Le inadempienze di un genitore configurano un illecito endofamiliare plurioffensivo

Tribunale di Cagliari, sez. II Civile, sentenza 12 febbraio 2020
Giudice Latti
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Caia e la figlia Tizia hanno citato in giudizio Sempronio, genitore di quest’ultima, al fine di ottenerne la
condanna al risarcimento danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa della privazione della figura
paterna, oltre alla determinazione di un assegno di mantenimento.
A sostegno delle domanda, le attrici hanno esposto:
– dalla relazione intercorsa nel 1993 tra la Caia e Sempronio, coniugato con un’altra donna, è nata la figlia
Tizia;
– il Sempronio veniva subito informato, ma mostrava, sin da subito, totale disinteresse per la figlia, ometteva
di riconoscerla e, solamente dopo la richiesta formulata, nella primavera 2012, da Caia, a seguito
dell’espletamento dell’esame del DNA, si addiveniva al riconoscimento della paternità, avvenuto il 25
febbraio 2013, presso il Comune di Cagliari;
– neanche dopo il riconoscimento di paternità, il Sempronio ha cercato alcun contatto con la figlia, cosicchè
la privazione della figura genitoriale paterna ha causato in Tizia uno stato di particolare sofferenza, per la
quale segue un percorso di psicoterapia, e, quindi, un danno non patrimoniale, che, adottando quale
parametro di riferimento le tabelle giurisprudenziali del Tribunale di Milano può essere quantificato in Euro
250.000,00;
– con riguardo all’assegno di mantenimento, si deve considerare che la figlia è studentessa universitaria e
vive a Cagliari in locazione, la madre ha da sempre goduto di redditi decisamente modesti ed il Sempronio è
dirigente medico I Fascia presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria X e svolge altresì la libera professione
negli studi di X; cosicchè potrebbe essere equo determinare l’ammontare dell’assegno di mantenimento in
Euro 1.500,00 mensili oltre al 50% delle spese straordinarie necessarie, quali mediche non coperte dal SSN,
tasse universitarie e testi universitari;
– Caia ha, inoltre, richiesto il risarcimento del danno patrimoniale subito per avere provveduto in via esclusiva
al mantenimento della figlia sin dalla nascita, da liquidare in via equitativa in Euro 220.000,00 (oltre al 50%
delle spese straordinarie documentate pari a complessivi Euro 1076,78);
– la condotta omissiva del convenuto ha, infine, causato a Caia anche un danno non patrimoniale, in quanto
dopo la nascita della figlia è tornata nel piccolo paese di origine, ha sempre provveduto in via esclusiva alla
stessa figlia così rinunciando a perseguire qualunque altro obbiettivo per affermarsi sul piano lavorativo e
personale e causando un profondo stato di frustrazione e conseguente depressione; cosicchè il danno non
patrimoniale in capo a Caia potrebbe essere determinato in via equitativa nella misura di Euro 80.000,00.
Si è costituito Sempronio, il quale ha chiesto il rigetto della domanda di parte attrice, eccependo:
– di avere intrattenuto nell’estate del 1993 dei rapporti extraconiugali con Caia, con la quale era intercorsa
una relazione sentimentale per circa tre mesi nel 1990, prima del suo matrimonio;
– durante quei rapporti extraconiugali venne concepita Tizia e dello stato di gravidanza la Caia lo informò nel
successivo mese di dicembre;
– di essersi reso disponibile ad un aiuto morale e materiale, pur chiarendo che “era un uomo sposato ed
innamorato della moglie e che il loro personale rapporto, di conseguenza, non avrebbe avuto alcun seguito”;
di non essersi, quindi, mai sottratto alle richieste della Caia, contrariamente a quanto affermato dalla
controparte, provvedendo al mantenimento di Tizia, prima attraverso i bonifici di Lire 500.000 mensili, poi di
Euro 500,00;
– di non avere potuto esercitare il proprio ruolo paterno, in quanto “per poter vedere la bambina…..avrebbe
dovuto spostare il baricentro della sua vita lontano dalla moglie e dalla famiglia”;
– di avere proceduto all’accertamento del DNA dopo avere ricevuto nel Marzo del 2012 la diffida del legale
della Caia, e di avere provveduto subito dopo a dichiarare la sua paternità, manifestando da subito la sua
disponibilità a venire incontro anche alle nuove esigenze della ragazza, ottenendo un rifiuto della signora
Caia.
La causa, istruita con produzioni documentali, interrogatorio formale e prova testimoniale, è stata tenuta a
decisione sulle conclusioni sopra trascritte.
