Il marito preferisce il carcere ai domiciliari con la moglie

Cass. Pen., Sez. VI, Sent., 18 dicembre 2020, n. 36518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
R.G., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/01/2019 della Corte di Appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Riccardo Amoroso;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Orsi Luigi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avv. Fortunato Marrazzo, in sostituzione dell’avvocato Vincenzo Girasole, difensore di R.G., che ha concluso riportandosi ai motivi.
Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Crotone emessa in data 24/10/2017, previo riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla contestata recidiva, ha ridotto a mesi due e giorni venti di reclusione la pena inflitta al ricorrente, condannato per il reato di evasione commesso in data (OMISSIS).
2. Con atto a firma del difensore di fiducia, R.G. ha proposto ricorso, articolando due motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo si deduce vizio della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per non avere la Corte territoriale dato il giusto rilievo alla circostanza di fatto che l’imputato non è stato trovato fuori dalla propria abitazione, ma si è presentato personalmente presso la caserma dei Carabinieri, distante poche centinaia di metri dalla propria abitazione per segnalare la sua volontà di non proseguire la convivenza con la moglie a causa di un litigio.
Secondo il ricorrente l’allontanamento dall’abitazione non essendo stata dettato dalla finalità di sottrarsi al controllo dell’autorità non potrebbe integrare il reato di evasione per l’assenza di offensività della condotta.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione per la illogicità della motivazione con la quale la Corte di appello ha rigettato la richiesta di applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p.
La decisione della Corte territoriale viene ritenuta erronea perchè parziale e priva di coerenza rispetto alla valutazione del profilo dell’intensità del dolo e dell’offesa arrecata, perchè motivata solo sulla considerazione del fatto incerto che l’imputato si fosse recato direttamente e subito presso la caserma dei Carabinieri dopo essere uscito e sull’arbitrarietà della condotta.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è infondato, mentre deve essere accolto il secondo motivo.
Integra il reato di evasione la condotta di volontario allontanamento dal luogo di restrizione domiciliare e di presentazione presso la stazione dei Carabinieri ancorchè per chiedere di essere ricondotto in carcere, in quanto il dolo generico del reato richiede la mera consapevolezza e volontà di allontanarsi dal domicilio. (Fattispecie nella quale l’imputato si allontanava dal domicilio per recarsi in caserma, rappresentando l’insostenibilità della convivenza con il padre e la volontà di rientrare in carcere).
Con riferimento al caso in cui l’imputato si allontani dal domicilio per recarsi in caserma e rappresentare l’insostenibilità della convivenza con i familiari la volontà di rientrare in carcere e di porre fine al regime degli arresti domiciliari, si sono registrati due opposti orientamenti.
Il primo, maggioritario, secondo il quale il dolo del reato di evasione per abbandono del luogo degli arresti domiciliari è generico, essendo necessaria e sufficiente – in assenza di autorizzazione – la volontà di allontanamento nella consapevolezza del provvedimento restrittivo a proprio carico, non rivestendo alcuna importanza lo scopo che l’agente si propone con la sua azione (Sez. 6 -, n. 52496 del 03/10/2018, Natale Felice, Rv. 274295; Sez. 6, n. 7842 del 01/06/2000, Vernucci R., Rv. 217557; Sez. 6, n. 19639 del 09/01/2004, Conti, Rv. 228315; Sez. 6, n. 10425 del 06/03/2012, Ghouila, Rv. 252288).
Il secondo l’orientamento minoritario secondo cui “in tema di evasione, deve ritenersi insussistente il dolo nella condotta di colui che, trovandosi agli arresti domiciliari presso la propria abitazione, se ne allontani per recarsi, per la via più diretta, alla stazione dei Carabinieri (Sez. 6, n. 25583 del 05/02/2013, Giannone, Rv. 256806) e, ancora, “non integra il delitto di evasione la condotta di chi, trovandosi in stato di detenzione domiciliare, si allontani dalla propria abitazione per farsi trovare al di fuori di essa in attesa dei carabinieri, prontamente informati della sua intenzione di volere andare in carcere” (Sez. 6, n. 44595 del 06/10/2015, Ranieri, Rv. 265451). Ciò perchè deve essere esclusa ogni offensività concreta, ex art. 49 c.p., comma 2, nella condotta dell’imputato, mai sottrattosi alla possibilità di controllo da parte dell’autorità tenuta alla vigilanza.
Tra i due orientamenti questo Collegio ritiene preferibile quello maggioritario, non reputando rilevante nè le motivazioni nè lo scopo dell’allontanamento, perchè il reato di evasione richiede il dolo generico costituito dalla coscienza e volontà di allontanarsi dal domicilio, indipendentemente dai motivi per la irrilevanza delle valutazioni del soggetto che vi è sottoposto, non potendosi rimettere al suo arbitrio la scelta della misura cautelare.
