al pagamento delle spese di mediazione, non con¬template dall’art. 8 del D.Lgs. n. 28 del 2010.
App. Firenze, 29 gennaio 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In relazione al procedimento per convalida di sfratto, il tentativo di mediazione, previsto dall’art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 28 del 2010, diviene condizione di procedibilità unicamente dopo la pronuncia dei provvedimenti adottati nella fase sommaria, dovendosi ritenere esperibile solo dopo il mutamento del rito disposto all’udienza ex art. 667 c.p.c. e, quindi, anche dopo la pronuncia dei provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666 c.p.c. e per il giudizio a cognizione piena derivato dalla opposizione e dal successivo mutamento del rito. È onere della parte avviare il procedimento di mediazione all’esito del mutamento del rito e, di conseguenza, la verifica di cui all’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28 citato è operata solo all’udienza fissata ex art. 667 c.p.c..
Trib. Roma Sez. VIII, 28 gennaio 201(Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La Pubblica Amministrazione è tenuta alla partecipazione al procedimento di mediazione in quanto la partecipazione al proce¬dimento di mediazione demandata è obbligatoria per legge e proprio in considerazione di ciò non è giustificabile una negativa e generalizzata scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione neppure ove tale condotta muova dal timore di incorrere in danno erariale a seguito della conciliazione.
Trib. Roma Sez. XIII, 25 gennaio 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di mediazione, la riservatezza è limitata al merito della lite e non agli atti di svolgimento del procedimento ed al rifiuto, espresso al primo incontro, di proseguire nella mediazione. Tale rifiuto, anzi, deve essere verbalizzato, affinché il giudice possa trarne le valutazioni di competenza: ai sensi dell’art. 8, co. 4-bis, D.Lgs. n. 28/2010, infatti, dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, cui deve essere equiparato l’ingiustificato rifiuto a proseguire la mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova.
Trib. Verona Sez. III, 18 dicembre 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ambito di un giudizio promosso per ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito di lesioni procurate dalla somministra¬zione dei vaccini esavalente e antipneumococco, le domande – rientranti tra quelle soggette a mediazione ai sensi dell’art. 5, co. 1-bis, D.Lgs. n. 28/10 – formulate dal convenuto, nonché dai terzi intervenienti e dallo stesso attore in reconventio reconven¬tionis impongono lo svolgimento della mediazione, anche qualora l’attore l’abbia già svolta prima dell’instaurazione del giudizio.
Trib. Milano Sez. XIII, 9 dicembre 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia condominiale ed al fine di evitare l’improcedibilità dell’opposizione ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis del Decreto Legi¬slativo del 4 marzo 2010 n. 28, è onere dell’opponente di avviare il procedimento di mediazione rivestendo questi la veste pro¬cessuale di attore e mirando la sua attività, sostanzialmente, ad impedire che il decreto ingiuntivo divenga definitivo sia propo¬nendo tempestivamente l’opposizione, sia evitando l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 653 del Codice di Procedura Civile.
Trib. Milano Sez. XIII, 9 dicembre 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente ha la veste processuale di attore e la sua attività, essenzialmente, ha l’onere di impedire che il decreto ingiuntivo divenga definitivo, sia proponendo tempestivamente e ritualmente l’opposizione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 647 e 650 c.p.c.; sia evitando che il processo si estingua, ai sensi dell’art. 653 c.p.c. Suo è, quindi, l’interesse non solo a proporre e coltivare il giudizio di opposizione ma anche a consentirne la procedibilità. Ne consegue che, una volta dichiarata l’improcedibilità del giudizio di opposizione per mancato esperimento della mediazione, il corollario giuridico di detta pronuncia non potrà che essere la conferma del decreto ingiuntivo opposto, come avviene nel caso di estinzione del processo.
Trib. Roma, 30 ottobre 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La circostanza che prima e fuori della causa sia stata proposta una domanda di mediazione (volontaria o obbligatoria), non è impeditiva all’esercizio ed all’attivazione da parte del Giudice della mediazione demandata di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28 del 2010 in ragione della diversità di presupposti e contesto nei quali si collocano la mediazione obbligatoria e quella demandata.
Trib. Roma, 5 dicembre 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La circostanza che prima e fuori della causa sia stata proposta una domanda di mediazione (volontaria o obbligatoria), non è impeditiva all’esercizio ed all’attivazione da parte del Giudice della mediazione demandata di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28 del 2010.
Trib. Roma, 14 dicembre 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Qualora alla procedura di mediazione disposta dal giudice una delle parti non abbia partecipato in assenza di valide e comprovate giustificazioni, sussistendo concrete possibilità conciliative frustrate da detta irrituale partecipazione, attese le conseguenze che possono derivare a carico delle parti dalla mancata o irrituale partecipazione alla mediazione, il giudice può concedersi alle stesse la possibilità di rinnovare la mediazione in modo rituale.
Cass. civ. Sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24629 (Foro It., 2016, 4, 1, 1319)
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo vertente su materie per le quali è obbligatorio l’esperimento della mediazione, grava sul debitore opponente il relativo onere, avendo questi l’interesse all’instaurazione e alla prosecuzione del processo ordi¬nario di cognizione, a pena di improcedibilità dell’opposizione.
Trib. Milano Sez. IX, 14 ottobre 2015 (Giur. It., 2016, 2, 374 nota di DALMOTTO)
Deve essere disposto il procedimento di mediazione ex officio, ai sensi dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, quando ciò appaia opportuno per i seguenti motivi: l’incertezza circa l’esito del giudizio; la natura fiduciaria del pregresso rapporto nego¬ziale intercorso tra attore e convenuto, che potrebbe favorire la trattativa; il modesto valore economico della controversia; la gravità dell’incombente istruttorio costituito dal giuramento decisorio, chiesto per contrastare l’altrui eccezione di prescrizione presuntiva (Nel caso di specie, un avvocato aveva agito frazionando in più procedimenti il proprio credito verso l’ex cliente. Già da una prima delibazione il giudice aveva quindi potuto indicare, quale ragione per disporre d’ufficio la mediazione, da un lato il rischio per la parte attrice che la causa potesse concludersi subito con una declaratoria di improcedibilità e dall’altro il rischio per la parte convenuta che essa potesse proseguire attraverso la semplice riunione dei processi frazionati, rilevando il frazionamento solo agli effetti della pronuncia in punto di spese. Inoltre, il giudice, ravvisando in questo un ulteriore motivo di favore per la mediazione, ha ricordato che sarebbe stata facoltà del mediatore considerare i fatti di lite in modo complessivo, così affrontando in modo cumulativo, ai fini della conciliazione, la questione dei crediti fatti valere frazionati).
Trib. Palermo Sez. II, 18 settembre 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il termine di decadenza per l’impugnazione della delibera assembleare viene sospeso – per una sola volta – dalla domanda di mediazione, ma non dal giorno della sua presentazione, bensì, dal momento della comunicazione alle parti.