Entrambe le parti attrici hanno formulato, nei confronti del convenuto Sempronio, distinte domande di
accertamento e condanna.
Tizia ha domandato nei confronti del genitore Sempronio l’accertamento del diritto ad un assegno di
mantenimento nella misura di Euro 1.500,00 mensili (da rivalutarsi annualmente) oltre al pagamento delle
spese straordinarie nella misura del 50%; l’attrice ha, inoltre, domandato il risarcimento danni non
patrimoniali nella misura di Euro 250.000,00 subiti a causa della privazione della figura paterna sin dalla
nascita.
Caia ha, invece, domandato il risarcimento del danno patrimoniale nella misura di Euro 220.000,00, subito
per avere provveduto in modo esclusivo dalla nascita al mantenimento della figlia, oltre al rimborso delle
spese straordinarie documentate; l’attrice ha, inoltre, richiesto il risarcimento del danno non patrimoniale
nella misura di Euro 80.000,00 causato dal mancato adempimento del genitore dei doveri di mantenere,
istruire, educare e assistere moralmente la figlia Tizia.
Le domande di parte attrice sono in parte fondate e devono essere accolte per quanto di ragione.
1) L’assegno di mantenimento per la figlia Tizia.
La domanda formulata dalla figlia Tizia trova il proprio fondamento normativo, in primo luogo, nelle norme
contenute nel codice civile, come modificate dalla riforma operata con la L. n. 219/2012 e con il d.lgs. n.
154/2013, a seguito della quale non vi è alcuna distinzione tra figli nati da genitori non coniugati e figli nati
da genitori coniugati.
A fronte del diritto del figlio di essere mantenuto nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali
e delle sue aspirazioni (cfr. art. 315 bis c.c), i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli
in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo (art. 316
bis c.c.); in particolare, salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori
provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove
necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da
determinare considerando (art. 337 ter c.c.):
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
E’ circostanza del tutto irrilevante, per la determinazione dell’an e del quantum dell’assegno di
mantenimento, il fatto che la mancata frequentazione della figlia da parte del genitore sia dovuta a una scelta
volontaria della prima – peraltro non provata nella fattispecie in esame – in quanto tale decisione non
interferisce, in termini economici, col fatto che il genitore non vada incontro ad alcun diretto esborso o ad
alcuna cura in favore della figlia stessa (in questi termini, cfr. Cassazione civile sez. VI, 01/03/2018, n.4811).
Ciò premesso, nella quantificazione dell’importo dell’assegno di mantenimento per la figlia maggiorenne, al
fine di realizzare il principio di proporzionalità, occorre effettuare una valutazione comparata dei redditi e
delle sostanze di entrambi i genitori.
Dal limitato materiale probatorio emerge che Sempronio, sessantaduenne, – che non è contestato svolga la
professione di medico presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di X e la libera professione presso studi
privati – ha percepito (negli ultimi tre periodi di imposta documentati, dal 2015 al 2017) un reddito netto di
Euro 77.210,00 (detratta l’imposta netta e gli ulteriori oneri dal reddito complessivo) per il periodo di imposta
2015, di Euro 88.970,00 per il periodo di imposta 2016 e di Euro 80.648,00 per il periodo di imposta 2017,
per un reddito netto medio mensile di Euro 6.856,00; è, inoltre, proprietario esclusivo dell’abitazione
coniugale, nella quale convive con la moglie (che il Sempronio ha allegato avere svolto la professione di
anestesista, è stata collocata in pensione e ha documentato essere stata riconosciuta invalida al 91%, cfr.
doc. n. 22 di parte convenuta), e il figlio A., maggiorenne e che il convenuto ha documentato essere in cura
presso il Centro di salute mentale per abuso di alcolici, dismorfobie, dispercezioni uditive (cfr. doc. n. 7 di
parte convenuta).
Non sono state neanche allegate attività lavorative ovvero capacità professionali di Caia, sessantenne, la
quale convive, nel paese di Narcao, con la madre e la sorella, che si presume abbiano concorso e concorrano,
unitamente ad altri congiunti, al mantenimento del nucleo familiare.
Non sono stati in alcun modo allegati dalle parti ulteriori elementi dai quali desumere che le informazioni di
carattere economico non siano sufficientemente documentate e lo stesso art. 155 c.c., modificato dalla legge
n. 54/2006, prevede che l’eventuale accertamento della polizia tributaria possa essere richiesto sui redditi e
sui beni che siano stati oggetto di contestazione.
