Svilire una donna per non aver generato un figlio maschio configura il reato di maltrattamenti
Trib. di Ascoli Piceno, Sez.pen., sent.24 aprile 2020 -Giud. Merletti
SENTENZA
nei confronti di-S.H. n. il (…) a M. K. ( I. )res: C. via R. 51
Svolgimento del processo
-Motivi della decisione
-Con decreto di giudizio immediato del 9.11.2018 S.H. veniva citato a giudizio per rispondere dei reati trascritti in epigrafe. All’udienza del 11.3.2019, dichiarata l’assenza dell’imputato, veniva aperto il dibattimento ed ammessi i mezzi istruttori, seguendo l’udienza del 20.6.2019 che veniva rinviata per essere stato il procedimento assegnato ad altro magistrato. A seguito dell’incidente cautelare costituito dall’interrogatorio dell’imputato, disposto a fronte della richiesta di aggravamento della misura formulata dal Pubblico Ministero ed eseguito in data 12.8.2019, all’udienza dell’11.11.2019, dato atto del mutamento della persona del giudice, venivano rinnovate le formalità di apertura del dibattimento con ammissione delle richieste istruttorie già formulate dalle parti, nonché veniva sentito il teste C.G. e il Pubblico Ministero e la parte civile producevano documenti. All’udienza del 9.12.2019 veniva sentita la teste K.I. e il Pubblico Ministero produceva documenti; all’udienza del 24.2.2020 le parti concludevano come da verbale e conclusioni scritte della difesa e, all’esito, il Tribunale pronunciava sentenza mediante lettura del dispositivo, riservando il deposito della motivazione nel termine di giorni sessanta.2 -Ritiene il decidente che l’imputato deve essere ritenuto responsabile dei reati ascrittigli, poiché le risultanze dibattimentali depongono nel senso della piena sussistenza dei fatti per cui si procede nel loro versante oggettivo e soggettivo. Il presente procedimento ha preso l’avvio, nelle forme del giudizio immediato, a seguito dell’arresto in flagranza dell’imputato in data 23.8.2018, con successiva convalida ed applicazione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere, poi progressivamente sostituita con quelle del divieto di avvicinamento alle persone offese e dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria.
Dal verbale di arresto in flagranza del 23.8.2018 risulta che personale della Stazione dei Carabinieri di Comunanza veniva inviato al civico 51 di Via R. di detto centro, per la segnalazione di un’aggressione a mezzo di un coltello da parte di un uomo alla propria moglie, giunta alla centrale operativa del 118 da parte di una bambina che si diceva figlia di dette persone. Giunti sul posto, gli operanti notavano davanti al portone del civico 51 una bambina di nazionalità indiana, successivamente identificata in K.K., la quale richiamava l’attenzione degli operanti stessi e si presentava in evidente stato di alterazione emotiva, piangeva a dirotto e chiedeva aiuto indicando una donna ferma sull’uscio del condominio. Quest’ultima veniva identificata in K.I. e si mostrava anch’ella in forte stato di agitazione, piangeva ed era spaventata; inoltre teneva le mani congiunte e sporche di sangue in quanto stava ancora sanguinando; aveva infine le spalline della maglia che indossava strappate. In prossimità vi era anche l’odierno imputato, che armeggiava vicino alla propria auto e si presentava con una maglietta a maniche corte di colore giallo chiaro, strappata ed insanguinata. Gli operanti facevano ingresso con la minore nell’abitazione e ivi trovavano il corridoio ed il salotto imbrattati di sangue; sulla lavatrice, poi, rinvenivano un paio di forbici successivamente poste in sequestro (cfr. verbale di arresto in flagranza del 23.8.2018).Vi è poi in atti il verbale di sequestro del 23.8.2018, relativo ad una forbice con impugnatura di colore bianco, della lunghezza di 16 cm e lama di 8 cm, di cui vi è anche rappresentazione fotografica. Esaminato in dibattimento sull’attività svolta, il teste C.G., comandante della Stazione dei Carabinieri di Comunanza, ha riferito che, alle ore 15,00 circa del 23.8.2018, veniva segnalata una richiesta di aiuto provenuta alla centrale operativa del 118 da una bambina e, giunto sul posto, notava effettivamente una bambina che faceva cenno agli operanti di fermarsi. Sulla scalinata del portone del condominio era seduta la signora K., che piangeva