L’autosufficienza economica è il solo parametro da utilizzare ai fini della valutazione del diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio

Cass. civ. Sez. VI – 1, 9 ottobre 2017, n. 23602
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
ORDINANZA
sul ricorso 28355/2015 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO FESTELLI;
– ricorrente –
contro
L.P.V., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ENRICO MARIA SINATRA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1254/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 27/08/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 07/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE.
Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Palermo, con sentenza 27 agosto 2015, in accoglimento del gravame di L.P.V., ha posto a carico di A.A. l’obbligo di versare all’ex coniuge un assegno divorzile di Euro 200,00 mensili, avendo ritenuto che la L.P., benché svolgesse un’attività lavorativa dipendente e le fosse stata assegnata la casa coniugale, non avesse redditi adeguati a conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, tenuto conto del divario tra le retribuzioni delle parti e della necessità di riequilibrare le situazioni economiche degli ex coniugi.
Avverso questa sentenza A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi; la L.P. ha resistito con controricorso e memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione dellaL. n. 898 del 1970,art.5, comma 6, succ. mod., per avere giustificato l’attribuzione dell’assegno divorzile per la presunta necessità di consentire all’ex coniuge di conservare il tenore di vita matrimoniale, mentre la funzione dell’assegno è esclusivamente assistenziale; la L.P. aveva mezzi e redditi che le consentivano di vivere un’esistenza autonoma e dignitosa, essendo stata assunta a tempo indeterminato, mentre egli aveva subito un peggioramento delle proprie condizioni economiche.
Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata ha fatto applicazione di un orientamento interpretativo, in tema di verifica delle condizioni legali per l’attribuzione dell’assegno divorzile, che è stato recentemente superato da questa Corte (Cass. n. 11504 e n. 15481 del 2017), la quale ha enunciato il seguente principio: il giudice del divorzio, richiesto dell’assegno di cui allaL. 1 dicembre 1970, n. 898,art.5, comma 6, come sostituito dallaL. 6 marzo 1987, n. 74,art.10, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi: a) deve verificare, nella fase dell’an debeatur”, se la domanda dell’ex coniuge richiedente soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di “mezzi adeguati” o, comunque, impossibilità “di procurarseli per ragioni oggettive”), non con riguardo ad un “tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio”, ma con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica” dello stesso, desunta dai principali “indici” – salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie – del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri “lato sensu” imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), della capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso e al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge; b) deve tener conto, nella fase del “quantum debeatur”, di tutti gli elementi indicati dalla norma (“condizioni dei coniugi”, “ragioni della decisione”, “contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”, “reddito di entrambi”) e valutare “tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio” al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno divorzile, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova.
La Corte di merito ha accolto la domanda di assegno divorzile sulla base del mero “divario tra le retribuzioni delle parti” e della inadeguatezza dello stipendio percepito dalla L.P. “se raffrontato alla situazione economica in costanza di matrimonio”.
Tuttavia, non è il divario tra le condizioni reddituali delle parti al momento del divorzio né il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente l’assegno rispetto alla situazione (o al tenore) di vita matrimoniale, che possono giustificare di per sé l’attribuzione dell’assegno, ma la mancanza della “indipendenza o autosufficienza economica” del coniuge richiedente l’assegno. Infatti, nella fase del giudizio concernente man debeatur” (con la quale in nessun modo può essere confusa la fase del “quantum debeatur”), il coniuge richiedente l’assegno, per il principio di autoresponsabilità economica, è tenuto quale “persona singola” a dimostrare la propria personale condizione di non indipendenza o autosufficienza economica, sulla base degli indici sopra indicati in via orientativa. Alle condizioni reddituali dell’altro coniuge (unitamente agli altri elementi, di primario rilievo, indicati dalla norma) può aversi riguardo soltanto nell’eventuale fase della quantificazione dell’assegno, alla quale è possibile accedere solo nel caso in cui la fase dellman debeatur” si sia conclusa positivamente per il coniuge richiedente l’assegno.