Con riguardo alla condizione della figlia Tizia, è pacifico che stia proseguendo gli studi universitari presso la
Facoltà di Medicina e sostenga oneri di locazione nella misura di circa 230,00 Euro mensili (cfr. doc. n. 4 di
parte attrice)
Al fine di determinare l’entità del contributo al mantenimento dovuto dal convenuto, occorre, quindi,
considerare le attuali esigenze della figlia, aumentate rispetto agli anni precedenti in considerazione dell’età
e degli studi universitari, la mancanza di capacità reddituali della madre e quelle, invece, apprezzabili del
padre, il quale ha, peraltro, un altro nucleo familiare, composto dalla moglie e da un figlio, e, infine, la valenza
economica dei compiti di cura assunti, in via pressochè esclusiva, dalla madre.
Sulla base di tali risultati di prova, e considerato che, secondo quanto dedotto dallo stesso convenuto, egli
ha provveduto, dal mese di marzo 2018, a versare l’importo di 1.000,00 Euro a titolo di mantenimento,
appare equo disporre che Sempronio, a titolo di contributo per il mantenimento della figlia, debba
corrispondere mensilmente la medesima somma di Euro 1.000,00, con decorrenza dalla data della domanda
(aprile 2017); oltre al 50% delle spese di istruzione e delle ulteriori spese straordinarie di carattere necessario
sostenute nell’interesse della figlia; tale assegno dovrà essere corrisposto nel domicilio indicato dalla figlia
entro il giorno cinque di ogni mese, e dovrà essere adeguato annualmente in misura che si ritiene congruo
determinare pari agli indici Istat di variazione del costo della vita.
2) Il danno non patrimoniale lamentato da Tizia.
L’attrice ha, inoltre, domandato il risarcimento danni non patrimoniali, nella misura di Euro 250.000,00, subiti
a causa della privazione della figura paterna sin dalla nascita.
Tale fattispecie è stata orami da tempo inclusa, dalla giurisprudenza di legittimità, nella nozione di illecito
endofamiliare, che comprende tutte le ipotesi in cui, nell’ambito di relazioni familiari, si realizzino lesioni ai
diritti della persona costituzionalmente garantiti, in conseguenza di una violazione dei doveri familiari: infatti,
i diritti inviolabili della persona rimangono tali anche in tale ambito, cosicché la loro lesione da parte di altro
componente della famiglia può costituire presupposto di responsabilità aquiliana (Cass. civ., sez. I, 15.9.2011,
n.18853; Cass. sez. I, 10.4.2012 n. 5652; Cass. Sez. 1, 22/11/2013 n. 26205; Cass. Sez. I, 22/07/2014, n. 16657;
Cass. sez. VI, 16/02/2015, n.3079; Cass. civ. sez. III, 27/05/2019, n.14382).
In particolare, il disinteresse del genitore nei confronti del figlio costituisce, in primo luogo, una grave
violazione degli obblighi genitoriali, così come sanciti dalle norme codicistiche, tra le quali quelle contenute
nell’art. 315 bis c.c.: “il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai
genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni…ha diritto di
crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti”; nell’art. 316 bis c.c. secondo il quale
“i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e
secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo”, norme entrambe richiamate dagli artt. 147 e
148 c.c.
La relativa obbligazione si collega allo “status” genitoriale ed assume, di conseguenza, pari decorrenza dalla
nascita del figlio (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7960 del 28/03/2017).
Il “diritto ad essere educato e mantenuto” deve essere inteso nel più ampio significato, desumibile dalla
lettura coordinata degli artt. 2 e 30 Cost., di condividere fin dalla nascita con il proprio genitore la relazione
filiale, sia nella sfera intima ed affettiva, di primario rilievo nella costituzione e sviluppo dell’equilibrio
psicofisico di ogni persona, sia nella sfera sociale, mediante la condivisione ed il riconoscimento esterno dello
status conseguente alla procreazione;
tali profili integrano il nucleo costitutivo originario dell’identità personale e relazionale dell’individuo e la
comunità familiare costituisce la prima formazione sociale che un minore riconosce come proprio riferimento
affettivo e protettivo.
