Separazione:l’attitudine al lavoro è elemento valutabile ai fini dell’assegno di mantenimento

Cass. Civ.,Sez. VI -1, Ord., 10 maggio 2021, n. 12329-Pres. Scotti, Cons. Rel. Valitutti
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE SESTA CIVILESOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. SCOTTI Umberto LuigiCesare Giuseppe -Presidente -Dott. VALITUTTI Antonio -rel. Consigliere -Dott. MELONI Marina -Consigliere -Dott. TERRUSI Francesco -Consigliere -Dott. NAZZICONE Loredana -Consigliere -ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14848-2019 proposto da:F.T., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’Avvocato ROMINA TARGA;-ricorrente-contro M.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AURELIA, 385, presso lo studio dell’avvocato ANDREA SITZIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORELLA SITZIA;-controricorrente-avverso la sentenza n. 53/2019 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 19/02/2019;udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VALITUTTI ANTONIO.
Svolgimento del processo1. Con sentenza n. 312/2017, il Tribunale di Rovereto pronunciava la separazione personale dei coniugi F.T. e M.P., respingendo la domanda di addebito proposta dal marito, nonchè la domanda di corresponsione di un assegno di mantenimento a favore della moglie, e ponendo a carico del F. esclusivamente un assegno di mantenimento di Euro 250,00 ciascuno, a favore dei figli della coppia, maggiorenni non economicamente sufficienti.2. Su appello della M., la Corte d’appello di Trento, con sentenza n. 53/2019, depositata il 19 febbraio 2019 e notificata il 25 febbraio 2019, in parziale riforma della sentenza impugnata, poneva a carico del F. un assegno di mantenimento in misura di Euro 200,00 mensili, rivalutabile annualmente secondo indici Istat, confermando nel resto la sentenza di primo grado. Il giudice del gravame riteneva che, nella comparazione tra i redditi delle due parti, non potesse imputarsi all’appellante di non avere dimostrato l’impossibilità di trasformare il rapporto di lavoro part-time -in corso -in un rapporto full-time, o di avere trascurato altre occasioni di lavoro, trattandosi di circostanze
impeditive o limitative dell’assegno di mantenimento che avrebbero dovuto essere provate dal marito.3. Per la cassazione di tale provvedimento ha, quindi, proposto ricorso F.T. nei confronti di M.P., affidato ad un solo motivo. La resistente ha replicato con controricorso. Motivi della decisione1. Con l’unico motivo di ricorso, F.T. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.1.1. Si duole il ricorrente che il giudice di appello abbia operato una illegittima inversione dell’onere della prova, ponendo a suo carico la dimostrazione dell’impossibilità, per la consorte, di trasformare il rapporto in corso da rapporto a tempo determinato a rapporto a tempo indeterminato, e di avere trascurato più favorevoli occasioni di lavoro, laddove la prova della ricorrenza dei presupposti dell’assegno di separazione incomberebbe sul coniuge che ne richiede in giudizio il riconoscimento.1.2. Il motivo è inammissibile.1.2.1. Va, per vero, osservato che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicchè i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (Cass., 16/05/2017, n. 12196; Cass., 24/06/2019, n. 16809).1.2.2. Orbene, è ben vero che la prova dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno incombe su colui che chieda il mantenimento (Cass., 20/03/2018, n. 6886), e tuttavia è altresì evidente che, a fronte dell’accertamento positivo dei presupposti, compresa la mancanza di colpa del coniuge istante nel non riuscire a reperire un’occupazione confacente, operata dal giudice di merito sulla base delle allegazioni e dei riscontri probatori offerti dal coniuge richiedente, ricade sui colui che intenda contestare siffatta ricostruzione indicare, nel ricorso per cassazione -in adempimento del principio di autosufficienza -gli elementi di segno contrario allegati in sede di merito, e non valutati dal giudice di seconda istanza.
In tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce, invero, elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche, laddove venga, ad esempio, comprovata dall’altro coniuge, o sia pacifica in atti, l’esistenza di proposte di lavoro immotivatamente non accettate (Cass., 09/03/2018, n. 5817; conf. Cass., 04/04/2016, n. 6427; Cass., 13/02/2013, n. 3502).1.2.3. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha accertato in fatto che la M. ha reperito nel 2012 un’attività part-time presso un ente privato, e che, “a causa dell’età (56 anni), della prolungata estromissione dall’attività produttiva e della ormai obsoleta formazione”, la medesima non era riuscita a reperire altre e più convenienti attività lucrative. La Corte territoriale ha, altresì, accertato una sensibile differenza tra i redditi delle due parti, essendosi rivelati nettamente più alti -ancorchè i redditi immobiliari del marito non risultassero neppure dichiarati in maniera completa -quelli percepiti dal F., dipendente della Guardia di Finanza. A fronte di tali motivate conclusioni, il motivo di ricorso è del tutto generico, non evidenziando alcun elemento di prova di segno contrario -offerto al giudice di appello -circa una ipotetica colpa della M. nel non essere riuscita ad ottenere una modifica del rapporto di lavoro, o nell’avere rifiutato proposte di lavoro più favorevoli.2. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore della controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Reato di detenzione di materiale pedopornografico aggravato dall’ingente quantità

Cass. Pen., Sez. III, Sent., 11 maggio 2021, n. 18153; Pres. Di Nicola, Rel. Cons. Di Stasi
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. DI NICOLA Vito -Presidente -Dott. DI STASI Antonella -rel. Consigliere -Dott. SCARCELLA Alessio -Consigliere -Dott. REYNAUD Gianni Filippo -Consigliere -Dott. ZUNICA Fabio -Consigliere -ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:A.P.C., nato a (OMISSIS);avverso la sentenza del 24/01/2020 della Corte di appello di Firenze;visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Antonella Di Stasi;lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Tocci Stefano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;lette per l’imputato le conclusioni scritte dell’avv. Massimiliano Palena, che ha concluso riportandosi al ricorso ed insistendo nelle conclusioni ivi rassegnate.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 24/01/2020, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa in data 09/05/2019 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze -con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, A.P.C. era stato dichiarato responsabile del reato di detenzione di materiale pedopornografico aggravato dall’ingente quantità e condannato alla pena ritenuta di giustizia -rideterminava la pena in anni due di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa.2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.P.C., a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati.Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 600quater c.p., commi 1 e 2, art. 602ter c.p., comma bis, e correlato vizio di motivazione.Argomenta che non tutte le foto di minori in sequestro integrerebbero il disvalore individuato e sanzionatodall’art. 600-quater c.p.,e che, pertanto, ai fini dell’affermazione di penale responsabilità la Corte di appello avrebbe dovuto effettuare un’analisi dettagliata delle immagini ed una selezione delle foto che escludesse quelle non dotate di sufficiente offensività, alla luce del bene giuridico tutelato e, cioè, l’immagine, la dignità ed il corretto sviluppo sessuale del minore; neppure era stata disposta un’indagine scientifica sulle caratteristiche somatiche dei soggetti ritratti.Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante della ingente quantità, argomentando che la mancata visione integrale delle immagini non consentirebbe di quantificarle con esattezza e, quindi, di applicare l’art. 660 quater c.p., comma 2.Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 602 ter c.p., comma 9, e correlato vizio di motivazione, argomentando che erroneamente la Corte territoriale aveva affermato che la circostanza aggravante in questione si applicava a tutti i reati cui al comma 8 e non, invece, alle sole ipotesi aggravate ivi menzionate.Con il quarto motivo deduce violazionedell’art. 175 c.p.,e correlato vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale, pur concedendo la sospensione condizionale della pena, non aveva motivato in ordine all’applicabilità dell’ulteriore beneficio della non menzione della condanna.Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza.Si è proceduto in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, in base al disposto delD.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8conv. inL. n. 176 del 2020.Motivi della decisione1. Il primo motivo di ricorso è infondato.La Corte territoriale ha confermato l’affermazione di responsabilità, ritenendo integrato il reato di cui all’art. 600-quater c.p.,richiamando le inequivoche emergenze istruttorie, già ampiamente valutate dal giudice di primo grado: le immagini stampate dalla Polizia giudiziaria al momento dell’arresto dell’imputato ed il DVD allegato al verbale di arresto; i dati numerici e di contenuto riportati nella consulenza tecnica della Polizia postale, finalizzata ad estrapolare dai reperti in sequestro, le immagini rilevanti ai fini della contestazione; gli accertamenti tecnici svolti sul materiale in sequestro che comprovavano che l’imputato aveva “scaricato” e catalogato numerose immagini (fotografiche e filmate) aventi contenuto pornografico, centinaia delle quali riproducenti soggetti minorenni, sia nudi che in atteggiamenti sessuali espliciti; la confessione resa in occasione dell’interrogatorio in sede di convalida dell’arresto: l’imputato aveva ammesso i fatti, riferendo che aveva “scaricato” le immagini dal web, mediante accesso (con il sistema TOR) a sito dal quale, mediante link dedicati, poteva arrivare ai siti di suo interesse dai quali estrapolare le immagini pedopornografiche.Va ricordato che la scelta dell’imputato di procedere con il rito abbreviato rende utilizzabili tutti gli atti, legalmente compiuti o formati, che siano stati acquisiti al fascicolo del pubblico ministero (Sez. 5, n. 46473 del 22/04/2014, Rv.261006 -01; Sez. 2, n. 39342 del 15/09/2016, Rv. 268378 -01; Sez. 2, n. 3827 del 22/10/2019, dep. 29/01/2020, Rv. 277965 -01).La valutazione della Corte territoriale in ordine al carattere pedopornografico del materiale sequestrato è conforme al dato normativo ed ai principi espressi in subiecta materia dalla Suprema Corte.
