Confermato l’assegno di divorzio alla ex moglie ultracinquantenne

Cass. Civ.,Sez. VI -1, Ord., 12gennaio 2021, n. 289; Pres. Acierno, Rel. Cons.Di Marzio
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ACIERNO Maria -Presidente -Dott. DI MARZIO Mauro -rel. Consigliere -Dott. IOFRIDA Giulia -Consigliere -Dott. LAMORGESE Antonio Pietro-Consigliere -Dott. CAMPESE Eduardo -Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20398-2018 proposto da:
Z.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TRIONFALE 5697, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO IOPPOLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PATRIZIA MALTAGLIATI;-ricorrente -controL.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ASIAGO 8, presso lo studio dell’avvocato STEFANO SANTARELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELO SCOTTO;-controricorrente –
avverso la sentenza n. 141/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 29/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DI MARZIO MAURO.
Svolgimento del processo CHE: 1. -Z.G. ricorre per due mezzi, nei confronti di L.A., contro la sentenza del 29 dicembre 2017 con cui la Corte d’appello di Genova ha parzialmente accolto il suo appello, riducendo la misura dell’assegno in favore della L. da Euro 400 a Euro 300 mensili, avverso sentenza del locale Tribunale che, pronunciato lo scioglimento del matrimonio in precedenza celebrato tra i due, aveva assegnato la casa familiare ad esso Z., ponendo a suo carico il mantenimento del figlio Y. e l’assegno nella misura detta a favore dell’ex coniuge.2. -L.A. resiste con controricorso.
Motivi della decisione CHE:3. -Il primo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Esso attiene all’omesso esame del giudicante in ordine al fatto che la L. avrebbe piena capacità lavorativa e, nonostante ciò, si sarebbe sempre resa indisponibile su base volontaria a reperire tale attività, trasferendo il centro dei propri interessi in Francia quando ancora, in corso di separazione, aveva l’assegnazione della casa coniugale, non presentandosi al centro per l’impiego e rifiutando di svolgere colloqui lavorativi presso posti di lavoro (Hotel M.). Conseguente esclusione dal diritto all’assegno divorzile e, per converso, sussistenza in capo alla stessadi un obbligo alla contribuzione al mantenimento del figlio Y..Il secondo motivo denuncia violazionedell’art. 132 c.p.c.,comma 2, n. 4 in relazioneall’art. 360 c.p.c.,comma 1, n. 4. Nullità della sentenza per motivazione apparente. Con esso si censura la sentenza di secondo grado nella parte in cui, nel valutare il motivo di impugnazione afferente l’erronea compensazione delle spese legali solo parziale al 50% applicata dal Giudice di primo grado, in una situazione di reciproca soccombenza, alla luce della asserita cattiva condotta processuale ed extraprocessuale dell’odierno ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe tautologicamente ritenuto corretta tale ripartizione, senza fornire motivazione reale alcuna a sostegno di tali statuizioni, statuendo semplicemente come il Sig. Z. fosse risultato soccombente rispetto alle domande di ordine economico.RITENUTO CHE:4. -Il ricorso è inammissibile.4.1. -E’ inammissibile il primo motivo.La Corte d’appello si è difatti soffermata sul fatto controverso della capacità lavorativa della L.A., affermata dallo Z. e negata dalla donna, osservando che “pur non essendo realistico pensare che oggi, a 53 anni possa utilmente e proficuamente inserirsi nel mondo del lavoro, non vantando neppure alcuna specifica esperienza pregressa, tuttavia occorre anche valutare la circostanza che la stessa si sia trasferita spontaneamente a Parigi, dove, pur potendo contare sugli aiuti di amici e parenti, è lecito supporre svolga anche saltuaria attività lavorative per provvedere al proprio sostentamento”. Il tutto avendo la Corte territoriale ben presente che, secondo la prospettazione dello Z. la donna aveva rifiutato una “proposta di lavoro che l’odierno appellante le aveva procurato presso l’Hotel M. di Genova” (pagina 3 della sentenza impugnata).Non ricorre dunque l’omessa considerazione di un fatto decisivo e controverso, tanto più che il ricorrente non ha spiegato per quale ragione la mancata presentazione presso il centro per l’impiego e ad un colloquio di lavoro presso l’Hotel M., circostanza, peraltro, negata dalla donna, dimostrerebbero la sua capacità lavorativa, e, cioè, sarebbe decisiva (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053): ed anzi appare manifesto che detta mancata presentazione decisiva non è affatto, giacchè non ricorre alcuna implicazione necessaria tra essa e l’effettiva sussistenza della capacità lavorativa cui lo Z. si riferisce.4.2. -E’ inammissibile il secondo motivo.La Corte territoriale ha respinto la domanda dell’appellante volta ad ottenere una diversa ripartizione -dunque ritenuta congrua in sede di appello -delle spese di lite del giudizio di primo grado, compensate al 50% in virtù della reciproca soccombenza rispetto alle domande proposte dalle parti, imputandole per la restante metà a carico di esso Z., risultato soccombente rispetto alle domande di carattere economico, riproposte in grado di appello.Orbene, la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensidell’art. 92, comma 2, c.p.c.,rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. 20 dicembre 2017, n. 30592).5. -Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021

Il concetto di “parte” del processo si esprime nel diritto del minore di essere ascoltato

Cass. Civ.,Sez. I,ord. 25 gennaio 2021 n. 1474-Genovese, Rel. Cons. ValituttiMinori
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. GENOVESE Francesco A. -Presidente -Dott. VALITUTTI Antonio -rel. Consigliere -Dott. LAMORGESEAntonio Pietro -Consigliere -Dott. CARADONNA Lunella -Consigliere -Dott. FIDANZIA Andrea -Consigliere -ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 36520/2018 proposto da:A.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Giardini Giovanni Luca, giusta procura in calce al ricorso;-ricorrente –
contro
B.E., elettivamente domiciliata in Roma, Piazzale Don G. Minzoni n. 9, presso lo studio dell’avvocato Luponio Riccardo, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
Contro
Procura Generale della Repubblica di Ancona;-intimata –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositato il 20/09/2018 udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/11/2020 dal Cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO.