Le suindicate garanzie, desumibili dalla fonte costituzionale, appaiono oltremodo rafforzate, oltre che dalla
Convenzione di New York del 20.11.89, sui diritti del fanciullo, ratificata con L. n. 176 del 1991, dalla Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza), che, all’art. 24, comma 3, afferma il diritto
per il bambino alla protezione e alle cure necessarie al suo benessere, nonché quello d’intrattenere relazioni
e contatti diretti con i propri genitori; altresì, dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come
interpretata dalle decisioni emesse in materia dalla Corte di Strasburgo, che – prevedendo agli artt. 8 e 14 il
diritto inviolabile al rispetto della vita privata e familiare (ascrivendo alla nozione di «vita familiare» anche la
relazione tra il figlio e ciascun genitore naturale, anche in assenza di convivenza tra i genitori, Keegan c.
Irlanda, ric. n. 16969/90, 26 maggio 1994) e il divieto di discriminazioni anche nel caso di figlio nato fuori del
matrimonio (Mitzinger c. Germania, ric. n. 29762/10, 9 febbraio 2017) – consente di individuare il diritto del
figlio di essere amato e assistito dai genitori, senza discriminazioni, individuando come espressione del diritto
fondamentale alla vita familiare la possibilità per genitori e figli di godere della reciproca presenza, con
continuità e assiduità di relazione.
In conclusione, il disinteresse del genitore, oltre a costituire una grave violazione degli obblighi genitoriali
come sopra descritti, incidendo su beni fondamentali, integra anche un illecito civile e consente un’autonoma
azione risarcitoria ai sensi dell’art. 2059 c.c., come reinterpretato alla luce dei principi enucleatati dalle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella nota decisione n. 26972 del 2008.
Nella fattispecie in esame, è pacifico che, pur essendo consapevole della gravidanza di Caia, il Sempronio se
ne sia disinteressato e la figlia Tizia, cresciuta con la completa assenza della figura paterna, sia stata
riconosciuta, a seguito dell’esame del DNA, solo all’età di diciotto anni, momento che visse con particolare
sofferenza (si veda, sul punto, la deposizione contenuta nel verbale d’udienza del 21.9.2017: “mi sentivo
indifesa, non protetta”).
Non è contestato, ed è comunque provato a seguito delle deposizioni testimoniali, che il Sempronio non
abbia mai incontrato la figlia, prima dell’udienza del 21.9.2017, neanche quando la bambina subì un grave
sinistro stradale il 23 giugno 1999 (teste Ma. An.) e nonostante il lungo ricovero in ospedale e l’intervento
chirurgico subito, limitandosi a consigliare alla madre la struttura sanitaria cui rivolgersi.
La partecipazione del padre agli obblighi genitoriali, quindi, si sarebbe limitata al versamento di somme di
denaro per il mantenimento, mediante spedizioni postali, contanti o con bonifici bancari; sul punto, rinviando
al successivo paragrafo l’esame dei risultati di prova, con riguardo alla sofferenza lamentata da Tizia, si deve
rilevare come sia pacifico che, anche nell’adempiere a tale obbligo materiale, il Sempronio abbia utilizzato
una modalità percepita dalla figlia come particolarmente avvilente, mediante l’effettuazione di bonifici con
la causale “trasferimento fondi”; né la sofferenza può ritenersi si sia attenuata a seguito dell’incontro con il
padre, conosciuto per la prima volta nella sua vita in un’aula giudiziaria (“Questo incontro è l’ennesima
conferma di quanto ho detto su di lui”).
E’ stato, infine, prodotto un certificato della dottoressa I.V., psichiatra psicoterapeuta, redatto in data
29.10.1994, (doc. 2 di parte attrice) che ha attestato come Tizia “sia affetta da problematiche psicologiche
inerenti la difficoltà ad accettare l’assenza della figura paterna. La sintomatologia presente nella giovane è
caratterizzata da senso di inadeguatezza, difficoltà nelle relazioni interpersonali, tono dell’umore disforicodepresso
e stato ansioso costante somatizzato ed in forma di fobie con condotte di evitamento. Il quadro
clinico ha ripercussioni sulle capacità di socializzazione in particolare con le figure di sesso maschile”.
Lo stato di sofferenza non si ritiene possa essere escluso, come allegato da controparte, dalla frequenza
dell’Università di X o dalla condivisione di un appartamento in locazione, considerato che, analogamente a
quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità per la perdita del rapporto parentale, la deprivazione
della figura paterna comporta un danno non patrimoniale presunto poiché lede differenti profili, connessi
all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e alla scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare
nucleare.
Anche le dichiarazioni rese dalla stessa Tizia durante l’udienza di comparizione confermano le sue difficoltà
esistenziali e gli ostacoli affrontati nello sviluppo della sua personalità (“la mia è stata una vita in salita”); il
fatto stesso di esercitare l’azione nei confronti del genitore, accettando di subire l’ulteriore carico di stress e
angoscia che il processo in sé comporta, può ritenersi una prova della persistenza di un pregiudizio irrisolto
nella costruzione della propria identità.