Gli altri due motivi, riguardanti la valutazione del tenore di vita matrimoniale e del rilievo da attribuire all’assegnazione della casa coniugale, sono assorbiti.
In conclusione, la sentenza impugnata è cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, che dovrà fare applicazione dei principi sopra enunciati e provvedere sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.
Così deciso in Roma, il 7 luglio 2017.
Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2017

L’assegno di divorzio è sicuramente dovuto se la moglie è anziana e non può più lavorare

Cass. civ. Sez. I, 19 ottobre 2017, n. 24805
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.F., elettivamente domiciliata in Roma, via Silvio Pellico 24, presso lo studio dell’avv. Cesare Romano Carello, che la rappresenta e difende unitamente all’avv. Donatella Mazzoni, per procura speciale a margine del ricorso, e dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo presso il fax 0574/21609 e la p.e.c. donatellamazzoni-pec.avvocati.prato.it;
– ricorrente –
nei confronti di:
T.A., elettivamente domiciliato in Roma, viale Bruno Buozzi 59, presso lo studio dell’avv. Stefano Giorgio, dal quale è rappresentato e difeso, mandato in calce al controricorso, unitamente all’avv. Alessandra Rosati i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni relative al processo presso gli indirizzi p.e.c. stefanogiorgio-ordineavvocatiroma.org e alessandrarosati-pec.avvocati.prato.it e il fax 0574/32505;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 635/2013 della Corte d’appello di Firenze, emessa in data 15 febbraio 2012 e depositata il 24 aprile 2013, R.G. n. 2196/12;
sentito il Pubblico Ministero in persona del sostituto procuratore generale dott. Ceroni Francesca, che ha concluso per l’accoglimento di entrambi i ricorsi.
Svolgimento del processo
che:
1. Il Tribunale di Prato, con sentenza n. 966/2011, ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il (OMISSIS) da M.F. e T.A. cui ha imposto il 1versamento di un assegno divorzile mensile di 1.300 Euro con rivalutazione secondo indici ISTAT. Il Tribunale ha riscontrato una sperequazione reddituale e patrimoniale in favore del T., titolare di un reddito complessivo di 60.000 Euro annui e proprietario di beni stimati complessivamente in 400.000 Euro a fronte dell’assenza di redditi da parte della M. proprietaria di beni stimati in complessivi 100.000 Euro.
2. Ha proposto appello la M. che ha chiesto la fissazione dell’assegno in misura almeno doppia rispetto a quella determinata dal Tribunale e ciò in considerazione delle ingenti somme nella disponibilità del T. e del tenore di vita elevato goduto dall’appellante nel corso del matrimonio.
3. La Corte di appello di Firenze, con sentenza 635/2013, accogliendo parzialmente l’appello ha rideterminato in 1.700 Euro l’assegno divorzile confermando per il resto la decisione appellata.
4. Ricorre per cassazione M.F. con cinque motivi: a) violazione o falsa applicazionedell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 3; b) violazione e falsa applicazionedell’art. 161 c.p.c., comma 1; c) omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e violazione o falsa applicazionedell’art. 24 Cost.,art. 115 c.p.c.eart. 2697 c.c., d) nullità della sentenza per mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia; e) violazione o falsa applicazionedell’art. 244 c.p.c.5. Si difende con controricorso T.A. e propone ricorso incidentale con il quale deduce: a) violazione e falsa applicazione dellaL. n. 898 del 1970,art.5e vizio di motivazione su fatti controversi e decisivi; b) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi del giudizio, nullità della sentenza, exart. 132 c.p.c., n. 4 eart. 360 c.p.c., n. 4, per omessa esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione; c) violazione o falsa applicazioneart. 115 c.p.c..omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto della non ammissione delle prove richieste.
6. Le parti depositano memorie difensive.
Motivi della decisione
che:
7. Con il primo motivo di ricorso la M. si duole del mancato accoglimento delle istanze probatorie intese a dimostrare l’esatto tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, la sua posizione lavorativa nel corso del matrimonio, le circostanze che le impediscono di procurarsi mezzi economici adeguati, le attuali condizioni reddituali e patrimoniali del T.. La ricorrente ritiene che la mancata trascrizione delle conclusioni si sia tradotta in omesso esame di tali richieste istruttorie e in difetto di motivazione su punti rilevanti della controversia.