Svolgimento del processo1. Con decreto depositato il 16 marzo 2018, il Tribunale di Pesaro, su ricorso di B.E., affidava i figli minori Ac.As. e N. -nati dalla relazione more uxorio intrattenuta dalla medesima con A.A. -congiuntamente ai genitori, con collocamento prevalente presso la madre, stabilendo le modalità ed i tempi di permanenza dei minori presso il padre, e ponendo a carico di quest’ultimo un assegno di mantenimento, quantificato in Euro 600,00 mensili, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat, nonchè le spese straordinarie nella misura del 50%.2. Con decreto n. 4055/2018, depositato il 20 settembre 2018, la Corte d’appello di Ancona rigettava il reclamo proposto da A.A., confermando in toto la decisione di primo grado. La Corte territoriale
-per quel che qui interessa -riteneva di non procedere all’audizione dei due figli minori della coppia, reputandolo contrario al loro interesse, e di non ammettere, in quanto irrilevanti per la decisione, i mezzi di prova richiesti dal reclamante.3. Per la cassazione di tale ordinanza, ha proposto ricorso A.A. nei confronti di B.E., affidato a due motivi. La resistente ha replicato con controricorso e con memoria.Motivi della decisione1. Va anzitutto rilevato che il decreto della corte di appello, contenente -come nel caso di specie -i provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e le disposizioni relative al loro mantenimento, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., poichè già nel vigore della L. 8 febbraio 2006, n. 54 -che tendeva ad assimilare la posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio -ed a maggior ragione dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, che ha abolito ogni distinzione, al predetto decreto vanno riconosciuti i requisiti della decisorietà, in quanto risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e di definitività, perchè ha un’efficacia assimilabile “rebus sic stantibus” a quella del giudicato (Cass., 26/03/2015, n. 6132; Cass., 07/02/2017, n. 3192).2. Tanto premesso in via pregiudiziale, va considerato, nel merito, che, con il primo motivo di ricorso, A.A. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 315 bis, 336 bis e 337 octies c.c., art. 12 della Convenzione di New York e art. 6 della Convenzione di Strasburgo sui diritti dei minori, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.1.1. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello, in violazione delle disposizioni succitate, non abbia inteso disporre l’audizione quanto meno di Ac.As., la più grande dei due figli delle parti in causa, sebbene la medesima avesse già compiuto gli (OMISSIS) anni e fosse, quindi, perfettamente in grado di esprimersi in ordine all’affidamento all’uno o all’altro genitore.1.2. Il mezzo è fondato.1.2.1. Va osservato, al riguardo, che l’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la L. n. 77 del 2003, nonchè dell’art. 315-bis c.c. (introdotto dalla L. n. 219 del 2012) e degli artt. 336-bis e 337-octies c.c. (inseriti dal D.Lgs. n. 154 del 2013, che ha altresì abrogato l’art. 155-sexies c.c.).
L’ascolto del minore di almeno (OMISSIS) anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce, pertanto, una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonchè elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse. Costituisce, pertanto violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto che non sia sorretto da espressa motivazione sull’assenza di discernimento che ne può giustificare l’omissione, in quanto il minore è portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore, in sede di affidamento e diritto di visita e, per tale profilo, è qualificabile come parte in senso sostanziale (Cass. Sez. U., 21/10/2009, n. 22238; Cass., 26/03/2015, n. 6129; Cass., 07/05/2019, n. 12018; Cass., 30/07/2020, n. 16410).1.2.2. Ne discende che in tutti i procedimenti previsti dall’art. 337 bis c.c., laddove si assumano provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l’audizione del minore infradodicenne, capace di discernimento, costituisce adempimento previsto a pena di nullità, in relazione al quale incombe sul giudice un obbligo di specifica e circostanziata motivazione, tanto più necessaria quanto più l’età del minore si approssima a quella dei dodici anni, oltre la quale subentra l’obbligo legale dell’ascolto. E ciò, non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora il giudice opti, in luogo dell’ascolto diretto, per un ascoltoeffettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico. L’ascolto diretto del giudice dà, per vero, spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda, mentre la consulenza è indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali, in primo luogo, la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio (Cass., 24/05/2018, n. 12957; Cass., 29/09/2015, n. 19327).1.2.3. Premesso quanto precede, deve ritenersi che, nel caso concreto, il giudice di appello non si sia conformato ai principi di diritto suesposti. La Corte territoriale, invero, pur avendo affermato che l’ascolto dei minori costituisce “uno degli strumenti di maggioreincisività al fine del conseguimento dell’interesse dei medesimi”, ha dipoi escluso -in maniera del tutto incongrua ed in violazione delle disposizioni nazionali ed internazionali succitate -l’audizione anche della minore Ac.As., benchè la medesima (oggi (OMISSIS), essendo nata nel (OMISSIS)) avesse già superato gli undici anni, e fosse, quindi, molto vicina ai dodici anni, al compimento dei quali subentral’obbligo legale dell’ascolto.Il giudice di secondo grado -senza motivare in alcun modo in ordine alla concreta capacità di discernimento della minore in questione -si è limitato ad operare un generico riferimento “allo stato dei rapporti tra le parti di estrema tensione e accesa contrapposizione o di elevata conflittualità”, onde inferirne, in via presuntiva, la possibilità di “gravi contraccolpi psicologici” che l’audizione potrebbe comportare per la medesima, che si verrebbe a trovare “nella difficile condizione di schierarsi con l’uno o l’altro dei genitori”. Di più, ad avviso della Corte, l’adempimento in questione “non determina in ogni caso l’obbligo per il giudice di conformarsi alle indicazioni del minore, giacchè la valutazione complessiva del suo superiore interesse potrebbe indurre il giudicante a discostarsene”.