Trib. Chieti, 8 settembre 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’interesse concreto alla presentazione dell’istanza di mediazione deve essere individuato in capo alla parte opponente, quale parte “interessata” ad evitare il prospettabile “passaggio in giudicato” dell’opposto decreto, nell’ipotesi di mancato avveramento della condizione.
Cass. civ. Sez. VI, 2 settembre 2015, n. 17480 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La previsione della mediazione obbligatoria quale condizione di proponibilità della domanda non concerne, per materia, la con¬troversia avente ad oggetto la richiesta di risarcimento danni conseguenti alla perdita del numero telefonico in relazione alla portabilità dell’utenza dal precedente gestore. Di talché, dalla previsione di cui agli artt. 3 e seguenti della legge n. 249 del 1997, secondo cui il tentativo obbligatorio di conciliazione deve svolgersi presso l’organismo del luogo in cui è ubicata la postazione fissa dell’utente finale ovvero del domicilio da questo indicato in sede contrattuale ex legge n. 249 del 1997, non può discendere che anche l’Autorità giudiziaria competente alla cognizione della controversia deve essere individuata secondo lo stesso criterio, alla luce della disposizione dell’art. 4, D.Lgs. n. 28 del 2010, né può conseguire il principio della necessaria coincidenza tra la competenza territoriale dell’organismo conciliativo e quella dell’ufficio giudiziario dinanzi al quale portare la controversia. Di talché la generica previsione della corrispondenza tra luogo di organismo di mediazione e giudice territorialmente competente a conoscere della controversia, indicata nell’art. 4, D.Lgs. n. 28 del 2010 per le cause non a mediazione obbligatoria, non può tro¬vare applicazione nella controversia de qua che, essendo regolata dalla legge n. 249 del 1997 secondo un modulo di conciliazione preventiva obbligatorio, presuppone che sussista il rapporto di condizionamento tra previo esperimento della fase pre-giuidiziale e causa, rapporto non predicabile in base all’art. 2, D.Lgs. n. 28 citato. Inoltre assume rilievo dirimente la circostanza che la re¬gola di corrispondenza tra luogo dell’organismo di conciliazione e luogo del giudice competente deve essere rovesciata, poiché in tal modo opinando si verificherebbe una distorsione delle regole processuali sulla competenza. Il meccanismo legislativo postula che sia dapprima individuato il foro giudiziale e solo di riflesso l’organismo a cui accedere in fase conciliativa.
Trib. Palermo Sez. I, 29 luglio 2015 (Contratti, 2015, 11, 1027)
Ai sensi del D.Lgs. n. 28/2010, in tema di mediazione obbligatoria potrà considerarsi formata la condizione di procedibilità se all’incontro vi è la presenza personale delle parti e se le parti effettuano un tentativo di mediazione vero e proprio, in considera¬zione della lettera e della ratio delle disposizioni di cui al citato D.Lgs. n. 28/2010 atteso che l’istituto della mediazione mira ad un’effettiva interazione tra le parti di fronte al mediatore che deve potere comprendere gli interessi delle stesse parti al fine di una soluzione extragiudiziale della controversia.
Il responsabile dell’organismo di mediazione deve necessariamente fissare il primo incontro tra le parti e non può revocare tale fissazione all’esito della comunicazione della mancata adesione ad opera della parte chiamata, la quale comporta, in assenza di giustificazione, l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 8, comma 4-bis, D.Lgs. n. 28 del 2010.
Trib. Roma, 16 luglio 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nonostante che ai sensi dell’art. 5, comma 4, del decreto legislativo 28 del 2010 le prescrizioni relative alla mediazione obbli¬gatoria ed a quella demandata non si applicano al procedimento di consulenza tecnica preventiva, tuttavia un invito del giudice alle parti di andare in mediazione è possibile anche in tali casi e il giudice ben può prospettare alle parti in alternativa a quella, usuale, della nomina di un consulente tecnico di ufficio, l’introduzione di una procedura di mediazione, nell’ambito della quale le parti possono invitare e sollecitare il mediatore alla nomina di un consulente tecnico, con i relativi indubbi aspetti positivi del percorso di mediazione.
Trib. Firenze, 2 luglio 2015 (Contratti, 2015, 10, 919)
Il provvedimento di rigetto dell’istanza di omologazione dell’accordo di mediazione ex art. 12, D.Lgs. n. 28/2010 ai sensi dell’art. 13, D.M. n. 180/2010 va comunicato anche all’Organismo di mediazione, Servizio di Conciliazione della Camera di Commercio ed al responsabile del predetto Organismo.
Trib. Verona Sez. III, 25 giugno 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Se solo una delle domande proposte in giudizio è soggetta a mediaconciliazione obbligatoria e l’altra no (e nemmeno all’obbligo di negoziazione assistita), non è opportuno disporne la separazione per consentire l’espletamento della formalità di rito della mediazione, perché ciò facendosi si comprometterebbe la prospettiva conciliativa che deve necessariamente investire tutta la controversia, ben potendo per contro il giudice disporre la mediazione anche per la domanda che non sia soggetta all’obbligo in questione.
Trib. Vasto Ordinanza, 23 giugno 2015 (Corriere Giur., 2016, 8-9, 1085 nota di RUVOLO)
Le parti sono libere di scegliere l’organismo di mediazione al quale rivolgersi, ma sono tenute a partecipare personalmente, assistite dal proprio difensore, all’incontro preliminare, informativo e di programmazione, che si svolgerà davanti al mediatore dell’organismo prescelto e nel quale verificheranno se sussistano effettivi spazi per procedere utilmente in mediazione.
La mancata partecipazione personale delle parti senza giustificato motivo agli incontri di mediazione può costituire per la parte attrice causa di improcedibilità della domanda e, in ogni caso, per tutte le parti costituite, presupposto per l’irrogazione – anche nel corso del giudizio – della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4-bis, D.Lgs. n. 28/10, oltre che fattore da cui de¬sumere argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.c.
Nella scelta dell’organismo di mediazione, è opportuno che le parti si rivolgano ad enti il cui regolamento non contenga clausole limitative del potere, riconosciuto al mediatore dall’art. 11, secondo comma, del D.Lgs. n. 28/10, di formulare una proposta di conciliazione quando l’accordo amichevole tra le parti non è raggiunto, in particolare restringendo detta facoltà del mediatore al solo caso in cui tutte le parti gliene facciano concorde richiesta; tali previsioni regolamentari frustrano, infatti, lo spirito della norma – che è quello di stimolare le parti al raggiungimento di un accordo – e non consentono al giudice di fare applicazione delle disposizioni previste dall’art. 13 del citato decreto, in materia di spese processuali, così vanificandone la ratio ispiratrice, tesa a disincentivare rifiuti ingiustificati di proposte conciliative ragionevoli.
