Svilire una donna per non aver generato un figlio maschio configura il reato di maltrattamenti

Trib. di Ascoli Piceno, Sez.pen., sent.24 aprile 2020 -Giud. Merletti
SENTENZA
nei confronti di-S.H. n. il (…) a M. K. ( I. )res: C. via R. 51
Svolgimento del processo
-Motivi della decisione
-Con decreto di giudizio immediato del 9.11.2018 S.H. veniva citato a giudizio per rispondere dei reati trascritti in epigrafe. All’udienza del 11.3.2019, dichiarata l’assenza dell’imputato, veniva aperto il dibattimento ed ammessi i mezzi istruttori, seguendo l’udienza del 20.6.2019 che veniva rinviata per essere stato il procedimento assegnato ad altro magistrato. A seguito dell’incidente cautelare costituito dall’interrogatorio dell’imputato, disposto a fronte della richiesta di aggravamento della misura formulata dal Pubblico Ministero ed eseguito in data 12.8.2019, all’udienza dell’11.11.2019, dato atto del mutamento della persona del giudice, venivano rinnovate le formalità di apertura del dibattimento con ammissione delle richieste istruttorie già formulate dalle parti, nonché veniva sentito il teste C.G. e il Pubblico Ministero e la parte civile producevano documenti. All’udienza del 9.12.2019 veniva sentita la teste K.I. e il Pubblico Ministero produceva documenti; all’udienza del 24.2.2020 le parti concludevano come da verbale e conclusioni scritte della difesa e, all’esito, il Tribunale pronunciava sentenza mediante lettura del dispositivo, riservando il deposito della motivazione nel termine di giorni sessanta.2 -Ritiene il decidente che l’imputato deve essere ritenuto responsabile dei reati ascrittigli, poiché le risultanze dibattimentali depongono nel senso della piena sussistenza dei fatti per cui si procede nel loro versante oggettivo e soggettivo. Il presente procedimento ha preso l’avvio, nelle forme del giudizio immediato, a seguito dell’arresto in flagranza dell’imputato in data 23.8.2018, con successiva convalida ed applicazione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere, poi progressivamente sostituita con quelle del divieto di avvicinamento alle persone offese e dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria.

Dal verbale di arresto in flagranza del 23.8.2018 risulta che personale della Stazione dei Carabinieri di Comunanza veniva inviato al civico 51 di Via R. di detto centro, per la segnalazione di un’aggressione a mezzo di un coltello da parte di un uomo alla propria moglie, giunta alla centrale operativa del 118 da parte di una bambina che si diceva figlia di dette persone. Giunti sul posto, gli operanti notavano davanti al portone del civico 51 una bambina di nazionalità indiana, successivamente identificata in K.K., la quale richiamava l’attenzione degli operanti stessi e si presentava in evidente stato di alterazione emotiva, piangeva a dirotto e chiedeva aiuto indicando una donna ferma sull’uscio del condominio. Quest’ultima veniva identificata in K.I. e si mostrava anch’ella in forte stato di agitazione, piangeva ed era spaventata; inoltre teneva le mani congiunte e sporche di sangue in quanto stava ancora sanguinando; aveva infine le spalline della maglia che indossava strappate. In prossimità vi era anche l’odierno imputato, che armeggiava vicino alla propria auto e si presentava con una maglietta a maniche corte di colore giallo chiaro, strappata ed insanguinata. Gli operanti facevano ingresso con la minore nell’abitazione e ivi trovavano il corridoio ed il salotto imbrattati di sangue; sulla lavatrice, poi, rinvenivano un paio di forbici successivamente poste in sequestro (cfr. verbale di arresto in flagranza del 23.8.2018).Vi è poi in atti il verbale di sequestro del 23.8.2018, relativo ad una forbice con impugnatura di colore bianco, della lunghezza di 16 cm e lama di 8 cm, di cui vi è anche rappresentazione fotografica. Esaminato in dibattimento sull’attività svolta, il teste C.G., comandante della Stazione dei Carabinieri di Comunanza, ha riferito che, alle ore 15,00 circa del 23.8.2018, veniva segnalata una richiesta di aiuto provenuta alla centrale operativa del 118 da una bambina e, giunto sul posto, notava effettivamente una bambina che faceva cenno agli operanti di fermarsi. Sulla scalinata del portone del condominio era seduta la signora K., che piangeva e perdeva sangue e teneva le mani congiunte come per tamponare le ferite; nei pressi girovagava nervosamente il marito della donna. Ha riferito il C. di essere entrato nell’abitazione insieme alla minore e di aver trovato tracce di sangue già sulle scale e sul pianerottolo, nonché nel corridoio e all’interno del salotto e della cucina. Inoltre la minore gli mostrava,su una lavatrice posta nel corridoio, un paio di forbici con il manico bianco, che si presentavano pulite e non intrise di sangue. La persona offesa veniva quindi portata al Pronto Soccorso, mentre l’imputato veniva tratto in arresto. Nel corso della successiva attività investigativa, ha riferito il C. che provvedeva ad acquisire presso la centrale operativa del 118 il file della conversazione telefonica con la richiesta di intervento, dal cui ascolto risultava effettivamente la voce della figlia minore della coppia. Quest’ultima, poi, forniva agli operanti il proprio cellulare, sul quale aveva registrato alcune conversazioni intercorse tra i genitori, che venivano estrapolate e riversate su un cd. Esse venivano sottoposte ad un interprete che provvedeva a trascriverle su supporto cartaceo e tradurle dalla lingua indiana (cfr. verbale da fonoregistrazione dell’11.11.2019).E’ stata esaminata nel corso del dibattimento, mediante l’ausilio di un interprete, la persona offesa K.I., la quale ha riferito di essersi trasferita in Italia nell’anno 2004 e che nell’anno 2006 iniziavano i suoi problemi con il marito, odierno imputato, in quanto il medesimo non accettava il fatto che la
donna fosse incinta di una figlia femmina: ogni giorno l’uomo le diceva che non voleva la bambina. Alla nascita di quest’ultima l’uomo prendeva a picchiarla e minacciarla, in particolare il giorno che la neonata veniva portata a casa dall’ospedale i due litigavano tutto il giorno; per i primi sei, sette mesi di vita della figlia l’imputato la picchiava in diverse occasioni e non assumeva verso la bambina un atteggiamento tenero.Inoltre, ha riferito la donna che il marito picchiava lei e la figlia almeno due o tre volte all’anno; che beveva di continuo; che ogni volta che litigavano le diceva di prendere la figlia ed allontanarsi dall’abitazione perché non le voleva in casa. L’uomo inoltre non si dedicava alla famiglia, in quanto tornava alle sette di sera dal lavoro e subito dopo usciva con i suoi amici, quindi tornava a casa, cenava edandava a dormire. In particolare, dopo la nascita della figlia iniziava ad ignorare la moglie, la quale, allorquando cercava di avere un dialogo con lui, ne riceveva in cambio risposte in malo modo; l’uomo la cercava soltanto per avere rapporti, mentre, se era lei a rivolgersi al marito, veniva ignorata oppure i due finivano per litigare.Secondo quanto riferito dalla teste, in una occasione, nel febbraio 2016, i due erano nella stessa stanza ed ella stava cercando di avere un dialogo con l’odierno imputato, ma questi prendeva a dirle parolacce e la sbatteva a terra, facendole urtare la testa contro una mensola di vetro. Inoltre l’uomo la rimproverava sempre perché, dopo la figlia, non erano nati altri bambini, circostanza che ai suoi occhi costituiva un problema; al momento del trasferimento della donna dall’India, il marito le aveva detto di vestirsi con i loro abiti tradizionali e non la lasciavalibera di uscire molto spesso.Quanto ai fatti dell’agosto 2018, la donna ha riferito che immediatamente prima si recava in India con la figlia e, al loro ritorno, il marito andava a prenderle in aeroporto; cominciava quindi a litigare con lei per questioni futili. La sera del 22.8.2018 l’imputato tornava dal lavoro e, durante una discussione, prendeva a picchiarla; la figlia interveniva per difendere la madre e l’imputato colpiva anche lei. La sera stessa la situazione tornava tranquilla, mentre il giorno dopo l’imputato usciva di casa per prendere il materiale che serviva alla donna per svolgere il suo lavoro adomicilio; poi ricevevano la visita del tecnico del computer e, quando questi andava via, l’imputato cominciava nuovamente a discutere con la K., accusandola di andare a letto con tutti gli uomini e anche con il tecnico che era appena stato nella loro abitazione.Ha poi proseguito la teste riferendo che la discussione continuava e l’imputato le chiedeva perché fosse tornata da lui, visto che egli voleva il divorzio, e le intimava di andare via insieme a sua figlia. Quest’ultima interveniva ed il padre la picchiava; a quel punto la donna telefonava al fratello in India per spiegare cosa stesse succedendo e per chiedergli di convincerlo a cambiare atteggiamento. L’imputato, però, riprendeva ad offenderla con parole del tipo “sei una puttana, non riesci più afare figli, non riesci più a mandare avanti la mia famiglia, non mi servi più”; le strappava quindi i vestiti e le procurava dei tagli con le forbici.In particolare, quanto a quest’ultimo aspetto, ha precisato la teste che, poiché l’imputato stava picchiando la figlia, ella si intrometteva per difendere la bambina, ma l’uomo prendeva un paio di forbici che la K. usava per lavorare e la feriva sulle mani e sulle braccia, oltre a colpirla con pugni. La donna iniziava a perdere sangue, quindi chiamava in soccorso la figlia, la quale a sua volta
telefonava al Pronto Soccorso; arrivavano i Carabinieri e successivamente la donna veniva portata al Pronto Soccorso di Amandola, ove le venivano diagnosticate le lesioni.Ha infine chiarito la teste che il marito laminacciava sempre con parole del tipo “tu mi conosci, vero? Sai quello che sono capace di fare, ti spezzo le gambe, ti ammazzo che le minacce erano rivolte soprattutto a lei, ma poiché la figlia era presente e si intrometteva a difendere la madre, anche aquest’ultima l’imputato diceva parole del tipo “ti ammazzo insieme a tua madre, sei come tua madre, non ti voglio vedere che prima dei fatti del 23.8.2018 non aveva mai parlato con i parenti dei comportamenti del marito e che aveva paura a denunciarlo poiché temeva di subire ulteriori violenze (cfr. verbale di udienza del 9.12.2019).In sede di incidente probatorio è stata esaminata, con modalità protette, K.K., figlia dell’imputato e di K.I., la quale, pur ammettendo di non aver prestato particolare attenzione alle discussioni tra i genitori perché relative a questioni “da adulti” come la gestione del denaro, ha comunque riferito:-di aver registrato un litigio tra i suoi genitori;-che il padre picchiava la madre una volta all’anno e in alcune occasioni colpiva anche lei, allorquando interveniva nelle loro discussioni;-di aver sentito parlare in una occasione i genitori della questione dei figli maschi e femmine;-che il padre beveva alcolici, mischiandoli anche tra loro, ed in quel caso andava “fuori di testa” ediceva “cose proprio stupide”;-che la sera prima del fatto i genitori “si stavano menando” e comunque stavano discutendo, quindi lei stessa cercava diintervenire ( “perché alla fine non è che ha sempre ragione papà”) ed il padre la colpiva in testa con una ciabatta; quindi si intrometteva la madre e l’imputato picchiava anche lei, successivamente la madre la portava in camera da letto e la faceva dormire con lei;-che il giorno dell’arresto il padre tornava dal lavoro e chiedeva alla moglie se voleva lavorare, la donna acconsentiva e poco dopo l’uomo tornava con il materiale, ma “non lo so che è successo, gli sono diventati gli occhi rossi” e si arrabbiava, poi, dopo il pranzo, afferrava la moglie per il vestito e la faceva cadere a terra ( “papà ha tirato mamma sotto”); la ragazzina quindi, spaventata, correva in camera; successivamente, chiamata dalla madre, la minore usciva dalla camera e vedeva la madre perdere sangue perché era ferita alle mani, mentre l’imputato le stava vicino con la maglia strappata e cercava di fermare la fuoriuscita di sangue; vicino vi era un paio di forbici, ma la ragazzina non sapeva dire con certezza se la madre fosse stata colpita con quelle; vedendo questa scena chiamava telefonicamente i soccorsi (cfr. verbale da fonoregistrazione di incidente probatorio del 29.10.2018).Quanto alla documentazione versata in atti, sono stati prodotti innanzitutto i referti dell’ospedaledi Amandola del 23.8.2018, dai quali risulta che K.I. presentava multiple ferite lacero-contuse da taglio superficiali e veniva dimessa con una diagnosi di “ferita lacero-contusa da morso, punta, taglio” giudicata guaribile in giorni sette, mentre a K.K. veniva diagnosticato un trauma cervicale giudicato guaribile in giorni sei (cfr. produzioni del P.M. all’udienza del 9.12.2019).
Vi sono poi in atti il verbale di trascrizione della telefonata fatta alla centrale operativa del 118 in data 23.8.2018, nonché il cd contenente i file audio estrapolati dal telefono cellulare di K.K. con relativa traduzione e trascrizione da parte dell’interprete (cfr. produzioni del P.M. all’udienza dell’11.11.2019).Dalla documentazione prodotta dalla parte civile all’udienzadell’11.11.2019 risulta poi che, in data 10.7.2019, l’imputato è stato dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale sulla figlia K.K. con provvedimento del Tribunale per i Minorenni di Ancona.3 -Orbene, in ordine alla valutazione di tale compendio dibattimentale, va innanzitutto puntualizzata la dubbia attendibilità della minore K.K., la quale, pur se sentita nelle forme dell’incidente probatorio con l’ausilio di un esperto, è parsa alquanto condizionata e reticente nelle sue esternazioni, tese soprattutto ad attribuire una parvenza di normalità alla vita del nucleo familiare. La ragazzina, difatti, ha più volte sminuito la portata dei litigi tra i genitori e ha cercato di sottrarsi alle domande, affermando che non si interessava alle vicende degli adulti della famiglia. Ma vi è di più: la stessa ha pacificamente ammesso i suoi sentimenti verso la complessiva vicenda processuale, mostrandosi interessata al rientro del padre in famiglia anche al fine di poter contare sulle risorse economiche necessarie allo svolgimento delle attività cui in precedenza si dedicava (cfr. pag. 14 di 38 verbale da fonoregistrazione del 29.10.2018: “io voglio che papà tornì perché non posso fare più sennò le attività perché mamma non ha la patente, nemmeno parla bene allora alle otto non è che qualcuno mi va a prendere, nemmeno posso tornare da sola perché ho paura che qualcuno mi rapisca perché gli indiani sono brutti anche tra di loro”; cfr. pag. 29 di 38: “papà è una persona importante per la famiglia, è importante perché prima di tutto porta più soldi per la famiglia, infatti… (…) la verità che conta solo i soldi ma è importante perché è un maschio, noi due siamo donne sole a casa, adesso, non possiamo far niente (…) mamma guadagna troppo poco, non si può fare quasi niente “).E’ del resto emersa la natura ambivalente di tali sentimenti, in quanto la minore ha riconosciuto che “alla fine non è che ha sempre ragione papà”; dunque ha manifestato delle parziali ammissioni rispetto ai temi salienti della vicenda, secondo quanto sopra compendiato.Nondimeno, si tratta di ammissioni rese su pressante sollecitazione dell’intervistatore, a fronte di domande spesso non solo suggestive, ma addirittura tendenti ad ottenere dalla teste una mera conferma. In tale contesto, e non essendo stata approfonditamente valutata da un esperto la capacità a testimoniare della minore, ritiene il decidente che le sue dichiarazioni siano altamente deficitarie sul piano dell’efficacia probatoria.4 -Anche prive del conforto della testimonianza della figlia, tuttavia, le dichiarazioni di K.I. appaiono del tutto adeguate a fornire sufficiente conforto probatorio ai fatti per cui si procede, avendo la medesima deposto in modo del tutto lineare, coerente, scevro da contraddizioni come pure da apparenti intenti calunniatori. Sono del tutto comprensibili le ragioni che spinto la donna a sporgere querela soltanto a distanza di tanto tempo dall’inizio delle condotte serbate dal marito: va
a tal proposito considerato che la persona offesa viveva dì fatto in una condizione di dipendenza economica, psicologica e sociale dall’uomo, in quanto giunta con lui in Italia e scarsamente integrata nel tessuto sociale locale. Ella, difatti, a distanza di un ampio lasso di tempo dal suo arrivo, non parla ancora correntemente la lingua italiana, svolge attività lavorativa soltanto dall’anno 2015 e il suo è comunque un lavoro a domicilio, che non le offre verosimilmente molte occasioni di confronto ed integrazione con la realtà locale.In tale contesto, il suo unicopunto di riferimento è sempre stato soltanto l’odierno imputato; ne deriva che, con la proposizione della querela, l’arresto del medesimo e l’applicazione della misura cautelare, la K. ha certamente peggiorato la sua condizione personale e sociale, poichéha perso il controverso legame con una persona che, nonostante tutto, provvedeva alle sue esigenze e a quelle della figlia e rappresentava l’unico familiare a lei vicino. Del resto, la donna ha espressamente ammesso che per molto tempo ha avuto paura a denunciare il marito per timore di ritorsioni, conoscendone l’indole violenta, e che non l’avrebbe comunque denunciato se la figlia non avesse chiamato le forze dell’ordine, spaventata per il fatto del 23.8.2018.Ciò rende assolutamente credibile la deposizione di K.I. ed induce a ritenere, conformemente con quanto emerge da detta testimonianza, che l’episodio del 23.8.2018 sia stato soltanto il culmine di un percorso di vita caratterizzato da perduranti sopraffazioni dell’imputato nei confronti della moglie.Del resto, il narrato di K.I. appare supportato da diversi elementi di riscontro: anche a non considerare tale la testimonianza della figlia K.K., soccorrono comunque le dichiarazioni del teste C., intervenuto nell’immediatezza del fatto del 23.8.2018, il referto dell’ospedale di Amandola che attesta le lesioni riportate dalla persona offesa ed il tenore delle registrazioni effettuate da K.K. durante le conversazioni tra i genitori.Segnatamente, in relazione a tale ultimo mezzo di prova, non si possonoavere dubbi sul fatto che esso si riferisca ad epoca anteriore all’arresto dell’imputato: questi, infatti, dopo il 23.8.2018, non ha più avuto modo di incontrare la persona offesa, dapprima perché ristretto in custodia cautelare in carcere, successivamente per il divieto di avvicinamento a suo carico. Si tratta quindi senza dubbio di conversazioni intercorse durante la convivenza; le modalità della loro acquisizione sono state chiarite dal teste C. e la portata delle espressioni rivolte dalla voce maschilea quella femminile sono inequivoche, ricorrendo plurime ingiurie, accuse ed espressioni denigratorie nei confronti della donna.5 -Alla luce di tale univoco, convergente compendio probatorio si può ritenere pienamente sussistente, a carico dell’imputato S.H., la fattispecie di cui all’art. 572 c.p., in relazione alla quale giova ricordare che trattasi di reato a tutela dell’integrità psico-fisica di coloro che, per età o per rapporti di tipo familiare o di affidamento, si trovino nelle condizioni di subire, proprio nei contesti in cui dovrebbero ricevere maggior protezione, condotte di prevaricazione fisica o morale che la minino (sebbene, per un orientamento di portata più ampia, il bene giuridico tutelato dall’art. 572 c.p. non è soltanto l’integrità psicofisica del soggetto passivo, bensì anche la personalità dell’individuo, poiché la reiterazione degli atti attribuisce alla condotta un’oggettività giuridica autonoma rispetto a quella dei singoli atti e la condotta del maltrattare, in sintesi, per la sua durata
e ripetitività, lede l’intera personalità, mentre il singolo atto di percossa, ingiuria o minaccia lede l’integrità psicofisica; cfr. Tribunale di Bari 4 aprile 2011, Tribunale Torino, V, 30 aprile 2010).Si tratta inoltre di reato proprio, realizzabile solo dai soggetti investiti delle qualifiche soggettive che il necessario rapporto con i soggetti passivi di tale reato importa, e di natura abituale, che richiede una pluralità di atti di maltrattamento, ripetuti nel tempo. Sulla base di tali connotati la condotta penalmente rilevante, descritta dal legislatore con la formula solo apparentemente indeterminata “maltratta”, sitipizza nella perpetrazione di comportamenti di vessazione fisica o morale non necessariamente qualificabili, se singolarmente considerati, come reato, espressi mediante azioni od omissioni e ripetuti nel tempo.Si è difatti affermato che le condotte integranti maltrattamento non devono necessariamente costituire di per sé reato, se singolarmente considerate; si pensi ai comportamenti volgari, irriguardosi e umilianti, caratterizzati da una serie indeterminata di aggressioni verbali ed ingiuriose abitualmente poste in essere dall’imputato nei confronti del coniuge, che possono configurare il reato di maltrattamenti quando essi realizzino un regime di vita avvilente e mortificante (cfr. Cass., VI, 16 novembre 2011, n. 45547). Si richiedono, in particolare, condotte lesive, fisicamente o psicologicamente, che devono essere tali da portare a sofferenze morali (tra le varie: percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali), mentre non è sufficiente, ai fini di integrarlo, un comportamento che, per quanto fastidioso nei confronti del coniuge, valutato oggettivamente, non vada al di là della obiettiva attitudine a portare ad una pur comprensibile ma non penalmente rilevante condizione di stizza (cfr. Cass.,VI, 11 luglio 2014, n. 34197).In sintesi, la materialità del delitto di maltrattamento in famiglia resta integrata da una serie di atti lesivi dell’integrità fisicao della libertà o del decoro del soggetto passivo nei confronti del quale viene così posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica tale da rendere particolarmente dolorosa la stessa convivenza, dovendo poi l’elemento psichico concretizzarsi nella volontà dell’agente di avvilire e sopraffare la vittima unificando i singoli episodi di aggressione alla sfera morale e materiale di quest’ultima, non rilevando, nella natura abituale del reato, che durante il lasso di tempo considerato siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo (cfr. Cass., VI, 9 gennaio 2019, n. 761; Cass., III, 22 novembre 2017, dep. 2018, n. 6724; Cass., VI, 26 giugno 1996, n. 8510).Il delitto di maltrattamenti in famiglia, poi, non è integrato soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali (cfr. Cass., VI, 6 novembre 2013, n. 44700).E’ stato inoltre affermato che integra il delitto in questione anche nei confronti dei figli la condotta di colui che compia atti di violenza fisica contro la convivente, in quanto lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori
posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all’interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere del soggetto attivo, i quali ne siano tutti consapevoli, a prescindere dall’entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasidei soggetti passivi (cfr. Cass., V, 22 ottobre 2010, n. 41142).Tali essendo i caratteri della fattispecie contestata, è evidente che la condotta posta in essere da S.H. nei confronti della moglie e della figlia, come ricostruita in dibattimento, rientra pienamente nella nozione di “maltrattamenti”, in quanto il medesimo, nell’arco di tutta la vita matrimoniale, ha ripetutamente sottoposto la donna innanzitutto ad accuse particolarmente mortificanti per la dignità della stessa, connesse al fatto che la donna non avesse generato un figlio maschio, poi alle sue intemperanze: queste -verosimilmente connesse all’abuso di sostanze alcoliche -oscillavano dal disinteresse (la K. ha precisato che il marito, dopo la nascita della figlia, ha cominciato ad ignorarla e si avvicinava a lei soltanto per avere rapporti) alle esplosioni di ira allorquando la donna tentava di instaurare un confronto.Periodicamente, poi, la donna è stata picchiata dal marito; in tali occasioni anche la figlia diveniva bersaglio delle violenze del padre e ad entrambe l’uomo intimava di allontanarsi dalla sua abitazione, con ciò prospettando l’intenzione di lasciarle praticamente prive di mezzi di sussistenza. Del resto, è irrilevante che le aggressioni fisiche si verificassero “due, tre volte minimo all’anno”, dunque con frequenza che poteva anche non essere ravvicinata, in quanto le stesse si inserivano in un più ampio novero di atti e comportamenti avvilenti per il pieno dispiegarsi della personalità della moglie (cfr. Cass., VI, 22 ottobre 2014, dep. 2015, n. 1400, secondo la quale integra il delitto la condotta del marito che sottopone la moglie, nell’arco di un anno, a tre gravi e violente aggressioni fisiche, le quali si aggiungono a una situazione familiare contrassegnata dallo statodi frequente ubriachezza dello stesso, durante il quale egli sottopone la donna a insulti e vessazioni morali).Così ricostruita la condotta inquadrabile ai sensi dell’art. 572 c.p., se ne ravvisa anche l’elemento soggettivo, costituito dal dolo generico, come attestato dalla perduranza del comportamento per un ampio lasso di tempo e dalla sistematicità dei maltrattamenti nei confronti di tutti i componenti della famiglia.Ricorre inoltre la contestata aggravante, essendo pacifico che il reato è stato commesso alla presenza della figlia minore K.K..6 -Sussiste pienamente, poi, la fattispecie contestata al capo b), in quanto si è accertato che, al culmine di una discussione in cui l’imputato ha accusato la moglie di avere relazioni con altri uomini, e nel corso della quale anche la figlia, intromessasi per difendere la madre, veniva colpita dal padre,
l’uomo ha afferrato le forbici che la K. utilizzava per lavoro e con quelle l’ha ferita alle mani e alle braccia, oltre a colpirla con pugni.In tal modo l’imputato ha cagionato a K.I. lesioni personali consistite in una ferita lacero-contusa da morso, punta e taglio, giudicata guaribile in giorni sette, come da referto dell’Ospedale di Amandola del 23.8.2018, nel quale risultano oggetto di accertamento sanitario diretto le lesioni riscontrate in danno della persona offesa (cfr. Cass., VI, 22 giugno 2010, n. 24630, secondo la quale è congruamente motivata la decisione di condanna per il reato di lesioni personali che, a conforto delle dichiarazioni della persona offesa, valorizzi un certificato medico frutto di un accertamento tecnico diretto, e non di mera riproduzione del narrato della persona offesa, e peculiarmente rilevante dal punto di vista probatorio perché redatto -come in effetti nel caso di specie-in epoca temporalmente prossima ai fatti; cfr. anche Cass., V, 5 marzo 2015, n. 9675).Quanto all’evento eziologicamente ricollegato alla condotta come sopra accertata, giova in proposito richiamare l’indiscusso insegnamento della Corte regolatrice, secondo il quale, in tema di lesioni personali volontarie, costituisce malattia qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell’organismo, ancorché localizzata, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali, onde lo stato di malattia perdura fino a quando è in atto il suddetto processo di alterazione (cfr. Cass., V, 10 dicembre 2010, n. 43763; Cass., V, 11 giugno 2009, n. 40428). Le lesioni sopra descritte sono state cagionate alla persona offesa con dolo, come evincibile dal fatto che, oltre a percuotere la moglie con pugni, l’imputato ha specificamente afferrato uno strumento (che dalle fotografie in atto si deduce essere particolarmente appuntito ed affilato) con il quale poteva essere certo di offendere l’integrità fisica della donna.Si ravvisa altresì la contestata aggravante, che ricorre (cfr. Cass., V, 2 marzo 2016, n. 8640) laddove la condotta lesiva sia in concreto realizzata adoperando qualsiasi oggetto, anche di uso comune e privo di apparente idoneità all’offesa, quali sonoappunto le forbici che erano utilizzate per la propria attività lavorativa da K.I..7 -Conclusivamente S.H. deve essere considerato responsabile dei reati ascrittigli, evidentemente avvinti da un unico programma criminoso consistente nel fine di sopraffare la personalità dei componenti del suo nucleo familiare.A tal proposito, merita soltanto precisare che nessun rilievo scusante può assumere né il prospettato (ma non dimostrato) inganno ai danni dell’imputato circa la vera età anagrafica della moglie, né tantomeno la diversa concezione dei rapporti interpersonali, e segnatamente coniugali, propria della cultura di origine dell’imputato e della persona offesa.
Sul punto, infatti, va condiviso l’orientamento della Suprema Corte secondo il quale lo straniero imputato di un delitto contro la persona o contro la famiglia non può invocare, neppure in forma putativa, la scriminante dell’esercizio di un diritto correlata a facoltà asseritamente riconosciute dall’ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba ritenersi oggettivamente incompatibile conle regole dell’ordinamento italiano, in cui l’agente ha scelto di vivere, attesa l’esigenza di valorizzare -in linea con l’art. 3 Cost. -la centralità della persona umana, quale principio in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a culture diverse, e di consentire quindi l’instaurazione di una società civile multietnica (cfr. Cass., III, 13 aprile 2015, n. 14960; Cass., III, 5 marzo 2020, n. 8986).Quanto al trattamento sanzionatorio, l’imputato -cui possono essere concesse le circostanze attenuanti generiche, in considerazione della modesta portata del precedente di cui è gravato e della circostanza, emersa in dibattimento, che il medesimo, anche dopo l’allontanamento dal nucleo familiare, ha contribuito per quanto possibile ai bisognidello stesso -va condannato alla pena che si stima equa di anni uno e mesi cinque di reclusione, così determinata:-pena base per il reato di cui al capo a) ritenuto più grave, previa concessione delle attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla contestata aggravante in ragione delle condizioni di estrema marginalità sociale dell’imputato stesso, che assorbono e superano il disvalore espresso dalla contestata aggravante: anni uno e mesi quattro di reclusione;-aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo b) a anni uno e mesi cinque di reclusione.Segue come per legge il pagamento delle spese processuali, nonché la confisca e distruzione di quanto in sequestro.S.H. va inoltre condannato al risarcimento del danno patito dalle parti civili, da liquidarsi -per la complessità dell’accertamento delle conseguenze del fatto, distribuite nell’arco di un ampio lasso di tempo -dinanzi al giudice civile, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute in questa sede dalle parti civili, liquidate come in dispositivo, con versamento a favore dell’Erario per essere le parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato.Ricorrendone i presupposti e nel convincimento che, per la portata deterrente dell’intervenuta condanna, l’imputato si asterrà dal commettere altri reati, può essere concessa la sospensione condizionale della pena, con conseguente declaratoria di inefficacia della misura cautelare in atto.P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara S.H. colpevole dei reati ascrittigli, riuniti nel vincolo della continuazione e, ritenuto più grave il reato di cui al capo a), concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla contestata aggravante e aumentata la pena per la continuazione con il reato di cui al capo b), lo condanna alla pena di anni uno e mesi cinque di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; pena sospesa alle condizioni di legge.Condanna S.H. al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa dalla stessa sostenute, che liquida in Euro 1.400,00, da versarsi in favore dell’Erario per essere la parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.Visto l’art. 300, comma 3 c.p.p. dichiara cessata l’efficacia della misura cautelare in atto nei confronti di S.H.. Confisca e distruzione di quanto in sequestro.
Motivazione in giorni sessanta.
Così deciso in Ascoli Piceno, il 24 febbraio 2020.
Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2020.