1.2.4. Tali argomentazioni si pongono evidentemente in contrasto con il principio suesposto, secondo cui il minore costituisce una parte sostanziale del procedimento diretto a stabilire le modalità di affidamento, per cui, essendo portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli dei genitori, ha diritto di esporre le proprie ragioni nel corso del processo, a contatto diretto con l’organo giudicante.La Corte -senza, peraltro, addurre specifici motivi per i quali l’audizione di As. fosse da considerarsi pregiudizievole per la stessa, poichè, in ipotesi, portatrice di eventuali disturbi della personalità che ne sconsigliavano l’esame, o perchè in concreto suggestionata o suggestionabile, ovvero pressata o condizionata dall’uno o dall’altro genitore, o per altre plausibili e concrete ragioni, e senza escluderne in alcun modo la capacità di discernimento -si è limitata alle suesposte generiche considerazioni circa la situazione conflittuale tra le parti, peraltro sussistente in tutti i procedimenti di cui all’art. 337 bis c.c.,ed alla necessità per la medesima di prendere posizione a favore dell’uno o dell’altro genitore. In tal modo, il giudice di appello ha mostrato di non considerare affatto che non è certo questa la finalità essenziale dell’audizione, essendo tale adempimento finalizzato, per contro, a garantire il diritto del minore di rappresentare al giudice le proprie considerazioni e le proprie esigenze in ordine alle modalità dell’affidamento.1.2.5. Nè la Corte territoriale avrebbe potuto -come invece ha fatto -escludere l’audizione di As., in base alla considerazione che le sue dichiarazioni non sarebbero state comunque vincolanti per l’organo giudicante, che ben avrebbe potuto discostarsene, tenuto conto della capacità effettiva di discernimento della medesima e dei possibili condizionamenti subiti da parte dei genitori. E’, invero, di chiara evidenza che una decisione sul se attenersi o meno a quanto dichiarato dalla minore avrebbe potuto essere correttamente emessa dalla Corte solo all’esito dell’audizione di quest’ultima, valutando gli elementi probatori -in ipotesi -emersi da siffatta audizione, e tenendo conto di eventuali incertezze e incongruità del narrato dovute all’età, nonchè agli eventuali condizionamenti in concreto ricevuti da uno o da entrambi i genitori.1.3. Per le ragioni esposte, il primo motivo di ricorso deve essere accolto.2. Resta assorbito il secondo motivo, avente ad oggetto la mancata ammissione dei mezzi istruttori, con riferimento alla collocazione dei minori presso l’uno o l’altro genitore, alle condotte dei genitori nei confronti dei figli, ed alle determinazioni economiche relative al loro mantenimento.3. L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio della causa alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame del merito della controversia, facendo applicazione dei principi di diritto suesposti, e provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia alla causa alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020

Non configurabile il reato di maltrattamenti se la convivenza è sporadica e senza progetti in comune

Cass. Pen.,Sez. III, Sent., 25 gennaio 2021, n. 2911–Pres.Sarno, Rel. Cons.Ramacci
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. SARNO Giulio -Presidente -Dott. RAMACCI Luca -rel. Consigliere -Dott. GAI Emanuela -Consigliere -Dott. NOVIELLO Giuseppe -Consigliere -Dott. ANDRONIO Alessandro Maria -Consigliere -ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:B.S., nato a (OMISSIS);avverso la sentenza del 04/06/2019 della CORTE APPELLO di ROMA;visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. BALDI Fulvio;Il P.G. conclude: annullamento con rinvio e si riporta a quanto conosciuto dalle parti;udito il difensore:E’ presente l’avvocato Padovani che chiede l’accoglimento dei motivi del ricorso;E’ presente l’avvocato Bellomo che si riporta ai motivi del ricorso.Svolgimento del processo1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 4 giugno 2019 ha riformato la sentenza del Tribunale di Roma, Ufficio GIP del 27 febbraio 2018 appellata da B.S. e, riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche prevalenti, ha ridotto la pena originariamente inflittagli per i delitti di cui agli art. 572, 582 e 585 c.p., art. 609 ter c.p., comma 1, n. 5 quater, e art. 609 bis c.p., commessi in danno della convivente.Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati.2. Con il primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione in relazione al delitto di violenza sessuale, osservando che la sentenza di primo grado si era limitata a ripercorrere le dichiarazioni della persona offesa senza peraltro trattare in maniera autonoma tale delitto, contestato al capo c) dell’imputazione, offrendo una motivazione sostanzialmente apparente, mentre la Corte territoriale si sarebbe limitata a rilevare la attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa sottraendosi,
però, all’esame critico degli elementi di prova dedotti dalla difesa dell’imputato, senza peraltro riuscire a collocare nel tempo l’episodio di violenza sessuale contestato.Aggiunge che i giudici del gravame avrebbero anche omesso di considerare i plurimi elementi offerti dalla difesa, che avrebbero consentito di escludere la commissione del reato nel periodo di tempo individuato in sentenza.3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al delitto di maltrattamenti contestato al capo a) dell’imputazione, segnalando la insussistenza dell’elemento costitutivo della convivenza, evidenziando anche la differenza tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori, osservando, in particolare, che l’applicazione dell’art. 572 c.p., sarebbe connessa all’accertamento di rapporti legali di coniugio ovvero di rapporti ad esso assimilabili, individuabili nelle diverse situazioni riconducibili alla c.d. famiglia di fatto, distinguendoli dalle mere relazioni sentimentali, ancorchè connotate da occasionale condivisione domestica, che non assumerebbero alcuna rilevanza tipica ai fini della configurabilità del reato.Aggiunge, inoltre, che la Corte territoriale avrebbe del tutto apoditticamente valutato come superflua la richiesta di escussione di due testimoni ai sensidell’art. 603 c.p.p., comma 1.Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.4. In data 4 novembre 2020 la difesa della persona offesa ha fatto pervenire in cancelleria la revoca della costituzione di parte civile.Motivi della decisione1. Il ricorso è solo in parte fondato.2. Occorre rilevare che, specie nel primo motivo di ricorso, si censura la motivazione della sentenza impugnata perchè ritenuta acriticamente adesiva alle dichiarazioni rese dalla persona offesa, peraltro costituitasi parte civile.Pare opportuno ricordare, a tale proposito, che alle dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza sia ritenuta intrinsecamente attendibile, viene riconosciuta la natura di vera e propria fonte di prova, ammettendo che sulla stessa, anche esclusivamente, possa essere fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, purchè la relativa valutazione sia adeguatamente motivata (Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, F., Rv. 251661; Sez. 3, n. 28913 del 3/5/2011, C., Rv. 251075; Sez. 3, n. 1818 del 3/12/2010 (dep. 2011), L.C., Rv. 249136; Sez. 4, n. 30422 del 21/6/2005, Poggi, Rv. 232018; Sez. 4, n. 16860 del 13/11/2003 (dep. 2004), Verardi, Rv. 227901; Sez. 5, n. 6910 del 27/4/1999, Mazzella, Rv. 213613).La giurisprudenza di questa Corte, nel formulare il richiamato principio, ha ulteriormente precisato che esso vale, inmodo particolare, con riferimento ai reati sessuali, l’accertamento dei quali è spesso