Può, quindi, considerarsi provato, mediante un meccanismo presuntivo, come la condotta gravemente
omissiva del convenuto abbia determinato, fin dalla nascita della figlia e senza soluzione di continuità, un
grave stato di sofferenza psicologica (“i suoi silenzi durante questi ventitrè anni mi hanno causato una grande
sofferenza”) derivante dalla privazione ingiustificata della figura paterna, sia sotto il profilo della relazione
affettiva, oltre che sotto il profilo della negazione dello status sociale conseguente; conseguentemente, si è
così determinata una lesione di carattere irreversibile, con riferimento ad entrambe le sfere sopradescritte,
del sopra descritto diritto di natura costituzionale.
La consapevolezza di non essere mai stata accolta come figlia (“non conosco questa persona”, ha tenuto a
precisare Tizia in sede di comparizione) non si ritiene possa avere natura transeunte, dovendosi presumere
che la mancanza del padre abbia inciso nello sviluppo psicofisico, causando un vuoto emotivo, relazionale e
sociale soprattutto nella fase più delicata dell’adolescenza, nella quale si forma la personalità dell’individuo.
Con riguardo all’eccezione di prescrizione, per giurisprudenza pacifica (in ultimo, cfr. Cassazione civile sez. III,
12/12/2019, n.32485) gli elementi costitutivi dell’eccezione sono l’inerzia del titolare del diritto fatto valere
in giudizio e la manifestazione della volontà di profittare dell’effetto ad essa ricollegato dall’ordinamento;
inoltre, essendo un’eccezione di merito non rilevabile d’ufficio, deve essere sollevata nella comparsa di
costituzione da depositare almeno venti giorni prima dell’udienza di prima comparizione.
Nel presente giudizio, il convenuto non solo ha sollevato l’eccezione di prescrizione esclusivamente in
relazione al danno patrimoniale richiesto da Caia (vedi memoria ex art. 183 n. 1. c.p.c.), manifestando, quindi,
la volontà di profittare dell’effetto della prescrizione solo con riguardo a quella pretesa; ma, soprattutto, è
incorso nella decadenza di cui all’art.167 c.p.c., non avendo formulato l’eccezione in sede di comparsa di
costituzione e risposta.
La mancata formulazione dell’eccezione di prescrizione (e, in ogni caso, la sua tardività) rende superfluo
l’esame dei suoi effetti nella fattispecie in esame, nella quale è configurabile un fatto illecito permanente, in
cui il comportamento, oltre a produrre l’evento dannoso, lo continua ad alimentare per tutto il tempo in cui
questo perdura, avendosi così coesistenza dell’uno e dell’altro (Cass.civ., sez. III, 20 dicembre 2000, n. 16009);
in questa ipotesi, caratterizzate dal perdurare nel tempo del comportamento lesivo e dal suo non esaurirsi in
unu actu perficitur (che cioè si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando peraltro permanere i suoi
effetti nel tempo, come nell’illecito istantaneo con effetti permanenti) la prescrizione ricomincia a decorrere
ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della
predetta condotta dannosa, sicché il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si
produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica:
pertanto, il danno avrebbe potuto essere risarcito solo per il periodo successivo ai cinque anni anteriori alla
data alla quale il diritto al risarcimento era stato fatto valere. (Cass.civ., sez. III, 24 agosto 2007, n.17985;
Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2004, n. 6512).
Se, dunque, deve riconoscersi la sussistenza di una condotta illecita, lesiva, all’evidenza, di diritti
fondamentali della persona, occorre ora esaminare i criteri di quantificazione del risarcimento che si possono
enucleare dall’esperienza delle Corti di merito e di legittimità.
Si è affermato, in primo luogo, come la voce di pregiudizio in esame sfugga a precise quantificazioni in moneta
e, pertanto, si imponga la liquidazione in via equitativa ex art. 1226 cod. civ. (Cass. civ. Sez. I, 22/07/2014, n.
16657); in questa ipotesi, affinché la decisione non presenti i connotati della arbitrarietà, occorre indicare i
criteri seguiti per determinare l’entità del risarcimento, risultando il potere discrezionale del giudice sottratto
a qualsiasi sindacato in sede di legittimità solo allorché si dia conto che sono stati considerati i dati di fatto
acquisiti al processo come fattori costitutivi dell’ammontare dei danni liquidati (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8213
del 04/04/2013; Cass. sez. 3, n. 16222 del 31/07/2015).