In tema di pornografia minorile, in virtù della modifica introdotta dallaL. n. 172 del 2012, art. 4, comma 1 lett. l),(Ratifica della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale) -che hasostituito il comma 1dell’art. 600-ter c.p.,-costituisce materiale pedopornografico la rappresentazione, con qualsiasi mezzo atto alla conservazione, di atti sessuali espliciti coinvolgenti soggetti minori di età, oppure degli organi sessuali di minoricon modalità tali da rendere manifesto il fine di causare concupiscenza od ogni altra pulsione di natura sessuale (Sez.5, n. 33862 del 08/06/2018, Rv.273897-01); il riferimento alla “rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto” di cui all’art. 600-ter c.p.,u.c. ricomprende non solo gli organi genitali, ma anche altre zone erogene, come il seno e i glutei (Sez. 3, n. 9354 del 08/01/2020, Rv. 278639 -02).Nè coglie nel segno la censura difensiva che lamenta la mancata visione integrale da parte dei Giudici di merito del materiale sequestrato.Costituisce, infatti, affermazione pacifica che la valutazione del carattere pedopornografico del materiale compete al giudice il quale può servirsi degli ordinari mezzi di prova previsti dall’ordinamento (art. 187 c.p.p.), senza dover necessariamente procedere ad un esame diretto del materiale medesimo (Sez. 3, n. 3110 del 20/11/2013, dep. 23/01/2014, Rv. 259318 -01, che ha affermato il principio in fattispecie, nella quale la valutazione delgiudice territoriale si era fondata sulla testimonianza di un ufficiale di P.G. che, avendo visionato un file recuperato dal p.c. dell’imputato, ne aveva riferito il contenuto consistente nella ripresa di una bambina intenta a masturbarsi).2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.La Corte territoriale ha correttamente ritenuta sussistente la circostanza aggravante di cui all’art. 600 quater c.p., comma 2, rimarcando l’elevato numero delle immagini pedopornografiche rinvenute nei due hard disks dell’imputato, apprezzabile in termini di migliaia (6.393 file video e 1.385 foto), numero idoneo a valutare come di ingente quantità il materiale pedopornografico detenuto dall’imputato.Questa Suprema Corte ha, infatti, affermato il principio, che va ribadito, secondo cui la configurabilità della circostanza aggravante della “ingente quantità” nel delitto di detenzione di materiale pedopornografico (previsto dall’art. 600-quater c.p.,comma 2) impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti informatici detenuti, dato di per sè indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene (Sez.3, n. 35876 del 21/06/2016, Rv.268008 -01, nonchè Sez.3 n. 39543 del 27/06/2017, Rv. 271461 -01, che ha precisato che l’aggravante in esame risulta configurabile in ipotesi di detenzione di almeno un centinaio di immagini pedopornografiche, limite che rende in maggior misura percepibile il pericolo di implementazione del mercato illecito, che costituisce la ratio dell’inasprimento sanzionatorio fondante l’aggravante de qua).3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.I Giudici di merito hanno accertato che l’imputato aveva “scaricato” le immagini pedopornografiche dal web, mediante accesso ad apposito link con il sistema TOR, che consente di navigare sui siti pedopornografici senza far comparire il proprio indirizzo IP. Tale circostanza è stata correttamente ritenuta idonea ad integrare la ulteriore circostanza aggravante contestata e, cioè, quella di cui dell’art. 602-ter c.p.,comma 9.In tema di detenzione di materiale pedopornografico, infatti, è configurabile l’aggravante dell’uso di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche, di cui dell’art. 602-ter c.p.,comma 9, nel caso in cui l’agente ponga in essere una qualunque azione volta ad impedire la sua identificazione, eludendo le normali modalità di riconoscimento, a partire da quelle relative all’accesso fisico al computer fino a quelle di inserimento nella rete stessa (Sez. 3, n. 32166 del 08/10/2020, Rv. 280042 -01).Nè coglie nel segno la deduzione difensiva, secondo cui la circostanza aggravante in questione sarebbe applicabile alle sole ipotesi di reati circostanziati di cui all’art. 602 ter c.p., comma 8.
Il disposto normativo è del tutto chiaro: il comma 9 predetto articolo dispone che le “pene previste per i reati di cui al comma precedente sono aumentate in misura non eccedente i due terzi nei casi in cui gli stessi siano compiuti con l’utilizzo di mezziatti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche”; trattasi di circostanza aggravante ad effetto speciale che determina un aumento di pena superiore ad un terzo con espresso riferimento ai reati di cui agli artt. 600-bis, 600-ter, 600 quater, 600 quater 1, 600 quinquies c.p..La diversa lettura della disposizione invocata dal ricorrente, non solo si scontra con la chiarezza della norma (in daris non fit interpretatio), ma anche con la stessa natura delle circostanze, quali elementi accidentali, accessori del reato rispetto alla fattispecie del reato semplice, che incidono sulla sua gravità, comportando una modificazione della relativa pena.4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.Questa Corte ha affermato che il mancato esercizio del potere di cui all’art. 597 c.p.p., comma 5, non è censurabile in cassazione, ne è configurabile in proposito un obbligo di motivazione, in assenza di una specifica richiesta, almeno in sede di conclusioni nel giudizio di appello, ovvero, nei casi in cui intervenga condanna la prima volta inappello, neppure con le conclusioni subordinate proposte dall’imputato nel giudizio di primo grado (Sez. U-, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 22/05/2019, Rv. 275376; Sez. 5, n. 37569 del 08/07/2015, Rv. 264552; Sez. 6, n. 13911 del 6 febbraio 2004, P.G. in proc. Addala, Rv. 229214).Nella specie, la richiesta di applicazione del beneficio di cuiall’art. 175 c.p.non era oggetto di motivo di appello nè era stata avanzata in sede di conclusioni nel giudizio di appello (cfr verbale di udienza del 24.1.2020).Datanto discende, alla luce del principio di diritto summenzionato, l’infondatezza del motivo in esame, dovendosi escludersi ogni ipotesi di violazione di legge (o di difetto di motivazione), sia per il mancato esercizio del potere di cuiall’art. 597 c.p.p., comma 5, sia per la omessa giustificazione al riguardo, in difetto di specifica richiesta da parte dell’imputato.5. Consegue il rigetto del ricorso e, in base al dispostodell’art. 616 c.p.p.,la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52in quanto imposto dalla legge.

Assicurazione sulla vita: se il beneficiario premuore si applica l’art. 1412 c.c.

Cassazione civile, sez. III, 15 Aprile 2021, n. 9948. Pres. Frasca. Est. Fiecconi.
Fatti
1. Con ricorso notificato il 15 gennaio 2018 * e *, illustrato da memoria, impugnano la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 4597/2017, pubblicata il 7 novembre 2017, notificata a mezzo PEC in data 14 novembre 2017, relativamente a un giudizio instaurato nei confronti di CNP Unicredit Vita S.p.A., in cui è intervenuta * quale terza chiamata, deceduta il * e rappresentata nel giudizio di merito dall’avv. Raffaele de Simone che mai ne ha dichiarato l’evento interruttivo.
2. Il ricorso, notificato alla Va. presso l’indicato suo difensore con espressa indicazione dell’essere essa deceduta, è affidato a due motivi.
3. Ha resistito con controricorso CNP Unicredit.
4. Il ricorso, discusso il 26 febbraio 2020 in sede di adunanza camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c., è stato rinviato a nuovo ruolo per consentirne la trattazione in pubblica udienza, vertendo su questioni di rilievo nomofilattico per le quali non constano precedenti specifici.
5. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte per l’accoglimento del ricorso. La resistente ha depositato memoria.
6. Con la pronuncia impugnata, la Corte di merito ha respinto la pretesa dei ricorrenti, quali eredi di M.P.S., di incassare dalla compagnia assicuratrice quanto maturato da quest’ultima quale beneficiaria della polizza assicurativa nonostante essa fosse premorta rispetto allo stipulante, e ciò in ragione di una di un’assicurazione sulla vita “mista” stipulata il * dal sacerdote * in favore della perpetua, cui i ricorrenti sono succeduti per disposizione testamentaria del 15 giugno 2011. La beneficiaria era improvvisamente deceduta il *, prima della morte dello stipulante, intervenuta il *, e all’epoca la compagnia aveva ricevuto una missiva con cui il sacerdote comunicava la rinuncia alla facoltà di revoca del beneficio, accettata dalla terza beneficiaria.
7. Il motivo di opposizione al pagamento da parte della compagnia assicuratrice convenuta è riferito al fatto che, nel corso del rapporto, alla compagnia assicuratrice era pervenuto un successivo disconoscimento della sottoscrizione apposta sulla rinuncia della facoltà di revoca da parte dello stipulante, nonchè dopo la morte della beneficiaria – la revoca della disposizione in favore di altra beneficiaria, sorella del sacerdote e sua unica erede ( *). L’assunto della compagnia assicuratrice, che ha pagato l’indennizzo alla seconda beneficiaria nominata dal de cuius e non agli eredi della prima beneficiaria, qui ricorrenti, è che la nomina della prima beneficiaria sia venuta meno a causa: a) della premorienza della beneficiaria; b) della invalidità della rinuncia alla facoltà di revoca per sottoscrizione non riconducibile ai disponente che le ha comunicato il disconoscimento; c) della successiva nomina di altra beneficiaria in sostituzione della prima premorta, cui in ogni caso non potevano succedere i ricorrenti, trattandosi di una nomina intuitu personae con funzione previdenziale, e ciò anche qualora la rinuncia alla facoltà di revoca fosse ritenuta valida. La compagnia assicuratrice, in via subordinata, ha invocato il pagamento al creditore apparente, chiedendo la chiamata in causa in sua manleva di *. Quest’ultima si era costituita nel primo grado di giudizio per chiedere l’annullamento della polizza ex art. 428 c.c., posto che la rinuncia alla facoltà di revoca era stata spedita allorchè il sacerdote era stato ricoverato per un attacco ischemico che aveva minato le sue facoltà mentali e comunque era stata successivamente disconosciuta dal de cuius; deduceva inoltre che, in ogni caso, la polizza era da intendersi nulla per il fatto che, diversamente, avrebbe configurato una donazione priva del requisito di forma, ovvero un patto successorio vietato dalla legge.
8. I ricorrenti, nel corso del giudizio di primo grado, hanno dichiarato di volersi avvalere della scrittura di rinuncia del 9 giugno 2011 disconosciuta dal sacerdote e hanno contestato l’autenticità della sottoscrizione dello stipulante sulla lettera contenente la revoca della designazione della prima beneficiaria e la nomina della nuova beneficiaria, chiedendone la verificazione; la assicuratrice, per parte sua, ha chiesto la verificazione della scrittura del 16 dicembre 2011. I giudici di merito hanno rigettato la domanda decidendo allo stato degli atti sulla questione, ritenuta prettamente giuridica, circa la trasmissibilità mortis causa del diritto al beneficio in una fase precedente al verificarsi dell’evento assicurato (morte dell’assicurato), ritenendo irrilevanti le scritture disconosciute di cui si è chiesta la verificazione. Per maggiore completezza, rileva osservare che il giudizio di primo grado si è concluso con la dichiarazione di carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti in virtù della natura previdenziale o intuitu personae della disposizione a favore di terzo, venuta meno a causa della premorienza della beneficiaria.
9. La Corte di appello, motivando diversamente in iure, dopo avere affermato la sussistenza della legittimazione attiva degli eredi della prima beneficiaria a svolgere l’azione de qua, giacchè la loro pretesa si correla a quella della loro avente causa, ha ritenuto che in caso di premorienza della beneficiaria il diritto di credito concernente l’ammontare dell’indennizzo, che viene a maturare con la morte del disponente, non sia trasmissibile agli eredi della beneficiaria premorta perchè non ancora venuto in essere, essendo tale diritto collegato all’evento della morte, con la conseguenza che il credito pertanto sarebbe rimasto nel patrimonio del contraente che avrebbe potuto liberamente disporne; che, pertanto, detto credito, si sarebbe trasmesso comunque alla sua unica erede, anche in caso di inefficacia dell’atto di successiva sua nomina quale beneficiaria. Irrilevante, pertanto, sarebbe stato stabilire la ammissibilità o meno della revoca del beneficio assegnato alla prima beneficiaria, non individuabile più come tale dopo la sua morte o la riconducibilità all’assicurato della successiva revoca della prima beneficiaria e designazione di altra beneficiaria.

Motivi
1. Va premesso che l’istituto controricorrente ha sollevato questioni preliminari infondate in merito alla validità della notifica dell’impugnazione al procuratore alle liti della terza chiamata, deceduta in corso di causa. Nel controricorso di Unicredit si rende noto che la terza chiamata Va. (sorella del disponente assicurato) è deceduta nel giudizio di primo grado, il * e che la medesima, in tutto il corso del giudizio di merito, è stata rappresentata dal suo difensore in appello che si è assunto la responsabilità di continuare il ministero per accordi presi con i suoi eredi. Osserva il Collegio che, ove la notificazione non fosse stata valida (come invece è stata), si sarebbe dovuto ordinare il rinnovo della stessa nei suoi confronti, in quanto, per effetto della chiamata fatta nei suoi confronti da Unicredit al fine di essere manlevata dalle conseguenze della soccombenza nei confronti dei qui ricorrenti, si era determinato un litisconsorzio necessario processuale tra essa ed i litiganti originari relativamente alla decisione sulla domanda originaria (Cass., Sez. Un., n. 24707 del 2015); altro litisconsorzio necessario processuale si è inoltre determinato per la proposizione della domanda di nullità del contratto assicurativo, svolta dalla Va.. Tuttavia, posto che la notifica è stata fatta al procuratore costituitosi nel giudizio che aveva la procura per ogni grado di giudizio, e mai ha dichiarato il decesso dell’assistita, soccorre quanto ritenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 15295 del 04/07/2014 (Rv. 631467-01), là dove ha stabilito il principio in base al quale la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione – ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale – in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso di lui, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, senza che rilevi la conoscenza “aliunde” di uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c., da parte del notificante.