e perdeva sangue e teneva le mani congiunte come per tamponare le ferite; nei pressi girovagava nervosamente il marito della donna. Ha riferito il C. di essere entrato nell’abitazione insieme alla minore e di aver trovato tracce di sangue già sulle scale e sul pianerottolo, nonché nel corridoio e all’interno del salotto e della cucina. Inoltre la minore gli mostrava,su una lavatrice posta nel corridoio, un paio di forbici con il manico bianco, che si presentavano pulite e non intrise di sangue. La persona offesa veniva quindi portata al Pronto Soccorso, mentre l’imputato veniva tratto in arresto. Nel corso della successiva attività investigativa, ha riferito il C. che provvedeva ad acquisire presso la centrale operativa del 118 il file della conversazione telefonica con la richiesta di intervento, dal cui ascolto risultava effettivamente la voce della figlia minore della coppia. Quest’ultima, poi, forniva agli operanti il proprio cellulare, sul quale aveva registrato alcune conversazioni intercorse tra i genitori, che venivano estrapolate e riversate su un cd. Esse venivano sottoposte ad un interprete che provvedeva a trascriverle su supporto cartaceo e tradurle dalla lingua indiana (cfr. verbale da fonoregistrazione dell’11.11.2019).E’ stata esaminata nel corso del dibattimento, mediante l’ausilio di un interprete, la persona offesa K.I., la quale ha riferito di essersi trasferita in Italia nell’anno 2004 e che nell’anno 2006 iniziavano i suoi problemi con il marito, odierno imputato, in quanto il medesimo non accettava il fatto che la
donna fosse incinta di una figlia femmina: ogni giorno l’uomo le diceva che non voleva la bambina. Alla nascita di quest’ultima l’uomo prendeva a picchiarla e minacciarla, in particolare il giorno che la neonata veniva portata a casa dall’ospedale i due litigavano tutto il giorno; per i primi sei, sette mesi di vita della figlia l’imputato la picchiava in diverse occasioni e non assumeva verso la bambina un atteggiamento tenero.Inoltre, ha riferito la donna che il marito picchiava lei e la figlia almeno due o tre volte all’anno; che beveva di continuo; che ogni volta che litigavano le diceva di prendere la figlia ed allontanarsi dall’abitazione perché non le voleva in casa. L’uomo inoltre non si dedicava alla famiglia, in quanto tornava alle sette di sera dal lavoro e subito dopo usciva con i suoi amici, quindi tornava a casa, cenava edandava a dormire. In particolare, dopo la nascita della figlia iniziava ad ignorare la moglie, la quale, allorquando cercava di avere un dialogo con lui, ne riceveva in cambio risposte in malo modo; l’uomo la cercava soltanto per avere rapporti, mentre, se era lei a rivolgersi al marito, veniva ignorata oppure i due finivano per litigare.Secondo quanto riferito dalla teste, in una occasione, nel febbraio 2016, i due erano nella stessa stanza ed ella stava cercando di avere un dialogo con l’odierno imputato, ma questi prendeva a dirle parolacce e la sbatteva a terra, facendole urtare la testa contro una mensola di vetro. Inoltre l’uomo la rimproverava sempre perché, dopo la figlia, non erano nati altri bambini, circostanza che ai suoi occhi costituiva un problema; al momento del trasferimento della donna dall’India, il marito le aveva detto di vestirsi con i loro abiti tradizionali e non la lasciavalibera di uscire molto spesso.Quanto ai fatti dell’agosto 2018, la donna ha riferito che immediatamente prima si recava in India con la figlia e, al loro ritorno, il marito andava a prenderle in aeroporto; cominciava quindi a litigare con lei per questioni futili. La sera del 22.8.2018 l’imputato tornava dal lavoro e, durante una discussione, prendeva a picchiarla; la figlia interveniva per difendere la madre e l’imputato colpiva anche lei. La sera stessa la situazione tornava tranquilla, mentre il giorno dopo l’imputato usciva di casa per prendere il materiale che serviva alla donna per svolgere il suo lavoro adomicilio; poi ricevevano la visita del tecnico del computer e, quando questi andava via, l’imputato cominciava nuovamente a discutere con la K., accusandola di andare a letto con tutti gli uomini e anche con il tecnico che era appena stato nella loro abitazione.Ha poi proseguito la teste riferendo che la discussione continuava e