Ciò premesso, in ordine alla quantificazione in concreto del danno endofamiliare da privazione del rapporto
genitoriale, la giurisprudenza di legittimità ha affermato l’applicabilità, come riferimento liquidatorio, della
voce prevista dalle tabelle giurisprudenziali adottate dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano per la
perdita del genitore (Cass. civ. Sez. I, 22/07/2014, n. 16657; Cass. civ. sez. VI, 16/02/2015, n.3079); precisando
che, sebbene il cd. danno da lesione del rapporto parentale nelle ipotesi in cui una persona sia vittima (o
subisca gravi lesioni a causa) della condotta illecita di un terzo sia differente dal caso del genitore che si
disinteressi del figlio, tuttavia, le suindicate tabelle rimangano utilizzabili come parametro di valutazione, con
gli opportuni adattamenti.
In senso conforme, anche questo Tribunale ha utilizzato come riferimento il parametro equitativo del danno
da perdita parentale, specificando come non possa, tuttavia, essere assunto in modo integrale, “stante la
diversità della lesione, che in un caso è definitiva mentre nell’altro sempre eliminabile o suscettibile di
attenuazione” (Tribunale Cagliari, sent. 25/01/2017 nella causa civile iscritta al n. r.g. 7438/2010; conforme,
Tribunale di Roma, sent. 19/05/2017; Tribunale Catania sent. 12/04/2019; Tribunale Genova sent.
14/05/2018, n.1335; Tribunale Torino sent. 05/06/2014).
In ordine alla concreta quantificazione dell’importo, questo Tribunale, nel precedente citato, considerato “il
travaglio emotivo per l’assenza della figura paterna” che “si sviluppa soprattutto nel periodo infantile ed
adolescenziale” ha riconosciuto una somma pari a 1/3 di quella minima prevista dalle tabelle di Milano per il
decesso di un genitore, e pertanto la somma di Euro 54.660; il Tribunale di Roma ha determinato in Euro
70.826,25 l’ammontare complessivo per i danni non patrimoniali, “considerando nella quantificazione la
condotta del padre che pur a conoscenza dal 1988/1989 della morte dell’altro genitore non si è attivato per
adempiere ai propri doveri”; il Tribunale di Catania ha ridotto del 70% la somma liquidabile per la perdita del
rapporto parentale secondo le tabelle di Milano, riconoscendo un importo di Euro 72.750,00; il Tribunale di
Genova per una privazione della figura paterna della durata di 68 mesi, un importo pari complessivamente a
Euro 20.400,00; nella fattispecie esaminata dalla citata sentenza della Corte di Cassazione (sent. 16/02/2015,
n.3079), il danno non patrimoniale era stato liquidato in Euro 50.000,00.
Le tabelle giurisprudenziali adottate dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, aggiornate al 2018,
prevedono, per la perdita del genitore, un importo compreso tra Euro 165.960 ed Euro 331.920.
Come accennato, tali valori sono stati ridotti, nei casi esaminati dalla giurisprudenza, in considerazione sia
del minore pregiudizio causato dall’abbandono da parte del padre rispetto alla perdita del padre stesso
cagionata dall’altrui illecito; sia dell’astratta “emendabilità” della situazione e, cioè, del possibile recupero
del rapporto, che contribuirebbe a ridurre ulteriormente il danno subito.
Occorre, tuttavia, osservare come tali valutazioni non possano formare oggetto di rigidi automatismi, bensì
di una valutazione in concreto, considerata la particolarità del conflitto che si è chiamati a risolvere.
Con ciò si vuole intendere che la lesione del rapporto parentale, e gli effetti che l’assenza paterna ha avuto
sullo sviluppo della personalità, sull’identità, sulla collocazione sociale della figlia, non necessariamente
possono considerarsi inferiori alla morte di un genitore: fermo restando il dolore provocato dalla perdita di
un affetto, può dubitarsi che il lutto per la perdita di un padre che abbia accompagnato il proprio figlio dalla
nascita alla maturità sia senz’altro superiore rispetto a quella di chi si sia sempre sentito abbandonato,
rifiutato e abbia provato l’indifferenza del proprio padre soprattutto negli anni in cui matura la propria
personalità.