1.1. Sempre preliminarmente, si dimostra infondata l’eccezione di improcedibilità per mancato deposito del fascicoletto della terza chiamata ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, sull’assunto che nel ricorso si fa riferimento ad atti giudiziari della terza chiamata, perchè i fatti essenziali, oltre a non essere dalle parti contestati nel loro materiale accadimento, sono tra l’altro riportati dai ricorrenti nelle note a piè di pagina con riferimento alle proprie allegazioni e produzioni, specificamente indicate, e in ogni caso sono oggetto di analisi solo per come sono stati giuridicamente inquadrati e valutati. Pertanto, il mancato deposito degli atti della terza chiamata non assume rilievo. Ugualmente infondata è la questione di inammissibilità del ricorso per avere i ricorrenti fatto riferimento ad atti della terza chiamata. Nel ricorso si fa sufficiente richiamo agli a giudiziari degli attori e dei convenuti e ai documenti prodotti dai ricorrenti, tra l’altro trascritti quanto al loro contenuto nelle note. Inoltre, nella parte dedicata alla sommaria esposizione dei fatti di causa, la vicenda viene sufficientemente descritta.
2. Passando al merito del ricorso, con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione dell’art. 1412 c.c., comma 2 e o dell’art. 1920 c.c., comma 3, là dove nella sentenza non si è considerato che il diritto della beneficiaria della polizza assicurativa sulla vita, cui sono succeduti per testamento gli attuali ricorrenti, si sarebbe trasmesso alla beneficiaria al momento della stipula della polizza, nonostante essa sia deceduta prima del disponente, e ciò in virtù dell’inefficacia della revoca della sua designazione intervenuta dopo il suo decesso, per effetto della dichiarazione che disponeva l’irrevocabilità della indicazione della beneficiaria, intervenuta prima della morte della perpetua.
2.1. Il motivo è fondato. La Corte di appello, dopo aver affermato la legittimazione dei ricorrenti, eredi della prima beneficiaria del contratto di assicurazione sulla vita, a far valere la pretesa della loro dante causa, derivante dall’assicurazione sulla vita, ne ha rilevato l’infondatezza sull’assunto che al momento della morte del disponente, e quindi quando il credito è venuto ad esistenza, la prima beneficiaria non era più in vita, essendo premorta, e pertanto la indicazione della beneficiaria doveva ritenersi inefficace in quanto il credito, sorto al tempo della morte del disponente, non poteva essere vantato da un soggetto già venuto meno, bensì dal medesimo assicurato, e dunque dai suoi eredi in caso di mancata o invalida nomina di altri beneficiari, o comunque dalla persona validamente indicata quale nuovo beneficiario. Ragionando di tal guisa, la Corte ha ritenuto superfluo affrontare le successive questioni di merito relative al valido esercizio di una rinuncia al potere di revoca della beneficiaria da parte del disponente (disconosciuta dalla controricorrente convenuta), accettata dalla beneficiaria, o della validità della successiva dichiarazione scritta di revoca della beneficiaria premorta e contestuale nomina di nuovo beneficiario, nella persona della sua stessa unica erede, inviata all’assicuratore (a sua volta disconosciuta dai ricorrenti) (v. pp. 7 e 8 della motivazione). In particolare la Corte di merito ha ritenuto che nel contratto di assicurazione sulla vita il “diritto di credito rimane destinato a sorgere nel patrimonio del contraente concretizzandosi in capo agli eredi al momento della sua morte”(p. 9 della sentenza) e che la premorienza della beneficiaria “non può avere determinato il trasferimento di alcun diritto di credito concernente tale indennizzo in capo a chi alla signora M.P.S. è succeduto” (p. 7 della sentenza) “stante l’inesistenza di un diritto di credito della signora M.P.S. relativo all’indennizzo e la impossibilità di individuare nella designazione da parte del sig. * del beneficiario dell’indennizzo nella signora M.P.S. la volontà di rendere beneficiario chi a lei fosse succeduto”, e ciò a prescindere dalla validità o meno dell’atto di rinuncia alla facoltà di revoca o del successivo atto di nomina della sorella quale ultima beneficiaria, essendo il diritto di credito rimasto nel patrimonio del disponente e nei fatti andato comunque a favore della sua unica erede (p. 8 della sentenza).
2.2. L’impostazione seguita dalla Corte di merito nell’interpretare il contratto de quo e nel determinare gli effetti a favore del terzo nominato come beneficiario al momento della morte del disponente non è conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di assicurazione sulla vita a favore di un terzo e, più in generale, di contratto a favore del terzo cui detto negozio si riferisce, per espressi richiami normativi contenuti nelle norme che lo tipizzano, regolandone diversamente alcuni aspetti negli artt. 1919 c.c. e segg.. Nel contratto di assicurazione per il caso di morte, il beneficiario designato acquista, ai sensi dell’art. 1920 c.c., comma 3, un “diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione” che trova la sua fonte nel contratto e, pertanto, è opinione dominante che sin dalla designazione del terzo esso fuoriesca dal patrimonio del soggetto stipulante ed entri a far parte del patrimonio del beneficiario. In altri termini, nel momento in cui l’assicurato individua il beneficiario, è la stessa norma che indica che questi acquista un diritto iure proprio.
2.3. L’art. 1920 c.c., inoltre, fa discendere l’acquisto del diritto da parte del terzo non tanto dalla stipula del contratto, bensì dalla designazione del beneficiario e dall’accettazione da parte di quest’ultimo, a differenza di quanto previsto con riferimento al contratto a favore del terzo. Tali dichiarazioni, inoltre, debbono essere comunicate all’assicuratore che deve adempiere l’obbligazione, e ciò ai fini dell’opponibilità della designazione effettuata dal disponente. E infatti, proprio perchè si tratta di un “diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione”, per esigenze di tutela dell’affidamento e di certezza del diritto, la nomina del beneficiario o la revoca della nomina a favore di un altro beneficiario, e la stessa rinuncia alla facoltà di revoca, non possono essere desunte da una volontà implicita o effettuata per atti equipollenti, ma deve risultare in termini espliciti e nelle forme scritte e comunicate all’assicuratore previste per la designazione del terzo ex artt. 1920 e 1921 c.c., anche per via testamentaria, con specifica attribuzione della somma assicurata, a favore di una determinata persona.
3. In più, si osserva che già solo analizzando le norme che disciplinano il contratto di assicurazione sulla vita si desume che la liquidazione dell’indennizzo dovuta dall’assicuratore al terzo beneficiario alla morte del disponente – fatto che realizza l’evento assicurato – fa già parte del patrimonio del terzo che l’abbia accettata. Difatti l’art. 1921 c.c., prevede che la revoca del beneficio non può farsi dagli eredi dopo la morte del contraente una volta che il beneficiario abbia dichiarato di volerne profittare. E’, poi, opinione largamente condivisa dalla dottrina che gli effetti del contratto assicurativo sulla vita non dipendono dall’accertamento della finalità dell’attribuzione patrimoniale (previdenziale, gratuita o onerosa), proprio perchè la ragione sottesa al contratto ha una causa propria ritenuta ex lege meritevole di tutela, a prescindere dal motivo sottostante che spinge un soggetto a stipularlo.
3.1. La giurisprudenza, sul punto, è intervenuta per escludere la funzione indennitaria dell’assicurazione sulla vita, evidenziandone la normale finalità di risparmio o di capitalizzazione (v. da ultimo, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12261 del 14/06/2016, in riferimento alla opponibilità al fallimento dei pagamento del riscatto al fallito; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12353 del 24/05/2006). In altre ipotesi, si è anche sottolineato che è un contratto che può assolvere a molteplici finalità concrete: dalla garanzia, alla previdenza, alla liberalità. Peraltro, lo scopo pratico più frequente è quello di previdenza, quando siano indicati come beneficiari persone che vivono del lavoro del contraente (ad es., assicurazione sulla vita stipulata dal coniuge lavoratore, a favore dell’altro coniuge non lavoratore ed a carico del primo). Quando invece i beneficiari sono persone che non ricevono sostentamento dal contraente, lo scopo pratico più frequentemente avuto di mira dal contraente, e che deve presumersi ex art. 2727 c.c., è la liberalità. In tale ultima ipotesi l’assicurazione sulla vita costituisce una donazione indiretta di cui all’art. 809 c.c., rispetto alla quale il donatum è rappresentato dai premi pagati, non dall’indennizzo. Ma anche in considerazione di una sottostante finalità gratuita, l’indennizzo non è tuttavia dovuto dall’assicuratore al beneficiario a titolo gratuito, ma a titolo oneroso a fronte del premio pagato. E’, infatti, il pagamento del premio, effettuato per beneficiare un terzo, che costituisce pertanto il c.d. “negozio-mezzo” (l’assicurazione) utilizzato per conseguire gli effetti del “negozio-fine” (la donazione) (così Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7683 del 2015, citata dai ricorrenti).
3.2. Del resto, la conferma della sostanziale autonomia del contratto di assicurazione a favore del terzo dai rapporti sottostanti al contratto si riscontra nell’art. 1413 c.c., relativo al contratto a favore del terzo, certamente espressione di un principio generale là dove indica che il promittente può opporre al terzo le eccezioni fondate sul contratto dal quale il terzo deriva il suo diritto, ma non anche quelle fondate su altri rapporti tra promittente e stipulante, proprio per sottolinearne l’autonomia causale.
4. Da tutto quanto sopra consegue che il beneficiario, per effetto della designazione, acquista un diritto soggettivo perfetto al pagamento della “indennità” correlato al pagamento dei premi assicurativi da parte dell’assicurato finchè in vita. Le pronunce giurisprudenziali hanno anche messo in rilievo che si tratta di un diritto di credito, proprio del beneficiario, di cui egli può liberamente disporre per atto inter vivos o mortis causa e che, alla sua morte, si trasmette agli eredi, a meno che la designazione non venga revocata, con ciò facendo intendere che il beneficio che va a maturare post mortem appartiene al beneficiario già prima dell’eventus mortis, e non all’assicurato, a meno che il beneficio non venga revocato.