l’imputato le chiedeva perché fosse tornata da lui, visto che egli voleva il divorzio, e le intimava di andare via insieme a sua figlia. Quest’ultima interveniva ed il padre la picchiava; a quel punto la donna telefonava al fratello in India per spiegare cosa stesse succedendo e per chiedergli di convincerlo a cambiare atteggiamento. L’imputato, però, riprendeva ad offenderla con parole del tipo “sei una puttana, non riesci più afare figli, non riesci più a mandare avanti la mia famiglia, non mi servi più”; le strappava quindi i vestiti e le procurava dei tagli con le forbici.In particolare, quanto a quest’ultimo aspetto, ha precisato la teste che, poiché l’imputato stava picchiando la figlia, ella si intrometteva per difendere la bambina, ma l’uomo prendeva un paio di forbici che la K. usava per lavorare e la feriva sulle mani e sulle braccia, oltre a colpirla con pugni. La donna iniziava a perdere sangue, quindi chiamava in soccorso la figlia, la quale a sua volta
telefonava al Pronto Soccorso; arrivavano i Carabinieri e successivamente la donna veniva portata al Pronto Soccorso di Amandola, ove le venivano diagnosticate le lesioni.Ha infine chiarito la teste che il marito laminacciava sempre con parole del tipo “tu mi conosci, vero? Sai quello che sono capace di fare, ti spezzo le gambe, ti ammazzo che le minacce erano rivolte soprattutto a lei, ma poiché la figlia era presente e si intrometteva a difendere la madre, anche aquest’ultima l’imputato diceva parole del tipo “ti ammazzo insieme a tua madre, sei come tua madre, non ti voglio vedere che prima dei fatti del 23.8.2018 non aveva mai parlato con i parenti dei comportamenti del marito e che aveva paura a denunciarlo poiché temeva di subire ulteriori violenze (cfr. verbale di udienza del 9.12.2019).In sede di incidente probatorio è stata esaminata, con modalità protette, K.K., figlia dell’imputato e di K.I., la quale, pur ammettendo di non aver prestato particolare attenzione alle discussioni tra i genitori perché relative a questioni “da adulti” come la gestione del denaro, ha comunque riferito:-di aver registrato un litigio tra i suoi genitori;-che il padre picchiava la madre una volta all’anno e in alcune occasioni colpiva anche lei, allorquando interveniva nelle loro discussioni;-di aver sentito parlare in una occasione i genitori della questione dei figli maschi e femmine;-che il padre beveva alcolici, mischiandoli anche tra loro, ed in quel caso andava “fuori di testa” ediceva “cose proprio stupide”;-che la sera prima del fatto i genitori “si stavano menando” e comunque stavano discutendo, quindi lei stessa cercava diintervenire ( “perché alla fine non è che ha sempre ragione papà”) ed il padre la colpiva in testa con una ciabatta; quindi si intrometteva la madre e l’imputato picchiava anche lei, successivamente la madre la portava in camera da letto e la faceva dormire con lei;-che il giorno dell’arresto il padre tornava dal lavoro e chiedeva alla moglie se voleva lavorare, la donna acconsentiva e poco dopo l’uomo tornava con il materiale, ma “non lo so che è successo, gli sono diventati gli occhi rossi” e si arrabbiava, poi, dopo il pranzo, afferrava la moglie per il vestito e la faceva cadere a terra ( “papà ha tirato mamma sotto”); la ragazzina quindi, spaventata, correva in camera; successivamente, chiamata dalla madre, la minore usciva dalla camera e vedeva la madre perdere sangue perché era ferita alle mani, mentre l’imputato le stava vicino con la maglia strappata e cercava di fermare la fuoriuscita di sangue; vicino vi era un paio di forbici, ma la ragazzina non sapeva dire con certezza se la madre fosse stata colpita con quelle; vedendo questa scena chiamava telefonicamente i soccorsi (cfr. verbale da fonoregistrazione di incidente probatorio del 29.10.2018).Quanto alla documentazione versata in atti, sono stati prodotti innanzitutto i referti dell’ospedaledi Amandola del 23.8.2018, dai quali risulta che K.I. presentava multiple ferite lacero-contuse da taglio superficiali e veniva dimessa con una diagnosi di “ferita lacero-contusa da morso, punta, taglio” giudicata guaribile in giorni sette, mentre a K.K. veniva diagnosticato un trauma cervicale giudicato guaribile in giorni sei (cfr. produzioni del P.M. all’udienza del 9.12.2019).