Mentre la perdita di un padre amorevole ne avrebbe lasciato intatto il ricordo, che avrebbe avuto una positiva
influenza nella personalità della figlia, nella fattispecie in esame si evince chiaramente la sofferenza
dell’essere stati ignorati, senza margini di consolazione (“non conosco questa persona…in qualità di padre è
stato veramente poco…non c’è un livello di umanità”). Appare, pertanto, più opportuno ritenere che il
discostamento dalle tabelle di Milano sia giustificato, piuttosto, dalla loro estrazione da una casistica in
materia di infortunistica stradale e responsabilità medica che presuppone sistemi di gestione del rischio e, di
regola anche obbligatoriamente, meccanismi assicurativi, e, soprattutto, posizioni soggettive che non si
prestano ad una equiparazione con la particolare natura dei rapporti familiari.
Con riguardo alla “emendabilità della situazione”, nella fattispecie in esame è pacifico come la mediazione
familiare, peraltro raccomandata dal Giudice, non abbia dato un esito positivo e la figlia, già in sede di
comparizione, avesse manifestato le proprie perplessità (“si può sbagliare una, due, tre volte, ma non per
ventitrè anni”…”questo incontro è l’ennesima conferma di quanto ho detto su di lui”) e il proprio timore per
ulteriori delusioni; né appare provato che tale convincimento sia maturato da una condotta ostruzionistica
della madre, se si considera che la stessa Tiziaha tenuto a precisare, sempre in sede di comparizione, che la
madre è sempre stata “impeccabile; lei non ha mai parlato male di quest’uomo, non l’ha mai descritto come
un mostro, ha sempre detto che era un debole, ma non l’ha mai disprezzato”.
Nel caso concreto, pertanto, più che applicare meccanicamente una riduzione del quantum in considerazione
di un’astratta emendabilità della situazione, appare opportuno, sotto altro profilo, riflettere su come già la
sentenza possa aiutare a colmare il dolore e il vuoto affettivo sofferto e rappresentare, in una vicenda in cui
diritto e sentimenti si intersecano, una sorta di “risarcimento in forma specifica”.
Considerati i dati di fatto acquisiti al processo e i criteri seguiti per determinare l’entità del risarcimento, così
come sopra precisati, e adottato come dato di riferimento il valore tabellare, il risarcimento dovuto da
Sempronio per il danno non patrimoniale subito da Tiziaper la privazione della figura paterna deve essere,
pertanto, limitata ad Euro 75.000,00, comprensivo del danno da ritardato inadempimento.
3) Il danno patrimoniale lamentato da Caia.
Caia ha domandato il risarcimento del danno patrimoniale subito, quantificato in Euro 220.000,00, per essersi
fatta carico in modo esclusivo dalla nascita del mantenimento della figlia.
A fondamento della domanda, occorre richiamare le norme codicistiche sopra elencate (artt. 315 bis, 316 bis,
337 ter c.c.) che sanciscono l’obbligo dei genitori in misura proporzionale al proprio reddito e secondo la loro
capacità di lavoro professionale o casalingo e la pacifica giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il
genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere del mantenimento del figlio anche per la parte del
genitore che lo abbia successivamente riconosciuto, ha diritto di regresso per la corrispondente quota (Cass.
Sez. 1, n. 7960 del 28/03/2017; Cass. sez. 1, Sentenza n. 5652 del 10/04/2012;Cass.sez. 1, Sentenza n. 27653
del 20/12/2011).
Deve essere, peraltro, rigettata l’eccezione di prescrizione sollevata dal Sempronio, in quanto – a prescindere
dalla sua tardività, come già accennato – in ogni caso, il diritto al rimborso “pro quota” delle spese sostenute
dalla nascita del figlio, spettante al genitore che lo ha allevato, non è utilmente azionabile se non dal
momento dell’accertamento della filiazione naturale (nel caso in esame avvenuto con il riconoscimento, a
seguito dell’indagine di laboratorio sul DNA in data 22.6.2012), che conseguentemente costituisce il “dies a
quo” della decorrenza della ordinaria prescrizione decennale (Cass. sez. 1, Sentenza n. 15756 del 11/07/2006;
Cass.sez. 1, Sentenza n. 7986 del 04/04/2014).
