Commento di Gianfranco Dosi al disegno di legge Pillon
Premessa
I. La mediazione familiare
a) L’accostamento errato tra mediazione familiare e ADR
b) Mediazione familiare, consenso e autodeterminazione
c) Il tentativo obbligatorio di mediazione familiare come condizione di procedibilità della separazione e del divorzio non è di per sé illegittimo
d) L’obbligo del previo tentativo di mediazione familiare è inopportuno e disfunzionale
e) L’inaccettabile previsione del compito del mediatore di salvaguardare il matrimonio e l’unità della famiglia
f) Quando entra in gioco il mediatore familiare
g) Il procedimento di mediazione familiare
h) Albo o registro dei mediatori familiari?
II. Il nuovo affidamento condiviso
a) L’affidamento condiviso paritetico
b) Il mantenimento diretto
c) La casa familiare
d) Il doppio domicilio dei figli minori
e) Il cambio di residenza del figlio
f) Il rapporto del minore con gli ascendenti e i parenti
g) L’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento
h) La revisione delle disposizioni sull’affidamento e sul mantenimento
i) L’ascolto del minore
III. L’affidamento esclusivo
IV. I figli maggiorenni
V. Il piano genitoriale
VI. Il coordinatore genitoriale
VII. La soluzione delle controversie e i provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni
VIII. Gli ordini di protezione
IX. Disposizioni di natura, civile, penale e processuale
a) L’abolizione dell’addebito nella separazione
b) Il reato di violazione degli obblighi di assistenza
c) Il reclamo al collegio contro i provvedimenti del giudice istruttore
X. Le disposizioni transitorie
XI. Sintesi conclusiva
Appendice
1. Tabella di raffronto tra il disegno di legge e il testo delle norme vigenti di cui il disegno di legge propone la modifica
2. Tabella del disegno di legge con gli emendamenti qui suggeriti
3. Testo della relazione illustrativa al disegno di legge
Premessa
Nella valutazione del disegno di legge 735/S (XVIII legislatura) intitolato “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità” ho tenuto presenti tre principi fondamentali e attuali del nostro diritto di famiglia che mi sembra opportuno esplicitare immediatamente, anche per giustificare le mie osservazioni critiche e la mia proposta di emendamenti al testo del disegno di legge all’esame dal settembre 2018 della Commissione giustizia del Senato in sede redigente.
Il primo principio che farà da guida alle mie considerazioni è direttamente collegato alle norme costituzionali e specificamente all’art. 29 (“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale…” e all’art. 30 (“E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli…”). Da queste indicazioni la cultura giuridica ha sempre tratto il convincimento che l’intervento dello Stato nella vita della famiglia, e perciò il diritto di famiglia, deve rispettare l’autodeterminazione delle persone e il diritto dei genitori di occuparsi dei loro figli, presumendo l’esistenza di competenze genitoriali, non il contrario. Riconoscere questo dato vuol dire accettare e considerare legittima l’intrusione della legge nella famiglia solo ove giustificata da dinamiche familiari disfunzionali e lesive del benessere delle persone. La regola è, quindi, che le persone hanno fino a prova contraria le risorse per risolvere i problemi della loro vita di relazione, mentre l’eccezione è costituita dall’intervento sostitutivo dello Stato (art. 30, secondo comma, della Costituzione: “Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”).
Il secondo principio fondamentale attiene alla “normalizzazione” della separazione e del divorzio; eventi un tempo circondati da disvalore sociale molto intenso (di cui residuano tracce evidenti nel tentativo di conciliazione) ed oggi percepiti e vissuti socialmente come un’evoluzione possibile, ancorché potenzialmente dolorosa, della vita e dell’amore di coppia. I dati statistici attestano che quasi una coppia ogni due va incontro alla separazione e al divorzio. Indipendentemente dal giudizio etico che ciascuno di noi può dare a questo dato, sta di fatto che la separazione e il divorzio in uno Stato necessariamente laico possono legittimamente essere oggetto da parte delle istituzioni non di giudizi di valore (e nemmeno di percorsi di facilitazione) ma di regole sostanziali e procedimentali in grado di garantire di fronte a questi eventi la protezione personale e materiale delle posizioni più deboli e vulnerabili.
Il terzo principio riguarda le prospettive ormai irreversibili di “degiurisdizionalizzazione” nell’ambito del diritto di famiglia (art. 6 e art. 12 del decreto legge 12 settembre 2014, n.132, come modificato dalla legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162) con cui si è andata affermando la piena dignità e la piena legittimità della negozialità in un ambito una volta affollato di soli diritti indisponibili. La legge riconosce oggi ai coniugi e ai genitori il diritto di raggiungere al di fuori della giurisdizione tutti gli accordi che meglio ritengono corrispondenti al loro interesse e a quello dei loro figli, fatta salva la valutazione di corrispondenza dell’accordo al superiore interesse del minore.
Si tratta, quindi, di verificare – per affermarne o meno la plausibilità – se e in quali parti il disegno di legge 735/S rispetti o invece travalichi questi tre principi (diritto delle persone all’autodeterminazione, normalizzazione della separazione e del divorzio; riconoscimento della piena dignità degli accordi e della negozialità in ambito familiare).
I
La mediazione familiare
Il disegno di legge 735/S rivolge innanzitutto una attenzione specifica alla mediazione familiare alla quale nell’ambito del diritto di famiglia fa oggi fugace riferimento soltanto il secondo comma dell’art. 337-octies del codice civile, nella parte in cui prescrive che il giudice, ottenuto il consenso delle parti, può rinviare l’adozione dei provvedimenti concernenti l’affidamento dei figli minori per consentire che i genitori, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo.
Il disegno di legge si ripromette di colmare, quindi, un vuoto legislativo prospettando nuovi strumenti destinati a regolamentare due diversi ambiti operativi che interessano da un lato l’assetto ordinamentale della mediazione familiare e dall’altro il suo rapporto con le procedure giudiziarie di diritto di famiglia.
Sul primo versante si prevede l’istituzione di un albo nazionale dei mediatori familiari, si prescrivono i requisiti per esservi ammessi, si indicano le funzioni attribuite a tali professionisti (art. 1) nonché gli obblighi di riservatezza e di segreto professionale (art. 2), si regolamenta il procedimento di mediazione familiare (art. 3) e si disciplinano i relativi compensi professionali (art. 4).
Sul secondo versante, invece, si introducono, limitatamente ai procedimenti giudiziari contenziosi (non consensuali) di separazione e di divorzio nonché in quelli che coinvolgono direttamente o indirettamente figli minori: a) il tentativo obbligatorio della mediazione familiare quale condizione di procedibilità del relativo ricorso giudiziale (art. 7); b) l’invio coattivo in sede di udienza presidenziale alla mediazione familiare che non si si sia svolta in precedenza (una vera e propria mediazione familiare delegata: “Il presidente…rinvia il procedimento per un termine massimo di due mesi ordinando alle parti di rivolgersi a un mediatore familiare” ) (art. 8); c) l’invito alla mediazione familiare nei procedimenti di revisione delle condizioni relative all’affidamento in cui “il giudice invita i genitori a intraprendere un percorso di mediazione familiare per la risoluzione condivisa delle controversie” (art. 13).
Esaminiamo ora tutti questi aspetti.
a) L’accostamento errato tra mediazione familiare e ADR
Nella relazione al disegno di legge la mediazione familiare collegata alle procedure di separazione e divorzio o che comunque coinvolgono i figli minori è accostata espressamente alla mediazione civile e commerciale (Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 e successive modificazioni di cui vengono peraltro dichiarati espressamente applicabili al procedimento di mediazione gli articoli 8, 9, 10, 11, 13 e 14, commi 1 e 2). E’ ben strano – si legge a tale proposito nella Relazione – che sia stata imposta la mediazione preventiva in settori assai meno coinvolgenti la vita delle persone e invece si pongano forti limitazioni con riguardo alla materia del diritto di famiglia.
Viene proposto quindi un accostamento tra mediazione familiare ed ADR (Alternative Dispute Resolution) che, tuttavia, è errato, benché nell’ambito della mediazione familiare alcuni propendano per tale inquadramento, evidentemente nella prospettiva di una completa autonomia e autoreferenzialità del procedimento rispetto al contesto giurisdizionale del diritto di famiglia.
La mediazione familiare ove, invece, connessa ai procedimenti di separazione, divorzio o affidamento di figli minori, non assolve a nessuna funzione di Alternative Dispute Resolution (ADR) in quanto gli accordi raggiunti in sede di mediazione familiare devono per forza sfociare in un provvedimento di natura giudiziaria (omologa, sentenza, decreto), a meno che non siano stati raggiunti attraverso la negoziazione assistita da avvocati, questa sì certamente una ADR (Decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, come modificato dalla legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162).
Pertanto la mediazione familiare potrebbe avere spazio come ADR soltanto in procedimenti che coinvolgono solo i coniugi – di difficile e rara individuazione – che non appartengono al novero di quelli di separazione i divorzio. Ove ve ne fossero, legati a diritti disponibili, sarebbero, comunque, verosimilmente già coperti dall’obbligo del previo tentativo di mediazione civile o di negoziazione.
Poiché, quindi, la mediazione familiare non costituisce una ADR e poiché gli accordi raggiunti attraverso la mediazione familiare possono confluire soltanto in provvedimenti giudiziari, non hanno alcun senso gli ultimi due commi (8 e 9) dell’art. 3 del disegno di legge – dove si disciplina il procedimento di mediazione familiare – i quali prevedono che “L’efficacia esecutiva dell’accordo raggiunto a seguito del procedimento di mediazione familiare deve in ogni caso essere omologata dal tribunale competente per territorio ai sensi del codice di procedura civile” e che “Il tribunale di cui al comma 8 decide in camera di consiglio entro quindici giorni dalla richiesta”, indicazioni che sono del tutto estranee al sistema dei procedimenti connessi alla separazione, al divorzio o all’affidamento dei figli. Tali commi devono essere perciò eliminati perché introdurrebbero una duplicazione ed sovrapposizione di sistemi di recepimento giudiziario degli accordi di mediazione familiare che sarebbe del tutto disfunzionale prima ancora che illegittimo non essendovi deroghe possibili all’individuazione del giudice competente per le cause di separazione e divorzio.
L’incauto e azzardato accostamento della mediazione familiare alle ADR potrebbe essere stato proposto soltanto per richiamare – a proposito della mediazione familiare quale condizione di procedibilità del procedimento sul conflitto familiare (e cioè nel contesto del secondo ambito operativo della riforma) – il via libera offerto dalla Corte costituzionale alla piena legittimità della giurisdizione condizionata (da ultimo Corte cost. 7 luglio 2016, n. 162) a fronte della severa posizione della Corte di cassazione (ammesso che tale orientamento possa applicarsi alla mediazione familiare) sulla illegittimità della imposizione, da parte dei giudici della famiglia, di percorsi personali di sostegno alla genitorialità (Cass. civ. Sez. I, 1 luglio 2015, n. 13506 che ha ritenuto nello specifico contrastante con l’art. 32 della Costituzione e lesiva, quindi, del diritto alla libertà personale e all’autodeterminazione, la prescrizione ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso di sostegno alla genitorialità).
b) Mediazione familiare, consenso e autodeterminazione
Nell’ambito dei conflitti familiari concernenti la crisi di coppia l’accostamento tra mediazione familiare e ADR è quindi errato. La mediazione familiare è sempre stata considerata una possibile opportunità e una possibile risorsa a latere, nell’interesse soprattutto del benessere dei figli, per raggiungere sotto la guida di un esperto un accordo di cogenitorialità. Gli accordi possono essere raggiunti in vista di un provvedimento (nel quale confluiranno) nell’ambito di una procedura giudiziaria o per risolvere un contrasto genitoriale anch’esso regolato da un provvedimento giudiziario, ma – salvo che non confluiscano in un accordo negoziato con l’assistenza degli avvocati e direttamente trascritto all’ufficio di stato civile – non sono alternativi a nessun procedimento giudiziario.
Inoltre, e proprio a garanzia della genuinità della prospettiva potremmo dire negoziale che anima ciascuna parte, la mediazione familiare presuppone necessariamente l’autodeterminazione e la spontaneità dell’accesso al percorso. Si tratta di un principio fondante della mediazione familiare.
L’autodeterminazione è un diritto e al tempo stesso la precondizione per la riuscita di qualsiasi intervento di sostegno alla genitorialità, ancorché alcuni mediatori ritengano di essere in grado di trasformare il dissenso in consenso nel corso della mediazione.
D’altro lato il pieno consenso a qualsiasi trattamento personale è oggi regola inderogabile perfino in ambito sanitario dove pure le terapie assolvono ad una funzione spesso molto più salvifica della mediazione familiare. Il consenso informato – oggi compiutamente disciplinato dalla la legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) – inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e ha trovato sempre fondamento nei principi espressi nell’art. 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione (richiamati espressamente dall’art 1 della nuova legge), i quali stabiliscono, rispettivamente, che “la libertà personale è inviolabile”, e che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. La circostanza che il consenso informato trovi il suo fondamento nei principi di cui agli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute (Corte cost. 23 dicembre 2008, n. 438 e Corte cost. 30 luglio 2009, n. 253).
c) Il tentativo obbligatorio di mediazione familiare come condizione di procedibilità della separazione e del divorzio non è di per sé illegittimo
Se è vero, quindi, che l’accesso alla mediazione familiare e il procedimento di mediazione familiare stesso non possono che essere accompagnati dal consenso e garantiti dal principio di autodeterminazione, si tratta di verificare se lo specifico meccanismo introdotto per la separazione contenziosa nel nuovo primo comma dell’art. 706 c.p.c. (“I genitori di prole minorenne che vogliano separarsi devono, a pena di improcedibilità, iniziare un percorso di mediazione familiare…”) e per il divorzio contenzioso nel nuovo primo comma dell’art, 4 della legge 898/70 (“I genitori di prole minorenne che vogliano presentare ricorso per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio devono a pena di improcedibilità iniziare un percorso di mediazione familiare…”), possa ritenersi confliggente con l’art. 23 (riserva di legge nell’imposizione di prestazioni personali), con l’art. 24 (diritto di agire in giudizio) e con l’art. 32 (riserva di legge nei trattamenti sanitari obbligatori) della Costituzione.
Con la precisazione – è bene rilevarlo – che si tratta di tentativo obbligatorio di mediazione e non di mediazione familiare obbligatoria.
Il riferimento all’art. 32 della Costituzione (“Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge…”) non pare pertinente dal momento che nell’art. 1 del disegno di legge si prevede al comma 2 lett. a che “possono esercitare la professione di mediatore familiare le persone in possesso della laurea specialistica in discipline sociali, psicologiche, giuridiche, mediche o pedagogiche “ il che esclude in partenza che la mediazione familiare possa essere equiparata ad un trattamento sanitario. L’indiretto sostegno alla genitorialità che ne deriva non sembra perciò collocare la mediazione familiare su un versante terapeutico di tipo sanitario, più di quanto non lo sia qualsiasi intervento di carattere sociale.
Neanche può parlarsi di contrasto con l’art. 23 della Costituzione (“Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”) dal momento che sarebbe proprio la legge a imporre il tentativo obbligatorio di mediazione familiare.
Più problematica è la tematica del possibile contrasto con l’art 24 della Costituzione (“Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi…”). Come si è detto, però, la stessa Corte costituzionale esclude la illegittimità dei meccanismi di accesso condizionato alla giustizia quando riflettono un ragionevole bilanciamento tra l’esigenza di tutela della persona e quella (di interesse generale) che il differimento dell’accesso alla giurisdizione intende perseguire, di contenimento del contenzioso, anche in funzione degli obiettivi del giusto processo, per il profilo della ragionevole durata delle liti, oggettivamente pregiudicata dal volume eccessivo delle stesse. Il diritto in gioco è qui quello di chiedere la separazione o il divorzio e il ragionevole bilanciamento potrebbe essere individuato nel diritto dei figli a non subire o a subire il minor pregiudizio dalla crisi genitoriale.
Pertanto la previsione del tentativo obbligatorio di mediazione familiare come condizione di procedibilità della separazione non pare che possa essere considerata lesiva di norme costituzionali.
D’altro lato il procedimento di mediazione familiare prefigurato nel disegno di legge prevede, ci mancherebbe altro, la libertà personale di interrompere la mediazione. L’articolo 3, comma 3, del disegno di legge rassicura circa il fatto che “La partecipazione al procedimento di mediazione familiare è volontariamente scelta dalle parti e può essere interrotta in qualsiasi momento”. Sarà il giudice, in tal caso, a decidere autonomamente in ordine a tutte le questioni relative ai coniugi e all’affidamento dei figli.
d) L’obbligo del previo tentativo di mediazione familiare è inopportuno e disfunzionale
La circostanza che l’accesso al procedimento sul conflitto genitoriale venga condizionato al previo obbligo del tentativo di mediazione familiare pone, perciò, non tanto un problema di legittimità/illegittimità, quanto piuttosto un problema di opportunità/inopportunità.
Molti si chiedono – e il disegno di legge dà a questa domanda una risposta positiva – se per caso non sia opportuno pretendere che ai coniugi venga imposto un contatto obbligatorio con lo strumento della mediazione familiare in modo da affrontare la separazione con maggiore attenzione ai problemi della genitorialità: questo sarebbe, appunto, l’obiettivo del previo tentativo obbligatorio di mediazione familiare (anche solo a fini conoscitivi ed indipendentemente dalla prosecuzione del percorso).
E’ vero che gli accordi (giudiziali o stragiudiziali) possono essere pur sempre raggiunti con l’assistenza dei soli avvocati, ma la mediazione familiare avrebbe in sé oggettivamente il senso di qualcosa che si differenzia dalla gestione di una trattativa legale o di una transazione perché consiste in un percorso nel quale al raggiungimento di un accordo si auspica che si possa accompagnare anche la costruzione o la ricostruzione, o anche solo la conservazione, di una relazione (il legame cogenitoriale) che, nell’interesse dei figli, non può certamente distruggersi. C’è, in fondo, una presunzione di sfiducia che l’ordinamento – imponendo tale obbligo – mostra verso la capacità delle persone di risolvere da sole un loro problema.
Il conflitto in sede giudiziaria, per le modalità inevitabilmente contrappositive che lo contraddistingue, potrebbe prevaricare l’obiettivo del processo in materia di famiglia che è anche e soprattutto quello della tutela del preminente interesse dei figli. Al perseguimento di questo obiettivo – ritiene il disegno di legge – sarà essere utile il richiamo da parte del mediatore, terzo rispetto al conflitto. In effetti il problema che la mediazione familiare intende risolvere non è un problema di consulenza legale o psicologica (ed anzi “il mediatore deve astenersi dal fornire consulenza legale o psicologica alle parti”: art. 3,co. in fondo). Il mediatore deve soltanto (ed essere in grado di) aiutare le parti ad impostare l’assetto postconiugale, favorendo la conservazione di una relazione tra i genitori. E d’altro lato se i coniugi hanno risolto da soli (o con i loro avvocati) il problema del loro accordo sui figli, non avranno alcuna necessità di iniziare un percorso obbligatorio di mediazione familiare: l’art. 711 del codice di procedura civile che si occupa della separazione consensuale – nel testo modificato dal disegno di legge – non impone il tentativo obbligatorio di mediazione familiare ma richiede soltanto l’indicazione nel ricorso congiunto del piano genitoriale previsto nel nuovo art. 337 ter c.c.
Tuttavia, nonostante le buone intenzioni, sul piano dell’utilità e della produzione di effetti funzionali il previo tentativo obbligatorio di mediazione familiare si presenta del tutto inappagante.
Il conflitto coniugale che nasce dalla decisione della separazione personale ha il suo punto di tensione più alto nel periodo immediatamente successivo alla comunicazione della volontà di separarsi. In questa prima fase gli aspetti emotivi della relazione conflittuale prevaricano le competenze cognitive. Sembra il momento peggiore non tanto per negoziare (nell’ambito della causa) quanto per obbligare le persone ad una negoziazione al di fuori della causa e dei suoi attori.
L’imposizione di un incontro obbligato con il mediatore familiare prima di avviare la separazione legale o comunque l’imposizione di un passaggio che le parti non vogliono o avvertono come non autodeterminato finisce per avere l’effetto contrario di allontanare dalla mediazione familiare, di avvalorare la percezione di un’intrusione esterna inaccettabile, di esacerbare il conflitto. Il rilancio, invece, delle pratiche di mediazione familiare attraverso la predisposizione di una buona rete organizzativa potrebbe costituire un momento di presa di coscienza circa il fatto che l’aiuto del mediatore familiare (formato e preparato) può produrre cambiamenti positivi se gli interessati ne riconoscono e ne accettano il ruolo e l’intervento.
I mediatori familiari conoscono bene le trappole della mediazione obbligatoria e sanno bene che imporre un dialogo privo di consenso reale equivale a percorrere una strada destinata al rapido insuccesso.
L’accesso alla mediazione familiare in condizione di non autodeterminazione è quindi del tutto controproducente e disfunzionale rispetto agli obiettivi stessi della mediazione familiare. Finirebbe per svilire anche agli occhi degli utenti la mediazione il cui accesso obbligatorio rischierebbe di farla diventare una formalità da digerire al più presto e da lasciarsi quanto prima alle spalle.
Naturalmente non mancano opinioni contrarie nel senso che alcuni riconoscono praticabile un intervento di mediazione familiare anche nella fase più critica e acuta della crisi di coppia, ma si tratta di forzature ideologiche di cui mancano peraltro riscontri relativi all’esito e ai risultati.
Secondo quanto prevede il disegno di legge, se il tentativo, comunque, non viene promosso sarà il presidente in sede di prima udienza ad ordinare alle parti l’accesso alla mediazione familiare (art. 708 c.p.c. come riformato dal disegno di legge).
Nel ristabilire correttamente i compiti del mediatore familiare e i compiti del giudice deve prevalere il rispetto per la diversità delle due funzioni. L’una, la mediazione familiare, è imperniata sull’autodeterminazione; l’altra, la decisione giudiziale, sul dovere di decidere (e non di rinviare a terzi) in mancanza di accordo delle parti.
Le stesse considerazioni non valgono nei casi in cui il giudice invita le parti ad accedere alla mediazione familiare (art. 337-quinquies in caso di procedimenti di modifica dei provvedimenti di affidamento). Qui siamo fuori di ogni obbligo e l’invito potrà essere liberamente accolto o meno, sena che siano ammissibili meccanismi di sanzione diretta o indiretta rispetto alla decisione delle parti o di una di esse di non aderire all’invito.
e) L’inaccettabile previsione del compito del mediatore di salvaguardare il matrimonio e l’unità della famiglia
Nell’indicazione delle funzioni del mediatore familiare l’art. 3 al comma 2 lett. i , prevede tra l’altro che “il mediatore familiare ha un obbligo informativo in favore delle parti circa la possibilità di avvalersi della consulenza matrimoniale al fine di salvaguardare per quanto possibile l’unità della famiglia… nel rispetto del miglior interesse del minore” come previsto dall’articolo 708 del codice di procedura civile, come modificato dall’articolo 8 del disegno di legge, dove a sua volta si legge che “Qualora la conciliazione non sia riuscita, il presidente informa le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare”.
Al mediatore il disegno di legge assegna le funzioni di gestione imparziale della mediazione familiare e il compito anche di adoperarsi per impedire o per risolvere gravi conflittualità che possono produrre ogni forma di violenza endofamiliare, anche informando le parti della possibilità di ottenere l’aiuto di altri specialisti.
Mentre queste ultime funzioni sono essenziali e del tutto ragionevoli, quella di “salvaguardare per quanto possibile l’unità della famiglia” è veramente fuori luogo. Il mediatore familiare non può avere questo compito di salvaguardia che peraltro nemmeno saprebbe come adempiere. Alla mediazione familiare le parti giungono per trovare una soluzione in ragione di una decisione già presa di separarsi. La salvaguardia del matrimonio costituisce nel disegno di legge una prescrizione inaccettabile, largamente inopportuna e da eliminare senz’altro.
Non si tratta di un lapsus in quanto il disegno di legge all’art. 8 attribuisce questa stessa funzione al presidente del tribunale precisando senza possibilità di equivoci (nel nuovo terzo comma dell’art. 708 c.p.c.) che “Qualora la conciliazione non sia riuscita, il presidente informa le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare”. Alle mediazione si fa, quindi, perché non ci si vuole riconciliare. Il rapporto tra la mancata (ri)conciliazione e l’avvalersi della mediazione familiare è antistorico, prima ancora che preoccupante.
Attribuire al giudice (in sede di tentativo di conciliazione) e al mediatore familiare (in sede di avvio della mediazione) il compito di additare la mediazione familiare come la soluzione per un eventuale ripristino della comunione materiale e spirituale del matrimonio – giacché di questo si tratta – contribuisce ad alimentare una confusione sugli strumenti di intervento nella crisi della famiglia. Significa tornare alla confusione tra mediazione familiare e terapia familiare che ha sempre costituito un aspetto fortemente ostativo alla praticabilità dei percorsi di mediazione familiare.
f) Quando entra in gioco il mediatore familiare?
L’accesso alla mediazione familiare è naturalmente libero nel senso che in qualsiasi momento prima, durante o dopo il procedimento (anche consensuale) di separazione o divorzio le parti possono autonomamente rivolgersi ad un mediatore familiare, scelto però – per evidenti motivi di funzionalità nell’eventuale rapporto con l’autorità giudiziaria – “tra quelli che esercitano la professione nell’ambito del distretto del tribunale competente per territorio ai sensi del codice di procedura civile” (art. 3, comma2, del disegno di legge).
Come detto, l’esperimento della mediazione familiare è considerata nel disegno di legge condizione di procedibilità nelle procedure contenziose di separazione e divorzio e in quelle comunque in cui debbano essere assunte decisioni che coinvolgano direttamente o indirettamente i diritti dei minori. Anche e soprattutto in questi casi le parti sono vincolate alla scelta del mediatore “nell’ambito del distretto del tribunale competente per territorio” ed ai fini del controllo su tale adempimento da parte del presidente – il mediatore familiare deve rilasciare ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui dà atto che gli stessi hanno tentato la mediazione e deve informare il giudice del relativo esito (accordo o fallimento della mediazione).
La mediazione familiare può essere anche delegata dal giudice.
L’art. 8 del disegno di legge che modifica l’art. 708 c.p.c. (Tentativo di conciliazione e provvedimenti del presidente) prevede che il presidente verifica anche d’ufficio il rispetto delle prescrizioni relative all’obbligo del previo tentativo di mediazione familiare e in caso contrario rinvia il procedimento per un termine massimo di due mesi ordinando alle parti di rivolgersi a un mediatore familiare. Solo all’esito della mediazione familiare, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori, valuta i rispettivi piani genitoriali e assume con ordinanza i provvedimenti che reputa opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi. La stessa cosa avviene in sede divorzile (art. 22 dl disegno di legge che modifica l’art. 4, commi 8 e 9, della legge sul divorzio).
Ugualmente nell’ambito dei giudizi di revisione delle condizioni di separazione e divorzio (art. 13 del disegno di legge che modifica l’art. 337-quinquies c.c.) si prevede che nei casi di conflittualità tra le parti, il giudice invita i genitori a intraprendere un percorso di mediazione familiare per la risoluzione condivisa delle controversie e, qualora le parti accettino, sospende il procedimento per non più di sei mesi rimettendo le parti stesse davanti al mediatore familiare, sorteggiandone il nome tra due scelti dalle parti in caso di disaccordo. Qualora poi la mediazione riesca, il giudice esamina il piano genitoriale redatto dalle parti con l’aiuto del mediatore e lo recepisce nel proprio provvedimento ove non ritenuto contrario all’interesse e ai diritti del minore.
g) Il procedimento di mediazione familiare
L’art. 3 del disegno di legge individua i principi a cui attenersi nel procedimento di mediazione familiare rimandando in più punti alla disciplina del procedimento di mediazione civile e commerciale in virtù di quella errata e confusiva equiparazione tra mediazione familiare ed ADR a cui il disegno di legge si ispira.
I mediatori familiari hanno già da tempo costruito un setting piuttosto chiaro sulla mediazione familiare e non sembra che vi siano nel disegno di legge statuizioni granché contrastanti con tale setting, salvo alcune, come la partecipazione, quanto meno al primo incontro, degli avvocati delle parti, di cui in genere non è prevista la presenza in sede di mediazione familiare. Spetterà ala sensibilità del mediatore e degli stessi avvocati rappresentare alle parti l’opportunità che nelle sedute di mediazione familiare successive alla prima le parti siano messe in condizione di costruire o ricostruire una relazione diretta tra di loro, anche senza la presenza dei legali.
Il rinvio al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 sulla mediazione civile e commerciale (che sconta l’equivoco della equiparazione tra mediazione familiare ed ADR), in particolare agli articoli 8 (procedimento), 9 (dovere di riservatezza), 10 (Inutilizzabilità e segreto professionale) 11 (conciliazione), 13 (Spese processuali) e 14, commi 1 e 2 (obblighi del mediatore), al momento non può essere considerato effettivo, mancando ancora i decreti di attuazione che dovranno necessariamente adattare la procedura al contesto della mediazione familiare.
Il meccanismo del pagamento delle spese processuali a carico di chi abbia rifiutato la proposta del mediatore (art. 13 del decreto 28/2010) è da cancellare perché il mediatore familiare allo stato delle cose non è chiamato a fare proposte di accordi come previsto per il mediatore civile e commerciale.
Di sicuro dovrebbero essere eliminati anche gli ultimi due commi dell’art. 3 del disegno di legge (comma 8: “L’efficacia esecutiva dell’accordo raggiunto a seguito del procedimento di mediazione familiare deve in ogni caso essere omologata dal tribunale competente per territorio ai sensi del codice di procedura civile” e comma 9: “Il tribunale di cui al comma 8 decide in camera di consiglio entro quindici giorni dalla richiesta”) essendo del tutto scoordinati rispetto alle procedure di diritto di famiglia cui la mediazione familiare si riferisce.
h) Albo o registro dei mediatori familiari?
All’art. 1 il disegno di legge prevede l’Istituzione di un albo nazionale per la professione di mediatore familiare.
Il riferimento sembra agli albi indicati nell’art. 2229 del codice civile: “La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albo o elenchi”.
In effetti si elencano i requisiti che dovranno avere gli iscritti che devono essere in possesso della laurea specialistica in discipline sociali, psicologiche, giuridiche, mediche o pedagogiche, nonché della formazione specifica, certificata da idonei titoli; si precisa che la professione di mediatore familiare può essere esercitata in forma individuale o associata; che l’albo è tenuto dal Ministero della giustizia che ne cura l’aggiornamento; che il servizio di mediazione familiare può essere offerto nei consultori familiari pubblici e privati da persone aventi la qualifica di mediatori familiari iscritti all’albo; che il mediatore familiare deve essere esperto nelle tecniche di mediazione e deve essere in possesso di approfondite conoscenze in diritto, psicologia e sociologia con particolare riferimento ai rapporti familiari e genitoriali; che l’iscrizione all’albo è subordinata al superamento di una prova di esame; che un istituendo consiglio nazionale dei mediatori familiari dovrà provvedere all’emanazione di un codice deontologico.
I professionisti che ne faranno parte come mediatori familiari sono però anche iscritti ad altri albi professionali. Si potrebbe, perciò, semplicemente istituire un “elenco” o un “registro” nazionale dei mediatori, analogamente a quanto per gli organismi di mediazione civile e per i mediatori civili ha fatto la normativa di settore (Decreto del Ministero della Giustizia, 18 ottobre 2010, n. 180: Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione).