Risoluzione del contratto di locazione: la Cassazione riepiloga i principi cardine

Cassazione civile, sez. II, 07 Dicembre 2020, n. 27955. Pres. Graziosi. Est. Gorgoni
Fatto
C.M. ricorre per la cassazione della sentenza n. 1349/2017 emessa dalla Corte d’Appello di Catania, resa pubblica il 12 settembre 2017, articolando un solo motivo.
Resiste con controricorso L.A. .
La ricorrente espone in premessa di fatto di aver preso in locazione, da L.C. , proprietaria, una casa terranea sita in (…); di avere corrisposto il canone, talvolta, nella mani di L.C. , talaltra, in quelle di L.A. , nipote della prima; di aver stipulato, alla morte di L.C. , il (omissis) , con L.A. un nuovo contratto di locazione commerciale per il canone mensile di Euro 300,00; di avere ricevuto, in data (omissis) , intimazione di sfratto e contestuale citazione per convalida per il mancato pagamento dei canoni di locazione per il periodo tra settembre 2015 e febbraio 2016; di essersi opposta sia alla convalida di sfratto sia all’ordinanza di rilascio, adducendo l’assenza di un inadempimento solutoriamente rilevante, avendo già sanato la morosità prima dell’udienza di comparizione e dato ampia disponibilità per il pagamento degli interessi, delle spese di giudizio e degli accessori.
Il GU rigettava la convalida di sfatto e l’ordinanza di rilascio.
Mutato il rito e fallita l’esperita mediazione obbligatoria, il Tribunale di Siracusa, con sentenza n. 338/2017, accoglieva la domanda attorea e regolava le spese di lite, ponendole a carico della convenuta soccombente.
La decisione veniva impugnata separatamente dalla odierna ricorrente nonché da L.A. ; la prima, insistendo per l’accertamento della mancanza nell’inadempimento dei requisiti di cui all’art. 1455 c.c., la seconda, lamentando l’omessa pronuncia sulla domanda di rilascio immediato dell’immobile.
Riuniti i ricorsi, la Corte adita, con la sentenza oggetto del presente ricorso, accoglieva l’appello di L.A. ; di conseguenza, riformava parzialmente la sentenza di prime cure, ritenendo solutoriamente rilevante l’inadempimento dell’odierna ricorrente, condannata all’immediato rilascio del bene locato ed al pagamento delle spese di lite.
Diritto
1. La ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., vizio di motivazione, violazione ed erronea applicazione dell’art. 1362 c.c., per avere la Corte distrettuale: a) pur riconoscendo l’applicabilità dell’art. 1455 c.c. e non della L. n. 392 del 1978, art. 5, escluso che il pagamento dei canoni eseguito prima dell’udienza di comparizione fosse di impedimento alla risoluzione per inadempimento del contratto e, quindi, assunto una decisione contrastante con la giurisprudenza di legittimità che consentirebbe di valutare il comportamento successivo alla introduzione del giudizio ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento; b) erroneamente sostenuto che aver pagato il canone di locazione in ritardo in più occasioni, fino al mancato pagamento dello stesso, costituisse prova dell’inadempimento dell’obbligazione principale del conduttore, senza prendere in considerazione la tolleranza dimostrata dalla locatrice.
2. Il motivo è infondato, perché la fattispecie in oggetto è stata correttamente regolata attraverso l’applicazione dell’art. 1455 c.c..
Va considerato che la L. n. 392 del 1978, art. 41, non richiama l’art. 5 della medesima legge, la quale, derogando all’art. 1455 c.c., introduce una presunzione assoluta dell’elemento oggettivo dell’inadempimento, sottratto alla valutazione discrezionale del giudice, fondata su due elementi, l’uno temporale – il protrarsi del ritardo nella corresponsione dei canoni per oltre venti giorni -1 l’altro quantitativo – il mancato pagamento di una rata di canone oppure di oneri accessori per un importo superiore a due mensilità; le Sezioni unite di questa Corte hanno escluso la possibilità di un’applicazione estensiva dell’art. 5 (28/12/1990, n. 12210) – conclusione confermata in temi più recenti da Cass. 20/01/2017, n. 1428; Cass. 26/11/2019, n. 30730.
Dovendosi dunque escludere l’applicazione della disciplina della risoluzione del contratto di locazione di uso non abitativo, la vicenda per cui è causa deve essere risolta con l’applicazione dell’art. 1455 c.c., che rimette al giudice la valutazione della ricorrenza di un inadempimento che rilevi dal punto di visto solutorio.
La giurisprudenza di questa Corte non esclude, nondimeno, che pur senza poterne fare oggetto di applicazione diretta, il giudice possa trarre dalla L. n. 392 del 1978, art. 5, parametri che gli consentano di orientarsi nell’applicazione dell’art. 1455, al contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo (Cass. 26/11/2019, n. 30730; Cass. 04/02/2020, n. 1234). Entrambi tali principi sono stati non solo richiamati, ma anche correttamente applicati dalla Corte d’Appello.
È opportuno altresì considerare che la Corte d’Appello ha enunciato anche la ricorrenza di un duplice orientamento giurisprudenziale, il primo, in verità, risalente ed oggi superato, che ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento attribuiva rilievo all’inadempimento in sé considerato, senza alcun apprezzamento dell’interesse del contraente deluso, ove ad essere inadempiuta risultasse l’obbligazione principale – nel caso di specie l’inadempimento si era concretizzato in un ritardo nell’adempimento dell’obbligazione principale risultato non giustificabile -, e l’altro che, invece, impone l’accertamento caso per caso se l’inadempimento abbia inciso sull’interesse della parte non inadempiente, determinando un’alterazione del sinallagma. Si deve considerare, infatti, che nella disposizione si intrecciano una valutazione che sembra possedere tutti i crismi dell’oggettività – la non scarsa importanza dell’inadempimento – ed un parametro certamente soggettivo – qual è l’interesse della parte non inadempiente.
Il fatto che, con riferimento alla fattispecie in esame, il legislatore non abbia predeterminato ex lege i caratteri dell’inadempimento solutoriamente rilevante – impone di tener conto che la gravità dell’inadempimento sotto il profilo oggettivo – per la cui determinazione il giudice può ben avvalersi orientativamente dei parametri valevoli per sciogliere il contratto di locazione ad uso abitativo: la tipizzazione normativa contribuisce a dare concretezza ed oggettività alla valutazione del giudice che, altrimenti, in un ambito nel quale il suo potere discrezionale appare singolarmente ampio e la dialettica tra regole e principi si rivela particolarmente complessa, rischierebbe di restare pericolosamente priva di coordinamento con le direttive del sistema non è sufficiente, occorrendo parametrarla all’interesse del contraente deluso, e che il fatto che quest’ultimo abbia agito per chiedere la risoluzione del contratto per l’altrui inadempimento o l’aver diffidato l’inadempiente non basterebbero; diversamente si otterrebbe il risultato di rimettere la risoluzione alla scelta dell’adempiente (per Cass. 13/02/1990, n. 1046, “l’interesse dell’altro contraente (…) non deve essere tanto inteso in senso subiettivo, in relazione alla stima che il creditore avrebbe potuto fare del proprio interesse violato, quanto in senso obiettivo in relazione all’attitudine dell’inadempimento a turbare l’equilibrio contrattuale ed a reagire sulla causa del contratto e sul comune interesse negoziale”; nello stesso senso cfr. Cass. 08/08/2019, n. 21209).
Il punto di rottura del rapporto che giustifica la cancellazione del vincolo è dato dall’incrocio tra il grave inadempimento e l’intollerabile prosecuzione del rapporto.
La prima misurazione è affidata a parametri oggettivi, sulla scorta dei quali, secondo comune apprezzamento ed in relazione alle circostanze, deve accertarsi l’apprezzabilità in concreto del peso dell’inadempimento nell’economia del rapporto, rapportare il risultato di tale primo accertamento all’interesse del creditore deluso, considerato non in astratto, ma in concreto, avuto riguardo per la natura del contratto, la qualità dei contraenti ed ogni altra circostanza rilevante, ad esempio il piano dei rischi e dei benefici espressi nel contratto, gli adempimenti irrinunciabili ed essenziali, le rinunce e le attese tollerabili pur di conservare il contratto (con precipuo riferimento al ritardo, si ritiene che il giudice debba valutare il tempo trascorso, l’entità della somma da pagare in base all’importo già versato e ogni altra circostanza utile ai fini della considerazione dell’interesse dell’altra parte, quale, ad esempio, il tipo di impiego di quanto dedotto in prestazione, sì da giustificare l’esigenza, per il non inadempiente, di un adempimento rigorosamente tempestivo).
Passando all’applicazione di questi principi di riferimento al caso concreto, giova rilevare anche che:
– la intimazione in mora, cioè la richiesta, con i caratteri di cui all’art. 1219 c.c., dell’adempimento non è affatto elemento costitutivo della domanda di risoluzione. Perciò l’insistenza della conduttrice sul fatto che prima della intimazione di sfratto parte locatrice non avesse chiesto nè sollecitato l’adempimento non le è di alcun giovamento; quanto, infatti, alla precedente inerzia della locatrice rispetto ai pur reiterati ritardi, va ribadito l’orientamento di questa Corte, di cui la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione, secondo cui tale inerzia non può essere interpretata alla stregua di un comportamento tollerante di accondiscendenza ad una modifica contrattuale relativamente al termine di adempimento, non potendo un comportamento di significato così equivoco, quale quello di non aver preteso in passato l’osservanza dell’obbligo stesso, indurre il conduttore a ritenere di poter adempiere secondo la propria disponibilità (cfr. in tal senso Cass. 18/03/2003, n. 3964, secondo cui tale comportamento può essere ispirato da benevolenza piuttosto che essere determinato dalla volontà di modificazione del patto; nello stesso senso Cass. 26/11/2019, n. 30730 e già Cass. 20/01/1994, n. 466; Cass. 15/12/1981, n. 6635);
La conduttrice, insomma, non poteva legittimamente ritenere che il comportamento asseritamente tollerante, proprio perché neutro, avesse ingenerato in lei il ragionevole affidamento in merito alla rinunzia alla pretesa di un adempimento puntuale.
Messa in chiaro tale premessa, deve escludersi che la Corte territoriale sia incorsa nella violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 c.c., che le è stata imputata, in quanto:
– ha valutato l’intervenuto pagamento del canone, tenendo conto, però, che) in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, non trova applicazione nei contratti di durata la regola secondo cui la proposizione della domanda di risoluzione comporta la cristallizzazione delle posizioni delle parti contraenti fino alla pronuncia giudiziale definitiva, nel senso che, come è vietato al convenuto di eseguire la prestazione, così non è consentito all’attore di pretenderla, atteso che nel contratto di locazione, invece, trova applicazione la regola secondo cui il conduttore può adempiere anche dopo la proposizione della domanda, ma l’adempimento non vale a sanare o diminuire le conseguenze dell’inadempimento precedente e rileva soltanto ai fini della valutazione della relativa gravità (Cass. n. 3073072019, cit.; Cass. 14/11/2006, n. 24207);
– ha fatto corretta applicazione dell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui) in tema di contratto di locazione, ai fini dell’emissione della richiesta pronunzia costitutiva di risoluzione del contratto per morosità del conduttore il giudice deve valutare la gravità dell’inadempimento di quest’ultimo anche alla stregua del suo comportamento successivo alla proposizione della domanda, giacché in tal caso, come in tutti quelli di contratto di durata in cui la parte che abbia domandato la risoluzione non è posta in condizione di sospendere a sua volta l’adempimento della propria obbligazione, non è neppure ipotizzabile, diversamente dalle ipotesi ricadenti nell’ambito di applicazione della regola generale posta dall’art. 1453 c.c. (secondo cui la proposizione della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento comporta la cristallizzazione, fino alla pronunzia giudiziale definitiva, delle posizioni delle parti contraenti, nel senso che, come è vietato al convenuto di eseguire la sua prestazione, così non è consentito all’attore di pretenderla), il venir meno dell’interesse del locatore all’adempimento da parte del conduttore inadempiente, il quale, senza che il locatore possa impedirlo, continua nel godimento della cosa locata consegnatagli dal locatore ed è tenuto, ai sensi dell’art. 1591 c.c., a dare al locatore il corrispettivo convenuto (salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno) fino alla riconsegna.
3. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.
4. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, se dovuto il relativo versamento.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Depositato in cancelleria il 7 dicembre 2020.

Riconosciuto il diritto del genitore intenzionale omosessuale a poter riconoscere il figlio della compagna concepito tramite tecniche di procreazione medicalmente assistita all’estero.

Tribunale di Genova, 4 novembre 2020, Est. Dott.ssa Anna Bertini
emette il seguente DECRETO nel procedimento iscritto al n. 7234/2019 traXX E YY, elettivamente domiciliate in Genova, via Cesarea 10/7 presso lo studio dell’avv. Ilaria Gibelli che le rappresenta e difende unitamente all’avv. Elena Fiorini come da mandato in calce al ricorso introduttivo.
COMUNE DI GENOVA, in persona del sindaco pro tempre, in qualità di Ufficiale del Governo,elettivamente domiciliato in Genova via Garibaldi 9; Palazzo Tursi Civica Avvocatura rappresentato e difeso dall’avv. Maria Laura Allasia;
PREFETTURA DI GENOVA – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO in persona delprefetto pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova,presso i cui ufficio in Genova viale Brigate Partigiane 2 è elettivamente domiciliata;
visto il parere del Pubblico Ministero in sede
MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso in data 18.7.2019, XX E YY, premesso:-di aver iniziato nel 2009 una stabile relazione sentimentale;-di avere, nell’anno 2016, intrapreso una convivenza presso l’abitazione di YY; -di essersi rivolte, nel luglio 2018, alla clinica “Institut Marques” di Barcellona, al fine di iniziare la“Fecondazione in vitro con trasferimento embrionario”, convenendo che fosse XX a portare atermine la gravidanza, principalmente in ragione dell’età e degli impegni lavorativi;-che in data 13 maggio 2019 presso l’ospedale San Martino di Genova è nato il piccolo ZZ ;-di avere, in data 17 maggio 2019, presentato istanza di riconoscimento della doppia maternità al Comune di Genova, con indicazione nel certificato di nascita di ZZ, in qualità di genitori, sia di XX,madre che l’ha partorito, sia di YY, genitore intenzionale.-che in data 29.5.2019 il Comune di Genova rendeva il rifiuto “di iscrivere il bambino nato il13.5.2019, cui è stato imposto il nome di ZZ, con l’indicazione della qualità di madre sia della Sig.ra XX, sia della YY, nonché la richiesta di aggiunta del cognome della sig.ra XX a quello del minore” .Tutto cio’ premesso, le ricorrenti hanno chiesto nel presente giudizio la declaratoria di illegittimità del rifiuto opposto dall’ufficiale dello Stato Civile del Comune di Genova e la rettifica, ai sensi dell’art. 95 dpr 396/2000, mediante la sostituzione dell’atto di nascita esistente e la formazione di un nuovo atto di nascita con indicazione delle due ricorrenti come madri del minore ZZ ovvero, in2
via alternativa mediante annotazione della ricorrente XX quale secondo genitore del minore, con richiesta, in ogni caso, che al minore ZZ venga aggiunto il nome XX”.Secondo la prospettazione delle ricorrenti il provvedimento impugnato risulterebbe illegittimo sottodiversi profili: a) mancata considerazione dell’interesse del minore, che costituirebbe il primo criterio per delibare ogni questione in materia di status filiationis; b)violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 8 e falsa applicazione dell’art. 9 c. 3 Legge 40/2004 nel provvedimento impugnato, in relazione al nuovo concetto di genitorialità, potendo lo status di figlio attualmente prescindere dal dato genetico, come affermato più volta dalla Corte Costituzionale (C. Cost. 162/2014; 272/2017);c) violazione dell’art. 8 della legge nr. 40/2004 per cui il consenso informato sottoscritto dalle ricorrenti all’applicazione delle tecniche di PMA rappresenta l’assunzione consapevole e irrevocabile della responsabilità genitoriale; d) falsa applicazione dell’art. 11 c. 3 dpr 396/2000 in relazione al principio di tipicità degli atti di stato civile, dovendosi intendere detto principio come riguardante le indicazioni prescritte e non il loro contenuto e dovendosi leggere alla luce del superiore interesse del minore. Si è costituito il Comune di Genova, in via preliminare eccependo il non corretto inquadramento dell’azione nel decreto di fissazione di udienza recante l’erronea indicazione dell’art. 337 c.c.; nelmerito, il Comune ha instato per il rigetto della domanda delle ricorrenti in quanto infondata sullabase: a) dell’orientamento giurisprudenziale recentemente formatosi a seguito delle sentenze dellaCorte Costituzionale (nr. 221/2019 ; 237/2019) e della Suprema Corte (pronunce nr. 7668/2020 enr. 8029/2020) nonché del decreto della Corte D’Appello di Genova in data 25.6.2020;b)dell’interesse del minore, che puo’ essere garantito attraverso istituti previsti dall’ordinamento qualil’adozione di cui all’art. 44 c. 1 lett. D) legge nr. 84/1983; c) dell’asserita inefficacia del consensoinformato espresso dalle ricorrenti in sede di procreazione medicalmente assistita, che puo’ essereespresso validamente solo dai soggetti indicati nell’art. 5 della legge 40/2004; c) del principio ditipicità degli atti dello Stato Civile, non potendo l’Ufficiale di Stato Civile redigere atti aventicontenuto diverso da quello stabilito dalla legge.Si sono costituiti altresì il Sindaco di Genova, in qualità di Ufficiale di Governo e la Prefettura diGenova, instando per il rigetto del ricorso, assumendo in particolare che: a) il riconoscimento dellagenitorialità nel caso di specie troverebbe ostacolo nell’art. 5 della legge 40/2004 e nell’art. 4 dellastessa legge che disciplinano le condizioni soggettive e oggettive per accedere alla PMA nel nostroordinamento; b) la domanda delle ricorrenti si porrebbe in contrasto con l’art. 11 c. 3 DPR 396/2000e con il principio di tipicità degli atti civili, avendo ad oggetto la formazione di un atto non previstoe non disciplinato dal nostro ordinamento.Il Pubblico Ministero in sede in data 2.10.2020 ha espresso parere favorevole all’accoglimento delricorso, affermando che, sulla base di una lettura costituzionalmente orientata della legge 40/2004 edell’applicazione del principio del superiore interesse del minore, si deve ritenere che l’art. 8 dellalegge citata attribuisca lo stato di figlio legittimo o riconosciuto della coppia che ha espresso ilconsenso alle tecniche di PMA, a prescindere dal fatto che la coppia sia formata da persona di sessodiverso o dello stesso sesso.***Preliminarmente, risultano prive di pregio le eccezioni formulate dal Comune resistente, che harilevato il non corretto inquadramento della fattispecie nel provvedimento di fissazione udienza,formalmente emesso con l’ indicazione di una norma errata (l’art. 337 c.c.), dovendosi ritenere chela presenza di un evidente refuso nel decreto sopra richiamato non possa inficiare la validità del3
procedimento di che trattasi, correttamente incardinato sulla base di una designazione presidenzialedel giudice delegato, il quale, all’esito dell’udienza di comparizione delle parti, si è correttamenteriservato di riferire al Tribunale in composizione collegiale, che statuisce, in questa sede, previavalutazione di un parere già espresso dal Pubblico Ministero.Passando all’esame del merito della vertenza, si osserva innanzitutto che la delicata e controversamateria è stata oggetto di recentissimi interventi della giurisprudenza di legittimità: in particolare,dopo la nota sentenza delle SU della Cassazione nr. 12193 dell’8 maggio 2019, altre pronunce nehanno sostanzialmente confermato l’orientamento e ribadito la legittimità del rifiutodell’annotazione del riconoscimento da parte del genitore cd intenzionale (Cassazione nr.8325/2020 e Cassazione nr. 7668/2020; quest’ultima, in specie, nell’affermare il principio, hainoltre precisato che nell’ordinamento italiano vige il divieto per le coppie formate da persone dellostesso sesso di accedere alle tecniche di PMA, previsto dall’art. 5 della legge 40/2004 e desumibileanche da altre disposizioni – quali l’art. 30 c. 1 dpr 396/2000 e l’art. 7 c. 1 lett. A) dpr 223/1989,come sostituito dall’art. 1 c. 1 lett. C) dpr 126/2015 “che implicitamente (ma chiaramente)postulano che una sola persona abbia diritto di essere menzionata come madre nell’atto di nascita,in virtu’ di un rapporto di filiazione che presuppone il legame biologico e/o genetico con il nato”). La Corte D’Appello di Genova, con decreto emesso in data 25.6.2020, in accoglimento del reclamoproposto dal Comune di Genova, ha rigettato la richiesta delle ricorrenti di procedere alla rettificadell’atto di nascita di un minore con l’indicazione della doppia genitorialità, ritenendo che “Se èvero che nel nostro ordinamento sono riconosciute tre forma di genitorialità (naturale, adottiva eda PMA) tuttavia la prestazione del consenso, correttamente ritenuto quale presupposto dellafiliazione derivante da PMA, non puo’ essere disancorata dai presupposti e dalle condizioni chesono dettate dalla legge perché sia validamente prestato, tanto sotto il profilo soggettivo, quantosotto quello oggettivo (tipologia di tecniche ammesse) e formale (modi di espressione del consenso)e il consenso “puo’ essere validamente espresso solo dai soggetti ai quali viene consentitol’accesso alla PMA, come individuati dall’art. 5, per cui il consenso puo’ avere le conseguenzeindicate dagli artt. 8 e 9 e quindi l’acquisizione dello status di figlio “della coppia che ha espressola volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’art. 6” per il nato “ a seguitodell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita “ solo se il consenso siastato espresso dai soggetti suindicati e con le formalità che sono analiticamente disciplinate dallalegge. (..) solo un ampliamento delle categorie dei soggetti (.. ) che possono accedere alla PMApotrebbe consentire il riconoscimento dello status di figlio (non del solo genitore naturale) madella coppia che ha fatto ricorso alla PMA”.Premesso quanto sopra, ritiene questo Collegio di non condividere il percorso argomentativo sopradelineato e di confermare quindi la decisione già assunta in fattispecie analoghe, sulla base di unalettura costituzionalmente orientata della legge 40/2004 e dell’applicazione del principio dellapreminenza dell’interesse superiore del minore.In tale prospettiva “sostanzialistica” si deve ritenere che il divieto di cui all’art. 5 legge 40/2004,che preclude alle coppie formate da persone dello stesso sesso di accedere alla PMA, non siaostativo al riconoscimento della genitorialità nell’ipotesi in cui una coppia decida comunque di farericorso a tali pratiche, dovendosi avere riguardo non alla liceità/illeceità della condotta delle parti,bensì al superiore interesse del figlio nato a seguito di una pratica vietata in Italia ma del tutto lecitaall’estero.Nell’attuale sistema normativo, infatti, è il consenso espresso ai sensi dell’art. 8 della legge40/2004 ad essere alla base della costituzione del rapporto di filiazione in caso di ricorso alla PMA,4
così come nella gestazione ordinaria lo è il dato biologico genetico; quindi, il medesimo consenso èidoneo a determinare le genitorialità in relazione ai nati a seguito di tecniche di PMA e ad assumereprevalenza assoluta sulla discendenza biologica, non avendo solo valenza di consenso informatoal trattamento medico, ma costituendo, in primis, assunzione di responsabilità nei confronti delnato.La tesi cui si aderisce appare innanzitutto confortata da un’ interpretazione sistematica della legge40/2004, per cui la violazione del precetto di legge e in specie del divieto di praticare PMA al difuori dei casi previsti dalla legge è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria, senza cheperaltro ne siano rimossi gli effetti e con la previsione che la sola prestazione del consensocomporta di per sé il riconoscimento del figlio e, come detto, la correlativa assunzione dellaresponsabilità genitoriale nei suoi confronti.L’orientamento cui si aderisce è stato espresso in più occasioni dalla giurisprudenza anche recentedella Suprema Corte; si richiama, in particolare la pronuncia della Cassazione nr. 13000 del 15maggio 2019 che, relativamente ad un caso di fecondazione omologa post mortem (pratica vietatadall’art. 5 della legge 40/2004) ha affermato che “qualsivoglia considerazione riguardante lavalutazione in termini di illiceità / illegittimità, in Italia della tecniche di PMA (..) non potrebbecertamente riflettersi , in negativo , sul nato e sull’intero complesso dei diritti a lui riconoscibili. Inaltre parole la circostanza che si sia fatto ricorso all’estero a PMA non espressamente disciplinata(o addirittura non consentita) nel nostro ordinamento non esclude, ma anzi impone, nel preminenteinteresse del nato, l’applicazione di tutte le disposizioni che riguardano lo stato del figlio venuto almondo all’esito di tale percorso”; (..) “l’art. 8 esprime l’assoluta centralità del consenso comefattore determinante la genitorialità in relazione ai nati a seguito dell’applicazione delle tecnichedi PMA, La norma non contiene alcun richiamo ai suoi precedenti artt. 4 e 5 con i quali sidefiniscono i confini soggettivi dell’accesso alla PMA, così dimostrando una sicura preminenzaalla tutela del nascituro, sotto il profilo della certezza dello status filiationis, rispetto all’interesse,pure perseguito dal legislatore, di regolare rigidamente l’accesso a tale diversa modalitàprocreativa”(..) “Oramai, figlio è non solo chi nasce da un atto naturale di concepimento maanche colui che venga al mondo a seguito di fecondazione assistita(..) o colui che sia tale pereffetto di adozione: cio’ dimostra che i confini una volta ritenuti invalicabili del principiotradizionale della legittimità della filiazione sono ormai ampiamnete in discussione”.L’interesse del minore viene in rilievo sia dal punto di vista del sopra richiamato principio di nondiscriminazione per cui, “le conseguenze della violazione delle prescrizioni e dei divieti previstidalla legge 40 del 2004 imputabili agli adulti che hanno fatto ricorso ad una pratica difecondazione illegale in Italia non puo’ ricadere su chi è nato” (Cassazione, nr. 19599/16), siasotto il profilo dell’interesse del minore in relazione al progetto genitoriale della coppia.Si tratta di un principio fondamentale secondo le norme costituzionali interne (artt. 2 e 30 Cost.),europee (art. 24 Carta di Nizza), internazionali (Convenzione di New York), principio al quale siispira anche la nostra legislazione ordinaria, a partire dalla riforma della filiazione e affermatocostantemente dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte nelle decisionirelative a fanciulli come interesse prevalente, permeando quindi, indiscutibilmente, l’intero sistema.Si richiama al proposito la sentenza della Corte Costituzionale nr. 162/2014 che ha precisato che laprocreazione medicalmente assistita coinvolge “plurime esigenze costituzionali” econseguentemente la legge 40/2004 incide su una molteplicità di interessi di tale rango cherichiedono un “bilanciamento tra di essi”. La stessa Corte ha affermato che la scelta della coppiadestinataria della legge 40/2014 di “diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche5
figli costituisce espressione della fondamentale libertà di autodeterminarsi, che .. è riconducibileagli artt. 2,3 e 31 Cost”. Sulla stessa lineasi pone la sentenza Corte Cost. nr. 205/2015 che haaffermato che l’interesse del minore “trascende le implicazioni meramente biologiche del rapportocon la madre e reclama una tutela efficace di tutte le esigenze connesse a un compiuto e armonicosviluppo della personalità”.L’art. 8 unitamente all’art. 6 e 9 della legge 40 /2004, mettendo al primo posto interesse delminore, dà rilievo al principio di responsabilità procreativa, fondando sul consenso il rapporto difiliazione; sul punto, giova anche ricordare la decisione della CA di Perugia (decreto 221/2018 del22.8.2018), che a sua volta richiama il decreto del Tribunale di Pistoia 5.7.2018 per cui “si deveaffermare che lo status filiationis è regolarmente costituito nei confronti di entrambe le donne checompongono la coppia tutte le volte che sia stata utilizzata una tecnica di PMA anche se in carenzadei requisiti oggettivi e soggettivi fissati dalla normativa interna. Cio’ in quanto, se è vero che talecondotta puo’ scontarsi con le sanzioni di cui all’art. 12 legge 40/2004, è pur vero che laviolazione di norme interne non puo’ comunque portare alla lesione dei diritti del minore a vedersiriconosciuto come figlio delle due mamme che hanno legittimamente manifestato il loro consensoad assumere la responsabilità genitoriale nei confronti del nascituro. In altri termini si deveprescindere da ogni valutazione sulla legittimità delle condotte poste in essere dai genitori perchéla scelta degli adulti non puo’ andare a discapito dei minori (..) e dal loro diritto di avere unsecondo genitore come sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea all’art. 24par. 3 “il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con idue genitori, salvo che cio’ sia contrario al suo interesse”.Sulla stessa linea si pone anche una recentissima pronuncia della Corte D’Appello di Roma (23aprile 2020) che afferma che “il minore ha diritto a conoscere la sua provenienza e ad esserericonosciuto figlio di entrambe coloro che all’interno di una relazione affettiva, hanno concorsoalla sua nascita; ha diritto che entrambe esercitino pienamente le responsabilità che hannoconsapevolmente assunto prestando il consenso alla PMA e che entrambe siano tenute adadempiere ai doveri nei confronti del minore stesso che ne discendono”.Si aggiunga che in ambito legislativo è intervenuta la legge n. 76 del 2016 che ha fatto rientrare nelconcetto di famiglia anche le coppie formate da persone dello stesso sesso, ove sussistenti vincoliaffettivi, con l’articolo I comma 20: “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e ilpieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, ledisposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge »,«coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, neiregolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognunadelle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodoprecedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presentelegge, nonché alle disposizioni dì cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184.”Si può quindi affermare che l’evoluzione del diritto di famiglia italiano, con riferimento specificoalla determinazione dello status filiationis ha condotto al chiaro riconoscimento di modelli diversidi genitorialità che ad esso possono dare luogo e rispettivamente, quella da procreazione naturale,quella adottiva, e quella da procreazione medicalmente assistita; in specie, in merito a tale ultimomodello di genitorialità assume importanza centrale la consapevole assunzione di responsabilitàgenitoriale all’atto di intraprendere un percorso di procreazione assistita: in tale tipo di procreazione“l’elemento volontaristico/consensuale è assolutamente preminente rispetto al dato delladerivazione genetica ai fini della determinazione della filiazione e dell’acquisizione dei relativi6
status” e, pertanto, accanto ad una genitorialità biologica esiste, nel nostro ordinamento, una“genitorialità affettiva e psicologica” oggetto di specifica disciplina nella legge n. 40/2004, conriguardo agli effetti del consenso alla tecnica di p.m.a. sulla determinazione della filiazionedisciplinati agli artt. 6, 8 e 9, modalità di determinazione della filiazione inserita in un percorsoevolutivo del nostro ordinamento che, anche in relazione alla genitorialità biologica, ha riconosciutorilievo sempre maggiore non solo e non tanto alla salvaguardia di situazioni di fatto consolidate, maanche alla loro conservazione sulla base del consenso dei soggetti interessati, richiamando anche iprincipi sottesi alla pronuncia della la Corte Costituzionale n. 272/17 per cui l’eventuale illiceitàdella tecnica procreativa cui si sia fatto ricorso non cancellaautomaticamentel’interesse del minorealla conservazione dello statuscosì acquisito, tanto che la legge n. 40/2004 facendo discendere ladeterminazione della filiazione al consenso alla tecnica,indipendentemente dalla sua liceità inattuazione dei principi fondanti l’unicità dello status di figlio nella riforma della filiazione.Ne discende che la non contrarietà all’ordine pubblico dell’omogenitorialità, l’evoluzione deldiritto di famiglia, la più ampia tutela riconosciuta alle unioni affettive diverse dal matrimonio, siaeterosessuali che omosessuali, costituiscono il perno di diverse pronunce di merito e di legittimitàsecondo cui l’omogenitorialità si inserisce nelle diverse forme di esercizio dell’autodeterminazioneaffettiva e familiare riconosciute dal nostro ordinamento, per cui “se l’unione tra persone dellostesso sesso è una formazione sociale ove la persona ‘svolge la sua personalità’ e se la scelta didiventare genitori e di formare una famiglia costituisce ‘espressione della fondamentale e generalelibertà di autodeterminarsi delle persone… deve escludersi che “la tutela offerta alle coppie dellostesso sesso sia solo di tipo orizzontale e che esista a livello di principi generali dell’ordinamentoun divieto per le coppie dello stesso sesso di accogliere e generare figli”….“l’assetto giuridico èsempre più complesso e variegato ed in questo settore non si può più fare esclusivo riferimento aiconcetti tradizionali di paternità, maternità, filiazione, derivanti dal dato procreativo naturale”“Nel caso di minore nato….da coppia omosessuale, in seguito alla fecondazione medicalmenteassistita eterologa con l’impianto di gameti da una donna all’altra, l’atto di nascita del fanciullopuò essere trascritto in Italia poiché, nel caso in questione, non si tratta di introdurre ex novo unasituazione giuridica inesistente ma di garantire la copertura giuridica ad una situazione di fatto inessere da diverso tempo, nell’esclusivo interesse di un bambino che è stato cresciuto da due donneche la legge riconosce entrambe come madri. Assume rilievo determinante la circostanza che lafamiglia esista non tanto sul piano dei partners ma con riferimento alla posizione, allo status e allatutela del figlio. Nel valutare il best interest per il minore non devono essere legati fra loro, ilpiano del legame fra i genitori e quello fra genitore-figli: l’interesse del minore pone, in primis, unvincolo al disconoscimento di un rapporto di fatto, nella specie validamente costituito fra la co-madre e un figlio.” ( Corte d’Appello di Torino, sezione famiglia, decreto del 29 ottobre 2014).Giova da ultimo evidenziare che la Cassazione, con ordinanza nr. 8325/2000, ha ritenuto disottoporre al vaglio della Consulta la legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge 40/2004,dell’art. 18 DPR 396/2000 e dell’art. 64 c. 1 Legge 218/1995 per come interpretati dalla sentenzaCassazione SU nr. 12193/2019, sulla base della constatazione che il diritto vivente formatosi aseguito della predetta pronuncia si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali sanciti dallaCostituzione e dalla giurisprudenza costituzionale in materia di diritti inviolabili del minore e deldiritto di uguaglianza correlati ai rapporti di filiazione. E al proposito la Cassazione si richiama alparere consultivo reso dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo in materia – in base alProtocollo nr. 16 allegato alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo – secondo cui un divietogenerale e assoluto di riconoscimento del legame di filiazione con il genitore intenzionale sarebbelesivo dell’identità del minore e del suo diritto alla continuità dello status filiationis in quanto7
comprometterebbe il radicamento del minore nel contesto familiare in cui è nato. La Cassazione sirichiama inoltre ad un recente parere espresso dalla CEDU che ha affermato che, in caso di ricorsoa tecniche di maternità surrogata all’estero, lo Stato di origine deve riconoscere il rapporto difiliazione, a tutela dell’interesse del minore, anche se tale tecnica è vietata dalle leggi nazionali. Ritiene quindi questo Collegio che, tenendo conto di una lettura evolutiva e costituzionalmenteorientata del sistema che partendo dall’assunto per cui il principio fondamentale di ordine pubblicoè quello della tutela dei diritti fondamentali del minore (art. 2 Cost.), tenuto conto del divieto di nondiscriminazione per nascita (art. 3 Cost) e della piena tutela del rapporto con i genitori (artt. 30 e 31Cost), il trattamento riservato al minore nato a seguito di PMA non puo’ essere diverso e deterioreper il solo fatto che cio’ sia avvenuto al di fuori dei casi ammessi dalla legge, avendo la coppiamanifestato il proprio consenso al momento della scelta di ricorrere alla PMA ove la dichiarazionesia conforme all’art. 6 L. 40/2004 e occorrendo privilegiare l’interpretazione degli artt. 8 e 9 dellalegge 40/2004 che più risponde al principio di uguaglianza tra soggetti nati a seguito di PMA innome del superiore interesse del minore, dovendo quindi anche la madre cd intenzionale esserericonosciuta come genitore.In definitiva, la genitorialità della madre non biologica deve avere un riscontro anche formale nelcertificato emesso dallo Stato Civile, a cui consegue e che consente quella stessa tutela che hanno ifigli di coppie eterosessuali, nelle ipotesi come quella in esame, per cui deve essere accolta larichiesta di rettifica. Né può reputarsi ostacolo il principio di tipicità degli atti dello stato civile che, come sul puntoevidenziato dalla difesa delle ricorrenti, riguarda il tipo di indicazioni prescritte e non il lorocontenuto e deve necessariamente essere letto al di là dei rilievo formalistici, alla luce del superioreinteresse del minore. D’altra parte, si evidenzia che li artt. 29 e 30 del DPR 396/2000 relativiall’”atto di nascita” e alla “dichiarazione di nascita” non contengono alcun elemento che possaimpedire la formazione dell’atto in conformità alla richiesta delle ricorrenti, prevedendo la solaindicazione dei “genitori” del nuovo nato, senza riferimento al sesso degli stessi.Va pertanto dichiarato illegittimo il rifiuto dell’Ufficiale dello stato civile del Comune di Genova diattribuire al minore ZZ XX in aggiunta al cognome “XX” anche quello “YY” e, per l’effetto, deveessere ordinata la rettificazione dell’atto di nascita.Si ritiene infine di accogliere l’istanza delle ricorrenti, che hanno chiesto pronunciarsi la provvisoriaesecutività del decreto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 741 cpc; sul punto, pur nel silenziodella norma applicabile al caso in esame (art 96 dpr 396/2000), è da ritenersi che le “ragionid’urgenza” di cui all’art. 741 cpc siano implicite e da rinvenirsi nell’interesse del minore,trattandosi di una pronuncia sullo status che lo riguarda.Sussistono gravi ragioni per compensare le spese di lite – o meglio per dichiararle irripetibili, inconsiderazione della novità delle questioni trattate e della loro complessità e rilevanza.
P.Q.M.
il Tribunale accoglie il ricorso e per l’effetto, -ordina all’Ufficiale di stato civile del Comune di Genova di procedere alla rettificazione dell’atto di nascita del minore ZZ XX YY nato a Genova il 13.5.2019 con l’indicazione della doppia genitorialità in capo alle ricorrenti XX e YY, mediante l’annotazione della ricorrente YY quale secondo genitore del minore e l’inserimento del cognome “YY” dopo quello “XX”;8
-ordina l’annotazione di questo decreto a margine dell’atto di stato civile del Comune di Genova.Dichiara irripetibili le spese di lite. Efficacia immediata. Manda la cancelleria per la comunicazione alla parte ricorrente, al PM e all’Ufficiale dello Stato Civile.