Incombe sul mediatore l’onere di verbalizzare i motivi eventualmente addotti dalle parti assenti per giustificare la propria mancata comparizione personale e, comunque, di adottare ogni opportuno provvedimento finalizzato ad assicurare la presenza personale delle stesse, ad esempio disponendo – se necessario – un rinvio del primo incontro o sollecitando anche informalmente il difensore della parte assente a stimolarne la comparizione ovvero dando atto a verbale che, nonostante le iniziative adottate, la parte a ciò invitata non ha inteso partecipare personalmente agli incontri, né si è determinata a nominare un suo delegato (diverso dal difensore), per il caso di assoluto impedimento a comparire.
Trib. Roma, 29 maggio 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non può affermarsi che ogni qualvolta la controparte ritenga erronea la tesi della parte che l’ha convocata in mediazione, e pertanto inutile la sua partecipazione all’esperimento di mediazione, essa sia validamente dispensata dal comparirvi, in quanto, così ragionando, sussisterebbe sempre in ogni causa un giustificato motivo di non comparizione.
Trib. Genova Sez. III, 15 giugno 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
E’ esclusivo onere e interesse dell’opponente – pena l’improcedibilità della opposizione con conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto – instaurare il procedimento di mediazione ex d.lgs. 28/2010, ove prevista. Il decreto ingiuntivo, infatti, acquista esecutività sia quando viene dichiarata l’inammissibilità dell’opposizione tardiva, sia nell’ipotesi di costituzione tardiva dell’opponente, sia per il caso di dichiarazione di estinzione del giudizio.
Trib. Firenze, 4 giugno 2015 (Giur. It., 2015, 11, 2374 nota di BENIGNI)
Il mancato esperimento del procedimento di mediazione nel termine assegnato dal giudice determina l’improcedibilità della domanda.
Cons. Stato Sez. IV, 22 aprile 2015, n. 1694 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di mediazione delle controversie civili e commerciali, le spese di avvio sono dovute per il primo incontro di cui all’art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010.
Trib. Taranto, 16 aprile 2015 (Quotidiano Giuridico, 2015 nota di DI MARCO)
Quando la mediazione è disposta dal giudice, e cioè quando si atteggia come condizione di procedibilità e non vi sia quindi pos¬sibilità di rinnovarla in caso di inerzia, dovendosi dichiarare l’improcedibilità della domanda, un’interpretazione giurisprudenziale tende a far sì che il suo esperimento sia effettivo e non si esaurisca alla fin fine in una forma di rallentamento ulteriore del pro¬cesso, ma l’improcedibilità non può essere una sanzione.
In materia di mediazione delegata il suo esperimento deve essere effettivo, tenendo però presente che l’anzidetta effettività non può spingersi fino al punto di ritenere che si applichi la sanzione dell’improcedibilità anche quando la parte rifiuta di partecipare immotivatamente alla mediazione.
Trib. Roma, 9 aprile 2015 (Contratti, 2015, 6, 606)
La mancata presenza e partecipazione della parte all’incontro stabilito per la mediazione obbligatoria non comporta ipso iure la definizione del procedimento, posto che il mediatore, se la parte presente lo richiede, può nominare un consulente tecnico d’ufficio e formulare una proposta se il regolamento dell’organismo lo prevede.
Trib. Massa, 26 marzo 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La mancata allegazione all’atto introduttivo del giudizio dell’informativa in forma scritta resa alla parte assistita in relazione alla possibilità di avvalersi della procedura di mediazione civile, ex art. 4, comma 3, D.Lgs. n. 28 del 2010, determina la sola annullabilità del contratto d’opera professionale concluso tra l’avvocato ed il proprio assistito e giammai conseguenze sul piano processuale.
Trib. Monza Sez. II, 26 marzo 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Conformemente a quanto disposto dall’art. 5 del Decreto Legislativo del 4 marzo 2010 n. 28 come modificato dal Decreto Legge del 21 giugno 2013 n. 69, deve ritenersi che l’elenco ivi contenuto sia da intendersi tassativo giacché limita l’accesso del citta¬dino alla tutela giudiziaria escludendola per quelle ipotesi diffamatoria che tuttavia si realizzino attraverso vie diverse dal mezzo stampa o da altro mezzo di pubblicità. Ne consegue che le discussioni tenute all’interno delle riunioni consiliari non rientrino in tale tipologia di danno.
Trib. Torino Sez. III, 23 marzo 2015 (Giur. It., 2015, 10, 2121 nota di BENIGNI)
In tema di mediazione obbligatoria, essa trova applicazione anche nel processo sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis c.p.c., atteso che non è il rito a determinare l’obbligatorietà del procedimento di mediazione, bensì la natura della controversia.
Trib. Vasto, 9 marzo 2015 (Giur. It., 2015, 8-9, 1885 nota di MOTTIRONI)
Nel caso in cui il giudice disponga di attivare un procedimento di mediazione “delegata”, la parte, al fine di soddisfare la condi¬zione di procedibilità, ha l’onere di comparire personalmente davanti al mediatore.
Sia per la mediazione obbligatoria da svolgersi prima del giudizio ex art. 5, comma 1-bis, D.Lgs. n. 28/2010, sia per la me¬diazione demandata dal giudice, ex art. 5, comma 2, è necessario – ai fini del rispetto della condizione di procedibilità della domanda – che le parti compaiano personalmente (assistite dai propri difensori, come previsto dal successivo art. 8) all’incontro con il mediatore. Graverà su quest’ultimo, in qualità di soggetto istituzionalmente preposto ad esercitare funzioni di verifica e di garanzia della puntuale osservanza delle condizioni di regolare espletamento della procedura, l’onere di adottare ogni opportuno provvedimento finalizzato ad assicurare la presenza personale delle parti, ad esempio disponendo – se necessario – un rinvio del primo incontro, sollecitando anche informalmente il difensore della parte assente a stimolarne la comparizione, ovvero dando atto a verbale che, nonostante le iniziative adottate, la parte a ciò invitata non ha inteso partecipare personalmente agli incontri, né si è determinata a nominare un suo delegato (diverso dal difensore), per il caso di assoluto impedimento a comparire.
Qualora il tentativo di mediazione, disposto dal giudice, sia stato infruttuosamente esperito fra i soli avvocati delle parti, il giu¬dicante non potrà che dichiarare l’improcedibilità del giudizio, posto che la sanatoria prevista all’art. 5, comma 1-bis, D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, per i casi di mediazione obbligatoria ex lege si applica solamente nei casi in cui la mediazione, alla data del rilievo giudiziale, non sia stata attivata ovvero non risulti ancora terminata, non anche al caso in cui essa si sia effettivamente svolta, ma in violazione delle prescrizioni che regolano il suo corretto espletamento.