caratterizzato dalla necessaria valutazione del contrasto tra le opposte versioni di imputato e parte offesa, unici protagonisti dei fatti, spesso in assenza anche di riscontri oggettivi o di altri elementi che consentano di attribuire maggiore credibilità, dall’esterno, all’una o all’altra tesi.Nè rileva, ai fini della valenza probatoria delle dichiarazioni rese, la circostanza che la persona offesa sia costituita parte civile, richiedendosi, in tal caso, esclusivamente un maggior rigore nella valutazione di attendibilità (Sez. 1, n. 29372 del 24/6/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162 del 3/6/2004, Patella, Rv. 229755; Sez. 4 n. 16860/2003, cit.; Sez. 2, n. 694 del 7/11/2000 (dep. 2001), Fedelini, Rv. 217886; Sez. 3, n. 766 del 26/11/1997 (dep. 1998), Caggiula, Rv. 209404; Sez. 1, n. 3860 del 11/11/1992 (dep. 1993), Lippolis, Rv. 195961) che, se riconosciuta dal giudice del merito, non è censurabile in sede di legittimità, quando sia sorretta da un’adeguata e coerente giustificazione che dia conto, nella motivazione, dei risultati acquisiti e dei criteri adottati (Sez. 6, n. 27322 del 14/4/2008, De Ritis, Rv. 240524; Sez. 6, n. 443 del 4/11/2004 (dep. 2005), Zamberlan Rv. 230899).Successivamente i suddetti principi hanno avuto ulteriore conferma da parte delle Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno riconosciuto l’inapplicabilità delle regole fissate dall’art. 192, comma 3, c.p.p. alle dichiarazioni dellapersona offesa, che possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, sottoponendo a preventiva e motivata verifica la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità intrinseca delnarrato, che deve tuttavia effettuarsi in modo più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, aggiungendo che, in caso di costituzione di parte civile della persona offesa, può essere opportuno procedere anche al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell’Arte, Rv. 253214).Nell’occasione, le Sezioni Unite hanno altresì ricordato come costituisca un principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo la quale la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (a tale proposito richiamando, ex pl., Sez. 6 n. 27322 / 2008, cit.; Sez. 3, n. 8382 del 22/1/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 / 2004, cit.; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003 (deo, 2004), Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/3/2003, Assenza, Rv. 225232).Si è poi specificato che, per ciò che concerne la motivazione, è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione delsuo convincimento, consentendo così l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezìone implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa (così, Sez. 5, n. 1666 del 8/7/2014 (dep.2015), Pirajno e altro, Rv. 261730. V. anche Sez. 2, n. 43278 del 24/9/2015, Manzini, Rv. 265104; Sez. 5, n. 21135del 26/3/2019, S, Rv. 275312).Da ultimo, nelribadire il valore probatorio delle dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile, si è ulteriormente chiarito che, qualora risulti opportuna l’acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l’intento calunniatorio del
dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, nè assistere ogni segmento della narrazione (Sez. 5, n. 21135 dei 26/3/2019, S, Rv. 275312).3. Nella fattispecie, in disparte la circostanza, fatta rilevare nella sentenza impugnata, che la persona offesa si è costituita parte civile dopo aver reso le dichiarazioni apprezzate nella sentenza di primo grado (avendo l’imputato optato per il rito abbreviato) e poi in quello di appello, risulta evidente che i giudici del merito hanno fatto buon uso dei principi dianzi richiamati, procedendo ad un attento esame delle dichiarazioni della persona offesa, le quali non costituiscono, peraltro, l’unico elemento su cui si fonda la decisione impugnata.I giudici del gravame, nel rispondere alle censure mosse con l’atto di appello sul punto, non si limitano a riportare le considerazioni del primo giudice, che pure aveva dato conto di plurimi riscontri, perchè procedono ad una autonoma valutazione delle dichiarazioni medesime dando conto non soltanto dei loro contenuti, ma anche dei numerosi riscontri esterni, escludendo la sussistenza di intenti calunniatori, che neppure il ricorrente evidenzia ed osservando come anche il giudice di primo grado avesse esaminato i dati fattuali indicati dalla difesa e da questa ritenuti rilevanti.Tali considerazioni appaiono assistite da tenuta logica e coerenza strutturale e precedono le valutazioni sulla sussistenza dell’episodio di violenza sessuale, che viene esaminatospecificamente, ovviamente all’esito della complessiva valutazione di attendibilità della persona offesa e dei riscontri esterni.In risposta alle doglianze difensive il giudice dell’appello considera la collocazione temporale dell’episodio, motivatamente escludendo la dedotta contraddittorietà intrinseca del racconto della persona offesa, peraltro distinguendo tra il singolo episodio specificamente individuato nell’imputazione ed altre condotte genericamente riferite e non oggetto di contestazione.A fronte di ciò, il ricorso lamenta la mancata considerazione di una serie di dati, anche documentali, che sostanzialmente dimostrerebbero che l’imputato non avrebbe posto in essere le condotte addebitategli.Occorre rilevare, a tale proposito, che dei plurimi dati fattuali solo una parte risultano indicati nella sentenza impugnata come sottoposti all’esame dei giudici del gravame con l’atto di appello ed il ricorrente non ha specificamente contestato tale circostanza.In ogni caso, deve ricordarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in sede di legittimità non può muoversi censura ad una sentenza che, pur non prendendo espressamente in esame una deduzione prospettata con l’atto di impugnazione, evidenzi comunque una ricostruzione dei fatti che implicitamente, ma in maniera adeguata e logica, ne comporti il rigetto (Sez. 2, n. 35817 del 10/7/2019, Sirica, Rv. 276741; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, (dep. 2014), Cento, Rv. 259643; Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, (dep.2014), Maravalli, Rv. 258679; Sez. 2, n. 33577 del 26/5/2009, Bevilacqua, Rv. 245238; Sez. 2, n. 29434 del 19/5/2004, Candiano, Rv. 229220).
Non è inoltre possibile procedere, in questa sede, ad una autonoma valutazione dei dati fattuali e dei documenti allegati al ricorso.4. Per ciò checoncerne, invece, il secondo motivo di ricorso, occorre considerare che anche la sussistenza degli episodi ritenuti configurare il delitto di maltrattamenti è stata oggetto di accurata disamina da parte della Corte di appello, tenendo ancora una volta in considerazione non soltanto il complesso delle dichiarazioni della persona offesa, ma anche i risconti esterni, nonchè evidenziando la conflittualità che caratterizzava il rapporto di coppia.In tale contesto si è ritenuto accertata anche la convivenza, la cui sussistenza è oggetto di contestazione in ricorso.Viene infatti dato atto dell’esistenza di una stabile relazione tra imputato e persona offesa, la quale andò a vivere nell’abitazione di costui, anche portando talvolta con sè la propria figlia, sebbene successivamente se ne era allontanata, pur mantenendo in locazione il proprio appartamento, il canone del quale risultava pagato anche dall’imputato, come rilevato dai documenti prodotti dalla difesa.Sulla base di tali fattuali la Corte territorialeha ritenuto la sussistenza di una stabile relazione sentimentale, connotata da assidua frequentazione e, talvolta, coabitazione dell’appartamento dell’imputato e da doveri di assistenza morale e materiale, in quanto tale caratterizzante il requisito della”convivenza” ritenuto necessario dalla giurisprudenza di questa Corte per la configurabilità del delitto di cui all’art. 572 c.p..Si tratta tuttavia, ad avviso del Collegio, di una motivazione non sufficiente.5. Come ricordato in una recente pronunciadi questa Corte (Sez. 6, n. 37628 del 25/6/2019, C, Rv. 276697) seppure con riferimento ad un diverso contesto, il delitto di maltrattamenti ha, quale presupposto, una relazione tra agente e vittima caratterizzata da uno stabile rapporto di affidamento e solidarietà, con la conseguenza che la condotta lesiva lede la dignità della persona infrangendo un rapporto che dovrebbe essere ispirato a fiducia e condivisione.ll reato di maltrattamenti, ricorda la citata pronuncia, viene riconosciuto anche “in relazione a situazioni di non convivenza, ma in quanto succedute a precedente convivenza e, quindi, non nel senso di assenza di convivenza ma di cessata convivenza” e si evidenzia, testualmente, come il reato sia configurabile anche al di fuori della famiglia legittima, in presenza di un rapporto di stabile convivenza, come tale suscettibile di determinare obblighi di solidarietà e di mutua assistenza, senza che sia richiesto che tale convivenza abbia una certa durata, quanto -piuttosto -che sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, quale che sia stato poi in concreto l’esito di tale comune decisione (Sez. 6, n. 20647 del 29/1/2008, Rv. 239726; Sez. 3, n. 44262 dell’8/11/2005, Rv. 232904; Sez. 6, n. 21329 del 24/1/2007, Rv. 236757; Sez. 3, n. 44262 del 8/11/2005, Rv. 232904).