Prevale l’usucapione sull’accessione per il coniuge che ha costruito la casa già coniugale

Tribunale di Oristano, sentenza 19 gennaio 2021
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ORISTANO SEZIONE CIVILE
Il Giudice dott.ssa Roberta Contu
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 578 2013 promossa da: Caia, nata a ____ il ___/1946, Sempronio, nato a _____ il ___/1953, Mevio, nato a _____ il _____/1942 e Filano, nato a _____ il ____/1945, con il patrocinio dell’avv. LOI GESUINO, elettivamente domiciliati in TERRALBA, VIA ROMA, 38 -, presso il difensore avv. LOI GESUINO; ATTORI
contro
Tizio, nato a ____ il ____/1939, con il patrocinio dell’avv. GIANNOLA ANNA MARIA, elettivamente domiciliato in VIA CARDUCCI N 6, ORISTANO, presso il difensore avv. GIANNOLA ANNA MARIA; CONVENUTO CONCLUSIONI nell’interesse della parte attrice: “voglia il Giudice Ill.mo adito, respinta ogni contraria istanza, eccezione deduzione: 1) Condannare il convenuto Tizio al rilascio in favore degli attori dei vani per cui è causa e precisamente: di un vano cucina, della dispensa, di un vano ripostiglio e servizio igienico, posti nel piano rialzato del fabbricato e di un ripostiglio e di un garage posti nel seminterrato, facenti parte dell’immobile posto in Arborea, strada 128, n° 3, distinto in catasto al F. 23 al mappale 1619; 2) Condannare Tizio al risarcimento dei danni conseguenti alla sua occupazione abusiva dei vani per cui è causa a far tempo della prima diffida, fatta nel mese di Ottobre 2007, con liquidazione in sede separata; 3) Condannare il convenuto al pagamento delle spese e competenze della causa”.
nell’interesse della parte convenuta: “conclude perché l’Ill.mo Tribunale voglia: In via principale: 1) rigettare tutte le domande spiegate dagli attori, siccome infondate, in fatto ed in diritto; In via riconvenzionale e principale: 2) accertare il possesso continuato, pacifico ed ininterrotto, per oltre venti anni da parte del Tizio , unitamente alla Caia, dell’immobile sito in Arborea, Strada 18 Ovest n. 3, distinto in catasto al Foglio 23, mapp. 1619, ZC, U, Cat A/5, vani 11, rendita € 1.249,83 e di tutte le relative pertinenze e del capannone adibito a fienile-ricovero animali, distinto in catasto al Foglio 23 mapp. 18 sub p e q e, per l’effetto: 3) dichiarare intervenuta, in capo al Tizio, unitamente alla moglie Caia, l’usucapione dell’immobile sito inArborea, Strada 18 Ovest n. 3, distinto in catasto al Foglio 23, mapp. 1619, ZC, U, Cat A/5, vani 11, rendita € 1.249,83, comprensivo delle pertinenze e del capannone adibito a fienile-ricovero animali, distinto in catasto al Foglio 23 mapp. 18 sub p e q, disponendo la trascrizione al Conservatore dei registri immobiliari. Nella denegata ipotesi di reiezione delle domande sub 2) e 3, in via subordinata: a)istruttoria conclude e per l’ammissione della CTU; b) nel merito, ed all’esito dell’espletamento della CTU, perchè l’Ill.mo Tribunale voglia: 4) accertare e dichiarare che il Tizio vanta, nei confronti degli attori un diritto di credito in conseguenza della realizzazione del fabbricato sito in Arborea, Strada 18 Ovest n. 3, oggi distinto in catasto al Foglio 23, mapp. 1619, ZC, U e del capannone adibito a fienile-ricovero animali, distinto in catasto al Foglio 23 mapp. 18 sub p e q pari al valore dei materiali ed al prezzo della mano d’opera impiegata per la realizzazione dell’immobile di cui sopra e delle relative pertinenze nella misura di € 500.000,00 o in quella diversa che verrà accertata in causa, oltre agli interessi ed alla rivalutazione, dal dì del dovuto al saldo e, per l’effetto, 5) condannare, in solido tra loro, i convenuti al pagamento, in favore del Tizio dell’importo di € 500.000,00, oltre agli interessi ed alla rivalutazione, dal dì del dovuto al saldo; In via ulteriormente subordinata: 6) dichiarare tenuti e condannare, in solido tra loro, gli attori a pagare in favore di Tizio, ai sensi dell’art. 2041 c.c., un’indennità per la diminuzione patrimoniale dallo stesso subita in dipendenza delle spese tutte sostenute per la costruzione dell’immobile sito in Arborea, Strada 18 Ovest n. 3, distinto in catasto al Foglio 23, mapp. 1619, ZC, U, Cat A/5, vani 11, rendita € 1.249,83, comprensivo delle pertinenze, e del capannone adibito a fienile-ricovero animali, distin-to in catasto al Foglio 23 mapp. 18 sub p e q nella misura di € 500.000,00 o in quella diversa che verrà accertata in corso di causa, oltre alla rivalutazione dal dì del dovuto al saldo. In ogni caso: con condanna alle spese e competenze del giudizio, oltre ad IVA e CAP come per legge”. MOTIVI DELLA DECISIONE 1 – Con atto di citazione del 27 marzo 2013 Caia, Sempronio, Mevio e Filano hanno citato in giudizio davanti a questo Tribunale Tizio deducendo che: a) erano proprietari del terreno sito in Arborea, strada 18 ovest n. 3, nel quale era stata edificata la casa adibita a civile abitazione dei coniugi Caia e Tizio; b) il terreno era pervenuto agli esponenti tramite successione ereditaria dei loro genitori _________; c) il fabbricato era stato adibito a casa coniugale fino a quando tra i coniugi Caia e Tizio era intervenuta la separazione nel 2004; d) dal 2004, in considerazione della mancanza di mezzi di sussistenza era stato concesso al convenuto l’utilizzo di una parte del fabbricato composta da cucina, dispensa, vano ripostiglio e servizio igienico posto nel piano rialzato e di un ripostiglio e di un garage posti nel seminterrato; e) il convenuto non aveva però rilasciato il bene nonostante i vari inviti rivoltigli causandodei danni agli esponenti per l’impossibilità di utilizzarlo a fini locativi. Hanno chiesto, pertanto, il rilascio della porzione del bene occupato illegittimamente, il risarcimento deidanni causati da tale condotta, oltre la rifusione delle spese giudiziali. 2 – Si è costituito in giudizio il convenuto, con comparsa del 24 giugno 2013, il quale ha eccepito che: 2
a) dal 1978 egli aveva occupato il terreno sul quale era stata realizzata la casa coniugale in quanto concessogli da Sempronio a lui e alla moglie; b) aveva acquistato il materiale per la realizzazione della casa e aveva partecipato personalmente ai lavori di costruzione insieme alle ditte di lavori da lui incaricate; c) la casa era stata adibita a domicilio coniugale; d) aveva realizzato anche un capannone di 200 mq che aveva sempre utilizzato come ricovero di animali; e) aveva acquistato il 50% della casa e del capannone per usucapione avendogli egli il possesso pacifico ed ininterrotto da oltre vent’anni degli immobili in questione. Ha concluso chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’acquisto per usucapione degli immobili nella misura del 50%, e in via subordinata, l’accertamento del diritto di credito maturato per larealizzazione dello stesso, pari ad euro 500.00,00, e in via ulteriormente subordinata, una indennità ai sensi dell’art. 2041 c.c. per la diminuzione patrimoniale dello stesso subita in dipendenza delle spese sostenute, oltre le spese processuali. 3 – La causa è stata istruita con produzioni documentali, interrogatorio formale e prova per testimoni, e all’udienza del 1 giugno 2020 è stata trattenuta a decisione, previa assegnazione dei termini di legge. *** 4 – Al fine di esaminare la domanda proposta dagli attori e quella riconvenzionale proposta dal convenuto è necessario procedere ad una riqualificazione della domanda principale proposta dai primi, analizzare l’istituto dell’accessione per quanto concerne la costruzione del fabbricato ad opera del convenuto su fondo altrui con materiali propri, verificare la prevalenza sull’accessione dell’usucapione degli immobili da parte del convenuto. Per quanto concerne la qualificazione dell’azione di rilascio proposta dagli attori, seppur relativa ad una parte soltanto del fabbricato (composta da cucina, dispensa, vano ripostiglio e servizio igienico posto nelpiano rialzato e di un ripostiglio e di un garage posti nel seminterrato), non può essere qualificata come una mera azione personale di restituzione, poiché la stessa è destinata a ottenere l’adempimento dell’obbligazione di ritrasferire una cosa che è stata in precedenza volontariamente trasmessa in forza diun contratto di locazione, di comodato, di deposito, che non presuppongono necessariamente nel tradens la qualità di proprietario, ma come azione di rivendicazione. In tal senso si esprime la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale non è azione di restituzione ma di rivendicazione quella nella quale “l’attore chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l’occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto” (cfr. Cass. civ., Sez. Un. Civ., n. 7305 del 28 marzo 2014; nonché Cass. civ. 14 gennaio 2013 n. 705). Pertanto, la predetta azione, non risiedendo la disponibilità del bene in un un rapporto di tipo obbligatorio, deve essere qualificata come azione di rivendicazione, con conseguente dovere di assolvimento dell’onere probatorio mediante la rigida probatio diabolica, e quindi, tramite la prova dell’esistenza dell’asserito dominio sulla cosa rivendicata, risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino ad un acquisto a titolo originario. Ed è propri qui che si inserisce l’istituto dell’accessione disciplinato dall’art. 934 c.c. essendo stata la parte di fabbricato di cui si chiede il rilascio costruita, insieme al fabbricato, sopra il terreno, o meglio il podere, asseritamente di proprietà del de cuius degli attori Caia-Sempronio-Mevio. Come è noto l’art. 934 c.c., che apre le disposizioni codicistiche dedicate all’istituto dell’accessione, dettala regola generale di tale modo di acquisto della proprietà stabilendo che il proprietario del terreno acquista automaticamente la proprietà di qualsiasi costruzione o opera realizzata sopra o sotto il suolo, “salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge”. Occorre quindi soffermarsi sulla vicenda oggetto di causa riguardante astrattamente come detto l’azione di rivendicazione con conseguente rilascio di una parte di fabbricato costruito da un terzo su un terreno di proprietà del de cuius degli attori con materiali propri, il quale tuttavia asserisce di averne usucapito il50% in quanto posseduto fin dal momento della costruzione in modo pacifico ed ininterrotto insieme alla moglie. 3
Ma andiamo per gradi. Avendo qualificato l’azione principale come rivendicazione di proprietà occorre verificare se nella specie gli odierni attori hanno assolto l’onere probatorio su di essi incombente, tramite anche l’istituto dell’accessione. Dalla documentazione prodotta in giudizio appare evidente che il terreno sito nel Comune di Arborea al Fg. 23 mappale 18 sub. Q, identificato oggi con il mappale 1619, è stato acquistato da _____, padre degli attori, tramite contratto di assegnazione e vendita del podere n. 250 stipulato in data 6 febbraio 1963 con l’ETFAS, seguito dall’atto di quietanza e pagamento del 13 luglio 1977 ed annessa rinuncia del riservato dominio (cfr. doc. 4 e 5 di parte attrice), e poi trasmesso per successione ereditaria di _______ (capostipite) ai figli e alla moglie, poi anch’essa deceduta (cfr. doc. 2 e 3 di parte attrice). Ancora emerge dalla documentazione agli atti che in data 9 febbraio 1978 l’ETFAS aveva rilasciato al medesimo ______ il nulla osta a costruire nel podere una casa affinchè la figlia Caia avesse a disposizione 2000 mq per la realizzazione di una casa di abitazione per avere dimora nella stessa (cfr. doc. 7, 8, 9 di parte convenuta). Nella stessa dichiarazione di atto di notorietà dell’11 ottobre 1977 emerge infatti che il padre degli attoriconcedeva il benestare a che la figlia, maritata “Tizio”, costruisse la sua casa di abitazione nel podere n. 250 affinché lo coadiuvasse nell’attività dell’azienda agricola. Ebbene, appare evidente quindi che il terreno nel quale è stato realizzato il terreno fosse stato concesso alla figlia Caia al fine di realizzare la casa coniugale per la stessa e il marito, odierno convenuto, tenuto conto che erano sposati e in regime di comunione legale. Dall’istruttoria orale svolta (cfr. testimonianza di Nero, Rosso, Blu, Giallo e le ricevute prodotte dal convenuto), ma la circostanza non è stata nemmeno contestata dagli attori, onde per cui si deve dare per provata ai sensi dell’art, 115 c.p.c, emerge che il fabbricato nel quale la Caia e il Tizio hanno stabilito il domicilio, insieme alle pertinenze e al capannone, è stato realizzato con il lavoro del convenuto sin dal 1978 e con i materiali da lui acquistati (cfr. innumerevoli ricevute agli atti). Pertanto, in virtù del principio dell’accessione stabilito dall’art. 934 c.c. e prima menzionato essendo il fabbricato di cui si chiede il rilascio costruito, ad opera di un terzo con materiali dello stesso, sopra il podere di proprietà di __ (capostipite), era divenuto di proprietà prima di quest’ultimo e poi per successione degli attori. Ed invero, in base all’art. 934 c.c., come detto, il proprietario del terreno acquista automaticamente la proprietà di qualsiasi costruzione o opera realizzata sopra o sotto il suolo, “salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge”. L’acquisto della proprietà per accessione in favore del proprietario del terreno è quindi un effetto automatico ed avviene (nello stesso momento dell’edificazione del manufatto da parte di un terzo) per il solo fatto che la costruzione insiste su quel determinato terreno (nel caso di specie, sulla particella (…) del foglio (…), senza necessità di alcun contratto o di altro atto pubblico, e può essere evitata se tra i proprietari dei distinti immobili (terreno e fabbricato) intervenga apposita stipulazione contrattuale (accordo che deve essere sottoscritto davanti ad un notaio e sottoposto a registrazione), quindi, l’acquistoper accessione è legato al solo fatto materiale ed obiettivo dell’incorporazione (c.d. “attrazione reale”) daintendersi come “unione stabile” di una cosa con un’altra, non rilevando se essa sia avvenuta per evento naturale o per opera dell’uomo; in tale ultimo caso la volontà dell’uomo (ove pure vi sia) non assume rilievo giuridico né influisce positivamente sull’acquisto della proprietà in suo favore (cfr. Cass. civ., sez. II, 06.06.2006, n. 13215; Cass., sez. II, 15.05.2013, n. 11742; Cass. sez. I, 12.06.1987, n. 5135). Alla luce di queste considerazioni si può dire assolta la probatio diabolica dell’azione di rivendicazione esperita dagli attori. Tuttavia, la domanda principale esperita dagli attori non può essere accolta essendo viceversa fondata la domanda riconvenzionale di usucapione di parte convenuta. L’usucapione, regolata dall’art. 1158 c.c., è una fattispecie complessa avente per effetto l’acquisto della proprietà o di altro diritto reale su un bene, che presuppone la sussistenza di un comportamento possessorio “qualificato”, continuo e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sul bene, per almeno venti anni, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di un diritto reale attraverso il compimento di atti conformi alla qualità ed alla destinazione del bene, tali da rivelare, 4
anche esternamente, un’indiscussa e piena signoria in contrapposizione all’inerzia del titolare (Cass. Civ. 18392/06). Per usucapire un bene immobile, come è noto, è necessaria la sussistenza di presupposti essenziali e necessari aventi i seguenti requisiti: – l’esercizio del possesso per un periodo temporale di 20 anni a decorrere dal giorno in cui ha avuto inizio il possesso utile ai fini dell’usucapione; – possesso continuato, senza interruzioni, per il tempo necessario previsto dalla legge, caratterizzato dalla costante esplicazione del possessore del potere di fatto sul bene corrispondente al diritto reale posseduto e con manifestazione del puntuale compimento di atti di possesso conformi alla qualità ed alla destinazione della cosa tali da rivelare, anche esternamente, un’indiscussa e piena signoria di fatto sul bene medesimo che, in modo inconciliabile, escluda la possibilità di godimento altrui, anche parziale, in contrapposizione all’inerzia del titolare. Deve quindi risultare evidente – escludendo situazioni che possano condurre ad una possibile tolleranza altrui – un’inequivoca volontà di possedere ilbene in via esclusiva che connoti “impedimento” ad altri di ogni atto di godimento e/o di gestione del medesimo bene (Cass. Civ. n. 9903/2006; Cass. n. 16841/2005). – possesso pacifico e pubblico e, quindi, non acquistato in modo violento o clandestino (Cass. Civ. 17.07.1998 n. 6997) (In tali casi, detto possesso potrà giovare ai fini dell’usucapione solo quando la violenza o la clandestinità saranno cessate – art. 1163 c.c.); –possesso inequivoco, pertanto né dubbio né incerto nell’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale; deve quindi trattarsi di un possesso certo e parallelamente inidoneoa generare nei soggetti terzi il dubbio sulla effettiva intenzione del soggetto possessore di porre in essere un’attività corrispondente al predetto esercizio della proprietà. L’inequivocità, inoltre, esclude la sussistenza di “atti di mera tolleranza da parte di terzi” nel rapporto di fatto con la res,tenuto conto che tali atti comportano solo un residuale godimento della cosa da parte del (mero) fruitore, in tal modo incidendo molto debolmente sull’esercizio del diritto da parte del titolare del bene, a tal punto da determinare “uno stato di fatto incompatibile e contrastante” con il pienogodimento del diritto o con il precedente esercizio del possesso.–Ne discende che l’uso del bene conseguente a “mera tolleranza” da parte di qualsiasi soggetto (anche un familiare) titolare del diritto di proprietà (e/o comproprietà) sul bene oggetto della domanda di usucapione, determina “equivocità del possesso” e, come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, gli atti di tolleranza traggono origine da rapporti di familiarità (o amicizia) che, da un lato, giustificano la permissio ma, dall’altro, conducono ad escludere l’acquisto del possesso da parte dell’agente, implicando un elemento di transitorietà e saltuarietà caratteristici di “un godimento di modesta portata” (Cass. Civ. n. 8194/2001). Sulle suesposte premesse, ove si verta giudizialmente in una domanda di usucapione, è onere dell’istantefornire adeguata prova del possesso utile ad usucapionem ex art. 1158 c.c., quindi, di aver acquistato il possesso di cosa altrui in modo pacifico, pubblico, inequivoco e di averlo esercitato in continuità per almeno venti anni senza interruzione, con attività corrispondenti al diritto di proprietà o di altro diritto reale, in sostanza, dimostrando di essersi comportato come proprietario. Nella fattispecie per cui è causa il convenuto ha invocato l’usucapione del 50% dell’immobile sito in Arborea, Strada 18 Ovest n. 3, distinto in catasto al Foglio 23, mapp. 1619, ZC, U, Cat A/5, vani 11, rendita € 1.249,83 e di tutte le relative pertinenze e del capannone adibito a fienile-ricovero animali, distinto in catasto al Foglio 23 mapp. 18 sub p e q e, assumendo a sostegno della domanda ave egli stesso costruito il fabbricato destinato alla casa coniugale sua e della moglie, nonché delle pertinenze e del capannone, esercitando per oltre venti anni un possesso pubblico, pacifico, continuo come se ne fosse stato il comproprietario. Occorre dunque accertare se, quanto al fabbricato, possa eventualmente ritenersi sussistente un’ipotesi diincompatibilità tra l’istituto dell’accessione e quello dell’usucapione. La problematica dell’usucapione e dell’accessione è stata oggetto di significative pronunce dei giudici di legittimità. La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 3191/1980 ha affermato il seguente principio: “Nel caso in cui l’attore di una costruzione eseguita (con materiali propri) sul fondo altrui l’abbia posseduta “uti dominus” per il tempo necessario ad usucapire, l’acquisto della proprietà dell’opera, per 5
accessione, a favore del proprietario del fondo viene meno per successivo acquisto della proprietà del manufatto e del suolo, verificatosi in virtù di usucapione a favore del costruttore”. Il principio suddetto è stato, a più riprese, ribadito anche successivamente sul presupposto che in tema diusucapione di immobili la realizzazione da parte del possessore di una costruzione su un fondo di proprietà altrui è indicativa dell’ “animus sibi habendi” da parte di chi l’aveva realizzata, “animus all’evidenza incompatibile, attesa la consistenza e la stabilità della trasformazione del fondo…, con l’intenzione di esercitare un potere di fatto sul bene corrispondente al contenuto di un diritto diverso da quello di proprietà” (Cass. civ., sez. II, 11.02.2000, n. 1530). Altresì, sempre in materia di usucapione e sulla possibilità di usucapire un immobile costruito con materiali propri ma su fondo altrui e posseduto per oltre un ventennio, si è affermato che nel caso in cui l’attore di una costruzione eseguita con materiali propri sul fondo altrui, l’abbia posseduta “uti dominus” per il tempo necessario ad usucapire, ossia venti anni, il principio dell’accessione dell’opera in favore delproprietario del fondo “viene meno” per successivo acquisto della proprietà del manufatto e del suolo, verificatosi in virtù di usucapione a favore del costruttore (cfr. Cass. sez. II, 23.07.2008, n. 20288) e che in tema di usucapione di immobili la realizzazione da parte del possessore di una costruzione sul suolo altrui è indicativa dell'”animus habendi”, incompatibile con l’intenzione di esercitare un potere di fatto sul bene corrispondente al contenuto di un diritto “diverso da quello di proprietà”. Anche recentemente i giudici di legittimità nell’affrontare nuovamente la problematica dell’usucapione edell’accessione, ribaditi i principi già in precedenza espressi hanno affermato l’ammissibilità del loro cumulo, precisando che l’usucapione e l’accessione operano con modalità diverse e con espresso richiamo anche al precedente principio espresso da Cassazione n. 3191/1980 hanno ritenuto che ciò “porta a concludere che l’usucapione della costruzione eseguita su suolo altrui non esclude l’accessione, ma semplicemente ne fa venir meno gli effetti a causa del successivo acquisto della proprietà del manufatto e del suolo per usucapione da parte del costruttore, come del resto è fin troppo ovvio ed evidente sol che si consideri che l’accessione è un modo di acquisto che si perfeziona ipso iure nel momento stesso in cui la costruzione viene ad esistenza, mentre l’usucapione congiunta del suolo e del manufatto costituisce un effetto che non può che verificarsi in venti anni (o dieci, nel caso dell’art. 1159 c.c.) dopo che l’accessione si è già verificata” (cfr. Cass. civ, sez. II, 10.03.2011, n. 5739). Così risolta la questione sulla compatibilità tra l’accessione e l’usucapione – sulla scorta degli enunciati principi pienamente condivisibili e condivisi da questo giudicante – si osserva che chi agisce in giudizio,anche se in riconvenzionale, per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, ha l’onere di dimostrare i requisiti del possesso necessari per l’usucapione e deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del “corpus” ma anche dell’ “animus”; quest’ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, qualora vi sia stato svolgimento di attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale ovvero a dimostrare i vizi dell’altrui possesso, indicati dall’art. 1163 c.c., impeditivi dell’acquisto domandato (cfr. Cass. civ., sez. II, 16.03.2000, n. 3063). In materia di acquisto per usucapione di diritti reali immobiliari, poiché l’uso prolungato nel tempo di unbene non è normalmente compatibile con la mera tolleranza, essendo quest’ultima configurabile, di regola, nei casi di transitorietà ed occasionalità, in presenza di un esercizio sistematico e reiterato di un potere di fatto sulla cosa, spetta a chi l’abbia subito l’onere di dimostrare che lo stesso sia dipeso da meratolleranza. Nel caso di specie appare incontestata agli atti la realizzazione (iniziata nel 1978) ad opera del S.__, tramite anche la collaborazione delle imprese incaricate, sia del fabbricato destinato ad abitazione coniugale che del capannone, tramite l’acquisto del materiale, nonché l’utilizzo ventennale del fabbricato come abitazione (nonostante nel 2004 le parti si siano separate e il convenuto è andato ad abitare in altra parte dell’immobile), e del capannone per il ricovero di animali. Appare evidenze dalla lettura degli atti di causa infatti che gli attori si siano limitati a contestare nel corso del giudizio solo ed esclusivamente il fatto che dopo la causa di separazione il convenuto non abitava più nella casa coniugale, senza però prendere alcuna posizione sulla realizzazione della 6
costruzione della casa e del capannone ad opera del convenuto, sul pagamento del materiale da parte sua, sul fatto che aveva utilizzato il capannone come ricovero di animali, su un utilizzo condiviso dell’immobile ante separazione. Non solo ma tutti i testimoni sentiti durante l’istruttoria orale hanno confermato le circostanze dedotte dal convenuto, mentre nessuna prova contraria è stata richiesta da parte attrice. Per quanto concerne l’abitazione principale, il teste Nero, il quale aveva partecipato come operaio alla costruzione dell’immobile, sentito all’udienza dell’8 aprile 2019, ha affermato “lo so perché ci ho lavorato, ero operaio dell’impresa Rosso che ha fatto lavori edili. …quando arrivavano i blocchi di trachite bianca di S.Caterina, sporchi di melma, il Marrone scaricava col ribaltabile, puliva e ce li metteva vicino perché li utilizzassimo per la costruzione della casa(..)Io so che il Tizio andava a comprare i materiali che gli indicava il mio principale Rosso oppure il geometra. Non so in che negozioandasse il Tizio. Comunque i materiali indicati nel doc. 16 che mi viene mostrato sono stati utilizzati nella costruzione della casa”. Confermava, altresì, lo stesso Rosso l’acquisto da parte del Tizio di calcestruzzo e cemento dalla Betonsarda da maggio 1978 a luglio 1984, così come l’acquisto di materiali che venivano scaricati e/o consegnati nell’immobile sito in Arborea, Strada 18 Ovest n. 3 che andava costruendo il convenuto ed il pagamento sistematico da parte di quest’ultimo; riferiva, infatti, il teste: <<....E’ vero, lo so perché mio fratello Rosso era socio di Marrone, e io so che non pagavano loro i materiali. Ho visto che quando venivano a consegnare materiale davano al Tizio le bolle per andare a pagare, e sentivo il convenuto dire es. “oggi vado a pagare questo materiale” e ci chiedeva seci serviva qualcosa.....E’ vero che nel 1978 venne ultimato il grezzo con tetto e tegole, non so quanto venne a costare. Il Tizio ci disse, a me, a mio fratello e a Marrone ed altri operai come Arabcione e un altro Viola (manovale), che aveva usato i risparmi del lavoro in Svizzera>>; Il medesimo testimone ha confermato anche la realizzazione da parte del convenuto del capannone e l’acquisto, agli inizi degli anni ’80, di specifici materiali ovvero blocchetti dalla ditta Tuveri Tigellio, diversi da quelli utilizzati per la casa: <<....per la casa vennero utilizzati blocchi in trachite.......E’ vero, io ho lavorato anche a questo capannone e sono sta-ti utilizzati anche i blocchetti di cui al doc. 14. Ha pagato il Tizio ma non so se abbia usato il TFR o l’incentivo”. Ancora, il teste Blu, titolare dell’omonima impresa edile, (cfr.. verb. udienza del 4.7.2019) ha confermato di aver ricevuto incarico dal Tizio di eseguire lavori per la sua abitazione, di aver realizzato finestre, intonaci, imbiancatura, posa in opera dei marmi, pavimenti, rivestimenti, solaio della terrazza, di esser stato pagato personalmente dal convenuto e di aver eseguito le opere in tempi diversi; ha anche aggiunto che molte opere erano state realizzate personalmente dallo stesso Tizio il quale aveva chiesto a lui suggerimenti e consigli. Sul punto il teste Rosa ha affermato che il Tizio si era personalmente occupato delle tracce dell’impiantoelettrico, coadiuvato da Grigio (cfr. verbale udienza del 2.5.2019) e del riscaldamento, della posa in opera del battiscopa, della realizzazione del camino nello scantinato, degli scarichi esterni, della costruzione del ricovero attrezzi e di altri lavori (cfr. - verbale ud.2.5.2019). Anche Verde, ___, ____, ____, _____, ____, ____ hanno confermato ciascuno per quanto di propria competenza, i vari documenti fiscali loro mostrati (contratti, fatture, bolle di accompagnamento, ecc.), così come impiego di materiale e manodopera in quegli immobili in un arco di tempo che spaziava dallafine degli anni 70 sino agli inizi del 2000 ed che il pagamento solo da parte del Tizio. I testi hanno confermato come i lavori fossero proseguiti dal 1978 senza soluzione di continuità e, non appena realizzati i vani necessari ad abitarvi (zona giorno, dotata di un bagno e sono notte, composta da tre camere da letto ed un bagno), installati gli infissi e le porte, i coniugi si erano trasferiti e vi avevano fissato la residenza familiare (cfr. doc. 3 di parte convenuta). Non solo ma il Tizio, insieme alla moglie, sempre esercitando poteri uti dominus aveva presentato anchele domande agli Enti ed Uffici pubblici (cfr. – doc. 10 e 11 - istanza del 16.4.1999 inviata al Ministero dell’Interno - Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco-Comando di Oristano per il progetto per l’installazione di un serbatoio GPL. A fronte di tutte le predette risultanze probatorie e tenuto conto, in particolare, che nessuno dei testi escussi ha riferito circostanze idonee a ritenere non esercitato – dal convenuto - il potere di fatto sul fabbricato, per la quota del 50% insieme ad Caia, ne discende che tali elementi consentono di ritenere 7 raggiunta la prova della sussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 1158 c.c. a conforto ed a conferma dell'invocata domanda di usucapione svolta da parte convenuta relativamente alla quota del 50% dell’immobile sito in Arborea, Strada 18 Ovest n. 3, distinto in catasto al Foglio 23, mapp. 1619, ZC, U, Cat A/5, vani 11, rendita € 1.249,83, comprensivo delle pertinenze e del capannone, tutti posseduti ed utilizzati per almeno 20 anni dal convenuto, unitamente ad Caia, con costante ed ininterrotto utilizzo peril tempo utile all'usucapione, facendosi carico degli oneri inerenti e conseguenti. Alla stregua di tutte le univoche risultanze, non contraddette da alcuna emergenza contraria, devono ritenersi accertati e provati tutti i requisiti ex lege sottesi alla domanda svolta dal Tizio, tenuto conto del decorso del termine ventennale richiesto dall'art. 1158 c.c. e soddisfatti tutti i requisiti previsti ex lege quali la continuità e non interruzione del possesso, l'esclusività del possesso, il potere di fatto corrispondente al diritto reale posseduto, che hanno trovato positivo riscontro dalle deposizioni rese dai testi escussi e dalla documentazione prodotta in atti. Va pertanto dichiarato l'acquisto per usucapione della proprietà in favore del convenuto dei beni immobili relativamente alla quota del 50% dell’immobile sito in Arborea, Strada 18 Ovest n. 3, distinto in catasto al Foglio 23, mapp. 1619, ZC, U, Cat A/5, vani 11, rendita € 1.249,83, comprensivo delle pertinenze e del capannone adibito a fienile-ricovero animali, distinto in catasto al Foglio 23 mapp. 18 sub p e q e. All'accoglimento della domanda riconvenzionale, consegue l'ordine alla competente Agenzia del Territorio Servizio di Pubblicità Immobiliare, di provvedere alla trascrizione della presente sentenza. 7 - Le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e sono poste a carico della parte attrice e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1 – rigetta la domanda di rilascio e risarcimento del danno proposta dagli attori; 2 – accoglie la domanda riconvenzionale e dichiara l'acquisto della proprietà in virtù di usucapione ordinaria ai sensi e per gli effetti dell'art. 1158 c.c., in favore di Tizio, del 50% dell’immobile sito in Arborea, Strada 18 Ovest n. 3, distinto in catasto al Foglio 23, mapp. 1619, ZC, U, Cat A/5, vani 11, rendita € 1.249,83, comprensivo delle pertinenze e del capannone adibito a fienile-ricovero animali, distinto in catasto al Foglio 23 mapp. 18 sub p e q e; 3 - Ordina alla competente Agenzia del Territorio, Servizio di Pubblicità Immobiliare di Oristano di provvedere alla trascrizione della presente sentenza e ad ogni conseguente necessario incombente; 4 - condanna gli attori, in solido tra loro, al a rimborsare al Tizio, le spese di lite, che si liquidano in € 10.343,00 per compensi, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali al 15%