8. Il motivo è infondato perché sovrappone una asserzione di mancato esame delle richieste istruttorie alla rilevata mancata trascrizione delle conclusioni nella sentenza di primo grado che i giudici dell’appello hanno considerato irrilevante per la constatata pronuncia del giudice di prima istanza sull’intero spettro delle domande proposte dalle parti.
9. Con il secondo motivo la ricorrente rileva che ha errato la Corte di appello laddove ha negato rilevanza alla violazionedell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 ritenendo che il giudice dell’appello deve comunque decidere anche in presenza di un tale vizio comportante la nullità. Ritiene infatti la ricorrente che in tal modo è stato violato il principio dell’assorbimento delle nullità in motivi di gravame secondo una linea interpretativa non condivisibile che impedisce il rilievo di tutte le nullità ad eccezione di quelle previste dall’art. 354.
10. Anche questo motivo deve ritenersi infondato perché la decisione si base sul rilievo della inesistenza della pretesa nullità e solo in via meramente argomentativa ad abundantiam sull’eventuale obbligo di motivazione nel merito da parte del giudice di appello qualora fosse stata riscontrata l’ipotesi della violazionedell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.
11. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta che la mancata ammissione dei mezzi di prova richiesti ha comportato una compressione del suo diritto di difesa e una omessa valutazione su fatti rilevanti e decisivi ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile.
12. Con il quarto motivo la ricorrente censura la motivazione in quanto acriticamente recettiva delle conclusioni della C.T.U. 13. Con il quinto motivo di ricorso la M. censura la mancata ammissione dei capitoli di prova relativi alle nuove occupazioni lavorative del T..
14. I tre motivi che possono essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione sono inammissibili perché intesi sostanzialmente a una riedizione del giudizio di merito e comunque infondati perché la Corte di appello è pervenuta alla sua decisione che presuppone l’inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione della M. prendendo in considerazione la assenza di reddito della M., la sua condizione di sostanziale preclusione al mercato del lavoro, la relativa modestia del capitale disponibile per effetto dello scioglimento delle situazioni comproprietarie con il marito, la durata del matrimonio e l’apporto garantito nel suo corso non solo alla vita familiare e alla crescita dei figli ma anche alla attività economica del marito.
15. Con il primo motivo di ricorso incidentale il T. lamenta l’erronea rappresentazione della situazione economica delle parti.
16. Con il secondo motivo censura l’acritico recepimento delle conclusioni del C.T.U..
17. Con il terzo motivo censura la quantificazione operata dal C.T.U. dì redditi diversi che sono stati attribuiti alle parti.
18. Anche questi motivi possono essere esaminati congiuntamente e, oltre ad essere in gran parte inammissibili per la loro strumentalità a una riedizione del giudizio di merito, sono infondati nel loro nucleo centrale che si caratterizza per la censura di acritico recepimento della C.T.U. Censura da ritenersi infondata perché la Corte di appello ha tratto da essa l’accertamento e la definizione di fatti che sostanzialmente le parti non contestano e che hanno portato i giudici dell’appello a ritenere con un giudizio sufficientemente e logicamente motivato che la M. dopo un matrimonio durato 35 anni (dalla sua celebrazione del (OMISSIS) alla separazione consensuale del (OMISSIS)) e dichiarato sciolto definitivamente, con la sentenza di divorzio del (OMISSIS), non è in possesso di mezzi adeguati ad affrontare la propria vita di donna ormai settantunenne e priva di redditi lavorativi. Quanto alla compatibilità dell’ammontare dell’assegno con le capacità economiche del T. la Corte di appello si è basata sull’accertamento peritale con una motivazione che non appare sindacabile in questa sede.
19. Entrambi i ricorsi vanno pertanto respinti con compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003,art.52.
Ai sensi delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art.13, comma 1quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017