Trib. Nola, 24 febbraio 2015 (Giur. It., 2015, 5, 1123 nota di BENIGNI)
Alla dichiarazione d’improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo per mancato esperimento della mediazione prevista quale condizione di procedibilità della domanda consegue la conferma del decreto ingiuntivo opposto.
Trib. Monza, 17 dicembre 2014 (Giur. It., 2015, 6, 1407 nota di BENIGNI)
Nel caso in cui il tentativo di mediazione obbligatoria sia iniziato dinnanzi ad un organismo incompetente territorialmente, il giu¬dice deve concedere un successivo ulteriore termine per l’avvio del tentativo dinnanzi all’organismo competente, non ostandovi l’inutile decorso, nel frattempo, del termine trimestrale ex art. 6 del D.Lgs. n. 28/2010 (art. 4, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010).
Trib. Firenze, 26 novembre 2014 (Riv. Dir. Proc., 2015, 2, 558 nota di RAITI)
A mente dell’art. 5, commi 1° bis e 2°, D.Lgs. n. 28/2010, non può dirsi integrata la condizione di procedibilità dell’azione giuri¬sdizionale in mancanza di un effettivo avvio del tentativo, che le parti non hanno il potere d’inibire al primo incontro.
Il tentativo di mediazione deve svolgersi con la presenza personale delle parti.
Trib. Bologna Sez. III, 11 novembre 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’ipotesi in cui all’incontro davanti al mediatore compaiano i soli difensori, anche in rappresentanza delle parti, non può consi¬derarsi in alcun modo mediazione, come si desume dalla lettura coordinata dell’art. 5, comma 1bis e dell’art. 8, che prevedono che le parti esperiscano o partecipino al procedimento mediativo con l’”assistenza degli avvocati”, e questo implica la presenza degli assistiti, personale o a mezzo di delegato, cioè di soggetto comunque diverso dal difensore.
Trib. Firenze Sez. III, 30 ottobre 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di avviare il procedimento di mediazione delegata disposto dal Giudice spetta alla parte opponente, non alla parte opposta. E’ quanto si legge nella sentenza del 30 ottobre 2014 del Tribunale di Firenze.
Trib. Verona, 28 ottobre 2014 (Contratti, 2015, 2, 187)
La controversia inerente un contratto di apertura di credito rientra tra quelle soggette all’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione atteso che per controversie bancarie ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis del D.Lgs. n. 28/2010 devono intendersi quelle relative a contratti aventi ad oggetto operazioni o servizi bancari.
Trib. Bologna, 5 giugno 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’ordine del giudice di attivare il procedimento di mediazione può intendersi osservato, secondo le disposizioni di cui agli artt. 5, comma 5 bis e 8, D.Lgs. n. 28 del 2010, come modificato dalla legge n. 98 del 2013 ed alla luce del contesto europeo nel quale si collocano, solo in caso di presenza della parte (o di un di lei delegato), accompagnato dal difensore e non anche in caso di com¬parsa del solo difensore, anche quale delegato della parte. La natura della mediazione, invero, di per sé richiede che all’incontro dinanzi al mediatore siano presenti di persona (anche e soprattutto) le parti, poiché l’istituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica neces¬sariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore.
Trib. Firenze Sez. II, 19 marzo 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso in cui il giudice disponga la mediazione, la condizione di procedibilità non è soddisfatta quando i difensori si recano dal mediatore e, ricevuti i suoi chiarimenti su funzione e modalità della mediazione, dichiarano il rifiuto di procedere oltre. In caso di mediazione ex officio, è necessario che le parti compaiano personalmente (assistite dai propri difensori come previsto dall’art. 8 del D.Lgs. n. 28/2010) e che la mediazione sia effettivamente avviata (Trib. Firenze, 19 marzo 2014).
Trib. Verona, 27 gennaio 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 4, comma 1, d.Lgs. 28/2010, come introdotto dall’art. 84, comma 1, lett. b, del D.L. 21 giugno 2013 n.69, convertito con modificazioni nella L.9 agosto 2013 n.98, non attribuisce rilievo, ai fini della determinazione della competenza per territorio dell’organismo di mediazione, a criteri diversi da quelli contenuti nella sezione III del titolo primo del c.p.c., cosicchè non rileva¬no, al fine suddetto, eventi processuali come la litispendenza o la continenza.
Trib. Milano Sez. IX, 29 ottobre 2013 (Giur. It., 2014, I, 88 nota di BESSO)
Anche per le mediazioni disposte del giudice è vincolante la previsione di cui al novellato art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010: la domanda di mediazione, pertanto, va presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice terri-torialmente competente per la controversia. Trattandosi di norme legate alla mera competenza territoriale, è chiaro che le parti — se tutte d’accordo — possono porvi deroga rivolgendosi, con domanda congiunta, ad altro organismo scelto di comune accordo. La domanda di mediazione presentata unilateralmente dinanzi all’organismo che non ha competenza territoriale non produce effetti.
La previsione, da parte della legge n. 98 del 2013, di parziale riforma del testo del D.Lgs. n. 28 del 2010, della possibilità per il giu¬dice (anche di appello) di disporre l’esperimento del procedimento di mediazione (cosiddetta mediazione ex officio), è applicabile anche ai procedimenti pendenti. Il fascio applicativo della disciplina in esame, inoltre, prescinde dalla natura della controversia, e, dunque, dall’elenco delle materie sottoposte alla mediazione obbligatoria ex art. 5, comma primo-bis, del citato D.Lgs. n. 28 del 2010, e, per l’effetto, può ricadere anche su un controversia avente ad oggetto il recupero di un credito rimasto insoddisfatto. La mediazione, pertanto, può essere esperita anche nella controversia avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza del Giudice di primo grado, adito per l’opposizione al precetto notificato dall’un coniuge all’altro per il pagamento delle somme da questi dovute a titolo di mantenimento della prole successivamente alla declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Trib. Milano, 29 ottobre 2013 (Foro It., 2014, 4, 1, 1319)
Anche per le mediazioni attivate su disposizione del giudice, è vincolante la previsione di cui al novellato art. 4, comma 3°, D.Lgs. n. 28/2010: la domanda di mediazione, pertanto, va presentata mediante deposito di istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia, salva la facoltà per le parti di derogare a tale limite, rivolgendosi con domanda congiunta ad altro organismo, scelto di comune accordo. La domanda di mediazione presentata unilateralmente dinanzi all’organismo che non ha competenza territoriale non produce effetti.