Pignorabile il reddito di cittadinanza

Tribunale di Oristano, 19 gennaio 2021
l Giudice dott.ssa Roberta Contu, delegato dal Presidente, letto il ricorso ai sensi dell’art. 545 c.p.c.; vista la sentenza del Tribunale di Oristano n. 858/2018 pubblicata il 27/12/2018 la quale ha stabilito in euro100,00 mensili la somma che C.______ doveva versare per il mantenimento dei figli, oltre il 50% delle spese straordinarie (cfr. “Il signor C.___ si impegna a versare mensilmente alla signora S.___ entro il 30 del mese la somma di 100 euro mensili per il mantenimento dei figli, rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT, oltre al 50% delle spese straordinarie, preventivamente concordate, salvo urgenze, e successivamente documentate. A titolo semplificativo, libri scolastici etrasporti”); osservato che C.______ risulta debitore di euro 2261,46 oltre interessi e spese (cfr. atto di precetto datato 11.9.2020 – notificato il 28.10.2020 unitamente alla sentenza del Tribunale di Oristano pubblicata il 27/12/2018, munita di formula esecutiva l’11.9.2020) visto che il C._____ risulta percettore di un reddito di cittadinanza pari ad euro 523,37 mensili da maggio 2020 versate dall’INPS anche in favore dei minori (cfr. dichiarazione di terzo agli atti); tenuto conto che il credito vantato dalla ricorrente è diretto al mantenimento di tre figli onde per cui assumela natura di credito alimentare, così come anche la somma versata dall’INPS tiene conto del nucleo familiare da mantenere; visto l’art. 545, comma I, c.p.c.; P.Q.M. Autorizza il pignoramento delle somme erogate dall’INPS di Oristano, come reddito di cittadinanza in favore di C.______ (CF _____), nato a _____ il ____.1965, ivi residente in via _____ nella misura di euro 220,00 mensili. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Oristano, 19/01/2021 Il Giudice delegato dott. Roberta Contu

La nuova convivenza non è motivo di revoca automatica dell’assegnazione della casa.