Si osserva, altresì, che pur mancando vincoli nascenti dal coniugio, il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in presenza di una relazione sentimentale che abbia comportato un’assidua frequentazione della abitazione della persona offesa tale da far sorgere sentimenti di solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale (Sez. 5, n. 24688 del 17/3/2010, Rv. 248312) odi un rapporto familiare di mero fatto in assenza di una stabile convivenza ma con un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà e assistenza (Sez. 6, n. 22915 del 7/5/2013, Rv. 255628; Sez. 6, n. 23830 del 07/05/2013, Rv. 256607).6. Ciò posto, deve rilevarsi, tenendo presente i condivisibili principi appena richiamati, che la sentenza impugnata non offre adeguate indicazioni in ordine alla dimostrata esistenza di un rapporto tra l’imputato e la persona offesa collocabile nell’ambito di quelli individuati dalla giurisprudenza di questa Corte come rilevanti ai fini della configurabilità del reato in esame.Invero, pur dandosi atto in sentenza della sussistenza di una stabile relazione tra imputato e persona offesa, definita “malata etumultuosa”, viene anche affermato che la stessa risultava instaurata da non molto tempo e, quanto alla coabitazione, essa era consistita nella permanenza “anche per due o tre giorni consecutivi” nella casa dell’imputato durante i turni di riposo dello stesso -ove la persona si recava, talvolta anche con la propria figlia, pur mantenendo la locazione del proprio appartamento il cui canone risultava versato anche dall’imputato, come deducibile dalla documentazione prodotta dalla difesa.Si tratta, ad avviso del Collegio, di argomentazioni che non rendono adeguatamente conto della effettiva sussistenza di un rapporto di convivenza caratterizzato da stabilità e, soprattutto, da mutua solidarietà, atteso che dei doveri di reciproca assistenza morale e materiale che connoterebbero il rapporto tra imputato e persona offesa viene soltanto fatta menzione, senza tuttavia offrire una giustificazionefondata su elementi oggettivi.Tale lacuna motivazionale, che assorbe l’ulteriore censura relativa alla violazione dell’art. 603 c.p.p., impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello per nuovo giudizio sul punto.L’intervenuta revoca della costituzione di parte civile comporta, infine, la revoca delle statuizioni civili.P.Q.M.Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo A) -art. 572 c.p. -con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.Rigetta nel resto il ricorso.Revoca le statuizioni civili.In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52,in quanto imposto dalla legge.

E’ violenza privata se il figlio impedisce alla madre di avere rapporti con i familiari

Cass. Pen.,Sez. V, Sent., 26 gennaio 2021, n. 3203–Pres. Palla, Cons. Rel. Riccardi
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. PALLA Stefano -Presidente -Dott. MICHELI Paolo -Consigliere -Dott. DEMARZO Giuseppe -Consigliere -Dott. BRANCACCIO Matilde -Consigliere -Dott. RICCARDI Giuseppe -rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:L.G., nato a (OMISSIS);avverso la sentenza del 05/04/2019 della Corte di Appello di Messina;visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE RICCARDI;lette le richieste scritte aisensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIORDANO Luigi, che ha concluso chiedendol’inammissibilità del ricorso;lette le richieste scritte ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, del difensore della parte civile, Avv. Francesco Cardaci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e depositando nota spese;lette le richieste scritte ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, del difensore del ricorrente, Avv. Filippo Cusumano, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa il 05/04/2019 la Corte di Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Messina del 19/10/2017, ha assolto L.G. dal reato di violenza privata contestata al capo B, ed ha confermato l’affermazione di responsabilità in relazione al reato di violenza privata ai danni dell’anziana madre D.B.A., perchè, con violenza, costringeva la persona offesa a non avere più contatti con la figlia, con la sorella e con le sue più strette amiche; in parziale riforma, ha rideterminato la pena inflitta.2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di L.G., Avv. Filippo Cusumano, che ha dedotto i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.2.1. Con il primo motivo il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 610 c.p., deducendo che il reato di violenza privata presuppone che la vittima della violenza o della minaccia sia stata costretta a fare, tollerare o omettere qualcosa. Tale “evento ulteriore”, individuato in sentenza in una presunta progressiva soppressione di tutte le relazioni interpersonali della madre con gli altri familiari, non sussisterebbe, perchè deriverebbe da una scelta autonoma della anziana, non essendosi verificata, pertanto, una sua reale limitazione della libertà. Dall’istruttoria sarebbe emersa una scelta autonoma e libera della D.B. di interrompere i rapporti con la figlia e con la sorella, a causa di sofferti trascorsi familiari, e la piena capacità mentale della donna, accertata anche dal consulente di parte Dott. C.; scelta confermata anche dinanzi all’amministratore di sostegno, al quale è stato espresso un diniego alla possibilità di vedere i familiari presso il proprio studio 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in merito all’affermazione della sussistenza del reato di violenza privata nella parte in cui ha riconosciuto una preclusione dei rapporti sociali della madre con gli altri familiari, definita “fantomatica”, mentre le risultanze dibattimentali dimostrerebbero l’assenza di deterioramento mentale dell’anziana madre dell’imputato -accertata anche mediante consulenze psichiatriche -; sarebbe poi illogica la valutazione della Corte territoriale in merito alla natura dell’incontro con il consulente tecnico del Giudice tutelare, avvenuto il 24/10/2018, e ritenuto “attentamente preparato”; infine, non sarebbero stati considerati gli elementi dai quali emergeva che l’interruzione dei rapporti era legata al deterioramento degli stessi con la figlia, per vicende passate e antecedenti rispetto alla convivenza con il figlio L.G..2.3. Con motivi nuovi, nel ribadire le doglianze già espresse, ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 610 c.p., con particolare riferimento all’assenza di condotte di violenza o di minaccia: la Corte avrebbe indebitamento allargato la nozione di violenza, per farvi confluire anche condotte giuridicamente indifferenti, tenendo conto della capacità di intendere e di volere della D.B.; inoltre, il riferimento all’incontro avvenuto all’udienza del 17/01/2014 con la figlia, in assenza dell’imputato, in cui l’anziana donna avrebbe manifestato piacere di incontrarla, sarebbe illogico, in quanto la relazione avrebbe dato atto di un clima di grande tensione.