2. Il secondo motivo è, invece, fondato.
La Corte di merito dopo aver riconosciuto la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva, ha escluso la possibilità di ravvisare la causa di non punibilità per tenuità del fatto sulla base della ritenuta incertezza del fatto, nel senso che non sarebbe certo che l’imputato si sia immediatamente recato in caserma dopo essere uscito dalla propria abitazione.
Tale considerazione è viziata per illogicità manifesta.
Innanzitutto, perchè non risponde ad una logica ricostruzione del fatto il comportamento alternativo che si assume possibile, ovvero che l’imputato dopo essere evaso avrebbe raggiunto la caserma per autodenunciarsi senza una ragione plausibile, neppure ipoteticamente rappresentata.
La peculiarità delle modalità con cui si è concretizzata l’evasione non legittima sul piano della logica una tale ipotetica alternativa lettura di merito.
In secondo luogo, l’incertezza ravvisata nella ricostruzione del fatto non giustifica le conseguenze sfavorevoli per l’imputato che ne sono state tratte.
L’ipotesi di una evasione per scopi diversi da quelli dichiarati dall’imputato confligge con la stessa descrizione del fatto contenuta nel capo di imputazione, in cui l’allontanamento viene descritto in modo corrispondente alla versione resa dall’imputato.
Solo il concreto accertamento di una diversa finalità dell’evasione da quelle contestata nel capo di imputazione avrebbe potuto dare un fondamento logico alla decisione adottata dalla Corte territoriale di escludere la tenuità del fatto.
Nel caso in esame, caduta la ragione di fatto con cui è stato giustificato il diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. si deve rilevare come dalla stessa sentenza impugnata si possa evincere, senza necessità di ulteriori accertamenti di merito, la sussistenza di tutti i presupposti per la sua applicazione, essendo stata già assodata la minima offensività della condotta di evasione, per la breve durata in cui l’imputato si è allontanato dal luogo degli arresti domiciliari al solo ed unico fine di sottoporsi al controllo diretto delle forze di polizia, non trattandosi di comportamento abituale, nè essendo state ravvisate le altre condizioni soggettive ostative previste dall’art. 131-bis c.p.
Si deve osservare che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p. può essere rilevata nel giudizio di legittimità, quando risulti dedotta nei motivi di appello e sempre che i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti fattuali a tal fine, conformemente a quanto previsto dall’art. 620 c.p.p., lett. l), che consente alla Corte di cassazione di decidere quando non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto ed appaia evidente la superfluità del rinvio al giudice di merito (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj Rv. 266589; Sez. 2, n. 49446 del 03/10/2018, Zingari, Rv. 274476; Sez. 1, n. 27752 del 09/05/2017, Rv. 270271).
In conclusione, deve disporsi l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non è punibile ai sensi dell’art. 131-bis c.p.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non è punibile per la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis c.p.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2020.

Continui atti di violenza psicologica dopo l’accordo di separazione: ex marito condannato per stalking

Cass. Pen., Sez. V, Sent., 12 gennaio 2021, n. 839
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Z.C., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/07/2019 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. EPIDENDIO TOMASO;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità;
udito il difensore;
L’AVVOCATO IMBRUGLIA, CHIEDE l’accoglimento DEL RICORSO.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza dell’11 luglio 2019, la Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Gela il 3 luglio 2017, di condanna di Z.C. alla pena di mesi sei di reclusione, per il reato di atti persecutori nei confronti della ex moglie, P.G., verso la quale infieriva con continui atti di violenza psicologica, alimentando in lei un continuo stato di pressione psicologica e prostrazione morale, facendola vivere in condizioni disagiate e pericolose e ingenerando il timore per l’incolumità propria, dei suoi cari ed amici, tra cui S.G., tanto da costringerla ad informarlo dei suoi spostamenti, a fare rientro a casa per non incorrere in più gravi conseguenze e a non intrattenere rapporti sociali, specie con soggetti di sesso maschile, nonchè a non utilizzare il suo cellulare per evitare di essere contattata.
2. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta, l’imputato, a mezzo del proprio difensore avv. Imbruglia Alessandro, ha proposto ricorso affidato a due motivi, con i quali deduce:
2.1. con il primo motivo, la violazione dell’art. 612 bis c.p., per essere la sentenza impugnata giunta a una pronuncia di condanna, in assenza di prova circa le condotte di atti persecutori e per avere la Corte d’appello omesso adeguata motivazione sul punto, limitandosi a confermare il giudizio di penale responsabilità dell’imputato desunto da valutazioni e supposizioni, anzichè da prove certe; in particolare, con riguardo alle aggressioni attuate nel (OMISSIS) in danno di S.G., la Corte ha tratto argomenti di prova a carico dell’imputato da mere ipotesi e supposizioni insite nel suggestivo rilievo che il suddetto S. abbia voluto ridimensionare i fatti di cui era stato protagonista, laddove il risultato della relativa deposizione dibattimentale appare difforme dal senso attribuitogli in entrambe le pronunce di merito, non avendo il teste – il quale mai ha sporto denuncia per minaccia o per lesioni nei confronti dell’imputato – confermato in sede di esame dibattimentale di essere stato aggredito; analogo travisamento è avvenuto con riguardo alla seconda aggressione, sulla quale è stata omessa qualsivoglia valutazione di dati decisivi valevoli a dimostrare il contrario; il teste F.A., sentito non nel contraddittorio dibattimentale, ma in sede di indagini a sommarie informazioni testimoniali acquisite in atti, mai ha riferito di aver subito condotte minacciose o aggressive per mano dell’imputato; analogo vizio si coglie rispetto all’accusa di aver inseguito la vittima quasi quotidianamente, appostandosi in numerosissime occasioni per controllarla, atteso che la stessa nel corso del relativo esame ha escluso di essere stata mai seguita e pedinata; inesistente è anche la prova delle chiamate al cellulare che l’imputato avrebbe ripetutamente fatto alla vittima, risultando il contrario; in proposito, la Corte territoriale ometteva di considerare quanto si ricava dalla lettura dei tabulati telefonici che ben documentano le numerose telefonate inoltrate dalla P. verso l’utenza in uso allo Z.;
2.2. con il secondo motivo, la violazione dell’art. 612 bis c.p., in relazione all’evento del reato, atteso che la Corte territoriale, con motivazione inadeguata e non sufficientemente chiara, riteneva sussistente il turbamento psicologico e l’alterazione delle abitudini di vita della persona offesa, in difetto dell’evidenza di elementi sintomatici della loro sussistenza e causale riferibilità alla condotta dell’imputato; la prova veniva desunta, invece che da dati obiettivi, quali ad esempio la documentazione clinica, per un verso dalle dichiarazioni della madre della persona offesa, B.L., e, per altro verso, dal contenuto della serie di sms prodotti dalla persona offesa a corredo della relativa querela; tuttavia, le affermazioni della madre della persona offesa non contribuivano a dimostrare i fatti contestati all’imputato, tanto è vero che la teste non dichiarava di aver capito che la figlia non usciva perchè aveva paura, ma in effetti riferiva solo di essere stata presente a telefonate fatte alla figlia, in cui la trovava nervosa e agitata; in particolare non risulta assodato che le telefonate riferite dalla B. provenissero proprio dall’imputato e non piuttosto da altri soggetti con i quali la figlia intratteneva rapporti e frequentazioni, volgenti al termine perchè stava riallacciando i rapporti con l’imputato; quanto al dato di prova rappresentato dagli sms che la persona offesa produceva a corredo della querela, la Corte d’appello associava erroneamente alla persona offesa l’utenza telefonica sulla quale sarebbero giunti i messaggi riferiti all’imputato; la stampa dei messaggi prodotta a corredo della querela conteneva un’utenza telefonica diversa rispetto a quella riferita dalla persona offesa nel verbale di ratifica querela dalla stessa sottoscritta – che confermava di aver posseduto al tempo dei fatti e fino a qualche mese prima della relativa deposizione dibattimentale – sul quale nessun messaggio di quelli contestati risultava pervenuto; pertanto, i giudici di merito, ammettendo l’acquisizione dell’utilizzo del dato, violavano la regola che impediva di utilizzare le prove in violazione dei divieti; nel caso di specie – come insegnato dalla giurisprudenza in relazione alle conversazioni svoltesi su canali telematici whatsapp, del tutto assimilabili a quelli per cui è causa – sarebbe stato fondamentale controllare l’affidabilità della prova mediante l’esame diretto del supporto, per verificare con certezza sia la paternità delle registrazioni, sia l’attendibilità di quanto da esse documentato, sul presupposto che la semplice trascrizione dei messaggi scambiati non ha valore probatorio e non può essere considerata affidabile.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato.
1. Le censure prospettate con entrambi i motivi di ricorso tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Secondo l’incontrastata giurisprudenza di legittimità esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone). Le censure svolte, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (rv 203767, 207944, 214794).