Tribunale di Bologna, 4 dicembre 2020
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 12749/2017 promossa da:
YY[recte :coniuge divorziato (ex marito) di XX; (c.f.omissis), con il patrocinio dell’avv. Ada Valeria Fabj, elettivamente domiciliato in via G. Garibaldi, 5 Bologna, presso il difensore avv. Ada Valeria Fabj ATTORE
Contro
XX[recte :coniuge divorziato (ex marito) di XX; (c.f.omissis), con il patrocinio dell’avv.Tiziana Falvo e dell’avv. Michele Angelo Lupoi (c.f.omissis) via Santo Stefano, 11 Bologna; elettivamente domiciliata in via Santo Stefano, 11 Bologna, presso il difensore avv. Tiziana Falvo CONVENUTO
con l’intervento del Pubblico Ministero, INTERVENUTO il 16-1-2018
in punto a”cessazione degli effetti civili del matrimonio”
CONCLUSIONI
Attore:”Voglia il Tribunale di Bologna, dato atto che ha già pronunciato sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato inter partes e ordinato all’Ufficiale dello Stato Civile di procedere all’annotazione;- disporre l’affidamento congiunto dei figli minori J, K e W (omissis) con collocazione prevalente presso la madre e permanenza presso il padre a settimane alterne dal venerdì uscita da scuola al lunedì mattina e nelle altre due settimane due pomeriggi in sintonia con lo studio dei figli nel periodo scolastico;metà di tutte le vacanze Natalizie e Pasquali alternando con la madre il giorno di Natale col 1 dell’anno;il giorno di Pasqua col Lunedì dell’Angelo;15 giorni nel periodo estivo anche da dividere in due settimane e, comunque previa possibilità di cambiamento previo accordo tra padre e madre sino al raggiungimento della maturità legale da parte dei figli ed oggi previo accordo tra i genitori sui periodi;- assegnare la casa familiare sita in Bologna in Via (omissis) n. (omissis) alla madre XXsino a quando ella vivrà sola coi figli in quanto genitore collocatario;
– disporre che YY concorra al mantenimento dei tre figli versando in via anticipata mensile entro il giorno 5, € 3.000,00 (€ 1.000,00 ciascuno) somma annualmente rivalutata secondo indice ISTAT oltre al 50% delle spese straordinarie afferenti ai minori seguendo il vigente protocollo sanitario, di istruzione e sportive che si rendano necessarie disponendo che devano essere preventivamente concordate per scritto e debitamente documentate;- condannare ex art. 96 cpc XX per le offensive ed indebite diffamazioni che ha riservatoall’ex marito nelle difese depositate e riserva di azione ex artt. 88-89 cpc nei confronti di lei e dei suoi difensori.Compensi e spese refuse.”.Convenuta:”Voglia il Tribunale:Previa, se del caso, in via istruttoria, ammissione dei seguenti mezzi di prova sin qui nonammessi, così come articolati nelle memorie ex art. 183 c.p.c., c. VI, n. 1 e 2, depositate rispettivamente in data 4/01/2019 e 4/02/2019, e rimessione della causa avanti al Giudice istruttore, per la relativa assunzione:- alla luce della necessità di conoscere la reale consistenza ereditaria lasciata dai defunti sig. R(omissis) L(omissis) e W(omissis) B(omissis), anche ai fini della quantificazione delle esatte consistenze economico-patrimoniali del sig. YY e della determinazione della quota disponibile spettante ai figli minori, si chiede che il Tribunale acquisisca informazioni specifiche, attraverso l’interrogazione della banca dati dell’Agenzia delle Entrate – servizio di anagrafe tributaria, dei rapporti con gli intermediari dell’Agenzia delle Entrate, in merito ai rapporti bancari, postali e finanziari risultanti della medesima anagrafe ed intrattenuti dai signor YY, R(omissis) L(omissis) e W(omissis) B(omissis) sia personalmente che quali cointestatari, che quali semplici delegati o legale rappresentanti;- prendere i provvedimenti previsti dall’art. 155-quinquies, disp. att. c.p.c., per ricercarecon modalità telematica i beni del dr. YY e dei defunti dr. R(omissis) L(omissis) e sig.ra W(omissis) B(omissis);- assegnare la casa familiare sita in Bologna, via (omissis) n. (omissis), alla Sig.ra XX, che vi continuerà ad abitare insieme ai figli;- confermare il calendario di visite tra padre e figli stabilito dal Giudice con ordinanza del 26/10/2017 e dal Ctu, dottoressa Lestingi, stabilendo quindi che il Sig. YY possa vedere i figli ogni venerdì dalle 17,00 alle 22,00 (ore 21,00 in periodo scolastico) e due sabati al mese (in sostituzione della domenica) dall’ora di pranzo, fino a dopo cena, salvo impegni dei ragazzi;- porre a carico del Sig. YY l’obbligo di corrispondere alla Sig.ra XX, a titolo di contributo al mantenimento dei figli, la somma mensile di euro 4.050,00 (euro 1.350,00 per ciascun figlio), da versare entro il giorno 5 di ogni mese, da accreditarsi direttamente sul conto corrente della stessa, oltre rivalutazione automatica in base agi indici ISTAT; oltre al rimborso delle spese straordinarie nella misura del 50%, secondo 3
quanto stabilito nel nuovo Protocollo del Tribunale di Bologna al riguardo.”.Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisioneYY, nato il 14-12-1963, e XX, nata il 29-10-1967, contraggono matrimonio il 28 giugno 1997 e hanno tre figli: J (nato il (omissis).(omissis).2003), K (nato il (omissis).(omissis).2005) e W (nato il (omissis).(omissis).2007).I coniugi si sono separati con sentenza parziale n. 253/2016 resa dal Tribunale di Bologna in data 2.2-3.2.2016, passata in giudicato; YY instaura il presente giudizio con ricorso depositato il 28-7-2017, mentre il procedimento di separazione è ancora in corso;chiede l’affidamento condiviso dei figli, il collocamento prevalente presso la madre, con conseguente assegnazione a lei della casa familiare di Via (omissis) n. (omissis), di sua esclusiva proprietà, visite dei figli presso di sé aweekendalternati, dalle 20 del sabato alle 20 della domenica, oltre a un pomeriggio alla settimana, dalle 17 fino a dopo cena, oltre a 15 giorni durante le vacanze estive, metà delle vacanze natalizie, ricomprendendovi ad anni alterni Natale e Capodanno, metà delle vacanze pasquali, ricomprendendovi ad anni alterni Pasqua e Pasquetta; chiede di contribuire al mantenimento ordinario dei figli con la somma di euro 1.000 mensili per ciascuno oltre al 50% delle spese straordinarie, con applicazione del Protocollo del Tribunale di Bologna.Si costituisce XX, nulla opponendo alla domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma chiedendo anche, nella comparsa di costituzione in fase presidenziale, ladecadenza del YY dalla potestà genitoriale, o in subordine l’affidamento esclusivo dei figli alla madre, la conferma del calendario di visite tra padre e figli stabilito con ordinanza del GI del procedimento di separazione, a parziale modifica dell’ordinanza presidenziale del 13-10-2015, in data 26/10/2017, con cui si stabiliva, all’esito dell’audizione dei minori, che il YY potesse vedere i figli ogni venerdì dalle 17,00 alle 22,00 (ore 21,00 in periodo scolastico) e due sabati al mese dall’ora di pranzo (compreso), fino a dopo cena; chiedeva inoltre un contributo paterno al mantenimento ordinario dei figli di euro 2.000 mensili per ciascun figlio oltre al 50% delle spese straordinarie, con applicazione del Protocollo del Tribunale di Bologna, nonché un assegno divorzile per sé di euro 2.000 mensili.All’udienza del 10-1-2018 il Giudice delegato dal Presidente confermava le condizioni di separazione vigenti, che erano quelle di cui all’ordinanza presidenziale 13-10-2015, che prevedeva l’affidamento condiviso dei figli, la loro collocazione prevalente presso lamadre, l’assegnazione alla madre della casa familiare di Via (omissis) n. (omissis), di proprietà esclusiva del padre, un contributo paterno mensile al mantenimento ordinario dei figli di euro 1.000 per ciascun figlio oltre al 50% delle spese straordinarie, salvo che per le visite padre-figli, per le quali venivano recepite le modifiche introdotte il 26-10-2017 e di cui si è detto sopra.Con procedimento incidentalesub1 introdotto con ricorso del 19-3-2018, YY chiedeva che i figli durante le vacanze estive 2018 potessero stare col padre dal 23 al 30 agosto, come previsto dall’ordinanza 11-7-2017 pronunciata nel giudizio di separazione; chiedeva, inoltre, che la XX fosse ammonita e sanzionata per avere tenuto condotte 4
inadempienti ai propri obblighi genitoriali, in violazione dei diritti del padre alla frequentazione dei figli; si costituiva XX nel procedimento incidentale così instaurato e chiedeva il rigetto delle domande, nonché, in via riconvenzionale, l’aumento ad euro 2.000 mensili del contributo paterno al mantenimento ordinario di ciascun figlio.Con ordinanza depositata il 21-5-2018, a parziale modifica dell’ordinanza presidenziale di divorzio, il GI, respingendo ogni diversa istanza, dava atto che il calendario delle visite padre-figli non prevedeva allo stato, che i figli potessero trascorrere periodi di vacanza col padre, salvo diverse determinazioni da assumersi all’esito dell’espletanda ctu che sarebbe stata, a breve, disposta nel procedimento principale, e, in considerazione delle aumentate esigenze dei figli e della riduzione dei periodi di loro permanenza pressoil padre, disponeva l’aumento del contributo paterno al mantenimento ordinario di ciascun figlio, ad euro 1.200 mensili, ferma la suddivisione al 50% delle spese straordinarie e tutte le altre statuizioni vigenti.Con sentenza parziale del 24.5-2018 era pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio.In data 2-12-2018 la ctu, nominata nella persona della dott. Laura Lestingi (psicoterapeuta, specialista in psichiatria e neurologia, dipendente dell’AUSL di Parma eiscritta all’albo dei ctu del Tribunale di Parma), depositava la propria relazione, con la quale, all’esito di approfonditi accertamenti che hanno previsto, fra l’altro, la somministrazione e la valutazione ditestpsicodiagnostici, lo svolgimento di colloqui singoli e congiunti con i genitori, con i minori e con il compagno della madre, nonché visita ai rispettivi domicili, si è pronunciata in senso favorevole all’affidamento congiunto dei figli a entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso la madre e visite padre-figli per due sabati al mese, dal pranzo fino alla tarda serata, oltre a un pomeriggio alla settimana fino a dopo cena, con pernottamento presso il padre, oltre alla metà delle vacanze natalizie e pasquali e a due settimane durante le vacanze estive, indicando la necessità di tenere conto della volontà dei minori circa il pernottare, o meno, presso il padre.La ctu ha preso atto della perdurante aspra conflittualità tra le parti; ha concluso che “Gliaccertamenti psicodiagnostici hanno rilevato l’assenza di disturbi psichiatrici maggiori nel padre e nella madre che possano interferire gravemente con l’esercizio della capacità genitoriale. Sono state rilevate delle caratteristiche personologiche peculiari che possono essere migliorate grazie ad un eventuale percorso di sostegno individuale alla genitorialità”; entrambi i cc.tt.pp., nelle rispettive osservazioni, hanno fornito letture”meno benevole” dei risultati deiteste dei colloqui, e quindi hanno formulato giudizi piùseveri, rispetto a quello del c.t.u., con riferimento alla controparte; tuttavia, l’argomento dell’affidamento condiviso non è in discussione e deve condividersi su quanto concluso dal c.t.u., cioè che non siano emersi elementi concreti e specifici tali da far ritenere contrario all’interesse dei minori l’affido condiviso a entrambi i genitori, dovendosi sottolineare, in particolare, che i figli non hanno mostrato particolari problemi di salute, né fisica né psichica, né risulta che siano stati in alcun modo messi a conoscenza delle inclinazioni sessuali paterne (questo valeva per l’epoca della c.t.u., perché successivamente, nel 2019, risulta che sia stato il padre stesso a metterli al corrente della 5
cosa, al dichiarato fine di evitare che ne venissero a conoscenza in altro modo e magari con modalità inadeguate); la ctu afferma al riguardo: “Nel corso della CTU i minori non hanno mai accennato al loro coinvolgimento in tematiche relative alla sessualità o a contenuti scabrosi di vario tipo”; soggiunge altresì: “Nel percorso osservativo si è potutoconstatare il desiderio intenso filiale di porre fine alla conflittualità tra padre e madre, con l’obiettivo di ottenere finalmente l’acquisizione di una reale serenità interiore”; e ancora: “Rispetto all’assetto psicologico i tests psicodiagnostici depongono per la presenza di generici segnali di disagio nei ragazzi di tipo ansioso, reattivo all’atmosferadi conflittualità genitoriale ed all’inevitabile coinvolgimento emotivo nella stessa. La prole possiede comunque strumenti difensivi che consentono di mantenere un ottimo livello performativo scolastico, una adeguata partecipazione alle attività sportive e di socializzazione.”.Quanto alle visite paterne, in relazione alle quali i figli già si erano espressi all’udienza del 26-10-2017 nel giudizio di separazione, il CTU, dopo averli nuovamente sentiti sull’argomento, osserva: “Al momento essi appaiono aver acquisito un equilibrio nell’ambito della loro routine e mostrano di non desiderare dei cambiamenti dello statusquo.”.Pur sottolineando lo squilibrio, a svantaggio del padre, degli attuali tempi di permanenzadei figli con i genitori, nemmeno il c.t. dell’attore (dott. Isacco) propone un calendario alternativo, e, sulla questione dei pernottamenti presso il padre, afferma espressamente: “..si condivide l’opinione della CTU che ritiene non si possano costringere..”.Allo stato, dunque, come indicato dal ctu nonché dalla successiva relazione del Servizio Sociale in data 16-1-2020, si ritiene che la scelta maggiormente tutelante per i minori siasalvaguardare l’equilibrio raggiunto, pertanto non si ritiene di apportare alcun cambiamento al calendario stabilito all’esito della consulenza e in essere da circa due anni, sottolineando che né il c.t.u. né il Servizio hanno ravvisato alcuna controindicazione al pernottamento dei figli presso il padre, che tuttavia, come unanimemente riconosciuto, deve tenere conto della loro volontà.Quanto alle statuizioni economiche relative ai figli, la suddivisione al 50% delle spese straordinarie è richiesta da ambo le parti.Circa la situazione economica paterna, va detto che YY è un affermato chirurgo plastico libero professionista che esercita presso diverse strutture; nell’anno di imposta 2016 ha avuto un imponibile di euro 114.660, nell’anno di imposta 2017 di euro 166.961, nell’anno di imposta 2018 di euro 140.965; il netto medio mensile è di euro 7.100 mensili; a seguito del decesso dei genitori (il 10 ottobre 2016 è deceduta la madre, il 15-12-2016 è deceduto il padre) ha ereditato, per la propria quota di legittima, insieme alla sorella M(omissis), il notevole patrimonio dei genitori, comprensivo di beni mobili e immobili, fra i quali un appartamento in Via (omissis) 30, al piano di sotto rispetto alla casa familiare dove sono rimasti la moglie e i figli, e una nota collezione di quadri (si veda il fascicolo XX, relazione della GdFsubdoc. 45 in data 22-11-2017, disposta nel procedimento di separazione; doc. 22 e 23, inventario dell’eredità della nonna paterna e pubblicazioni relative alla “Collezione (omissis)”).6
La convenuta è anch’ella specialista in chirurgia plastica ed esercita presso una struttura privata; per gli anni di imposta 2016, 2017 e 2018 ha avuto un imponibile rispettivamente di euro 34.344, 42.883 e 42.128, corrispondenti a un netto medio mensile di circa 2.500 euro; la convenuta è assegnataria della casa familiare di proprietà esclusiva del marito; la domanda di assegno divorzile inizialmente proposta è stata abbandonata.Attualmente l’attore versa euro 1.200 mensili per ciascun figlio come da provvedimento del 21-5-2018; si ritiene che tale importo possa essere aumentato ad euro 1.250, in ragione della crescita e del conseguente aumento delle necessità dei figli, che attualmente hanno età comprese fra i 13 e i 17 anni.Va dato atto che, con giudizio incidentalesub2 promosso il 16-5-23019, l’attore ha formulato le seguenti domande:”voglia nell’interesse dei minori J, K e W (omissis), accogliere il ricorso e adottare i provvedimenti idonei a limitare la responsabilità genitoriale di XX e disporre che i tre minori devono essere seguiti formalmente dal Servizio Sociale e sottoposti con le modalità che si riterranno necessarie, a ricostruire quell’equilibrio psicofisico che il comportamento materno ha causato. Previa audizione, se del caso, della CTU dott. Lestingi anche rispetto ai provvedimenti richiesti.Per quanto attiene le vacanze di J, insistiamo perché non sia consentita la permanenza in Sud Africa, poiché il padre non ritiene idoneo nella stagione estiva – anzi pericoloso -un tale soggiorno che non dà neppure garanzie educative né culturali, tanto più senza adeguata sorveglianza di persone qualificate.Si insiste comunque perché venga chiamata la dott. Lestingi a esprimere il suo parere, sull’adozione dei richiesti provvedimenti o su quelli che ritenesse più opportuni. Ovviamente alla presenza dei CTP.Con vittoria di spese e competenze.”.la convenuta si è costituita e ha concluso:”Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza disattesa:- respingere il ricorso presentato dalla difesa del Dott. YY, in quanto palesemente infondato, in fatto e in diritto, confermando per l’effetto le vigenti modalità di affidamento dei minori J, K e W.Spese al merito.”.Con il giudizio incidentalesub3 introdotto con ricorso il 31-10-2019, l’attore ha espressamente riproposto le domande di cui alsub2, alla luce di eventi verificatesi nelle more.Si è costituita la convenuta chiedendone il rigetto.Sul consenso delle parti, si è stabilito che i giudizi incidentali sarebbero stati decisi unitamente al merito.In estrema sintesi, l’attore lamenta che la madre abbia “abusato” della responsabilità 7
genitoriale per allontanare i figli dal padre, per avere lei la gestione dell’eredità dei minori, nominati eredi per la quota disponibile da entrambi i nonni paterni, imponendo altresì ai figli la presenza del proprio compagno.In realtà dalla ctu e dalla successiva relazione del Servizio Sociale in data 16-1-2020 è emersa una situazione di stabilità e di raggiunto equilibrio dei figli, che è importante preservare; il compagno della madre, che il ctu ha incontrato, risulta avere un buon rapporto con i ragazzi; la volontà attuale dei figli di limitare quantitativamente il tempo da trascorrere col padre pare essere frutto della volontà di mantenere una determinataroutine, che è loro funzionale, piuttosto che di influenza indebita da parte della madre.L’età dei ragazzi (che hanno 13, 15 e 17 anni) e l’assenza di particolari problemi (salvo l’eccessivo coinvolgimento nel conflitto genitoriale, di cui comunque i genitori sono già pienamente edotti, essendosi, peraltro, al termine della ctu, impegnati a seguire un percorso di mediazione familiare, di cui non si conosce l’esito) inducono a non ritenere opportuna la disposizione di alcun monitoraggio da parte del Servizio, che già ha fornito un quadro tranquillizzante circa le condizioni dei minori e l’adeguatezza dell’attualestatus quo(si vedano le “valutazioni conclusive” della relazione del gennaio 2020).Le questioni relative alle vacanze estive 2019 dei figli e all’eredità dei nonni paterni risultano, peraltro, oggetti di procedimenti distinti e hanno trovato, o troveranno, soluzione in tali diverse sedi.Parte attrice sembra, poi, allegare che la relazione tra la XX e il G(omissis) abbia assuntoi caratteri di una stabile convivenza.A prescindere dalla tempestività (tutta da verificare) di tale allegazione e della relativa domanda di versamento di un’indennità a YY a carico della XX, si osserva che la convivenza non risulta provata, anzi depongono in senso contrario le dichiarazioni testimoniali rese dal G(omissis) all’udienza del 24-11-2017 del procedimento di separazione (verbale prodottosubdoc. 54 XX) e le circostanze emerse in corso di ctu (pag. 67 della relazione).Peraltro, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 308 del 2008, ha affermato che i parametri costituzionali impongono di dare rilievo prioritario e preminente all’interesse dei figli minori e, pertanto, precludono di ravvisare, nelle norme che impediscono l’assegnazione della casa familiare al coniuge — oexconiuge, oexconvivente — che ivi abbia instaurato una nuova convivenza, un’ipotesi di revoca automatica dell’assegnazione della casa (cfr. Cass. n. 23786/2004 e n. 18863 del 2011; in tema cfr. anche Cass. ord. n. 15753 del 2013; Corte di Cassazione, Sentenza 15.07.2014 n. 16171: «In tema di assegnazione della casa familiare, l’art. 155 quater c.c., applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, tutela l’interesse prioritario della prole a permanere nell’ “habitat domestico”, postulando, oltre alla permanenza dellegame ambientale, la ricorrenza del rapporto di filiazione legittima o naturale cui accede la responsabilità genitoriale, mentre non si pone anche a presidio dei rapporti affettivi ed economici che non involgano, in veste di genitori, entrambi i componenti del 8
nucleo che coabitano la casa familiare..»).Se è vero che l’assegnazione della casa familiare alla XX rappresenta, di fatto, un beneficio economico, nel senso che la stessa ha il godimento esclusivo della casa familiare di proprietà di YY, è anche vero che ciò è stato disposto avuto riguardo esclusivamente all’interesse dei figli e che tale beneficio comporta altresì degli oneri in termini di spese (utenze domestiche, spese ordinarie relative all’immobile); di tali circostanze si è sempre tenuto conto, sin dall’epoca del giudizio di separazione, nella determinazione delle altre condizioni economiche, e segnatamente nella quantificazione del contributo paterno al mantenimento dei figli.Quanto all’asserita mancanza di tempestiva costituzione della convenuta nella fase istruttoria, sollevata dall’attore in corso di causa, ma non formalmente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, è opportuno, comunque, chiarire la questione nei seguenti termini: secondo l’ orientamento nomofilattico consolidato, il deposito di una memoria difensiva nella fase presidenziale, contenente domanda riconvenzionale, vale come costituzione in giudizio della convenuta sin da tale momento e le relative domandericonvenzionali devono considerarsi ritualmente e tempestivamente proposte, senza che occorra una nuova costituzione formale nella fase che si svolge dinanzi al giudice istruttore, con una rinnovata proposizione delle domande riconvenzionali.Segnatamente, Cass., sez. I, 12 settembre 2005, n. 18116 ha affermato che, pur essendo indubbio che il limite massimo per la proposizione della domanda riconvenzionale di assegno di divorzio sia rappresentato dalla prima udienza davanti al giudice istruttore, non può negarsi la tempestività della richiesta di assegno proposta con la comparsa di risposta davanti al presidente, in tempo antecedente all’udienza di prima comparizione dinanzi al giudice istruttore; ciò esclude ogni violazione degli artt. 24 e 111 Cost., stante la procedibilità della domanda di assegno non reiterata nella fase a cognizione piena. Nello stesso senso Cass., sez. I, 11 novembre 2009, n. 23910 ha evidenziato che la previsione del termine per la costituzione del convenuto davanti al giudice istruttore non significa che, ove la parte convenuta compaia assistita da difensore nella fase presidenziale, depositando uno scritto difensivo con il quale formuli anche domande riconvenzionali, non debba considerarsi costituita in giudizio sin da tale momento e le domande riconvenzionali non debbano considerarsi ritualmente e tempestivamente proposte, senza che occorra una nuova costituzione formale nel giudizio dinanzi al giudice istruttore e una nuova proposizione delle domande riconvenzionali; in applicazione di tale principio, la medesima pronuncia ha concluso nel senso che la domanda relativa all’assegno di mantenimento doveva ritenersi tempestivamente formulata sin dalla fase presidenziale, così da essere stata ritualmente coltivata negli atti successivi. Pertanto, prosegue la sentenza citata, deve ritenersi assorbente la considerazione che la parte, una volta costituitasi nella fase presidenziale, non è tenuta a formalizzare una nuova costituzione nella fase istruttoria, stante l’unitarietà del giudizio. Si è già dato atto che la convenuta, comunque, ha rinunciato alla domanda di assegno divorzile.Le spese, alla luce dell’accordo sulla maggior parte delle questioni inizialmente controverse e la parziale soccombenza di entrambi sulla quantificazione del contributo 9
paterno al mantenimento ordinario dei figli, vanno integralmente compensate, anche riguardo ai procedimenti incidentali.P.Q.M.Il Tribunale, definitivamente pronunciando, vista la sentenza parziale di cessazione deglieffetti civili del matrimonio del 24-5-2018, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:1 – dispone l’affido condiviso dei figli minori J, nato il (omissis)-(omissis)-2003, K, nato il (omissis)-(omissis)-2005, e W, nato il (omissis)-(omissis)-2007, a entrambi i genitori; le decisioni di maggiore interesse per i figli saranno assunte di comune accordo, tenuto conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli; ciascun genitore prenderà le decisioni di ordinaria amministrazione quando ha i figli presso di sé;2 – costituisce obbligo di ciascun genitore di comunicare all’altro, ai sensi dell’art. 337sexies, comma 2 c.c., l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio nel termine perentorio di trenta giorni; avverte che la mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico dell’altro genitore o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto;3 – dispone il collocamento prevalente dei figli minori presso la madre;5 – assegna alla madre la casa coniugale sita in Bologna, Via (omissis) n. (omissis), di proprietà esclusiva del marito, e i beni mobili in essa contenuti, affinché vi abiti assieme ai figli minori;6 – dispone che il padre possa vedere e tenere con sé i figli:tenendo conto della volontà dei minori riguardo ai pernottamenti presso di sé, tutti i venerdì pomeriggio dalle 17 fino al mattino, quando rientreranno presso l’abitazione materna, ovvero a scuola; due sabati al mese, preferibilmente il secondo ed il quarto, salvo diverso accordo tra le parti , dalle 12 alle 24; durante le vacanze natalizie i minori trascorreranno il giorno 24 dicembre con il padre dalle ore 19 alle ore 24 e dal primo al sei gennaio dalle ore 10 alle 24; i restanti giorni saranno di pertinenza della madre, inclusi i pernottamenti; nelle vacanze pasquali i figli staranno col padre nei giorni di Giovedì, Venerdì e Sabato Santo, con i pernottamenti, mentre la madre trascorrerà le giornate di domenica di Pasqua, lunedì di Pasquetta e il martedì successivo, con i pernottamenti; con possibilità per i genitori di accordarsi per alternare tra loro di anno in anno le festività; per quanto concerne le vacanze estive, i figli staranno col padre per duesettimane non consecutive durante il mese di agosto, da concordare entro il 31 maggio diogni anno; salvo diverso accordo, saranno le settimane dall’1 al 7 e dal 23 al 30; ogni genitore dovrà comunicare in anticipo l’indirizzo della località scelta per le ferie con i figli e avviserà l’altro in caso di un proprio temporaneo spostamento all’estero;7 – dal mese successivo al presente provvedimento e fermo per il pregresso quanto stabilito con ordinanza presidenziale dell’11-1-2018 e 21-5-2018, pone a carico del padre l’obbligo di contribuire al mantenimento ordinario dei figli versando entro il giorno 5 di ogni mese la somma di euro 1.250 per ciascun figlio alla madre su conto corrente intestato alla medesima che gli verrà tempestivamente comunicato; tale somma 10
sarà rivalutata annualmente secondo l’indice ISTAT; pone a carico di ciascuno dei genitori le spese straordinarie per i figli nella misura del 50% ciascuno; si applica il vigente Protocollo del Tribunale di Bologna, che di seguito integralmente si riporta:Spese ricomprese nel contributo ordinario al mantenimento:spese necessarie alla soddisfazione delle esigenze primarie di vita dei figli : quindi vitto,alloggio, abbigliamento ordinario , mensa scolastica e spese per l’ordinaria cura della persona.Spese straordinarie da non concordare preventivamente in quanto ritenute in viageneralenell’interesse dei figli:spese corrispondenti a scelte già condivise dei genitori e dotate dellacaratteristica della continuità, a meno che non intervengano a causa o dopo loscioglimento dell’unione tra i genitori documentati mutamenti connessi aprimarie esigenze di vita tali da rendere la spesa eccessivamente gravosa. A titoloesemplificativo : spese mediche precedute dalla scelta concordata dellospecialista, ivi comprese le spese per i trattamenti e i farmaci prescritti; spesescolastiche costituenti conseguenza delle scelte concordata dai genitori in ordinealla frequenza dell’istituto scolastico; spese sportive, precedute dalla sceltaconcordata dello sport (ivi incluse le spese per l’acquisto delle relativeattrezzature e corredo sportivo); spese ludico – ricreativo – culturali, precedutedalla scelta concordata della attività (ivi incluse le spese per l’acquisto dellerelative attrezzature).Campi scuola estivi , baby sitter , pre scuola e post scuola se necessitate dalleesigenze lavorative del genitore collocatario e se il genitore non collocatario,anche per tramite della rete famigliare di riferimento (nonni, etc) non offretempestive alternative.Spese necessarie per il conseguimento della patente di guida.Abbonamento mezzi di trasporto pubblici.Spese scolastiche di iscrizione e dotazione scolastica iniziale come da indicazionedell’istituto scolastico frequentato; uscite scolastiche senza pernottamento.Visite specialistiche prescritte dal medico di base; ticket sanitari e apparecchidentistici o oculistici ivi comprese le lenti a contatto, se prescritti; spese medicheaventi carattere d’urgenza.Tutte le altre spese straordinarie vanno concordate tra i genitori, con le seguenti modalità.Il genitore che propone la spesa dovrà informarne l’altro per iscritto ( raccomandata, fax o mail) anche in relazione all’entità della spesa. Il tacito consenso dell’altro genitore sarà presunto decorsi trenta giorni dalla richiesta formale se quest’ultimo non abbia manifestato il proprio dissenso per iscritto (raccomandata, fax o mail) motivandolo adeguatamente, salvo diversi accordi.Rimborso delle spese straordinarie Il rimborso delle spese straordinarie a favore del genitore anticipatario avverrà dietro esibizione di adeguata documentazione comprovante la spesa. La richiesta di rimborso dovrà avvenire in prossimità dell’esborso. Il rimborso dovrà avvenire tempestivamente dalla esibizione del documento di spesa e non oltre quindici giorni dalla richiesta, salvo diversi accordi. La documentazione fiscale deve essere intestata ai figli ai fini della corretta deducibilità della stessa. Gli eventuali rimborsi e/o sussidi disposti dalla Stato e/o altro Ente Pubblico o Privato per spese scolastiche e/o sanitarie relative alla prole vanno a beneficio di entrambi i genitori nella stessa proporzionale quota di riparto delle spese straordinarie.8 – spese legali integralmente compensate, anche le spese legali dei procedimenti incidentali, nonché quelle di ctu.
Così è deciso in Bologna, nella camera di consiglio del 14 nov 20

L’amministrazione di sostegno è misura che può sostituire efficacemente l’interdizione.

Tribunale di Bologna, 30 novembre 2020
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA
Sezione Prima Civile
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott.Bruno Perla-Presidentedott.Arianna D’Addabbo-Giudice Relatoredott.Silvia Migliori-Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5474/2020
promossa da:YY, nato a Napoli (NA), il (omissis)/(omissis)/1955, elettivamente domiciliato in Via della Zecca, 2 Bologna, presso lo studio dell’avv. Clara Cirillo che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti
RICORRENTE
nei confronti di
XX, nata a (omissis), (Romania), il (omissis)/(omissis)/1983,RESISTENTE CONTUMACEcon l’INTERVENTO delPUBBLICO MINISTEROche ha espressoparere favorevoleOGGETTO:”revoca interdizione e nomina di amministratore di sostegno”
Conclusioni di parte ricorrente: come da verbale del 12.11.2020.
MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 8/05/2020, YY, nella sua qualità di tutore di XX, chiedeva a questo Tribunale la revoca della pronuncia d’interdizione già disposta nei confronti di quest’ultima con sentenza del Tribunale di Bologna n. 801/06 emessa in data 21.3.2006, rappresentando l’esigenza di applicare all’interessata una differente e più efficace misura di protezione, da ravvisarsi nella nomina di un amministratore di sostegno. All’udienza fissata del 01.10.2020, il Giudice Istruttore sentiva l’interdetta che non si costituiva a mezzo di difensore. Alla successiva udienza del 12.11.2020, parte attrice insisteva per la revoca dell’interdizione della sig.ra XX, chiedendo la trasmissione degli atti al Giudice Tutelare al fine di provvedere alla nomina di un Amministratore di Sostegno. Il G.I., dunque, ritenuto il giudizio sufficientemente istruito sulla base delle prove documentali prodotte e dell’esame dell’interessata, rimetteva la causa al Collegio per la decisione.$$$Appare fondata e meritevole di accoglimento la richiesta di parte ricorrente, in merito alla quale anche il Pubblico Ministero ha reso parere favorevole, di revoca della misura di interdizione in essere nei confronti di XX.2
Dalla documentazione medica versata agli atti si evince che la convenuta “..dall’adolescenza ha sviluppato un severo disturbo di personalità, complicato dall’uso di sostanze, facendo precocemente esperienza di scompensi psicotici e lunghi ricoveri psichiatrici già in minore età. Attualmente presenta un quadro cronicizzato di schizofrenia indifferenziata, complicato dalla persistenza di tratti borderline di personalità, con assoluta necessità di risiedere in ambiente protetto..”.L’Assistente Sociale F(omissis) O(omissis) in udienza ha dichiarato che dal 01.09.2020 la convenuta è stata inserita in una comunità di (omissis) di (omissis) [recte :località in provincia di Bologna; NdRedattore].La signora XX, sentita nell’udienza del 01.10.2020, ha dichiarato di essere a conoscenza dei motivi per cui era in Tribunale e di essere d’accordo sulla nomina di un amministratore di sostegno. La convenuta, per le cure già apprestate dai medici, per le limitazioni di cui soffre e per la vita che conduce, nonché per l’esiguità del suo patrimonio, non è ragionevolmente esposta al pericolo che altri possano approfittare della sua condizione di ridotta autonomia. Ella gode di protezione sul piano dell’assistenza materiale e sanitaria e, sotto questo profilo, l’interdizione non assicurerebbe nulla di più rispetto alla misura dell’amministrazione di sostegno. Va peraltro considerato che, a seguito dell’introduzione della L. 9 gennaio 2004, n. 6, l’interdizione e l’inabilitazione si presentano quali misure aventi carattere residuale; non possono, pertanto, essere pronunciate quando ciò non sia “necessario” ad assicurare alla persona una “adeguata protezione” e, dunque, quando sia possibile ricorrere ad una diversa emeno invasiva misura di tutela, da individuarsi in linea generale nell’amministrazione di sostegno.Il legislatore ha espressamente dichiarato di voler perseguire “..la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente..” (art. 1, L. 9 gennaio 2004, n. 9); a tale scopo è stato introdotto il nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno, volto a fornire una protezione commisurata alle concrete esigenze di tutela della persona (cfr. gli artt. 405, commi 4° e 5°, 407, 2° comma, 408, 1° comma, 410 c.c.) senza determinare in via automatica e generale una privazione o riduzione della capacità di agire.Ciò premesso, nel caso di specie, in considerazione delle risultanze processuali, risulta dunque che l’interdizione già pronunciata deve essere revocata essendone venuti meno i presupposti, e che, come richiesto da parte ricorrente, deve tuttavia procedersi ai sensi dell’art. 429 c.c. alla trasmissione degli atti al Giudice Tutelare per l’apertura di una amministrazione di sostegno.E’ opportuno mantenere in carica l’attuale tutore (Dott. YY) fino a che la sentenza non siapassata in cosa giudicata o comunque fino a nuove determinazioni del Giudice Tutelare inmerito alla nomina di un amministratore di sostegno.
Spetterà in ogni caso al Giudice Tutelare ogni valutazione in proposito. Considerati la posizione delle parti, l’esito della causa, le ragioni della decisione, la mancata costituzione della convenuta, sussistono giusti motivi per non provvedere sulle spese processuali
PQM
Il Tribunale definitivamente pronunciando:1.revocala pronuncia di interdizione emessa nei confronti di XX con sentenza del Tribunale di Bologna n. 801/06 emessa in data 21.3.2006,2.disponecon separata ordinanza la trasmissione degli atti del procedimento al Giudice Tutelare di Bologna per l’apertura di una amministrazione di sostegno avente come beneficiaria la sig.ra XX,3.disponeche l’attuale tutore (dott. YY) rimanga in carica fino a che la presente sentenza non sia passata in cosa giudicata o comunque fino alle nuove determinazioni del Giudice tutelare;4.disponeche a cura della Cancelleria la presente sentenza sia annotata nell’apposito registro.5. Nulla sulle spese.
Cosi deciso in Bologna, nella camera di consiglio del 17 novembre 2020
Il Giudice relatore estensore dott. Arianna D’Addabbo

L’opponibilità ai terzi degli effetti dello scioglimento della comunione legale derivante dalla separazione personale dei coniugi