Motivi della decisione1. Il ricorso è inammissibile, perchè entrambi i motivi dedotti propongono doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica -unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla sussistenza di una costrizione dell’anziana vittima, anzichè di una sua autonoma scelta di interrompere i rapporti con gli altri familiari, e in ordine alla sua capacità di intendere e di volere. Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicchè il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.2. Il primo motivo è altresì manifestamente infondato. Viene infatti invocato ilprincipio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non è configurabile il delitto di violenza privata allorquando gli atti di violenza non siano diretti a costringere la vittima ad un “pati”, ma siano essi stessi produttivi dell’effetto lesivo, senza alcuna fase intermedia di coartazione della libertà di determinazione della persona offesa (Sez. 5, n. 10132 del 05/02/2018, Ippolito, Rv. 272796); l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 610 c.p., è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l’effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa; la condotta violenta o minacciosa deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare,
tollerare od omettere qualche cosa; deve dunque trattarsi di “qualcosa” di diverso dal “fatto” in cui si esprime la violenza, sicchè la coincidenza tra violenza e l’evento di “costrizione a tollerare” rende tecnicamente impossibile la configurabilità del delitto di cui all’art. 610 c.p. (Sez. U, n. 2437 del 18/12/2008, dep. 2009, Giulini, in motivazione); ne deriva che il delitto di cui all’art. 610 c.p., non è configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l’evento naturalistico del reato, vale a dire il pati cui la persona offesa sia costretta: l’evento del reato, nell’ipotesi di ricorso alla violenza, non può coincidere con il mero attentato all’integrità fisica della vittima o anche solo con la compressione della sua libertà di movimento conseguente e connaturata all’aggressione fisica subìta (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Altoè, Rv. 268405; Sez. 5, n. 1215 del 06/11/2014, dep. 2015, Calignano, Rv. 261743; Sez. 5, n. 2480 del 18/04/2000, Ciardo, Rv. 216545).I principi richiamati non sono tuttavia pertinenti alla fattispecie in esame, in quanto la condotta posta in essere dall’imputato è stata diretta a costringere la vittima ad un “pati”, consistito nel sopportare gli impedimenti frapposti dal figlio al mantenimento dei rapporti con gli altri familiari (in particolare con la figlia e la sorella della vittima, alle quali impediva di entrare in casa e di comunicare autonomamente con l’anziana donna); pertanto, la condotta violenta o minacciosa posta in essere è stata un mezzo per realizzare un evento ulteriore, un “qualcosa” di diverso dal “fatto” in cui si esprime la violenza o la minaccia.Del resto, va rammentato, con riferimento alle doglianze proposte con i motivi nuovi a proposito della estensione della nozione di violenza, che, ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, ben potendo trattarsi di violenza fisica, propria, che si esplica direttamente nei confronti della vittima o di violenza impropria che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui impedendone la libera determinazione (Sez. 5, n. 1195 del 27/02/1998, Piccinin, Rv. 211230).Al riguardo, la Corte di appello, con motivazione adeguata, ha ritenuto configurabile il delitto di violenza privata, illustrando i comportamenti violenti dell’imputato che hanno determinatola perdita o, comunque, la significativa compressione della libertà di azione o della capacità di autodeterminazione della madre. Appare corretto, in particolare, il giudizio della Corte di merito in merito all’idoneità della condotta, essendo stata parametrata la violenza alle condizioni fisiche e psichiche del soggetto passivo (Sez. 1, n. 6271 del 19/01/1990, Isaia, Rv. 184195; più di recente, Sez. 5, n. 3966 del 13/07/2015, Canepuccia, non mass.).Ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, difatti, è necessaria l’estrinsecazione di una qualsiasi energia fisica immediatamente produttiva di una situazione idonea ad incidere sulla libertà psichica (di determinazione e azione) del soggetto passivo (Sez. 6, n. 2013 del 18/11/2009, dep. 2010, C., Rv. 245769).
Nella motivazione, inoltre, è stato diffusamente evidenziato l’evento del reato, rappresentato dal fatto che la donna sia stata costretta a ritirarsi da relazioni interpersonali fondamentali, come quelle con la figlia e la sorella, senza una spiegazione concreta e ragionevole, nonostante il tema sia stato affrontato anche nei giudizi civili e di volontaria giurisdizione che sono intervenuti nel tempo. Le condotte violente del figlio, dunque, hanno impedito all’anziana madre ogni possibilità di serena ed autonoma comunicazione con le più strette familiari già indicate. Tale situazione integra senz’altro la tipicità del reato di violenza privata, che è maturato in un clima familiare non libero, nè sereno, ampiamente descritto nella sentenza, e che pure avrebbe meritato un approfondimento in ordine alla configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia -non contestato -, che può concorrere materialmente con il reato di violenza privata quando le violenze e le minacce del soggetto attivo siano adoperate, oltre che con la coscienza e volontà di sottoporre la vittima a sofferenze non solo fisiche, ma anche morali, in modo continuativo e abituale, anche con l’intento di costringerla ad attuare un comportamento che altrimenti non avrebbe volontariamente posto in essere (Sez. 2, n. 19545 del 04/03/2020, I., Rv. 279223).La sentenza impugnata, del resto, ha evidenziato due circostanze particolarmente significative dello stato di generale costrizione subito dall’anziana donna: in primo luogo, l’episodio in cui l’imputato ha trascinato l’anziana madre sul balcone, per “mostrarla” alle familiari (la figlia e la sorella) che si trovavano nel cortile, ed alle quali impediva di salire e di farle visita, gridando “è viva, è viva, non rompete i coglioni”, e proferendo la minaccia “io l’ammazzo, via, via”; in secondo luogo, il posizionamento di una telecamera in cucina, asseritamente perchè si tratta di una stanza in cui possono entrare i ladri dal balcone, con cui l’imputato ha controllato gli incontri della madre con un consulente tecnico del pubblico ministero, successivamente rimproverandola per quanto aveva risposto al consulente; un fatto che denota chiaramente la condotta tenuta nel tempo dall’imputato. Va infine osservato che la situazione di vulnerabilità psichica è stata affermata sulla base della complessiva condizione dell’anziana donna, che, pur non raggiungendo i confini della incapacità di intendere e di volere, è stata ritenuta tale da necessitare della nomina di un amministratore di sostegno, e che la valutazione relativa all’incontro del 24 ottobre 2018 con il perito psichiatra, definito dalla Corte territoriale “attentamente preparato”, è frutto di un apprezzamento di fatto immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità, in quanto motivata dal rilievo che l’imputato ha preteso che si svolgesse nella sua abitazione, che le dichiarazioni della anziana donna sono state del tutto assertive ed immotivate, e che la stessa aveva “revocato” la determinazione di voler intentare una causa nei confronti della figlia, espressa con una lettera del dicembre 2017, e successivamente “revocata” con una lettera del marzo 2018; tali circostanze sono state ritenute indici del tentativo dell’imputato di strumentalizzare la debole o inesistente volontà dell’anziana madre, al solo fine di combattere la propria personale guerra contro la sorella. L’inammissibilità del ricorso si estende ai motivi nuovi, ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 4.