Vi sono poi in atti il verbale di trascrizione della telefonata fatta alla centrale operativa del 118 in data 23.8.2018, nonché il cd contenente i file audio estrapolati dal telefono cellulare di K.K. con relativa traduzione e trascrizione da parte dell’interprete (cfr. produzioni del P.M. all’udienza dell’11.11.2019).Dalla documentazione prodotta dalla parte civile all’udienzadell’11.11.2019 risulta poi che, in data 10.7.2019, l’imputato è stato dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale sulla figlia K.K. con provvedimento del Tribunale per i Minorenni di Ancona.3 -Orbene, in ordine alla valutazione di tale compendio dibattimentale, va innanzitutto puntualizzata la dubbia attendibilità della minore K.K., la quale, pur se sentita nelle forme dell’incidente probatorio con l’ausilio di un esperto, è parsa alquanto condizionata e reticente nelle sue esternazioni, tese soprattutto ad attribuire una parvenza di normalità alla vita del nucleo familiare. La ragazzina, difatti, ha più volte sminuito la portata dei litigi tra i genitori e ha cercato di sottrarsi alle domande, affermando che non si interessava alle vicende degli adulti della famiglia. Ma vi è di più: la stessa ha pacificamente ammesso i suoi sentimenti verso la complessiva vicenda processuale, mostrandosi interessata al rientro del padre in famiglia anche al fine di poter contare sulle risorse economiche necessarie allo svolgimento delle attività cui in precedenza si dedicava (cfr. pag. 14 di 38 verbale da fonoregistrazione del 29.10.2018: “io voglio che papà tornì perché non posso fare più sennò le attività perché mamma non ha la patente, nemmeno parla bene allora alle otto non è che qualcuno mi va a prendere, nemmeno posso tornare da sola perché ho paura che qualcuno mi rapisca perché gli indiani sono brutti anche tra di loro”; cfr. pag. 29 di 38: “papà è una persona importante per la famiglia, è importante perché prima di tutto porta più soldi per la famiglia, infatti… (…) la verità che conta solo i soldi ma è importante perché è un maschio, noi due siamo donne sole a casa, adesso, non possiamo far niente (…) mamma guadagna troppo poco, non si può fare quasi niente “).E’ del resto emersa la natura ambivalente di tali sentimenti, in quanto la minore ha riconosciuto che “alla fine non è che ha sempre ragione papà”; dunque ha manifestato delle parziali ammissioni rispetto ai temi salienti della vicenda, secondo quanto sopra compendiato.Nondimeno, si tratta di ammissioni rese su pressante sollecitazione dell’intervistatore, a fronte di domande spesso non solo suggestive, ma addirittura tendenti ad ottenere dalla teste una mera conferma. In tale contesto, e non essendo stata approfonditamente valutata da un esperto la capacità a testimoniare della minore, ritiene il decidente che le sue dichiarazioni siano altamente deficitarie sul piano dell’efficacia probatoria.4 -Anche prive del conforto della testimonianza della figlia, tuttavia, le dichiarazioni di K.I. appaiono del tutto adeguate a fornire sufficiente conforto probatorio ai fatti per cui si procede, avendo la medesima deposto in modo del tutto lineare, coerente, scevro da contraddizioni come pure da apparenti intenti calunniatori. Sono del tutto comprensibili le ragioni che spinto la donna a sporgere querela soltanto a distanza di tanto tempo dall’inizio delle condotte serbate dal marito: va