Questa soluzione è la più rispettosa dell’autonomia delle singole professioni implicate nella mediazione familiare e prospetterà l’esigenza che i diversi albi professionali individuino le norme di deontologia nell’esercizio della professione di mediatore familiare cui nel proprio ordinamento fare riferimento. Esattamente come avvenuto per il codice deontologico forense allorché sono state introdotte specifiche norme deontologiche relative all’avvocato che svolge funzioni di mediatore civile (art. 62) o funzioni di assistenza nella negoziazione (art. 27).
E’ pur vero – con riferimento all’albo degli avvocati – che la legge 247 del 2012, all’art. art. 18, comma 1, lett. a), dispone che “La professione di avvocato è incompatibile: a) con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l’esercizio dell’attività di notaio…”, e che “l’iscrizione nell’albo degli Avvocati è incompatibile con l’iscrizione in altri albi professionali diversi da quelli per i quali l’iscrizione è espressamente consentita” (Cass, civ. Sez. unite, 22 luglio 2016, n. 15208) ma sarebbe la legge ad introdurre formalmente una deroga al principio per gli avvocati mediatori familiari.
Al di là di questo certamente la doppia iscrizione per i mediatori familiari potrebbe aprire scenari di particolare complessità che non si porrebbero ove fosse chiarito che non di un vero e proprio albo si tratta ma di un registro o di un elenco.
II
Il nuovo affidamento condiviso
a) L’affidamento condiviso paritetico
Con la prospettazione di un nuovo testo dell’art. 337-ter c.c. il disegno di legge intende assicurare al figlio minore il diritto ad un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e la madre, a ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali e, soprattutto, “a trascorrere con ciascuno dei genitori tempi adeguati, paritetici ed equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale”. Il nuovo affidamento condiviso si presenta, quindi, nelle forme dell’affidamento condiviso con tempi di frequentazione tra genitori e figli che il disegno di legge vuole paritetici ed equipollenti.
Secondo i proponenti il testo attuale dell’art. 337-ter – che risale alla riforma operata con la legge 8 febbraio 2016, n. 54 – è formulato genericamente prevedendosi soltanto che il giudice, con riferimento ai figli minori “determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore”. Questa formulazione è accusata di aver prodotto una prassi negoziale e una giurisprudenza disattente alla quantità dei tempi di frequentazione tra i genitori e i figli, con la conseguenza che spesso per i padri questi tempi si risolvono in genere in poche ore durante la settimana e in non più di due week-end al mese. Questa situazione – sulla quale i movimenti dei padri hanno più volte richiamato l’attenzione – viene considerata un punto fallimentare nell’applicazione della normativa sull’affido condiviso introdotta nel 2006.
Il disegno di legge si ispira al principio – sostanzialmente giusto – che non è soltanto la qualità della relazione tra genitore e figli che va salvaguardata dopo la separazione, ma anche la quantità del tempo che genitori e figli trascorrono insieme. La sottovalutazione che vi è stata finora nella prassi e nella giurisprudenza del problema della “quantità del tempo” e non solo della “qualità della relazione”, è piuttosto evidente. La legge sull’affido condiviso aveva in sé una carica di promozionalità del rapporto soprattutto tra padri e figli che non si è adeguatamente realizzata.
Un conto, però, è prevedere che i tempi di frequentazione di ciascun genitore con il figlio siano il più possibile adeguati e paritari, altro conto è prevedere l’obbligo che siano necessariamente paritetici ed equipollenti “in ragione della metà del proprio tempo”.
La soluzione, perciò, che con il nuovo testo dell’art. 337-ter il disegno di legge propone (“Qualora uno dei genitori ne faccia richiesta e non sussistano oggettivi elementi ostativi, il giudice assicura con idoneo provvedimento il diritto del minore di trascorrere tempi paritetici in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti, con ciascuno dei genitori”) appare eccessivamente rigida. L’imposizione di tempi obbligatoriamente paritetici “in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti”, ancorché condizionata al fatto che non sussistano “oggettivi elementi ostativi” (per esempio per i tempi di lavoro o per le distanze abitative) non può essere una clausola obbligata del piano genitoriale. Un conto è prevedere che i tempi di frequentazione debbano essere adeguati e il più possibile paritari e altro conto è prevedere l’obbligo di tempi paritetici “in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti”.
Deve sempre essere assicurata ai genitori la praticabilità di altre modalità di organizzazione dei tempi di rispettiva frequentazione anche in assenza di “oggettivi elementi ostativi”. Al piano genitoriale concordato tra i genitori dovrebbe essere lasciata libertà organizzativa nella decisione nel caso concreto sui rispettivi tempi di frequentazione con i figli fatta sempre salva la possibilità, in sede contenziosa, per un genitore di reclamare una parità maggiore di quella a cui l’altro genitore si dichiara disponibile. Quindi in presenza di irragionevoli atteggiamenti ostruzionistici il principio della parità dei tempi può funzionare come principio che deve orientare la decisione del giudice ma questo non può comportare un giudizio di per sé di disvalore su altre modalità organizzative concordate tra i genitori.
Del tutto inaccettabile, comunque, è la indicazione di dover garantire necessariamente ai figli “la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti presso il padre e presso la madre”, fatto salvo un comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore, individuato nei casi (in cui si potrà anche disporre l’affido esclusivo) di: 1) violenza; 2) abuso sessuale; 3) trascuratezza; 4) indisponibilità di un genitore; 5) inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore.
L’affermazione che costituisce diritto del minore “trascorrere con ciascuno dei genitori tempi adeguati, paritetici ed equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale” è ideologica e frutto di un eccesso di rigidità. E’ vero che non conta solo la qualità della relazione ma anche la quantità del tempo, ma non può ritenersi affatto che altre modalità di organizzazione dei tempi genitoriali possano essere di per sé contrarie all’interesse del minore. Se, per esempio, la qualità della relazione non è buona, è tutto da dimostrare che possa essere la parità dei tempi a renderla migliore.
Sia l’introduzione, quindi, nell’ordinamento di un diritto del minore ai tempi paritetici con ciascuno dei genitori, sia l’applicazione obbligatoria dei tempi paritetici o equipollenti tra genitori “in ragione della metà del proprio tempo” costituiscono inutili forzature.
Non può ugualmente, poi, assolutamente accettata la previsione secondo cui andrebbe comunque assicurata ai figli “la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti presso il padre e presso la madre”, anche nel rispetto delle esigenze del figlio in relazione alla sua età, elemento a cui nel disegno di legge non si fa immotivatamente alcun richiamo: l’età del figlio non può che costituire un importante ineliminabile indice di personalizzazione del piano genitoriale.
b) Il mantenimento diretto
Nella relazione illustrativa del disegno di legge è scritto che “si ritiene maturo il tempo per applicare il principio del mantenimento diretto, pur astrattamente previsto dalla norma come modalità di default per provvedere alla prole”.
Il riferimento è al testo originario dell’art. 337-ter c.c. (introdotto dalla legge 8 febbraio 2016, n. 54) nel quale si prevede da un lato che il giudice determina la misura e il modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli e dall’altro che “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità…”.
E’ piuttosto noto che l’applicazione nella prassi e in giurisprudenza di questi principi ha capovolto l’ordine che il legislatore del 2006 aveva ipotizzato. Effettivamente secondo la norma in questione il versamento di un contributo economico da un genitore all’altro per il mantenimento dei figli era previsto come adempimento non alternativo ma residuale (“…il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico”) anche se l’art. 337-ter non aveva utilizzato l’espressione “mantenimento diretto” (pure largamente presente allora nel dibattito parlamentare che aveva accompagnato l’iter di approvazione della legge sull’affido condiviso) ma mantenimento “proporzionale al proprio reddito”.
Il disegno di legge di riforma avverte che è ora di mettere mano alla norma per indicare “con ulteriore e inemendabile chiarezza la netta preferenza del legislatore per la forma diretta di mantenimento, anche in considerazione del fatto che, trascorrendo il minore tempi sostanzialmente equipollenti con ciascuno dei genitori, è molto più agevole per questi ultimi provvedere direttamente alle esigenze della prole”.
La soluzione prescelta è quindi la seguente: nel piano genitoriale deve essere indicata “la misura e la modalità con cui ciascuno dei genitori provvede al mantenimento diretto dei figli, sia per le spese ordinarie che per quelle straordinarie, attribuendo a ciascuno specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al proprio reddito secondo quanto previsto nel piano genitoriale, considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) le risorse economiche di entrambi i genitori; 3) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.
Scompare nel nuovo testo immotivatamente il riferimento – contenuto nel testo attuale dell’art. 337-ter – al tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori (cui si fa cenno invece, all’interno della relazione illustrativa) e ai tempi di permanenza del figlio con ciascun genitore. La cancellazione del criterio del tenore di vita non ha alcuna giustificazione ragionevole non potendosi far ricadere sulla figlio le conseguenze della decisione dei genitori di separarsi, ove nel corso della convivenza familiare siano state concordemente assicurate al figlio opportunità di crescita – compatibili con le condizioni economiche della famiglia – di cui i genitori possono continuare a garantire la sostenibilità. Sarà compito dei genitori quindi – o del giudice – graduare gli impegni economici di contribuzione per i figli alle reali possibilità di reddito conseguenti alla separazione, senza necessità di espellere il “tenore di vita” dai criteri che devono guidare questa valutazione.
Da parte sua, il giudice – ove i genitori non abbiano formulato un piano genitoriale sul mantenimento dei figli – potrà stabilire “ove strettamente necessario e solo in via residuale, la corresponsione a carico di uno dei genitori, di un assegno periodico per un tempo determinato in favore dell’altro a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore. Nel medesimo provvedimento deve anche indicare quali iniziative devono essere intraprese dalle parti per giungere al mantenimento diretto della prole, indicando infine i termini entro i quali la corresponsione di assegno periodico residuale verrà a cessare”.
Pertanto l’indicazione molto chiara del disegno di legge è che la regola deve essere il mantenimento diretto del figlio da parte di ciascun genitore (sostanzialmente nei periodi in cui il figlio si trova con il genitore stesso) e per “capitoli di spesa” in misura proporzionale al reddito (sulla base del costo medio dei beni e servizi per i figli, individuato su base locale) nel senso, per esempio, che – fermo il pagamento da parte di ciascuno del vitto e delle spese quotidiane del figlio che ha con sé – un genitore corrisponderà (da solo o per quota con l’altro) quanto necessario per la scuola pubblica o privata o per le attività sportive mentre l’altro si occuperà delle spese mediche ovvero di saldare le lezioni di ballo o di pittura e così via. I genitori si distribuiscono, in altre parole, compiti mirati al fine di sostenere economicamente la socializzazione e l’educazione del figlio.
Il contributo periodico di mantenimento per i figli erogato da un genitore all’altro diventa l’eccezione (“ove strettamente necessario e solo in via residuale”). Ed anche in questo caso si tratta di una eccezione destinata a durare nel tempo limitatamente. Il giudice, infatti, secondo il disegno di legge dovrà stabilire, in questi casi eccezionali, un importo periodico di contribuzione da erogare da un genitore all’altro soltanto “per un tempo determinato” e “indicare quali iniziative devono essere intraprese dalle parti per giungere al mantenimento diretto della prole, indicando infine i termini entro i quali la corresponsione di assegno periodico residuale verrà a cessare”.
Che valutazione dare di questa impostazione? E’ plausibile il mantenimento diretto e per capitoli di spesa come regola ferrea a cui è possibile derogare solo “ove strettamente necessario” o si tratta di una indicazione eccessivamente rigida?
Gli aspetti problematici sono sostanzialmente tre.
Il primo, principale, aspetto problematico concerne il fatto che il mantenimento diretto nella previsione del disegno di legge non ammette deroghe negoziali. Anche in caso di accordi di separazione e di divorzio alle parti non viene consentito di derogare a questa modalità (nel nuovo art. 711 c.p.c. si prevede che “I genitori di figli minori devono a pena di nullità indicare nel ricorso il piano genitoriale concordato, secondo quanto previsto dall’articolo 706, sesto comma, del presente codice e dall’articolo 337-ter del codice civile”). Questa rigidità non è giustificabile. Il mantenimento periodico non è qualcosa di contrario all’interesse del minore. E’ semplicemente una modalità di contribuzione che per moltissime coppie appare o potrebbe apparire del tutto confacente alla situazione e ai rapporti tra i genitori e con i figli. Additare perciò il mantenimento diretto dei figli come l’unica forma di contribuzione possibile è del tutto fuori luogo. Il sacrosanto diritto dei genitori di individuare in concreto la modalità che ritengono più opportuna per mantenere i figli deve essere rispettato (art. 30 costituzione). Pertanto l’articolo 337-ter dovrà essere integrato dalla indicazione che in questo ambito sono sempre salvi “accordi diversi” tra i genitori che, nella modalità prescelta, il giudice dovrà rispettare.
Il secondo aspetto problematico è il seguente. Se il figlio minore trascorre tempi sostanzialmente equipollenti con ciascuno dei genitori, e se vi è sostanziale simmetria tra i redditi e i mezzi a disposizione dei genitori, non dovrebbe esserci nessuna controindicazione rispetto al mantenimento diretto e per capitoli di spesa, sempre che i genitori non si accordino in modo diverso. I problemi sorgono quando uno dei genitori non ha redditi o li ha insufficienti per coprire le spese di mantenimento diretto oppure quando l’organizzazione della vita di ciascun genitore non rende praticabile o agevole ovvero opportuno il mantenimento diretto: in tal caso deve poter essere consentito al giudice di disporre motivatamente il mantenimento periodico.
Infine la previsione della temporaneità dell’assegno periodico non ha alcun senso e va abolita, lasciando ai consueti meccanismi di revisione delle condizioni di separazione il compito di adeguare il provvedimento all’assetto economico eventualmente modificatosi.
c) La casa familiare
Nella relazione al disegno di legge si richiama l’asserita tesi (di fonte non precisata) circa un “raggiunto consenso scientifico sulla sostanziale irrilevanza dell’eventuale assegnazione ai fini del benessere della prole in relazione all’autentico significato e concetto sostanziale dell’affidamento condiviso” e sulla base di questa premessa si prevede l’abolizione dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare e l’applicazione delle ordinarie norme civilistiche e quindi, se la casa familiare è in comproprietà, delle norme sulla comunione, mentre in caso di proprietà esclusiva in capo a uno dei due genitori o a terzi, si applicheranno le norme in materia di proprietà, comodato d’uso, diritto di usufrutto o di abitazione e locazione.
Eravamo abituati a parlare di “assegnazione della casa familiare”. Ora di assegnazione ad uno dei genitori non si parlerà più, in quanto secondo la Relazione illustrativa il conflitto tra i genitori che si separano sarebbe fortemente influenzato e negativamente condizionato dall’interesse economico all’assegnazione. Si prevede solo che i figli possano continuare a risiedere nella casa familiare. Né si tratta di assegnazione ai figli della casa in quanto il diritto di continuare a risiedervi non costituisce un peso (di natura personale o reale) sulla casa familiare che rimarrà soggetta a tutte le norme civilistiche senza alcuna possibilità di trascrizione del titolo e quindi senza le conseguenza relative all’opponibilità al terzo acquirente.
Il testo dell’art. 337-sexies, in realtà, dava una risposta che è sempre sembrata soddisfacente prescrivendo da un lato che “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli” e dall’altro che “Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà”.
Secondo il nuovo testo proposto “Il giudice può stabilire nell’interesse dei figli minori che questi mantengano la residenza nella casa familiare, indicando in caso di disaccordo quale dei due genitori può continuare a risiedervi” ma “Quest’ultimo è comunque tenuto a versare al proprietario dell’immobile un indennizzo pari al canone di locazione computato sulla base dei correnti prezzi di mercato”. Il che significa che in genitore che rimane in casa sulla base del provvedimento del giudice dovrà indennizzare l’altro versandogli l’equivalente dell’equo canone di locazione (o della metà se comproprietario salvo diverse decisioni).
Stabilito che le questioni relative alla proprietà o alla locazione della casa familiare saranno risolte in base alle norme vigenti in materia di proprietà e di comunione, va chiarito il senso della disposizione nella parte in cui prescrive che “Non può continuare a risedere nella casa familiare il genitore che non ne sia proprietario o titolare di specifico diritto di usufrutto, uso, abitazione, comodato o locazione [e] che non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”. La norma – che contiene nel testo proposto una congiunzione di troppo – vuole intendere che non può continuare a risiedere nella casa familiare il genitore non proprietario o non titolare di specifico diritto che non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
Il genitore non proprietario che rimane in casa con l’autorizzazione del giudice incontra, quindi, gli stessi limiti che oggi la norma già prevede (Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio).
Naturalmente non dovrebbe venir meno il principio che il genitore autorizzato dal giudice a rimanere nella casa familiare succede nel contratto di locazione (art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392) con tutte le precisazioni fatte a tale proposito dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 7 aprile 1988, n. 404).
Come valutare questo insieme di modifiche volute dal disegno di legge di riforma?
Ammesso che la cancellazione dell’istituto dell’assegnazione possa essere giustificato dalla incoerenza dell’istituto rispetto alla parità dei diritti tra i genitori, dovrebbe comunque essere mantenuta la attuale previsione secondo cui della permanenza in casa del genitore proprietario, comproprietario o successore nel contratto di locazione “il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori” che dovrebbe essere sufficiente ad eliminare ogni stortura applicativa. E magari l’istituto dell’indennizzo previsto in materia di comunione potrebbe essere uno dei possibili criteri che il giudice potrebbe utilizzare, ma non il criterio obbligato.
Ugualmente dovrà essere conservata la previsione della trascrizione di tale autorizzazione al genitore a rimanere nella casa familiare ai fini della opponibilità all’eventuale terzo acquirente dell’immobile.
In definitiva il testo della nuova disposizione sulla casa familiare proposto dal disegno di legge pare introdurre elementi di inutile problematicità rispetto alla formulazione attuale dell’art. 337-sexies.
d) Il doppio domicilio dei figli minori
Il nuovo testo dell’art. 337-ter contiene anche una disposizione che prescrive al giudice di stabilire in caso di affidamento condiviso il “doppio domicilio” del minore ai fini delle comunicazioni scolastiche, amministrative e relative alla salute.
La disposizione ha un valore soprattutto simbolico – e può essere certamente condivisa – anche se in ogni caso le comunicazioni scolastiche, amministrative e relative alla salute dovrebbero già oggi essere portate a conoscenza di entrambi i genitori.
e) Il cambio di residenza del figlio
Modificando il testo – in verità ambiguo – dell’attuale secondo comma dell’art. 337-sexies (“In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio…”) il disegno di legge di riforma propone correttamente di precisare che “In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, almeno trenta giorni prima, l’intenzione di cambiare la propria residenza o domicilio”.
In effetti il trasferimento del minore o il cambiamento di residenza non può che avvenire con il consenso di entrambi i genitori.
Con una precisazione specifica il disegno di legge di riforma prevede per la legittimità del cambio di residenza il consenso dell’altro genitore ovvero la “decisione del giudice tutelare in caso di mancato accordo”. Si tratta di un palese errore di coordinamento con le altre norme in quanto il contrasto tra genitori su una questione quale quella del cambio di residenza o del trasferimento in altra città trova specifica regolamentazione nell’art. 709-ter c.p.c. che attribuisce la competenza a decidere non al giudice tutelare ma al giudice della causa in corso.
Si prevede poi nell’ultimo comma dell’art. 337-sexiex come introdotto dal disegno di legge che “Qualsiasi trasferimento del minore non autorizzato in via preventiva da entrambi i genitori o dal giudice deve essere ritenuto contrario al suo superiore interesse e privo di ogni efficacia giuridica” con la conseguenza che “È compito delle autorità di pubblica sicurezza, su segnalazione di uno dei genitori [andrebbe aggiunto “previo provvedimento del giudice” dal momento che le forze dell’ordine non intervengono mai in queste situazioni senza provvedimento dell’autorità giudiziaria] adoperarsi per ricondurre immediatamente il minore alla sua residenza qualora sia stato allontanato senza il consenso di entrambi i genitori o l’ordine del giudice”.
f) Il rapporto del minore con gli ascendenti e i parenti
Riprendendo un principio fondamentale in tema di affidamento condiviso anche il nuovo testo dell’art. 337-ter proposto dal disegno di legge ribadisce – all’interno del quarto comma – che “Il figlio minore ha inoltre il diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”, aggiungendo, però, anche che “Gli ascendenti del minore [non gli altri parenti] possono intervenire nel giudizio di affidamento con le forme dell’articolo 105 del codice di procedura civile”.
Si tratta in fondo di un effetto obbligato della riforma sulla filiazione del 2012 (legge 10 dicembre 2012, n. 219) che ha previsto nell’art. 317 bis c.c. (Rapporti con gli ascendenti) – che “Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni”.
Nipoti e nonni hanno quindi entrambi una posizione soggettiva qualificata dalla legge come diritto ed è per questo che appare possibile lo strumento dell’intervento in giudizio ai sensi dell’art. 105 c.p.c.
La giurisprudenza – anche dopo la riforma del 2012 dell’art. 317-bis c.c. – ha sempre ritenuto che i nonni non abbiamo un diritto di intervento (Cass. civ. Sez. I, 27 dicembre 2011, n. 28902 che riprende anche una precedente posizione negativa di Cass. civ. Sez. I, 16 ottobre 2009, n. 22081). La tesi negativa è fondata, in Cass. 28902/2011 sulla precisazione che in assenza di un dato normativo che autorizzi un’iniziativa sul piano giudiziario degli ascendenti, come avviene nei giudizi de potestate (art. 336 c.c., comma 1), non è consentito l’intervento degli stessi nei giudizi di separazione e di divorzio. Tuttavia in linea generale l’art. 105 c.p.c. autorizza l’intervento autonomo a chi ha una posizione qualificata come diritto soggettivo.
La proposta di riforma introduce quindi il diritto di intervento dei nonni nei giudizi contenziosi di separazione a tutela del diritto (dei nonni ma anche dei nipoti) alla conservazione di reciproci rapporti significativi anche dopo la separazione dei genitori.
È pur vero che nel processo di separazione potranno essere gli stessi genitori ad introdurre nella causa, ove necessario, il tema dei rapporti del figlio con i rispettivi rami parentali (nonni, zii, cugini) e non vi è dubbio che il giudice della separazione abbia pieno titolo per occuparsi di questi aspetti considerato che le norme sulla separazione prevedono espressamente che “il figlio minore ha diritto… di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” (art. 337-ter c.c. e già prima art. 155 c.c.), ma è altrettanto vero che la qualificazione molto chiara del “diritto” dei nonni operata dalla riforma sulla filiazione rafforza il convincimento che l’intervento ex art. 105 c.p.c. dei nonni nel giudizio di separazione o divorzio possa essere considerato del tutto plausibile anche ove il disegno di legge non lo dovesse espressamente prevedere.
g) L’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento
Seguendo l’impostazione che da tempo il diritto di famiglia ha fatto propria, l’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento dei figli è di competenza del giudice del merito. Un’indicazione di tal genere era contenuta nell’art. 6, comma 10, della legge sul divorzio, norma che è stata considerata applicabile anche in sede di separazione in assenza di una norma specifica che prevedesse anche per la separazione il medesimo principio (successivamente inserito, nel 2013, nell’art. 337-ter del codice civile).
Ugualmente come è noto avviene in materia di soluzione dei contrasti sull’esercizio della responsabilità genitoriale (art. 709-ter c.p.c.) (introdotto con la legge 8 febbraio 2006, n. 54) dove si prevede la competenza del giudice di merito della causa in corso. Il che ha fatto venir meno conseguentemente la previgente competenza del giudice tutelare (prevista nell’art. 337 c.c. e riferita al potere generale di vigilanza del giudice tutelare sui provvedimenti del tribunale in materia di affidamento di minori).
Quanto all’attuazione delle regole sull’affidamento condiviso nella vita quotidiana dei figli, l’ultimo comma dell’art. 337-ter nel nuovo testo proposto dal disegno di legge, ribadisce che la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori, precisando condivisibilmente (in modo innovativo rispetto al comma 4 del testo vigente della norma, ma in linea con la prassi applicativa della disposizione) che “le decisioni quotidiane sono assunte dal genitore che in quel momento si trova col figlio minore” mentre – come già oggi previsto – “le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”.
In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.
h) La revisione delle disposizioni sull’affidamento e sul mantenimento
Il disegno di legge all’art. 13 dedica attenzione anche al tema della revisione della condizioni di separazione e divorzio al quale è dedicato l’art. 337-quinquies del codice civile che prevede il diritto dei genitori (azionato nella causa in corso davanti al giudice istruttore ovvero, dopo il giudicato, davanti al tribunale con le procedure di cui all’art. 710 c.p.c. e 9 della legge sul divorzio) di chiedere la modifica delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, la revisione dei piani genitoriali, il ricalcolo dei tempi di frequentazione con la prole e l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.
Ebbene il disegno di legge prescrive – riformulando il testo dell’art. 337-quinquies vigente – che in queste procedure il giudice, nei casi di conflittualità tra le parti, invita i genitori a intraprendere un percorso di mediazione familiare per la risoluzione condivisa delle controversie. Qualora le parti accettino, il giudice sospende il procedimento per non più di sei mesi (meglio si dovrebbe dire “rinvia il procedimento per un periodo non superiore a sei mesi” giacché la sospensione incontra poi il meccanismo della riassunzione che potrebbe complicare e aumentare di molto i tempi) e rimette le parti avanti al mediatore familiare, sorteggiandone il nome tra due scelti dalle parti in caso di disaccordo. Qualora la mediazione riesca, il giudice esamina il piano genitoriale redatto dalle parti con l’aiuto del mediatore e lo recepisce nel proprio provvedimento ove non ritenuto contrario al superiore interesse del minore.
In caso di rifiuto o di fallimento della mediazione il giudice, qualora la conflittualità persista, propone alle parti la nomina di un coordinatore genitoriale (nuova figura professionale al quale il disegno di legge dedica l’articolo 5), con il compito di facilitare le parti nel dialogo e nella relazione genitoriale, nell’interesse dei figli minori. Il coordinatore può sentire le parti separatamente e congiuntamente. Le parti possono anche attribuire al coordinatore genitoriale il potere di assumere decisioni limitatamente a specifici ambiti e sostenerle nell’attuazione del piano genitoriale. Le eventuali modifiche al piano genitoriale concordate in coordinazione dovranno essere sottoposte al giudice per il tramite dei legali delle parti.
Qualora le parti rifiutino di intraprendere la mediazione o la coordinazione genitoriale sarà il giudice a decidere.
i) L’ascolto del minore
Il disegno di legge all’art. 16 modifica anche l’art. 337-octies del codice civile integrandolo con un comma nel quale si prescrive che l’ascolto del minore deve essere sempre svolto alla presenza del giudice e di un esperto da lui designato; che l’audizione deve essere videoregistrata; che le parti possono assistere in locale separato collegato mediante video e possono presentare domande per mezzo del giudice, con divieto di domande manifestamente in grado di suscitare conflitti di lealtà da parte del minore verso uno dei genitori.
In verità la riforma del 2012 e 2013 sulla filiazione (legge 10 dicembre 2012, n. 219 e D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), dopo aver affermato il principio generale secondo cui “il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano” (art. 315-bis c.c.) ha chiarito anche quali devono essere le modalità dell’ascolto del minore prescrivendo in proposito nell’articolo 336-bis del codice civile che “Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato. L’ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all’ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell’inizio dell’adempimento. Prima di procedere all’ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto. Dell’adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video”. Inoltre secondo l’articolo 38-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile – introdotto dall’articolo 96 del D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 di attuazione della legge – “i difensori, il curatore speciale e il pubblico ministero non devono richiedere l’autorizzazione del giudice allorché l’ascolto avviene con mezzi tecnici quali l’uso di uno specchio unitamente ad impianto citofonico”.
L’ordinamento giuridico – dopo la riforma della filiazione del 2012 e 2013 – ha già una disciplina giuridica ben definita e molto chiara sull’ascolto del minore nell’ambito delle procedure giudiziarie che lo riguardano e la modifica dell’art. 337-octies del codice civile si rivela quindi ridondante ed inutile.
III
L’affidamento esclusivo
All’affido condiviso può derogarsi solo ove sia contrario all’interesse del minore. E’ questo il dato ormai emergente dalla ultradecennale applicazione dell’istituto. Il disegno di legge di riforma (art. 12) ribadisce la stessa impostazione (art. 337-quater: “Il giudice, nei casi di cui all’articolo 337-ter, secondo comma, può disporre temporaneamente l’affidamento dei figli a uno solo dei genitori, qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”, dove è interessante notare che vi è un riferimento a situazioni tipiche che possono giustificare l’affidamento esclusivo: e cioè “nei casi di cui all’articolo 337-ter, secondo comma” e perciò violenza; abuso sessuale; trascuratezza; indisponibilità di un genitore; inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore.
L’avverbio “temporaneamente” non ha alcun senso. Tutto è rivedibile nel diritto di famiglia. Il giudice, perciò, dispone l’affido esclusivo e quando le condizioni lo consentiranno potrà prendere in considerazione una modifica e disporre l’affido condiviso.
Oltre alla tipicizzazione indicativa dei casi di affido esclusivo, l’art. 337-quater del codice civile è oggetto di una ulteriore modifica da parte del disegno di legge. Si inserisce nel testo originario l’indicazione che anche in caso di affidamento esclusivo il giudice – come peraltro già oggi previsto – deve garantire il diritto del minore alla bigenitorialità, disponendo tempi adeguati di frequentazione dei figli minori col genitore non affidatario e promuovendo azioni concrete per rimuovere le cause che hanno portato all’affidamento esclusivo.
E’ necessario, però, osservare che non in tutte le situazioni eccezionali di affido esclusivo potrebbe essere plausibile “garantire il diritto del minore alla bigenitorialità”. Possono verificarsi situazioni di grave sofferenza del figlio o di grave inidoneità genitoriale da rendere necessaria perfino la sospensione della frequentazione oppure altri provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale. Si tratta quindi di verificare la ragione dell’affidamento esclusivo che potrebbe essere provvisoria e superabile ma anche più radicale e di non preventivabile superamento. Tutto ciò impone di apporre nel testo sopra riportato la clausola “ove possibile e non contrario all’interesse del minore” (“In ogni caso, ove possibile e non contrario all’interesse del minore, deve garantire il diritto del minore alla bigenitorialità, disponendo…”).
Le differenze giuridiche concrete tra affidamento ad entrambi i genitori e affidamento a un solo genitore (cioè affidamento esclusivo) non sono mai state molto chiare, dal momento che in tutti e due i casi la legge 8 febbraio 2006, n. 54 aveva previsto che la “potestà” è sempre “esercitata da entrambi i genitori” e “le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sino assunte di comune accordo” (art. 155 c.c.). La legge del 2006, quindi, escludeva la possibilità che all’affidamento esclusivo dovesse conseguire di per sé anche l’esercizio esclusivo della potestà. Tutt’al più il giudice – come si è detto – avrebbe potuto intervenire “facendo salvi per quanto possibile i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 155”, apportando qualche correttivo all’esercizio da parte di entrambi i genitori della potestà.
E’ stata la riforma sulla filiazione del 2013 (legge 10 dicembre 2012, n. 219 e D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) ad introdurre l’equivalenza tra affido esclusivo ed esercizio esclusivo della “responsabilità genitoriale” aggiungendo all’art. 337-quater un terzo comma che inizia in questo modo: “Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi…”. Quindi all’affido esclusivo corrisponde secondo la legge l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale, ma soltanto “salva diversa disposizione del giudice”. Questa disposizione nel disegno di legge viene testualmente riproposta nel nuovo secondo comma dell’art. 337-quater.