4.1. In particolare, si è escluso che il diritto di credito acquisito dal terzo possa essere oggetto di (eventuali) disposizioni testamentarie da parte dello stipulante, nè di devoluzione agli eredi secondo le regole della successione legittima, a meno che non sia stata disposta a favore di questi ultimi la revoca della precedente designazione del beneficiario (cfr. per tutte Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 25635 del 15/10/2018; Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 26606 del 21/12/2016). Sicchè si è ritenuto che qualora, in ipotesi, il contratto preveda che l’indennizzo debba essere corrisposto agli “eredi legittimi o testamentari”, tale designazione concretizza una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all’eredità, senza che rilevi la (successiva) rinunzia o accettazione dell’eredità da parte dei medesimi (cfr. per tutte, Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 25635 del 15/10/2018; Sez. 2, Sentenza n. 26606 del 21/12/2016; Sez. 3, Sentenza n. 19210 del 29/09/2015; Ord. S.U. 8095/07; Cass. 4484/96; 6531/06). Conseguentemente, il beneficiario istituito nel rispetto delle formalità previste dalla legge nell’art. 1920 c.c., pur potendo nominalmente coincidere con il soggetto che succederà iure hereditatis nel patrimonio dell’assicurato, non acquisisce un diritto facente parte dell’asse ereditario del disponente, ma un diritto cali ricevere la prestazione dovuta direttamente dall’assicuratore per effetto della designazione a questi comunicata per iscritto, una volta verificatasi la condizione di esigibilità della prestazione ovvero la morte del disponente – che certamente non si qualifica come condizione di esistenza del diritto a riscuotere l’indennizzo.
4.2. Ne consegue che, una volta stipulato il contratto di assicurazione sulla vita, in capo al contraente-disponente è data solo la facoltà, prevista nell’art. 1921 c.c., comma 1, di revocare, anche per via testamentaria, la designazione del terzo beneficiario, nonostante il terzo abbia dichiarato di volerne beneficiare. Purtuttavia, anche rispetto all’esercizio di tale residuale facoltà di revoca del beneficio da parte dell’assicurato, la legge indica un ampio margine di autonomia per il disponente a favore del beneficiario designato, posto che è prevista la rinuncia preventiva a detta facoltà ex art. 1921 c.c., comma 2, accompagnata dalla dichiarazione del beneficiario di volerne profittare, con comunicazione per iscritto da inviarsi all’assicuratore. E difatti, la revoca e la designazione di un diverso beneficiario in sostituzione, ove il contraente non abbia rinunciato a detta facoltà, ex art. 1921 c.c., si realizza nelle stesse forme previste nell’art. 1920 c.c. e dunque anche con disposizione testamentaria.
5. La rinuncia alla facoltà di revoca del beneficiario, pertanto, ha l’effetto di cristallizzare nel tempo il diritto del beneficiario e, certamente, neutralizza ogni diversa disposizione da parte del contraente, stabilizzando l’attribuzione del beneficio in capo alla persona designata che ne ha voluto profittare sino all’eventus mortis del disponente.
6. Quanto alla natura del negozio di rinuncia al potere di revoca del beneficio da parte del disponente, la dottrina maggioritaria lo definisce quale atto unilaterale inter vivos, recettizio nei confronti del solo promittente; altra parte, minoritaria, lo considera come un negozio bilaterale tira stipulante e terzo, esterno al contratto a favore di terzo anche nei confronti del solo promittente, che si pone in deroga ai patti successori, e dunque costituisce norma eccezionale insuscettibile di interpretazione analogica. In questo dibattito traspare che ciò che non è pacifico in dottrina è il momento in cui, con tale atto di rinuncia, si perfeziona il definitivo acquisto del beneficio da parte del terzo, con accettazione del beneficiario, data la natura irrevocabile della disposizione.
6.1. Tale questione è rilevante per dirimere il caso di specie, proprio in relazione all’intervenuta premorienza della beneficiaria che, fino a prova contraria, è stata designata con atto divenuto irrevocabile per espressa rinuncia della facoltà di revoca, posto che i ricorrenti assumono di essere succeduti al beneficio, divenuto irrevocabile per volontà del contraente, per successiva disposizione testamentaria della beneficiaria. Sul punto, la Corte di merito si è chiaramente espressa nel senso di ritenere che la premorienza del beneficiario non sia in grado di determinare un fenomeno successorio del diritto in ogni caso, e ciò a prescindere dalli esercizio o meno della facoltà di revoca. Tuttavia, l’asserto omette di confrontarsi non solo con le norme in esame ma, soprattutto, con il dibattito teorico che ne è seguito.
6.2. Difatti, l’ipotesi di premorienza del beneficiario è espressamente disciplinata nell’art. 1412 c.c., comma 2, che nel contratto a favore di terzo dispone il trasferimento agli eredi del beneficiario in caso di sua premorienza, fatto salvo l’esercizio della facoltà di revoca (in grado pertanto di impedire tale trasmissione) o altra diversa disposizione. Occorre dunque chiedersi se la regola riferita al contratto a favore di terzo, ma non parimenti richiamata nella disciplina del contratto di assicurazione della vita, possa valere per il contratto de quo.
6.3. Nel caso in esame, pertanto, occorre valutare se la possibilità di trasmettere, inter vivos o mortis causa, detto beneficio agli eredi del beneficiario premorto sia ammessa anche nel caso di assicurazione sulla vita. Soprattutto, data la peculiarità dell’assicurazione sulla vita, normalmente finalizzata a realizzare un atto di previdenza o di liberalità intuitu personae, occorre chiedersi se la trasmissibilità agli eredi per premorienza del beneficiario prevista per il contratto a favore di terzo sia un effetto naturale anche del contratto assicurativo, pur non essendo, per quanto sopra detto, il contratto subordinato alla sussistenza di un interesse dello stipulante. Di altrettanta rilevanza dirimente è, poi, la questione se, nel caso in cui l’attribuzione del beneficio sia stato accompagnato da una successiva rinuncia della facoltà di revocarlo, tale disposizione sia in grado di rafforzare l’elemento dell’intuitu personae rispetto a un atto dispositivo che è per regola trasmissibile agli eredi del beneficiario, salvo appunto la espressa revoca del beneficio od ogni altra diversa disposizione.
7. A monte, dunque, occorre tornare a valutare la compatibilità del principio che ammette l’immediata efficacia dell’atto di designazione del beneficio, accompagnato dalla rinuncia al potere di revoca, con il divieto di stipula di patti successori di cui all’art. 458 c.c.. La soluzione, invero, non può che evincersi ragionando in generale sulla funzione di tale contratto e sugli effetti che naturalmente determina nel mondo giuridico, per come sopra già delineati nei suoi tratti essenziali dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
7.1. Sul punto, la opinione più accreditata in dottrina è che la rinuncia al potere di revoca sia un negozio inter vivos post mortem del tutto distinto dai patti successori, attraverso il quale il rapporto giuridico si innesta tra disponente e beneficiario con effetti immediati sotto il profilo della costituzione del diritto in capo al beneficiario, mantenendo quindi fermo il principio, sopra detto, certamente valido nel caso in cui sia rimasta la facoltà di revoca. Mentre, l’opinione minoritaria vede nell’esercizio di tale rinuncia al potere di revoca una deroga legale al divieto di patti successori, e dunque un’assimilabilità a tali patti quanto all’effetto che esso provoca sulla capacità di disporre finchè si è in vita.
7.2. All’uopo, occorre confrontare la tesi prevalente, secondo cui la morte dello stipulante, anche in questa ipotesi, costituirebbe il termine per l’adempimento dell’obbligazione a favore del beneficiario, relativamente a un credito definitivamente entrato a far parte del suo patrimonio, con l’altra, minoritaria, in base alla quale l’acquisto in favore del terzo si perfeziona solo al momento della morte dello stipulante, operando tale evento quale condizione di efficacia dell’attribuzione, proprio perchè la rinuncia alla facoltà di revoca opera come un vero e proprio patto successorio. E in effetti, tale seconda tesi risulta incorporata nella motivazione qui impugnata, là dove ha assunto che il diritto della beneficiaria, premorta allo stipulante, sia venuto meno perchè non in grado di venire in esistenza al tempo della morte dello stipulante, peraltro senza offrire alcun confronto con la disposizione generale di cui all’art. 1412 c.c., comma 2, riferita al contratto a favore del terzo che prevede, invece, la trasmissibilità di detto diritto agli eredi del beneficiario premorto. Nella motivazione, inoltre, non si dà rilevanza all’esercizio della facoltà di revoca, in tesi validamente espresso dallo stipulante (salvo prova contraria).
7.3. Orbene, nel confronto delle due tesi, l’impostazione che vede la morte dello stipulante in ogni caso come un termine piuttosto che una condizione di esistenza – per il diritto alla prestazione assicurata deve essere preferita anche in riferimento a questa particolare ipotesi di premorienza del beneficiario, divenuto titolare di un diritto assicurativo divenuto (in ipotesi) irrevocabile, e ciò alla luce della disciplina generale riferita al contratto a favore del terzo (art. 1412 c.c.), entro il quale si inscrive il contratto di assicurazione sulla vita, pur con le differenze formali sopra viste, volte tuttavia a tutelare l’affidamento dell’assicuratore tenuto al pagamento del credito. In proposito, questa Corte ha già offerto qualche spunto per orientarsi, rimarcando la netta – distinzione tra contratto a favore di terzo con esecuzione della prestazione nell’eventualità della morte dello stipulante, regolata nell’art. 1412 c.c. e i patti successori, i quali sono da considerarsi invalidi proprio perchè vengono in esistenza al tempo della morte del disponente e sottraggono poste attive all’asse ereditario che, altrimenti, andrebbero a beneficio degli eredi.
7.4. In particolare, occorre riferirsi a distinguo giurisprudenziali già presenti a livello di sistema. Con riferimento a un contratto di deposito irregolare di somme di danaro in cui si stabiliva che un terzo potesse prelevare la somma solo dopo la morte dello stipulante, la giurisprudenza vi ha ravvisato una nullità derivante dalla violazione del divieto di patti successori sancito dall’art. 458 c.c., proprio in ragione del fatto che il terzo avrebbe acquisito il diritto di restituzione del tantundem solo al tempo della morte dello stipulante, e non prima (Cass. sez. 2, n. 8335/1990; Cass. 2404/1971). Mentre si è considerato che, nella prestazione a beneficio del terzo la cui esecuzione acquisti efficacia nell’eventualità della morte dello stipulante, si tratta dell’esecuzione di una prestazione che è già entrata nel patrimonio disponibile del beneficiario, ed è dunque trasmissibile ai suol eredi ex art. 1412 c.c., comma 2: pertanto in tale ipotesi non può ravvisarsi una deroga legale al divieto di patto successorio, proprio in virtù dell’acquisto immediato del diritto da parte del beneficiario, da escutere al tempo della morte dell’assicurato.
7.5. Nella motivazione della pronuncia di questa Corte n. 8335/1990 (sopra citata), tale distinguo risulta ancora meglio scolpito, là dove testualmente si indica che la qualifica di contratto a favore del terzo, in caso di costituzione di deposito irregolare di somme da restituire dopo la morte del disponente “risulta, poi, fondatamente esclusa anche perchè nel caso previsto dalla norma di cui all’art. 1412 c.c. la stipulazione, inter vivos, è immediatamente operante a favore del terzo, come si desume dal comma 2 dello stesso articolo, per il quale la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questo premuore allo stipulante, purchè il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente. Nel caso di specie, invece, il diritto alla restituzione della somma data in deposito è stato attribuito alla * con effetto dalla morte del disponente, intendendo questi, come si è detto, assicurarle “una vita dignitosa e conforme al grado sociale”: tipica disposizione, dunque, a causa di morte, concretatasi, però, in un contratto che, per i vincoli che importava, correttamente è stato considerato contra legem” (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8335 del 1990, in motivazione).