2. In particolare, per quanto concerne il primo motivo di ricorso l’imputato denuncia genericamente l’insussistenza di elementi di responsabilità a suo carico, laddove le sentenze di merito, senza illogicità, hanno posto a fondamento della condanna dello stesso le dichiarazioni della p.o. P.G.. Quest’ultima, in particolare, ha evidenziato come dopo l’omologazione dell’accordo di separazione ed un tentativo di riconciliazione, il marito avesse iniziato a tenere nei suoi confronti un comportamento assillante e ossessivo, inondandola di continui messaggi e telefonate, anche nel corso della notte, ora di contenuto sentimentale, ora di contenuto minaccioso, ora di contenuto inquisitorio, chiedendole conto dei suoi spostamenti e dei suoi incontri, intromettendosi nei suoi incontri con altre persone, come in occasione degli incontri con S.G. o con F.A., con lo scopo di impedirle di frequentare altri uomini.
2.1. Le dichiarazioni della p.o., dalle quali si ricava pienamente la ricorrenza del reato di atti persecutori a carico dell’imputato, sono state ritenute dai giudici di merito del tutto attendibili, avendo trovato, peraltro, riscontro nelle dichiarazioni della mamma della P., B.L., nelle dichiarazioni dello S. e del F. nei messaggi ricevuti sull’utenza in uso alla P., provenienti dall’utenza dello Z..
2.2. Le dichiarazioni della p.o. possono essere legittimamente poste da sole a base dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell’attendibilità intrinseca del racconto (S.U., n. 41461 del 19.7.2012; Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251661; Sez. 3, n. 28913 del 03/05/2011, C., Rv. 251075; Sez. 3, n. 1818 del 03/12/ 2010, Rv. 249136; Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv.240524). Inoltre, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto, che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr. ex plurimis Sez. 6, n, 27322 del 2008, De Ritis; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, Zamberlan, Rv. 230899).
2.3. La circostanza poi che lo S. abbia tentato di ridimensionare l’accaduto è stato ritenuto senza illogicità nella sentenza impugnata non inficiante il dato saliente che fu lo Z., ponendo in essere una discussione animata con lo S. stesso a recarsi sul posto dove la ex moglie e quest’ultimo si stavano incontrando. Del pari, per quanto concerne l’incontro con il F., la ricostruzione minimalista di quest’ultimo è stata ritenuta non inficiante il dato che fu l’imputato a recarsi dallo stesso per dissuaderlo dal proseguire i suoi incontri con la P..
3. Manifestamente infondato si presenta, altresì, il secondo motivo di ricorso in merito all’evento del reato.
3.1. Sul punto deve rilevarsi come i giudici d’appello abbiano fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell’agente (Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, Rv. 272086). Peraltro, ai fini della integrazione del reato di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) non si richiede l’accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori – e nella specie costituiti da minacce, pedinamenti e insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici o, comunque, espressi nel corso di incontri imposti – abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612 bis c.p. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 c.p.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica (Sez. 5, n. 18646 del 17/02/2017, Rv. 270020).
Nella fattispecie in esame la Corte territoriale ha evidenziato come la madre della p.o., B.L. abbia riferito del turbamento patito dalla figlia all’esito delle numerose telefonate ricevute dallo Z., nonchè del drastico mutamento delle abitudini di vita della stessa nella gestione delle sue relazioni amicali e più in generale nella frequentazione dei luoghi pubblici.
3.2. Da tali dichiarazioni, oltre che da quelle provenienti dalla p.o. è dato ravvisare quantomeno l’evento dello stato d’ansia o del mutamento delle abitudini di vita, nonchè il nesso causale tra i comportamenti dell’imputato e l’evento del mutamento delle abitudini di vita della P., in dipendenza della pressione psicologica sulla stessa esercitata dall’imputato.
Nel caso in esame, per vero, deve rilevarsi come i giudici di merito abbiano correttamente applicato i richiamati principi di legittimità, ricostruendo l’intera sequenza dei comportamenti dell’imputato e dando puntualmente conto della realizzazione di un evento di “danno”, consistente nell’alterazione delle abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura (Sez. 3, n. 23485 del 07/03/2014, dep. 05/06/2014, Rv. 260083).
3.3. Per quanto concerne poi la valenza degli sms inviati dallo Z. alla p.o., la Corte d’appello senza illogicità ha evidenziato la natura minacciosa di essi. Irrilevante in proposito risulta la circostanza dedotta dal ricorrente che il numero del telefono cellulare fornito dalla vittima alla P.G. in sede di querela fosse diverso da quello al quale sono stati inviati gli sms acquisiti agli atti. Infatti, ciò che conta è che da un’utenza telefonica intestata allo Z. siano stati inoltrati i messaggi sms alla p.o. e dalla stessa prodotti.