Inoltre, sempre il terzo comma dell’art. 337-quater – con una precisazione che ha sempre destato forti sospetti di irragionevolezza – prescrive che anche in caso di affidamento esclusivo “salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori…”.Anche questa disposizione nel disegno di legge viene riproposta testualmente nel nuovo secondo comma dell’art. 337-quater.
Che valutazione dare di queste due disposizioni (oggi vigenti) il cui testo viene riproposto con il disegno di legge di riforma nel nuovo art. 337-quater?
Considerato che le situazioni che rendono necessario l’affido esclusivo sono state selezionate dalla giurisprudenza come situazioni di carattere eccezionale (ora in parte anche tipicizzate nel testo dell’art. 337-ter, secondo comma), tutte sostanzialmente riconducibili ad una manifesta carenza o inidoneità educativa del genitore da cui deriva un pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore, c’è da chiedersi, come sia possibile in questi casi gravi che il giudice possa attribuire l’esercizio della responsabilità genitoriale al genitore escluso dall’affido condiviso e come sia ugualmente possibile che la legge possa assicurare anche al genitore non affidatario il potere di codecisione sulle questioni di maggiore interesse per i figli.
Il disegno di legge purtroppo ignora questo tema – dibattuto in giurisprudenza Trib. Milano, 20 marzo 2014; Trib. Bologna Sez. I, 13 maggio 2014; Trib. Torino Sez. VII, 22 gennaio 2015 – che è il tema del cosiddetto affidamento esclusivo rafforzato (“superesclusivo”) che si sostanzia nei casi in cui all’affidamento esclusivo si accompagna l’attribuzione al solo genitore affidatario dell’esercizio della responsabilità genitoriale e del potere di adottare le decisioni di maggiore interesse per il figlio.
Occorre, pertanto, modificare parzialmente il terzo comma dell’art. 337-quater stabilendo il rapporto diretto tra affido esclusivo, esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale e potere di assumere in via esclusiva le decisioni di maggiore interesse per il figlio prevedendo che “il genitore cui i figli sono affidati in via esclusiva ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi” e che “le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate dal genitore affidatario in via esclusiva”.
Il giudice dovrebbe avere il solo potere di decidere se disporre l’affido condiviso o l’affido esclusivo. Una volta operata la scelta le conseguenze sono per legge l’attribuzione dell’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale e il potere di adottare in via esclusiva le decisioni di maggiore interesse.
L’altra novità della riforma dell’art. 337-quater operata dall’art. 12 del disegno di legge concerne l’aggiunta di un terzo comma nel quale si attribuisce al giudice del conflitto familiare il potere, nel caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ai suoi genitori, di disporre l’affidamento familiare in altro nucleo familiare, anche d’ufficio, per un tempo non superiore ai due anni, preferendo in ogni caso nuclei familiari di parenti o comunque, in mancanza di questi, di famiglie residenti nel medesimo territorio del minore.
A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa a cura del pubblico ministero al giudice tutelare per gli adempimenti previsti nella legge 4 maggio 1983, n. 184.
Anche in caso di affidamento familiare deve in ogni caso essere garantito al minore il diritto alla bigenitorialità, disponendo tempi adeguati di frequentazione con ciascun genitore, salvo che ciò sia motivatamente ritenuto come assolutamente contrario all’interesse del minore. Deve altresì essere posta in essere ogni misura idonea e opportuna per il recupero della capacità genitoriale dei genitori del minore, favorendo il reinserimento immediato in famiglia non appena possibile.
IV
I figli maggiorenni
Ai figli maggiorenni il codice civile, nell’ambito delle disposizioni in tema di esercizio delle responsabilità genitoriale (che per quanto concerne il mantenimento non si esaurisce al compimento del diciottesimo anno di età del figlio), dedica l’art. 337-septies nel quale si prevede che “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”
Il disegno di legge interviene con l’art. 15 anche su questa norma.
Innanzitutto viene indicata la strada dell’accordo tra i genitori quale prospettiva preferenziale rispetto all’intervento del giudice e si riscrive la prima parte dell’art. 337-septies prevedendo che “I genitori possono concordare con il figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente un piano genitoriale con le forme di cui ai commi sesto e settimo dell’articolo 337-ter” il che significa che le modalità del contributo di mantenimento ordinario e straordinario per il figlio maggiorenne sono rimesse all’accordo tra i genitori e il figlio anche se il richiamo al sesto e al settimo comma dell’art. 337-ter – in cui si prescrive il mantenimento diretto e per capitoli di spesa – sembra imporre immotivatamente questa sola forma di contribuzione. L’accordo andrà evidentemente depositato insieme con il ricorso di separazione o divorzio (giudiziale o consensuale o con gli atti della negoziazione assistita).
In secondo luogo, nell’eventuale giudizio contenzioso non si potrà prescindere dalla richiesta del figlio (“Il giudice… può disporre in favore dei figli maggiorenni…. su loro richiesta il pagamento di un assegno periodico a carico di entrambi i genitori”).
In terzo luogo – e secondo l’impostazione già oggi vigente – si conferma che “Tale assegno è versato da entrambi i genitori [non, quindi, da un solo genitore] direttamente all’avente diritto, fermi per il figlio gli obblighi di cui all’articolo 315-bis”.
La riforma sulla filiazione del 2012 e 2013 (legge 10 dicembre 2012, n. 219 e D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) aveva rimodellato la lacunosa disciplina precedente accorpando in una norma a contenuto generale (art. 315-bis c.c.) l’indicazione dei “diritti e doveri del figlio” (non solo, quindi, il figlio minore) con una formulazione simmetrica a quella utilizzata dall’art. 30 della Costituzione per indicare i doveri e diritti dei genitori, precisando che “il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori…”. Il figlio, a sua volta, “deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito al mantenimento della famiglia finché convive con essa” (art. 315-bis ultimo comma c.c.), disposizione quest’ultima, che già preesisteva alla riforma. Ribadito che il figlio anche maggiorenne ha diritto al mantenimento inteso come insieme dei mezzi di sostentamento e dei mezzi necessari alla soddisfazione del diritto allo studio e alla istruzione, nel rispetto – come impone l’art. 315-bis c.c. – delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni (Cass. civ. Sez. I, 10 luglio 2013, n. 17089), va detto che ove questo non dovesse avvenire la norma generale di cui all’art. 316-bis c.c. attribuisce al figlio maggiorenne la legittimazione ad azionare in proprio le procedure giudiziarie previste dalla legge per l’adempimento dell’obbligo di mantenimento (e, naturalmente, per l’obbligo di alimenti) anche se in sede di separazione o divorzio la legittimazione concorre, naturalmente, con quella dei genitori.
Quanto ai presupposti, l’art. 337-septies c.c. nel testo oggi vigente, afferma il principio che il mantenimento del figlio maggiorenne è subordinato alla circostanza che egli sia “non indipendente economicamente”. Il che vuol dire che il diritto al mantenimento sussiste per il figlio maggiorenne finché egli non sia autosufficiente economicamente e cioè fin quando non sia in grado di potersi garantire da solo il sostentamento e la soddisfazione dei principali bisogni della vita confacenti alla sua condizione sociale.
Si capisce da quanto precede come ogni valutazione sul diritto al mantenimento e sulla sua quantificazione sia una valutazione complessa e possibile solo caso per caso. Soprattutto perché il concetto di mantenimento è un concetto non solo, come detto, relativo perché legato alla condizione sociale, ma perché si modifica nelle diverse epoche storiche. Proprio per questo è difficile attribuire alla giurisprudenza sul punto un valore che vada oltre il caso deciso. Ciò che può essere, infatti, valido per un ragazzo venticinquenne in una determinata situazione e in una determinata congiuntura economica può essere del tutto ingiustificato per un altro venticinquenne o in un altro momento storico. La valutazione sulla condizione di dipendenza o indipendenza economica del figlio confacente alla sua condizione, non è, però, l’unica che al giudice viene richiesto di fare. La giurisprudenza ha sempre ribadito la necessità di un secondo presupposto che consiste nell’accertare anche che il figlio non si trovi “in colpa per non aver raggiunto l’indipendenza economica”. Il presupposto dell’assenza di colpa del figlio maggiorenne è sempre presente nelle decisioni sul diritto al mantenimento dei figli maggiorenni, accanto alle precisazioni sul significato da attribuire al concetto di “indipendenza economica”.
La giurisprudenza per evitare le conseguenze paradossali di un’obbligazione che potrebbe protrarsi sine die, ritiene che comunque che “tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori) aspirazioni (Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18076).
Ebbene, il disegno di legge all’art. 15 conferma sostanzialmente il testo del primo comma dell’art. 337-septies – precisando che il giudice in sede contenziosa può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico “a carico di entrambi i genitori” e che tale assegno è versato direttamente al figlio maggiorenne il quale, comunque, è tenuto “a contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito al mantenimento della famiglia finché convive con essa” (art. 315-bis ultimo comma c.c.). Resta confermato quindi il giudizio critico del disegno di legge verso la prassi di disporre il versamento dell’assegno al genitore cosiddetto collocatario anziché al figlio maggiorenne.
E’ importante puntualizzare che secondo il disegno di legge il mantenimento è subordinato alla richiesta del figlio. Presupposto che finora non era mai stato indicato essendo sempre stata ritenuta sufficiente la richiesta di uno o di entrambi i genitori. Pertanto in sede contenziosa evidentemente il figlio maggiorenne sarà chiamato ad azionare il suo diritto con un intervento ex art. 105 c.p.c. nel processo di separazione o divorzio (intervento ammesso già oggi dalla giurisprudenza: Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2012, n. 4296). Questo intervento non gli attribuisce la qualità di parte formale nel processo di separazione o di divorzio e pertanto il figlio maggiorenne non sarà legittimato certamente a proporre un ricorso di modifica delle condizioni di separazione o divorzio per reclamare l’adempimento dell’obbligo. Qualsiasi necessità quindi al di fuori della causa di separazione o divorzio dovrà essere azionata nelle forme del procedimento ordinario autonomo nei confronti di entrambi i genitori.
Aggiunge poi l’art. 15 del disegno di legge – inserendo un ultimo comma nell’art. 337-septies – che “nei confronti dei figli maggiorenni cessa ogni obbligo di mantenimento al compimento del venticinquesimo anno di età ovvero qualora la mancanza di una loro occupazione o impiego lavorativo sia dipesa da negligenza o rifiuto ingiustificato di opportunità di lavoro offerte ovvero si dimostri la colpevole inerzia nel prorogare il proprio percorso di studi senza alcun effettivo rendimento”.
Pertanto in sintesi il disegno di legge prevede che: a) le modalità del contributo di mantenimento ordinario e straordinario per il figlio maggiorenne sono rimesse in via primaria all’accordo tra i genitori e il figlio; b) il richiamo nell’art. 337-septies al sesto e al settimo comma dell’art. 337-ter lascia intendere che il mantenimento, come previsto anche per i figli minori, debba essere diretto e per capitoli di spesa; c) in difetto di accordo, il giudice può disporre il pagamento i un assegno periodico “a carico di entrambi i genitori” versato direttamente al figlio; d) all’età di 25 anni del figlio cessa automaticamente ogni obbligo di mantenimento (permanendo evidentemente gli obblighi di carattere alimentare che l’interessato potrà azionare direttamente).
La previsione dell’accordo tra genitori e figlio maggiorenne va senz’altro considerata positivamente anche se sarà necessario prevedere le modalità attraverso le quali l’accordo dovrà essere messo a disposizione di chi deve valutarne la plausibilità. Si può ipotizzare che il “piano genitoriale” nel quale si dà atto dell’accordo venga controfirmato dal figlio maggiorenne.
Quanto al mantenimento in forma diretta e per capitoli di spesa (“I genitori possono concordare con il figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente un piano genitoriale con le forme di cui ai commi sesto e settimo dell’articolo 337-ter “) non vi è alcuna ragione, né di ordine giuridico né di altro tipo, per limitare la negozialità tra genitori e figlio maggiorenne (introducendo dinamiche tra figli maggiorenni e genitori che potrebbero non essere funzionali al benessere e alla serenità delle rispettive relazioni) che potrà perciò volgersi verso qualsiasi tipo di accordo purché garantisca la effettiva contribuzione. Pertanto va eliminato il riferimento ai commi sesto e settimo dell’art. 337-ter che ingabbiano la negozialità all’interno del mantenimento diretto e per capitoli di spesa.
In difetto di accordo tra i genitori e il figlio maggiorenne è previsto che il giudice possa disporre il pagamento di un assegno periodico a carico di entrambi i genitori al figlio maggiorenne.
Quanto alla cessazione automatica dell’obbligo di mantenimento al compimento del venticinquesimo anno di età del figlio si tratta di una disposizione del tutto irragionevole non potendosi stabilire a priori un limite valido per tutti i casi. Meglio confidare sui criteri (l’autosufficienza economica da valutare caso per caso e gli altri criteri indicati nel nuovo testo dell’art. 337-septies) fino ad oggi seguiti dalla giurisprudenza che meglio rispondono alla esigenza di dare risposte calibrate sulle singole situazioni.
V
Il piano genitoriale
Nell’ambito dei procedimenti di separazione, divorzio o relativi all’affidamento di minori, il principio generale – già presente nell’attuale art. 337-ter c.c. e ribadito nel progetto di riforma – è che il giudice prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori.
La novità contenuta nel testo del medesimo articolo proposto nel disegno di legge sta nelle modalità con cui gli accordi dei genitori sui figli devono essere prospettati. Non più con riferimenti generici e stereotipati ma attraverso un vero e proprio “piano genitoriale” (si potrebbe dire un programma educativo) che indichi i luoghi abitualmente frequentati dai figli; la scuola e percorso educativo del minore; eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e formative; la frequentazione parentale e amicale del minore; le vacanze normalmente godute dal minore.
Nel piano genitoriale deve essere indicata anche la misura e la modalità con cui ciascuno dei genitori provvede al mantenimento diretto dei figli, sia per le spese ordinarie che per quelle straordinarie con l’attribuzione a ciascuno – come già detto – di specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al proprio reddito. Poiché il mantenimento è questione che riguarda anche i figli maggiorenni, si comprende da ciò che il “piano genitoriale” deve essere redatto anche per i figli maggiorenni, sia pure limitatamente al tema della contribuzione economica ed evidentemente con riguardo a quello, strettamente collegato, delle attività scolastiche, sportive e anche mediche o comunque di sostegno per le attività del figlio maggiorenne che comportano spese di carattere ordinario o straordinario.
La finalità evidente del “piano genitoriale” è quella di focalizzare il progetto educativo dei genitori nei confronti dei figli in un documento che possa servire poi da guida e da riferimento in occasione di qualsiasi problema o contrasto che si dovesse in seguito presentare. Un vero accordo vincolante tra i genitori sul modo con cui realizzare e gestire l’affido condiviso, la socializzazione e le attività dei figli.
La novità è soprattutto lessicale dal momento che già oggi in sede di accordi tra genitori vengono indicate in sede di separazione, spesso anche in dettaglio, le coordinate lungo le quali evolverà l’affidamento. Le novità lessicali hanno però spesso anche il vantaggio di richiamare l’attenzione su aspetti che nella realtà possono rischiare di essere non sempre affrontati con la necessaria consapevolezza.
Il piano genitoriale è redatto dai genitori con l’aiuto eventuale del mediatore familiare e degli avvocati e deve essere indicato “a pena di nullità” (inammissibilità del ricorso) all’interno del ricorso di separazione consensuale (nuovo testo dell’art. 711 c.p.c.) e della domanda congiunta di divorzio (nuovo testo dell’art. 4, comma 18, della legge sul divorzio). Nei procedimenti contenziosi di separazione e di divorzio alle parti viene fatto obbligo di formulare una proposta di “piano genitoriale” nei loro atti introduttivi (“una dettagliata proposta di piano genitoriale che illustri la situazione attuale del minore e le proposte formulate in ordine al suo mantenimento, alla sua istruzione, alla sua educazione e alla sua assistenza morale secondo i punti previsti dall’articolo 337-ter del codice civile”).
Il giudice esamina e approva il “piano genitoriale” concordato dai due genitori ove non contrastante col superiore interesse o con i diritti del minore. In mancanza di accordo o in caso di accordo parziale, il giudice, sentite le parti, recepisce quanto parzialmente concordato dai genitori e stabilisce comunque il “piano genitoriale”.
Secondo quanto indicato nell’art. 20 del disegno di legge il “piano genitoriale” deve anche essere redatto in sede di accordi di negoziazione assistita ed evidentemente riportato nel relativo accordo scritto.
Il “piano genitoriale”, naturalmente, può sempre essere oggetto di revisione concordata o anche di richiesta di revisione attraverso i consueti procedimenti di modifica delle condizioni di separazione o divorzio (art. 337-quinquies c.c.).
VI
Il coordinatore genitoriale
Il disegno di legge propone all’art. 5 l’introduzione di una figura professionale nuova, il coordinatore genitoriale, con compiti sostanzialmente di assistenza dei genitori e di monitoraggio (ma anche con funzioni decisionali) nell’attuazione del piano genitoriale.
Finora questa funzione era stato soprattutto assicurata da provvedimenti giudiziari di affidamento del minore al servizio sociale, molto spesso disposto nei tribunali in casi di conflittualità genitoriale, che, tuttavia, oltre ad essere un intervento istituzionale di fatto imposto ai genitori, non ha mai dato ottima prova di sé, essendo molto difficile che un servizio pubblico, gravato da molti compiti, possa garantire un’assistenza e un monitoraggio mirato e tempestivo su singoli utenti dei servizi.
Da qui l’idea di una figura professionale ad hoc alla quale i genitori possono volontariamente ricorrere, che ha fatto la sua comparsa già in alcuni provvedimenti giudiziari (Trib. Milano, Sez. IX, 29 luglio 2016) in cui si legge che si tratta di un professionista che può “aiutare i genitori nell’attuazione del progetto di genitorialità condivisa, a mantenere basso – se non a evitare – il livello del conflitto, a trovare con l’aiuto di un terzo soluzioni avuto riguardo alle scelte fondamentali della vita del figlio minore (quali ad esempio quelle sanitarie, quelle scolastiche, quelle connesse alla opportunità/ inopportunità di apportare modifiche e deroghe al calendario di frequentazione del figlio) che i genitori potrebbero non essere in grado di gestire in autonomia”.
Il coordinatore genitoriale è un professionista che non ha poteri processuali, poiché il suo obiettivo è risolvere i conflitti al di fuori del processo salvaguardando e preservando una relazione sicura, sana e significativa tra il minore ed entrambi i suoi genitori. Per questo è molto discutibile il fatto che nel provvedimento del tribunale di Milano sopra richiamato – dove si prende atto del consenso dei genitori all’utilizzazione di questa figura professionale che i genitori stessi dovranno individuare e nominare – al coordinatore genitoriale venga anche affidato dal tribunale il compito di “segnalare con urgenza all’autorità giudiziaria minorile ogni condizione di concreto pregiudizio psicofisico del minore che venisse ravvisata”. Si tratta di un compito che non può assolutamente appartenere al professionista in quanto del tutto disfunzionale rispetto al raggiungimento dell’obiettivo di aiutare i genitori nell’attuazione del progetto genitoriale.
Si tratta di una figura nuova nel panorama giuridico italiano che consente anche di prevenire il ricorso a continui provvedimenti giudiziali in punto di responsabilità genitoriale. Anche in questo caso, come per la mediazione familiare, l’inquadramento tra le ADR – che la relazione al disegno di legge suggerisce – appare forzato dal momento che così ragionando tutti gli interventi di sostegno alla genitorialità estranei al processo finirebbero per essere considerati sistemi alternativi di risoluzione di conflitti. D’altro lato le ADR presuppongono l’autonomia del procedimento rispetto al contesto giurisdizionale mentre qui, come chiarito nell’art. 13 del disegno di legge – modificativo dell’art. 337-quinquies – si prevede che “Le eventuali modifiche al piano genitoriale concordate in coordinazione dovranno essere sottoposte al giudice per il tramite dei legali delle parti”.
Secondo l’impostazione del disegno di legge il coordinatore genitoriale – la cui attività è volta al superamento di eventuali ostacoli al corretto e sereno esercizio della cogenitorialità – è un esperto qualificato con funzione mediativa, dotato di formazione specialistica in coordinazione genitoriale, iscritto all’albo di una professioni regolamentata in ambito sanitario o socio-giuridico, chiamato ad osservare tutte le disposizioni di natura legale e deontologica della rispettiva professione. Il coordinatore opera come terzo imparziale e ha il compito di gestire in via stragiudiziale le controversie eventualmente sorte tra i genitori di prole minorenne relativamente all’esecuzione del piano genitoriale.
Il giudice prende atto della volontà dei genitori di incaricare un coordinatore genitoriale nell’interesse del minore. L’accordo di incarico e, per le professioni sanitarie, il consenso informato alla coordinazione genitoriale devono essere sottoscritti dai genitori e sono recepiti contestualmente alla nomina del coordinatore.
Quali sono i poteri del coordinatore genitoriale?
Se ne parla nell’art. 13 del disegno di legge, sostitutivo dell’articolo 337-quinquies del codice civile in materia di revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, dove si prevede che il giudice, nei casi di conflittualità tra le parti, invita i genitori a intraprendere un percorso di mediazione familiare per la risoluzione condivisa delle controversie precisandosi poi che, in caso di rifiuto o di fallimento della mediazione, “qualora la conflittualità persista, il giudice propone alle parti la nomina di un coordinatore genitoriale, con il compito di facilitare le parti nel dialogo e nella relazione genitoriale, nell’interesse dei figli minori. Il coordinatore può sentire le parti separatamente e congiuntamente. Le parti possono anche attribuire al coordinatore genitoriale il potere di assumere decisioni limitatamente a specifici ambiti e sostenerle nell’attuazione del piano genitoriale. Le eventuali modifiche al piano genitoriale concordate in coordinazione dovranno essere sottoposte al giudice per il tramite dei legali delle parti”.
Gli oneri della coordinazione genitoriale sono ripartiti tra i genitori nella misura del 50 per cento, salvo diverso accordo tra le parti.
Qualora le parti rifiutino di intraprendere la mediazione o la coordinazione genitoriale, il giudice assume le decisioni che ritiene opportune nell’interesse dei figli minori.
VII
La soluzione delle controversie e i provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni
L’art. 709-ter del codice di procedura civile (Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni), introdotto dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, ha assunto negli ultimi anni nel contrasto alle condotte pregiudizievoli verso i figli minori una funzione essenziale, nemmeno immaginata alle origini.
L’obiettivo principale della norma era, infatti, soprattutto quello di predisporre un procedimento rapido, di competenza del giudice della causa in corso (o del tribunale, se la causa non è più in corso) per la soluzione delle controversie in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale.
Il baricentro della disposizione si è, però, spostato nella prassi applicativa ormai più che decennale soprattutto sul secondo comma (“…In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente: 1) ammonire il genitore inadempiente; 2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; 3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro; 4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende”.
In effetti, nell’ambito del procedimento azionato da uno dei genitori possono rilevarsi od evidenziarsi comportamenti, taluni anche gravemente pregiudizievoli, che richiedono provvedimenti di tutela del minore. Proprio per questo nella seconda parte dell’art. 709-ter il legislatore ha attribuito al giudice anche il potere di intervenire su questi comportamenti, al fine di interrompere l’abuso che ne deriva, anche modificando l’assetto dell’affidamento e sanzionando la condotta che ha causato il pregiudizio. Un insieme di misure sanzionatorie e al tempo stesso deterrenti.
Le modifiche che il disegno di legge ora propone all’art. 709-ter del codice di procedura civile ribadiscono in sostanza l’esigenza di arginare questi gravi comportamenti in pregiudizio dei figli.
Oltre all’aumento delle sanzioni pecuniarie controbilanciato dall’eliminazione (irragionevole) dell’ammonizione (che – come si chiarisce nella Relazione – si sarebbe rivelata “un’arma spuntata e incapace di frenare gli atteggiamenti più spregiudicati dei genitori”) il disegno di legge all’art. 9 elenca e tipicizza alcune condotte che nell’assetto applicativo della norma emergono spesso in molte vicende giudiziarie. Si legge nella proposta di riforma di questa disposizione che le inadempienze e gli atti che arrecano pregiudizio al minore possono consistere in “manipolazioni psichiche”, nell’”astensione ingiustificata dai compiti di cura di un genitore”, in “accuse di abusi e violenze fisiche e psicologiche false e infondate”.
In tali casi – secondo il testo che si propone di modificare – il giudice valuta prioritariamente una modifica dei provvedimenti di affidamento ovvero, nei casi più gravi, la decadenza dalla responsabilità genitoriale del responsabile ed emette le necessarie misure di ripristino, restituzione o compensazione, potendo – come detto, anche disporre le misure di natura sanzionatoria previste.
La cancellazione dell’ammonizione non trova giustificazione – e non è chiaro perché vi si dovrebbe rinunciare – dal momento che potrebbe essere un provvedimento utile e deterrente in molte situazioni in cui la conflittualità potrebbe evolvere verso una relazione più consapevole tra i genitori.
Per quanto invece attiene alla decadenza dalla responsabilità genitoriale nei casi più gravi la precisazione opportuna anche se non sarebbe necessaria in quanto si tratta di un provvedimento che già oggi il giudice potrebbe adottare sulla base del nuovo testo dell’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile. Tale disposizione, infatti, nel testo modificato dall’art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, conferma l’attribuzione al tribunale per i minorenni della competenza, in via generale, per i provvedimenti ex articoli 330 e 333 del codice civile, ma, in deroga a tale attribuzione, conferisce al giudice ordinario la competenza sui provvedimenti limitativi od ablativi della responsabilità genitoriale, quando sia in corso un giudizio di separazione, divorzio o un giudizio ai sensi dell’art. 316 del codice civile, e pertanto anche quando sia in corso un procedimento ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c.
VIII
Gli ordini di protezione
Un ulteriore tema che il disegno di legge affronta – introducendo con gli articoli 17 e 18 alcune modiche alla parte specifica del codice civile che si occupa degli ordini di protezione contro gli abusi familiari – è quello degli ordini di protezione per contrastare le condotte genitoriali che, nel corso del giudizio di separazione o successivamente, si rilevano lesive dei diritti “relazionali” del minore, ostacolandone i rapporti familiari e parentali, e nel caso in cui il figlio minore – evidentemente quale conseguenza dei comportamenti di un genitore – manifesti rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo all’altro genitore.
Per interrompere e sanzionare tali situazioni il disegno di legge prescrive l’utilizzazione degli ordini di protezione indicati nell’art. 342-bis del codice civile – inserito con la riforma di cui alla legge 4 aprile 2001, n. 154 (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari) – il cui campo di applicazione attuale è limitato alle condotte che “causano grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”, anche se, come è noto, la condotta grave sanzionata è già configurabile oggi anche nei confronti dei figli minori nel caso in cui il minore sia costretto ad assistere a reiterate aggressioni e comportamenti denigratori di uno dei due genitori nei confronti dell’altro (cosiddetta violenza assistita). Qualora siano i genitori gli autori di abusi familiari diretti ai danni dei figli minori la disciplina degli ordini di protezione non trova applicazione, collocandosi in un rapporto fra genere e specie rispetto a quella dettata dagli articoli 330 e 333 del codice civile.
Il disegno di legge prevede, quindi, in caso di condotte genitoriali lesive dei diritti “relazionali” dei figli minori, che il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto non soltanto uno o più dei provvedimenti di cui all’articolo 342-ter c.c. (ordine di cessazione della condotta, ordine di allontanamento e provvedimenti di non avvicinamento, l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare o di un centro antiviolenza), ma anche i provvedimenti previsti nel nuovo art. 342-quater che si introduce con il disegno di legge (… il giudice può ordinare “al genitore che ha tenuto la condotta pregiudizievole per il minore la cessazione della stessa condotta; può inoltre disporre con provvedimento d’urgenza la limitazione o sospensione della sua responsabilità genitoriale. Il giudice può applicare in tali casi anche di ufficio e inaudita altera parte uno dei provvedimenti previsti dall’articolo 709-ter del codice di procedura civile”).
Sempre il nuovo art. 342-quater – come proposto dal disegno di legge – prevede inoltre che il giudice può in ogni caso disporre l’inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore oppure limitare i tempi di permanenza del minore presso il genitore inadempiente, ovvero disporre il collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata, previa redazione da parte dei servizi sociali o degli operatori della struttura di uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità del minore, nonché dell’indicazione del responsabile dell’attuazione di tale programma.
Quindi la riforma che il disegno di legge propone è una riforma che sostanzialmente estende il campo di applicazione degli ordini di protezione – ampliandone anche il contenuto – ai comportamenti che ostacolano la relazione del minore con un genitore o con altre figure parentali o che causano alienazione genitoriale.
A chi appartiene la competenza ad emanare gli ordini di protezione in questione?
Secondo la legge 4 aprile 2001, n. 154 la competenza sarebbe del tribunale in composizione monocratica Dispone, infatti, l’art. 736-bis (sempre introdotto dalla legge) che l’istanza di cui all’art. 342-bis c.c. si propone con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’istante, che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica. Il giudice designato, sentite le parti, procede agli atti di istruzione necessari e provvede con decreto motivato immediatamente esecutivo. Nel caso di urgenza, il giudice, assunte ove occorra sommarie informazioni, può adottare immediatamente l’ordine di protezione fissando l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni ed assegnando all’istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. All’udienza il giudice conferma, modifica o revoca l’ordine di protezione, con decreto. Contro il decreto con cui il giudice adotta l’ordine di protezione o rigetta il ricorso è ammesso reclamo al tribunale, il quale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale. L’elusione dell’ordine del giudice civile è penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 388 del codice penale.
Occorre chiedersi se sia o meno opportuno lasciare al tribunale ordinario monocratico anziché al giudice della famiglia la competenza sugli ordini di protezione di cui agli articoli 342-ter e 342 quater in caso di condotte genitoriali lesive dei diritti relazionali del figlio minore.
A tale proposito è opportuno ricordare che l’art. 8 della legge 4 aprile 2001, n. 154 prescrive che quando la condotta pregiudizievole è tenuta dal coniuge che ha proposto o nei confronti del quale è stata proposta domanda di separazione o divorzio non possono essere disposti dal tribunale ordini di protezione se nel procedimento di separazione o divorzio si è svolta l’udienza di comparizione dei coniugi davanti al presidente, applicandosi in tal caso le norme del processo di separazione e divorzio, con la precisazione che nei relativi procedimenti possono essere assunti provvedimenti aventi i contenuti indicati nell’articolo 342-ter del codice civile. Ed in ogni caso l’ordine di protezione adottato ai sensi delle norme contenute nella legge speciale perdono efficacia qualora sia successivamente pronunciata, nel procedimento di separazione o divorzio l’ordinanza presidenziale contenente provvedimenti temporanei ed urgenti.
Quindi la legge dà una chiara indicazione di preferenza per l’adozione da parte del giudice della famiglia degli ordini di protezione allorché vi sia un procedimento di separazione o di divorzio in corso.
Non ha, quindi, senso dirottare sul tribunale ordinario le attribuzioni in ordine al contrasto delle condotte genitoriali anche di alienazione che, nel corso del giudizio di separazione o anche successivamente, si rilevano lesive dei diritti “relazionali” del minore, ostacolandone i rapporti familiari e parentali. Si creerebbe una duplicazione di interventi che sarebbe del tutto disfunzionale rispetto all’obiettivo da raggiungere.
Non vi sarebbe neanche ragione per complicare il quadro normativo ed operativo di riferimento. Tutte le condotte elencate e richiamate nelle norme che il disegno di legge intende modificare sono già comprese nell’orizzonte applicativo e interpretativo dell’art. 709-ter del codice di procedura civile, anche come modificato dal disegno di legge. Lo stesso testo modificato dell’articolo 342-bis ammette che “Il giudice può applicare in tali casi anche di ufficio e inaudita altera parte uno dei provvedimenti previsti dall’articolo 709-ter del codice di procedura civile”.