Cass. Civ. Sez. I, Ord., 13 gennaio 2021, n. 376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. CRISTIANO Magda -Presidente -Dott. TRICOMI Laura -Consigliere -Dott. PAZZI Alberto -Consigliere -Dott. VELLA Paola -Consigliere -Dott. CAMPESE Eduardo -rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 1309/2015 r.g. proposto da:C.R., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Francesco Saladino, con cui elettivamente domicilia in Roma, al Viale America n. 11, presso lo studio dell’Avvocato Ada D’Arezzo.-ricorrente
-contro FALLIMENTO DI T.P., (p. iva (OMISSIS)), in persona del curatore, Avv. Tu.Fa., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Alfonso Cottone, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via Vicenza n. 26, presso lo studio dell’Avvocato Giuseppe Fabio.
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI PALERMO depositata il 20/10/2014;udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del giorno 20/10/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.
Svolgimento del processo.
C.R. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 3/20 ottobre 2014, notificatale il successivo 17 novembre 2014, reiettiva del gravame da lei promosso contro la sentenza del 27 ottobre del 2007, resa dal tribunale di quella stessa città, che ne aveva respinto la domanda volta ad ottenere, nei confronti della curatela del fallimento di T.P.,
marito da cui era legalmente separata, la declaratoria di sua esclusiva proprietà dell’immobile sito in (OMISSIS). Resiste, con controricorso, la curatela predetta.1.1. Opinò quella corte che, “…come ritenuto dalla Corte di cassazione con la sentenza richiamata dal tribunale (il riferimento è a Cass.n. 12098 del 1998. Ndr), per stabilire se ed in quali limiti un determinato atto trascritto sia opponibile ai terzi deve aversi riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, senza necessità di esaminare anche il contenuto del titolo, che insieme con la nota, viene depositato presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (…). Ne discende che, premesso che, in costanza di matrimonio, la C. era in regime di comunione legale dei beni con il marito e che il bene acquistato da parte di un coniuge, in tale regime, entra automaticamente nel patrimonio di entrambi, ai fini dell’opponibilità ai terzi degli effetti dello scioglimento della comunione legale derivante dalla separazione personale, con riferimento all’atto di acquisto successivo alla separazione stessa, era necessaria la trascrizione della relativa nota nei registri immobiliari. Cosicchè, in assenza dell’indicazione, nella nota di trascrizione, del regime patrimoniale della C., coniugata con il T., impostadall’art. 2659 c.c., come modificato dallaL. n. 52 del 1985, art. 1,l’acquisto effettuato dalla stessa, successivamente alla separazione legale, non può essere opposto al terzo, nei confronti del quale, quindi, il bene deve considerarsi caduto in comunione tra i coniugi”. Motivi della decisione1. Le formulate censure prospettano, rispettivamente:I) “Violazione e falsa applicazione degliartt. 2659 e2665 c.c.e della L. n. 52 del 1985, in relazione all’art. 360 c.p.c.,comma 1, nn. 3 e 5; insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per ilgiudizio”. Si ascrive alla corte distrettuale di aver “…trattato la nota di trascrizione, su cui verte la materia del contendere, come una nota correttamente trascritta nei confronti del signor T.P., equiparando l’assenza (ivi) dell’indicazione del regime patrimoniale della C., di per sè foriero di un acquisto personale, ad acquisto effettuato in comunione dei beni”;II) “Violazione e/o falsa applicazione degliartt. 91 e 92 c.p.c.; omessa motivazione su fatti decisivi e controversi per il giudizio”. Si assume che la sentenza impugnata non aveva tenuto conto del gravame in ordine alla condanna alle spese, deducendosi, esclusivamente, che “pur essendo rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito il decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazioni, il Giudice di merito, pur sollecitato sul punto dall’appellante, si è sottratto a questo obbligo, senza alcuna motivazione”.2. Il primo motivo si rivela immeritevole di accoglimento nel suo complesso.2.1. La decisione impugnata reca (cfr. pag. 4) l’accertamento, chiaramente di natura fattuale, che nella nota di trascrizione rep. n. 57405 del 18 ottobre 1995, depositata dalla stessa odierna ricorrente (e riprodotta in ricorso) -concernente l’acquisto dell’immobile sito in (OMISSIS), dalla medesima effettuato -non risultava indicato il regime patrimoniale della C., quale coniuge separata da T.P., “…essendo la relativa casella del “Quadro C” ingiustificatamente vuota, e ciò nonostante che, nell’atto di vendita, fosse indicata chiaramente la qualità di coniuge legalmente separato dell’attrice e nonostante che, proprio nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 128 del 1995, richiamata dalla C., sia prescritta l’obbligatoria indicazione del regime patrimoniale delle parti contraenti, quando risulti che le stesse siano coniugate, ed in particolare l’inserimento, nell’apposita casella della lettera “S”, se trattasi di soggetto in regime di separazione”.2.2. Costituisce, poi, orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, in relazione all’interpretazione degli artt. 2659 e2665 c.c.,quello secondo cui “per stabilire se e in quali limiti un determinato atto relativo a beni immobili sia opponibile ai terzi, deve aversi riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, dovendo le indicazioni riportate nella nota stessa consentire di individuare, senza possibilità di equivoci ed incertezze, gli estremi essenziali del negozio e i beni ai quali esso si riferisce” e “senza necessità di esaminare anche il contenuto del titolo che, insieme con la menzionata nota, viene depositato presso la conservatoria dei registri immobiliari” (cfr., ex multis, Cass. n. 4842 del 2019; Cass. n. 4726 del 2019; Cass. n. 22419 del 2018; Cass. n. 14440 del 2013;
Cass. n. 21758 del 2012; Cass. n. 18892 del 2009; Cass. n. 8400 del 2009; Cass. n. 5028 del 2007; Cass. n. 13137 del 2006; Cass. n. 10774 del 1991).2.2.1. In altri termini, come espressamente sancito da Cass. n. 14440 del 2013 (in senso sostanzialmente conforme, si veda pure la precedente Cass. n. 5002 del 2005), nel nostro ordinamento la pubblicità immobiliare che si attua con il sistema della trascrizione è imperniata su principi formali, in forza dei quali il terzo che è rimasto estraneo all’atto trascritto, per individuare l’oggetto cui l’atto si riferisce attraverso la notizia che ne da la pubblicità stessa, deve esclusivamente fare affidamento sul contenuto con cui la notizia dellastipulazione dell’atto è riferita nei registri immobiliari; pertanto, rispetto al terzo, l’atto al quale la notizia si riferisce e, quindi, il suo oggetto, affinchè la pubblicità-notizia possa svolgere effetti nei suoi confronti, risultano stabiliti esclusivamente da quel contenuto, la cui individuazione è affidata, a sua volta, all’esclusiva responsabilità del soggetto che richiede la trascrizione, sul quale, per quel che interessa gli atti tra vivi, incombe l’onere di procedervi redigendo la nota di trascrizione (art. 2659 c.c.), che, come viene dalla legge dettagliatamente specificato, si sostanzia in una rappresentazione per riassunto dell’atto da trascrivere. Di conseguenza, una volta redatta la nota ed avvenuta la trascrizione sulla base della stessa, il contenuto della pubblicità -notizia è solo quello da essa desumibile e, su chi della notizia si avvale (almeno agli effetti delle conseguenze che la legge ricollega alla trascrizione in relazione al regime della circolazione dei beni immobiliari) non incombe alcun onere di controllo ulteriore.2.2.2. Del resto, è incontestabile che i principi in tema di trascrizione sono finalizzati, in via principale, a dirimere il conflitto fra più acquirenti dello stesso immobile (o bene mobile registrato), con l’effetto che all’eventuale inesattezza/incompletezza della nota di trascrizione -oggetto di un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove adeguatamente motivato -consegue la sua corrispondente inopponibilità nei confronti del terzo in buona fede, dovendosi la trascrizione, a tal fine, considerare invalida.2.2.3. Il principio dell’autosufficienza della nota di trascrizione, nei sensi finora descritti, deriva da una precisa scelta compiuta dal legislatore che, all’art. 2664 c.c., ha previsto che il registro particolare delle trascrizioni debba essere proprio costituito dalla raccolta delle note mentre i titoli, che pure devono essere depositati presso la stessa Conservatoria (cfr. art. 2664 c.c., edart. 2840 c.c.,comma 2), non sono conservati in un apposito registro di immediata consultazione per i terzi e, quindi, non costituiscono fonte legale diretta di conoscibilità. Alsuddetto principio si affianca, inoltre, quello della cd. “autoresponsabilità”, in forza del quale si deve ritenere che la nota, essendo un atto di parte, produce effetti necessariamente conformi al contenuto della stessa, con la conseguenza che chi richiede la trascrizione di un determinato atto, redigendo (o facendo redigere) la nota in un certo modo e con un apposito contenuto, se ne assume la completa responsabilità verso i terzi.2.3. Fermo quanto precede, la questione giuridica posta dalla ricorrentecon la doglianza in esame -che si intreccia con il problema della pubblicità dello scioglimento della comunione legale dei beni tra i coniugi -risulta essere stata affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, per la prima volta (sebbene in diversa fattispecie concreta), con la pronuncia resa da Cass. n. 12098 del 1998, in un contesto normativo allora caratterizzato dal fatto che la riforma del diritto di famiglia, attuata con la L. 19 maggio 1975, n. 151, aveva introdotto il cd. sistema binario della pubblicità del regime patrimoniale dei coniugi: l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio e la trascrizione nei Registri Immobiliari. L’annotazione, prevista, in tema di convenzioni matrimoniali e di relativa modifica, dagli artt. 162 e 163 c.c., nonchédall’art. 193 c.c., con riguardo alla separazione giudiziale dei beni, aveva (ed ha tuttora) per oggetto le vicende modificative del regime patrimoniale; la trascrizione, prevista dall’art. 2647 c.c., invece, aveva (ed ha tuttora), anche in questo caso, il suo normale oggetto, vale a dire, le vicende relative alla situazione giuridica dei singoli beni immobili (o beni mobili registrati ex art. 2685 c.c.). 2.3.1. Il sistema così congegnato non sempre si era mostrato lineare e numerose perplessità eranosorte, oltre che sulla natura e funzione dei due tipi di pubblicità, anche sulla loro combinazione. In particolare, era stata rilevata, fin dall’inizio, la carenza di una pubblicità dichiarativa dello scioglimento della comunione legale per effetto della separazione personale dei coniugi. Nè il codice
civile, nè altra legge speciale, infatti, prescrivevano l’annotazione del relativo provvedimento a margine dell’atto di matrimonio, sicchè diverse erano state le soluzioni prospettate, in dottrina e nella giurisprudenza di merito, trattandosi, per alcuni, di una “grave lacuna” del legislatore, per altri, di una “svista voluta”. Solo successivamente, dunque, la sopravvenuta modifica dell’art. 191 c.c.,comma 2, per effetto dellaL. 6 maggio 2015, n. 55, art. 2,ha sancito che, “nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purchè omologato. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione” (trattasi di disposizione applicabile, giusta l’art. 3 della stessa legge, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore di quest’ultima anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data).2.4. Tanto premesso, Cass. n. 12098 del 1998, con specifico riferimento ai negozi di acquisto di beni immobili (o mobili registrati) contenenti la dichiarazione del coniuge acquirente del proprio status di separato, ebbe a negare la necessità, ai fini dell’opponibilità ai terzi degli effetti dello scioglimento della comunione derivante dalla separazione personale dei coniugi, dell’annotazione del provvedimento di separazione a margine dell’atto di matrimonio, ritenendo sufficiente (e necessario), al suddetto fine, la trascrizione della relativa nota, recante l’indicazione della corrispondente circostanza, nei registri immobiliari.2.4.1. Pur dando compiutamente atto delle contrastanti opinioni e soluzioni sul punto manifestatesi in dottrina e nelle decisioni di merito, per giungere alla descritta soluzione prescelta si rimarcò ivi, tra l’altro, che: i) per quanto riguarda la separazione personale dei coniugi, “…la pubblicità attuata mediante annotazione a margine dell’atto dimatrimonio non ha grande rilievo pratico a causa di quella che efficacemente è stata definita la “volatilità” degli effetti della separazione stessa, compreso quello dello scioglimento della comunione, in quanto è sufficiente il solo fatto della riconciliazione a farli venire meno. Riconciliazione, tra l’altro, che non è soggetta ad alcuna forma di pubblicità mediante annotazione nei registri di stato civile…”; ii) seppure non ignorandosi le esigenze di tutela dei terzi che stanno alla base dell’orientamento da essa disatteso, “…tali esigenze sono adeguatamente soddisfatte dall’ordinario sistema pubblicitario (significativamente ritenuto da Corte Cost. n. 111/95, più accessibile ed affidabile di quello attuato con le annotazioni sui registri di stato civile) della trascrizione degli atti concernenti i singoli beni di maggior rilievo economico (immobili o mobili registrati), in ordine ai quali, prevalentemente, sussiste l’interesse dei terzi stessi, sembrando del tutto secondario, se non proprio puramenteastratto e teorico, un autonomo interesse alla conoscenza del regime patrimoniale vigente, in sè e per sè”.2.4.1.1. Ciò è oggi tanto più vero, ad avviso di questo Collegio, se si tengono presenti le modifiche arrecate all’art. 2659 c.c., dallaL. n. 52 del 1985, art. 1(qui applicabile ratione temporis, venendo in rilievo trascrizioni eseguite successivamente alla sua entrata in vigore), che ha imposto l’indicazione, nella nota di trascrizione, del regime patrimoniale delle parti coniugate, quale risulta dalle dichiarazioni rese nel titolo o da certificazione dell’ufficiale di stato civile, così da lasciare intendere che, al fine di escludere l’applicazione del regime legale della comunione, le trascrizioni devono contenere le dichiarazioni dell’acquirente di essere legalmente separato/a dal/la coniuge.2.4.1.2. D’altra parte, come ancora si legge nella menzionata Cass. n. 12098 del 1998, “… esigenze di tutela dei terzi di non minore importanza sussistono anche in relazione agli acquisti di beni personali ai sensidell’art. 179 c.c., e nessuno dubita che in tal caso tali esigenze siano adeguatamente soddisfatte dalla trascrizione ex art. 2647c.c., senza che sia necessario procedere ad annotazione dell’acquisto a margine dell’atto di matrimonio”.2.4.2. Va qui solo aggiunto che: i) la già descritta, sopravvenuta modifica dell’art. 191 c.c.,comma 2, per effetto dellaL. 6 maggio 2015, n. 55, art. 2,non appare decisiva ai fini della decisione dell’odierna controversia, posto che, da un lato, nemmeno è dato sapere, in base a quanto ricavabile dalla sentenza impugnata e dai rispettivi atti introduttivi delle parti, se, e quando, nella specie, fosse
stata comunque eseguita un’annotazione, nei registri dello stato civile, dell’avvenuto scioglimento della comunione legale determinato dall’intervenuta separazione personale dei coniugi C. -T.; dall’altro, che è indiscutibile, in ogni caso, che nessuna annotazione era prevista, all’epoca della trascrizione per cui è causa, per la dichiarazione o per il “fatto” della riconciliazione (invero, solo l’art. 69 del successivoD.P.R. n. 396 del 2000,ha previsto l’annotazione, a margine dell’atto di matrimonio, delle dichiarazioni con le qualii coniugi separati manifestano la loro riconciliazione), sicchè l’informazione pubblicitaria in materia di separazione sarebbe rimasta inevitabilmente incompleta, se non addirittura fuorviante. Ciò tenuto altresì conto del fatto che, in relazione agli effetti della riconciliazione e, precisamente, se questa comporti, o meno, il ripristino della comunione legale, sono state prospettate plurime opinioni (cfr., amplius, la ricostruzione che se ne rinviene in Cass. n. 11418 del 1998), su cui, peraltro, non è necessario indugiare ulteriormente in queste sede posta la sua irrilevanza (mai essendo stata dedotta un’intervenuta riconciliazione tra la C. ed il T.) ai fini della odierna decisione; ii) un soggetto legalmente separato è, e rimane, “coniugato” fino alla cessazione degli effetti civili del matrimonio a seguito della sentenza di divorzio, ovvero all’eventuale scioglimento o annullamento del matrimonio medesimo per le cause rispettivamente previste. Di conseguenza, come desumibile dalla circolare del Ministero delle Finanze del 2 maggio 1995, n. 128, nel modello di nota di trascrizione ivi esplicato, nella corrispondente casella, nell’indicare il proprio regime patrimoniale, si utilizzerà la lettera “C”, se trattasi di soggetto in regime di comunione legale oconvenzionale, oppure la lettera “S”, se trattasi di soggetto in regime di separazione.2.5. In conclusione, pure allo stato della disciplina positiva attuale, il rapporto tra le riportate previsioni novellate di cui all’art. 2659 c.c.,comma 1 e art. 191 c.c., commi 1 e 2, deve spiegarsi nel senso che, tra i coniugi già inregime di comunione legale dei beni, non diviene di proprietà comune l’immobile acquistato da uno solo di essi dopo la loro separazione personale, quest’ultima costituendo causa di scioglimento della comunione medesima con la decorrenza prevista dall’art. 191 c.c., comma 2; invece, per l’opponibilità ai terzi dei descritti effetti dello scioglimento della comunione legale derivante dalla separazione personale dei coniugi, relativamente all’acquisto di beni immobili o mobili registrati, avvenuto con dichiarazione del coniuge acquirente dello stato di separazione, deve considerarsi necessaria e sufficiente la sola trascrizione nei registri immobiliari recante la corrispondente indicazione (cioè l’esistenza di un regime patrimoniale di separazione dei beni), indipendentemente dall’annotazione del provvedimento di separazione a margine dell’atto di matrimonio.2.5.1. Nella specie, dunque, alla data (18.10.1995) del descritto acquisto della C., l’avvenuto scioglimento, exart. 191 c.c., comma 2, della comunione legale tra quest’ultima ed il marito T.P., da cui si era precedentemente separata nel febbraio del 1994, seppure verificatosi, non era, però, opponibile ai terzi (il Fallimento di T.P. successivamente dichiarato nel 2006), pacificamente non risultando l’indicazione dello stato di separazione personale tra i menzionati coniugi (rectius: del loro regime patrimoniale di separazione dei beni, conseguente alla intervenuta separazione personale) dalla relativa nota di trascrizione, ed essendo intervenuta solo nel 1998, mediante annotazione della relativa Delibera, l’opzione dei medesimi coniugi per il diverso regime (rispetto a quello della comunione legale scelto al momento del matrimonio) della separazione dei beni. Affatto correttamente, quindi, la corte di merito, respingendone il gravame, ha confermato il rigetto della domanda della C. volta ad ottenere, nei confronti della curatela del fallimento suddetto, la declaratoria di sua esclusiva proprietà dell’immobile sito in (OMISSIS).2.6. A tali conclusioni non è certamente di ostacolo la circostanza, pure invocata dalla odierna ricorrente, dell’avvenuta trascrizione dell’acquisto predetto esclusivamente in suo favore (e non anche del T.), atteso che, quanto ai soggetti a favore o a carico dei quali deve essere eseguita la trascrizione, dall’art. 2659 c.c., n. 1, emerge che i soggetti della trascrizione non possono che essere le parti dell’atto da trascrivere. Questo principio si ritiene applicabile anche nelcaso di acquisto effettuato da parte di un solo coniuge di bene ricompreso nell’oggetto della comunione legale, in quanto il coniuge estraneo all’atto d’acquisto è mero destinatario degli effetti legali dell’acquisto individuale, ma non parte del contratto da trascrivere. Non può, d’altra parte, condividersi la tesi secondo cui nel caso di
acquisto individuale, da parte di un coniuge legalmente separato, il “titolo” dell’acquisto, di cui agli artt. 2657 e 2659 c.c., sarebbe costituito dall’atto di separazione legale, perchè la nozione di “titolo” cui, nella specie, deve farsi ricorso è quella di atto che ha prodotto il mutamento giuridico in ordine alsingolo bene oggetto della trascrizione (cfr. Cass. n. 7515 del 1986, richiamata, in motivazione, dalla successiva Cass. n. 12098 del 1998). Non c’è dubbio, allora, che il mutamento giuridico oggetto della trascrizione, nel caso di cui si tratta, è il trasferimento della proprietà dall’alienante al coniuge acquirente e tale effetto deriva dall’atto di acquisto, che, quindi, costituisce il titolo da presentare al conservatore dei registri immobiliari. Lo stato di separazione legale del coniuge acquirente, se riportato nella nota di trascrizione, non avrebbe rappresentato, dunque, la causa dell’acquisto della proprietà ma solo un elemento negativo della fattispecie acquisitiva, in quanto, escludendo l’operatività del regime legale della comunione, determinativo dell’estensione automatica dell’acquisto in testa al coniuge rimasto estraneo all’atto d’acquisto, avrebbe confermato che la proprietà era stata acquistata dal solo coniuge che ha partecipato all’atto.2.6.1. Nè a diversa conclusione si deve pervenire per effetto della citata modifica dell’art. 2659 c.c., n. 1, disposta con laL. n. 52 del 1985,in quanto la necessità di indicare nella nota di trascrizione il regime patrimoniale del coniuge acquirente attiene alla disciplina della nota e non a quella del titolo, che resta pur sempre l’atto in base al quale si attua il trasferimento della proprietà del bene. Anzi, proprio dalla modifica legislativa di cui si tratta, che si limita ad imporre l’indicazione del regime patrimoniale, risultante dalla dichiarazione dei coniugi o dal certificato dello stato civile, resta confermato che, quando lo stato di separazione legale assume un qualche rilievo, non è necessario presentare al Conservatore dei registri immobiliari l’atto di separazione, ma è sufficiente l’indicazione della circostanza che il coniuge interessato alla trascrizione è legalmente separato perchè, come si è già detto precedentemente, per stabilire se ed in quali limiti un determinato atto trascritto sia opponibile ai terzi deve aversi riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, senza necessità di esaminare anche il contenuto del titolo, che insieme con la nota, viene depositato presso la conservatoria dei registri immobiliari.2.7. Va ricordato, infine, quanto alla censura motivazionale pure prospettata nella doglianza in esame, che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (formalmente invocato dalla C.), -nella formulazione sancita dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modificazioni, dallaL. n. 34 del 2012,qui applicabile ratione temporis risultando impugnata una sentenza pubblicata il 20 ottobre 2014 -riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).3. Il secondo motivo è inammissibile.3.1. Invero, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che, come nella odierna fattispecie, non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (cfr., ex multis, Cass. n. 24502 del 2017; Cass. n. 8421 del 2017; Cass. n. 15317 del 2013; Cass. n. 5386 del 2003).4. In conclusione, il ricorso deve essere respinto, potendosi procedere alla compensazione delle spese di questo giudizio di legittimità in ragione della peculiarità dell’intera vicenda, altresì dandosi atto, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del(la) ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria
verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di questo giudizio di legittimità .Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17,dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della C., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