3.3.1. La Corte territoriale ha, poi, legittimamente utilizzato ai fini di prova i messaggi sms acquisiti agli atti, dovendosi all’uopo richiamare i principi già espressi da questa Corte secondo cui in tema di mezzi di prova, i messaggi “whatsapp” e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p., sicchè è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione nè la disciplina delle intercettazioni, nè quella relativa all’acquisizione di corrispondenza di cui all’art. 254 c.p.p., (Sez. 6, n. 1822 del 12/11/2019 Rv. 278124).
4, In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, nonchè, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3000,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021.

Anagrafe sanitaria regionale e vaccinazioni obbligatorie

TAR Puglia, sez. II, sent. 28 novembre 2020 – 7 gennaio 2021, n. 39
Fatto e diritto
1.- Con ricorso depositato come in rito, i genitori ricorrenti del minore come identificati in epigrafe hanno impugnato il silenzio-inadempimento (o rifiuto) serbato dagli uffici dell’Amministrazione sanitaria, a fronte dell’istanza presentata tesa ad aggiornare l’anagrafe regionale vaccinale dei dati necessari a consentire la frequenza della scuola dell’infanzia da parte del figlio affetto da sindrome autistica e altre patologie documentate.
In particolare, viene dedotta sia l’inerzia del pediatra di libera scelta nell’alimentare tempestivamente i dati dell’anagrafe nazionale vaccinale sia l’inerzia degli altri uffici dell’A.S.L. preposti alle attività di vaccinazione e/o di esonero temporaneo o definitivo per gravi ragioni.
2.- Si è costituita l’A.S.L. BT, deducendo che alcun silenzio è stato serbato dall’Amministrazione resistente, atteso che, a seguito dell’istanza pervenuta, alla luce della complessità e delicatezza della fattispecie, ha provveduto ad investire della questione il competente Dipartimento della prevenzione, il cui dirigente medico si è espresso con relazione del prot. n. 70812 del 16 novembre 2020, che indi veniva depositata.
3.- Si è parimenti costituito il pediatra di libera scelta, che successivamente ha ricusato l’assistenza al minore, affermando che alcun onere di invio dei dati relativi al minore in questione all’anagrafe vaccinale incombeva, alla stregua della normativa richiamata (d.m. Salute del 17 settembre 2018).
4.- Scambiate ulteriori memorie e documenti, la causa alla fissata camera di consiglio veniva trattenuta in decisione.
5.- Il ricorso è fondato.
5.1.- In via preliminare, va rigettata l’eccezione d’inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso sollevata dal pediatra di libera scelta, in ragione della maturata ricusazione dell’assistenza al minore avvenuta prima della proposizione del ricorso, talché alcuna conseguenza può sortire l’eventuale accoglimento dell’impugnazione spiegata avverso l’inerzia.
Ritiene il Collegio che l’eccezione è priva di pregio, in quanto la vicenda complessiva in controversia, inerente l’adempimento degli obblighi vaccinali, risale sicuramente al periodo in cui la pediatra aveva in cura il minore; inoltre il ricorso proposto deduce trascurati adempimenti cui segue la legittimazione a contraddire.
Infatti, il ricorso avverso il silenzio-inadempimento (o rifiuto) ha in primo luogo lo scopo di accertare l’inezia e in seconda battuta la condanna ad un facere, per cui v’è legittimazione passiva processuale e interesse a controdedurre da parte del medico pediatra, siccome intimato.
Indi, l’eccezione va respinta.
5.2.- Con il primo punto di ricorso viene dedotta la violazione di legge, la violazione dell’art. 97 Cost., la violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell’attività amministrativa da parte dell’A.S.L. BT, nonché la violazione dell’obbligo di provvedere con un provvedimento espresso (art. 2 della legge 7 agosto 1990 n. 241), con riferimento all’art. 1, commi 2 e 3, del decreto-legge 7 giugno 2017 n. 73, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 2017 n. 119.
Segnatamente, è espressamente previsto, dalla richiamata normativa, che, per i minori da zero fino a sedici anni di età, si provveda a talune vaccinazioni obbligatorie. Tuttavia, quest’obbligo è escluso, in caso di avvenuta immunizzazione, a seguito di malattia naturale, nonché in caso di pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche.
In particolare, l’avvenuta immunizzazione, a seguito di malattia naturale, è comprovata dalla notifica effettuata dal medico curante, ovvero in base agli esiti dell’analisi sierologica. Inoltre, le vaccinazioni possono essere omesse o solo differite, in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta.