Cass. civ. Sez. Unite, 22 luglio 2013, n. 17781 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto alla ragionevole durata del processo, quale diritto fondamentale della persona, non è disponibile, né suscettibile di conciliazione, a differenza del diritto all’equa riparazione per durata irragionevole, che, quale diritto patrimoniale, è soggetto alla disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione, in aderenza alla “ratio” di deflazione del contenzioso giudiziario. Per¬tanto, la domanda di mediazione comunicata entro il termine semestrale ex art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 impedisce, “per una sola volta”, ai sensi dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, la decadenza dal diritto di agire per l’equa riparazione, potendo quest’ultimo essere ancora esercitato, ove il tentativo di conciliazione fallisca, entro il medesimo termine di sei mesi, decorrente “ex novo” dal deposito del verbale negativo presso la segreteria dell’organismo di mediazione. (Cassa con rinvio, App. Brescia, 07/06/2011)
Corte cost. 6 dicembre 2012, n. 272 (Foro It., 2013, 4, 1, 1091)
È incostituzionale l’art. 5, comma 1, D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, nella parte in cui introduce, a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle materie ivi espressamente elencate, l’obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione, prevede che l’esperimento della mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che l’improcedibilità debba essere eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice.
Deve essere dichiarata l›illegittimità costituzionale dell›art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28 del 2010, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost; la declaratoria deve essere estesa all›intero comma 1, perché gli ultimi tre periodi sono strettamente collegati a quelli precedenti (oggetto delle censure), sicché resterebbero privi di significato a seguito della caducazione di questi. Infatti, la disciplina dell›UE si rivela neutrale in ordine alla scelta del modello di mediazione da adottare, la quale resta demandata ai singoli Stati membri, purché sia garantito il diritto di adire i giudici competenti per la definizione giudiziaria delle controversie; inoltre l›art. 60 della legge n. 69 del 2009 non esplicita in alcun modo la previsione del carattere obbligatorio della mediazione finalizzata alla conciliazione; infine, quanto alla finalità ispiratrice del detto istituto, consistente nell›esigenza di individuare misure alternative per la definizione delle controversie civili e commerciali, anche al fine di ridurre il contenzioso gravante sui giudici professionali, va rilevato che il carattere obbligatorio della mediazione non è intrinseco alla sua ratio, come agevolmente si desume dalla previsione di altri moduli procedimentali (facoltativi o disposti su invito del giudice), del pari ritenuti idonei a perseguire effetti deflattivi e quindi volti a semplificare e migliorare l›accesso alla giustizia.

Matrimonio nullo per la Chiesa, convivenza coniugale non rilevabile d’ufficio dai giudici italiani

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 13 gennaio – 1 marzo 2017, n. 5250
Presidente Ragonesi – Relatore Lamorgese
Fatti di causa
La Corte d’appello di Caltanissetta, con sentenza 18 dicembre 2014, ha rigettato la domanda di G. G. che
aveva chiesto di dichiarare efficace in Italia la sentenza del Tribunale ecclesiastico regionale Siculo, del 28
ottobre 2011, confermata in appello in data 10 ottobre 2012, dichiarativa della nullità del matrimonio
concordatario contratto con M. A. il 16 settembre 1997, per esclusione dell’indissolubilità del vincolo
matrimoniale e della prole. La Corte ha ritenuto che la predetta sentenza ecclesiastica non fosse
delibabile, ostandovi il fatto, di ordine pubblico, che dopo la celebrazione del matrimonio i coniugi
avevano convissuto per un considerevole periodo di tempo e per oltre tre anni, in applicazione della
sentenza delle Sezioni Unite n. 16379 del 2014.
G. G. ha proposto ricorso per cassazione, con il quale ha denunciato la violazione e falsa applicazione di
legge, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c, per avere il giudice di merito rilevato d’ufficio il fatto della
prolungata convivenza, che costituiva oggetto di eccezione in senso stretto che la parte, rimasta
contumace, non aveva sollevato nel giudizio di merito. La M. non ha svolto attività difensiva.
Ragioni della decisione
Il ricorso è manifestamente fondato, avendo la sentenza impugnata deciso la causa in senso contrario al
principio secondo cui la convivenza triennale come coniugi, quale situazione giuridica di ordine pubblico
ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio, è oggetto di un’eccezione in
senso stretto, non rilevabile d’ufficio, né opponibile dal coniuge, essendo caratterizzata da una
complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di
responsabilità di natura personalissima (v. Cass., sez. un., n. 16379/2014).
Il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Caltanissetta, in
diversa composizione, anche per le spese.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di
Caltanissetta, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Non sussiste un obbligo di concertazione preventiva alla spesa straordinaria per il figlio fra gli ex coniugi, ma il dissenso deve essere espresso e motivato

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 9 dicembre 2016 – 23 febbraio 2017, n. 4753

Rilevato che in data 20 ottobre 2016 è stata depositata relazione ex art. 380 bis c.p.c. che qui si riporta.
Rilevato che
1. M. T. D. G. ha agito in via monitoria nei confronti del marito P. D’A. per ottenere il rimborso di spese straordinarie (inerenti alla sfera sanitaria e scolastica) da lei effettuate in favore della figlia I.. La D. G. deduceva nel ricorso per ingiunzione che, in base al regime di separazione vigente all’epoca dell’effettuazione delle spese, il D’A. era tenuto al pagamento del 70% delle spese straordinarie scolastiche, ludiche e mediche non coperte dal SSN per la figlia e che pertanto era creditrice, per la quota parte del marito, di Euro 2.582,09 per spese sanitarie (cure di ortodonzia in favore della figlia), di Euro 263,30 per spese scolastiche e di Euro 186,79 per l’acquisto di materiale didattico, per un ammontare complessivo di Euro 3.032,08.
2. P. D’A. ha impugnato il D.I. emesso il 12.06.2009 dal Tribunale di Roma con il quale è stato ingiunto il pagamento della somma richiesta di Euro 3.032,08 eccependo che: a) nonostante il regime di affido condiviso della figlia, egli non era stato preventivamente avvisato e consultato circa l’ingente spesa straordinaria; b) qualora fosse stato previamente avvisato, la figlia avrebbe potuto beneficiare di una convenzione medica in suo favore; c) la moglie non aveva provato la natura medico-curativa della spesa e la sua urgente necessità.
3. Si è costituita in giudizio la Sig.ra D. G. chiedendo il rigetto dell’opposizione e proponendo, in via riconvenzionale, la condanna al risarcimento del danno da lite temeraria nella misura di complessivi Euro 1.500,00.
4. Il Tribunale, con sentenza n. 1236/13, ha accolto l’opposizione del D’A. e revocato il D.I. ritenendo non dovute le somme richieste perché relative a spese effettuate precedentemente al regime di separazione e perché non riconducibili alla categoria delle spese straordinarie e non concordate preventivamente come imposto dal regime di affidamento condiviso.
5. M. T. D. G. ha proposto appello avverso tale sentenza, ribadendo le difese svolte in primo grado; in particolare ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 co. 3 cc. per aver il Giudice erroneamente ritenuto sussistente un obbligo imprescindibile di concertazione e di condivisione preventiva delle spese straordinarie, anche di quelle mediche necessarie. Una interpretazione della norma che, secondo l’appellante, comporterebbe una lesione degli interessi del minore di fronte a rifiuti ingiustificati del genitore non collocatario.
6. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 6575/14, ha confermato la decisione di primo grado ritenendo fondata l’esclusione del diritto al rimborso delle spese effettuate prima della separazione e delle spese effettuate senza essere preventivamente concordate. La Corte distrettuale ha condannato la D. G. al rimborso delle spese processuali del giudizio di appello, liquidandole in complessivi Euro 6.000,00, oltre spese forfettarie.
7. M. T. D. G. ricorre per Cassazione avverso tale sentenza, affidandosi a due motivi: a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 155 co. 3 cc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. b) in via subordinata al rigetto del primo motivo, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e 92 c.p.c. e del R.G.L. n. 1578/1933 art. 60, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. e con riferimento all’art. 384 co. 4 c.p.c.
8. Con il primo motivo la ricorrente sostiene che il Giudice di primo grado ha erroneamente ritenuto sussistente un obbligo imprescindibile di concertazione e di condivisione delle spese straordinarie, obbligo non previsto dall’ordinanza presidenziale emessa il 22 gennaio 2008 nel corso del giudizio di separazione con la quale si statuiva che il padre “provvede al pagamento del 70% delle spese straordinarie scolastiche mediche non coperte dal SSN e ludiche per la figlia”. In virtù di detto provvedimento, la Sig.ra D. G. non aveva ritenuto di dover previamente concordare le spese straordinarie in favore della figlia con il marito e tale convinzione si era basata su un orientamento giurisprudenziale anteriore alla riforma del 2012 in base al quale si affermava che “non è configurabile a carico del coniuge affidatario alcun obbligo di previa concertazione con l’altro coniuge sulla determinazione delle spese straordinarie” (Cass. Civ. Sez. I., sent. n. 2182/2009; n. 5262/1999). La normativa e la giurisprudenza successiva non può secondo la ricorrente essere applicata retroattivamente.
9. Con il secondo motivo di ricorso M. T. D. G. lamenta che il giudice di secondo grado avrebbe liquidato le spese processuali in una somma superiore al doppio della sorte oggetto del giudizio richiesta a titolo di spesa straordinaria, nonché superiore ai limiti tabellari, violando così le disposizioni in materia di spese processuali. La ricorrente rileva inoltre che il ricorso è stato proposto in pendenza di istanza di correzione di errore materiale per la erronea liquidazione di spese di secondo grado, il cui accoglimento potrebbe privare parzialmente l’interesse del ricorso.
Ritenuto che
10. Il primo motivo di ricorso è infondato, sia pure per ragioni non completamente coincidenti con quelle esposte nella motivazione della Corte di appello. Infatti la giurisprudenza di legittimità invocata dalla ricorrente prevede, comunque, nel regime precedente la legge n. 54/2006, l’obbligo di concertazione per le decisioni di maggiore interesse e non esclude il sindacato del giudice sulla soggezione del coniuge non affidatario al rimborso delle spese necessarie non concordate (cfr. Cass. civ. sez. I n. 2182 del 28 gennaio 2009 secondo cui in tema di separazione personale dei coniugi, poiché l’art. 155 cod. civ., nel testo in vigore prima della modifica apportata con la legge n. 54 del 2006, consente al coniuge non affidatario di intervenire nell’interesse dei figli soltanto con riguardo alle “decisioni di maggiore interesse”, non è configurabile a carico del coniuge affidatario alcun obbligo di previa concertazione con l’altro coniuge sulla determinazione delle spese straordinarie, nei limiti in cui esse non implichino decisioni di maggior interesse per i figli; tuttavia, tale principio non è inderogabile, essendo sempre possibile che il giudice, ai sensi del secondo e del terzo comma della norma citata, determini, oltre che la misura, anche i modi con i quali il coniuge non affidatario contribuisce al mantenimento dei figli, in modo difforme da quanto previsto in linea di principio dalla legge). 11. Secondo la giurisprudenza più recente non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro coniuge in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, trattandosi di decisione “di maggiore interesse” per il figlio e sussistendo, pertanto, a carico del coniuge non affidatario, un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso. Ne consegue che, nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all’ interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità e della sostenibilità della spesa stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori (Cass. civ. sez. VI-1 ord. n. 16175 del 30 luglio 2015).
12. Nella specie tale verifica della rispondenza delle spese all’interesse del minore è stata compiuta dal giudice di merito rilevando che il rifiuto di provvedere al loro rimborso si era basato giustificatamente sulla possibilità di affrontare la spesa medica necessaria mediante l’utilizzazione della convenzione sanitaria correlata all’attività professionale del padre. 13. Il secondo motivo è parzialmente fondato. Se è vero, infatti, quanto rilevato dal controricorrente richiamando l’art. 4 D.M. Giust. N. 55/2014 (e cioè che “il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate stabilendo che vi possa essere un aumento dei parametri indicati fino ad una misura dell’80%, in considerazione del pregio dell’attività prestata, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche ivi trattate e che, ex art. 4 punto 8 il compenso da liquidare giudizialmente a carico del soccombente costituito può essere aumentato fino ad un terzo rispetto a quello altrimenti liquidabile quando le difese della parte vittoriosa sono risultate particolarmente fondate”) rimane tuttavia fermo il principio giurisprudenziale per cui il giudice che deroga ai massimi tariffari è tenuto a motivare espressamente le ragioni della deroga (cfr. Cass. civ. sez. I n. 20289 del 9 ottobre 2015).
14. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’ impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per il rigetto del primo motivo del ricorso e l’accoglimento parziale del secondo motivo. La Corte condivide la relazione sopra riportata e pertanto ritiene che il ricorso debba essere accolto limitatamente al secondo motivo. Le spese del giudizio di appello vanno pertanto determinate in 5.100 Euro di cui 100 per spese. In relazione all’esito del presente giudizio le spese vanno compensate per metà e per la quota residua vanno poste a carico della ricorrente.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo, cassa in relazione alla predetta decisione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ridetermina in 5.100 Euro le spese del giudizio di appello. Compensa per metà le spese del giudizio di cassazione e pone la quota residua a carico della ricorrente liquidandola nella metà di 2.600 Euro, di cui 100 Euro per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.