Le misure di contrasto alle condotte lesive dei diritti relazionali del minore devono in ogni caso rimanere di competenza del giudice della famiglia. In particolare del giudice competente ad emettere i provvedimenti di cui all’art. 709-ter del codice di procedura civile e quindi il giudice della causa di separazione o di divorzio in corso ovvero del tribunale(collegiale).
IX
Disposizioni di natura civile, penale e processuale
a) L’abolizione dell’addebito nella separazione
Con l’art. 19 del disegno di legge si propone l’abolizione dell’addebito nel giudizio di separazione. All’art. 151 viene cancellato il secondo comma.
Verosimilmente il collegamento con il tema della tutela della bigenitorialità (che costituisce il focus del disegno di legge) sta nel fatto che il conflitto coniugale – se si escludono le questioni relative al mantenimento del coniuge che non ha mezzi adeguati (la cui istruttoria è per lo più documentale) – potrebbe incrementarsi o rimanere fortemente alimentato, come è abbastanza frequente, dall’istruttoria appunto sul “comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”.
L’abrogazione dell’addebito avrebbe quindi questa motivazione tendente a concentrare il processo di separazione soprattutto sui problemi dei figli.
Tuttavia non è ancora stato risolto il problema di come evitare che, nonostante la violazione dei doveri matrimoniali che è causa della separazione, il coniuge colpevole possa anche lucrare un assegno di mantenimento ove sprovvisto di redditi adeguati. Spostare il problema dalla sanzione dell’addebito sul versante delle azioni di responsabilità endofamiliare non cambia le cose dal momento che ugualmente si verificherebbe quell’inasprimento della tensione coniugale (e conseguentemente genitoriale) che il disegno di legge pare voler evitare.
Il rimedio dell’abrogazione dell’addebito non pare convincente a meno che non si unisca al cambiamento proposto anche una radicale modifica – come da alcuni proposto – del giudizio di separazione cameralizzando il rito e semplificando e accelerando anche l’accertamento dell’addebito.
b) Il reato di violazione degli obblighi di assistenza
L’art. 21 del disegno di legge prevede l’abrogazione dell’art. 570-bis del codice penale. Trattasi della norma introdotta nel sistema penale con il recente Decreto Legislativo 1° marzo 2018, n. 21 (Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio) con cui si prevede che “Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.
Per comprendere il senso dell’abrogazione occorre ricordare che questa norma (affrettatamente approvata nel marzo del 2018 in sede governativa) non è di nessuna utilità perché non fa altro che richiamare la norma principale che è l’art. 570 del codice penale (Violazione degli obblighi di assistenza materiale) di cui è sempre stata pacifica l’applicazione rispetto alla violazione di tutte le obbligazioni di carattere economico stabilite in sede di separazione e divorzio anche verso i figli.
L’abrogazione proposta è quindi da condividere pienamente. Soprattutto dopo la decisione con cui le Sezioni Unite (Cass. pen. Sez. Unite, 31 gennaio 2013, n. 23866 riferita espressamente anche alle regole sul mantenimento dei figli) hanno abbandonato la tradizionale interpretazione dell’articolo 570 (che riconduceva al primo comma le sole violazioni di assistenza morale e al secondo comma le violazioni di natura materiale), concludendo che “rientra nella tutela penale apprestata dall’art. 570 codice penale, primo comma, la violazione dei doveri di assistenza materiale di coniuge e di genitore, previsti dalle norme del codice civile”.
Se si rilegge con attenzione l’art. 570 del codice penale – alla luce della decisione delle Sezioni Unite – si può notare come il testo della disposizione conduce facilmente a questa conclusione se i due commi si interpretano effettivamente non come un unico reato (ipotesi base e aggravante) ma come due reati autonomi: il primo comma punisce con pene alternative le violazioni ai doveri assistenziali in genere (ivi comprese quelle di natura materiale ed economica) mentre il secondo comma punisce con pene congiunte il comportamento più grave di chi lascia i propri familiari senza mezzi di sussistenza. Il principio di diritto affermato è quindi che: “il generico rinvio, quoad poenam, all’art. 570 codice penale, effettuato dall’articolo 12-sexies della legge sul divorzio – e dall’articolo 3 della legge sull’affidamento condiviso – deve intendersi riferito alle pene alternative previste dal comma primo della disposizione”.
Anche il problema della procedibilità è stato risolto dalla giurisprudenza dopo Corte cost. 5 novembre 2015, n. 220 nella quale si affermato che non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nella parte in cui non stabilisce per tale reato, come interpretato dal diritto vivente, la procedibilità a querela, in quanto “i tertia comparationis evocati dal giudice rimettente – specificamente artt. 388, co. 2, e 570 c.p., nonché art. 6 legge n. 154 del 2001 – presentano elementi differenziali tali da non rendere automatica la richiesta estensione del regime di perseguibilità a querela alla figura criminosa considerata. Parimenti essi non consentono di ritenere valicato il limite dell’ampia discrezionalità di cui il legislatore fruisce nella scelta del regime di procedibilità dei reati. Ad esso spetterà, comunque, ricomporre eventuali disarmonie presenti nel sistema delle incriminazioni relative ai rapporti familiari, sulla base di una ponderata valutazione degli interessi coinvolti”. Ed a questa conclusione si è attenuta immediatamente la giurisprudenza come per esempio Cass. pen. Sez. VI, 1 aprile 2015, n. 15918 dove si ripete che per il delitto previsto dall’art. 12-sexies, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, si procede d’ufficio, in quanto il rinvio all’art. 570 c.p., voluto dal legislatore, si riferisce esclusivamente al trattamento sanzionatorio e non anche al terzo comma, il quale prevede la procedibilità a querela della persona offesa.
c) Il reclamo al collegio contro i provvedimenti del giudice istruttore
Con l’art. 6 del disegno di legge si aggiunge un terzo comma all’art. 178 del codice civile (ritenuto applicabile anche in sede divorzile) con il quale si prevede che “L’ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di venti giorni dalla lettura alla presenza delle parti oppure dalla ricezione della relativa notifica. Il collegio decide in camera di consiglio entro trenta giorni dal deposito del reclamo.
Il disegno di legge prende così posizione rispetto al problema – risolto finora sempre negativamente nella giurisprudenza maggioritaria – della reclamabilità al collegio delle ordinanze del giudice istruttore modificative dell’assetto stabilito in sede presidenziale.
L’esperienza insegna che il vero dominus della causa di separazione e divorzio è oggettivamente il giudice istruttore. Il reclamo al collegio, quindi, benché se ne possano apprezzare le motivazioni garantistiche che ne inducono ad ipotizzarne l’introduzione, non pare destinato a modificare granché l’assetto del processo. D’altro lato anche il reclamo in Corte d’appello avverso le ordinanze presidenziali si è di fatto esaurito quasi solo in un controllo di legittimità del provvedimento con il rigetto piuttosto sistematico delle lamentele di merito.
Pertanto si può senz’altro prevedere che anche il reclamo al collegio possa esaurirsi in un controllo di legittimità e sulla motivazione del provvedimento del giudice istruttore. E’ sempre meglio di niente.
X
Disposizioni transitorie
La previsione – contenuta nell’art. 23 del disegno di legge – secondo cui “Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche ai procedimenti pendenti [per i quali, quindi, è stato già depositato il ricorso introduttivo] alla data di entrata in vigore della medesima” è logicamente incompatibile con alcune disposizioni quale quella che prevede il tentativo obbligatorio della previa mediazione familiare o con i tempi di costituzione e organizzazione delle nuove figure professionali (mediatore, coordinatore genitoriale).
Viceversa le nuove disposizioni di carattere sostanziale (piano genitoriale, affidamento, mantenimento, provvedimenti di revisione o interventi sui contrasti o sulle inadempienze genitoriali) non possono non essere applicate anche ai procedimenti in corso.
Pertanto la norma transitoria dovrebbe prevedere l’applicazione delle nuove norme sulla mediazione e sul coordinatore genitoriale a far data solo dal momento dell’entrata in vigore delle norme di attuazione di cui all’art. 2 comma 2 del disegno di legge, aggiungendo – ai fini dell’applicazione delle altre norme – che, in caso di procedimento di separazione o di divorzio o di affidamento in corso, le parti devono presentare il piano genitoriale indicato nell’art. 337-ter del codice civile all’udienza immediatamente successiva all’entrata in vigore della legge, in modo che il giudice possa subito dopo doverosamente adeguare l’assetto dell’affidamento ai nuovi principi.
Sintesi conclusiva
Mi sono ripromesso di esprimere una valutazione sul disegno di legge 735/S (Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità) alla luce di tre principi che oggi connotano il diritto di famiglia e cioè il diritto all’autodeterminazione; l’avvenuta normalizzazione della separazione e del divorzio; la piena dignità degli accordi e della negozialità in ambito familiare.
Ho utilizzato, perciò, questi riferimenti nell’esaminare le proposte di riforma contenute nel disegno di legge.
Propongo qui una sintesi delle mie considerazioni.
1) Valuto positivamente la parte del disegno di legge in cui si prospetta una regolamentazione ordinamentale (un albo nazionale che vedrei piuttosto come registro nazionale) della mediazione familiare nonché una disciplina giuridica del procedimento e della figura professionale del mediatore familiare (articoli 1-4), potendo un sistema organizzato, con professionisti preparati e formati, garantire a chi affronta la separazione e il divorzio l’opportunità di una negozialità alla quale possa accompagnarsi anche il mantenimento o la ricostruzione di adeguate relazioni interpersonali e genitoriali. In questo sta la funzione sociale della mediazione familiare. Per quanto attiene al procedimento si prevede (facendo, però, confusione tra mediazione familiare ed ADR) un rinvio ad alcune norme del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 sulla mediazione civile e commerciale tra le quali, però, anche quelle (del tutto scoordinate dal sistema processuale del diritto di famiglia e che andranno perciò eliminate) che prevedono una omologazione degli accordi da parte di un non meglio individuato tribunale competente per territorio ai sensi del codice di procedura civile. Saranno appositi decreti di attuazione a rendere concrete queste prospettive di riforma. Non è, invece, positivo il giudizio sul modo con cui il disegno di legge tratta i rapporti tra la mediazione familiare e il sistema giudiziario: mi pare del tutto inaccettabile la riproposizione (già in passato suggerita) del tentativo obbligatorio di mediazione familiare quale condizione di procedibilità del giudizio contenzioso (fortunatamente non di quello consensuale) di separazione e di divorzio (articoli 7 e 8). Si tratta di un meccanismo di per sé non illegittimo ma certamente inopportuno soprattutto perché contrario ai principi di autodeterminazione che devono valere a maggior ragione nel diritto di famiglia e disfunzionale rispetto agli obiettivi stessi della mediazione familiare. L’imposizione di un incontro obbligato con il mediatore familiare prima di avviare la separazione legale o comunque l’imposizione di un passaggio che le parti non vogliono o avvertono come non autodeterminato finisce per avere l’effetto contrario di avvalorare la percezione di un’intrusione esterna inaccettabile, di esacerbare il conflitto, di allontanare dalla mediazione familiare. L’accesso alla mediazione familiare in condizione di non autodeterminazione svilisce anche agli occhi degli utenti la mediazione il cui accesso obbligatorio rischierebbe di farla diventare una formalità da digerire al più presto e da lasciarsi quanto prima alle spalle. Insomma una cosa inutile. Anche inaccettabile è l’indicazione tra le funzioni del mediatore familiare (art. 3) d un “obbligo informativo in favore delle parti circa la possibilità di avvalersi della consulenza matrimoniale al fine di salvaguardare per quanto possibile l’unità della famiglia… nel rispetto del miglior interesse del minore”. L’attribuzione al mediatore familiare della funzione di “salvaguardare” il matrimonio è del tutto fuori luogo.
2) In merito alle proposte sul nuovo affidamento condiviso (art. 11) credo che non si possa non esprimere in linea di massima una valutazione positiva sul principio, sostanzialmente giusto, che non è soltanto la qualità della relazione tra genitore e figli che va salvaguardata dopo la separazione, ma anche la quantità del tempo che genitori e figli trascorrono insieme. Tuttavia, la soluzione, che con il nuovo testo dell’art. 337-ter il disegno di legge propone (“Qualora uno dei genitori ne faccia richiesta e non sussistano oggettivi elementi ostativi, il giudice assicura con idoneo provvedimento il diritto del minore di trascorrere tempi paritetici in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti, con ciascuno dei genitori”) appare oggettivamente ideologica ed eccessivamente rigida. L’imposizione di tempi obbligatoriamente paritetici “in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti”, ancorché condizionata al fatto che non sussistano “oggettivi elementi ostativi” (per esempio per i tempi di lavoro o per le distanze abitative) non può essere una clausola obbligata del piano genitoriale. Un conto è prevedere che i tempi di frequentazione debbano essere tendenzialmente paritari e altro conto è prevedere l’obbligo di tempi paritetici “in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti”. Al piano genitoriale concordato tra i genitori dovrebbe essere lasciata libertà organizzativa nella decisione, caso per caso, sui rispettivi tempi di frequentazione con i figli fatta sempre salva la possibilità, in sede contenziosa, per un genitore di reclamare una parità maggiore di quella a cui l’altro genitore si dichiara disponibile. Quindi in presenza di irragionevoli atteggiamenti ostruzionistici il principio della parità dei tempi può funzionare come principio che deve orientare la decisione del giudice ma questo non può comportare un giudizio di per sé di disvalore su altre modalità organizzative concordate tra i genitori. Del tutto inaccettabile, comunque, è la indicazione di dover garantire necessariamente ai figli “la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti presso il padre e presso la madre”. L’affermazione che costituisce diritto del minore “trascorrere con ciascuno dei genitori tempi adeguati, paritetici ed equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale” è anch’essa ideologica e frutto di un eccesso di rigidità. E’ vero che non conta solo la qualità della relazione ma anche la quantità del tempo, ma non può ritenersi affatto che altre modalità di organizzazione dei tempi genitoriali siano di per sé contrarie all’interesse del minore. Se, per esempio, la qualità della relazione non è buona, è tutto da dimostrare che possa essere la parità dei tempi a renderla migliore.
3) In ordine al mantenimento diretto il disegno di legge di riforma (sempre all’art. 11) appare poco convincente nel ribadire non tanto la preferenza quanto la obbligatorietà per la forma diretta del mantenimento. La soluzione prescelta (il giudice stabilisce “la misura e la modalità con cui ciascuno dei genitori provvede al mantenimento diretto dei figli, sia per le spese ordinarie che per quelle straordinarie, attribuendo a ciascuno specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al proprio reddito…”) presenta molti aspetti problematici, il primo dei quali concerne il fatto che il mantenimento diretto nella previsione del disegno di legge non sembra ammettere deroghe negoziali. Anche in caso di accordi di separazione e di divorzio alle parti non viene consentito di derogare a questa modalità (nel nuovo art. 711 c.p.c. si prevede che “I genitori di figli minori devono a pena di nullità indicare nel ricorso il piano genitoriale concordato, secondo quanto previsto dall’articolo 706, sesto comma, del presente codice e dall’articolo 337-ter del codice civile”). Questa rigidità non è giustificabile. Il mantenimento periodico non è qualcosa di contrario all’interesse del minore. E’ semplicemente una modalità diversa di contribuzione che per moltissime coppie appare o potrebbe apparire del tutto confacente alla situazione e ai rapporti tra i genitori e con i figli. Additare perciò il mantenimento diretto dei figli come l’unica forma di contribuzione legittima è del tutto fuori luogo. Il diritto dei genitori di individuare in concreto la modalità che ritengono più opportuna per mantenere i figli deve essere rispettato (art. 30 costituzione). Pertanto l’articolo 337-ter dovrà essere integrato dalla indicazione che in questo ambito sono sempre salvi “accordi diversi” tra i genitori che, nella modalità prescelta, il giudice dovrà rispettare.
4) Il disegno di legge interviene anche sul tema della casa familiare (art. 14) abolendo l’istituto dell’assegnazione, proponendo che “Il giudice può stabilire nell’interesse dei figli minori che questi mantengano la residenza nella casa familiare, indicando in caso di disaccordo quale dei due genitori può continuare a risiedervi” e prescrivendo anche che il genitore che rimane in casa di proprietà dell’altro o in comproprietà “è comunque tenuto a versare al proprietario dell’immobile un indennizzo”. Le questioni relative alla proprietà o alla locazione della casa familiare verranno quindi risolte, secondo il disegno di legge, in base alle norme vigenti in materia di proprietà e di comunione. In verità l’attuale previsione, secondo cui della permanenza in casa del genitore proprietario, comproprietario o successore nel contratto di locazione “il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori” sembra sufficiente ad eliminare ogni stortura applicativa. Insomma il testo della norma proposto dal disegno di legge pare introdurre elementi di inutile problematicità rispetto alla formulazione attuale dell’art. 337-sexies.
5) Sulla questione del doppio domicilio dei figli minori (art. 11) e sul cambio di residenza del figlio (art. 14) il disegno di legge suggerisce alcune riforme sostanzialmente accettabili che non danno luogo a mutamenti rivoluzionari.
6) A tutela del rapporto del minore con gli ascendenti e i parenti il disegno di legge (art. 11) indica condivisibilmente come ammissibile l’intervento anche autonomo dei nonni nei giudizi contenziosi di separazione a tutela del diritto (dei nonni ma anche dei nipoti) alla conservazione di reciproci rapporti significativi anche dopo la separazione dei genitori.
7) Con riferimento all’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento l’art. 11 del disegno di legge ribadisce la competenza del giudice di merito precisando ragionevolmente nel nuovo ultimo comma dell’art. 337-ter che quando la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori, “le decisioni quotidiane sono assunte dal genitore che in quel momento si trova col figlio minore” (precisazione che il testo attuale rimette, invece alla discrezionalità del giudice).
8) Il disegno di legge all’art. 13 dedica attenzione anche al tema della revisione della condizioni di separazione e divorzio riformulando in modo apprezzabile il testo dell’art. 337-quinquies con cui si attribuisce al giudice nei casi di conflittualità tra le parti, il compito di invitare i genitori (quindi non obbligandoli) a intraprendere un percorso di mediazione familiare per la risoluzione condivisa delle controversie. In caso di rifiuto o di fallimento della mediazione il giudice, qualora la conflittualità persista, propone alle parti (anche in questo rimettendosi alla loro determinazione) la nomina di un coordinatore genitoriale (nuova figura professionale al quale il disegno di legge dedica l’articolo 5), con il compito di facilitare le parti nel dialogo e nella relazione genitoriale, nell’interesse dei figli minori.
9) In materia di ascolto del minore il disegno di legge all’art. 16 propone di modificare l’art. 337-octies integrandolo con un comma nel quale si prescrive che l’ascolto del minore deve essere sempre svolto alla presenza del giudice e di un esperto da lui designato; che l’audizione deve essere videoregistrata; che le parti possono assistere in locale separato collegato mediante video e possono presentare domande per mezzo del giudice, con divieto di domande manifestamente in grado di suscitare conflitti di lealtà da parte del minore verso uno dei genitori. In verità l’ordinamento giuridico – dopo la riforma della filiazione del 2012 e 2013 – ha già una disciplina giuridica ben definita sull’ascolto del minore nell’ambito delle procedure giudiziarie che lo riguardano (art. 315-bis c.c. art. 38-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile). Pertanto la modifica dell’art. 337-octies del codice civile si rivela ridondante ed inutile.
10) Il disegno di legge interviene anche sul tema dell’affidamento esclusivo (ad un solo genitore) che, come è risaputo, è praticabile solo ove l’affidamento condiviso (ad entrambi i genitori) sia contrario all’interesse del minore in relazione a situazioni di grave inadeguatezza genitoriale. E’ questo il dato ormai emergente dalla ultradecennale applicazione dell’istituto. Il disegno di legge di riforma (art. 12) ribadisce la stessa impostazione con il nuovo art. 337-quater c.c. dove si fa anche riferimento (da considerare credo solo esemplificativo) a situazioni tipiche che possono giustificare l’affidamento esclusivo: e cioè la violenza; l’abuso sessuale; la trascuratezza; l’indisponibilità di un genitore; l’inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore. L’art. 337-quater è oggetto di una ulteriore modifica da parte del disegno di legge prevedendosi da un lato l’equivalenza tra affido esclusivo ed esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale “salva diversa disposizione del giudice” e dall’altro che, anche in caso di affidamento esclusivo “salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori…”. Si tratta di due precisazioni (peraltro già presenti nel testo attuale risalente alla legge 8 febbraio 2006, n. 54) che presentano margini di grave ambiguità. Posto, infatti, che le situazioni che rendono necessario l’affido esclusivo sono state selezionate dalla giurisprudenza come situazioni di carattere eccezionale tutte sostanzialmente riconducibili ad una manifesta carenza o inidoneità educativa del genitore, c’è da chiedersi, come sia possibile in questi casi gravi che il giudice possa attribuire l’esercizio della responsabilità genitoriale al genitore escluso dall’affido condiviso e come sia ugualmente possibile che la legge possa assicurare anche al genitore non affidatario il potere di codecisione sulle questioni di maggiore interesse per i figli. Occorre, pertanto, modificare parzialmente il terzo comma dell’art. 337-quater stabilendo il rapporto diretto tra affido esclusivo, esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale e potere di assumere in via esclusiva le decisioni di maggiore interesse per il figlio. Il giudice dovrebbe avere il solo potere di decidere se disporre l’affido condiviso o l’affido esclusivo. Una volta operata la scelta le conseguenze dovrebbero essere per legge l’attribuzione dell’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale e il potere di adottare in via esclusiva le decisioni di maggiore interesse.
11) Anche le questioni riguardanti i figli maggiorenni sono oggetto di attenzione nel disegno di legge (art. 15) dove si indica in modo del tutto condivisibile la strada dell’accordo tra i genitori quale prospettiva preferenziale rispetto all’intervento del giudice, riscrivendosi appositamente la prima parte dell’art. 337-septies in cui si prevede che “I genitori possono concordare con il figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente un piano genitoriale con le forme di cui ai commi sesto e settimo dell’articolo 337-ter” . Il richiamo in questa disposizione al sesto e al settimo comma dell’art. 337-ter – in cui si prescrive il mantenimento diretto e per capitoli di spesa – impone, però, immotivatamente questa sola forma di contribuzione anche in caso di figli maggiorenni. Non vi è alcuna ragione, né di ordine giuridico né di altro tipo, per limitare la negozialità tra genitori e figlio maggiorenne (introducendo dinamiche tra figli maggiorenni e genitori che potrebbero non essere funzionali al benessere e alla serenità delle rispettive relazioni) che potrà perciò volgersi verso qualsiasi tipo di accordo purché garantisca la effettiva contribuzione. Pertanto va eliminato il riferimento ai commi sesto e settimo dell’art. 337-ter che ingabbiano la negozialità all’interno del mantenimento diretto e per capitoli di spesa. Si stabilisce, poi, che l’“assegno è versato da entrambi i genitori [non, quindi, da un solo genitore] direttamente all’avente diritto, fermi per il figlio gli obblighi di cui all’articolo 315-bis”. E’ importante puntualizzare che secondo il disegno di legge il mantenimento del figlio maggiorenne in sede contenziosa è subordinato alla richiesta del figlio; presupposto che finora non era mai stato indicato essendo sempre stata ritenuta sufficiente la richiesta di uno o di entrambi i genitori. Pertanto il figlio maggiorenne dovrebbe richiedere l’assegno con un intervento ex art. 105 c.p.c. nel processo di separazione o divorzio. Piuttosto radicale è, infine, la modifica che si propone rispetto alla cessazione dell’obbligazione di mantenimento (non alimentare s’intende): nel nuovo testo dell’art. 337-septies si inserisce un ultimo comma in cui si precisa che “nei confronti dei figli maggiorenni cessa ogni obbligo di mantenimento al compimento del venticinquesimo anno di età…”; si tratta di una disposizione del tutto irragionevole non potendosi stabilire a priori un limite valido per tutti i casi. Meglio confidare sul criterio dell’autosufficienza economica da valutare caso per caso seguito fino ad oggi dalla giurisprudenza che meglio rispondono alla esigenza di dare risposte calibrate sulle singole situazioni.
12) Mi pare positiva l’indicazione per i genitori che si separano o divorziano, ribadita più volte nel disegno di legge (articoli 7, 10, 11, 20), di predisporre un piano genitoriale (un vero e proprio programma educativo) che indichi i luoghi abitualmente frequentati dai figli; la scuola e percorso educativo del minore; eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e formative; la frequentazione parentale e amicale del minore; le vacanze normalmente godute dal minore. La finalità è quella di focalizzare il progetto educativo dei genitori nei confronti dei figli in un documento che possa servire poi da guida e da riferimento in occasione di qualsiasi problema o contrasto che si dovesse in seguito presentare. Il piano genitoriale è redatto dai genitori – con l’aiuto eventuale degli avvocati e del mediatore familiare – e deve essere riportato nel ricorso di separazione consensuale (nuovo testo dell’art. 711 c.p.c.), nel ricorso congiunto di divorzio (nuovo testo dell’art. 4 della legge 898/70), negli accordi di negoziazione assistita (art. 20 del disegno di legge) nonché nei primi atti difensivi dei procedimenti contenziosi (art. 11)
13) Ugualmente positiva è la valutazione sulla proposta del disegno di legge (art. 5) relativa all’introduzione di una figura professionale nuova, il coordinatore genitoriale, con compiti sostanzialmente di assistenza dei genitori e di monitoraggio (ma anche con funzioni decisionali) nell’attuazione del piano genitoriale. Finora questa funzione era stato soprattutto assicurata da provvedimenti giudiziari di affidamento del minore al servizio sociale, molto spesso disposto nei tribunali in casi di conflittualità genitoriale, che, tuttavia, oltre ad essere un intervento istituzionale di fatto imposto ai genitori, non ha mai dato ottima prova di sé, essendo molto difficile che un servizio pubblico, gravato da molti compiti, possa garantire un’assistenza e un monitoraggio mirato e tempestivo su singoli utenti dei servizi. Da qui l’idea di una figura professionale ad hoc alla quale i genitori possono volontariamente ricorrere, che ha fatto la sua comparsa già in alcuni provvedimenti giudiziari. Il coordinatore genitoriale è un professionista che non ha poteri processuali, poiché il suo obiettivo è risolvere i conflitti al di fuori del processo salvaguardando e preservando una relazione sicura, sana e significativa tra il minore ed entrambi i suoi genitori.
14) L’art. 709-ter del codice di procedura civile che disciplina la soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni ha assunto negli ultimi anni nel contrasto alle condotte pregiudizievoli verso i figli minori una funzione essenziale. L’obiettivo principale della norma era quello di predisporre un procedimento rapido, di competenza del giudice della causa in corso per la soluzione delle controversie in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale, ma il baricentro della disposizione si è spostato nella prassi applicativa ormai più che decennale soprattutto sul secondo comma dove sono previsti i provvedimenti e le sanzioni applicabili in caso di condotte pregiudizievoli, quali per esempio quelle che possono essere causa di alienazione genitoriale. Il disegno di legge (art. 9) aumenta l’importo delle sanzioni pecuniarie ma elimina del tutto irragionevolmente l’ammonizione. Per i casi più gravi dispone che il giudice può disporre anche la decadenza dalla responsabilità genitoriale; precisazione opportuna anche se non sarebbe necessaria in quanto si tratta di un provvedimento che già oggi il giudice potrebbe adottare sulla base del nuovo testo dell’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile.
15) Un ulteriore tema che il disegno di legge affronta – introducendo con gli articoli 17 e 18 alcune modiche al codice civile – è quello degli ordini di protezione per contrastare le condotte genitoriali che, nel corso del giudizio di separazione o successivamente, si rilevano lesive dei diritti “relazionali” del minore, ostacolandone i rapporti familiari e parentali, e nel caso in cui il figlio minore – evidentemente quale conseguenza dei comportamenti di un genitore – manifesti rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo all’altro genitore. In tali casi il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto non soltanto uno o più dei provvedimenti di cui all’articolo 342-ter c.c. (ordine di cessazione della condotta, ordine di allontanamento e provvedimenti di non avvicinamento, l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare o di un centro antiviolenza), ma anche i provvedimenti previsti nel nuovo art. 342-quater che si introduce con il disegno di legge tra i quali “la limitazione o sospensione della sua responsabilità genitoriale” ovvero gli altri “previsti dall’articolo 709-ter del codice di procedura civile”). Quindi la riforma che il disegno di legge propone estende il campo di applicazione degli ordini di protezione ai comportamenti che ostacolano la relazione del minore con un genitore o con altre figure parentali o che causano alienazione genitoriale. Poiché il disegno di legge nulla prevede in materia di competenza potrebbe considerarsi competente il tribunale ordinario in composizione monocratica secondo la disciplina ordinaria degli ordini di protezione. Non ha, però, nessun senso dirottare sul tribunale ordinario attribuzioni che devono rimanere di competenza del giudice della famiglia, nello specifico del giudice competente ad emettere i provvedimenti di cui all’art. 709-ter del codice di procedura civile.
16) Il disegno di legge prende anche posizione su alcune disposizioni di natura civile, penale e processuale evidentemente ritenute collegate al tema generale di cui si occupa. Così l’art. 19 cancella affrettatamente l’istituto dell’addebito nella separazione senza però risolvere il problema di come evitare che, nonostante la violazione dei doveri matrimoniali, il coniuge colpevole possa anche lucrare un assegno di mantenimento ove sprovvisto di redditi adeguati. L’abrogazione dell’addebito non pare, quindi, assolutamente convincente.
17) Del tutto ragionevole, invece, è l’abolizione (proposta nell’art. 21) del reato di cui all’art. 570-bis c.p. (Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio) introdotto inutilmente dal decreto Legislativo 1° marzo 2018, n. 21. La norma penale in questione non è di nessuna utilità perché non fa altro che richiamare la norma principale che è l’art. 570 del codice penale, recentemente reinterpretato dalla Sezioni Unite, di cui è sempre stata pacifica l’applicazione rispetto alla violazione di tutte le obbligazioni di carattere economico stabilite in sede di separazione e divorzio anche verso i figli.
18) Inoltre con l’art. 6 del disegno di legge si aggiunge un terzo comma all’art. 178 del codice civile con il quale si introduce il reclamo al collegio avverso le ordinanze del giudice istruttore nelle cause di separazione e divorzio che, però, benché se ne possano apprezzare le motivazioni garantistiche, non pare destinato a modificare granché l’assetto del processo. D’altro lato anche il reclamo in Corte d’appello avverso le ordinanze presidenziali si è di fatto esaurito quasi solo in un controllo di legittimità del provvedimento con il rigetto piuttosto sistematico delle lamentele di merito.
19) La norma transitori indicata nell’art. 23 del disegno di legge (“Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della medesima”) dovrebbe prevedere l’applicazione delle nuove norme sulla mediazione e sul coordinatore genitoriale a far data solo dal momento dell’entrata in vigore delle norme di attuazione di cui all’art. 2 comma 2 del disegno di legge, aggiungendo – ai fini dell’applicazione delle altre norme – che, in caso di procedimento di separazione o di divorzio o di affidamento in corso, le parti devono presentare il piano genitoriale indicato nell’art. 337-ter del codice civile all’udienza immediatamente successiva all’entrata in vigore della legge, in modo che il giudice possa subito dopo doverosamente adeguare l’assetto dell’affidamento ai nuovi principi.