Rileva il Collegio che, nel caso di specie, il comportamento silente dell’Amministrazione sanitaria, sia da parte dei preposti uffici, sia da parte del professionista pediatra, a fronte dell’istanza proposta, non trovi alcun sostegno normativo.
Al contrario, v’è copiosa normativa che, con riguardo alle vaccinazioni obbligatorie, impone ai soggetti pubblici competenti l’adozione doverosa di una sequenza di azioni, come di seguito riassunte.
A decorrere dall’anno scolastico 2019/2020, i dirigenti delle Istituzioni del sistema nazionale di istruzione ed i responsabili dei servizi educativi per l’infanzia sono tenuti a trasmettere alle Aziende sanitarie locali territorialmente competenti l’elenco degli iscritti per l’anno scolastico. Indi, le A.S.L. provvedono a restituire gli elenchi, completandoli con l’indicazione dei soggetti, che risultano non in regola con gli obblighi vaccinali o che ricadono nelle condizioni di esonero (anche temporaneo) dalle vaccinazioni.
L’art. 2, comma 1, lett. a), del d.p.c.m. 12 gennaio 2017, contenente la definizione dei livelli essenziali di assistenza (c.d. L.E.A.), di cui all’art. 1, comma 7, del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, prevede, tra l’altro, nell’ambito della prevenzione collettiva e sanità pubblica, che il Servizio sanitario nazionale debba garantire, attraverso i propri servizi, nonché avvalendosi dei medici di medicina generale e dei pediatri convenzionati, le attività di sorveglianza, di prevenzione e di controllo delle malattie infettive e parassitarie, inclusi i programmi vaccinali.
Il d.m. Salute del 17 settembre 2018 ha istituito “l’Anagrafe nazionale vaccini” destinata a raccogliere i dati forniti dai preposti uffici e sanitari in ordine ai programmi vaccinali, costituito da una banca dati regionale, dotata di un sistema informativo unico nazionale, collegato con l’anagrafe regionale degli assistiti e ha lo scopo di garantire la corretta conduzione dei programmi di vaccinazione, il monitoraggio dell’efficienza dell’attività ed il controllo della sua efficacia attraverso il calcolo delle coperture vaccinali.
Sul piano della normativa regionale, l’art. 39 (Norme in materia di sistemi informativi e obblighi informativi), comma 3, della legge della Regione Puglia 25 febbraio 2010 n. 4 recante “Norme urgenti in materia di sanità e servizi sociali” fa obbligo alle aziende sanitarie e ai soggetti convenzionati del Servizio sanitario regionale, tra cui vanno annoverati i pediatri di libera scelta, di conferire i dati e le informazioni necessarie per il funzionamento dei sistemi informativi regionali, secondo le specifiche tecniche e le modalità stabilite dalla Regione.
L’art. 1, comma 4, della legge della Regione Puglia 15 luglio 2011 n. 16 recante “Norme in materia di sanità elettronica, di sistemi di sorveglianza e registri” ha annoverato anche i pediatri di libera scelta tra i soggetti attivi che partecipano al sistema della sanità elettronica, in qualità di contitolari del trattamento dei dati personali, per quanto riguarda i tipi di dati e le operazioni di trattamento di propria competenza.
Tutti i soggetti impegnati nelle attività della campagna di vaccinazione sono tenuti a registrare o conferire i dati al sistema informativo regionale, deputato alla gestione delle attività vaccinali e dell’Anagrafe regionale dei soggetti vaccinati (denominato in Puglia “GIAVA”), ai sensi di quanto previsto dalla premessa normativa.
Quanto innanzi, al fine di permettere di alimentare compiutamente l’Anagrafe nazionale vaccini che rappresenta obbligo specificamente introdotto dall’art. 4-bis del decreto-legge 7 giugno 2017 n. 73 convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017 n. 119.
Pertanto, le istituzioni scolastiche, gli uffici A.S.L. preposti e i pediatri di libera scelta sono chiamati a cooperare nello scambio dei dati utili a individuare i minori per i quali le vaccinazioni sono state regolarmente effettuate o omesse senza giustificazione o esonerati (anche temporaneamente) nelle previste ipotesi. Tanto, avendo cura di dedicare una particolare attenzione ai soggetti minori portatori di disabilità o comunque soggetti “fragili” in relazione alla peculiare condizione di salute e le relative famiglie, onde appurare la modalità clinicamente più opportuna per l’adempimento dell’obbligo vaccinale, che può anche comportare l’esonero giustificato, temporaneo o assoluto, dalla somministrazione di uno o più vaccini.