Indagini tributarie necessarie se sono profondamente migliorate le condizioni economiche di uno dei coniugi

Cass. ord. 20 febbraio 2017 n° 4292

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19041/2014 proposto da:
C.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EZIO 12, presso lo studio dell’avvocato GIAN ETTORE GASSANI che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 162, presso lo studio dell’avvocato LUCIA SCALONE DI MONTELAURO che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato LORIANO CECCANTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 697/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 22/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/02/2017 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO RAGONESI. La Corte:
Svolgimento del processo- Motivi della decisione
Questa Corte, quanto al primo e al secondo motivo di ricorso (che appare necessario trattare prioritariamente in applicazione del principio della ragione più liquida della decisione), si è già pronunciata in materia affermando che: “In tema di divorzio, il giudice del merito, ove ritenga “aliunde” raggiunta la prova dell’insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell’assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto della relativa istanza, anche senza aver prima disposto accertamenti d’ufficio attraverso la polizia tributaria, atteso che l’esercizio del potere officioso di disporre, per il detto tramite, indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita rientra nella sua discrezionalità, non trattandosi di un adempimento imposto dall’istanza di parte, purchè esso sia correlabile anche per implicito ad una valutazione di superfluità dell’iniziativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisiti” (Cass. n. 14336/2013, Acierno, Rv. 626778).
Ed ancora che: “In tema di determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l’esercizio del potere del giudice che, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, può disporre – d’ufficio o su istanza di parte – indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova; l’esercizio di tale potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicchè la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati (Cass. n. 2098/2011, Cultrera, Rv. 626778).
Nella specie, la decisione relativa è stata assunta dalla Corte di Appello in senso non conforme a tale orientamento.
In particolare occorre considerare come nella sua estrema sintesi la motivazione della Corte di Appello non renda evidente, nè motivi in alcun modo in ordine alla richiesta di accertamento sui redditi proposta dalla C.. In tal senso appare significativo il bagaglio istruttorio, certamente rilevante, fornito dalla stessa in ordine all’evidente progressione delle risorse economiche e dei valori patrimoniali riferibili al P. nel corso del giudizio.
La C. ha materialmente allegato elementi obiettivi in tal senso, ovvero l’eredità immobiliare conseguente ad decesso del padre del P., così come l’acquisto di beni mobiliari superflui e di valore certamente indicativo di capacità economica aumentata (due vetture di lusso ed una motocicletta), bagaglio istruttorio incompleto e certamente non completabile con gli ordinari mezzi di prova dalla C., soprattutto considerata la limitata produzione delle dichiarazioni dei redditi da parte dell’ex coniuge (di fatto ammessa dallo stesso P. nel suo controricorso, produzione intervenuta solo in sede di comparsa conclusionale per le dichiarazioni dei redditi anno 2012 in relazione a sentenza depositata in data 14.1.2014), circostanza che appunto portava ad introdurre l’istanza di indagini tributarie sui redditi.
E’ in tale contesto che dunque avrebbe dovuto intervenire il potere di integrazione officioso del Tribunale e il mancato accoglimento della istanza di parte in tal senso non ha trovato adeguata valutazione nella motivazione della sentenza della Corte di Appello, nè emerge per implicito una valutazione di superfluità della iniziativa avendo la Corte contrapposto ad una serie di dati di fatto le valutazioni e giustificazioni sul punto fornite dalla parte, che chiaramente hanno una portata limitata e non risolutiva (affermazioni relative al non essere riuscito a portare a reddito con locazioni i beni immobili ereditati, che pur tuttavia sono entrati a far parte del patrimonio del P. in epoca successiva all’avvio del giudizio e determinazione dell’assegno di mantenimento).
Così come non appare elemento sufficiente a ritenere implicitamente superata l’esigenza di un accertamento sui redditi la “verosimiglianza” della congiuntura economica rispetto all’affermazione del P. in ordine al reddito ottenuto dagli immobili ricevuti in eredità, non essendo stato tale elemento di valutazione, meramente probabilistico ed eventuale, posto in correlazione con la istanza della C. di indagini sui redditi.
L’accoglimento dei motivi di ricorso determina l’assorbimento dei residui motivi di articolati, collegati in situazione di consequenzialità ai motivi oggetto di valutazione principale.
Vista la memoria che non aggiunge elementi ulteriori di valutazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese della fase di legittimità.
Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2017

Condivisibile la scelta di mutare l’affido alternato in condiviso

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 21 novembre 2016 – 14 febbraio 2017, n. 4060

D. e C. E. sono i genitori, all’epoca conviventi, di una adolescente nata fuori dal matrimonio il 29.10.2001. A seguito della cessazione della convivenza della coppia, i due genitori, redigevano una scrittura privata per la regolazione dei rapporti anche in ordine all’educazione ed al mantenimento della figlia, prevedendo, tra l’altro, l’affidamento alternato della minore. Dopo un periodo abbastanza lungo, C. E. nel 2011 contestava inadempimenti del T. ed adiva il Tribunale minorile, ottenendo in buona sostanza la riproduzione in molo giudiziario dei patti a suo tempo stipulati con l’ex convivente. Elemento di contrasto rimaneva il regime delle spese straordinarie, cui il T. riteneva di non dover contribuire quando non concordate. Con provvedimento emesso il 5/10-2-2014, in procedura promossa da T. D. ex art. 739 C.p.c, il Tribunale per i minorenni di Brescia disponeva l’affido condiviso della ragazza ai genitori con collocamento prevalente presso la madre, regolamentava il regime delle visite del padre, fissava l’importo dovuto mensilmente dal ricorrente per il mantenimento della minore, disponeva la ripartizione al 50% tra i genitori degli oneri relativi alle spese straordinarie da sostenersi per la minore, confermava l’autorizzazione a completare il ciclo delle scuole medie presso l’istituto privato (a pagamento) ove essa era stata iscritta dalla madre. La decisione era impugnata da T. D. innanzi alla Corte d’Appello di Brescia che, valorizzando anche le risultanze dell’audizione della figlia minore – la quale aveva all’epoca dodici anni e mezzo – innanzi al Tribunale minorile, anche in considerazione delle esigenze, da essa manifestata, di un più prolungato contatto con la madre, oltre a soffrire dei continui cambi di abitazione conseguenti al passato affidamento alternato ai genitori, confermava l’affidamento condiviso della minore con collocamento prevalente presso la madre e regolamentazione del diritto di visita del padre. In ordine all’autorizzazione alla frequenza della scuola privata, secondo la Corte, il ricorrente si era limitato a lamentare che la madre aveva scelto di iscrivere la figlia presso onerosa scuola privata, senza aver prima concordato la scelta, ma non aveva illustrato le ragioni che inducevano a ritenere si trattasse di una scelta sbagliata. Diversamente deve osservarsi,- ha rilevato la Corte d’Appello” che la minore risultava già iscritta al secondo anno di corso, e che il cambiamento della scuola avrebbe potuto arrecarle pregiudizio, non mancando di ricordare che nel passato anche il T. aveva concordato sull’iscrizione della figlia in scuola privata. Nel ricorso per cassazione T. D. contesta “l’unilaterale decisione della madre di iscrivere la figlia presso un istituto scolastico privato … anziché un istituto pubblico nonché l’onere imposto al padre dissenziente di provvedere al pagamento della retta della scuola privata per la quota di un mezzo”, e propone innanzitutto osservazioni astrattamente condivisibili , circa la finalizzazione a stimolare l’esercizio concordato della genitorialità promosso dalla legislazione sull’affido condiviso, a tutela del principio della bigenitorialità. In riferimento al caso specifico, quindi, il ricorrente contesta l’illegittimità della decisione assunta dalla Corte territoriale, perché il giudice del merito non avrebbe dovuto avallare una iniziativa, l’iscrizione della figlia minore presso Istituto scolastico privato, non concordata ed addirittura opposta dal padre. Il ricorrente invoca quindi pure il dettato Costituzionale per affermare la piena affidabilità dell’istruzione pubblica. L’impugnante evidenzia poi che la frequenza presso la scuola privata importa il pagamento di una retta, la quale viene fatta gravare per metà sul ricorrente, che non solo si è trovato a subire una scelta educativa che non condivide, ma ne deve pure sopportare gli oneri in misura significativa. Oltre a ciò egli sottolinea che neppure lo standard educativo assicurato dalla scuola privata prescelta dalla madre appare adeguato in quanto, per la stessa ammissione di controparte (che se ne valeva per evidenziare i problemi che sarebbero sorti se la bambina fosse passata alla scuola pubblica), la minore stava studiando una sola lingua straniera, diversamente dalle scuole pubbliche dove se ne studiano due.