* * *
APPENDICE
1. Tabella di confronto tra il disegno di legge e il testo delle norme vigenti di cui il disegno di legge propone la modifica
Disegno di legge Testo delle norme vigenti di cui il disegno di legge
propone la modifica
Art. 1.
(Istituzione dell’albo nazionale
per la professione di mediatore familiare)
1. È istituito l’albo professionale dei mediatori familiari. La Repubblica riconosce la funzione sociale della mediazione familiare.
2. Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o più regolamenti, da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia, sono adottate le norme di attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo, tenuto conto dei seguenti princìpi:
a) possono esercitare la professione di mediatore familiare le persone in possesso della laurea specialistica in discipline sociali, psicologiche, giuridiche, mediche o pedagogiche, nonché della formazione specifica, certificata da idonei titoli quali master universitari ovvero specializzazioni o perfezionamenti presso enti di formazione riconosciuti dalle regioni, aventi durata biennale e di almeno 350 ore;
b) possono altresì esercitare l’attività di mediazione familiare coloro che alla data di entrata in vigore della presente legge sono in possesso di laurea specialistica e che hanno già ottenuto la qualifica di mediatore familiare a seguito della formazione specifica almeno biennale certificata da master universitari ovvero a seguito della frequenza e del superamento dell’esame finale presso corsi di formazione almeno biennali e della durata di almeno 350 ore, purché svolti e conclusi entro il 31 dicembre 2018;
c) la qualifica di mediatore familiare può essere attribuita anche agli avvocati iscritti all’ordine professionale da almeno cinque anni e che abbiano trattato almeno dieci nuovi procedimenti in diritto di famiglia e dei minori per ogni anno;
d) la professione di mediatore familiare può essere esercitata in forma individuale o associata secondo le disposizioni stabilite dalla legge 14 gennaio 2013, n. 4;
e) l’albo è costituito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, dal Ministero della giustizia, che ne cura annualmente l’aggiornamento; possono fare domanda di iscrizione all’albo i mediatori familiari in possesso dei requisiti di cui al presente articolo;
f) il servizio di mediazione familiare può essere altresì offerto nei consultori familiari pubblici e privati da persone aventi la qualifica di mediatori familiari iscritti all’albo;
g) il mediatore familiare deve essere particolarmente e specificamente esperto nelle tecniche di mediazione e deve essere in possesso di approfondite conoscenze in diritto, psicologia e sociologia con particolare riferimento ai rapporti familiari e genitoriali;
h) l’iscrizione all’albo è subordinata al superamento di una prova di esame da svolgere annualmente e la cui disciplina è rimessa ad appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministro per la famiglia e le disabilità;
i) il consiglio nazionale dei mediatori familiari provvede entro sei mesi dalla sua istituzione all’emanazione di un codice deontologico ispirato ai seguenti principi:
1) il mediatore familiare deve essere terzo e imparziale rispetto alle parti;
2) il mediatore familiare ha un obbligo informativo in favore delle parti circa la possibilità di avvalersi della consulenza matrimoniale al fine di salvaguardare per quanto possibile l’unità della famiglia come previsto dall’articolo 708 del codice di procedura civile, come modificato dall’articolo 8 della presente legge, nel rispetto del miglior interesse del minore; deve altresì adoperarsi per impedire o per risolvere gravi conflittualità che possono produrre ogni forma di violenza endofamiliare, anche informando le parti della possibilità di ottenere l’aiuto di altri specialisti;
3) il mediatore deve astenersi dal fornire consulenza legale o psicologica alle parti.
Art. 2.
(Obbligo di riservatezza)
1. Il mediatore familiare è tenuto al segreto professionale ai sensi dell’articolo 622 del codice penale. Nessuno degli atti o documenti del procedimento di mediazione familiare può essere prodotto dalle parti nei procedimenti giudiziali ad eccezione dell’accordo, solo se sottoscritto dal mediatore familiare e controfirmato dalle parti e dai rispettivi legali, ovvero della proposta di accordo formulata dal mediatore.
Art. 3.
(Procedimento di mediazione familiare)
1. Il procedimento di mediazione familiare è informale e riservato. Partecipano al procedimento di mediazione familiare le parti e i rispettivi legali. La partecipazione al procedimento di mediazione di minori, purché di età superiore a dodici anni, può essere ammessa solo con il consenso di tutte le parti e, comunque, di entrambi i genitori.
2. Le parti devono rivolgersi a un mediatore familiare scelto tra quelli che esercitano la professione nell’ambito del distretto del tribunale competente per territorio ai sensi del codice di procedura civile.
3. La partecipazione al procedimento di mediazione familiare è volontariamente scelta dalle parti e può essere interrotta in qualsiasi momento. L’esperimento della mediazione familiare è comunque condizione di procedibilità secondo quanto previsto dalla legge qualora nel procedimento debbano essere assunte decisioni che coinvolgano direttamente o indirettamente i diritti dei minori.
4. Il procedimento di mediazione familiare ha una durata non superiore a sei mesi, decorrenti dal primo incontro cui hanno partecipato entrambe le parti. Le parti devono partecipare al primo incontro del procedimento di mediazione familiare assistite dai rispettivi avvocati, qualora esse abbiano già dato loro mandato.
5. Il mediatore familiare, su accordo delle parti, può chiedere che gli avvocati di cui al comma 4 non partecipino agli incontri successivi. Gli stessi devono comunque essere presenti, a pena di nullità e inutilizzabilità, alla stipulazione dell’eventuale accordo, ove raggiunto.
6. Gli avvocati e le parti hanno il dovere di collaborare lealmente con il mediatore familiare.
7. Si applicano gli articoli 8, 9, 10, 11, 13 e 14, commi 1 e 2, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.
8. L’efficacia esecutiva dell’accordo raggiunto a seguito del procedimento di mediazione familiare deve in ogni caso essere omologata dal tribunale competente per territorio ai sensi del codice di procedura civile.
9. Il tribunale di cui al comma 8 decide in camera di consiglio entro quindici giorni dalla richiesta.
Art. 4.
(Spese e compensi per il mediatore familiare)
1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia, con proprio decreto, stabilisce i parametri per la determinazione dei compensi professionali per i mediatori familiari, prevedendo in ogni caso la gratuità del primo incontro. Gli avvocati e gli altri professionisti che operano in funzione di mediatori familiari devono applicare le tariffe professionali relative a tale ultima funzione.
Art. 5.
(Coordinatore genitoriale)
1. La coordinazione genitoriale è un processo di risoluzione alternativa delle controversie centrato sulle esigenze del minore, svolta da professionista qualificato, che integra la valutazione della situazione conflittuale, l’informazione circa i rischi del conflitto per le relazioni tra genitori e figli, la gestione del caso e degli operatori coinvolti, la gestione del conflitto ricercando l’accordo tra i genitori o fornendo suggerimenti o raccomandazioni e assumendo, previo consenso dei genitori, le funzioni decisionali.
2. Il coordinatore genitoriale è un esperto qualificato con funzione mediativa, dotato di formazione specialistica in coordinazione genitoriale, iscritto all’albo di una delle seguenti professioni regolamentate di ambito sanitario o socio-giuridico:
a) psichiatra;
b) neuropsichiatra;
c) psicoterapeuta;
d) psicologo;
e) assistente sociale;
f) avvocato;
g) mediatore familiare.
3. Il coordinatore genitoriale deve osservare tutte le disposizioni di natura legale e deontologica della rispettiva professione. Il medesimo opera come terzo imparziale e ha il compito di gestire in via stragiudiziale le controversie eventualmente sorte tra i genitori di prole minorenne relativamente all’esecuzione del piano genitoriale. La sua attività è volta al superamento di eventuali ostacoli al corretto e sereno esercizio della cogenitorialità con l’obiettivo di:
a) assistere i genitori con alto livello di conflitto nell’attuazione del piano genitoriale;
b) monitorare l’osservanza del piano genitoriale, risolvendo tempestivamente le controversie;
c) salvaguardare e preservare una relazione sicura, sana e significativa tra il minore ed entrambi i suoi genitori.
4. Lo svolgimento dell’attività di coordinazione genitoriale non dà luogo a responsabilità personali, salvi i casi di dolo o colpa grave.
5. Il giudice prende atto della volontà dei genitori di incaricare un coordinatore genitoriale nell’interesse del minore. L’accordo di incarico e, per le professioni sanitarie, il consenso informato alla coordinazione genitoriale devono essere sottoscritti dai genitori e sono recepiti contestualmente alla nomina del coordinatore.
Art. 6.
(Modifica all’articolo 178
del codice di procedura civile)
1. Dopo il terzo comma dell’articolo 178 del codice di procedura civile è inserito il seguente:
«L’ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di venti giorni dalla lettura alla presenza delle parti oppure dalla ricezione della relativa notifica. Il collegio decide in camera di consiglio entro trenta giorni dal deposito del reclamo».
Art. 178 c.p.c.
(Controllo del collegio sulle ordinanze)
1. Le parti, senza bisogno di mezzi di impugnazione, possono proporre al collegio, quando la causa è rimessa a questo a norma dell’art. 189, tutte le questioni risolute dal giudice istruttore con ordinanza revocabile.
2. L’ordinanza del giudice istruttore, che non operi in funzione di giudice unico, quando dichiara l’estinzione del processo è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio.
3. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni decorrente dalla pronuncia della ordinanza se avvenuta in udienza, o altrimenti decorrente dalla comunicazione dell’ordinanza medesima.
4. Il reclamo è presentato con semplice dichiarazione nel verbale d’udienza, o con ricorso al giudice istruttore.
5. Se il reclamo è presentato in udienza, il giudice assegna nella stessa udienza, ove le parti lo richiedono, il termine per la comunicazione di una memoria, e quello successivo per la comunicazione di una replica. Se il reclamo è proposto con ricorso, questo è comunicato a mezzo della cancelleria alle altre parti, insieme con decreto, in calce, del giudice istruttore, che assegna un termine per la comunicazione dell’eventuale memoria di risposta. Scaduti tali termini, il collegio provvede entro i quindici giorni successivi.
Art. 7.
(Modifiche all’articolo 706
del codice di procedura civile)
1. All’articolo 706 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma è premesso il seguente:
«I genitori di prole minorenne che vogliano separarsi devono, a pena di improcedibilità, iniziare un percorso di mediazione familiare. I genitori devono redigere, eventualmente con l’aiuto del mediatore familiare e dei rispettivi legali, un piano genitoriale come previsto dall’articolo 337-ter del codice civile. In ogni caso il mediatore familiare deve rilasciare ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui dà atto che gli stessi hanno tentato la mediazione e informa del relativo esito»;
b) al terzo comma, le parole: «novanta giorni dal deposito del ricorso» sono sostituite dalle seguenti: «quaranta giorni dal deposito del ricorso»;
c) è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Nel caso di cui al quinto comma, il ricorso e la memoria difensiva di cui al quarto comma, a pena di nullità, devono contenere altresì, a cura dei genitori, una dettagliata proposta di piano genitoriale che illustri la situazione attuale del minore e le proposte formulate in ordine al suo mantenimento, alla sua istruzione, alla sua educazione e alla sua assistenza morale secondo i punti previsti dall’articolo 337-ter del codice civile».
Art. 706 c.p.c.
(Forma della domanda)
1. La domanda di separazione personale si propone al tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio, con ricorso che deve contenere l’esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata.
2. Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero, o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente, e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica.
3. Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve essere tenuta entro novanta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto, ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate.
4. Nel ricorso deve essere indicata l’esistenza di figli di entrambi i coniugi.
Art. 8.
(Modifiche all’articolo 708
del codice di procedura civile)
1. All’articolo 708 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il secondo comma è sostituito dal seguente:
«Qualora la conciliazione riesca, il presidente allega agli atti il verbale di conciliazione e ordina la cancellazione della causa dal ruolo e l’immediata estinzione del procedimento»;
b) il terzo comma è sostituito dal seguente:
«Qualora la conciliazione non sia riuscita, il presidente informa le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare. Nei procedimenti di separazione di genitori con figli minori il presidente verifica anche d’ufficio il rispetto delle prescrizioni di cui all’articolo 706 e in caso contrario rinvia il procedimento per un termine massimo di due mesi e ordina alle parti di rivolgersi a un mediatore familiare. Il presidente, all’esito della mediazione familiare, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori, valuta i rispettivi piani genitoriali e assume con ordinanza i provvedimenti che reputa opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi secondo quanto previsto dagli articoli 337-ter e seguenti del codice civile, accogliendo le rispettive proposte ove convergenti e non contrarie all’interesse della prole e motivando le proprie decisioni ove ritenga di discostarsi dalle indicazioni dell’uno o dell’altro genitore in ordine al piano genitoriale. Se uno dei genitori non compare ovvero non presenta un proprio piano genitoriale, il presidente accoglie nell’ordinanza le proposte indicate dall’altro, ove congrue e non contrarie all’interesse della prole».
Art. 708 c.p.c.
(Tentativo di conciliazione e provvedimenti del presidente)
1. All’udienza di comparizione il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione.
2.Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione.
3. Se la conciliazione non riesce, il presidente, anche d’ufficio, sentiti i coniugi ed i rispettivi difensori, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a questi. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentiti il ricorrente ed il suo difensore.
4. Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla corte d’appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento.
Art. 9.
(Modifica dell’articolo 709-ter
del codice di procedura civile)
1. L’articolo 709-ter del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 709-ter. – (Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni). –
Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze, di manipolazioni psichiche o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, nonché in caso di astensione ingiustificata dai compiti di cura di un genitore e comunque in ogni caso ove riscontri accuse di abusi e violenze fisiche e psicologiche evidentemente false e infondate mosse contro uno dei genitori, il giudice valuta prioritariamente una modifica dei provvedimenti di affidamento ovvero, nei casi più gravi, la decadenza dalla responsabilità genitoriale del responsabile ed emette le necessarie misure di ripristino, restituzione o compensazione. Il giudice può anche congiuntamente:
1) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
3) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 600 euro a un massimo di 6.000 euro. I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari».
Art. 709-ter c.p.c.
(Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni)
1. Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore.
2. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:
1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
3. I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari.
Art. 10.
(Modifica dell’articolo 711 del codice
di procedura civile)
1. L’articolo 711 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 711. – (Separazione consensuale). –
Nel caso di separazione consensuale previsto dall’articolo 158 del codice civile, entrambi i coniugi presentano ricorso congiunto.
I genitori di figli minori devono a pena di nullità indicare nel ricorso il piano genitoriale concordato, secondo quanto previsto dall’articolo 706, sesto comma, del presente codice e dall’articolo 337-ter del codice civile. Il presidente, ove riscontri che i coniugi non hanno svolto in precedenza il tentativo di conciliazione di cui all’articolo 708, tenta preliminarmente di conciliarli nel corso della medesima udienza. Se la conciliazione riesce, procede come previsto dall’articolo 708, secondo comma. Se la conciliazione non riesce il presidente dà atto nel processo verbale del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole, come previste dal ricorso e dai piani educativo e di riparto delle spese.
La separazione consensuale acquista efficacia con l’omologazione del tribunale, che provvede in camera di consiglio su relazione del presidente. Le condizioni della separazione consensuale sono modificabili a norma dell’articolo 710».
Art. 711 c.p.c.
(Separazione consensuale)
1. Nel caso di separazione consensuale previsto nell’articolo 158 del codice civile, il presidente, su ricorso di entrambi i coniugi, deve sentirli nel giorno da lui stabilito e curare di conciliarli nel modo indicato nell’articolo 708.
2. Se il ricorso è presentato da uno solo dei coniugi, si applica l’articolo 706 ultimo comma.
3. Se la conciliazione non riesce, si dà atto nel processo verbale del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole.
4. La separazione consensuale acquista efficacia con la omologazione del tribunale, il quale provvede in camera di consiglio su relazione del presidente.
5. Le condizioni della separazione consensuale sono modificabili a norma dell’articolo precedente.
Art. 11.
(Modifica dell’articolo 337-ter
del codice civile)
1. L’articolo 337-ter del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-ter. – (Provvedimenti riguardo ai figli).-
1. Indipendentemente dai rapporti intercorrenti tra i due genitori, il figlio minore, nel proprio esclusivo interesse morale e materiale, ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e con la madre, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali, con paritetica assunzione di responsabilità e di impegni e con pari opportunità. Ha anche il diritto di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale.
2. Qualora uno dei genitori ne faccia richiesta e non sussistano oggettivi elementi ostativi, il giudice assicura con idoneo provvedimento il diritto del minore di trascorrere tempi paritetici in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti, con ciascuno dei genitori. Salvo diverso accordo tra le parti, deve in ogni caso essere garantita alla prole la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre, salvo comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore in caso di:
1) violenza;
2) abuso sessuale;
3) trascuratezza;
4) indisponibilità di un genitore;
5) inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore.
3. Il giudice o le parti, quando le circostanze rendano difficile attuare una divisione paritaria dei tempi su base mensile, possono prevedere adeguati meccanismi di recupero durante i periodi di vacanza, onde garantire una sostanziale equivalenza dei tempi di frequentazione del minore con ciascuno dei genitori nel corso dell’anno.
4. Il figlio minore ha inoltre il diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Gli ascendenti del minore possono intervenire nel giudizio di affidamento con le forme dell’articolo 105 del codice di procedura civile. Il giudice, nei procedimenti di cui all’articolo 337-bis, adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.
5. Il giudice, salvo che ciò sia contrario al superiore interesse del minore, affida in via condivisa i figli minori a entrambi i genitori e prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Stabilisce il doppio domicilio del minore presso l’abitazione di ciascuno dei genitori ai fini delle comunicazioni scolastiche, amministrative e relative alla salute.
6. Entrambi i genitori predispongono un piano genitoriale in ordine a:
1) luoghi abitualmente frequentati dai figli;
2) scuola e percorso educativo del minore;
3) eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e formative;
4) frequentazioni parentali e amicali del minore;
5) vacanze normalmente godute dal minore.
7. Nel piano genitoriale deve essere indicata anche la misura e la modalità con cui ciascuno dei genitori provvede al mantenimento diretto dei figli, sia per le spese ordinarie che per quelle straordinarie, attribuendo a ciascuno specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al proprio reddito secondo quanto previsto nel piano genitoriale, considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) le risorse economiche di entrambi i genitori;
3) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
8. Il giudice esamina e approva il piano genitoriale concordato dai due genitori ove non contrastante col superiore interesse o con i diritti del minore. In mancanza di accordo o in caso di accordo parziale, il giudice, sentite le parti, recepisce quanto parzialmente concordato dai genitori e stabilisce comunque il piano genitoriale, determinando i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore e fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli, applicando in ogni caso il mantenimento diretto come indicato ai commi precedenti e sulla base del costo medio dei beni e servizi per i figli, individuato su base locale in ragione del costo medio della vita come calcolato dall’ISTAT, indicando altresì le spese ordinarie, le spese straordinarie e attribuendo a ciascun genitore specifici capitoli di spesa.
9. Il giudice stabilisce, ove strettamente necessario e solo in via residuale, la corresponsione a carico di uno dei genitori, di un assegno periodico per un tempo determinato in favore dell’altro a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore. Nel medesimo provvedimento deve anche indicare quali iniziative devono essere intraprese dalle parti per giungere al mantenimento diretto della prole, indicando infine i termini entro i quali la corresponsione di assegno periodico residuale verrà a cessare. I benefici previdenziali e fiscali erogati in favore della prole o ai genitori per i figli a carico sono in ogni caso attribuiti sulla base del reciproco accordo ovvero su disposizione del giudice in misura direttamente proporzionale ai rispettivi redditi. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.
10. All’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito. La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni quotidiane sono assunte dal genitore che in quel momento si trova col figlio minore, mentre quelle di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuta detto comportamento anche al fine della modifica della forma di affidamento».
Art. 337- ter c.c.
(Provvedimenti riguardo ai figli)
1. Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
2. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all’articolo 337-bis, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l’affidamento familiare. All’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito e, nel caso di affidamento familiare, anche d’ufficio. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare.
3. La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente.
Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà; detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.
4. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
5. L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
6. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.
Art. 12.
(Modifica dell’articolo 337-quater
del codice civile)
1. L’articolo 337-quater del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-quater. – (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso). –
1. Il giudice, nei casi di cui all’articolo 337-ter, secondo comma, può disporre temporaneamente l’affidamento dei figli a uno solo dei genitori, qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore. In ogni caso deve garantire il diritto del minore alla bigenitorialità, disponendo tempi adeguati di frequentazione dei figli minori col genitore non affidatario e promuovendo azioni concrete per rimuovere le cause che hanno portato all’affidamento esclusivo.
2. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 337-ter. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile. Il genitore a cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice, favorendo e garantendo in ogni modo la frequentazione dei figli minori con l’altro genitore, a meno che ciò non sia stato espressamente limitato dal giudice con provvedimento motivato. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono comunque adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.
3. Il giudice, nel caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ai suoi genitori dispone l’affidamento familiare in altro nucleo familiare, anche d’ufficio, per un tempo non superiore ai due anni, preferendo in ogni caso nuclei familiari di parenti o comunque, in mancanza di questi, di famiglie residenti nel medesimo territorio del minore. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa a cura del pubblico ministero al giudice tutelare. Deve in ogni caso essere garantito al minore il diritto alla bigenitorialità, disponendo tempi adeguati di frequentazione con ciascun genitore, salvo che ciò sia motivatamente ritenuto come assolutamente contrario all’interesse del minore. Deve altresì essere posta in essere ogni misura idonea e opportuna per il recupero della capacità genitoriale dei genitori del minore, favorendo il reinserimento immediato in famiglia non appena possibile».
Art. 337-quater c.c.
(Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso)
1. Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore.
2. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 337-ter. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile.
3. Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.
Art. 13.
(Modifica dell’articolo 337-quinquies
del codice civile)
1. L’articolo 337-quinquies del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-quinquies. – (Revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli; conflittualità genitoriale; mediatore e coordinatore genitoriale). –
1. I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, la revisione dei piani genitoriali, il ricalcolo dei tempi di frequentazione con la prole e l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.
2. Il giudice, nei casi di conflittualità tra le parti, invita nuovamente i genitori a intraprendere un percorso di mediazione familiare per la risoluzione condivisa delle controversie. Qualora le parti accettino, il giudice sospende il procedimento per non più di sei mesi e rimette le parti avanti il mediatore familiare, sorteggiandone il nome tra due scelti dalle parti in caso di disaccordo. Qualora la mediazione riesca, il giudice esamina il piano genitoriale redatto dalle parti con l’aiuto del mediatore e lo recepisce nel proprio provvedimento ove non ritenuto contrario al superiore interesse del minore.
3. In caso di rifiuto o di fallimento della mediazione il giudice, qualora la conflittualità persista, propone alle parti la nomina di un coordinatore genitoriale, con il compito di facilitare le parti nel dialogo e nella relazione genitoriale, nell’interesse dei figli minori. Il coordinatore può sentire le parti separatamente e congiuntamente. Le parti possono anche attribuire al coordinatore genitoriale il potere di assumere decisioni limitatamente a specifici ambiti e sostenerle nell’attuazione del piano genitoriale.
Le eventuali modifiche al piano genitoriale concordate in coordinazione dovranno essere sottoposte al giudice per il tramite dei legali delle parti.
4. Gli oneri della coordinazione genitoriale sono ripartiti tra i genitori nella misura del 50 per cento, salvo diverso accordo tra le parti.
5. Qualora le parti rifiutino di intraprendere la mediazione o la coordinazione genitoriale, il giudice decide della questione applicando i princìpi di cui al primo comma del presente articolo e di cui all’ultimo periodo del secondo comma dell’articolo 337-ter».
Art. 337-quinquies c.c.
(Revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli)
1. I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.
Art. 14.
(Modifica dell’articolo 337-sexies
del codice civile)
1. L’articolo 337-sexies del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-sexies. – (Residenza presso la casa familiare e prescrizioni in tema di residenza). –
1. Fermo il doppio domicilio dei minori presso ciascuno dei genitori secondo quanto stabilito dal quinto comma dell’articolo 337-ter, il giudice può stabilire nell’interesse dei figli minori che questi mantengano la residenza nella casa familiare, indicando in caso di disaccordo quale dei due genitori può continuare a risiedervi. Quest’ultimo è comunque tenuto a versare al proprietario dell’immobile un indennizzo pari al canone di locazione computato sulla base dei correnti prezzi di mercato.
2. Le questioni relative alla proprietà o alla locazione della casa familiare sono risolte in base alle norme vigenti in materia di proprietà e comunione. Non può continuare a risedere nella casa familiare il genitore che non ne sia proprietario o titolare di specifico diritto di usufrutto, uso, abitazione, comodato o locazione e che non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
3. In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, almeno trenta giorni prima, l’intenzione di cambiare la propria residenza o domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico dell’altro genitore o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.
4. In ogni caso il trasferimento del minore, il suo cambiamento di residenza e la sua iscrizione a un istituto scolastico sono sempre soggetti al preventivo consenso scritto di entrambi i genitori, ovvero alla decisione del giudice tutelare in caso di mancato accordo. Qualsiasi trasferimento del minore non autorizzato in via preventiva da entrambi i genitori o dal giudice deve esser ritenuto contrario al suo superiore interesse e privo di ogni efficacia giuridica. È compito delle autorità di pubblica sicurezza, su segnalazione di uno dei genitori, adoperarsi per ricondurre immediatamente il minore alla sua residenza qualora sia stato allontanato senza il consenso di entrambi i genitori o l’ordine del giudice».
Art. 337-sexies c.c.
(Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza)
1. Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.
2. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643.
3. In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.
Art. 15.
(Modifica dell’articolo 337-septies
del codice civile)
1. L’articolo 337-septies del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-septies. – (Disposizioni in favore dei figli maggiorenni). –
1. I genitori possono concordare con il figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente un piano genitoriale con le forme di cui ai commi sesto e settimo dell’articolo 337-ter. Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente e su loro richiesta il pagamento di un assegno periodico a carico di entrambi i genitori. Tale assegno è versato da entrambi i genitori direttamente all’avente diritto, fermi per il figlio gli obblighi di cui all’articolo 315-bis.
2. Ai figli maggiorenni portatori di disabilità grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.
3. Fatto salvo quanto previsto al precedente comma, nei confronti dei figli maggiorenni cessa ogni obbligo di mantenimento al compimento del venticinquesimo anno di età ovvero qualora la mancanza di una loro occupazione o impiego lavorativo sia dipesa da negligenza o rifiuto ingiustificato di opportunità di lavoro offerte ovvero si dimostri la colpevole inerzia nel prorogare il proprio percorso di studi senza alcun effettivo rendimento».
Art. 337-septies c.c.
(Disposizioni in favore dei figli maggiorenni)
1. Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto.
2. Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.
Art. 16.
(Modifica dell’articolo 337-octies
del codice civile)
1. L’articolo 337-octies del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-octies. – (Poteri del giudice e ascolto del minore). –
1. Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter, il giudice può assumere, a istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone inoltre l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo.
2. L’ascolto del minore deve essere sempre svolto alla presenza del giudice e di un esperto da lui designato. L’ascolto deve essere videoregistrato. Le parti possono assistere in locale separato collegato mediante video e possono presentare domande per mezzo del giudice. Sono vietate le domande manifestamente in grado di suscitare conflitti di lealtà da parte del minore verso uno dei genitori».
Art. 337-octies c.c.
(Poteri del giudice e ascolto del minore)
1. Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter, il giudice può; assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova.
2. Il giudice dispone, inoltre, l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età; inferiore ove capace di discernimento. Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo.
3. Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli.
Art. 17.
(Modifica all’articolo 342-bis
del codice civile)
1. All’articolo 342-bis del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Quando in fase di separazione dei genitori o dopo di essa la condotta di un genitore è causa di grave pregiudizio ai diritti relazionali del figlio minore e degli altri familiari, ostacolando il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore e la conservazione rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui agli articoli 342-ter e 342-quater. I provvedimenti di cui a quest’ultimo articolo possono essere applicati, nell’esclusivo interesse del minore, anche quando, pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori, il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo a uno di essi».
Art. 342-bis c.c.
(Ordini di protezione contro gli abusi familiari)
1. Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’articolo 342-ter.
Art. 18.
(Introduzione dell’articolo 342-quater
del codice civile)
1. Dopo l’articolo 342-ter è inserito il seguente:
«Art. 342-quater. – (Ulteriori contenuti dell’ordine di protezione). –
1. Con il decreto di cui all’articolo 342-bis il giudice ordina al genitore che ha tenuto la condotta pregiudizievole per il minore la cessazione della stessa condotta; può inoltre disporre con provvedimento d’urgenza la limitazione o sospensione della sua responsabilità genitoriale. Il giudice può applicare in tali casi anche di ufficio e inaudita altera parte uno dei provvedimenti previsti dall’articolo 709-ter del codice di procedura civile.
2. Il giudice, nei casi di cui all’articolo 342-bis, può in ogni caso disporre l’inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore oppure limitare i tempi di permanenza del minore presso il genitore inadempiente, ovvero disporre il collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata, previa redazione da parte dei servizi sociali o degli operatori della struttura di uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità del minore, nonché dell’indicazione del responsabile dell’attuazione di tale programma. Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per tutelare i diritti delle persone interessate, ivi compresi quelli di cui agli articoli 337-ter e 337-quater».
Art. 19.
(Modifica all’articolo 151 del codice civile)
1. All’articolo 151 del codice civile, il secondo comma è abrogato.
Art. 151 c.c.
(Separazione giudiziale)
1. La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole.
2. Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.
Art. 20.
(Modifica all’articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132)
1. All’articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, dopo il comma 3 è inserito il seguente:
«3-bis. Le parti e i rispettivi legali devono in ogni caso applicare le disposizioni di cui agli articoli 337-ter e seguenti del codice civile».
Art. 6 D.L. 12 settembre 2014, n. 132 conv. in legge 10 novembre 2014, n. 162
(Convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio)
1. La convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all’articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
2. In mancanza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita è trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, quando non ravvisa irregolarità comunica il nulla osta per gli adempimenti ai sensi del comma 3. In presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, quando ritiene che l’accordo risponde all’interesse dei figli, lo autorizza. Quando ritiene che l’accordo non risponde all’interesse dei figli, il pubblico ministero lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. All’accordo autorizzato si applica il comma 3.
3. L’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Nell’accordo si dà atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare. Si dà anche atto che gli avvocati hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. L’avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’articolo 5.
4. All’avvocato che vìola l’obbligo di cui al comma 3, terzo periodo, è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 ad euro 10.000. Alla irrogazione della sanzione di cui al periodo che precede è competente il Comune in cui devono essere eseguite le annotazioni previste dall’articolo 69 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.
[omissis]
Art. 21.
(Abrogazione dell’articolo 570-bis
del codice penale)
1. L’articolo 570-bis del codice penale è abrogato.
Art. 570-bis c.p.
(Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio).
Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli.
Art. 22.
(Modifica dell’articolo 4 della legge
1º dicembre 1970, n. 898)
1. L’articolo 4 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, è sostituito dal seguente:
«Art. 4. – 1. I genitori di prole minorenne che vogliano presentare ricorso per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio devono a pena di improcedibilità iniziare un percorso di mediazione familiare. I genitori devono redigere, eventualmente con l’aiuto del mediatore familiare e dei rispettivi legali, un piano genitoriale secondo quanto previsto dall’articolo 337-ter del codice civile. In ogni caso il mediatore familiare deve rilasciare ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui dà atto che gli stessi hanno tentato la mediazione e del relativo esito.
2. La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica. La domanda congiunta può essere proposta al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’uno o dell’altro coniuge.