3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00, nonchè alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate, nei limiti della richiesta, in complessivi Euro 2,000,00.P.Q.M.dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate in complessivi Euro 2.000,00.In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52,in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2021

Affidamento esclusivo se il genitore non si fa carico dei figli

Tribunale di Rieti, 22 gennaio 2021
TRIBUNALE ORDINARIO di RIETI SEZIONE VOLONTARIA
Il Tribunale in composizione collegiale nelle persone dei magistrati: dott. Pierfrancesco de Angelis – Presidente est. dott. Gianluca Morabito – Giudice dott.ssa Francesca Sbarra – Giudice nel procedimento proposto ex artt. 337 quater e ss. c.c da: F. _____, nata a RIETI il ____/1980, elettivamente domiciliata in Rieti presso lo studio dell’avv. DEL RE ARIANNA che la rappresenta e difende per delega in atti Ricorrente Contro C.______ nato a RIETI il ____/1979, elettivamente domiciliato in Rieti presso lo studio dell’avv. PETRESCA VALTER che lo rappresenta e difende per delega in atti Resistente 1
OSSERVA
Con ricorso depositato il 19/02/2020, F.______, premesso di aver avuto una relazione sentimentale, poi conclusasi, con C._____ dalla quale erano nati i figli K.___ (il ___/2008) e N.____ (il ____/2010), entrambi riconosciuti dal C.___, chiedeva che venisse disposto l’affido esclusivo a lei dei figli, regolamentato il diritto di visita del padree posto a suo carico un assegno mensile, a titolo di mantenimento dei figli, pari ad euro 500,00. A tal fine riferiva che questo Tribunale nel 2014 aveva già stabilito la misura dell’assegno di mantenimento in € 420,00 mensili, annualmente rivalutabili, e che però, successivamente, lei aveva stipulato un accordo privato con il C.____ in base al quale quest’ultimo si era obbligato a corrisponderle, a titolo di mantenimento per i due figli minori, la complessiva somma di € 430 comprensiva di spese scolastiche, mediche, ludiche ed accessori entro il 5 del mese. Aggiungeva però che il C.___ non aveva adempiuto all’accordo e dal mese di ottobre 2019 non versava più nulla per il mantenimento dei bambini. Riferiva inoltre che il C.____ non aveva mai rispettato la regolamentazione del diritto di visita e si disinteressava dei figli. Da oltre un anno infatti non teneva con sé i bambini a dormire, non li portava in vacanza e, nelle rare volte in cui li prendeva per una mezza giornata, li lasciava in casa coi nonni. Il C.___ si costituiva l’11/5/2020 contestando in toto quanto ex adverso dedotto, chiedendo l’affido condiviso dei figli ed il loro collocamento presso l’abitazione materna con regolamentazione del suo diritto di visita. Chiedeva inoltre che nulla venisse disposto a suo carico per il mantenimento di K.___ e N.____ in quanto era disoccupato e non in grado di far fronte al loro sostentamento se non nei periodi in cui gli stessi si trovavano presso la sua abitazione. All’udienza del 17 giugno 2020 si procedeva all’audizione dei minori K.___ e N.____ e successivamente veniva disposta CTU sulla capacità genitoriale di entrambe le parti. Nelle more, con atto in data 28/9/2020, il C.____ presentava “rinuncia agli atti ex art. 306 c.p.c.”. All’esito della CTU, all’udienza del 20/1/2021, il procuratore di parte ricorrente insistevanelle domande proposte. Il P.M. esprimeva il parere favorevole all’accoglimento del ricorso, in data 21 gennaio 2021. Preliminarmente si deve rilevare come l’accennata rinuncia agli atti presentata dal C.____sia del tutto priva di effetto perché, indipendentemente dalla mancata accettazione, si tratta di un atto che può essere proposto solo da chi ha agito in giudizio (attore, ricorrente, appellante) e certo non anche da chi, come il C.____, è stato convenuto. Ne consegue che il C.____ permane parte del giudizio con il ministero del difensore nominato non essendo intervenuta alcuna revoca ed essendo ovviamente irrilevante la mancata partecipazione alle udienze successive. Ciò posto, sono chiaramente sussistenti tutti i presupposti per il chiesto affidamento esclusivo dei minori K.___ e N.____ alla madre con il loro collocamento presso la sua abitazione. Come è noto in tema di affidamento dei figli minori, il criterio fondamentale a cui deve 2
attenersi il giudice è l’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando il genitore più idoneo a ridurre i danni derivati dalla disgregazione della coppia e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità dei minori. A tal fine l’individuazione del genitore idoneo deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità dicrescere ed educare i figli, considerando elementi concreti, ovvero esaminando le modalità con cui ciascun genitore ha, in passato, svolto il proprio ruolo, con particolare riguardo alla capacità di relazione dello stesso, valutandone la personalità, le abitudini di vita e l’ambiente che questi è in grado di offrire alla prole. La giurisprudenza ha individuato molteplici comportamenti, sia commissivi che omissivi,posti in essere da uno dei genitori tali da giustificare un provvedimento di affido esclusivo. Così, ad esempio, è stato ritenuto, un valido motivo per disporre l’affido esclusivo: il fatto che il genitore obbligato non provveda a contribuire al mantenimento dei figli perché viola in tal modo i doveri di cura, assistenza ed educazione; l’ atteggiamento del genitore non convivente con i figli che dimostri di non avere alcun progetto educativo come può evincersi nel caso in cui non formuli in giudizio specifiche richieste riguardo alle modalità del proprio diritto di visita, alla divisione dei compiti con l’altro genitore, al modo per dedicare ai figli cura, educazione ed istruzione; il completo disinteresse di un genitore verso i figli, ricavabile dalla mancata partecipazione alla loro vita quotidiana e alle scelte che li riguardano, la mancata conoscenza dei loro problemi (anche di salute), le profonde carenze nei compiti di cura edi educazione. Ebbene nella specie sono ravvisabili tutte le condotte accennate da parte del C.___ da unlato perché abbandonando di fatto il presente giudizio ha dimostrato il suo completo disinteresse verso i figli, dall’altro, soprattutto, perché, la totale mancata sua contribuzione al loro sostentamento, a partire quantomeno dall’ottobre 2019 (circostanza non contestata), è indicativa della sua incapacità di curare adeguatamente i loro interessi morali e materiali. A ciò si aggiunga che la volontà di non avere più contatti con i figli è stata espressamenteaffermata dal medesimo C.