Il ricorrente rinnova pure le contestazioni avverso la modifica del regime di affidamento alternato ai genitori nel regime di affidamento condiviso della adolescente con collocamento prevalente presso la madre e regolamentazione delle visite del padre, che ha pure quale conseguenza una minore frequenza tra lui e la ragazza. In particolare, 1 impugnante ha sottolineato che la Corte di merito ha fondato la sua valutazione sui risultati dell’audizione della minore, ritenendo di interpretarne i desideri ed erroneamente parificandoli all’interesse morale e materiale della minore stessa che era invece chiamata a tutelare. Tanto illustrato, occorre evidenziare che non si ravvisano violazioni di legge, in ordine alle quali le censure sono peraltro proposte in modo inadeguato. In sostanza il ricorrente, pur invocando la violazione di norme di diritto, propone contestazioni in ordine a profili e situazioni di fatto, per larga parte insuscettibili di controllo in questa sede, a fronte di una decisione impugnata che appare invece caratterizzata da motivazione adeguata e non illogica. In particolare questa Corte ha già avuto modo di precisare che “Non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione di concertazione preventiva con l’altro, in ordine alla determinazione delle spese straordinarie (nella specie, spese di soggiorno negli U.S.A. per la frequentazione di corsi di lingua inglese da parte di uno studente universitario di lingue) costituente decisione “di maggiore interesse” per il figlio, sussistendo, pertanto, a carico del coniuge non affidatario un obbligo di rimborso, qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso” (Cass. sez. I, 19607/2011; conforme, da ultimo, Cass. sez. VI-I, 16175/2015). E’ indubbio che la legislazione sull’affido condiviso privilegia l’accordo dei genitori in materia di scelte educative che riguardano i figli, tanto è vero che, se agiscono d’intesa, essi possono in molti casi anche modificare di comune accordo le stesse indicazioni fornite dal giudice, senza necessità neppure di comunicazione, come ha già sottolineato la Corte territoriale. Nondimeno, quando il rapporto tra i genitori non consente il raggiungimento di un’intesa, occorre assicurare ancora la tutela del migliore interesse del minore. L’opposizione di un genitore non può paralizzare l’adozione di ogni iniziativa che riguardi un figlio minorenne, specie se di rilevante interesse, e neppure è necessario ritrovare l’intesa prima che l’iniziativa sia intrapresa, fermo restando che compete al giudice, ove ne sia richiesto, verificare se la scelta adottata corrisponde effettivamente all’interesse del minore. Nel caso in esame la Corte d’Appello, ed il Tribunale minorile prima, hanno valutato opportuno per la minore, che manifesta pure alcune peraltro non gravi difficoltà, evitare il trauma conseguente al possibile spostamento nella scuola pubblica dopo aver frequentato per un anno una scuola privata. Valutazione adeguata e ragionevole, perciò incensurabile in questa sede. Può quindi prescindersi da ulteriori considerazioni sul mutato animo del ricorrente che, risulta in atti, aveva un tempo condiviso la scelta di iscrivere la figlia alla scuola privata. Quanto alle contestazioni di merito proposte nel ricorso per cassazione circa la scuola privata in cui la figlia è stata iscritta dalla madre, a parte ogni considerazione circa la loro tempestività, deve osservarsi che è possibile esprimere un giudizio, soltanto confrontando l’intera offerta formativa proposta dalla scuola privata in questione con quelle offerte dalle scuole pubbliche viciniori, e non è certo possibile operare la valutazione sulla base della sola, maggiore o minore, programmazione dell’insegnamento di lingue straniere. Tanto deve ribadirsi anche a seguito della lettura della memoria, depositata dal ricorrente, mediante la quale il T. sostiene, tra l’altro, che sarebbe gravata sulla madre la prova che la scuola privata risultava preferibile per la bambina. In materia merita solo di essere confermato che la prova compete a chi afferma un determinato fatto, così come a chi lo nega. Inoltre, già la Corte d’Appello aveva individuato le ragioni che inducevano a propendere per l’opportunità della frequentazione della scuola da parte della minore presso l’Istituto privato, cui già si è fatto riferimento. Quanto alla sostituzione all’affidamento alternato dell’affidamento condiviso della minore ai genitori, con collocazione prevalente presso la madre e regolamentazione del regime delle visite paterne, il ricorrente contesta che il rilievo assegnato alle dichiarazioni raccolte dalla minore sia stato ingiustificatamente assorbente. Occorre premettere che quelli che il ricorrente indica quali “desideri” di sua figlia possono correttamente leggersi come le “esigenze” di un’adolescente, che pure il sistema giudiziario deve contribuire a tutelare. L’affido alternato, tradizionalmente previsto come possibile dal diritto di famiglia italiano, è rimasta una soluzione educativa di limitate applicazioni, essendo stato ripetutamente affermato che esso assicura buoni risultati quando vi è un preciso accordo tra i genitori e tutti i soggetti coinvolti, anche il figlio, condividono la soluzione. Non ci sono dubbi, poi, che modificare continuamente la propria casa di abitazione può avere un effetto destabilizzante per molti minori. La scelta dei giudici di merito di disporre l’affidamento condiviso, assolutamente privilegiato dal nostro ordinamento, appare in definitiva condivisibile, oltre che adeguatamente motivata, e pertanto risulta insuscettibile di critica motivata innanzi al Giudice di legittimità. Il Collegio condivide la relazione proposta, e ritiene di rigettare il ricorso. Stante la soccombenza del ricorrente, e preso atto che non vi sono altre parti costituite, nulla occorre provvedere in ordine alle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196/03.