3. La domanda si propone con ricorso, che deve contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso è fondata. Qualora la coppia abbia figli minori, la domanda deve contenere a pena di inammissibilità una proposta di piano genitoriale redatto secondo i criteri di cui all’articolo 337-ter del codice civile.
4. Del ricorso il cancelliere dà comunicazione all’ufficiale dello stato civile del luogo dove il matrimonio fu trascritto per l’annotazione in calce all’atto.
5. Il presidente del tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve avvenire entro quaranta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto e il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Il presidente nomina un curatore speciale quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace.
6. Al ricorso e alla prima memoria difensiva sono allegate le ultime tre dichiarazioni dei redditi rispettivamente presentate dai coniugi.
7. I coniugi devono comparire davanti al presidente del tribunale personalmente, salvo gravi e comprovati motivi, e con l’assistenza di un difensore. Se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto. Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata. All’udienza di comparizione, il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente e tenta preliminarmente di conciliarli. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione.
8. Se la conciliazione non riesce, il presidente informa le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare. Nei procedimenti con figli minori il presidente verifica anche d’ufficio che le parti abbiano iniziato un percorso di mediazione familiare. In caso contrario rinvia il procedimento per un termine massimo di due mesi e ordina alle parti di rivolgersi a un mediatore familiare. I genitori devono redigere, eventualmente con l’aiuto del mediatore familiare e dei rispettivi legali, un piano genitoriale come previsto dall’articolo 337-terdel codice civile. In ogni caso il mediatore familiare deve rilasciare ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui dà atto che gli stessi hanno tentato la mediazione e del relativo esito.
9. Il presidente, all’esito della mediazione familiare, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici nei casi e con le modalità di cui all’articolo 337-octies del codice civile, esamina i rispettivi piani genitoriali e assume con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole secondo quanto previsto dagli articoli 337-ter e seguenti del codice civile, accogliendo le rispettive proposte ove convergenti e non contrarie all’interesse della prole e motivando le proprie decisioni ove ritenga di discostarsi dalle indicazioni dell’uno o dell’altro genitore in ordine al piano genitoriale. Se uno dei genitori non compare ovvero non presenta un proprio piano genitoriale, il presidente accoglie nell’ordinanza le proposte indicate dall’altro, ove congrue e non contrarie all’interesse della prole.
10. Con la medesima ordinanza il presidente nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentito il ricorrente e il suo difensore. L’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore. Si applica l’articolo 189 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368.
11. Tra la data dell’ordinanza, ovvero tra la data entro cui la stessa deve essere notificata al convenuto non comparso, e quella dell’udienza di comparizione e trattazione devono intercorrere i termini di cui all’articolo 163-bis del codice di procedura civile ridotti di metà.
12. Con l’ordinanza di cui al comma 9, il presidente assegna altresì termine al ricorrente per il deposito in cancelleria di memoria integrativa, che deve avere il contenuto di cui all’articolo 163, terzo comma, numeri 2), 3), 4), 5) e 6), del codice di procedura civile, e termine al convenuto per la costituzione in giudizio ai sensi degli articoli 166 e 167, primo e secondo comma, del medesimo codice nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. L’ordinanza deve contenere l’avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all’articolo 167 del codice di procedura civile e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.
13. All’udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui agli articoli 180 e 183, commi primo, secondo, quarto, quinto, sesto e settimo, del codice di procedura civile. Si applica altresì l’articolo 184 del medesimo codice.
14. Nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza è ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all’articolo 10.
15. Quando vi sia stata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza che dispone l’obbligo della somministrazione dell’assegno, può disporre che tale obbligo produca effetti fin dal momento della domanda.
16. Per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva.
17. L’appello è deciso in camera di consiglio.
18. La domanda congiunta dei coniugi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio è proposta con ricorso al presidente del tribunale. I genitori di figli minori devono a pena di nullità indicare nel ricorso il piano genitoriale concordato secondo quanto previsto dal comma 3 del presente articolo e dall’articolo 337-ter del codice civile. Il presidente, ove riscontri che i coniugi non hanno svolto in precedenza il tentativo di conciliazione di cui al comma 7, tenta preliminarmente di conciliarli anche avvalendosi della collaborazione di esperti e di consulenti familiari. Se la conciliazione riesce il presidente fa redigere verbale di conciliazione. Se la conciliazione non riesce il presidente, sentiti i coniugi, verificata l’esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli, rimette gli atti al collegio che provvede in camera di consiglio con sentenza. Qualora il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui ai commi 8 e 9».
Art. 4 legge 1° dicembre 1970, n. 898
1. La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale …del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica. La domanda congiunta può essere proposta al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’uno o dell’altro coniuge.
2. La domanda si propone con ricorso, che deve contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso è fondata.
3. Del ricorso il cancelliere dà comunicazione all’ufficiale dello stato civile del luogo dove il matrimonio fu trascritto per l’annotazione in calce all’atto.
4. Nel ricorso deve essere indicata l’esistenza di figli di entrambi i coniugi.
5. Il presidente del tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve avvenire entro novanta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Il presidente nomina un curatore speciale quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace.
6. Al ricorso e alla prima memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi rispettivamente presentate.
7. I coniugi devono comparire davanti al presidente del tribunale personalmente, salvo gravi e comprovati motivi, e con l’assistenza di un difensore. Se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto. Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata. All’udienza di comparizione, il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente poi congiuntamente, tentando di conciliarli. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione.
8. Se la conciliazione non riesce, il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché, disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, dà, anche d’ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentito il ricorrente e il suo difensore. L’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore. Si applica l’articolo 189 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.
9. Tra la data dell’ordinanza, ovvero tra la data entro cui la stessa deve essere notificata al convenuto non comparso, e quella dell’udienza di comparizione e trattazione devono intercorrere i termini di cui all’articolo 163-bis del codice di procedura civile ridotti a metà.
10. Con l’ordinanza di cui al comma 8, il presidente assegna altresì termine al ricorrente per il deposito in cancelleria di memoria integrativa, che deve avere il contenuto di cui all’articolo 163, terzo comma, numeri 2), 3), 4), 5) e 6), del codice di procedura civile e termine al convenuto per la costituzione in giudizio ai sensi degli articoli 166 e 167, primo e secondo comma, dello stesso codice nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. L’ordinanza deve contenere l’avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all’articolo 167 del codice di procedura civile e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.
11. All’udienza davanti al giudice istruttore si applicano le
disposizioni di cui agli articoli 180 e 183, commi primo, secondo, quarto, quinto, sesto e settimo, del codice di procedura civile. Si applica altresì l’articolo 184 del medesimo codice.
12. Nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza è ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all’articolo 10.
13. Quando vi sia stata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza che dispone l’obbligo della somministrazione dell’assegno, può disporre che tale obbligo produca effetti fin dal momento della domanda.
14. Per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva.
15. L’appello è deciso in camera di consiglio.
16. La domanda congiunta dei coniugi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio che indichi anche compiutamente le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, è proposta con ricorso al tribunale in camera di consiglio. Il tribunale, sentiti i coniugi, verificata l’esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli, decide con sentenza. Qualora il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui al comma 8.
Art. 23.
(Disposizioni transitorie)
1. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della medesima.
Art. 24.
(Clausola di invarianza finanziaria)
1. Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. Le amministrazioni interessate svolgono le attività previste dalla presente legge con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
2. Tabella del disegno di legge con gli emendamenti qui suggeriti
Testo del disegno di legge Emendamenti qui suggeriti
Art. 1.
(Istituzione dell’albo nazionale
per la professione di mediatore familiare)
1. È istituito l’albo professionale dei mediatori familiari. La Repubblica riconosce la funzione sociale della mediazione familiare.
2. Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o più regolamenti, da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia, sono adottate le norme di attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo, tenuto conto dei seguenti princìpi:
a) possono esercitare la professione di mediatore familiare le persone in possesso della laurea specialistica in discipline sociali, psicologiche, giuridiche, mediche o pedagogiche, nonché della formazione specifica, certificata da idonei titoli quali master universitari ovvero specializzazioni o perfezionamenti presso enti di formazione riconosciuti dalle regioni, aventi durata biennale e di almeno 350 ore;
b) possono altresì esercitare l’attività di mediazione familiare coloro che alla data di entrata in vigore della presente legge sono in possesso di laurea specialistica e che hanno già ottenuto la qualifica di mediatore familiare a seguito della formazione specifica almeno biennale certificata da master universitari ovvero a seguito della frequenza e del superamento dell’esame finale presso corsi di formazione almeno biennali e della durata di almeno 350 ore, purché svolti e conclusi entro il 31 dicembre 2018;
c) la qualifica di mediatore familiare può essere attribuita anche agli avvocati iscritti all’ordine professionale da almeno cinque anni e che abbiano trattato almeno dieci nuovi procedimenti in diritto di famiglia e dei minori per ogni anno;
d) la professione di mediatore familiare può essere esercitata in forma individuale o associata secondo le disposizioni stabilite dalla legge 14 gennaio 2013, n. 4;
e) l’albo è costituito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, dal Ministero della giustizia, che ne cura annualmente l’aggiornamento; possono fare domanda di iscrizione all’albo i mediatori familiari in possesso dei requisiti di cui al presente articolo;
f) il servizio di mediazione familiare può essere altresì offerto nei consultori familiari pubblici e privati da persone aventi la qualifica di mediatori familiari iscritti all’albo;
g) il mediatore familiare deve essere particolarmente e specificamente esperto nelle tecniche di mediazione e deve essere in possesso di approfondite conoscenze in diritto, psicologia e sociologia con particolare riferimento ai rapporti familiari e genitoriali;
h) l’iscrizione all’albo è subordinata al superamento di una prova di esame da svolgere annualmente e la cui disciplina è rimessa ad appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministro per la famiglia e le disabilità;
i) il consiglio nazionale dei mediatori familiari provvede entro sei mesi dalla sua istituzione all’emanazione di un codice deontologico ispirato ai seguenti principi:
1) il mediatore familiare deve essere terzo e imparziale rispetto alle parti;
2) il mediatore familiare ha un obbligo informativo in favore delle parti circa la possibilità di avvalersi della consulenza matrimoniale al fine di salvaguardare per quanto possibile l’unità della famiglia come previsto dall’articolo 708 del codice di procedura civile, come modificato dall’articolo 8 della presente legge, nel rispetto del miglior interesse del minore; deve altresì adoperarsi per impedire o per risolvere gravi conflittualità che possono produrre ogni forma di violenza endofamiliare, anche informando le parti della possibilità di ottenere l’aiuto di altri specialisti;
3) il mediatore deve astenersi dal fornire consulenza legale o psicologica alle parti.
(Istituzione dell’registro nazionale
per la professione di mediatore familiare)
il registro nazionale
il registro
al registro
al registro
Gli albi professionali a cui sono iscritti i mediatori familiari provvedono entro sei mesi dalla istituzione del registro nazionale ad adeguare i rispettivi codici deontologici ai seguenti principi:
Art. 2.
(Obbligo di riservatezza)
1. Il mediatore familiare è tenuto al segreto professionale ai sensi dell’articolo 622 del codice penale. Nessuno degli atti o documenti del procedimento di mediazione familiare può essere prodotto dalle parti nei procedimenti giudiziali ad eccezione dell’accordo, solo se sottoscritto dal mediatore familiare e controfirmato dalle parti e dai rispettivi legali, ovvero della proposta di accordo formulata dal mediatore.
Art. 3.
(Procedimento di mediazione familiare)
1. Il procedimento di mediazione familiare è informale e riservato. Partecipano al procedimento di mediazione familiare le parti e i rispettivi legali. La partecipazione al procedimento di mediazione di minori, purché di età superiore a dodici anni, può essere ammessa solo con il consenso di tutte le parti e, comunque, di entrambi i genitori.
2. Le parti devono rivolgersi a un mediatore familiare scelto tra quelli che esercitano la professione nell’ambito del distretto del tribunale competente per territorio ai sensi del codice di procedura civile.
3. La partecipazione al procedimento di mediazione familiare è volontariamente scelta dalle parti e può essere interrotta in qualsiasi momento. L’esperimento della mediazione familiare è comunque condizione di procedibilità secondo quanto previsto dalla legge qualora nel procedimento debbano essere assunte decisioni che coinvolgano direttamente o indirettamente i diritti dei minori.
4. Il procedimento di mediazione familiare ha una durata non superiore a sei mesi, decorrenti dal primo incontro cui hanno partecipato entrambe le parti. Le parti devono partecipare al primo incontro del procedimento di mediazione familiare assistite dai rispettivi avvocati, qualora esse abbiano già dato loro mandato.
5. Il mediatore familiare, su accordo delle parti, può chiedere che gli avvocati di cui al comma 4 non partecipino agli incontri successivi. Gli stessi devono comunque essere presenti, a pena di nullità e inutilizzabilità, alla stipulazione dell’eventuale accordo, ove raggiunto.
6. Gli avvocati e le parti hanno il dovere di collaborare lealmente con il mediatore familiare.
7. Si applicano gli articoli 8, 9, 10, 11, 13 e 14, commi 1 e 2, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.
8. L’efficacia esecutiva dell’accordo raggiunto a seguito del procedimento di mediazione familiare deve in ogni caso essere omologata dal tribunale competente per territorio ai sensi del codice di procedura civile.
9. Il tribunale di cui al comma 8 decide in camera di consiglio entro quindici giorni dalla richiesta.
eliminare
eliminare
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Art. 4.
(Spese e compensi per il mediatore familiare)
1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia, con proprio decreto, stabilisce i parametri per la determinazione dei compensi professionali per i mediatori familiari, prevedendo in ogni caso la gratuità del primo incontro. Gli avvocati e gli altri professionisti che operano in funzione di mediatori familiari devono applicare le tariffe professionali relative a tale ultima funzione.
Art. 5.
(Coordinatore genitoriale)
1. La coordinazione genitoriale è un processo di risoluzione alternativa delle controversie centrato sulle esigenze del minore, svolta da professionista qualificato, che integra la valutazione della situazione conflittuale, l’informazione circa i rischi del conflitto per le relazioni tra genitori e figli, la gestione del caso e degli operatori coinvolti, la gestione del conflitto ricercando l’accordo tra i genitori o fornendo suggerimenti o raccomandazioni e assumendo, previo consenso dei genitori, le funzioni decisionali.
2. Il coordinatore genitoriale è un esperto qualificato con funzione mediativa, dotato di formazione specialistica in coordinazione genitoriale, iscritto all’albo di una delle seguenti professioni regolamentate di ambito sanitario o socio-giuridico:
a) psichiatra;
b) neuropsichiatra;
c) psicoterapeuta;
d) psicologo;
e) assistente sociale;
f) avvocato;
g) mediatore familiare.
3. Il coordinatore genitoriale deve osservare tutte le disposizioni di natura legale e deontologica della rispettiva professione. Il medesimo opera come terzo imparziale e ha il compito di gestire in via stragiudiziale le controversie eventualmente sorte tra i genitori di prole minorenne relativamente all’esecuzione del piano genitoriale. La sua attività è volta al superamento di eventuali ostacoli al corretto e sereno esercizio della cogenitorialità con l’obiettivo di:
a) assistere i genitori con alto livello di conflitto nell’attuazione del piano genitoriale;
b) monitorare l’osservanza del piano genitoriale, risolvendo tempestivamente le controversie;
c) salvaguardare e preservare una relazione sicura, sana e significativa tra il minore ed entrambi i suoi genitori.
4. Lo svolgimento dell’attività di coordinazione genitoriale non dà luogo a responsabilità personali, salvi i casi di dolo o colpa grave.
5. Il giudice prende atto della volontà dei genitori di incaricare un coordinatore genitoriale nell’interesse del minore. L’accordo di incarico e, per le professioni sanitarie, il consenso informato alla coordinazione genitoriale devono essere sottoscritti dai genitori e sono recepiti contestualmente alla nomina del coordinatore.
Art. 6.
(Modifica all’articolo 178
del codice di procedura civile)
1. Dopo il terzo comma dell’articolo 178 del codice di procedura civile è inserito il seguente:
«L’ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di venti giorni dalla lettura alla presenza delle parti oppure dalla ricezione della relativa notifica. Il collegio decide in camera di consiglio entro trenta giorni dal deposito del reclamo».
Art. 7.
(Modifiche all’articolo 706
del codice di procedura civile)
1. All’articolo 706 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma è premesso il seguente:
«I genitori di prole minorenne che vogliano separarsi devono, a pena di improcedibilità, iniziare un percorso di mediazione familiare. I genitori devono redigere, eventualmente con l’aiuto del mediatore familiare e dei rispettivi legali, un piano genitoriale come previsto dall’articolo 337-ter del codice civile. In ogni caso il mediatore familiare deve rilasciare ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui dà atto che gli stessi hanno tentato la mediazione e informa del relativo esito»;
b) al terzo comma, le parole: «novanta giorni dal deposito del ricorso» sono sostituite dalle seguenti: «quaranta giorni dal deposito del ricorso»;
c) è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Nel caso di cui al quinto comma, il ricorso e la memoria difensiva di cui al quarto comma, a pena di nullità, devono contenere altresì, a cura dei genitori, una dettagliata proposta di piano genitoriale che illustri la situazione attuale del minore e le proposte formulate in ordine al suo mantenimento, alla sua istruzione, alla sua educazione e alla sua assistenza morale secondo i punti previsti dall’articolo 337-ter del codice civile».
eliminare
eliminare
Art. 8.
(Modifiche all’articolo 708
del codice di procedura civile)
1. All’articolo 708 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il secondo comma è sostituito dal seguente:
«Qualora la conciliazione riesca, il presidente allega agli atti il verbale di conciliazione e ordina la cancellazione della causa dal ruolo e l’immediata estinzione del procedimento»;
b) il terzo comma è sostituito dal seguente:
«Qualora la conciliazione non sia riuscita, il presidente informa le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare. Nei procedimenti di separazione di genitori con figli minori il presidente verifica anche d’ufficio il rispetto delle prescrizioni di cui all’articolo 706 e in caso contrario rinvia il procedimento per un termine massimo di due mesi e ordina alle parti di rivolgersi a un mediatore familiare. Il presidente, all’esito della mediazione familiare, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori, valuta i rispettivi piani genitoriali e assume con ordinanza i provvedimenti che reputa opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi secondo quanto previsto dagli articoli 337-ter e seguenti del codice civile, accogliendo le rispettive proposte ove convergenti e non contrarie all’interesse della prole e motivando le proprie decisioni ove ritenga di discostarsi dalle indicazioni dell’uno o dell’altro genitore in ordine al piano genitoriale. Se uno dei genitori non compare ovvero non presenta un proprio piano genitoriale, il presidente accoglie nell’ordinanza le proposte indicate dall’altro, ove congrue e non contrarie all’interesse della prole».
eliminare
Art. 9.
(Modifica dell’articolo 709-ter
del codice di procedura civile)
1. L’articolo 709-ter del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 709-ter. – (Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni). –
1. Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze, di manipolazioni psichiche o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, nonché in caso di astensione ingiustificata dai compiti di cura di un genitore e comunque in ogni caso ove riscontri accuse di abusi e violenze fisiche e psicologiche evidentemente false e infondate mosse contro uno dei genitori, il giudice valuta prioritariamente una modifica dei provvedimenti di affidamento ovvero, nei casi più gravi, la decadenza dalla responsabilità genitoriale del responsabile ed emette le necessarie misure di ripristino, restituzione o compensazione. Il giudice può anche congiuntamente:
1) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
3) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 600 euro a un massimo di 6.000 euro. I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari».
aggiungere:
1) ammonire il genitore inadempiente
2)
3)
4)
Art. 10.
(Modifica dell’articolo 711 del codice
di procedura civile)
1. L’articolo 711 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 711. – (Separazione consensuale). –
1. Nel caso di separazione consensuale previsto dall’articolo 158 del codice civile, entrambi i coniugi presentano ricorso congiunto.
2. I genitori di figli minori devono a pena di nullità indicare nel ricorso il piano genitoriale concordato, secondo quanto previsto dall’articolo 706, sesto comma, del presente codice e dall’articolo 337-ter del codice civile. Il presidente, ove riscontri che i coniugi non hanno svolto in precedenza il tentativo di conciliazione di cui all’articolo 708, tenta preliminarmente di conciliarli nel corso della medesima udienza. Se la conciliazione riesce, procede come previsto dall’articolo 708, secondo comma. Se la conciliazione non riesce il presidente dà atto nel processo verbale del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole, come previste dal ricorso e dai piani educativo e di riparto delle spese.
3. La separazione consensuale acquista efficacia con l’omologazione del tribunale, che provvede in camera di consiglio su relazione del presidente. Le condizioni della separazione consensuale sono modificabili a norma dell’articolo 710».
a pena di inammissibilità
eliminare
Art. 11.
(Modifica dell’articolo 337-ter
del codice civile)
1. L’articolo 337-ter del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-ter. – (Provvedimenti riguardo ai figli).-
1. Indipendentemente dai rapporti intercorrenti tra i due genitori, il figlio minore, nel proprio esclusivo interesse morale e materiale, ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e con la madre, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali, con paritetica assunzione di responsabilità e di impegni e con pari opportunità. Ha anche il diritto di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale.
2. Qualora uno dei genitori ne faccia richiesta e non sussistano oggettivi elementi ostativi, il giudice assicura con idoneo provvedimento il diritto del minore di trascorrere tempi paritetici in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti, con ciascuno dei genitori. Salvo diverso accordo tra le parti, deve in ogni caso essere garantita alla prole la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre, salvo comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore in caso di:
1) violenza;
2) abuso sessuale;
3) trascuratezza;
4) indisponibilità di un genitore;
5) inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore.
3. Il giudice o le parti, quando le circostanze rendano difficile attuare una divisione paritaria dei tempi su base mensile, possono prevedere adeguati meccanismi di recupero durante i periodi di vacanza, onde garantire una sostanziale equivalenza dei tempi di frequentazione del minore con ciascuno dei genitori nel corso dell’anno.
4. Il figlio minore ha inoltre il diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Gli ascendenti del minore possono intervenire nel giudizio di affidamento con le forme dell’articolo 105 del codice di procedura civile. Il giudice, nei procedimenti di cui all’articolo 337-bis, adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.
5. Il giudice, salvo che ciò sia contrario al superiore interesse del minore, affida in via condivisa i figli minori a entrambi i genitori e prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Stabilisce il doppio domicilio del minore presso l’abitazione di ciascuno dei genitori ai fini delle comunicazioni scolastiche, amministrative e relative alla salute.
6. Entrambi i genitori predispongono un piano genitoriale in ordine a:
1) luoghi abitualmente frequentati dai figli;
2) scuola e percorso educativo del minore;
3) eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e formative;
4) frequentazioni parentali e amicali del minore;
5) vacanze normalmente godute dal minore.
7. Nel piano genitoriale deve essere indicata anche la misura e la modalità con cui ciascuno dei genitori provvede al mantenimento diretto dei figli, sia per le spese ordinarie che per quelle straordinarie, attribuendo a ciascuno specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al proprio reddito secondo quanto previsto nel piano genitoriale, considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) le risorse economiche di entrambi i genitori;
3) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
8. Il giudice esamina e approva il piano genitoriale concordato dai due genitori ove non contrastante col superiore interesse o con i diritti del minore. In mancanza di accordo o in caso di accordo parziale, il giudice, sentite le parti, recepisce quanto parzialmente concordato dai genitori e stabilisce comunque il piano genitoriale, determinando i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore e fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli, applicando in ogni caso il mantenimento diretto come indicato ai commi precedenti e sulla base del costo medio dei beni e servizi per i figli, individuato su base locale in ragione del costo medio della vita come calcolato dall’ISTAT, indicando altresì le spese ordinarie, le spese straordinarie e attribuendo a ciascun genitore specifici capitoli di spesa.
9. Il giudice stabilisce, ove strettamente necessario e solo in via residuale, la corresponsione a carico di uno dei genitori, di un assegno periodico per un tempo determinato in favore dell’altro a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore. Nel medesimo provvedimento deve anche indicare quali iniziative devono essere intraprese dalle parti per giungere al mantenimento diretto della prole, indicando infine i termini entro i quali la corresponsione di assegno periodico residuale verrà a cessare. I benefici previdenziali e fiscali erogati in favore della prole o ai genitori per i figli a carico sono in ogni caso attribuiti sulla base del reciproco accordo ovvero su disposizione del giudice in misura direttamente proporzionale ai rispettivi redditi. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.
10. All’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito. La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni quotidiane sono assunte dal genitore che in quel momento si trova col figlio minore, mentre quelle di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuta detto comportamento anche al fine della modifica della forma di affidamento».
con pari assunzioni di responsabilità e di impegni e con pari opportunità. Ha anche il diritto di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi adeguati e il più possibile paritari salvi i casi di impossibilità materiale
tempi adeguati e il più possibile paritari con ciascuno dei genitori, compresi i pernottamenti, considerata anche l’età del figlio minore e salvo comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la sua salute psico-fisica in caso di:
divisione il più possibile paritaria
sostituire
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
In caso di mantenimento diretto nel piano genitoriale devono essere ripartite tra i genitori le spese ordinarie e quelle straordinarie con attribuzione a ciascun genitore di specifici capitoli di spesa.
applicando ove possibile e salvo accordi diversi dei genitori il mantenimento diretto
eliminare
Art. 12.
(Modifica dell’articolo 337-quater
del codice civile)
1. L’articolo 337-quater del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-quater. – (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso). –
1. Il giudice, nei casi di cui all’articolo 337-ter, secondo comma, può disporre temporaneamente l’affidamento dei figli a uno solo dei genitori, qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore. In ogni caso deve garantire il diritto del minore alla bigenitorialità, disponendo tempi adeguati di frequentazione dei figli minori col genitore non affidatario e promuovendo azioni concrete per rimuovere le cause che hanno portato all’affidamento esclusivo.
2. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 337-ter. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile. Il genitore a cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice, favorendo e garantendo in ogni modo la frequentazione dei figli minori con l’altro genitore, a meno che ciò non sia stato espressamente limitato dal giudice con provvedimento motivato. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono comunque adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.
3. Il giudice, nel caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ai suoi genitori dispone l’affidamento familiare in altro nucleo familiare, anche d’ufficio, per un tempo non superiore ai due anni, preferendo in ogni caso nuclei familiari di parenti o comunque, in mancanza di questi, di famiglie residenti nel medesimo territorio del minore. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa a cura del pubblico ministero al giudice tutelare. Deve in ogni caso essere garantito al minore il diritto alla bigenitorialità, disponendo tempi adeguati di frequentazione con ciascun genitore, salvo che ciò sia motivatamente ritenuto come assolutamente contrario all’interesse del minore. Deve altresì essere posta in essere ogni misura idonea e opportuna per il recupero della capacità genitoriale dei genitori del minore, favorendo il reinserimento immediato in famiglia non appena possibile».
eliminare
In ogni caso deve garantire, ove possibile e non contrario all’interesse del minore, il diritto del minore alla bigenitorialità,
Il genitore a cui sono affidati i figli in via esclusiva ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi;
Le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate dal genitore affidatario in via esclusiva.
Art. 13.
(Modifica dell’articolo 337-quinquies
del codice civile)
1. L’articolo 337-quinquies del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-quinquies. – (Revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli; conflittualità genitoriale; mediatore e coordinatore genitoriale). –
1. I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, la revisione dei piani genitoriali, il ricalcolo dei tempi di frequentazione con la prole e l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.
2. Il giudice, nei casi di conflittualità tra le parti, invita nuovamente i genitori a intraprendere un percorso di mediazione familiare per la risoluzione condivisa delle controversie. Qualora le parti accettino, il giudice sospende il procedimento per non più di sei mesi e rimette le parti avanti il mediatore familiare, sorteggiandone il nome tra due scelti dalle parti in caso di disaccordo. Qualora la mediazione riesca, il giudice esamina il piano genitoriale redatto dalle parti con l’aiuto del mediatore e lo recepisce nel proprio provvedimento ove non ritenuto contrario al superiore interesse del minore.
3. In caso di rifiuto o di fallimento della mediazione il giudice, qualora la conflittualità persista, propone alle parti la nomina di un coordinatore genitoriale, con il compito di facilitare le parti nel dialogo e nella relazione genitoriale, nell’interesse dei figli minori. Il coordinatore può sentire le parti separatamente e congiuntamente. Le parti possono anche attribuire al coordinatore genitoriale il potere di assumere decisioni limitatamente a specifici ambiti e sostenerle nell’attuazione del piano genitoriale.
Le eventuali modifiche al piano genitoriale concordate in coordinazione dovranno essere sottoposte al giudice per il tramite dei legali delle parti.
4. Gli oneri della coordinazione genitoriale sono ripartiti tra i genitori nella misura del 50 per cento, salvo diverso accordo tra le parti.
5. Qualora le parti rifiutino di intraprendere la mediazione o la coordinazione genitoriale, il giudice decide della questione applicando i princìpi di cui al primo comma del presente articolo e di cui all’ultimo periodo del secondo comma dell’articolo 337-ter».
Qualora le parti accettino, il giudice rinvia il procedimento per un periodo non superiore a sei mesi
eliminare
Art. 14.
(Modifica dell’articolo 337-sexies
del codice civile)
1. L’articolo 337-sexies del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-sexies. – (Residenza presso la casa familiare e prescrizioni in tema di residenza). –
1. Fermo il doppio domicilio dei minori presso ciascuno dei genitori secondo quanto stabilito dal quinto comma dell’articolo 337-ter, il giudice può stabilire nell’interesse dei figli minori che questi mantengano la residenza nella casa familiare, indicando in caso di disaccordo quale dei due genitori può continuare a risiedervi. Quest’ultimo è comunque tenuto a versare al proprietario dell’immobile un indennizzo pari al canone di locazione computato sulla base dei correnti prezzi di mercato.
2. Le questioni relative alla proprietà o alla locazione della casa familiare sono risolte in base alle norme vigenti in materia di proprietà e comunione. Non può continuare a risedere nella casa familiare il genitore che non ne sia proprietario o titolare di specifico diritto di usufrutto, uso, abitazione, comodato o locazione e che non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
3. In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, almeno trenta giorni prima, l’intenzione di cambiare la propria residenza o domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico dell’altro genitore o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.
4. In ogni caso il trasferimento del minore, il suo cambiamento di residenza e la sua iscrizione a un istituto scolastico sono sempre soggetti al preventivo consenso scritto di entrambi i genitori, ovvero alla decisione del giudice tutelare in caso di mancato accordo. Qualsiasi trasferimento del minore non autorizzato in via preventiva da entrambi i genitori o dal giudice deve esser ritenuto contrario al suo superiore interesse e privo di ogni efficacia giuridica. È compito delle autorità di pubblica sicurezza, su segnalazione di uno dei genitori, adoperarsi per ricondurre immediatamente il minore alla sua residenza qualora sia stato allontanato senza il consenso di entrambi i genitori o l’ordine del giudice».
Il giudice tiene conto della permanenza nella casa familiare di uno dei genitori nella regolazione dei loro rapporti economici, considerato l’eventuale titolo di proprietà, potendo anche disporre che il genitore autorizzato a permanere nella casa di proprietà dell’altro o in comproprietà con l’altro debba corrispondere un indennizzo pari al canone di locazione o alla metà del canine di locazione computato sulla base dei correnti prezzi di mercato.
Il provvedimento che autorizza o revoca l’autorizzazione a permanere nella casa familiare è trascrivibile e opponibile ai terzi ai sensi dell’articolo 2643.
Non può continuare a risedere nella casa familiare il genitore che non ne sia proprietario o titolare di specifico diritto di usufrutto, uso, abitazione, comodato o locazione che non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
ovvero alla decisione del giudice competente in caso di mancato accordo.