Sugli obblighi, a cui sono tenuti le strutture sanitarie, v’è la lettera circolare esplicativa del Ministero della salute, Direzione generale della prevenzione sanitaria, Ufficio prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale, del 16 agosto 2017 n. 25233, che illustra e puntualizza gli adempimenti delle strutture sanitarie.
In primis, va rammentato che l’avvenuta immunizzazione, a seguito di malattia naturale, comprovata dalla notifica effettuata dal medico curante o dalla figura omologa del pediatra di libera scelta, oppure sulla base degli esiti dell’analisi sierologica, esonera dalla vaccinazione e, di conseguenza, il soggetto immunizzato adempie all’obbligo vaccinale, nei termini disposti dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge 7 giugno 2017 n. 73, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 2017 n. 119.
In secundis, le vaccinazioni possono essere omesse o differite solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta, sulla scorta degli esami e degli approfondimenti specialistici del caso (art. 1, comma 3, decreto-legge 7 giugno 2017 n. 73, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 2017 n. 119).
Pertanto, gli uffici dell’A.S.L. competente non possono limitarsi a produrre una relazione interna, come nel caso di specie, ma devono procedere, laddove non ritenuta sufficiente la documentazione già prodotta, in caso di mancata osservanza dell’obbligo vaccinale, a sollecitarne l’adempimento e/o a convocare i genitori dei minori, per un colloquio, al fine di fornire ulteriori informazioni sulle vaccinazioni e indi a sollecitarne l’effettuazione, laddove si constati, in base alla documentazione tecnica probante, che non sia subentrata una sufficiente immunizzazione naturale (art. 1, comma 4, del decreto-legge 7 giugno 2017 n. 73, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 2017 n. 119).
5.2.- Dalla disamina complessiva della vicenda, dunque, emerge che il figlio minore della famiglia ricorrente è rimasto sia privo di adeguato aggiornamento con riferimento all’anagrafe vaccinale sia privo della possibilità di fruire del servizio scolastico per l’infanzia, perlomeno nei periodi utili non preclusi dalle misure emergenziali causati dall’epidemia da Covid-19.
Tanto, invero, per insufficiente cooperazione dei servizi preposti, scolastici e sanitari, che vieppiù, nella fattispecie concreta, emergeva come particolarmente doverosa, anche oltre i consueti canali telematici, stante la peculiare condizione del minore.
Agli atti del processo, v’è una certificazione del pediatra dottoressa R. (stante grafia illeggibile, presuntivamente datata al 14 febbraio 2020), che attesta, sulla scorta del referto reso dal laboratorio P. di Trani, datato 28 novembre 2019, che il piccolo O. possiede taluni valori anticorpali riferiti a “morbillo”, “parotite” e “rosolia”. Non c’è alcun’altra indicazione circa altri approfondimenti specialistici o clinici disposti, al fine della migliore comprensione della condizione dell’assistito minore. Né sul punto altro è stato dedotto dalla difesa.
Non consta che la documentazione attestante l’immunizzazione parziale per talune malattie infettive, sia stata inoltrata al competente servizio A.S.L. V’è poi agli atti altra documentazione sanitaria che sconsiglia l’effettuazione di vaccinazioni, invero anche temporaneamente, in considerazione del contingente stato di salute del bambino.
Emerge, in base agli atti del processo, che dunque non sono stati adempiuti gli obblighi di legge, come disposti dal decreto-legge 7 giugno 2017 n. 73, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 2017 n. 119 e richiamati dalla lettera circolare del Ministero della salute del 16 agosto 2017 n. 25233 e più sopra ripercorsi in sintesi.
5.3.- Non è in discussione, nel presente ricorso, alcuna questione circa l’inserimento opportuno del minore parzialmente vaccinato, o esonerato, o comunque immune per via naturale, nel servizio scolastico, pur rammentandosi che i responsabili sono tenuti a individuare le soluzioni organizzative utili allo scopo di garantire la fruibilità del servizio a tutte le famiglie, ivi inclusa quella ricorrente.
5.4.- Con riferimento alla domanda risarcitoria, la stessa non può essere accolta, in quanto, sia pur proposta ai fini del risarcimento dei danni morali, gli stessi non sono supportati da un principio di prova, né peraltro è comprovata la fruibilità dei servizi scolastici, attesa anche la peculiare condizione di salute del minore in questione, data la contingente situazione epidemica da Covid-19, che, indipendentemente dall’apertura dei servizi scolastici, può comunque averne comportato in concreto una limitazione.
5.5.- In diritto, va ulteriormente ricordato che l’azione avverso il silenzio-inadempimento (o silenzio-rifiuto), ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, e all’art. 117 del codice del processo amministrativo, prevede la presenza di due requisiti fondamentali: 1) la sussistenza di un obbligo concreto a provvedere da parte della P.A.; 2) l’inerzia qualificata della P.A. a fronte di una valida istanza.