7.6. Pertanto, nel panorama giurisprudenziale si colgono già molti argomenti per ritenere che, a livello di sistema, la disposizione de qua, rientri nello schema del contratto a favore del terzo “dopo la morte dello stipulante” regolata nell’art. 1412 c.c., ove l’esecuzione della prestazione è prevista, appunto, post mortem dello stipulante, e istituisce un diritto del beneficiario designato trasmissibile ai suoi eredi, posto che anche in questo caso non tanto la sua esistenza, ma la sua esigibilità si determina con la morte del disponente, e ciò a prescindere dal motivo intuitu personae o previdenziale sottostante alla designazione del beneficiario, usualmente rinvenibile nel contratto di assicurazione sulla vita. Vale all’uopo la considerazione che, non essendo detto istituto inquadrabile nell’ambito di un patto successorio, non vi sono ostacoli per ricorrere ai principi generali rinvenibili nel contratto a favore del terzo cui le disposizioni in esame fanno, per molti e diversi aspetti, espresso riferimento (v. art. 1920 c.c., che fa riferimento agli artt. 1411 e segg.).
7.7. Sicchè, anche la rinuncia alla facoltà di revoca, in tale contesto, è solo tesa a rafforzare ancora di più il legame con il beneficiario (intuitus personae), mettendo al riparo l’affidamento di quest’ultimo da un ripensamento da parte dello stipulante, tant’è che nel caso dell’assicurazione sulla vita la legge condiziona l’efficacia della rinuncia alla facoltà di revoca all’accettazione per iscritto del beneficio da parte del beneficiario e alla comunicazione scritta di entrambe le dichiarazioni alla promittente assicuratrice ex art. 1921 c.c., comma 2 (quest’ultima ai fini della opponibilità alla compagnia assicuratrice), come sopra visto. Il che significa che con tale disposizione, certamente in grado di determinare un indissolubile legame tra il beneficiario dell’assicurazione e il contraente, si debba ritenere inclusa la regola della trasmissibilità del beneficio agli eredi del beneficiario premorto, prevista in via generale nell’art. 1412 c.c., comma 2, proprio perchè il beneficio assegnato intuitu personae al terzo nell’eventualità di morte dell’assicurato, nel sistema, non è equiparabile a un patto successorio, in ragione di quanto sopra detto, ed entra nella immediata disponibilità patrimoniale del beneficiato, sulla base del principio generale indicato nell’art. 1420 c.c., comma 3, sopra considerato.
7.8. Al lume di quanto sopra considerato va pertanto affermato il seguente principio di diritto: “La disposizione di cui all’art. 1412 c.c., comma 2, in base alla quale, con riferimento al contratto a favore del terzo, la prestazione al terzo, dopo la morte dello stipulante, deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purchè il beneficio non sia revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente, si applica anche al contratto di assicurazione sulla vita. Ne consegue che, qualora in detto contratto il terzo beneficiario premuoia al disponente (e non ricorrano le dette due evenienze), non si può ritenere che il diritto a suo favore non sia sorto in quanto condizionato alla morte del disponente. Nel detto contratto la morte del disponente non è, infatti, evento condizionante la nascita del diritto alla prestazione, ma evento che determina solo la sua esigibilità, e ciò a prescindere dal motivo intuitu personae o previdenziale sottostante alla designazione del beneficiario”.
7.9. La corte territoriale, reputando che il diritto alla prestazione potesse insorgere solo con la morte del disponente ha, dunque, erroneamente considerato la premorienza della beneficiaria come un fatto che automaticamente escludeva la possibilità che detto diritto potesse nascere a favore dei suoi eredi. Invece, ai fini dell’esclusione dell’operatività della disposizione a favore degli eredi del beneficiario premorto occorreva accertare l’efficacia della rinuncia alla facoltà di revoca della disposizione e del disconoscimento della relativa sottoscrizione da parte del disponente, nonchè della revoca della disposizione e della nomina di altro beneficiario, e in funzione di detti accertamenti esaminare le istanze di verificazione. Questioni che dovrà esaminare il giudice del rinvio, dando corso – ferma la valutazione sui presupposti per procedervi, in particolare quanto alle istanze di verificazione agli accertamenti già richiesti dalle parti e cui non aveva proceduto nemmeno il giudice di primo grado.
7.10. Il giudice del rinvio dovrà pertanto esaminare il merito della controversia al lume dei principi sopra esposti.
8. Il secondo motivo è assorbito per effetto dell’accoglimento del ricorso, là dove si denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione delle norme in tema di regolamentazione delle spese processuali ex artt. 91 e 92 c.p.c. e ciò in ragione della mancata compensazione delle spese processuali nonostante la novità delle questioni affrontata dai giudici di merito.
9. Conclusivamente, la Corte accoglie il ricorso relativamente al primo motivo, con assorbimento del secondo; per l’effetto cassa la sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Milano perchè decida, in diversa composizione, anche per le spese.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso relativamente al primo motivo, con assorbimento del secondo; per l’effetto, cassa la sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Milano perchè decida, in diversa composizione, anche per le spese.

Art. 614 bis c.p.c.. Il diritto-dovere di visita del genitore non collocatario non è suscettibile di coercizione

Corte d’Appello Milano, Sez. minori, Sent., 21 aprile 2021
CORTE D’APPELLO DI MILANO Sezione delle Persone, dei Minori, della Famiglia
composta dai magistrati:AlbertoMassimo Vigorelli -PresidentePaola Tanara -Consigliere rel.Valentina Paletto -Consigliereha emesso la seguente
SENTENZA nel procedimento d’appello in oggetto, proposto con appello depositato in data 16.11.2019
daT.M., nata a M. il (…) (C.F. (…)), rappresentata e difesa -giusta procura in calce all’atto d’ appello -dall’Avv. ….e dall’Avv….., entrambi del Foro di Catania APPELLANTEcontroB.A., nato a T. (S.) il (…) (C.F. (…), rappresentato e difeso -giusta procura allegata all’atto di costituzione e risposta -dall’Avv. Boletta Emanuele del Foro di Sondrio, presso il cui studio, sito in Tirano (SO), Via Lungo Adda V Alpini, n.6, è elettivamente domiciliato APPELLATO
OGGETTO: Appello avverso la sentenza n. 893/2019 del Tribunale di Monza, emessa il 04.04.2019 e pubblicata il 16.04.2019 nel procedimento di separazione giudiziale tra coniugi n. 10535/2015 R.G. Con l’intervento del Procuratore Generale dott. C.T.
Svolgimento del processo -Motivi della decisione1. Il sig. B.A. e la sig.ra T.M. hanno contratto matrimonio concordatario in data 20.05.2006; in costanza di matrimonio, sono nati N.(n. il (…)) e S. (n. (…)).Il rapporto coniugale si è concluso nel mese di luglio 2015, quando il sig. B. ha abbandonato la comune residenza.2. In data 23.09.2015, la sig.ra T. ha depositato ricorso presso il Tribunale di Monza per ottenere la dichiarazione di separazione giudiziale con addebito a carico del sig. B..Chiedeva, inoltre, l’affido esclusivo dei figli a sé e il collocamento dei medesimi presso di lei, dichiarandosi in ogni caso disponibile all’affido condiviso. In relazione al rapporto padre-figli chiedeva che il B. tenesse presso di sé i figli a fine-settimana alterni (dal sabato alle ore 10.00 alla domenica alle ore 17.00) nonché un pomeriggio infrasettimanale (indicativamente il martedì dalle ore 16.00 alle ore 20.45); 15 giorni consecutivi col nel mese di agosto di ogni anno, nonché applicazione del principio di alternanza nei giorni festivi durante l’anno. In punto di contributo economico, la sig.ra T. formulava istanza di riconoscimento di un assegno perequativo a suo favore di Euro. 600,00 mensili; per i figli, chiedeva la condanna di controparte al
versamento di Euro. 1.625,00 mensili a titolo di concorso al loro mantenimento con decorrenza dal luglio 2015 (da rivalutarsi annualmente secondo indici ISTAT), oltre al 50% delle spese straordinarie.3. In sede di Cost. in data 11 gennaio 2016, il sig. B. chiedeva il rigetto delle istanze avversarie in punto di addebito della separazione in capo allo stesso e in punto di attribuzione di assegno perequativo. In relazione ai figli, chiedeva l’affidamento condiviso, senza nulla eccepire circa il collocamento prevalente degli stessi presso la madre, il riconoscimento del suo diritto di visita a fine-settimana alterni dal venerdì sera alla domenica sera e per un giorno infrasettimanale, aderendo alla prospettazione di controparte in relazione ai periodi festivi. Si dichiarava disponibile a versare un contributo per mantenimento dei figli di Euro. 500,00 mensili (per entrambi i figli), oltre al 50% delle spese straordinarie superiori a Euro. 100,00, ove debitamente documentate e concordate fra i genitori.4. All’esito dell’udienza ex art. 708 c.p.c., il Presidente, con ordinanza del 21.1.2016 affidava i minori in via condivisa tra i coniugi, regolamentava il diritto di visita del padre poneva a carico di quest’ultimo un contributo per il mantenimento dei figli di Euro. 650,00 mensili oltre il 50% delle spese extra-assegno.5. Con sentenza del 04.04.2019, pubblicata il 16.04.2019, in questa sede impugnata, il Tribunale di Monza ha dichiarato la separazione personale dei coniugi, rigettando l’istanza di addebito della separazione e pronunciandosi sui rapporti patrimoniali tra i genitori e i figli nonché sui rapporti personali padre-figli. In particolare:a) ha disposto l’affidamento condiviso dei minori ai genitori, con collocazione prevalente presso la madre regolamentando i rapporti padre-figli;b) ha dichiarato inammissibile l’istanza presentata dalla sig.ra T. ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c. che si doleva del mancato rispetto da parte del B. del calendario di visite padre-figli, così motivando: “la sanzione di cuiall’art. 614 bis c.p.c. può accedere, per espressa previsione normativa, unicamente a sentenze di condanna, ad un obbligo (determinato) di fare o di non fare. I provvedimenti relativamente ai figli, adottati dal Tribunale ai sensi dell’art. 377 bis c.c. relativi al regime di affidamento, alla regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale e alla determinazione dei tempi e delle modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore, non comportano alcuna statuizione di ‘condanna’ a carico dell’uno e dell’altro genitore”;c) ha invitato le parti ad avviare un percorso di sostegno alla genitorialità con l’assistenza dei Servizi Sociali territorialmente competenti;d) ha assegnato la casa coniugale sita in C. M. (M.) alla sig.ra T.;e) in punto di contributo al mantenimento dei figli, ha confermato i provvedimenti presidenziali (Euro. 650,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie);
f) ha rigettato la domanda di riconoscimento di assegno perequativo a favore dalla sig..ra T.;g) ha compensato tra le parti le spese di lite nella misura di due terzi, condannando la sig.ra T. a rifondere a controparte il restante terzo.6. Ha ritualmente interposto il presente gravame la sig. T., lamentando:i) l’erronea esclusione dell’applicabilità dell’art. 614 bis c.p.c. alla fattispecie de qua, sostenendo l’esperibilità dell’azione volta a dissuadere il padre dalla violazione dei propri doveri genitoriali, rimarcando che, al mancato rispetto del calendario di visite padre-figli conseguono maggiori esborsi per la madre che deve demandare ad una baby-sitting la cura dei minori;ii) la mancata completa valutazione delle condizioni reddituali e patrimoniali dell’appellato, che ha portato il Tribunale a determinare un contributo paterno per il mantenimento dei figli del tutto insufficiente, a maggior ragione in quanto nel corso del procedimento di primo grado la condizione economica del B. era significativamente migliorata atteso che: l’immobile sito in R., di sua proprietà non era più oggetto di sequestro, bensì regolarmente locato; i proventi di tale locazione coprono integralmente i costi del mutuo che grava sull’abitazione di quest’ultimo;iii) nelle more del procedimento, il B. aveva estinto due finanziamenti.iv) Il predetto non doveva più far fronte alle rate di mutuo gravante sulla ex casa familiare in quanto assuntointegralmente dalla sig.ra T..Ha pertanto concluso chiedendo l’aumento del contributo posto a carico del padre per il mantenimento dei figli ad Euro. 1.100,00 mensili (oltre al 50% delle spese extra assegno) con vittoria delle spese di lite in entrambi i gradi del procedimento.7. Si è costituito ritualmente il sig. B., chiedendo il rigetto dell’appello conrifusione delle spese di lite.Pur assumendo di incontrare regolarmente ifigli, e quindi negando gli assunti di controparte in merito alla violazione del diritto di visita padre-figli, ha richiamato il recente orientamento della Corte di legittimità, secondo il quale il diritto-dovere del genitore non collocatario a far visitaal figlio minore non è suscettibile di coercizione, essendo oggetto di una “autonoma e spontanea osservanza dell’interessato” (Cass. Civ., Sez. I, ordinanza del 06.03.2020, n. 6471).Ha poi contestato la pretesa dell’appellante in punto di contribuzione per i figli deducendo:-che sul suo stipendio mensile di circa Euro. 2.500,00 mensili grava il pignoramento richiesto dalla sig.ra T. (di circa Euro. 450,00/470,00) per ratei di mutuo relativo alla casa familiare non corrisposti;-di versare a favore dei figli Euro. 150,00/200,00 per i pasti fuori casa in occasione della visita settimanale, oltre a Euro. 100,00 mensili a titolo di spese straordinarie ed Euro. 68,30 per la copertura assicurativa e le spese mediche;-di dover far fronte ad un esborso mensile di circa Euro. 250,00/300,00 per la benzina;