a tal proposito considerato che la persona offesa viveva dì fatto in una condizione di dipendenza economica, psicologica e sociale dall’uomo, in quanto giunta con lui in Italia e scarsamente integrata nel tessuto sociale locale. Ella, difatti, a distanza di un ampio lasso di tempo dal suo arrivo, non parla ancora correntemente la lingua italiana, svolge attività lavorativa soltanto dall’anno 2015 e il suo è comunque un lavoro a domicilio, che non le offre verosimilmente molte occasioni di confronto ed integrazione con la realtà locale.In tale contesto, il suo unicopunto di riferimento è sempre stato soltanto l’odierno imputato; ne deriva che, con la proposizione della querela, l’arresto del medesimo e l’applicazione della misura cautelare, la K. ha certamente peggiorato la sua condizione personale e sociale, poichéha perso il controverso legame con una persona che, nonostante tutto, provvedeva alle sue esigenze e a quelle della figlia e rappresentava l’unico familiare a lei vicino. Del resto, la donna ha espressamente ammesso che per molto tempo ha avuto paura a denunciare il marito per timore di ritorsioni, conoscendone l’indole violenta, e che non l’avrebbe comunque denunciato se la figlia non avesse chiamato le forze dell’ordine, spaventata per il fatto del 23.8.2018.Ciò rende assolutamente credibile la deposizione di K.I. ed induce a ritenere, conformemente con quanto emerge da detta testimonianza, che l’episodio del 23.8.2018 sia stato soltanto il culmine di un percorso di vita caratterizzato da perduranti sopraffazioni dell’imputato nei confronti della moglie.Del resto, il narrato di K.I. appare supportato da diversi elementi di riscontro: anche a non considerare tale la testimonianza della figlia K.K., soccorrono comunque le dichiarazioni del teste C., intervenuto nell’immediatezza del fatto del 23.8.2018, il referto dell’ospedale di Amandola che attesta le lesioni riportate dalla persona offesa ed il tenore delle registrazioni effettuate da K.K. durante le conversazioni tra i genitori.Segnatamente, in relazione a tale ultimo mezzo di prova, non si possonoavere dubbi sul fatto che esso si riferisca ad epoca anteriore all’arresto dell’imputato: questi, infatti, dopo il 23.8.2018, non ha più avuto modo di incontrare la persona offesa, dapprima perché ristretto in custodia cautelare in carcere, successivamente per il divieto di avvicinamento a suo carico. Si tratta quindi senza dubbio di conversazioni intercorse durante la convivenza; le modalità della loro acquisizione sono state chiarite dal teste C. e la portata delle espressioni rivolte dalla voce maschilea quella femminile sono inequivoche, ricorrendo plurime ingiurie, accuse ed espressioni denigratorie nei confronti della donna.5 -Alla luce di tale univoco, convergente compendio probatorio si può ritenere pienamente sussistente, a carico dell’imputato S.H., la fattispecie di cui all’art. 572 c.p., in relazione alla quale giova ricordare che trattasi di reato a tutela dell’integrità psico-fisica di coloro che, per età o per rapporti di tipo familiare o di affidamento, si trovino nelle condizioni di subire, proprio nei contesti in cui dovrebbero ricevere maggior protezione, condotte di prevaricazione fisica o morale che la minino (sebbene, per un orientamento di portata più ampia, il bene giuridico tutelato dall’art. 572 c.p. non è soltanto l’integrità psicofisica del soggetto passivo, bensì anche la personalità dell’individuo, poiché la reiterazione degli atti attribuisce alla condotta un’oggettività giuridica autonoma rispetto a quella dei singoli atti e la condotta del maltrattare, in sintesi, per la sua durata
e ripetitività, lede l’intera personalità, mentre il singolo atto di percossa, ingiuria o minaccia lede l’integrità psicofisica; cfr. Tribunale di Bari 4 aprile 2011, Tribunale Torino, V, 30 aprile 2010).Si tratta inoltre di reato proprio, realizzabile solo dai soggetti investiti delle qualifiche soggettive che il necessario rapporto con i soggetti passivi di tale reato importa, e di natura abituale, che richiede una pluralità di atti di maltrattamento, ripetuti nel tempo. Sulla base di tali connotati la condotta penalmente rilevante, descritta dal legislatore con la formula solo apparentemente indeterminata “maltratta”, sitipizza nella perpetrazione di comportamenti di vessazione fisica o morale non necessariamente qualificabili, se singolarmente considerati, come reato, espressi mediante azioni od omissioni e ripetuti nel tempo.Si è difatti affermato che le condotte integranti maltrattamento non devono necessariamente