Il diritto reale di uso esclusivo ha effetti solo obbligatori

Cassazione Sez. Un. Civili, 17 Dicembre 2020, n. 28972. Pres. Curzio. Est. Di Marzio.
Fatti
1. – Tre sorelle, comproprietarie in regime di comunione di un edificio situato in (*), costituito, nell’arco temporale che qui rileva, da tre unità immobiliari ad uso commerciale al piano terra ed altre tre unità ad uso residenziale al primo piano, oltre che da parti comuni, in particolare un cortile retrostante ed un’area antistante i locali commerciali, procedettero nel (*) allo scioglimento della comunione, all’esito del quale una delle tre condividenti, A.As., divenne proprietaria esclusiva di un appartamento al primo piano nonchè del “negozio posto al piano terra con l’uso esclusivo della porzione di corte antistante distinti al N.C.E.U. alla pagina (*) – foglio (*) particella (*)”.
Determinatasi per effetto dello scioglimento della comunione una situazione di condominio dell’edificio, A.As. alienò a R.L. e O.E., nel (*), il proprio appartamento al primo piano ed il “negozio posto al piano terra con l’uso esclusivo della porzione di corte antistante, distinto al N.C.E.U. di detto Comune alla partita (*) foglio (*) particella (*)”. Nel cortile retrostante il fabbricato, cortile costituente parte comune ai soli appartamenti ad uso residenziale al primo piano, le tre originarie comproprietarie avevano inoltre realizzato un vano destinato a servizio igienico.
2. – D.E. e B.Pi., divenuti proprietari per acquisto fattone, all’esito di una procedura espropriativa, degli altri due appartamenti ad uso residenziale al primo piano, convennero in giudizio R.L. e O.E., nel 2002, dinanzi al Tribunale di Rimini chiedendo accertarsi:
a) che i convenuti avevano realizzato, ed utilizzavano in via esclusiva, una cantina ubicata nel cortile comune ai tre appartamenti al primo piano;
b) che i convenuti si erano appropriati dell’area comune condominiale antistante il loro negozio, lungo la (*), mediante l’installazione di una tettoia e di una chiusura a pannelli, essendo viceversa essi privi, al riguardo, di un valido titolo giustificativo;
c) che il vano destinato a servizio igienico esistente nel cortile era abusivo.
Il tutto con richiesta di autorizzazione ad essi attori alla eliminazione del servizio igienico nonchè condanna dei convenuti alla rimozione delle opere abusive, ai danni ed alle spese.
3. – R.L. e O.E. si costituirono e resistettero alla domanda.
Quanto al servizio igienico nel cortile retrostante essi si rimisero a giustizia, evidenziando però la loro estraneità alla sua costruzione, effettuata già dalle originarie comproprietarie, ed utilizzazione.
Quanto alla cantina sostennero che nel cortile erano stati eretti tre manufatti, tra i quali appunto la cantina, da considerarsi tutti comuni, chiedendo ordinarsi agli attori di cessare l’uso esclusivo degli altri due.
Quanto all’area antistante il negozio, lungo la (*), chiesero respingersi la domanda per aver diritto all’uso esclusivo in forza del titolo, ovvero per usucapione della relativa servitù, ovvero in forza dell’art. 1021 c.c..
4. – L’adito Tribunale rigettò integralmente le domande principali e riconvenzionali, con compensazione integrale di spese.
5. – D.E. e B.Pi. proposero appello al quale R.L. e O.E. resistettero, spiegando a loro volta appello incidentale.
6. – Con sentenza del 23 luglio 2015 la Corte d’appello di Bologna respinse l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale spiegato da R.L. e O.E., dichiarò che i manufatti esistenti nel cortile retrostante il fabbricato avevano natura condominiale ed ordinò a D.E. e B.Pi. di cessare l’uso esclusivo, al fine di consentire a tutti i condomini il pari utilizzo, regolando le spese di lite in applicazione del principio della soccombenza.
Osservò la Corte territoriale che:
-) la consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado aveva dato indicazioni equivoche sulla natura condominiale dell’area antistante i locali commerciali, giacchè l’ausiliare aveva per un verso evidenziato essere senz’altro condominiale il cortile retrostante, risultando invece, sulla base delle schede catastali, l’area verso (*) e (*) “a disposizione dei negozi al piano terra”, ma per altro verso aveva infine concluso che le verande realizzate sull’area antistante il negozio R. – O. “insistono anche loro totalmente su area condominiale”, affermazione, questa, che non trovava però alcun riscontro nè nei documenti acquisiti dal tecnico e neppure nella descrizione degli accertamenti catastali da lui compiuti;
-) la locuzione “uso esclusivo della corte antistante”, contenuta sia nell’atto di divisione del 1980 che in quello di compravendita del 1983, non era dirimente, potendo essa rivelare l’intento dei contraenti di riconoscere, con l’uso esclusivo, la natura pertinenziale delle corti antistanti i singoli negozi, in quanto destinate in modo permanente al servizio di quei locali;
-) all’atto della costituzione del Condominio, prodottasi per effetto della divisione del 1980, le condividenti avevano indicato come incluso nelle parti comuni il terreno sottostante e circostante il fabbricato, “salvo gli usi esclusivi delle porzioni di corte antistanti i negozi”, manifestando così l’unanime volontà di escludere tali corti dalle parti comuni, esclusione contro la quale gli attori-appellanti nulla avevano comprovato;
-) in ogni caso l’uso esclusivo menzionato nella divisione e nella successiva compravendita andava ricondotto “all’uso delle parti condominiali ex artt. 1102 e 1122 c.c., proprio in considerazione del contesto nel quale l’uso venne costituito”;
-) l’uso esclusivo delle parti comuni, difatti, non sarebbe vietato da alcuna norma di legge e, al contrario, sarebbe espressamente contemplato dall’art. 1122 c.c.; al fine, poi, di determinare la portata e l’estensione del godimento spettante a ciascun partecipante sui beni comuni, nonchè di accertare l’esistenza, in favore del singolo condominio, di particolari diritti di utilizzazione, contrastanti con la normale destinazione dei beni medesimi, occorrerebbe tener presente la situazione al momento della nascita del condominio, in relazione alle disposizioni del suo atto costitutivo e del regolamento se esistente;
-) nella specie l’uso esclusivo delle corti antistanti il negozio era stato attribuito alla condividente A.As. concordemente da tutti i condomini con l’atto di costituzione del condominio in data 3 luglio 1980, regolarmente trascritto nei registri immobiliari, ed era stato poi trasferito agli odierni appellati dalla stessa condomina con la compravendita del 1983;
-) l’utilizzo delle corti, a voler ammettere la loro natura condominiale, anche se preclusivo di analoga possibilità di godimento da parte degli altri comproprietari, era comunque legittimo perchè voluto in origine da tutti i condomini.
7. – Per la cassazione della sentenza D.E. e B.Pi. hanno proposto ricorso per sei mezzi.
8. – R.L. e O.E. hanno resistito con controricorso.
9. – Con ordinanza del 2 dicembre 2019, n. 31420, la seconda sezione civile di questa Corte ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, tanto per esigenza di composizione di contrasto, quanto per la particolare importanza della questione, sulla natura dell’uso esclusivo in ambito condominiale.
Il Primo Presidente ha disposto l’assegnazione alle Sezioni Unite. E’ stata fissata l’udienza del 21 aprile 2020.
10. – Sono state depositate memorie.
11. – Disposto il rinvio del ricorso a nuovo ruolo, è intervenuta rinuncia accettata.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso contiene sei motivi.
1.1. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1117 e 950 c.c., nonchè nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c..
Le tre sorelle A., secondo i ricorrenti, con l’atto di divisione di cui si è detto sarebbero divenute ciascuna proprietaria esclusiva dei singoli appartamenti e negozi di cui si componeva l’edificio, lasciando tra le “parti ed enti comuni” il “terreno sottostante e circostante il fabbricato”, fatti salvi gli “usi esclusivi” delle porzioni di corte antistanti i negozi: il che – si sostiene – non comportava l’attribuzione alle condividenti della piena ed esclusiva proprietà delle corti antistanti i negozi, come poteva anche desumersi dallo stato dei locali al piano terra all’epoca della divisione.
1.2. – Il secondo motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 disp. gen. e dell’art. 1122 c.c., come riformulato dalla L. n. 220 del 2012, avendo la Corte d’appello errato nel motivare la propria sentenza anche sulla scorta del disposto di tale disposizione come novellata, non applicabile ratione temporis.
1.3. – Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., avendo errato la Corte di appello nel fare applicazione dei principi in tema di uso della cosa comune, pur dopo aver negato la configurabilità di un diritto reale d’uso ex art. 1021 c.c..
1.4. – Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1021 e 1024 c.c. e art. 112 c.p.c., avendo errato la Corte d’appello nell’escludere che con l’atto di divisione le sorelle A. avessero costituito in favore di A.As. un diritto reale di uso, in conformità alla previsione dell’art. 1021 c.c., concernente la porzione antistante il negozio poi venduto ai convenuti.
Venuto ad esistenza il condominio con l’atto di divisione, difatti, l’intera corte circostante il fabbricato – secondo i ricorrenti – aveva acquisito la natura di parte comune, con attribuzione a A.As. dell’uso esclusivo della porzione antistante il negozio assegnatole allo scioglimento della comunione, ai sensi del citato art. 1021 c.c.: ma, non essendo stata pattuita l’alienabilità di siffatto diritto d’uso, la cessione di esso, nel 1983, dalla A.As. a R.L. e O.E. doveva reputarsi nulla in forza del disposto dell’art. 1024 c.c..
1.5. – Il quinto motivo denuncia nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c., nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 11 disp. gen., in relazione all’accoglimento dell’appello incidentale.
Si sostiene che non era affatto controversa tra le parti la natura condominiale della corte posteriore al fabbricato e dei relativi manufatti ivi realizzati, così come non era controverso che i convenuti avessero l’uso esclusivo di una delle cantine poste sul retro dell’edificio, avendo piuttosto costoro replicato che gli attori avessero a loro volta l’uso esclusivo di altre due cantine.
Tale ultima circostanza era stata reputata dalla Corte d’appello non contestata da B. – B., quantunque essi non fossero esposti ad un onere di contestazione specifica dei fatti di causa, in quanto nel processo non trovava applicazione ratione temporis l’art. 115 c.p.c., come novellato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 14.
1.6. – Il sesto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., avendo la Corte di appello erroneamente pronunciato la condanna alle spese, senza tener conto della condotta processuale dei convenuti.
1.7. – Il ricorso, nelle pagine da 42 a 46, contiene poi richiami ad alcuni temi di lite, in previsione dell’eventuale giudizio di rinvio e delle difese eventuali degli intimati, senza svolgere, peraltro, ulteriori specifici motivi di censura riconducibili ad alcuna delle categorie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1.
2. – La rinuncia al ricorso accettata comporta dichiarazione di estinzione del processo, senza spese.
3. – Ritengono tuttavia queste Sezioni Unite che occorra pronunciare nell’interesse della legge il principio di cui si dirà, in risposta al quesito posto dall’ordinanza di rimessione (per l’affermazione del principio di diritto in caso di rinuncia v. Cass., Sez. Un., 6 settembre 2010, n. 19051).
4. – I primi quattro motivi di ricorso, è difatti osservato dall’ordinanza di questa Corte del 2 dicembre 2019, n. 31420, impongono di esaminare una questione di diritto decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, e comunque investono una questione di massima di particolare importanza: quella della natura del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” di parti comuni dell’edificio in ambito condominiale.
Si osserva nell’ordinanza di rimessione:
-) a partire da Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301 (seguita da Cass. 10 ottobre 2018, n. 24958; Cass. 31 maggio 2019, n. 15021; Cass. 4 luglio 2019, n. 18024; Cass. 3 settembre 2019, n. 22059) è stato affermato che non può ricondursi al diritto di uso previsto dall’art. 1021 c.c., il vincolo reale di “uso esclusivo” su parti comuni dell’edificio, riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di una unità immobiliare di proprietà individuale, in maniera da incidere sulla disciplina del godimento della cosa comune, nel senso di precluderne l’uso collettivo mediante attribuzione a taluno dei partecipanti di una facoltà integrale di servirsi della res e di trarne tutte le utilità compatibili con la sua destinazione economica;
-) la capostipite di tale orientamento, facendo leva sulle nozioni di “uso esclusivo”, contenuta nell’art. 1126 c.c. e di “uso individuale”, prevista dal novellato art. 1122 c.c., ha ritenuto che tali previsioni pattizie di “uso esclusivo”, senza escludere del tutto la fruizione “di una qualche utilità sul bene” in favore degli altri comproprietari, costituiscono deroghe all’art. 1102 c.c., espressione dell’autonomia privata, con effetto di conformazione dei rispettivi godimenti; entro tale inquadramento, l’uso esclusivo sì trasmetterebbe, al pari degli ordinari poteri dominicali sulle parti comuni, anche ai successivi aventi causa dell’unità cui l’uso stesso accede; l’uso esclusivo in ambito condominiale, così come prospettato, sarebbe, quindi, “tendenzialmente perpetuo e trasferibile”, e non riconducibile al diritto reale d’uso di cui agli artt. 1021 c.c. e segg., sicchè non condividerebbe con quest’ultimo istituto nè i limiti di durata, nè i limiti di trasferibilità, e nemmeno le modalità di estinzione; neppure vi sarebbe alcun contrasto con il numerus clausus dei diritti reali, in quanto l’uso esclusivo condominiale sarebbe, piuttosto, una “manifestazione del diritto del condomino sulle parti comuni”;
-) questa configurazione appaga le diffuse esigenze avvertite dalla pratica notarile di dare al cosiddetto “uso esclusivo” di parti condominiali il rango di un diritto perpetuo e trasmissibile, a contenuto, dunque, non strettamente personale, e cioè stabilito a favore del solo usuario, collegando la facoltà di usare il bene non ad un soggetto, ma ad una porzione in proprietà individuale senza limiti temporali;
-) per converso, la qualificazione del diritto di uso esclusivo quale diritto “”quasi” uti dominus”, ma pur sempre con il limite di cui all’art. 1102 c.c., non risolve il problema della trascrivibilità, e quindi dell’opponibilità, dell’uso esclusivo sulla cosa comune, avuto riguardo al rilievo che di modificazioni del diritto di proprietà, di comunione o di condominio non si parla in alcuno dei primi tredici numeri dell’art. 2643 c.c., nè nell’art. 2645 c.c., che prevede la trascrizione di “ogni altro atto o provvedimento che produce… taluni degli effetti dei contratti menzionati nell’art. 2643”, mentre solo il n. 14 dell’art. 2643 c.c., parla di sentenze (Le. non di atti negoziali) che operano “la modificazione” di uno dei diritti menzionati nei numeri precedenti;
-) il diritto di uso esclusivo di un bene condominiale, riservato soltanto al proprietario di una delle unità immobiliari, che non può assimilarsi ad una servitù prediale, nè può essere ricostruito in termini di obbligazione propter rem, deve d’altronde confrontarsi con la diffusa considerazione che il godimento concreta una facoltà intrinseca del diritto di comunione, sicchè la modifica del contenuto essenziale della comproprietà, consistente nella negazione della facoltà di uso del bene comune ad alcuni condomini, può discendere soltanto dalla costituzione di un diritto reale in favore dell’usuario, il che però appare precluso dall’osservazione che il nostro ordinamento tuttora non consente all’autonomia privata di scavalcare il principio del numero chiuso dei diritti reali.
Invero – osserva tra l’altro l’ordinanza di rimessione – “la questione, cui occorre dare soluzione per decidere i primi quattro motivi di ricorso, circa la natura, i limiti e la opponibilità del diritto di uso esclusivo su beni comuni, involge evidentemente il più classico problema della utilizzabilità delle obbligazioni come espressioni di autonomia privata volte a regolare le modalità di esercizio dei diritti reali, opponendosi dai teorici che la libertà negoziale possa conformare unicamente i rapporti di debito, e non anche le situazioni reali: tale severa conclusione trova il suo fondamento sempre nel tradizionale principio del numerus clausus dei diritti reali, il quale si reputa ispirato da una esigenza di ordine pubblico, restando riservata al legislatore la facoltà di dar vita a nuove figure che arricchiscano i “tipi” reali normativi”.
Dopodichè, nell’ordinanza che ha rimesso gli atti al Primo Presidente è segnalata sia la non uniformità dei responsi concernenti la natura del diritto di uso esclusivo, sia il suo rilievo di questione di massima di particolare importanza.
Ed in effetti, come si vedrà, Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301, più che porsi in diretto contrasto con un formato indirizzo giurisprudenziale precedente, ha prospettato una ricostruzione nuova. Tuttavia, se, come osservato, il principio affermato da tale decisione è stato successivamente ribadito, è altrettanto vero che, ancor più di recente, la seconda sezione si è pronunciata in senso opposto, affermando che non può ipotizzarsi la costituzione di un uso reale atipico, esclusivo e perpetuo, che priverebbe del tutto di utilità la proprietà e darebbe vita a un diritto reale incompatibile con l’ordinamento (Cass. 9 gennaio 2020, n. 193).
Sicchè anche il contrasto è comunque allo stato effettivamente sussistente.
5. – La questione si pone in generale nei termini seguenti.
5.1. – Quanto all’origine del c.d. “diritto reale di uso esclusivo”, in ambito condominiale, si trova affermato, in dottrina, che esso sarebbe il frutto di una creazione giurisprudenziale, pur se relativamente tralaticia, di dubbia validità.
In effetti, però, la clausola mediante la quale si concede ad una singola unità immobiliare l’uso esclusivo di un’area, nel nostro caso (e di solito) adibita come si vedrà a cortile, non nasce – come è del resto ovvio – dalla giurisprudenza, ma si è diffusa attraverso la prassi negoziale, in particolare notarile: e si è in particolare ipotizzato che tale diffusione possa aver trovato la sua ragion d’essere, almeno in taluni casi, quale escamotage per risolvere, tramite la qualificazione surrettizia, problemi catastali, ad esempio – è stato detto – per il mancato frazionamento dell’area comune.
Nondimeno, è vero che nella giurisprudenza di questa Corte non è raro imbattersi in decisioni rese nell’ambito di liti in cui si controverteva della pretesa titolarità in capo ad un condomino (o ad alcuni condomini) di un diritto di uso esclusivo su una porzione, perlopiù cortilizia, dunque di una parte comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c..
A mero titolo di esempio possono rammentarsi pronunce concernenti: la compatibilità della funzione naturale di un cortile condominiale con la destinazione di esso all’uso esclusivo di uno o più condomini (Cass. 20 febbraio 1984, n. 1209); il diritto di godere in via esclusiva di un giardino comune conferito in uso al proprietario del piano terreno (Cass. 27 luglio 1984, n. 4451); la legittimità dell’installazione di una tenda su di uno spazio di proprietà comune, da parte del condomino del piano terreno che lo abbia in uso esclusivo e destinato a ristorante (Cass. 25 ottobre 1991, n. 11392); la possibilità di inserimento in un regolamento condominiale contrattuale della previsione dell’uso esclusivo di una parte dell’edificio definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva (Cass. 4 giugno 1992, n. 6892; e v. al riguardo, ancora senza alcuna pretesa di completezza, Cass. 27 giugno 1978, n. 3169; Cass. 10 luglio 1975, n. 2727; Cass. 24 aprile 1975, n. 1600; Cass. 14 marzo 1975, n. 970); la destinazione di un bene, dall’originario proprietario dell’intero immobile, ad un uso esclusivo (Cass. 28 aprile 2004, n. 8119); l’uso esclusivo di un’area esterna al fabbricato, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all’edificio di tutti i partecipanti (Cass. 4 settembre 2017, n. 20712).
5.2. – Nonostante la diffusione del fenomeno, tuttavia, non risulta che, prima di Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301, sulla quale tra breve si tornerà, questa Corte abbia mai chiaramente preso posizione sul fondamento della configurabilità di un c.d. “diritto reale di uso esclusivo” di una parte comune – formula, varrà subito osservare, dalla forte caratterizzazione di ossimoro, laddove coniuga l’esclusività dell’uso con l’appartenenza della porzione a più condomini – e sulla sua natura: se, cioè, l’attribuzione ad un condomino di un diritto di uso esclusivo altro non sia, almeno in taluni casi, che una formula da intendersi come equivalente dell’attribuzione a lui della proprietà solitaria sulla porzione in discorso; se e come il diritto di uso esclusivo di una parte comune possa armonizzarsi con la regola basilare dettata dall’art. 1102 c.c., senz’altro applicabile al condominio per il rinvio dell’art. 1139 c.c., secondo cui ciascun comunista può servirsi della cosa comune; se il diritto di uso esclusivo abbia natura di diritto reale atipico o sia riconducibile ad una delle figure tipiche di diritto reale di godimento, ovvero se abbia natura non di diritto reale, bensì di diritto di credito.
5.3. – In particolare, non sembra potersi isolare un indirizzo giurisprudenziale che riconduca il c.d. “diritto reale di uso esclusivo” alle servitù prediali.
Si rinviene, difatti, una ormai non recente decisione nella quale si afferma, in generale, in relazione alle formule impiegate nei regolamenti condominiali contrattuali i quali stabiliscano “pesi sulle cose comuni a vantaggio dei piani o delle porzioni di piano”, che le soluzioni oscillerebbero tra le obbligazioni propter rem, gli oneri reali e le servitù reciproche, e che quest’ultima soluzione sarebbe quella preferibile, dal momento che “detti vincoli possono essere trascritti nei registri immobiliari” (Cass. 15 aprile 1999, n. 3749): ma tale pronuncia non si misura con le specifiche caratteristiche del c.d. “diritto reale di uso esclusivo”, il quale consiste non già nella semplice creazione di pesi sulle cose comuni a vantaggio di una o più proprietà solitarie, ma, come si avrà modo di dire, in un sostanziale svuotamento del diritto di proprietà sul fondo servente.
5.4. – Con la pronuncia del 2017 poc’anzi richiamata si è affermato, come ha già rammentato l’ordinanza di rimessione, che l'”uso esclusivo” su parti comuni dell’edificio, riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di unità immobiliari in proprietà esclusiva, al fine di garantirne il migliore godimento, incide non sull’appartenenza delle dette parti comuni alla collettività, ma sul riparto delle correlate facoltà di godimento fra i condomini, che avviene secondo modalità non paritarie determinate dal titolo, in deroga a quello altrimenti presunto ex artt. 1102 e 1117 c.c.. Tale diritto non è riconducibile al diritto reale d’uso previsto dall’art. 1021 c.c. e, pertanto, oltre a non mutuarne le modalità di estinzione, è tendenzialmente perpetuo e trasferibile ai successivi aventi causa dell’unità immobiliare cui accede (Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301, che ha confermato la decisione di merito, che aveva respinto la domanda del condominio attore, tesa ad accertare che il diritto d’uso esclusivo su due porzioni del cortile, concesso con il primo atto di vendita dall’originario unico proprietario dell’intero edificio in favore di un’unità immobiliare e menzionato anche nell’allegato regolamento, non era cedibile, nè poteva eccedere i trent’anni).
Il ragionamento posto a base del principio di diritto così massimato si snoda come segue:
-) l’art. 1117 c.c., nell’indicare le parti comuni di un edificio in condominio, “se non risulta il contrario dal titolo”, consente che, al momento di costituzione del condominio, alcune delle parti altrimenti comuni possono essere sottratte alla presunzione di comunione;
-) se ciò è possibile, a fortiori è possibile, nella medesima sede costitutiva del condominio, che le parti convengano l’uso esclusivo di una parte comune in favore di uno o più condomini;
-) sotto la dizione sintetica di “uso esclusivo”, impiegata dall’art. 1126 c.c., contrapposta a quella di “uso comune”, contenuta nell’art. 1122 c.c., nella formulazione risultante dalla L. n. 220 del 2012, ove è precisata una nozione già desumibile dal sistema, si cela la coesistenza, su parti comuni, di facoltà individuali dell’usuario e facoltà degli altri partecipanti (mai in effetti realmente del tutto esclusi dalla fruizione di una qualche utilità sul bene c.d. in uso esclusivo altrui), secondo modalità non paritarie, in funzione del migliore godimento di porzioni di piano in proprietà esclusiva cui detti godimenti individuali accedano;
-) deve riconoscersi nella parte comune, anche se sottoposta ad uso esclusivo, il permanere della sua qualità, appunto, comune, giacchè l’attribuzione dell’uso esclusivo costituisce soltanto deroga da parte dell’autonomia privata al disposto dell’art. 1102 c.c., altrimenti applicabile anche al condominio, che consente ai partecipanti di fare uso della cosa comune “secondo il loro diritto”;
-) i partecipanti diversi dall’usuario esclusivo vedono diversamente conformati dal titolo i rispettivi godimenti, con maggiori utilità per l’usuario e minori utilità per gli altri condomini;
-) dalla qualifica della cosa in uso esclusivo nell’ambito del condominio quale parte comune di spettanza di tutti i partecipanti, tutti comproprietari, ma secondo un rapporto di riparto delle facoltà di godimento diverso, in quanto fissato dal titolo, da quello altrimenti presunto ex artt. 1117 e 1102 c.c., derivano i corollari dell’inerenza di tale rapporto a tutte le unità in condominio, con la conseguenza che l’uso esclusivo si trasmette, al pari degli ordinari poteri dominicali sulle parti comuni, anche ai successivi aventi causa sia dell’unità cui l’uso stesso accede che delle altre correlativamente fruenti di minori utilità;
-) l’uso esclusivo, quale connotazione del diritto di proprietà ex art. 832 c.c., o dell’altro diritto eventualmente spettante sull’unità immobiliare esclusiva cui accede, tendenzialmente perpetuo e trasferibile (nei limiti di trasferibilità delle parti comuni del condominio), non è riconducibile al diritto reale d’uso di cui all’art. 1021 c.c., di cui l’uso esclusivo di parte comune nel condominio non mutua i limiti di durata, trasferibilità e modalità di estinzione;
-) il riconoscimento dell’uso esclusivo non si pone in contrasto con il numerus clausus dei diritti reali.
5.4. – Sulla configurabilità del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” in ambito condominiale la dottrina non sembra aver fornito indicazioni univoche.
5.4.1. – Si suggerisce anzitutto da alcuni di tener distinti i casi in cui la formula “uso esclusivo” sia impiegata al fine di identificare un diritto di contenuto diverso dalla proprietà ed i casi in cui, invece, la formula, ad esempio attraverso la previsione della perpetuità e trasmissibilità del diritto, miri proprio all’attribuzione del diritto di proprietà, con la finalità, come si accennava, di rimediare a problemi catastali.
5.4.2. – Quanto al “diritto reale di uso esclusivo”, inteso in senso proprio, si afferma essere dubbia la validità di un accordo interno fra i comunisti che, in deroga all’art. 1102 c.c., assegni l’uso esclusivo, anche se di una parte del bene comune, solo ad uno o più comunisti. Difatti – si sottolinea – l’art. 1102 c.c., pone in evidenza un aspetto strutturale della comunione, il godimento, aspetto che, secondo un’opinione ampiamente accolta, non sarebbe suscettibile di subire modificazioni, beninteso sostanziali.
5.4.3. – Nel tentativo di supportare sia il dato giurisprudenziale, formatosi anteriormente a Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301, sia la prassi, si indica ancora in dottrina, come più rilevante appiglio, pur senza tacere le controindicazioni, l’art. 1126 c.c..
5.4.4. – E’ stato affermato, inoltre, che un riconoscimento legislativo degli usi esclusivi, tali da determinare una modificazione del diritto di comproprietà, suscettibile quindi di trascrizione, potrebbe rinvenirsi nel D.Lgs. 20 maggio 2005, n. 122, art. 6, comma 2, lett. b), che impone al costruttore di indicare nel contratto relativo ad una futura costruzione le parti condominiali e le “pertinenze esclusive”.
5.4.5. – Secondo altri, dopo alcune perplessità sull’utilizzazione del termine “uso”, tale da evocare il diritto reale di cui all’art. 1021 c.c., sarebbe stata superata ogni esitazione definendo tali diritti con l’espressione “uso esclusivo”, senza alcuna altra precisazione, ma nella consapevolezza che esso discenderebbe da un rapporto di servitù.
Il fondo servente sarebbe costituito dal cortile, nella parte asservita; il fondo dominante sarebbe l’unità immobiliare a cui favore l’area è asservita; il peso imposto consisterebbe nella facoltà esclusiva per il condomino a cui favore è costituita la servitù di godere del cortile.
Non osterebbe alla configurabilità di una servitù a favore del bene di proprietà esclusiva di un condomino ed a carico del condominio (o viceversa) il principio nemini res sua servit in quanto l’intersoggettività del rapporto sarebbe garantita dal concorso di altri titolari sul bene comune.
5.4.6. – L'”uso esclusivo” di cui si discute, in ogni caso, non potrebbe essere ricondotto alla previsione dell’art. 1021 c.c..
Difatti, l'”uso” ivi previsto è manifestazione del diritto, per il titolare, di servirsi di una cosa (e, se fruttifera, di raccoglierne i frutti) per quanto occorra ai bisogni suoi e della sua famiglia. Inoltre, secondo l’art. 1024 c.c., il diritto d’uso non si può cedere o dare in locazione, e la durata dello stesso, secondo l’art. 979 c.c., richiamato dall’art. 1026 c.c., non può eccedere la vita del titolare, se persona fisica, o trenta anni, se persona giuridica.
Ne deriva che, per lo più, la locuzione “uso esclusivo” attiene alla destinazione del bene, e non alla qualificazione del diritto, sussumibile entro l’ambito di applicazione dell’art. 1021 c.c..
5.4.7. – Vi è infine da rammentare, più in generale, che parte della dottrina ammette la creazione per contratto di diritti reali atipici, il che, se fosse vero, farebbe cadere ogni ostacolo al sorgere del c.d. “diritto reale di uso esclusivo”.
6. – Ritengono le Sezioni Unite che il tema del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” di parti comuni dell’edificio in ambito condominiale debba essere inquadrato nei termini che seguono.
6.1. – Nell’art. 1102 c.c., rubricato “uso della cosa comune”, dettato per la comunione ma applicabile al condominio per il tramite dell’art. 1139 c.c., il vocabolo “uso” si traduce nel significato del “servirsi della cosa comune”. Nell’art. 1117 c.c., che apre il capo dedicato al condominio, ricorre per tre volte, in ciascuno dei numeri in cui la norma si suddivide, l’espressione “uso comune”, che ripete e sintetizza la previsione dell’art. 1102 c.c..
Nella locuzione “servirsi della cosa comune” si riassumono le facoltà ed i poteri attraverso i quali il partecipante alla comunione, ovvero il condomino, ritrae dalla cosa le utilità di cui essa è capace, entro i limiti oggettivi della sua “destinazione”, cui pure si riferisce l’art. 1102 c.c..
L'”uso”, quale sintesi di facoltà e poteri, costituisce allora parte essenziale del contenuto intrinseco, caratterizzante, del diritto di comproprietà, come, ovviamente, di quello di proprietà, a tenore del dettato dell’art. 832 c.c.. L’uso è cioè (non diritto, bensì) uno dei modi attraverso i quali può esercitarsi il diritto, e forma parte intrinseca e caratterizzante, nucleo essenziale, del suo contenuto.
L’art. 1102 c.c., ribadisce ulteriormente il carattere intrinseco e caratterizzante dell'”uso della cosa comune” laddove istituisce l’obbligo del partecipante di non impedire agli altri “di farne parimenti uso secondo il loro diritto”.
6.2. – Nella formula “parimenti uso” si riassumono i connotati, per così dire normali, dell’uso della cosa comune nell’ambito della comunione e del condominio, uso in linea di principio, ed almeno in potenza, per l’appunto indistintamente paritario, promiscuo e simultaneo.
Ciò non esclude la possibilità di un “uso” più intenso da parte di un condomino rispetto agli altri (Cass. 30 maggio 2003, n. 8808; Cass. 27 febbraio 2007, n. 4617; Cass. 21 ottobre 2009, n. 22341; Cass. 16 aprile 2018, n. 9278), tanto più che l’art. 1123 c.c., comma 2, contempla espressamente la possibile esistenza di cose destinate a servire i condomini “in misura diversa”, regolando il riparto delle spese in proporzione dell’uso, previsione che trova ulteriore specificazione nel successivo art. 1124 c.c., con riguardo alla manutenzione e sostituzione di scale e ascensori.
L’uso della cosa comune può assumere inoltre caratteri differenziati rispetto alla regola della indistinta paritarietà, tuttavia pur sempre mantenuta ferma mediante un congegno di reciprocità: così, entro limiti che qui non occorre approfondire, per l’uso frazionato (Cass. 14 luglio 2015, n. 14694; Cass. 11 aprile 2006, n. 8429; Cass. 14 ottobre 1998, n. 10175; Cass. 28 gennaio 1985, n. 434; Cass. 6 dicembre 1979, n. 6338) e per l’uso turnario (Cass. 12 dicembre 2017, n. 29747; Cass. 19 luglio 2012, n. 12485; Cass. 3 dicembre 2010, n. 24647; Cass. 4 dicembre 1991, n. 13036), ipotesi, quest’ultima, ricorrente nel caso della destinazione di cortili a posti auto in numero insufficiente a soddisfare simultaneamente le esigenze di tutti i condomini.
E’ inoltre ben vero che l’art. 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, non pone una norma inderogabile, i cui limiti non possano essere resi più severi dal regolamento condominiale (Cass. 20 luglio 1971, n. 2369). Se, però, i suddetti limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, resta fermo che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (Cass. 29 gennaio 2018, n. 2114; Cass. 4 dicembre 2013, n. 27233).
6.3. – Questo essendo il quadro, il c.d. “diritto reale di uso esclusivo” va evidentemente a collocarsi al di là dell’osservanza della regola del “farne parimenti uso”, pur declinata nelle forme particolari di cui si è detto: uso frazionato e uso turnario.
Nel caso dell'”uso esclusivo”, proprio perchè esclusivo, cioè, si elide – rimanendo da verificare se ed in che limiti ciò sia giuridicamente fattibile – il collegamento tra il diritto ed il suo contenuto, concentrandosi l’uso in capo ad uno o alcuni condomini soltanto: tant’è che si è parlato in proposito, come già accennato, di uso “”quasi”uti dominus”.
6.4. – Qualora l’esegesi dell’atto induca a ritenere che l’attribuzione abbia effettivamente riguardato, secondo la volontà delle parti, non la proprietà, sia pure in veste “mascherata”, ma il c.d. “diritto reale di uso esclusivo” su una parte comune, ferma la titolarità della proprietà di essa in capo al condominio, è da escludere che un simile diritto, con connotazione di realità, possa trovare fondamento sull’art. 1126 c.c..
La norma stabilisce che, quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico: gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.
Nella giurisprudenza di questa Corte sembra rinvenirsi un unico precedente in cui l’uso esclusivo ivi menzionato è espressamente qualificato come diritto reale di godimento, come tale usucapibile.
Si afferma cioè essere esatto che i lastrici solari, necessari all’uso comune dell’edificio, del quale svolgono la funzione di copertura, non possono in generale essere usucapiti, mentre possono essere ceduti in proprietà ad un solo condomino. Si rammenta, difatti, che l’usucapione non può aver luogo in ordine ai lastrici solari, per i quali sono concettualmente insopprimibili le utilità tratte dagli altri partecipi della comunione, per effetto della connaturata destinazione di tali cose alla copertura ed alla protezione del fabbricato. Ma si aggiunge che l’art. 1126 c.c., prevede espressamente che uno dei condomini possa avere l’uso esclusivo del calpestio del lastrico e dunque possa usucapire il diritto di calpestio esclusivo. E si ricorda che la dottrina definisce tale uso esclusivo di calpestio come diritto reale equivalente ad una servitù, perfettamente usucapibile. Sicchè nulla esclude l’acquisto per usucapione non della proprietà del lastrico solare, ma, appunto, del diritto esclusivo di calpestio, che si presenta oggettivamente come autonomo dal diritto di proprietà (così Cass. 17 aprile 1973, n. 1103).
Ciò detto, la previsione dettata dall’art. 1126 c.c., è riferita ad una situazione del tutto peculiare, quale quella dei lastrici solari, che, pur svolgendo una funzione necessaria di copertura dell’edificio, e costituendo come tali parti comuni, possono però essere oggetto di calpestio, per la loro conformazione ed ubicazione, soltanto da uno o alcuni condomini, sicchè l’uso esclusivo nel senso sopra descritto non priva gli altri condomini di alcunchè, perchè essi non vi potrebbero comunque di fatto accedere.
Dalla previsione dell’art. 1126 c.c., allora, può semmai desumersi a contrario che non sono configurabili ulteriori ipotesi di uso esclusivo, le quali, in violazione della regola generale stabilita dal già richiamato art. 1102 c.c., nonchè dei principi, di cui si parlerà più avanti, del numerus clausus e di quello di tipicità dei diritti reali (principi secondo cui i privati non possono creare figure di diritti reali nuovi rispetto a quelli riconosciuti dalla legge, nè mutarne il contenuto essenziale), sottraggano a taluni condomini il diritto di godimento della cosa comune loro spettante.
L’art. 1126 c.c., avuto riguardo ai menzionati principi, non si presta dunque a fungere da punto d’appoggio per la costruzione di un più ampio “diritto reale di uso esclusivo” delle parti comuni, ma, tutt’al più, ove ne ricorrano i presupposti, ad una cauta applicazione estensiva, come per le terrazze che fungano da copertura di un edificio, le quali rispetto al lastrico offrono utilità ulteriori, ovverosia il comodo accesso e la possibilità di trattenersi (la distinzione è evidenziata p. es. da Cass. 22 novembre 1996, n. 10323).
6.5. – Neppure rileva che la riforma del condominio del 2012 abbia introdotto talune ipotesi di concessione a singoli condomini di un godimento apparentemente non paritario, giacchè, pur volendo tralasciare che tali previsioni, per la loro eccezionalità, non possono concorrere alla costruzione di un principio generale, è da escludere che esse comportino modificazioni strutturali alla comproprietà delle parti comuni in favore del titolare dell’uso.
L’art. 1122 c.c., comma 1, prevede che nelle parti normalmente destinate all’uso comune che sono state destinate all'”uso individuale” il condomino non può eseguire opere che determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.
Al riguardo, è agevole osservare che la norma neppure fa riferimento univoco ad un ipotetico “diritto reale di uso esclusivo”, mentre essa ben può essere riferita al caso, già ricordato, dell’uso frazionato delle parti comuni.
L’art. 1120 c.c., comma 2, n. 2, poi, consente, tra l’altro, che i condomini, con una maggioranza meno rigorosa di quella prevista per le innovazione in genere, possono disporre opere ed interventi per la realizzazione di parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari. E tuttavia la norma non chiarisce se i posti auto realizzati debbano essere attribuiti in proprietà esclusiva, costituendo in tal caso pertinenze delle singole unità immobiliari, o in godimento frazionato in favore dei proprietari di tali unità immobiliari:
-) nel primo caso si tratterebbe di attribuzione in proprietà (la qual cosa si è già accennato essere pienamente compatibile con la regola generale dettata dall’art. 1117 c.c., che, riferendosi al “titolo diverso”, consente di assegnare in proprietà esclusiva porzioni dell’edificio che altrimenti ricadrebbero nelle parti comuni) e non del c.d. “diritto reale di uso esclusivo”;
-) nel secondo caso si rientrerebbe nell’ipotesi di uso frazionato già considerata.
L’art. 1122 bis c.c., comma 2, ancora, consente la installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità immobiliari del condominio sul lastrico solare e su ogni altra idonea superficie comune. In base al comma 3 l’assemblea provvede, su richiesta degli interessati, a ripartire l’uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto.
Anche qui non emerge la configurabilità di un “diritto reale di uso esclusivo”. Ed anzi, il fatto che il godimento venga concesso a maggioranza dall’assemblea esclude che possa ricorrere una ipotesi di modificazione del contenuto del diritto di comproprietà.
6.6. – E’ parimenti priva di fondamento la tesi, talora affermata, secondo cui un riconoscimento legislativo degli usi esclusivi, tali da determinare una modificazione del diritto di comproprietà, potrebbe desumersi dal D.Lgs. 20 maggio 2005, n. 122, art. 6, comma 2, lett. b), che obbliga il costruttore a indicare nel contratto relativo a futura costruzione le parti condominiali e le “pertinenze esclusive”.
E’ già risolutivo osservare che si tratta di una norma eccezionale, dalla quale non potrebbe in ogni caso desumersi l’istituzione di un generale “diritto reale di uso esclusivo”. Ma, al di là di questo, la norma parla di pertinenze, e dunque ancora una volta di attribuzione in proprietà, secondo quanto si è già visto compatibile con l’assetto condominiale.
6.7.- Posto che l’art. 1102 c.c., come si diceva applicabile al condominio, stabilisce che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, è da escludere che, così come talune parti altrimenti comuni, alla stregua dell’art. 1117 c.c., possono essere attribuite in proprietà esclusiva ad un singolo condomino, a maggior ragione esse possano essere attribuite, con caratteri di realità, ad un singolo condomino, in uso esclusivo.
L’impiego dell’argomento a fortiori è difatti in tal caso un artificio retorico volto a dare per dimostrato ciò che doveva invece dimostrarsi: ossia che possa configurarsi una sostanzialmente totale compressione del godimento spettante ai condomini sulla cosa comune, con la speculare creazione di un atipico diritto reale di godimento, il diritto di uso esclusivo, in favore di uno o alcuni, di essi. Ed è parimenti un artificio retorico quello insito nell’affermazione secondo cui il c.d. “diritto di uso esclusivo” non sarebbe in realtà davvero esclusivo, poichè agli altri condomini rimarrebbe (nient’altro che) la possibilità di prendere aria e luce, nonchè di esercitare la veduta in appiombo.
Un diritto reale di godimento di uso esclusivo, in capo ad un condomino, di una parte comune dell’edificio, privando gli altri condomini del relativo godimento, e cioè riservando ad essi un diritto di comproprietà svuotato del suo nucleo fondamentale, determinerebbe, invece, un radicale, strutturale snaturamento di tale diritto, non potendosi dubitare che il godimento sia un aspetto intrinseco della proprietà, come della comproprietà: salvo, naturalmente, che la separazione del godimento dalla proprietà non sia il frutto della creazione di un diritto reale di godimento normativamente previsto.
6.8. – Siffatto c.d. “diritto reale di uso esclusivo” non è inquadrabile tra le servitù prediali.
Si è già visto che non esiste un orientamento giurisprudenziale in tal senso.
All’inquadramento non osta il principio nemini res sua servit, il quale trova applicazione soltanto quando un unico soggetto è titolare del fondo servente e di quello dominante e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell’altro, giacchè in tal caso l’intersoggettività del rapporto è data dal concorso di altri titolari del bene comune (Cass. 6 agosto 2019, n. 21020, e già Cass. 27 luglio 1984, n. 4457; Cass. 24 giugno 1967, n. 1560; Cass. 22 luglio 1966, n. 2003).
Vi osta la conformazione della servitù, che può sì essere modellata in funzione delle più svariate utilizzazioni, pur riguardate dall’angolo visuale dell’obbiettivo rapporto di servizio tra i fondi e non dell’utilità del proprietario del fondo dominante, ma non può mai tradursi in un diritto di godimento generale del fondo servente, il che determinerebbe lo svuotamento della proprietà di esso, ancora una volta, nel suo nucleo fondamentale.
Ed è perciò che questa Corte ha da lungo tempo affermato, ad esempio, che, essendo requisiti essenziali della nozione di servitù il carattere di peso e l’utilità del rapporto di dipendenza tra i due fondi, deve ritenersi contraria all’ordine pubblico, ove non rientri negli schemi dell’uso, dell’usufrutto o dell’abitazione, la convenzione, con la quale il proprietario del c.d. fondo servente si riserva la sola utilizzazione del legname per uso di carbonizzazione e la facoltà di compiere soltanto lavori attinenti alla sua industria di produzione di energia elettrica, e concede al proprietario del c.d. fondo dominante il diritto di far proprio ogni altro prodotto (Cass. 31 maggio 1950, n. 1343); ed ha ribadito che la costituzione della servitù, concretandosi in un rapporto di assoggettamento tra due fondi, importa una restrizione delle facoltà di godimento del fondo servente, ma tale restrizione, se pur commisurata al contenuto ed al tipo della servitù, non può, tuttavia, risolversi nella totale elisione delle facoltà di godimento del fondo servente. Al proprietario, pertanto, del fondo gravato da una servitù di passaggio, non può essere inibito di chiudere il fondo, purchè lasci libero e comodo l’ingresso a chi esercita la servitù di passaggio o lasci, comunque, al di fuori della recinzione la zona del fondo, sulla quale, a tenore del titolo, la servitù deve esercitarsi (Cass. 22 aprile 1966, n. 1037).
Ora, è del tutto evidente che, se ad un condomino spettasse a titolo di servitù l'”uso esclusivo” di una porzione di parte comune, agli altri condomini non rimarrebbe nulla, se non un vuoto simulacro.
6.9. – Resta da chiedersi se la creazione di un atipico “diritto reale di uso esclusivo”, tale da svuotare di contenuto il diritto di comproprietà, possa essere il prodotto dell’autonomia negoziale.
Il che è da escludere, essendovi di ostacolo il principio, o i principi, sovente in dottrina tenuti distinti, sebbene in gran parte sovrapponibili, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi: in forza del primo solo la legge può istituire figure di diritti reali; per effetto del secondo i privati non possono incidere sul contenuto, snaturandolo, dei diritti reali che la legge ha istituito.
Parte della dottrina, certo minoritaria, predica, non solo in Italia, il vanificarsi del dogma – così talora definito, in alternativa ad altre qualificazioni in termini di mistero od enigma – del numerus clausus e della tipicità dei diritti reali.
Contro di esso si invoca, in breve, una sorta di pari dignità dei diritti reali e dei diritti di credito, riguardati nella prospettiva dell’autonomia privata, che, dall’uno e dall’altro versante, non incontrerebbe altro limite, se non quello derivante dalla contrarietà all’ordine pubblico, dall’illiceità del contratto e dalla meritevolezza dell’interesse perseguito. Di guisa che i privati potrebbero così dar vita per contratto ad ogni genere di diritto, di natura reale od obbligatoria, purchè nel rispetto dei principi inderogabili dell’ordinamento giuridico. Si è osservato, sotto altro aspetto, che nessuno meglio delle parti stesse potrebbe rispondere, tempestivamente, alle sempre nuove esigenze che il traffico giuridico pone, mentre il legislatore non riuscirebbe a garantire eguale tempestività, nè completezza di strumenti. Dall’angolo visuale dell’analisi economica del diritto si è detto che i principi in discorso determinerebbero diseconomie, sulle quali non è per vero il caso qui di soffermarsi. E può aggiungersi che l’atteggiamento di disfavore verso i menzionati principi ha avuto qualche riscontro in giurisprudenza, a partire dal 2012, con l’arret Maison de poesie, proprio laddove essi si sono riaffermati con la codificazione ottocentesca, dopo una parentesi – come è stato detto – di oltre otto secoli.
Ora, ad evidenziare quanto fallace sia l’idea di diritti reali creati per contratto, dovrebbe essere sufficiente osservare che le situazioni reali si caratterizzano per la sequela, per l’opponibilità ai terzi: i diritti reali, cioè, si impongono per forza propria ai successivi acquirenti della cosa alla quale essi sono inerenti, che tali acquirenti lo vogliano o non lo vogliano: creare diritti reali atipici per contratto vorrebbe dire perciò incidere non solo sulle parti, ma, al di fuori dei casi in cui la legge lo consente, anche sugli acquirenti della cosa: ed in definitiva, paradossalmente, vincolare terzi estranei, in nome dell’autonomia contrattuale, ad un regolamento eteronimo.
Quando si afferma, allora, che i principi in discorso non sarebbero espressione di una norma positivamente codificata, ma tutt’al più si radicherebbero semplicemente nella tradizione, in vista di un generico scopo di certezza dei traffici giuridici – scopo, occorre aggiungere, che peraltro basterebbe da solo a rendere ragione dei principi medesimi -, sicchè nulla osterebbe a far sorgere dall’autonomia contrattuale diritti reali atipici, non si tiene nella necessaria considerazione che una espressa disposizione in tal senso sarebbe stata superflua, in un sistema che, dopo aver minuziosamente tipizzato e regolato gli iura in re aliena (cosa già di per sè scarsamente comprensibile, ove potessero crearsene di atipici in numero infinito), pone al centro della disciplina del contratto, come la dottrina ha da assai lungo tempo evidenziato, l’art. 1372 c.c., che limita gli effetti di esso alle parti, con la precisazione che solo la legge può contemplare la produzione di effetti rispetto ai terzi: escludendo così in radice che il contratto, se non sia la legge a stabilirlo, possa produrre effetti destinati a riflettersi nella sfera di soggetti estranei alla negoziazione.
Tale impianto del codice civile, di per sè autosufficiente, si rafforza poi nel quadro costituzionale, in applicazione dell’art. 42 Cost., laddove esso pone una riserva di legge in ordine ai modi di acquisto e, per l’appunto, di godimento, oltre che ai limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, senza che la funzionalizzazione della proprietà offra alcun sensato argomento che spinga nel senso della configurabilità di diritti reali limitati creati per contratto. Il principio del numerus clausus e della tipicità, infine, non incontra ostacoli nell’ordinamento Eurounitario, giacchè l’art. 345 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea lascia “del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri”.
A rincalzo delle raggiunte conclusioni, può ulteriormente osservarsi:
-) che l’art. 1322 c.c., colloca nel comparto contrattuale il principio dell’autonomia;
-) che l’ordinamento mostra di guardare sotto ogni aspetto con sfavore a limitazioni particolarmente incisive del diritto di proprietà, in particolare connotate da perpetuità, finanche tra le stesse parti, come si desume dalla disposizione dell’art. 1379 c.c., con riguardo alle condizioni di validità del divieto convenzionale di alienare (v. per la portata generale della regola Cass. 17 novembre 1999, n. 12769; Cass. 11 aprile 1990, n. 3082; e da ult. Cass. 20 giugno 2017, n. 15240, in relazione al vincolo perpetuo di destinazione imposto dal testatore con clausola modale);
-) che l’art. 2643 c.c., contiene un’elencazione tassativa dei diritti reali soggetti a trascrizione, il che ineluttabilmente conferma trattarsi di numerus clausus.
Quanto all’adempimento della formalità della trascrizione, del resto, essa vale a risolvere i conflitti tra successivi acquirenti a titolo derivativo (sugli acquisti a titolo originario, in relazione al rilievo della trascrizione, v. ex multis Cass. 3 febbraio 2005, n. 2161; Cass. 10 luglio 2008, n. 18888, con riguardo alla servitù acquistata per usucapione), ma, essendo dotata di efficacia meramente dichiarativa (Cass. 19 agosto 2002, n. 12236), non incide sulla validità ed efficacia di essi, ed è quindi priva di efficacia sanante dei vizi di cui sia affetto l’atto negoziale, ed inidonea ad attribuirgli la validità di cui esso sia altrimenti privo (Cass. 14 novembre 2016, n. 23127).
E dunque, ammesso e non concesso che una simile trascrizione sia oggi tecnicamente possibile, non ha cittadinanza nel diritto vigente una regola generale che faccia discendere dalla trascrizione – se non sia il legislatore, ovviamente, a stabilirlo – l’efficacia erga omnes di un diritto che non abbia già in sè il carattere della realità. Ciò – sia detto per inciso – a tacere del rilievo, rimanendo alla trascrizione, che il c.d. “diritto reale di uso esclusivo”, ove inteso come prodotto della atipica modificazione negoziale del diritto di comproprietà, non sarebbe comunque trascrivibile, dal momento che l’art. 2643 c.c., contempla al numero 14 la trascrizione delle sentenze, non degli atti negoziali, che operano la modificazione di uno dei diritti precedentemente elencati dalla norma.
6.10. – Ecco, dunque, che nella giurisprudenza di questa Corte il principio della tipicità del diritti reali, con quello sovrapponibile del numerus clausus, è fermo.
E cioè, non è configurabile la costituzione di diritti reali al di fuori dei tipi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 26 marzo 1968, n. 944). Difatti, “la proprietà non deve essere asservita per ragioni privatistiche in modo tale da rendersi quasi illusoria e priva di contenuto, inetta quindi a realizzare i propri fini essenziali, convergenti da un lato alla integrazione e allo sviluppo della personalità individuale e dall’altro al benessere e al progresso della comunità attraverso l’incremento della produzione e l’attivazione degli scambi. Di qui la necessità di non abbandonare all’autonomia privata la materia dei diritti reali (iura in re aliena) e di mantenere la loro creazione entro schemi inderogabili fissati da esigenze di ordine pubblico” (Cass. 31 maggio 1950, n. 1343).
E’ stata così rimarcata la differenza dal punto di vista sostanziale e contenutistico, del diritto reale d’uso e del diritto personale di godimento, che va colta proprio nella ampiezza ed illimitatezza del primo, conformemente al canone di tipicità dei diritti reali delineato dalla legge, rispetto alla multiforme atteggiabilità del secondo, che proprio in ragione della natura obbligatoria e non reale del rapporto giuridico prodotto, può essere diversamente regolato dalle parti nei suoi aspetti di sostanza e di contenuto. Sicchè, è da tener fermo che “il principio di tipicità legale necessaria dei diritti reali… si traduce nella regola secondo cui i privati non possono creare figure di diritti reali al di fuori di quelle previste dalla legge, nè possono modificarne il regime. Ciò comporta che i poteri che scaturiscono dal singolo diritto reale in favore del suo titolare sono quelli determinati dalla legge e non possono essere validamente modificati dagli interessati” (Cass. 26 febbraio 2008, n. 5034; richiamata da ultimo da Cass. 3 settembre 2019, n. 21965). Nello stesso senso si osservato che la potenziale estensione delle facoltà dell’usuario a tutte le possibilità di uso diretto della cosa è connotato distintivo del diritto di uso, e se, quindi, può ammettersi che il titolo costitutivo restringa il contenuto del diritto con l’esclusione di talune facoltà in esso naturalmente comprese, deve, al contrario, ritenersi che l’attribuzione di una soltanto tra le facoltà di uso consentite dalla natura del bene – tanto più se trattisi di un’utilità del tutto speciale ed estranea alla destinazione fondamentale della cosa – possa dar vita ad un rapporto obbligatorio, ma non possa configurarsi come costitutiva di un diritto reale di uso, che sarebbe essenzialmente diverso da quello previsto dalla legge e come tale inammissibile nel nostro ordinamento nel quale e mantenuto il principio della tipicità dei diritti reali (Cass. 12 novembre 1966, n. 2755). In applicazione del principio di tipicità dei diritti reali di godimento è stato stabilito che non è configurabile un rapporto di così detto dominio utile, corrispondente a uno ius in re aliena, cioè un diritto di godere di un fondo altrui in perpetuo, non essendo consentiti, al di fuori dei casi previsti alla legge, rapporti di natura perpetua, in quanto contrari a interessi di natura pubblicistica (Cass. 26 settembre 2000, n. 12765).
E si è ripetuto che le obbligazioni propter rem, come pure gli oneri reali, sono caratterizzati dal requisito della tipicità, con la conseguenza che possono sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge (Cass. 4 dicembre 2007, n. 25289; Cass. 11 marzo 2010, n. 5888; Cass. 26 febbraio 2014, n. 4572; Cass. 15 ottobre 2018, n. 25673; Cass. 2 gennaio 1997, n. 8; Cass. 22 luglio 1966, n. 2003; contra isolatamente e senza specifici argomenti Cass. 6 marzo 2003, n. 3341, ove tuttavia si riconosce che “al principio di tipicità sono vincolati i diritti reali”). Ciò sulla scia di Cass. 18 gennaio 1951, n. 141, secondo cui oneri reali e obbligazioni propter rem “non possono avere un’applicazione generale e illimitata, ma costituiscono figure ammissibili soltanto nei casi previsti dalla legge”. La qual cosa, a parte l’obbliettiva difficoltà di guardare al c.d. “diritto di uso esclusivo” come ad una obbligazione propter rem, esclude anche la possiblità di tale ricostruzione.
Atteso il principio di tipicità dei diritti reali la trascrizione della donazione modale non fa acquisire all’onere carattere reale (Cass. 9 giugno 2014, n. 12959). Nè, “stante il principio di tipicità dei diritti reali, è possibile rimettere tout court alla scelta dei privati la creazione di figure di proprietà che presentino uno sdoppiamento tra la titolarità formale e quella sostanziale dei beni o forme di dissociazione tra titolarità e legittimazione” (Cass. 10 febbraio 2020, n. 3128).
D’altronde, la tematica delle c.d. servitù irregolari muove proprio dal principio di tipicità dei diritti reali, potendo così esse dar vita esclusivamente a rapporti obbligatori, nel quadro di applicazione del principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c. (Cass. 11 marzo 1981, n. 1387; Cass. 4 febbraio 2010, n. 2651, e, da ult. Cass. 9 ottobre 2018, n. 24919).
6.11. – In definitiva, va affermato il principio che segue: “La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’art. 1102 c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi”. Restando ovviamente riservata al legislatore la facoltà di dar vita a nuove figure che arricchiscano i tipi reali normativi.
7. – Esclusa la validità della la costituzione di un diritto reale di uso esclusivo di una parte comune dell’edificio, in ambito condominiale, sorge il problema della sorte del titolo negoziale che, invece, tale costituzione abbia contemplato.
7.1. – Una volta ricordato che l’art. 1117 c.c., nel porre una presunzione di condominialità, consente l’attribuzione ad un solo condomino della proprietà esclusiva di una parte altrimenti comune, occorre anzitutto approfonditamente verificare, nel rispetto dei criteri di ermeneutica applicabili, se le parti, al momento della costituzione del condominio, abbiano effettivamente inteso limitarsi alla attribuzione dell’uso esclusivo, riservando la proprietà all’alienante, e non abbiano invece voluto trasferire la proprietà.
Vero è che l’art. 1362 c.c., richiama al comma 1, il senso letterale delle parole, senso che, nel caso dell’impiego della formula “diritto di uso esclusivo”, depone senz’altro contro l’interpretazione dell’atto come diretto al trasferimento della proprietà; ma anche vero è che il dato letterale, pur di fondamentale rilievo, non è mai, da solo, decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo che deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sè non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione prima facie chiara può non apparire più tale se collegata alle altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti (p. es. Cass. 1 dicembre 2016, n. 24560; Cass. 11 gennaio 2006, n. 261).
7.2. – In tale prospettiva può leggersi, a esempio, la decisione di questa Corte in un caso in cui il regolamento condominiale richiamato in un preliminare di vendita contemplava “l’uso esclusivo dei balconcini esistenti nei ripiani intermedi a favore dei condomini proprietari di alloggi non aventi prospicenza diretta verso il cortile”: è stato in tal caso affermato che il regolamento condominiale contrattuale può contenere la previsione dell’uso esclusivo di una parte dell’edificio altrimenti comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva, ed in tal caso il rapporto ha natura pertinenziale, essendo stato posto in essere dall’originario unico proprietario dell’edificio, con l’ulteriore conseguenza che, attenendo siffatto rapporto alla consistenza della frazione di proprietà esclusiva, il richiamo puro e semplice del regolamento condominiale in un successivo atto di vendita (o promessa di vendita) da parte del titolare della frazione di proprietà esclusiva, a cui favore sia previsto l’uso esclusivo di una parte comune, può essere considerato sufficiente ai fini dell’indicazione della consistenza della frazione stessa venduta o promessa in vendita (Cass. 4 giugno 1992, n. 6892, sulla scia di Cass. 29 marzo 1982, n. 1947; nella stessa linea più di recente, Cass. 4 settembre 2017, n. 20712).
7.3. – Non è escluso che il diritto di uso esclusivo, sussistendone i presupposti normativamente previsti, possa altresì essere in realtà da ricondurre nel diritto reale d’uso di cui all’art. 1021 c.c., se del caso attraverso l’applicazione dell’art. 1419 c.c., comma 1.
7.4. – Rimane poi aperta la verifica della sussistenza dei presupposti per la conversione del contratto volto alla creazione del diritto reale di uso esclusivo, in applicazione art. 1424 c.c., in contratto avente ad oggetto la concessione di un uso esclusivo e perpetuo (perpetuo inter partes, ovviamente) di natura obbligatoria.
Ciò sia dal versante della meritevolezza, sia quanto all’accertamento se, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, queste avrebbero voluto il diverso contratto.