-che i suoi debiti pregressi non sono estinti, in quanto corrisponde Euro. 50,00 mensili a titolo di rateizzazione dei debiti erariali; inoltre, è imminente l’avvio di un’azione legale da parte di B.I. nei suoi confronti, non avendo questi onorato i propri debiti; -che ha sempre partecipato alle spese quotidiane di vita e relative all’abitazione di proprietà della compagna con cui vive.8. All’udienza del 27.01.2021, avanti a questa Corte, tenutasi alla presenza di parte appellata e dei procuratori delle parti, venivano sentiti i presenti sulle circostanze ritenute rilevanti ai fini del decidere; all’esito dei richiesti chiarimenti, la Corte invitava le parti a transigere la vertenza, indicando quale propostal’aumento dell’assegno di mantenimento dei figli ad Euro. 750,00 mensili rinviando il procedimento all’odierna udienza.9. In questa sede, la Corte, preso atto del fallimento delle trattative intercorse, sentiti i difensori che si sono riportati alle conclusioni dei rispettivi atti, nonché il Procuratore Generale che ha chiesto il rigetto dell’appello, ha trattenuto la causa in decisione.Reputa la Corte che l’appello proposto debba essere parzialmente accolto neitermini di seguito illustrati.Riguardo al primo motivo di appello, questa Corte ritiene corretta la valutazione del Tribunale di Monza circa l’inapplicabilità dell’art. 614 bis c.p.c. in caso di violazione del diritto di visita padre-figli-In proposito si reputa pienamente condivisibile il recente orientamento giurisprudenziale secondo il quale: “in tema di rapporti con la prole, il diritto dovere di visita del figlio minore spettante al genitore non collocatario, non è suscettibile di coercizione neppure nelle forme indirette previste dall’art. 614 bis c.p.c., trattandosi di un ‘potere-funzione’ che, non essendo sussumibile negli obblighi la cui violazione integra una grave inadempienza ex art. 709 ter c.p.c., è destinato a rimanere libero nel suo esercizio, quale esito di autonome scelte che rispondono anche all’interesse superiore del minore ad una crescita sana ed equilibrata” (Cass. Civ., Sez. I, ordinanza del 06.03.2020, n. 6471; in senso conforme Cass. Civ., Sez. I, 13.08.2019, n. 21341). Come opportunamente osservato dalla Corte di legittimità, l’esposta interpretazione è conforme alla giurisprudenza della Corte europea per la tutela dei Diritti dell’Uomo secondo cui: “l’impegno delle autorità nazionali a facilitare tale collaborazione non è destinato a tradursi nell’obbligo di ricorrere alla coercizione che, in materia, non può che essere limitato, nella ribadita necessità della valutazione dei diritti e delle liebrtà delle persone coinvolte per un apprezzamento dell’interesse superiore del minore e dei diritti al medesimo conferiti dall’articolo 8 della Convenzione (Volesky c. Repubblica ceca, n. 63267/00, 118, 29 giugno 2004), nel rispetto di un margine di ragionevolezza che dee comunque guidare ogni intento volto ad agevolare l’esercizio del diritto di visita (Nuutinen c. Finlandia, n. 32843/96, 128, 27 giugno 2000)” (Cass. Civ., Sez. I, ord. n. 6471 cit.).Con riferimento al secondo motivo di appello, si osserva che, dagli atti (dichiarazione dei redditi del 2020) risulta che il sig. B. percepisce un reddito di Euro. 2.570,00 mensili (Euro. 42.100,00 lordi annui).Ciò posto, corretta -per lo meno nell’an se non nel quantum -risulta la osservazione articolata dall’appellante secondo la quale dal 2016 (epoca dei provvedimenti presidenziali) ad oggi gli esborsi periodici fissi del sig. B. sono diminuiti. Risulta, infatti che lo stesso nel 2017 ha estinto un
finanziamento con rate mensili di Euro. 319,95, e nel corso del 2019 un altro finanziamento con rate mensili pari ad Euro. 200,25; convive attualmente a Milano con la nuova compagna pressola di lei abitazione, e pertanto non è più gravato da oneri locatizi; di recente ha posto in locazione un immobile di sua proprietà sito in R., dal quale pertanto percepisce un reddito.Si aggiunga che attualmente, il B. risulta gravato esclusivamente dalpignoramento del quinto dello stipendio richiesto dalla sig.ra T. (per Euro. 450,00 mensili) ed è debitore della somma di Euro. 13.299,11 nei confronti di I.S. S.p.a,, debito rispetto al quale non è stata ancora iniziata alcuna azione esecutiva (cfr. raccomandata I.S.P. del 16.9.2020).Per quanto attiene alla capacità economica della sig.ra T., contrariamente a quanto esposto nella sentenza impugnata, dalla documentazione prodotta, la medesima risulta amministratrice insieme al fratello della società di famiglia S. S.r.l. avente come oggetto sociale “logistica industriale” (verbale di assemblea societaria dell’1.9.2016), con un emolumento mensile di Euro. 1.800,00, emolumento sospeso dal luglio 2020 verosimilmente in ragione dell’intervenuta emergenza sanitaria.Ha poi percepito i proventi della vendita dell’immobile sito in R. del quale era divenuta proprietaria a seguito di assunzione del mutuo (in precedenza gravante anche sul B.) .Ed ancora, il finanziamento chiesto per l’avvio della libreria acquistata a Cesano Maderno risulta estinto (trattandosi di finanziamento rateizzato in 60 mesi contratto nel febbraio 2015).Deve pertanto concludersi che l’unico esborso che al momento l’appellante deve sostenere è il canone di locazione pari ad Euro. 1.290,00.Alla luce del costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “a seguito di separazione dei coniugi o dei conviventi more uxorio, nel quantificare l’ammontare del contributo dovutodal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre all’apprezzamento delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vi vita da lui goduto” (così ex plurimis Cass. civ. sez I 18.7.2019 cn. 19455) e tenuto conto dell’età dei minori (13 e 10 anni), considerata la provata diminuzione degli esborsi fissi a carico del sig. B., pare equo determinare in questa sede, in riforma della sentenza appellata, il contributo per il mantenimento dei figli a carico dell’appellato in Euro. 750,00 mensili rivalutabili annualmente secondo gli indici ISTAT con decorrenza da dicembre 2019, mese successivo al deposito dell’atto d’impugnazione (sulla decorrenza tra le tante cfr. Cass. civ. sez. I ord. 4.5.2018 n. 10788)Il rigetto del primo motivo d’appello e la riforma parziale della sentenza impugnata (con un aumento del contributo per il mantenimento dei figli a carico del padre di soli Euro. 100,00 mensili), rende equa la compensazione tra le parti delle spese della presente fase, ferma restando la statuizione sulle spese del primo grado.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla sig.ra T.M. contro B. avverso la sentenza n. 893/2019 emessa dal Tribunale di Monza in data 04.04.2019 nel procedimento R.G. n. 10535/2015 e pubblicata il 16.04.2019, così provvede:in riforma parziale della sentenza impugnata determina il contributo per il mantenimento dei figli dovuto da B.A., con decorrenza da dicembre 2019, in Euro. 750,00 mensili rivalutabili annualmente secondo gli indici ISTAT. Conferma nel resto. Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Al corrispettivo della vendita di un bene personale versato in un conto cointestato non si applica la presunzione di contitolarità del denaro giacente sul conto

Tribunale di Roma, sent. 17 maggio 2021
TRIBUNALE DI ROMA SEZIONE DICIASSETTESIMA (EX NONA) CIVILE in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Maria Pia De Lorenzo, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 29779 del RGAC dell’anno 2016, avente ad oggetto “Fideiussione”, decisa ai sensi dell’art. 281-quinquies c.p.c. sulle conclusioni delle parti prese all’udienza del 28.4.2021 e successiva discussione della causaTRAD.M. rappresentata e difesa dall’avv. DE BAGGIS ALESSANDRA, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato.-OPPONENTEEC.D.C., rappresentato e difeso dagli avv.ti PAOLI GUIDO e FRANCESCA MASSI, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Francesca Massi.-OPPOSTO
Svolgimento del processo -Motivi della decisione1.1. In data 16 aprile 2016, con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, M.D., come sopra rappresentata, conveniva in giudizio C.C.D. per ivi sentire accogliere nei suoi confronti le conclusioni come sopra descritte.1.2. Parte ingiunta proponeva rituale opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 2749/2016 emesso dal Tribunale Civile di Roma con il quale le veniva intimato il pagamento immediato della somma pari a Euro 120.401,49 oltre interessi legali dalla domanda ed alle spese della procedura liquidate in Euro 2.135,00 per compensi ed Euro 406,50 per spese in quanto il C. aveva dedotto di vantare tale
credito per aver lo stesso provveduto, in quanto fideiussore, al pagamento integrale delle rate di mutuo fondiario erogato in favore della M. dalla B.S. per la complessiva somma di Euro 98.000,00 con contratto del 28.5.2005 per l’acquisto dell’immobile sito nel complesso immobiliare D. di P., nel comune di Arzachena. Il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma era provvisoriamente esecutivo e, per tale ragione, era stata costituita ipoteca sul predetto immobile.1.3. L’odierna parte opponente, al fine di ricostruire la vicenda, sosteneva quanto segue: in data 22.03.1973, la convenuta sostanziale e il C. contraevano matrimonio adottando quale regime patrimoniale quello della separazione dei beni. Orbene, nel giugno 2005 i coniugi decidevano di comune accordo che la M. acquistasse un immobile inS. nel medesimo complesso ove la opponente possedeva altro immobile adibito a casa familiare per le vacanze. L’atto di compravendita veniva stipulato dalla M. quale parte acquirente al prezzo di Euro 171.000,00, tuttavia parte di tale somma perveniva allaM. in ragione di un mutuo fondiario ottenuto dalla S.P.I. S.p.A. a garanzia del quale si costituiva quale garante il C.. Al contempo, la M., in data 17.7.2006 vendeva il l’immobile di cui era proprietaria al prezzo di 125.000,00 Euro che le pervenivano attraverso tre assegni bancari rispettivamente di Euro 22.000, 00, 3.000,00 e, infine, 100.000,00.La parte opponente asseriva che tali assegni venivano consegnati al marito C., affinché quest’ultimo potesse provvedere all’estinzione anticipata del mutuo, ma la M., solo all’esito del primo accesso agli atti della banca in data 15.3.2016, veniva a conoscenza di essere stata cointestataria unitamente al C. di un conto di deposito a risparmio (n. 1200/245) ove i predetti assegni erano stati versati a sua insaputa.Inoltre si avvedeva che l’intera provvista era stata utilizzata in data 28.02.2007 per l’acquisto di BOT per l’importo di Euro 148.189,69, come risultante da estratto conto bancario depositato in atti. Tale ammontare era stato poi rimborsato alla scadenza dei titoli per la somma di 150.000,00 Euro poi successivamente trasferito sul conto corrente nr. (…) intestato al solo C., mentre il conto n. (…) risultava estinto in data 28.08.2007. Altresì non appariva provato che tali somme fossero state utilizzate nell’interesse della famiglia. Pertanto, la convenuta sostanziale chiedeva la sospensione dell’esecutività del decreto ingiuntivo, il rigetto di ogni domanda dell’odierna parte opposta ed, infine, la condanna ex art. 96 c.p.c. della parte opposta.1.4. In data 22.11.2016, si costituiva in giudizio mediante comparsa di costituzione e risposta C.D.C., come sopra rappresentato, il quale chiedeva il rigetto delle pretese dell’opponente in quanto infondate in fatto ed in diritto e la conferma del decreto ingiuntivo telematico provvisoriamente esecutivo.Il C. sosteneva che le somme versate nel conto corrente cointestato erano state utilizzate per il pagamento di spese per la soddisfazione di esigenze personali della M., documentate da relative fatture e non, come affermava parte opponente, al fine di estinguere il mutuo contratto.