È compito delle autorità di pubblica sicurezza, su segnalazione di uno dei genitori e previa autorizzazione del giudice
Art. 15.
(Modifica dell’articolo 337-septies
del codice civile)
1. L’articolo 337-septies del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-septies. – (Disposizioni in favore dei figli maggiorenni). –
1. I genitori possono concordare con il figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente un piano genitoriale con le forme di cui ai commi sesto e settimo dell’articolo 337-ter. Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente e su loro richiesta il pagamento di un assegno periodico a carico di entrambi i genitori. Tale assegno è versato da entrambi i genitori direttamente all’avente diritto, fermi per il figlio gli obblighi di cui all’articolo 315-bis.
2. Ai figli maggiorenni portatori di disabilità grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.
3. Fatto salvo quanto previsto al precedente comma, nei confronti dei figli maggiorenni cessa ogni obbligo di mantenimento al compimento del venticinquesimo anno di età ovvero qualora la mancanza di una loro occupazione o impiego lavorativo sia dipesa da negligenza o rifiuto ingiustificato di opportunità di lavoro offerte ovvero si dimostri la colpevole inerzia nel prorogare il proprio percorso di studi senza alcun effettivo rendimento».
I genitori possono concordare con il figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente un piano genitoriale che indichi anche le modalità del mantenimento. Il piano genitoriale è firmato anche dal figlio maggiorenne. In caso di mancato accordo il giudice, valutate le circostanze, può disporre
eliminare
Art. 16.
(Modifica dell’articolo 337-octies
del codice civile)
1. L’articolo 337-octies del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-octies. – (Poteri del giudice e ascolto del minore). –
1. Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter, il giudice può assumere, a istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone inoltre l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo.
2. L’ascolto del minore deve essere sempre svolto alla presenza del giudice e di un esperto da lui designato. L’ascolto deve essere videoregistrato. Le parti possono assistere in locale separato collegato mediante video e possono presentare domande per mezzo del giudice. Sono vietate le domande manifestamente in grado di suscitare conflitti di lealtà da parte del minore verso uno dei genitori».
Si applicano l’art. 336-bis e l’articolo 38-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile.
Art. 17.
(Modifica all’articolo 342-bis
del codice civile)
1. All’articolo 342-bis del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Quando in fase di separazione dei genitori o dopo di essa la condotta di un genitore è causa di grave pregiudizio ai diritti relazionali del figlio minore e degli altri familiari, ostacolando il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore e la conservazione rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui agli articoli 342-ter e 342-quater. I provvedimenti di cui a quest’ultimo articolo possono essere applicati, nell’esclusivo interesse del minore, anche quando, pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori, il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo a uno di essi».
Art. 18.
(Introduzione dell’articolo 342-quater
del codice civile)
1. Dopo l’articolo 342-ter è inserito il seguente:
«Art. 342-quater. – (Ulteriori contenuti dell’ordine di protezione). –
1. Con il decreto di cui all’articolo 342-bis il giudice ordina al genitore che ha tenuto la condotta pregiudizievole per il minore la cessazione della stessa condotta; può inoltre disporre con provvedimento d’urgenza la limitazione o sospensione della sua responsabilità genitoriale. Il giudice può applicare in tali casi anche di ufficio e inaudita altera parte uno dei provvedimenti previsti dall’articolo 709-ter del codice di procedura civile.
2. Il giudice, nei casi di cui all’articolo 342-bis, può in ogni caso disporre l’inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore oppure limitare i tempi di permanenza del minore presso il genitore inadempiente, ovvero disporre il collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata, previa redazione da parte dei servizi sociali o degli operatori della struttura di uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità del minore, nonché dell’indicazione del responsabile dell’attuazione di tale programma. Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per tutelare i diritti delle persone interessate, ivi compresi quelli di cui agli articoli 337-ter e 337-quater».
Aggiungere all’art. 342 quater un secondo comma
La competenza ad adottare gli ordini di protezione previsti nel presente articolo e nel secondo comma dell’articolo precedente è del giudice compente ai sensi dell’art. 709-ter del codice di procedura civile».
Art. 19.
(Modifica all’articolo 151 del codice civile)
1. All’articolo 151 del codice civile, il secondo comma è abrogato.
eliminare
Art. 20.
(Modifica all’articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132)
1. All’articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, dopo il comma 3 è inserito il seguente:
«3-bis. Le parti e i rispettivi legali devono in ogni caso applicare le disposizioni di cui agli articoli 337-ter e seguenti del codice civile».
Art. 21.
(Abrogazione dell’articolo 570-bis
del codice penale)
1. L’articolo 570-bis del codice penale è abrogato.
Art. 22.
(Modifica dell’articolo 4 della legge
1º dicembre 1970, n. 898)
1. L’articolo 4 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, è sostituito dal seguente:
«Art. 4. – 1. I genitori di prole minorenne che vogliano presentare ricorso per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio devono a pena di improcedibilità iniziare un percorso di mediazione familiare. I genitori devono redigere, eventualmente con l’aiuto del mediatore familiare e dei rispettivi legali, un piano genitoriale secondo quanto previsto dall’articolo 337-ter del codice civile. In ogni caso il mediatore familiare deve rilasciare ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui dà atto che gli stessi hanno tentato la mediazione e del relativo esito.
2. La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica. La domanda congiunta può essere proposta al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’uno o dell’altro coniuge.
3. La domanda si propone con ricorso, che deve contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso è fondata. Qualora la coppia abbia figli minori, la domanda deve contenere a pena di inammissibilità una proposta di piano genitoriale redatto secondo i criteri di cui all’articolo 337-ter del codice civile.
4. Del ricorso il cancelliere dà comunicazione all’ufficiale dello stato civile del luogo dove il matrimonio fu trascritto per l’annotazione in calce all’atto.
5. Il presidente del tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve avvenire entro quaranta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto e il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Il presidente nomina un curatore speciale quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace.
6. Al ricorso e alla prima memoria difensiva sono allegate le ultime tre dichiarazioni dei redditi rispettivamente presentate dai coniugi.
7. I coniugi devono comparire davanti al presidente del tribunale personalmente, salvo gravi e comprovati motivi, e con l’assistenza di un difensore. Se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto. Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata. All’udienza di comparizione, il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente e tenta preliminarmente di conciliarli. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione.
8. Se la conciliazione non riesce, il presidente informa le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare. Nei procedimenti con figli minori il presidente verifica anche d’ufficio che le parti abbiano iniziato un percorso di mediazione familiare. In caso contrario rinvia il procedimento per un termine massimo di due mesi e ordina alle parti di rivolgersi a un mediatore familiare. I genitori devono redigere, eventualmente con l’aiuto del mediatore familiare e dei rispettivi legali, un piano genitoriale come previsto dall’articolo 337-terdel codice civile. In ogni caso il mediatore familiare deve rilasciare ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui dà atto che gli stessi hanno tentato la mediazione e del relativo esito.
9. Il presidente, all’esito della mediazione familiare, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici nei casi e con le modalità di cui all’articolo 337-octies del codice civile, esamina i rispettivi piani genitoriali e assume con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole secondo quanto previsto dagli articoli 337-ter e seguenti del codice civile, accogliendo le rispettive proposte ove convergenti e non contrarie all’interesse della prole e motivando le proprie decisioni ove ritenga di discostarsi dalle indicazioni dell’uno o dell’altro genitore in ordine al piano genitoriale. Se uno dei genitori non compare ovvero non presenta un proprio piano genitoriale, il presidente accoglie nell’ordinanza le proposte indicate dall’altro, ove congrue e non contrarie all’interesse della prole.
10. Con la medesima ordinanza il presidente nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentito il ricorrente e il suo difensore. L’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore. Si applica l’articolo 189 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368.
11. Tra la data dell’ordinanza, ovvero tra la data entro cui la stessa deve essere notificata al convenuto non comparso, e quella dell’udienza di comparizione e trattazione devono intercorrere i termini di cui all’articolo 163-bis del codice di procedura civile ridotti di metà.
12. Con l’ordinanza di cui al comma 9, il presidente assegna altresì termine al ricorrente per il deposito in cancelleria di memoria integrativa, che deve avere il contenuto di cui all’articolo 163, terzo comma, numeri 2), 3), 4), 5) e 6), del codice di procedura civile, e termine al convenuto per la costituzione in giudizio ai sensi degli articoli 166 e 167, primo e secondo comma, del medesimo codice nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. L’ordinanza deve contenere l’avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all’articolo 167 del codice di procedura civile e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.
13. All’udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui agli articoli 180 e 183, commi primo, secondo, quarto, quinto, sesto e settimo, del codice di procedura civile. Si applica altresì l’articolo 184 del medesimo codice.
14. Nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza è ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all’articolo 10.
15. Quando vi sia stata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza che dispone l’obbligo della somministrazione dell’assegno, può disporre che tale obbligo produca effetti fin dal momento della domanda.
16. Per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva.
17. L’appello è deciso in camera di consiglio.
18. La domanda congiunta dei coniugi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio è proposta con ricorso al presidente del tribunale. I genitori di figli minori devono a pena di nullità indicare nel ricorso il piano genitoriale concordato secondo quanto previsto dal comma 3 del presente articolo e dall’articolo 337-ter del codice civile. Il presidente, ove riscontri che i coniugi non hanno svolto in precedenza il tentativo di conciliazione di cui al comma 7, tenta preliminarmente di conciliarli anche avvalendosi della collaborazione di esperti e di consulenti familiari. Se la conciliazione riesce il presidente fa redigere verbale di conciliazione. Se la conciliazione non riesce il presidente, sentiti i coniugi, verificata l’esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli, rimette gli atti al collegio che provvede in camera di consiglio con sentenza. Qualora il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui ai commi 8 e 9».
eliminare
eliminare
eliminare
eliminare
a pena di inammissibilità
Art. 23.
(Disposizioni transitorie)
1. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della medesima.
aggiungere
Le disposizioni sulla mediazione familiare e sul coordinatore genitoriale si applicano dal momento dell’entrata in vigore delle norme di attuazione di cui all’art. 2 comma 2.
Nei procedimenti pendenti di separazione, di divorzio o di affidamento di minori, le parti devono presentare il piano genitoriale indicato nell’art. 337-ter del codice civile all’udienza immediatamente successiva all’entrata in vigore della legge.
Art. 24.
(Clausola di invarianza finanziaria)
1. Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. Le amministrazioni interessate svolgono le attività previste dalla presente legge con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
3. Testo della Relazione illustrativa al disegno di legge 735/S
NORME IN MATERIA DI AFFIDO CONDIVISO, MANTENIMENTO DIRETTO E GARANZIA DI BIGENITORIALITA’ (PILLON E ALTRI)
ONOREVOLI SENATORI. – Il presente disegno di legge vuole dare attuazione al contratto di governo stipulato dalla maggioranza parlamentare che prevede, con riguardo al diritto di famiglia, alcune rilevanti modifiche normative idonee ad accompagnare questa delicata materia verso una progressiva de-giurisdizionalizzazione, rimettendo al centro la famiglia e i genitori e soprattutto restituendo in ogni occasione possibile ai genitori il diritto di decidere sul futuro dei loro figli e lasciando al giudice il ruolo residuale di decidere nel caso di mancato accordo, ovvero di verificare la non contrarietà all’interesse del minore delle decisioni assunte dai genitori.
Come soleva dire Arturo Carlo Jemolo, la famiglia è un’isola che il diritto può solo lambire, essendo organismo normalmente capace di equilibri e bilanciamenti che la norma giuridica deve saper rispettare quanto più possibile.
I criteri dettati dal contratto di governo sono sostanzialmente quattro: a) mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui siano coinvolti i figli minorenni; b) equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari; c) mantenimento in forma diretta senza automatismi; d) contrasto dell’alienazione genitoriale.
Quanto alla mediazione civile obbligatoria, sono note le questioni pregiudiziali sollevate da taluni con riguardo alla possibilità per la norma di imporre un procedimento di mediazione. È tuttavia ben strano che sia stata imposta la mediazione preventiva in settori assai meno coinvolgenti la vita delle persone e invece si pongano forti limitazioni con riguardo alla materia del diritto di famiglia. Eppure, meccanismi di Alternative dispute resolution (ADR), ben concepiti e caldeggiati, potrebbero evitare a molte famiglie la lite giudiziaria, di per sé autonoma espressione di fallimento e foriera di conseguenze personali e relazionali, le cui spese vengono in ogni caso pagate a caro prezzo dai molti minori coinvolti. A fronte dell’imposizione normativa del procedimento di ADR è pertanto necessario garantire uno strumento realmente capace di incidere positivamente sulle situazioni concrete ed evitare, per quanto possibile, che le famiglie con minori siano costrette al tunnel giudiziario.
Per quanto concerne l’affido condiviso, la legge 8 febbraio 2006, n. 54, si è rivelata un fallimento, cosicché l’Italia rimane uno degli ultimi Paesi del mondo industrializzato per quanto riguarda la cogenitorialità (co-parenting) delle coppie separate. Nel mondo occidentale il principio della bigenitorialità viene affermato e applicato a partire dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176. In realtà però presso alcune corti degli Stati Uniti già nel 1970 gruppi di magistrati avevano iniziato a redigere sentenze che prevedevano l’affido congiunto della prole in caso di divorzio dei genitori. Ben presto gli analisti si resero conto che dietro la locuzione joint custody si potevano celare differenti forme di affidamento: in molti casi dietro il concetto di pari responsabilità genitoriali si nascondevano forme di affidamento identiche a quelle normalmente previste in caso di affidamento esclusivo (si trattava della cosiddetta joint legal custody), mentre in altre a una suddivisione giuridico-formale si aggiungeva una condivisione materiale delle cure e dei tempi di permanenza (joint physical custody).
Senza minimamente prendere in considerazione le esperienze estere, in Italia solo nel 2006, dopo un faticoso lavoro durato ben quattro legislature, si è riusciti a far passare come forma privilegiata l’affidamento formalmente (o legalmente) condiviso nel 2006. Il risultato però è stato fallimentare: in Italia l’affido a tempi paritetici è stimato intorno all’1-2 per cento, in Belgio supera il 20 per cento, in Quebec il 25 per cento, in Svezia il 28 per cento. In Italia l’affido materialmente condiviso (considerando tale una situazione nella quale il minore trascorre almeno il 30 per cento del tempo presso il genitore meno coinvolto) riguarda il 3-4 per cento dei minori, tasso fra i più bassi al mondo, in Belgio il 30 per cento, in Quebec il 30 per cento, in Svezia il 40 per cento. In Italia l’affido materialmente esclusivo riguarda oltre il 90 per cento dei minori, in Belgio circa il 50 per cento, in Quebec circa il 40 per cento, in Svezia il 30 per cento. Nel nostro Paese troviamo quindi una situazione estrema che sicuramente non rispecchia la volontà del legislatore e che sta danneggiando moltissimi minori. È giunta pertanto l’ora di dare piena applicazione alla risoluzione n. 2079 (2015) del Consiglio d’Europa che consiglia gli Stati membri di adottare legislazioni che assicurino l’effettiva uguaglianza tra padre e madre nei confronti dei propri figli, al fine di garantire ad ogni genitore il diritto di essere informato e di partecipare alle decisioni importanti per la vita e lo sviluppo del loro figlio, nel miglior interesse di quest’ultimo, consigliando altresì di introdurre nella legislazione il principio della doppia residenza o del doppio domicilio dei figli in caso di separazione, limitando le eccezioni ai casi di abuso o di negligenza verso un minore, o di violenza domestica. È la stessa risoluzione a suggerire di adottare tutte le misure necessarie a garantire la piena esecuzione delle decisioni relative alla residenza dei figli e agli incontri coi genitori, anche dando seguito a reclami relativi alla mancata frequentazione dei bambini, incoraggiando in ogni caso la mediazione all’interno delle procedure giudiziarie in materia famigliare relativamente ai minori, istituendo un incontro informativo obbligatorio stabilito dal giudice. La risoluzione si conclude chiedendo che i Paesi membri incoraggino l’elaborazione di piani parentali che permettano ai genitori di definire loro stessi i principali aspetti della vita di loro figlio.
In modo analogo, si ritiene maturo il tempo per applicare il principio del mantenimento diretto, pur astrattamente previsto dalla norma come modalità di default per provvedere alla prole. Eppure, oltre ad essere costume esteso e inveterato di molti Stati progrediti (California, Svezia, Belgio, Stato di Washington) esso, come rilevato da molte ricerche, contribuisce a una percezione nel minore di maggior benessere economico (non dovendo più il genitore veder mediato il proprio contributo da una persona – l’ex partner – in cui, a torto o ragione, non ha fiducia). In Italia invece si è rimasti fermi all’antiquata idea dell’assegno, priva di valenze relazionali a carico di uno dei genitori.
La norma già oggi vigente manifesta la netta preferenza del legislatore verso un mantenimento diretto della prole a carico dei genitori, individuando l’assegno perequativo solo quale espediente residuale. Tuttavia nell’applicazione pratica ciò che doveva restare residuale si è trasformato in ordinario e sono davvero rarissimi i casi in cui nei provvedimenti di separazione, divorzio o di mantenimento di figli nati fuori dal matrimonio non si preveda un assegno mensile a carico dell’uno o dell’altro genitore. È dunque ora di mettere mano alla norma per indicare con ulteriore e inemendabile chiarezza la netta preferenza del legislatore per la forma diretta di mantenimento, anche in considerazione del fatto che, trascorrendo il minore tempi sostanzialmente equipollenti con ciascuno dei genitori, è molto più agevole per questi ultimi provvedere direttamente alle esigenze della prole.
Per questa ragione è importante far passare il principio che entrambi i genitori sono tenuti al mantenimento in forma diretta, possibilmente individuando i costi standard e i capitoli di spesa
Medesimo discorso va fatto anche in ordine a una delle componenti più significative della contribuzione economica dei genitori alle esigenze della prole: la «assegnazione» della casa familiare.
Non potendosi più identificare un genitore collocatario, ma dovendosi prendere atto che il bambino potrà finalmente fare conto su «due case», in perfetta conformità con l’osservazione di Jemolo, è opportuno ripensare in modo significativo nell’ambito del corpus normativo l’istituto «monstrum» dell’assegnazione che ha richiesto negli anni un continuo adeguamento giurisprudenziale a fini di coordinamento rispetto alle norme sulla proprietà, altri diritti reali nonché ai contratti per l’utilizzo degli immobili (si veda, in particolare, l’articolo 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392).
Lo stesso istituto dell’assegnazione, alla luce del raggiunto consenso scientifico sulla sostanziale irrilevanza dell’eventuale assegnazione ai fini del benessere della prole in relazione all’autentico significato e concetto sostanziale dell’affidamento condiviso, presenta forti dubbi di costituzionalità (rispetto all’articolo 42 della Costituzione).
In caso di separazione, il conflitto tra i genitori nella sua più aspra declinazione giudiziale è statisticamente e positivamente determinato dall’interesse economico all’assegnazione della casa familiare piuttosto che da un reale scetticismo sull’idoneità dell’altro genitore, che inflaziona il processo con accertamenti peritali e altro.
Con riferimento al caso statisticamente più frequente di casa familiare co-intestata a entrambi i genitori, la proposta di modifica richiama la regolamentazione secondo le norme sulla comunione (articoli 1100 e seguenti del codice civile) che prevede il diritto a un corrispettivo da parte del comproprietario che utilizza il bene in via esclusiva, nelle more della divisione. In caso di proprietà esclusiva in capo a uno dei due genitori o a terzi, si dovranno in ogni caso applicare le vigenti norme in materia di proprietà, comodato d’uso, diritto di usufrutto o di abitazione e locazione.
L’istituto che meglio aiuterà i genitori a evitare contrasti strumentali e a concentrarsi sulla centralità dei figli sarà quello del piano genitoriale, autentico strumento di lavoro sul quale padre e madre saranno chiamati a confrontarsi per individuare le concrete esigenze dei figli minori e fornire il loro contributo educativo e progettuale che riguardi i tempi e le attività della prole e i relativi capitoli di spesa.
Il continuo rimando della proposta alle procedure di ADR (conciliazione, mediazione e coordinazione genitoriale) ha lo scopo di restituire la responsabilità decisionale ai genitori stessi, aiutandoli e sostenendoli quando, a causa della difficoltà di dialogo, i medesimi non appaiono in grado di mantenere pervio il canale comunicativo nell’interesse del minore.
Anche i nonni potranno intervenire e far sentire la loro voce con interventi ad adiuvandum che siano propositivi e che tutelino il diritto dei minori a intrattenere rapporti significativi con i propri ascendenti.
È poi necessario superare la concezione nominalistica dell’alienazione genitoriale, che in passato ha suscitato consistenti polemiche, e avere riguardo al dato oggettivo: in molti casi si presenta il fenomeno del rifiuto manifestato dal minore in ordine a qualsiasi forma di relazione con uno dei genitori. Alienazione, estraniazione, avversità, sono solo nomi mutevoli che non possono impedire al legislatore di prendersi cura di una delle condizioni più pericolose per il corretto e armonico sviluppo psicofisico del minore. Nell’ambito dei rapporti all’interno della famiglia, e in particolare nelle relazioni tra genitori e figli, si parla di una nuova categoria di diritti che la recente riflessione sociologica ha definito con la locuzione di diritti relazionali o diritti alla relazione. Essi rappresentano i diritti specifici di ogni relazione umana nella sua dimensione affettiva ed emotiva, relazione della quale l’ordinamento e i giuristi sempre più si stanno occupando. È grazie al godimento del diritto ad avere relazioni con i propri familiari che le persone possono, nel contempo, esercitare i doveri legati al «fare famiglia».
Il presente disegno di legge si compone di ventiquattro articoli.
All’articolo 1 si istituisce e regolamenta la funzione pubblica e sociale della professione del mediatore familiare, stabilendo i requisiti per l’esercizio di tale professione. Si delineano in modo estremamente puntiglioso e rigoroso i titoli di studio, le specializzazioni e i percorsi di formazione necessari all’espletamento del ruolo di mediatore familiare, professione che non può essere improvvisata, ma che necessita di una formazione approfondita. Si stabilisce che le regioni debbano istituire e aggiornare annualmente gli elenchi di iscrizione per i mediatori.
All’articolo 2 si sancisce l’obbligo di riservatezza per segreto professionale, stabilendo anche che gli atti e i documenti del procedimento di mediazione non possano essere esibiti nei procedimenti giudiziali, ad eccezione dell’accordo sottoscritto dal mediatore, dalle parti e dai rispettivi legali.
L’articolo 3, con rimandi alla normativa vigente in materia di mediazione civile, definisce e regolamenta il procedimento della mediazione familiare, con durata non superiore a sei mesi, prevedendone l’accesso volontario delle parti, che, in qualsiasi momento, possono interromperne la partecipazione. L’esperimento della mediazione familiare rimane condizione di procedibilità qualora nella controversia siano coinvolti direttamente o indirettamente persone minorenni. Al comma 8 si prevede l’omologazione del tribunale competente per territorio al fine dell’esecutività dell’accordo raggiunto a seguito del procedimento di mediazione familiare. Il tribunale deve decidere, entro quindici giorni dalla richiesta, in camera di consiglio.
All’articolo 4 si prevede che le spese e i compensi per il mediatore siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
L’articolo 5, nell’ambito della coordinazione genitoriale quale processo di risoluzione alternativa delle controversie fra genitori, qualifica la figura del coordinatore genitoriale. Si tratta di esperto qualificato con funzione mediativa, dotato di formazione specialistica in coordinazione genitoriale, iscritto all’albo di una delle professioni regolamentate di ambito sanitario o socio-giuridico. Il medesimo, operando come terzo imparziale, nell’ambito delle disposizioni di natura legale e deontologica della rispettiva professione, ha il compito di gestire in via stragiudiziale le controversie eventualmente sorte tra i genitori di prole minorenne relativamente all’esecuzione del piano genitoriale. La sua attività è volta al superamento di eventuali ostacoli al corretto e sereno esercizio della cogenitorialità assistendo i genitori nell’attuazione del piano genitoriale, monitorandone l’osservanza e risolvendo tempestivamente le controversie. Il giudice, su richiesta dei genitori di incaricare un coordinatore genitoriale, ne dispone la nomina ove ritenuto necessario nell’interesse del minore.
L’articolo 6 modifica l’articolo 178 codice di procedura civile (Controllo del collegio sulle ordinanze) con l’aggiunta di un comma per stabilire che l’ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli è impugnabile dalle parti, con reclamo immediato al collegio.
L’articolo 7, che modifica l’articolo 706 del codice di procedura civile (Forma della domanda), sancisce che le coppie con figli devono procedere alla mediazione obbligatoria per aiutare le parti a trovare un accordo nell’interesse dei minori. In ogni caso il mediatore familiare rilascia ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui si dà atto del tentativo di mediazione e del relativo esito.
L’articolo 8, di modifica all’articolo 708 del codice di procedura civile (Tentativo di conciliazione e provvedimenti del presidente), stabilisce che all’udienza di comparizione il presidente, nel caso di conciliazione infruttuosa, debba informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare (obbligatoria in presenza di figli minori). Si stabilisce, per i procedimenti di separazione di genitori con figli minorenni, la verifica anche d’ufficio del rispetto delle prescrizioni di cui all’articolo 706. Il presidente è altresì tenuto a valutare i rispettivi piani genitoriali assumendo con ordinanza i provvedimenti opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi, secondo quanto previsto dagli articolo 337-ter e seguenti del codice civile.
L’articolo 9, sostituendo il vigente articolo 709-ter del codice di procedura civile (Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni), rende più incisivo il ricorso, in quanto la mera ammonizione si è rivelata un’arma spuntata e incapace di frenare gli atteggiamenti più spregiudicati dei genitori.
Con l’articolo 10, sostitutivo del vigente articolo 711 del codice di procedura civile (Separazione consensuale), si stabilisce che nel caso di separazione consensuale i genitori di figli minori, a pena di nullità, devono indicare nel ricorso il piano genitoriale concordato, secondo quanto previsto dall’articolo 706, sesto comma del medesimo codice e dall’articolo 337-ter del codice civile. Ove riscontri che i coniugi non vi abbiano adempiuto, il presidente è tenuto ad esperire preliminarmente un tentativo di conciliazione. In caso positivo si procede come previsto dall’articolo 708, secondo comma. In caso negativo il presidente dà atto nel processo verbale del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole, come previste dal ricorso e dai piani educativo e di riparto delle spese. I coniugi che abbiano depositato ricorso congiunto per la separazione consensuale sono esentati dalla mediazione obbligatoria.
L’articolo 11 riguarda i provvedimenti concernenti i figli. Con la sostituzione del vigente articolo 337-ter del codice civile (Provvedimenti riguardo ai figli), il nuovo articolato prevede, in maniera oltremodo innovativa, il diritto del minore al mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e la madre, a ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali e a trascorrere con ciascuno dei genitori tempi adeguati, paritetici ed equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale. Si garantiscono tempi paritari qualora anche uno solo dei genitori ne faccia richiesta. Si garantisce comunque la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre, salvo comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio in casi tassativamente individuati. Si sancisce il suo diritto a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. L’articolo prevede inoltre che il giudice, nell’affidare in via condivisa i figli minori, debba stabilire il doppio domicilio del minore ai fini delle comunicazioni scolastiche, amministrative e relative alla salute. Nel piano genitoriale deve essere indicata anche la misura e la modalità con cui ciascuno dei genitori provvede al mantenimento diretto dei figli, sia per le spese ordinarie sia per quelle straordinarie, anche attribuendo a ciascuno specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al proprio reddito e ai tempi di permanenza presso ciascun genitore secondo le esigenze indicate nel piano genitoriale, considerando sempre le esigenze del minore, il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. In mancanza di accordo, il giudice, sentite le parti, stabilisce il piano genitoriale determinando i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi dovrà contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli sulla base del costo medio dei beni e servizi per i figli individuato su base locale alla luce del costo medio della vita come calcolato dall’ISTAT, individuando le spese ordinarie, le spese straordinarie e attribuendo a ciascun genitore specifici capitoli di spesa, dando applicazione al protocollo nazionale sulle spese straordinarie. Si sancisce infine che, ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice possa disporre un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.
Con l’articolo 12, che sostituisce l’articolo 337-quater del codice civile (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso), si stabilisce che il giudice, nei casi di cui all’articolo 337-ter, secondo comma, possa disporre l’affidamento dei figli a uno solo dei genitori qualora ritenga che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore, garantendo sempre il diritto del minore alla bigenitorialità. Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice, favorendo e garantendo in ogni modo la frequentazione dei figli minori con l’altro genitore, a meno che ciò non sia stato espressamente vietato dal giudice con provvedimento motivato. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. Sono previsti casi di temporanea impossibilità ad affidare il minore ai propri genitori. In tali casi il giudice deve porre in essere ogni misura idonea al recupero della capacità genitoriale dei figli.
L’articolo 13, sostitutivo dell’articolo 337-quinquies del codice civile, reca la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e i casi di conflittualità genitoriale introducendo il secondo tentativo di mediazione e il coordinatore genitoriale quali estremi tentativi di restituire ai genitori la capacità di decisione autonoma, prima della definitiva decisione del giudice. I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, la revisione dei piani genitoriali e dei tempi di frequentazione con la prole, l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.
L’articolo 14, che sostituisce l’articolo 337-sexies, verte sulla residenza del minore presso la casa familiare e sulle prescrizioni in tema di residenza. Il giudice può stabilire nell’interesse dei figli minori che questi mantengano la residenza nella casa familiare, indicando in caso di disaccordo quale dei due genitori potrà continuare a risiedervi. Si stabilisce che non possa continuare a risedere nella casa familiare il genitore non proprietario o non titolare di specifico diritto che non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
All’articolo 15, che sostituisce l’articolo 337-septies vertente su disposizioni in favore dei figli maggiorenni, si chiarisce che il giudice possa disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, su loro richiesta, il pagamento di un assegno periodico a carico di entrambi i genitori. Tale assegno è versato direttamente all’avente diritto.
L’articolo 16, che sostituisce l’articolo 337-octies del codice civile (Poteri del giudice e ascolto del minore), prevede che il giudice disponga l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. L’ascolto del minore deve essere sempre svolto alla presenza del giudice e di un esperto da lui designato e deve essere videoregistrato. Le parti, che possono assistere in locale separato collegato mediante video, possono presentare domande per mezzo del giudice, ma sono vietate domande dirette a ottenere risposte relativamente al desiderio del minore di stare con uno dei genitori ovvero quelle potenzialmente in grado di suscitare preferenze o conflitti di lealtà da parte del minore verso uno dei genitori.
L’articolo 17 modifica l’articolo 342-bis del codice civile (Ordini di protezione contro gli abusi familiari), aggiungendo un comma per prevedere da parte del giudice, su istanza di parte, l’adozione con decreto di provvedimenti nell’esclusivo interesse del minore, anche quando – pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori – il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo ad uno di essi.
L’articolo 18 introduce il nuovo articolo 342-quater nel codice civile, con il quale si attribuisce al giudice il potere di ordinare al genitore che abbia tenuto la condotta pregiudizievole per il minore la cessazione della stessa condotta; si prevede inoltre che il giudice possa disporre con provvedimento d’urgenza la limitazione o sospensione della responsabilità genitoriale. Il giudice può, in ogni caso, disporre l’inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore ovvero il collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata, previa redazione da parte dei servizi sociali o degli operatori della struttura di uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità del minore, nonché dell’indicazione del responsabile dell’attuazione di tale programma.
L’articolo 19 dispone l’abrogazione del secondo comma dell’articolo 151 del codice civile, in tema di separazione giudiziale, che attualmente prevede che il giudice, pronunziando la separazione, dichiari, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.