P.Q.M.
dichiara estinto il processo ed enuncia nell’interesse della legge il principio di diritto di cui in motivazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 15 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020.

DIRITTO DI VISITA DEI NONNI, INTERESSE PREVALENTE DEL MINORE

Trib. Min. Lecce, 23 dicembre 2020, n. 2157
Riunito in camera di consiglio nelle persone dei sig.ri magistrati:dott.ssa Lucia Rabboni Presidente dott.ssa Ida Cubicciotti Giudice rel. dott. Andrea Feltri Giudice on.dott.ssa Maria Rosa Pennetta Giudice on.
ha pronunciato il seguente DECRETO
Nel procedimento n. 411/2020 RVG, avente ad oggetto:“Ricorso ex art. 317 bis c.c.” relativamente alla minore(omissis)nata a Galatina il 25/1/2017;letti gli atti del procedimento in epigrafe indicato ed all’esito dell’espletata istruttoria,osserva:con ricorso del 29/7/2020 (omissis), nonna paterna della minore (omissis), esponeva che. –i genitori della minore impedivano ogni rapporto tra essa e la ricorrente, sulla scorta di argomentazione fantasiose; -in questo modo essi pregiudicavano il diritto della ricorrente a conservare una relazione significativa con la nipote; -la giurisprudenza di legittimità e quella sovranazionale avevano più volte sancito il diritto dei minori a mantenere una relazione significativa con gli avi. Tanto premesso concludeva per l’adozione di ogni provvedimento idoneo alla tutela del diritto della minore a mantenere una significativa relazione con essa ricorrente. Instauratosi il contraddittorio si costituivano in giudizio i genitori della minore, a propria volta esponendo che. –la nonna paterna aveva sempre assunto un comportamento invasivo nella vita della famiglia, nonché sostitutivo di quello materno, non risparmiando censure alla madre della minore; -ella aveva anche aizzato il figlio a lasciare la moglie, pretendendo di avere un ruolo guida per la minore; -i comportamenti dell’ava avevano generato tensioni di coppia che avevano inciso sul benessere della minore, onde i coniugi avevano preferito allontanarsi dalla nonna paterna di essa; -avevano anche chiesto alla ricorrente di recarsi essa a Lecce per fare visita alla nipote, piuttosto che pretendere che fossero i genitori e la minore a recarsi a Bari per far visita alla nonna; -la ricorrente aveva sempre rifiutato tale opzione, così addivenendo a non vedere la nipote da oltre
un anno; -i genitori erano consapevoli del fatto che una buona relazione con la nonna fosse importante per la loro figlia, non opponendosi al ripristino di essa ma con modalità protette per la piccola.Tanto premesso concludevano per la verifica della sussistenza dell’effettivo interesse della minore al ripristino della relazione con la nonna paterna e, in caso positivo, per la ripresa degli incontri in spazio protetto ed alla presenza di personale specializzato, nel luogo di residenza della minore.All’udienza del 20 ottobre comparivano i genitori della minore che ribadivano di opporsi alle modalità di incontro pretese dall’ava paterna, consistenti in soggiorni di più giorni della minore a Bari, anche senza i genitori. Essi riferivano che la nonna paterna non era favorevole a nessun’altra modalità di incontro, né aveva mai voluto sperimentare le pur proposte videochiamate. Essi si dichiaravano disponibili alla ripresa della relazione, ma in spazio neutro e nel luogo di residenza della minore.All’udienza del 9/12/2020 compariva la ricorrente, la quale dichiarava che da 13 mesi non aveva la possibilità di vedere la nipote, negava di essere mai stata intrusiva, ammetteva di avere unarelazione non idilliaca con la madre della minore, richiedeva il ripristino della relazione ma non in spazio neutro, bensì presso la propria abitazione.All’esito dell’espletata istruttoria il PMM rendeva, in data 15/12/2020, parere contrario all’accoglimento del ricorso.Appare opportuno chiarire che l’interesse tutelato dalla nonna di riferimento (art.317 bis c.c.) è quello del minore ad intrattenere una relazione con gli avi, intesi come radicie supporto affettivo, e non già quello degli avi al riconoscimento del diritto alla frequentazione dei discendenti, così appalesandosi il chiaro fraintendimento da parte dei ricorrenti che hanno esplicitamente ammesso di avere proposto la presente domanda al fine del riconoscimento del proprio diritto a vedere la nipote.D’altra parte l’età della minore (attualmente tre anni), il fatto incontestato che essa non veda la nonna da oltre un anno, la circostanza che la pace familiare del nucleo ristretto di appartenenza della minore sia tutelato da entrambi i genitori che, per scelta, hanno dismesso le modalità di frequentazione imposte dalla nonna paterna, la indisponibilità dell’ava ad intraprendere ogni percorso di mediazione ed ogni trasferta presso il luogo di residenza della minore, impongono di ritenere anzitutto che alcuna relazione significativa si possa essere instaurata tra la bambina e la nonna in relazione all’età della prima, e che l’interesse perseguito dalla ricorrente conla presente istanza sia quello proprio e non quello della discendente.Tanto impone, in linea con il parere reso dal PMM in data 12/12/2020, il rigetto della domanda con compensazione delle spese di lite, atteso il tenore dell’interesse tutelato e l’opportunità di non determinare ulteriori ragioni di conflittualità familiare.
P.Q.M.
Letto l’art.317 bis c.c.,
-Rigetta la domanda;
-Compensa tra le parti le spese del presente procedimento.