1.5. In data 11.5.2017, il Tribunale adito disponeva la sospensione del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo.2. Orbene la presente vicenda va interpretata partendo dalle norme in materia separazione dei beni in ambito matrimoniale, secondo le quali ai sensi degli art. 215 c.c. e ss. è stabilito che tutti gli acquisti, fatti successivamente al matrimonio restano di proprietà di chi ne ha sostenuto la relativa spesa, dunque, nel caso in cui uno dei coniugi acquisti un immobile, quest’ultimo ne sarebbe unico proprietario. In caso di separazione, a differenza di c iò che accade in regime di comunione dei beni, l’immobile resta necessariamente di proprietà del relativo titolare.2.1. Nel caso di specie, in virtù del predetto regime di separazione dei beni, l’immobile acquistato in costanza di matrimonio, intestato alla M. e pagato in parte mediante accensione di un mutuo per l’importo di Euro 98.000,00 concessole dalla B.S. S.p.A. per il quale si costituiva garante il marito C., doveva ritenersi di esclusiva proprietà della M..2.2. Altresì, in relazione alla destinazione delle somme ricavate dalla vendita del bene di esclusiva proprietà di uno dei coniugi, la giurisprudenza è univoca nel ritenere che per il corrispettivo della vendita, seppur versato su un conto corrente in comunione con il coniuge, qualora si dimostri che le somme non sono state versate a titolo di donazione ma abbiano diversa natura giuridica, non si applica la regola della contitolarità del denaro versato sul conto corrente cointestato. Questo avviene, ad esempio, nel caso in cui la parte provi che le somme depositate sul conto cointestato provenganoda un conto intestato solo ad uno dei due titolari o che siano il prezzo della vendita di beni personali o che siano il salario del proprio lavoro. Tutto ciòpuò essere dimostrato anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti dalle quali è possibile dedurre l’esistenza di una diversa situazione giuridica relativamente alla titolarità delle somme depositate sul conto (Cass. Civ., Sez.I, 6 novembre 2012, n. 19115).Inoltre, importante pronuncia della Corte afferma che “il requisito della proprietà esclusiva delle somme può essere desunto proprio dalla prova documentale dell’esclusiva provenienza del denaro da uno solo dei cointestatari del conto” ( Cass. Civ., Sez. I, 2 agosto 2013, n. 18540).2.3. Nel caso di specie, prescindendo da qualsiasi valutazione circa l’individuazione del soggetto che ha provveduto a versare le somme sul conto corrente cointestato e dall’effettiva contezza della opponente circa l’esistenza del conto di deposito bancario n. 1200/245, appare indiziariamente dimostrato che le somme (riconducibili ai su menzionati assegni) confluite nel conto corrente cointestato fossero il frutto della vendita del bene di esclusiva proprietà della M., circostanza peraltro non contestata, e, in quanto tali, dovevano considerarsi appartenere all’odierna parte opponente, nonostante il loro versamento sul conto di deposito cointestato.
2.4. Ciò nonostante, è altresì provato, in quanto neppure specificamente contestato, che le suddette somme siano state dapprima utilizzate dal C. al fine di acquistare BOT e, successivamente, dopo il disinvestimento dei titoli, prelevate e versate sul conto a lui stesso unicamente intestato.3. Date queste premesse, ritiene il giudicante che la ricostruzione offerta da parte opponente appaia verosimile sussistendo elementi sufficienti a configurare la costituzione di un c.d. rapporto di provvista a cura della M. per la estinzione del mutuo con il denaro ricavat o dalla vendita dell’immobile. Ed appare, altresì, verosimile, che la moglie avesse incaricato proprio quest’ultimo di provvedere all’estinzione del mutuo, essendo dimostrato dalle emergenze processuali che costui avesse confidenza con le operazioni bancarie. Vengono a questo punto in soccorso la disposizione in materia di delegazione di pagamento, di cuiall’art. 1268 c.c., che prevede la possibilità del debitore di delegare un terzo per eseguire un pagamento dovuto nei confronti di un creditore.3.1. Appare chiaro, come già in precedenza ribadito, che le somme versate sul conto corrente cointestato n. 1200/245 fossero il provento della vendita dell’immobile di esclusiva proprietà della M., ed appare verosimile che il C. avesse ottenuto la disponibilità del denaro, senz’altro di esclusiva proprietà della M. in ragione di quanto sopra ampiamente argomentato, quale provvista per poter onorare il debito contratto a titolo di mutuo fondiario con la Banca ma non abbia immediatamente versato i suddetti assegni al fine di estinguere anticipatamente il mutuo fondiario stipulato dalla M. con la B.S. S.p.A. preferendo il pagamento rateale secondo il piano di ammortamento.1.1. Peraltro, si deve far presente, ad abundantiam, che sebbene il fideiussore che ha pagato abbia azione di regresso contro il debitore non risulta che il C. abbia pagato il mutuo per essere stato escusso in quanto fideiussore da parte della Banca a fronte, ad esempio, di un eventuale inadempimento da parte della M..2. Si precisa, inoltre, quanto alla affermazione del C. secondo cui le somme provenienti dalla vendita dell’immobile erano destinate e dovevano essere utilizzate per onorare obbligazioni contratte nell’esclusivo interesse della M., per le quali costui ha depositato alcune fatture, deve dirsi che tale ricostruzione deve ritenersi del tutto arbitraria poiché i suddetti documenti non appaiono riconducibili ad esigenze personali della M. ma piuttosto si ritiene siano da ricondursi alla soddisfazione di generiche esigenze familiari cui le predette somme non erano, per quanto sopra enunciato, destinate a soddisfare.3. Più verosimile appare pertanto l’ipotesi che le somme provenienti dalla vendita dell’immobile di esclusiva proprietà della M. dovevano essere state versate al fine di rimborsare il mutuo fondiario e siano state al contrario utilizzate per effettuare gli investimenti di cui sopra i cui proventi sono stat i poi dirottati sul conto intestato al solo C., sicché quest’ultimo provvedendo al rimborso del mutuo non lo ha fatto con denaro proprio ma con le sostanze pervenutegli dalla M. e utilizzate con le
modalità sopra chiarite. In ragione, di tutto quanto premesso, l’opposizione dell’odierna convenuta appare fondata e, in quanto tale, deve essere accolta con conseguente revoca del decreto ingiuntivo e disposta la cancellazione dell’ipoteca sull’immobile di proprietà della M..4. Quanto alla domanda di parte opponente di cui all’art. 96 c.p.c. secondo cui il giudice condanna al risarcimento del danno, su istanza dell’altra parte, la parte soccombente che risulta aver agito in giudizio con mala fede o con colpa grave, si osserva che nelcaso di specie appaiono sussistere gli estremi per poter concedere detto risarcimento in ragione del comportamento della parte opposta che, nonostante fosse consapevole dell’infondatezza della sua domanda, ed in particolare della sicura provenienza del denaro e alla sua utilizzazione per destinazioni estranee all’intesa, ha agito ugualmente, costringendo la controparte a partecipare ad un processo ingiusto. Infatti, in ragione della ricostruzione su fornita, il giudicante ritiene che il C. avesse tutti gli strumenti per potere considerare la propria domanda infondata, priva di alcuna giustificazione e, quindi, del tutto temeraria.
P.Q.M.
Il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando nel contraddittorio tra le parti, ogni contraria istanza, eccezione e difesa respinte,accoglie l’opposizione di M.D. e, per l’effetto-Dispone la revoca del decreto ingiuntivo oggetto dell’opposizione;-Ordina l’immediata cancellazione dell’ipoteca giudiziale iscritta al registro generale n. 1190, registro particolare n. 120 del 19.2.2016 derivante da decreto ingiuntivo emesso il 05.02.2016 dal Tribunale Civile di Roma, numero di repertorio (…), gravante sugli immobili di proprietà di M.D. siti in A. (S.) in Località L. di V. -M., di cui al Foglio (…), particella (…), subalterno (…) e di cui al foglio (…), particella (…), subalterno (…) ;-Condanna la parte opposta al pagamento delle spese di lite nella misura di Euro 6000,00 -oltre ad imposte ed accessori come per legge;-pone le spese per il procedimento monitorio a carico della parte che le ha anticipiate;-condanna, altresì, l’opponente al pagamento della somma di 3.000,00 a titolo di responsabilità aggravata per lite temeraria, pari alla metà delle spese di lite come sopra liquidate.

Affidamento dei figli minori. Il giudice deve privilegiare quel genitore che assicuri il migliore sviluppo della personalità del minore

Cass. civ., Sez. I, Ord., 30 giugno 2021, n. 18603
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. ACIERNO Maria -Presidente -Dott. PARISE Clotilde -Consigliere -Dott. IOFRIDA Giulia -rel. Consigliere -Dott. CAIAZZO Rosario -Consigliere -Dott. CARADONNA Lunella -Consigliere -ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 15212/2019 proposto da:T.C., rappresentato e difeso dall’Avv…., come da procura speciale conferita in calce al ricorso per cassazione.-ricorrente-controF.S., rappresentata e difesa dall’Avv…., elettivamente domiciliata nello studio dell’Avv…., in Roma, via…, giusta procura speciale allegata al controricorso.-controricorrente-avverso la sentenza della Corte di appello di FIRENZE, n. 345/2019, pubblicata il 15 febbraio 2019;udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19 aprile 2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.