costituire di per sé reato, se singolarmente considerate; si pensi ai comportamenti volgari, irriguardosi e umilianti, caratterizzati da una serie indeterminata di aggressioni verbali ed ingiuriose abitualmente poste in essere dall’imputato nei confronti del coniuge, che possono configurare il reato di maltrattamenti quando essi realizzino un regime di vita avvilente e mortificante (cfr. Cass., VI, 16 novembre 2011, n. 45547). Si richiedono, in particolare, condotte lesive, fisicamente o psicologicamente, che devono essere tali da portare a sofferenze morali (tra le varie: percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali), mentre non è sufficiente, ai fini di integrarlo, un comportamento che, per quanto fastidioso nei confronti del coniuge, valutato oggettivamente, non vada al di là della obiettiva attitudine a portare ad una pur comprensibile ma non penalmente rilevante condizione di stizza (cfr. Cass.,VI, 11 luglio 2014, n. 34197).In sintesi, la materialità del delitto di maltrattamento in famiglia resta integrata da una serie di atti lesivi dell’integrità fisicao della libertà o del decoro del soggetto passivo nei confronti del quale viene così posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica tale da rendere particolarmente dolorosa la stessa convivenza, dovendo poi l’elemento psichico concretizzarsi nella volontà dell’agente di avvilire e sopraffare la vittima unificando i singoli episodi di aggressione alla sfera morale e materiale di quest’ultima, non rilevando, nella natura abituale del reato, che durante il lasso di tempo considerato siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo (cfr. Cass., VI, 9 gennaio 2019, n. 761; Cass., III, 22 novembre 2017, dep. 2018, n. 6724; Cass., VI, 26 giugno 1996, n. 8510).Il delitto di maltrattamenti in famiglia, poi, non è integrato soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali (cfr. Cass., VI, 6 novembre 2013, n. 44700).E’ stato inoltre affermato che integra il delitto in questione anche nei confronti dei figli la condotta di colui che compia atti di violenza fisica contro la convivente, in quanto lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori
posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all’interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere del soggetto attivo, i quali ne siano tutti consapevoli, a prescindere dall’entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasidei soggetti passivi (cfr. Cass., V, 22 ottobre 2010, n. 41142).Tali essendo i caratteri della fattispecie contestata, è evidente che la condotta posta in essere da S.H. nei confronti della moglie e della figlia, come ricostruita in dibattimento, rientra pienamente nella nozione di “maltrattamenti”, in quanto il medesimo, nell’arco di tutta la vita matrimoniale, ha ripetutamente sottoposto la donna innanzitutto ad accuse particolarmente mortificanti per la dignità della stessa, connesse al fatto che la donna non avesse generato un figlio maschio, poi alle sue intemperanze: queste -verosimilmente connesse all’abuso di sostanze alcoliche -oscillavano dal disinteresse (la K. ha precisato che il marito, dopo la nascita della figlia, ha cominciato ad ignorarla e si avvicinava a lei soltanto per avere rapporti) alle esplosioni di ira allorquando la donna tentava di instaurare un confronto.Periodicamente, poi, la donna è stata picchiata dal marito; in tali occasioni anche la figlia diveniva bersaglio delle violenze del padre e ad entrambe l’uomo intimava di allontanarsi dalla sua abitazione, con ciò prospettando l’intenzione di lasciarle praticamente prive di mezzi di sussistenza. Del resto, è irrilevante che le aggressioni fisiche si verificassero “due, tre volte minimo all’anno”, dunque con frequenza che poteva anche non essere ravvicinata, in quanto le stesse si inserivano in un più ampio novero di atti e comportamenti avvilenti per il pieno dispiegarsi della personalità della moglie (cfr. Cass., VI, 22 ottobre 