Questi due elementi qualificano dunque in modo essenziale l’azione proponibile avverso il silenzio dell’amministrazione. Il silenzio-inadempimento viene a configurarsi come omissione, o rifiuto, o inerzia, che contravviene all’obbligo di concludere il procedimento in forma espressa (art. 2 della legge del 7 agosto 1990 n. 241).
Il ricorso avverso il silenzio-inadempimento (artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo) si connota come processo di accertamento della violazione dell’obbligo dell’amministrazione a provvedere, derivante da una norma di legge, di regolamento o da un atto amministrativo, ovvero anche dai principi informatori dell’azione amministrativa, quando, in particolari fattispecie, ragioni di giustizia e di equità impongano comunque l’adozione di un provvedimento.
Sulla base di quanto emerso nel presente processo, da un lato, il pediatra di libera scelta non ha alimentato i dati dell’anagrafe vaccinale, trasmettendo la documentazione dell’immunizzazione per talune malattie infettive. D’altronde, neppure – pur partendo dalla prospettiva della deducente che reputava carente tale documentazione – la dottoressa ha segnalato l’omissione ovvero il ritardo ingiustificato nella vaccinazione; neanche, in alternativa, risultano prescritti altri approfondimenti clinici e diagnostici, se ritenuti insufficienti quelli già prodotti dai genitori.
Dall’altro lato, i preposti uffici dell’A.S.L. non hanno posto in essere le attività di sollecito vaccinale oppure di approfondimento clinico del caso, atte a chiarire la condizione del minore, soggetto peraltro particolarmente debole per la sua innata condizione, come invece previsto dalla normativa riassunta dalla chiara circolare del Ministero della Salute del 16 agosto 2017 n. 25233.
6.- In conclusione, per i sopramenzionati motivi, il ricorso è fondato e merita accoglimento, con declaratoria dell’obbligo di provvedere, entro trenta giorni, ai sensi dell’art. 31, comma 1, e dell’art. 117, comma 2, del codice del processo amministrativo, dalla comunicazione a cura della Segreteria, o, se antecedente, dalla notificazione a istanza della parte interessata della presente sentenza.
In dettaglio, ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. b), del codice del processo amministrativo, va ordinato all’A.S.L. di Barletta-Andria-Trani di provvedere a raccogliere i dati e i documenti sanitari acquisiti dai genitori istanti, sottoponendogli al vaglio tecnico utile all’inclusione nell’anagrafe vaccinale e procedendo, in collaborazione con i genitori, agli accertamenti previsti presso i propri servizi sanitari – come previsto dal decreto-legge 7 giugno 2017 n. 73, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 2017 n. 119 e dalla lettera circolare del ministero della Salute del 16 agosto 2017 n. 25233 – al fine di appurare nel piccolo O. le immunizzazioni naturali intervenute e se persistano, anche a seconda delle diverse tipologie di vaccino, le condizioni per il differimento o l’esonero vaccinale.
Nel caso in cui non sussistano o siano nelle more cessate le condizioni giustificanti l’esonero da una o più vaccinazioni, tra quelle obbligatorie, queste vanno adempiute, nella tempistica e con le cautele mediche e sanitarie rapportate al peculiare stato di salute, ai fini della frequentazione della scuola dell’infanzia.
7.- In ipotesi di ulteriore inerzia, nomina fin d’ora Commissario ad acta la direttrice della scuola di specializzazione in pediatria dell’Università degli Studi di Bari, prof. dott.ssa G., con facoltà di delega, la quale indi provvederà, a quanto stabilito al punto n. 6 della presente sentenza, entro il successivo termine di trenta giorni, con riserva di determinazione del compenso da porsi a carico dell’A.S.L. di Barletta-Andria-Trani.
8.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Il contributo unificato va rifuso in applicazione dell’art. 13, comma 6-bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione II, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.
Nomina commissario ad acta, nel caso di ulteriore inerzia dell’A.S.L. di Barletta-Andria-Trani, la direttrice della scuola di specializzazione in pediatria dell’Università degli Studi di Bari prof. dott.ssa G., con facoltà di delega. Riserva la determinazione del compenso.
Condanna l’A.S.L. di Barletta-Andria-Trani e la dottoressa R. al pagamento delle spese del giudizio a favore dei ricorrenti, che si liquidano in € 1.500,00 ciascuno e in solido tra loro, per complessive € 3.000,00, oltre accessori di legge. C.U. rifuso.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018 n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità delle persone citate nella sentenza, nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.