Svolgimento del processo Che:1. Con sentenza del 15 giugno 2019, la Corte di appello di Firenze ha rigettato l’appello proposto da T.C. in materia di assegnazione della casa coniugale e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da F.S., ha disposto l’affidamento esclusivo del minore, T.L., alla madre e ordinato alla società “tuOtempO” di pagare mensilmente alla F. la somma di Euro 350,00 mensili, previa trattenuta sui compensi del T. e comunque nel limite massimo di un terzo.2. La Corte di appello di Firenze, a sostegno della decisione impugnata, richiamando l’art. 337 quinquies c.c., ha rilevato che l’assegnazione della casa coniugale doveva essere disposta tenuto prioritariamente conto dell’interesse dei figli, fatta eccezione per circostanze particolari nel caso in
esame neanche ipotizzate, nè avevano rilievo le vicende relative alla proprietà dell’abitazione, di cui comunque il T. era divenuto proprietario, in quanto la madre nel dicembre 2015 aveva revocato la donazione delle quote effettuata a suo favore e a favore del fratello e aveva lasciato interamente a lui la piena proprietà della Doma s.r.l.. 3. I giudici di secondo grado hanno disposto, inoltre, l’affido esclusivo del figlio minore alla madre, stante che i comportamenti evidenziati dalla stessa e posti in essere dal T. (sostituzione della serratura e vendita dell’abitazione familiare, locazione della stessa) dimostravano la carenza del più elementare rispetto delle esigenze del figlio in tenera età, che al momento dello spoglio aveva poco più di sei anni, a fronte dei propri interessi, il che rendeva evidente che l’affidamento condiviso era contrario all’interesse del minore; non ricorrevano comunque le condizioni per l’affidamento esclusivo rafforzato o super esclusivo, chiesto dalla F., restando comunque opportuno un coinvolgimento del padre nelle decisioni di maggiore interesse per il minore.4. T.C. ricorre per la cassazione della sentenza impugnata con atto affidato a due motivi.5. F.S. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione Che:1. In via preliminare va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso perchè, contrariamente a quanto assunto dalla F., sia l’introduzione dell’atto, sia la procura speciale contengono l’elezione di domicilio e il ricorso anche l’indirizzo pec del legale del T..2. Va pure disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per la violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, essendo stato rispettato l’onere previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che impone alla parte ricorrente, a pena d’inammissibilità, nel giudizio di cassazione, trattandosi di rimedio a critica vincolata, l’indicazione di motivi aventi caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata e di indicare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. U., 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass., 24 febbraio2020, n. 4905).3. In ultimo va rigettata pure l’eccezione di inammissibilità sollevata ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., posto che la condizione di ammissibilità del ricorso, indicata nell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, introdotta
dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, non è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, laddove non vengano individuate le decisioni e gli argomenti sui quali l’orientamento contestato si fonda (Cass., 8 febbraio2011, n. 3142).4. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 337 quinquies e 337 sexies c.c., trovando nel caso in esame applicazione l’art. 337 sexies c.c. e non già la norma richiamata dai giudici di secondo grado, ovvero l’art. 337 quinquies c.c.; che l’art. 337 sexies c.c., configurava l’interesse dei figli come elemento prioritario, ma non esclusivo e che era possibile fare ricorso ad altri criteri, con specifica motivazione in merito, che assumeva maggiore rigore via via che aumentava l’età della prole; che era pacifico che l’immobile già adibito a casa familiare non era e non è mai stato di sua proprietà; la Corte, inoltre, aveva omesso di considerare le sue condizioni economiche che erano state debitamente documentate in primo grado dinanzi al Tribunale di Firenze. 4.1 Il primo motivo è infondato.4.2 E’ giurisprudenza di questa Corte che l’art. 337 sexies c.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 154 del 2013, in vigore dal 7 febbraio 2014) nella parte in cui prevede che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli” ha una ratio di protezione nei confronti di questi ultimi, tutelandone l’interesse a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, per mantenere le consuetudini di vita e le relazioni che in esso si radicano (Cass., 2013, n. 21334).L’assegnazione della casa coniugale non rappresenta, infatti, una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio o un modo per realizzare il mantenimento del coniuge più debole ed è espressamente condizionata soltanto all’interesse dei figli, essendo scomparso il criterio preferenziale costituito dall’affidamento della prole, a fronte del superamento, in linea di principio, dell’affidamento monogenitoriale in favore della scelta, di regola, dell’affido condiviso (Corte Costituzionale, 30 luglio 2008, n. 308)Questa Corte ha, infatti, ribadito che la scelta cui il giudice è chiamato non può prescindere dall’affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti che funge da presupposto inderogabile dell’assegnazione e che suddetta scelta non può essere condizionata dalla ponderazione tra gli interessi di natura solo economica dei coniugi o tanto meno degli stessi figli, in cui non entrino in gioco le esigenze della permanenza di questi ultimi nel quotidiano loro habitat domestico inteso come centro della vita e degli affetti dei medesimi (Cass., 22 novembre 2010, n. 23591).Con l’ulteriore corollario che l’assegnazione della casa coniugale è “uno strumento di protezione della prole e non può conseguire altre e diverse finalità” e che “detta assegnazione non ha più ragion d’essere soltanto se, per vicende sopravvenute, la casa non sia più idonea a svolgere tale essenziale funzione” (Cass., 22 luglio 2015 n. 15367; Cass., 12 ottobre 2018, n. 25604).4.3 In ultimo, va richiamato l’ulteriore principio affermato da questa Corte secondo cui ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6, nel testo sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 11, applicabile anche in tema di separazione personale, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare
al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorchè non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero -ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto -anche oltre i nove anni. Tale opponibilità conserva, beninteso, il suo valore finchè perduri l’efficacia della pronuncia giudiziale, costituente il titolo in forza del quale il coniuge, che non sia titolare di un diritto reale o personale di godimento dell’immobile, acquisisce il diritto di occuparlo, in quanto affidatario di figli minori o convivente con figli maggiorenni non economicamente autosufficienti (Cass., Sez. U., 26 luglio 2002, n. 11096; Cass., 19 giugno 2005, n. 12296; Cass., 3 marzo 2006, n. 4719).4.4 Orbene, non può revocarsi in dubbio che i principi di diritto richiamati abbiamo trovato applicazione nel caso in esame (al di là del richiamo improprio dell’art. 337 quinquies c.c.), avendo la Corte territoriale sottolineato, per l’appunto, la prevalenza dell’interesse dei figli ed avendo affermato che l’immobile in questione, nella disponibilità del T., era “incontestatamente” l’abitazione della coppia e del figlio minore L., nato il (OMISSIS).Deve, quindi, ribadirsi che la presenza di una prole da tutelare con l’assegnazione della casa coniugale rende improponibile un giudizio di comparazione tra le esigenze della proprietà (anche del soggetto terzo) e quelle di tutela dei figli della coppia separata o divorziata, nè è possibile ancorare alla tutela del preteso coniuge economicamente più debole una eventuale revoca di assegnazione della casa coniugale, atteso che, come dianzi detto, il diritto personale di godimento in questione esula dal tema dei diritti patrimoniali conseguenziali alla pronuncia di separazione o divorzio.5. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 337 ter e 337 quater c.c., in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., non avendo la F. dato la prova dei comportamenti richiamati nei confronti del figlio, nè poteva ritenersi che egli fosse divenuto sostanzialmente proprietario dell’immobile, poichè l’immobile oggetto di revoca di donazione era stato venduto il 18 dicembre 2015 alla società Germana Sail & Charter LTD e il contratto di affitto era stato stipulato da quest’ultima società ed anche nel provvedimento direintegra nel possesso del 19 maggio 2017 era stato affermato che lo spoglio era collocabile nell’arco temporale tra il 27 e il 29 dicembre 2015, quando era già di proprietà della società Germana Sail & Charter LTD. 5.1 Il motivo è fondato.5.2 In proposito, mette conto rilevare che nel quadro della nuova disciplina relativa ai “provvedimenti riguardo ai figli” dei coniugi separati, di cui ai citati artt. 155 e 155 bis c.p.c., come modificati dalla L. n. 54 del 2006, improntata alla tutela del diritto delminore (già consacrato nella Convenzione di New York del 20 novembre 1989 resa esecutiva in Italia con la L. n. 176 del 1991) alla cd. “bigenitorialità”, ovvero al diritto, dei figli a continuare ad avere un rapporto equilibrato con il padre e con la madre anche dopo la separazione, l’affidamento “condiviso”, che comporta l’esercizio della responsabilità genitoriale da parte di entrambi ed una condivisione, appunto, delle decisioni di maggior importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore, si pone non più come evenienza residuale, bensì come regola; rispetto alla quale costituisce, invece, ora
accezione la soluzione dell’affidamento esclusivo: alla regola dell’affidamento condiviso può, dunque, derogarsi solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore” (Cass., 8 febbraio 2012, n. 1777).Pur non potendo ragionevolmente ritenersi comunque precluso l’affidamento condiviso, di per sè, dalla mera conflittualità esistente fra i coniugi, poichè avrebbe altrimenti una applicazione, evidentemente, solo residuale, occorre, perchè possa derogarsi alla regola dell’affidamento condiviso, che risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale appunto da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore (Cass., 18 giugno 2008, n. 16593).5.3 Con la duplice conseguenza che:non avendo il legislatore ritenuto di tipizzare le circostanze ostative all’affidamento condiviso, la loro individuazione resta rimessa alla decisione del Giudice nel caso concreto da adottarsi con provvedimento motivato, con riferimento alla peculiarità della fattispecie che giustifichi, in via di eccezione, l’affidamento esclusivo;l’esclusione della modalità dell’affidamento condiviso dovrà risultare sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della responsabilità genitoriale e sulla non rispondenza, quindi, all’interesse del figlio dell’adozione, nel caso concreto, del modello legale prioritario di affidamento.5.4 Ancora va evidenziato che “In materia di affidamento dei figli minori, il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale -posto, per la separazione, nell’art. 155 c.c., comma 1 e, per il divorzio, dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 6, rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. L’individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla basedi un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, giudizio che, ancorandosi ad elementi concreti, potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonchè sull’apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente che è in grado di offrire al minore” (Cass., 27 giugno 2006, n. 14840).5.5 Ciò posto, la decisione in esame non risulta conforme ai principi enunciati da questa Corte, perchè non ha rispettato da un lato il parametro normativo sull’affido condiviso e quello duplice in negativo e in positivo, giurisprudenziale, e dall’altro, non ha operato una valutazione attuale
dell’inidoneità del padre, atteso che la prognosi si fonda su comportamenti del genitore risalenti nel tempo.5.6 Nello specifico, infatti, la Corte territoriale ha motivato l’affidamento del figlio minore in via esclusiva alla F. richiamando i comportamenti evidenziati dalla madre e posti in essere dal T., ovvero la sostituzione della serratura e poi la vendita dell’abitazione familiare e la locazione della stessa, nonchè la circostanza che il figlio minore avesse poco più di sei anni al momento dello spoglio, ed affermando che tali comportamenti dimostravano la carenza nel T. del più elementare rispetto delle esigenze del figlio in tenera età, a fronte dei propri interessi, il che rendeva evidente che l’affidamento condiviso era contrario all’interesse del minore.6. Per quanto esposto, va accolto il secondo motivo e rigettato il primo; la sentenza impugnata va cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte di appello di Firenze, in altra composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 aprile 2021