2014, dep. 2015, n. 1400, secondo la quale integra il delitto la condotta del marito che sottopone la moglie, nell’arco di un anno, a tre gravi e violente aggressioni fisiche, le quali si aggiungono a una situazione familiare contrassegnata dallo statodi frequente ubriachezza dello stesso, durante il quale egli sottopone la donna a insulti e vessazioni morali).Così ricostruita la condotta inquadrabile ai sensi dell’art. 572 c.p., se ne ravvisa anche l’elemento soggettivo, costituito dal dolo generico, come attestato dalla perduranza del comportamento per un ampio lasso di tempo e dalla sistematicità dei maltrattamenti nei confronti di tutti i componenti della famiglia.Ricorre inoltre la contestata aggravante, essendo pacifico che il reato è stato commesso alla presenza della figlia minore K.K..6 -Sussiste pienamente, poi, la fattispecie contestata al capo b), in quanto si è accertato che, al culmine di una discussione in cui l’imputato ha accusato la moglie di avere relazioni con altri uomini, e nel corso della quale anche la figlia, intromessasi per difendere la madre, veniva colpita dal padre,
l’uomo ha afferrato le forbici che la K. utilizzava per lavoro e con quelle l’ha ferita alle mani e alle braccia, oltre a colpirla con pugni.In tal modo l’imputato ha cagionato a K.I. lesioni personali consistite in una ferita lacero-contusa da morso, punta e taglio, giudicata guaribile in giorni sette, come da referto dell’Ospedale di Amandola del 23.8.2018, nel quale risultano oggetto di accertamento sanitario diretto le lesioni riscontrate in danno della persona offesa (cfr. Cass., VI, 22 giugno 2010, n. 24630, secondo la quale è congruamente motivata la decisione di condanna per il reato di lesioni personali che, a conforto delle dichiarazioni della persona offesa, valorizzi un certificato medico frutto di un accertamento tecnico diretto, e non di mera riproduzione del narrato della persona offesa, e peculiarmente rilevante dal punto di vista probatorio perché redatto -come in effetti nel caso di specie-in epoca temporalmente prossima ai fatti; cfr. anche Cass., V, 5 marzo 2015, n. 9675).Quanto all’evento eziologicamente ricollegato alla condotta come sopra accertata, giova in proposito richiamare l’indiscusso insegnamento della Corte regolatrice, secondo il quale, in tema di lesioni personali volontarie, costituisce malattia qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell’organismo, ancorché localizzata, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali, onde lo stato di malattia perdura fino a quando è in atto il suddetto processo di alterazione (cfr. Cass., V, 10 dicembre 2010, n. 43763; Cass., V, 11 giugno 2009, n. 40428). Le lesioni sopra descritte sono state cagionate alla persona offesa con dolo, come evincibile dal fatto che, oltre a percuotere la moglie con pugni, l’imputato ha specificamente afferrato uno strumento (che dalle fotografie in atto si deduce essere particolarmente appuntito ed affilato) con il quale poteva essere certo di offendere l’integrità fisica della donna.Si ravvisa altresì la contestata aggravante, che ricorre (cfr. Cass., V, 2 marzo 2016, n. 8640) laddove la condotta lesiva sia in concreto realizzata adoperando qualsiasi oggetto, anche di uso comune e privo di apparente idoneità all’offesa, quali sonoappunto le forbici che erano utilizzate per la propria attività lavorativa da K.I..7 -Conclusivamente S.H. deve essere considerato responsabile dei reati ascrittigli, evidentemente avvinti da un unico programma criminoso consistente nel fine di sopraffare la personalità dei componenti del suo nucleo familiare.A tal proposito, merita soltanto precisare che nessun rilievo scusante può assumere né il prospettato (ma non dimostrato) inganno ai danni dell’imputato circa la vera età anagrafica della moglie, né tantomeno la diversa concezione dei rapporti interpersonali, e segnatamente coniugali, propria della cultura di origine dell’imputato e della persona offesa.