___ che nel messaggio (prodotto) del 14 agosto 2020, dopo aver saputo delle dichiarazioni da loro rilasciate in sede di audizione, ha scritto: “io sono il tuo papà. E mi fai rischiare di andare in carcere Ti ho amato tanto vergognati tu e chi ti ha costretto a fare certe dichiarazioni tramite il vostro legale, stamattina mi è arrivata la notifica dal tribunale. Tu conme hai chiuso per sempre, dimentica papà.” Il disinteresse nei confronti dei figli ha poi continuato a manifestarsi con la mancata partecipazione agli incontri fissati dal CTU il quale, ciò nonostante, dopo un attento esame sia dei minori che della madre ha potuto concludere, con ragionamento logico, coerente e sicuramente condivisibile, che le modalità relazionali del C.____, tese al coinvolgimento dei figli nelle questioni adulte e alla loro colpevolizzazione, “rappresentanoun rilevante fattore di rischio per il loro sviluppo psicofisico”. Non può quindi che ribadirsi l’affidamento esclusivo dei minori alla madre. Nell’accennata situazione gli incontri del C.____ con i figli devono avvenire con le modalità indicate in dispositivo sia a cagione di quanto riferito dai bambini medesimi in sede di audizione, laddove hanno raccontato che il padre avrebbe addirittura assunto 3
stupefacente in loro presenza, sia, soprattutto, per la corretta conclusione cui è giunto il CTU che, nel rilevare che il C.____ al momento non appare comunque disponibile, ha affermato che anche laddove egli mostrasse l’intenzione di recuperare il rapporto con i figli, tali incontri dovranno svolgersi in modalità protetta (in spazio neutro e con supervisione di personale esperto), da attivarsi previa richiesta del padre e positivo superamento da parte dello stesso di un percorso di sostegno alla genitorialità di almeno 6 mesi, finalizzato a sostenere la motivazione del genitore ad avere una relazione con i minori. Con riferimento al contributo a carico del padre per il mantenimento dei figli, pare opportuno rammentare che, come è noto, anche chi è disoccupato deve mantenere i figli sino a quando non raggiungano l’indipendenza economica (Cass., sez. I, 24/8/2017, n. 39411/17) perché ciò che rileva in proposito è soltanto la capacità generica di lavoro in quanto l’obbligazione sorge in conseguenza del mero rapporto di filiazione. L’onerato infatti deve mettere a frutto tutte le sue capacità per contribuire in ogni caso alle esigenze dei bambini collocati presso l’altro genitore. Tale principio, più che consolidato in giurisprudenza, si fonda sulla presunzione secondo la quale chiunque, se davvero vuole, può e deve trovare un’occupazione, anche umile, salvo prova contraria. A ciò si aggiunga che il fatto di essere disoccupati non significa necessariamente e in automatico non aver altri redditi: è possibile infatti non avere un lavoro, ma vivere con un canone di affitto per un immobile di proprietà, o vivere grazie agli aiuti dei genitori o ad un risparmio presente in conto corrente. Da questo punto di partenza ovviamente ci si può spostare solo se si dimostra il contrario: è il genitore che deve provare di essersi adoperato a trovare un’occupazione o che le proprie condizioni di salute glielo impediscono e, nello stesso tempo, di non aver altri redditi da cui attingere per aiutare i figli (ad esempio immobili dati in affitto, un conto in banca benché modesto, ecc.). Non importa dunque che il padre sia senza reddito e senza lavoro a meno che non dimostri di essere totalmente incapace economicamente e di aver comunque tentato inutilmente di trovare un nuovo posto di lavoro. Conseguentemente, applicando gli accennati principi alla fattispecie, appare del tutto irrilevante l’asserito (ma probabilmente inesistente) stato di disoccupazione del C.____, sotto il profilo dell’“an” dell’obbligazione trattandosi di un fatto che non può esimerlo dall’obbligo del mantenimento dei figli (obbligo che, ovviamente, grava anche sulla madre presso la quale la minore è stata collocata e che pertanto la accudisce e mantiene in forma diretta). Si tratta allora di stabilire il “quantum”. Sul punto, considerato che il C.___ svolge attività professionale di istruttore di arti marziali (appare del tutto non credibile l’affermazione contenuta nella comparsa di costituzione secondo la quale tale attività sarebbe svolta a titolo gratuito), si reputa equo stabilire il contributo per il mantenimento dei figli nella somma mensile di 430,00 euro (da rivalutarsi annualmente secondo gli indici ISTAT), ossia nella somma che era già statastabilita dalle parti con l’accordo del febbraio 2016. Sono poi a carico di entrambi i genitori nella misura del 50% le spese straordinarie e mediche non coperte dal SSN, da individuarsi secondo i criteri dettati dal Protocollo sulle spese straordinarie del Tribunale di Rieti, che dovranno essere 4
documentate dal genitore che le sopporta nel momento della richiesta di rimborso all’altro genitore. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Con separata ordinanza si liquidano le spese di CTU a carico della parte soccombente C.__.
P.Q.M.
Visti gli artt. 316 e 337 ter c.c., così dispone: 1) affida i figli minori K.___ e N.____ esclusivamente alla madre F.____ con collocazione presso l’abitazione di quest’ultima, sita in Rieti alla via ____; 2) il padre C.____ potrà incontrare i figli con modalità protetta alla presenza di operatoridel servizio sociale in spazio neutro da attivarsi previa richiesta del padre medesimo e positivo superamento da parte sua di un percorso di sostegno alla genitorialità di almeno 6 mesi, 3) pone a carico di C.____ l’obbligo di versare a F._____, entro il 5 di ogni mese, la somma di euro 430,00 a titolo di contributo per il mantenimento dei figli minori K.__ e N.___, somma da rivalutarsi annualmente ed automaticamente in base agli indici ISTAT, oltre al 50% delle spese straordinarie come individuate secondo i criteri dettati dal Protocollo sulle spese straordinarie del Tribunale di Rieti. 4) condanna C.____ a rifondere le spese di lite sostenute da F.___ che liquida in euro 1100,00, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA, spese da distrarsi in favore dell’Erario attesa l’avvenuta ammissione della F.___ al patrocinio a spese dello Stato. Così deciso in Rieti, nella camera di consiglio del 22/1/2021