Con l’articolo 20 si modifica l’articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, al fine di stabilire che le parti e i rispettivi legali devono in ogni caso applicare le disposizioni di cui agli articoli 337-ter e seguenti del codice civile.
Con l’articolo 21, quale logica conseguenza del principio del mantenimento diretto della prole, si procede ad abrogare l’articolo 570-bis del codice penale.
L’articolo 22 applica i principi previsti per la separazione anche alla legge sul divorzio.
L’articolo 23 stabilisce che le norme della legge si applichino anche ai procedimenti pendenti alla data dell’entrata in vigore della medesima.
L’articolo 24 infine contiene una clausola di invarianza finanziaria.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
(Istituzione dell’albo nazionale per la professione di mediatore familiare)
1. È istituito l’albo professionale dei mediatori familiari. La Repubblica riconosce la funzione sociale della mediazione familiare.
2. Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o più regolamenti, da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia, sono adottate le norme di attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo, tenuto conto dei seguenti princìpi:
a) possono esercitare la professione di mediatore familiare le persone in possesso della laurea specialistica in discipline sociali, psicologiche, giuridiche, mediche o pedagogiche, nonché della formazione specifica, certificata da idonei titoli quali master universitari ovvero specializzazioni o perfezionamenti presso enti di formazione riconosciuti dalle regioni, aventi durata biennale e di almeno 350 ore;
b) possono altresì esercitare l’attività di mediazione familiare coloro che alla data di entrata in vigore della presente legge sono in possesso di laurea specialistica e che hanno già ottenuto la qualifica di mediatore familiare a seguito della formazione specifica almeno biennale certificata da master universitari ovvero a seguito della frequenza e del superamento dell’esame finale presso corsi di formazione almeno biennali e della durata di almeno 350 ore, purché svolti e conclusi entro il 31 dicembre 2018;
c) la qualifica di mediatore familiare può essere attribuita anche agli avvocati iscritti all’ordine professionale da almeno cinque anni e che abbiano trattato almeno dieci nuovi procedimenti in diritto di famiglia e dei minori per ogni anno;
d) la professione di mediatore familiare può essere esercitata in forma individuale o associata secondo le disposizioni stabilite dalla legge 14 gennaio 2013, n. 4;
e) l’albo è costituito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, dal Ministero della giustizia, che ne cura annualmente l’aggiornamento; possono fare domanda di iscrizione all’albo i mediatori familiari in possesso dei requisiti di cui al presente articolo;
f) il servizio di mediazione familiare può essere altresì offerto nei consultori familiari pubblici e privati da persone aventi la qualifica di mediatori familiari iscritti all’albo;
g) il mediatore familiare deve essere particolarmente e specificamente esperto nelle tecniche di mediazione e deve essere in possesso di approfondite conoscenze in diritto, psicologia e sociologia con particolare riferimento ai rapporti familiari e genitoriali;
h) l’iscrizione all’albo è subordinata al superamento di una prova di esame da svolgere annualmente e la cui disciplina è rimessa ad appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministro per la famiglia e le disabilità;
i) il consiglio nazionale dei mediatori familiari provvede entro sei mesi dalla sua istituzione all’emanazione di un codice deontologico ispirato ai seguenti principi:
1) il mediatore familiare deve essere terzo e imparziale rispetto alle parti;
2) il mediatore familiare ha un obbligo informativo in favore delle parti circa la possibilità di avvalersi della consulenza matrimoniale al fine di salvaguardare per quanto possibile l’unità della famiglia come previsto dall’articolo 708 del codice di procedura civile, come modificato dall’articolo 8 della presente legge, nel rispetto del miglior interesse del minore; deve altresì adoperarsi per impedire o per risolvere gravi conflittualità che possono produrre ogni forma di violenza endofamiliare, anche informando le parti della possibilità di ottenere l’aiuto di altri specialisti;
3) il mediatore deve astenersi dal fornire consulenza legale o psicologica alle parti.
Art. 2.
(Obbligo di riservatezza)
1. Il mediatore familiare è tenuto al segreto professionale ai sensi dell’articolo 622 del codice penale. Nessuno degli atti o documenti del procedimento di mediazione familiare può essere prodotto dalle parti nei procedimenti giudiziali ad eccezione dell’accordo, solo se sottoscritto dal mediatore familiare e controfirmato dalle parti e dai rispettivi legali, ovvero della proposta di accordo formulata dal mediatore.
Art. 3.
(Procedimento di mediazione familiare)
1. Il procedimento di mediazione familiare è informale e riservato. Partecipano al procedimento di mediazione familiare le parti e i rispettivi legali. La partecipazione al procedimento di mediazione di minori, purché di età superiore a dodici anni, può essere ammessa solo con il consenso di tutte le parti e, comunque, di entrambi i genitori.
2. Le parti devono rivolgersi a un mediatore familiare scelto tra quelli che esercitano la professione nell’ambito del distretto del tribunale competente per territorio ai sensi del codice di procedura civile.
3. La partecipazione al procedimento di mediazione familiare è volontariamente scelta dalle parti e può essere interrotta in qualsiasi momento. L’esperimento della mediazione familiare è comunque condizione di procedibilità secondo quanto previsto dalla legge qualora nel procedimento debbano essere assunte decisioni che coinvolgano direttamente o indirettamente i diritti dei minori.
4. Il procedimento di mediazione familiare ha una durata non superiore a sei mesi, decorrenti dal primo incontro cui hanno partecipato entrambe le parti. Le parti devono partecipare al primo incontro del procedimento di mediazione familiare assistite dai rispettivi avvocati, qualora esse abbiano già dato loro mandato.
5. Il mediatore familiare, su accordo delle parti, può chiedere che gli avvocati di cui al comma 4 non partecipino agli incontri successivi. Gli stessi devono comunque essere presenti, a pena di nullità e inutilizzabilità, alla stipulazione dell’eventuale accordo, ove raggiunto.
6. Gli avvocati e le parti hanno il dovere di collaborare lealmente con il mediatore familiare.
7. Si applicano gli articoli 8, 9, 10, 11, 13 e 14, commi 1 e 2, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.
8. L’efficacia esecutiva dell’accordo raggiunto a seguito del procedimento di mediazione familiare deve in ogni caso essere omologata dal tribunale competente per territorio ai sensi del codice di procedura civile.
9. Il tribunale di cui al comma 8 decide in camera di consiglio entro quindici giorni dalla richiesta.
Art. 4.
(Spese e compensi
per il mediatore familiare)
1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia, con proprio decreto, stabilisce i parametri per la determinazione dei compensi professionali per i mediatori familiari, prevedendo in ogni caso la gratuità del primo incontro. Gli avvocati e gli altri professionisti che operano in funzione di mediatori familiari devono applicare le tariffe professionali relative a tale ultima funzione.
Art. 5.
(Coordinatore genitoriale)
1. La coordinazione genitoriale è un processo di risoluzione alternativa delle controversie centrato sulle esigenze del minore, svolta da professionista qualificato, che integra la valutazione della situazione conflittuale, l’informazione circa i rischi del conflitto per le relazioni tra genitori e figli, la gestione del caso e degli operatori coinvolti, la gestione del conflitto ricercando l’accordo tra i genitori o fornendo suggerimenti o raccomandazioni e assumendo, previo consenso dei genitori, le funzioni decisionali.
2. Il coordinatore genitoriale è un esperto qualificato con funzione mediativa, dotato di formazione specialistica in coordinazione genitoriale, iscritto all’albo di una delle seguenti professioni regolamentate di ambito sanitario o socio-giuridico:
a) psichiatra;
b) neuropsichiatra;
c) psicoterapeuta;
d) psicologo;
e) assistente sociale;
f) avvocato;
g) mediatore familiare.
3. Il coordinatore genitoriale deve osservare tutte le disposizioni di natura legale e deontologica della rispettiva professione. Il medesimo opera come terzo imparziale e ha il compito di gestire in via stragiudiziale le controversie eventualmente sorte tra i genitori di prole minorenne relativamente all’esecuzione del piano genitoriale. La sua attività è volta al superamento di eventuali ostacoli al corretto e sereno esercizio della cogenitorialità con l’obiettivo di:
a) assistere i genitori con alto livello di conflitto nell’attuazione del piano genitoriale;
b) monitorare l’osservanza del piano genitoriale, risolvendo tempestivamente le controversie;
c) salvaguardare e preservare una relazione sicura, sana e significativa tra il minore ed entrambi i suoi genitori.
4. Lo svolgimento dell’attività di coordinazione genitoriale non dà luogo a responsabilità personali, salvi i casi di dolo o colpa grave.
5. Il giudice prende atto della volontà dei genitori di incaricare un coordinatore genitoriale nell’interesse del minore. L’accordo di incarico e, per le professioni sanitarie, il consenso informato alla coordinazione genitoriale devono essere sottoscritti dai genitori e sono recepiti contestualmente alla nomina del coordinatore.
Art. 6.
(Modifica all’articolo 178 del codice di procedura civile)
1. Dopo il terzo comma dell’articolo 178 del codice di procedura civile è inserito il seguente:
«L’ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di venti giorni dalla lettura alla presenza delle parti oppure dalla ricezione della relativa notifica. Il collegio decide in camera di consiglio entro trenta giorni dal deposito del reclamo».
Art. 7.
(Modifiche all’articolo 706 del codice di procedura civile)
1. All’articolo 706 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma è premesso il seguente:
«I genitori di prole minorenne che vogliano separarsi devono, a pena di improcedibilità, iniziare un percorso di mediazione familiare. I genitori devono redigere, eventualmente con l’aiuto del mediatore familiare e dei rispettivi legali, un piano genitoriale come previsto dall’articolo 337-ter del codice civile. In ogni caso il mediatore familiare deve rilasciare ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui dà atto che gli stessi hanno tentato la mediazione e informa del relativo esito»;
b) al terzo comma, le parole: «novanta giorni dal deposito del ricorso» sono sostituite dalle seguenti: «quaranta giorni dal deposito del ricorso»;
c) è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Nel caso di cui al quinto comma, il ricorso e la memoria difensiva di cui al quarto comma, a pena di nullità, devono contenere altresì, a cura dei genitori, una dettagliata proposta di piano genitoriale che illustri la situazione attuale del minore e le proposte formulate in ordine al suo mantenimento, alla sua istruzione, alla sua educazione e alla sua assistenza morale secondo i punti previsti dall’articolo 337-ter del codice civile».
Art. 8.
(Modifiche all’articolo 708 del codice di procedura civile)
1. All’articolo 708 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il secondo comma è sostituito dal seguente:
«Qualora la conciliazione riesca, il presidente allega agli atti il verbale di conciliazione e ordina la cancellazione della causa dal ruolo e l’immediata estinzione del procedimento»;
b) il terzo comma è sostituito dal seguente:
«Qualora la conciliazione non sia riuscita, il presidente informa le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare. Nei procedimenti di separazione di genitori con figli minori il presidente verifica anche d’ufficio il rispetto delle prescrizioni di cui all’articolo 706 e in caso contrario rinvia il procedimento per un termine massimo di due mesi e ordina alle parti di rivolgersi a un mediatore familiare. Il presidente, all’esito della mediazione familiare, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori, valuta i rispettivi piani genitoriali e assume con ordinanza i provvedimenti che reputa opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi secondo quanto previsto dagli articoli 337-ter e seguenti del codice civile, accogliendo le rispettive proposte ove convergenti e non contrarie all’interesse della prole e motivando le proprie decisioni ove ritenga di discostarsi dalle indicazioni dell’uno o dell’altro genitore in ordine al piano genitoriale. Se uno dei genitori non compare ovvero non presenta un proprio piano genitoriale, il presidente accoglie nell’ordinanza le proposte indicate dall’altro, ove congrue e non contrarie all’interesse della prole».
Art. 9.
(Modifica dell’articolo 709-ter del codice di procedura civile)
1. L’articolo 709-ter del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 709-ter. – (Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni). – Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze, di manipolazioni psichiche o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, nonché in caso di astensione ingiustificata dai compiti di cura di un genitore e comunque in ogni caso ove riscontri accuse di abusi e violenze fisiche e psicologiche evidentemente false e infondate mosse contro uno dei genitori, il giudice valuta prioritariamente una modifica dei provvedimenti di affidamento ovvero, nei casi più gravi, la decadenza dalla responsabilità genitoriale del responsabile ed emette le necessarie misure di ripristino, restituzione o compensazione. Il giudice può anche congiuntamente:
1) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
3) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 600 euro a un massimo di 6.000 euro. I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari».
Art. 10.
(Modifica dell’articolo 711 del codice di procedura civile)
1. L’articolo 711 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 711. – (Separazione consensuale). – Nel caso di separazione consensuale previsto dall’articolo 158 del codice civile, entrambi i coniugi presentano ricorso congiunto.
I genitori di figli minori devono a pena di nullità indicare nel ricorso il piano genitoriale concordato, secondo quanto previsto dall’articolo 706, sesto comma, del presente codice e dall’articolo 337-ter del codice civile. Il presidente, ove riscontri che i coniugi non hanno svolto in precedenza il tentativo di conciliazione di cui all’articolo 708, tenta preliminarmente di conciliarli nel corso della medesima udienza. Se la conciliazione riesce, procede come previsto dall’articolo 708, secondo comma. Se la conciliazione non riesce il presidente dà atto nel processo verbale del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole, come previste dal ricorso e dai piani educativo e di riparto delle spese.
La separazione consensuale acquista efficacia con l’omologazione del tribunale, che provvede in camera di consiglio su relazione del presidente. Le condizioni della separazione consensuale sono modificabili a norma dell’articolo 710».
Art. 11.
(Modifica dell’articolo 337-ter del codice civile)
1. L’articolo 337-ter del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-ter. – (Provvedimenti riguardo ai figli). – Indipendentemente dai rapporti intercorrenti tra i due genitori, il figlio minore, nel proprio esclusivo interesse morale e materiale, ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e con la madre, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali, con paritetica assunzione di responsabilità e di impegni e con pari opportunità. Ha anche il diritto di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale.
Qualora uno dei genitori ne faccia richiesta e non sussistano oggettivi elementi ostativi, il giudice assicura con idoneo provvedimento il diritto del minore di trascorrere tempi paritetici in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti, con ciascuno dei genitori. Salvo diverso accordo tra le parti, deve in ogni caso essere garantita alla prole la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre, salvo comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore in caso di:
1) violenza;
2) abuso sessuale;
3) trascuratezza;
4) indisponibilità di un genitore;
5) inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore.
Il giudice o le parti, quando le circostanze rendano difficile attuare una divisione paritaria dei tempi su base mensile, possono prevedere adeguati meccanismi di recupero durante i periodi di vacanza, onde garantire una sostanziale equivalenza dei tempi di frequentazione del minore con ciascuno dei genitori nel corso dell’anno.
Il figlio minore ha inoltre il diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Gli ascendenti del minore possono intervenire nel giudizio di affidamento con le forme dell’articolo 105 del codice di procedura civile. Il giudice, nei procedimenti di cui all’articolo 337-bis, adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.
Il giudice, salvo che ciò sia contrario al superiore interesse del minore, affida in via condivisa i figli minori a entrambi i genitori e prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Stabilisce il doppio domicilio del minore presso l’abitazione di ciascuno dei genitori ai fini delle comunicazioni scolastiche, amministrative e relative alla salute.
Entrambi i genitori predispongono un piano genitoriale in ordine a:
1) luoghi abitualmente frequentati dai figli;
2) scuola e percorso educativo del minore;
3) eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e formative;
4) frequentazioni parentali e amicali del minore;
5) vacanze normalmente godute dal minore.
Nel piano genitoriale deve essere indicata anche la misura e la modalità con cui ciascuno dei genitori provvede al mantenimento diretto dei figli, sia per le spese ordinarie che per quelle straordinarie, attribuendo a ciascuno specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al proprio reddito secondo quanto previsto nel piano genitoriale, considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) le risorse economiche di entrambi i genitori;
3) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
Il giudice esamina e approva il piano genitoriale concordato dai due genitori ove non contrastante col superiore interesse o con i diritti del minore. In mancanza di accordo o in caso di accordo parziale, il giudice, sentite le parti, recepisce quanto parzialmente concordato dai genitori e stabilisce comunque il piano genitoriale, determinando i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore e fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli, applicando in ogni caso il mantenimento diretto come indicato ai commi precedenti e sulla base del costo medio dei beni e servizi per i figli, individuato su base locale in ragione del costo medio della vita come calcolato dall’ISTAT, indicando altresì le spese ordinarie, le spese straordinarie e attribuendo a ciascun genitore specifici capitoli di spesa.
Il giudice stabilisce, ove strettamente necessario e solo in via residuale, la corresponsione a carico di uno dei genitori, di un assegno periodico per un tempo determinato in favore dell’altro a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore. Nel medesimo provvedimento deve anche indicare quali iniziative devono essere intraprese dalle parti per giungere al mantenimento diretto della prole, indicando infine i termini entro i quali la corresponsione di assegno periodico residuale verrà a cessare. I benefici previdenziali e fiscali erogati in favore della prole o ai genitori per i figli a carico sono in ogni caso attribuiti sulla base del reciproco accordo ovvero su disposizione del giudice in misura direttamente proporzionale ai rispettivi redditi. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.
All’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito. La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni quotidiane sono assunte dal genitore che in quel momento si trova col figlio minore, mentre quelle di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuta detto comportamento anche al fine della modifica della forma di affidamento».
Art. 12.
(Modifica dell’articolo 337-quater del codice civile)
1. L’articolo 337-quater del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-quater. – (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso). – Il giudice, nei casi di cui all’articolo 337-ter, secondo comma, può disporre temporaneamente l’affidamento dei figli a uno solo dei genitori, qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore. In ogni caso deve garantire il diritto del minore alla bigenitorialità, disponendo tempi adeguati di frequentazione dei figli minori col genitore non affidatario e promuovendo azioni concrete per rimuovere le cause che hanno portato all’affidamento esclusivo.
Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 337-ter. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile. Il genitore a cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice, favorendo e garantendo in ogni modo la frequentazione dei figli minori con l’altro genitore, a meno che ciò non sia stato espressamente limitato dal giudice con provvedimento motivato. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono comunque adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.
Il giudice, nel caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ai suoi genitori dispone l’affidamento familiare in altro nucleo familiare, anche d’ufficio, per un tempo non superiore ai due anni, preferendo in ogni caso nuclei familiari di parenti o comunque, in mancanza di questi, di famiglie residenti nel medesimo territorio del minore. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa a cura del pubblico ministero al giudice tutelare. Deve in ogni caso essere garantito al minore il diritto alla bigenitorialità, disponendo tempi adeguati di frequentazione con ciascun genitore, salvo che ciò sia motivatamente ritenuto come assolutamente contrario all’interesse del minore. Deve altresì essere posta in essere ogni misura idonea e opportuna per il recupero della capacità genitoriale dei genitori del minore, favorendo il reinserimento immediato in famiglia non appena possibile».
Art. 13.
(Modifica dell’articolo 337-quinquies del codice civile)
1. L’articolo 337-quinquies del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-quinquies. – (Revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli; conflittualità genitoriale; mediatore e coordinatore genitoriale). – I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, la revisione dei piani genitoriali, il ricalcolo dei tempi di frequentazione con la prole e l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.
Il giudice, nei casi di conflittualità tra le parti, invita nuovamente i genitori a intraprendere un percorso di mediazione familiare per la risoluzione condivisa delle controversie. Qualora le parti accettino, il giudice sospende il procedimento per non più di sei mesi e rimette le parti avanti il mediatore familiare, sorteggiandone il nome tra due scelti dalle parti in caso di disaccordo. Qualora la mediazione riesca, il giudice esamina il piano genitoriale redatto dalle parti con l’aiuto del mediatore e lo recepisce nel proprio provvedimento ove non ritenuto contrario al superiore interesse del minore.
In caso di rifiuto o di fallimento della mediazione il giudice, qualora la conflittualità persista, propone alle parti la nomina di un coordinatore genitoriale, con il compito di facilitare le parti nel dialogo e nella relazione genitoriale, nell’interesse dei figli minori. Il coordinatore può sentire le parti separatamente e congiuntamente. Le parti possono anche attribuire al coordinatore genitoriale il potere di assumere decisioni limitatamente a specifici ambiti e sostenerle nell’attuazione del piano genitoriale. Le eventuali modifiche al piano genitoriale concordate in coordinazione dovranno essere sottoposte al giudice per il tramite dei legali delle parti.
Gli oneri della coordinazione genitoriale sono ripartiti tra i genitori nella misura del 50 per cento, salvo diverso accordo tra le parti.
Qualora le parti rifiutino di intraprendere la mediazione o la coordinazione genitoriale, il giudice decide della questione applicando i princìpi di cui al primo comma del presente articolo e di cui all’ultimo periodo del secondo comma dell’articolo 337-ter».
Art. 14.
(Modifica dell’articolo 337-sexies del codice civile)
1. L’articolo 337-sexies del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-sexies. – (Residenza presso la casa familiare e prescrizioni in tema di residenza). – Fermo il doppio domicilio dei minori presso ciascuno dei genitori secondo quanto stabilito dal quinto comma dell’articolo 337-ter, il giudice può stabilire nell’interesse dei figli minori che questi mantengano la residenza nella casa familiare, indicando in caso di disaccordo quale dei due genitori può continuare a risiedervi. Quest’ultimo è comunque tenuto a versare al proprietario dell’immobile un indennizzo pari al canone di locazione computato sulla base dei correnti prezzi di mercato.
Le questioni relative alla proprietà o alla locazione della casa familiare sono risolte in base alle norme vigenti in materia di proprietà e comunione. Non può continuare a risedere nella casa familiare il genitore che non ne sia proprietario o titolare di specifico diritto di usufrutto, uso, abitazione, comodato o locazione e che non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorioo contragga nuovo matrimonio.
In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, almeno trenta giorni prima, l’intenzione di cambiare la propria residenza o domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico dell’altro genitore o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.
In ogni caso il trasferimento del minore, il suo cambiamento di residenza e la sua iscrizione a un istituto scolastico sono sempre soggetti al preventivo consenso scritto di entrambi i genitori, ovvero alla decisione del giudice tutelare in caso di mancato accordo. Qualsiasi trasferimento del minore non autorizzato in via preventiva da entrambi i genitori o dal giudice deve esser ritenuto contrario al suo superiore interesse e privo di ogni efficacia giuridica. È compito delle autorità di pubblica sicurezza, su segnalazione di uno dei genitori, adoperarsi per ricondurre immediatamente il minore alla sua residenza qualora sia stato allontanato senza il consenso di entrambi i genitori o l’ordine del giudice».
Art. 15.
(Modifica dell’articolo 337-septies del codice civile)
1. L’articolo 337-septies del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-septies. – (Disposizioni in favore dei figli maggiorenni). – I genitori possono concordare con il figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente un piano genitoriale con le forme di cui ai commi sesto e settimo dell’articolo 337-ter. Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente e su loro richiesta il pagamento di un assegno periodico a carico di entrambi i genitori. Tale assegno è versato da entrambi i genitori direttamente all’avente diritto, fermi per il figlio gli obblighi di cui all’articolo 315-bis.
Ai figli maggiorenni portatori di disabilità grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.
Fatto salvo quanto previsto al precedente comma, nei confronti dei figli maggiorenni cessa ogni obbligo di mantenimento al compimento del venticinquesimo anno di età ovvero qualora la mancanza di una loro occupazione o impiego lavorativo sia dipesa da negligenza o rifiuto ingiustificato di opportunità di lavoro offerte ovvero si dimostri la colpevole inerzia nel prorogare il proprio percorso di studi senza alcun effettivo rendimento».
Art. 16.
(Modifica dell’articolo 337-octies del codice civile)
1. L’articolo 337-octies del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 337-octies. – (Poteri del giudice e ascolto del minore). – Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter, il giudice può assumere, a istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone inoltre l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo.
L’ascolto del minore deve essere sempre svolto alla presenza del giudice e di un esperto da lui designato. L’ascolto deve essere videoregistrato. Le parti possono assistere in locale separato collegato mediante video e possono presentare domande per mezzo del giudice. Sono vietate le domande manifestamente in grado di suscitare conflitti di lealtà da parte del minore verso uno dei genitori».
Art. 17.
(Modifica all’articolo 342-bis del codice civile)
1. All’articolo 342-bis del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Quando in fase di separazione dei genitori o dopo di essa la condotta di un genitore è causa di grave pregiudizio ai diritti relazionali del figlio minore e degli altri familiari, ostacolando il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore e la conservazione rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui agli articoli 342-ter e 342-quater. I provvedimenti di cui a quest’ultimo articolo possono essere applicati , nell’esclusivo interesse del minore, anche quando, pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori, il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo a uno di essi».
Art. 18.
(Introduzione dell’articolo 342-quater del codice civile)
1. Dopo l’articolo 342-ter è inserito il seguente:
«Art. 342-quater. – (Ulteriori contenuti dell’ordine di protezione). – Con il decreto di cui all’articolo 342-bis il giudice ordina al genitore che ha tenuto la condotta pregiudizievole per il minore la cessazione della stessa condotta; può inoltre disporre con provvedimento d’urgenza la limitazione o sospensione della sua responsabilità genitoriale. Il giudice può applicare in tali casi anche di ufficio e inaudita altera parte uno dei provvedimenti previsti dall’articolo 709-ter del codice di procedura civile.
Il giudice, nei casi di cui all’articolo 342-bis, può in ogni caso disporre l’inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore oppure limitare i tempi di permanenza del minore presso il genitore inadempiente, ovvero disporre il collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata, previa redazione da parte dei servizi sociali o degli operatori della struttura di uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità del minore, nonché dell’indicazione del responsabile dell’attuazione di tale programma. Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per tutelare i diritti delle persone interessate, ivi compresi quelli di cui agli articoli 337-ter e 337-quater».
Art. 19.
(Modifica all’articolo 151 del codice civile)
1. All’articolo 151 del codice civile, il secondo comma è abrogato.
Art. 20.
(Modifica all’articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132)
1. All’articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, dopo il comma 3 è inserito il seguente:
«3-bis. Le parti e i rispettivi legali devono in ogni caso applicare le disposizioni di cui agli articoli 337-ter e seguenti del codice civile».
Art. 21.
(Abrogazione dell’articolo 570-bis del codice penale)
1. L’articolo 570-bis del codice penale è abrogato.
Art. 22.
(Modifica dell’articolo 4 della legge 1º dicembre 1970, n. 898)
1. L’articolo 4 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, è sostituito dal seguente:
«Art. 4. – 1. I genitori di prole minorenne che vogliano presentare ricorso per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio devono a pena di improcedibilità iniziare un percorso di mediazione familiare. I genitori devono redigere, eventualmente con l’aiuto del mediatore familiare e dei rispettivi legali, un piano genitoriale secondo quanto previsto dall’articolo 337-ter del codice civile. In ogni caso il mediatore familiare deve rilasciare ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui dà atto che gli stessi hanno tentato la mediazione e del relativo esito.
2. La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica. La domanda congiunta può essere proposta al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’uno o dell’altro coniuge.
3. La domanda si propone con ricorso, che deve contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso è fondata. Qualora la coppia abbia figli minori, la domanda deve contenere a pena di inammissibilità una proposta di piano genitoriale redatto secondo i criteri di cui all’articolo 337-ter del codice civile.
4. Del ricorso il cancelliere dà comunicazione all’ufficiale dello stato civile del luogo dove il matrimonio fu trascritto per l’annotazione in calce all’atto.
5. Il presidente del tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve avvenire entro quaranta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto e il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Il presidente nomina un curatore speciale quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace.
6. Al ricorso e alla prima memoria difensiva sono allegate le ultime tre dichiarazioni dei redditi rispettivamente presentate dai coniugi.
7. I coniugi devono comparire davanti al presidente del tribunale personalmente, salvo gravi e comprovati motivi, e con l’assistenza di un difensore. Se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto. Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata. All’udienza di comparizione, il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente e tenta preliminarmente di conciliarli. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione.
8. Se la conciliazione non riesce, il presidente informa le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare. Nei procedimenti con figli minori il presidente verifica anche d’ufficio che le parti abbiano iniziato un percorso di mediazione familiare. In caso contrario rinvia il procedimento per un termine massimo di due mesi e ordina alle parti di rivolgersi a un mediatore familiare. I genitori devono redigere, eventualmente con l’aiuto del mediatore familiare e dei rispettivi legali, un piano genitoriale come previsto dall’articolo 337-terdel codice civile. In ogni caso il mediatore familiare deve rilasciare ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui dà atto che gli stessi hanno tentato la mediazione e del relativo esito.
9. Il presidente, all’esito della mediazione familiare, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici nei casi e con le modalità di cui all’articolo 337-octies del codice civile, esamina i rispettivi piani genitoriali e assume con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole secondo quanto previsto dagli articoli 337-ter e seguenti del codice civile, accogliendo le rispettive proposte ove convergenti e non contrarie all’interesse della prole e motivando le proprie decisioni ove ritenga di discostarsi dalle indicazioni dell’uno o dell’altro genitore in ordine al piano genitoriale. Se uno dei genitori non compare ovvero non presenta un proprio piano genitoriale, il presidente accoglie nell’ordinanza le proposte indicate dall’altro, ove congrue e non contrarie all’interesse della prole.
10. Con la medesima ordinanza il presidente nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentito il ricorrente e il suo difensore. L’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore. Si applica l’articolo 189 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368.
11. Tra la data dell’ordinanza, ovvero tra la data entro cui la stessa deve essere notificata al convenuto non comparso, e quella dell’udienza di comparizione e trattazione devono intercorrere i termini di cui all’articolo 163-bis del codice di procedura civile ridotti di metà.
12. Con l’ordinanza di cui al comma 9, il presidente assegna altresì termine al ricorrente per il deposito in cancelleria di memoria integrativa, che deve avere il contenuto di cui all’articolo 163, terzo comma, numeri 2), 3), 4), 5) e 6), del codice di procedura civile, e termine al convenuto per la costituzione in giudizio ai sensi degli articoli 166 e 167, primo e secondo comma, del medesimo codice nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. L’ordinanza deve contenere l’avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all’articolo 167 del codice di procedura civile e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.
13. All’udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui agli articoli 180 e 183, commi primo, secondo, quarto, quinto, sesto e settimo, del codice di procedura civile. Si applica altresì l’articolo 184 del medesimo codice.
14. Nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza è ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all’articolo 10.
15. Quando vi sia stata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza che dispone l’obbligo della somministrazione dell’assegno, può disporre che tale obbligo produca effetti fin dal momento della domanda.
16. Per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva.
17. L’appello è deciso in camera di consiglio.
18. La domanda congiunta dei coniugi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio è proposta con ricorso al presidente del tribunale. I genitori di figli minori devono a pena di nullità indicare nel ricorso il piano genitoriale concordato secondo quanto previsto dal comma 3 del presente articolo e dall’articolo 337-ter del codice civile. Il presidente, ove riscontri che i coniugi non hanno svolto in precedenza il tentativo di conciliazione di cui al comma 7, tenta preliminarmente di conciliarli anche avvalendosi della collaborazione di esperti e di consulenti familiari. Se la conciliazione riesce il presidente fa redigere verbale di conciliazione. Se la conciliazione non riesce il presidente, sentiti i coniugi, verificata l’esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli, rimette gli atti al collegio che provvede in camera di consiglio con sentenza. Qualora il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui ai commi 8 e 9».
Art. 23.
(Disposizioni transitorie)
1. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della medesima.
Art. 24.
(Clausola di invarianza finanziaria)
1. Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. Le amministrazioni interessate svolgono le attività previste dalla presente legge con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
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