Sul punto, infatti, va condiviso l’orientamento della Suprema Corte secondo il quale lo straniero imputato di un delitto contro la persona o contro la famiglia non può invocare, neppure in forma putativa, la scriminante dell’esercizio di un diritto correlata a facoltà asseritamente riconosciute dall’ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba ritenersi oggettivamente incompatibile conle regole dell’ordinamento italiano, in cui l’agente ha scelto di vivere, attesa l’esigenza di valorizzare -in linea con l’art. 3 Cost. -la centralità della persona umana, quale principio in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a culture diverse, e di consentire quindi l’instaurazione di una società civile multietnica (cfr. Cass., III, 13 aprile 2015, n. 14960; Cass., III, 5 marzo 2020, n. 8986).Quanto al trattamento sanzionatorio, l’imputato -cui possono essere concesse le circostanze attenuanti generiche, in considerazione della modesta portata del precedente di cui è gravato e della circostanza, emersa in dibattimento, che il medesimo, anche dopo l’allontanamento dal nucleo familiare, ha contribuito per quanto possibile ai bisognidello stesso -va condannato alla pena che si stima equa di anni uno e mesi cinque di reclusione, così determinata:-pena base per il reato di cui al capo a) ritenuto più grave, previa concessione delle attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla contestata aggravante in ragione delle condizioni di estrema marginalità sociale dell’imputato stesso, che assorbono e superano il disvalore espresso dalla contestata aggravante: anni uno e mesi quattro di reclusione;-aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo b) a anni uno e mesi cinque di reclusione.Segue come per legge il pagamento delle spese processuali, nonché la confisca e distruzione di quanto in sequestro.S.H. va inoltre condannato al risarcimento del danno patito dalle parti civili, da liquidarsi -per la complessità dell’accertamento delle conseguenze del fatto, distribuite nell’arco di un ampio lasso di tempo -dinanzi al giudice civile, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute in questa sede dalle parti civili, liquidate come in dispositivo, con versamento a favore dell’Erario per essere le parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato.Ricorrendone i presupposti e nel convincimento che, per la portata deterrente dell’intervenuta condanna, l’imputato si asterrà dal commettere altri reati, può essere concessa la sospensione condizionale della pena, con conseguente declaratoria di inefficacia della misura cautelare in atto.P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara S.H. colpevole dei reati ascrittigli, riuniti nel vincolo della continuazione e, ritenuto più grave il reato di cui al capo a), concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla contestata aggravante e aumentata la pena per la continuazione con il reato di cui al capo b), lo condanna alla pena di anni uno e mesi cinque di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; pena sospesa alle condizioni di legge.Condanna S.H. al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa dalla stessa sostenute, che liquida in Euro 1.400,00, da versarsi in favore dell’Erario per essere la parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.Visto l’art. 300, comma 3 c.p.p. dichiara cessata l’efficacia della misura cautelare in atto nei confronti di S.H.. Confisca e distruzione di quanto in sequestro.
Motivazione in giorni sessanta.
Così deciso in Ascoli Piceno, il 24 febbraio 2020.
Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2020.