Ciò premesso, secondo la giurisprudenza di legittimità, il quantum dovuto in restituzione nel periodo di
mantenimento esclusivo non può essere determinato sulla base dell’importo stabilito per il futuro nella
pronuncia relativa al riconoscimento del figlio naturale, via via devalutato, in quanto l’ammontare dovuto
trova limite negli esborsi presumibilmente sostenuti in concreto dal genitore che ha per intero sostenuto la
spesa senza però prescindere né dalla considerazione del complesso delle specifiche e molteplici esigenze
effettivamente soddisfatte o notoriamente da soddisfare nel periodo in considerazione né dalla
valorizzazione delle sostanze e dei redditi di ciascun genitore quali all’epoca goduti ed evidenziati,
eventualmente in via presuntiva, dalle risultanze processuali, né infine dalla correlazione con il tenore di vita
di cui il figlio ha diritto di fruire, da rapportare a quello dei suoi genitori (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22506 del
04/11/2010); la stessa Corte di Cassazione, sebbene abbia ritenuto legittimo il ricorso all’equità, tuttavia,
trattandosi di spese già sostenute, ha affermato la necessità che queste siano, almeno attraverso
l’applicazione di un metodo presuntivo, adeguatamente provate nel loro an e nel quantum da chi alleghi di
averle sostenute anche in luogo dell’altro obbligato, secondo le regole generali dell’azione di regresso.
Ciò premesso in diritto, occorre richiamare la condizione reddituale di Sempronio ed, in particolare, i redditi
documentati dal periodo di imposta 1998 con tendenza crescente ed, in particolare:
1998 – reddito medio netto mensile di Euro 3.613,00
1999 – reddito medio netto mensile di Euro 3.715,00
2000 – reddito medio netto mensile di Euro 4.100,00
2001 – reddito medio netto mensile di Euro 3.941,00
2002 – reddito medio netto mensile di Euro 4.129,00
2003 – reddito medio netto mensile di Euro 4.394,00
2004 – reddito medio netto mensile di Euro 4.68500
2005 – reddito medio netto mensile di Euro 4.552,00
2006 – reddito medio netto mensile di Euro 5.107,00
2007 – reddito medio netto mensile di Euro 5.309,00
2008 – reddito medio netto mensile di Euro 5.462,00
2009 – reddito medio netto mensile di Euro 5.145,00
2010 – reddito medio netto mensile di Euro 5.815,00
2011 – reddito medio netto mensile di Euro 5.845,00
2012 – reddito medio netto mensile di Euro 6.719,00
2013 – reddito medio netto mensile di Euro 7.928,00
2014 – reddito medio netto mensile di Euro 6.769,00
Devono essere, inoltre, rilevate le assai modeste capacità reddituali di Caia; i bonifici effettuati durante il
giudizio dal 2017 al 2018 (per circa 8.000 Euro); infine, le somme che appare provato siano state versate dal
Sempronio attraverso la propria infermiera (dapprima pari a lire 700.000 e successivamente ad Euro 500,00),
come si desume dalla deposizione testimoniale della teste Me. e dalla lettera datata 4 Dicembre 2003 inviata
da Caia al Sempronio(documento 21/c di parte convenuta: “….la Signoria Vostra è pregata di inviare con la
massima urgenza le competenze dovute del mese di Agosto (l’estratto conto che il Banco di Sardegna invia
ogni mese, attesta che Lei non ha versato la suddetta mensilità). Inoltre le ricordo di applicare la corretta
conversione in Euro di tale cifra (Euro 361,52). Considerato che l’aumento del costo della vita dovuta
all’introduzione dell’Euro sul mercato, l’importo sinora versato risulta inadeguato, si richiede per la piccola
Tizia la cifra mensile di Euro 500.” Considerati tali risultati di prova, si deve richiamare la giurisprudenza sopra
citata – che ha affermato la necessità che il genitore che agisce in regresso debba adeguatamente provare le
spese sostenute nel loro an e nel quantum – e rilevare che, nella fattispecie in esame, Caia si è limitata a
produrre spese straordinarie recentemente sostenute per la figlia, nella misura di 1.076,78.
L’attrice non ha, cioè, provato, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, ulteriori spese
effettivamente sostenute per la figlia, né ha allegato criteri in grado di sostenere, anche attraverso il ricorso
alle presunzioni semplici, le maggiori spese sostenute rispetto agli importi già corrisposti dal padre per il
mantenimento della figlia, quanto meno nella misura richiesta nel presente giudizio, se si considera,
soprattutto, che Caia non ha provato di avere mai svolto attività lavorativa e, quindi, di avere mai percepito
redditi propri con i quali provvedere al mantenimento della figlia.
Tutto ciò premesso, considerando per un verso le esigenze notoriamente da soddisfare nel periodo
dell’infanzia e dell’adolescenza (tuttavia inferiori rispetto a quelle attuali) e, per altro verso, le somme mensili
versate dal Sempronio(aumentate dopo qualche anno ad Euro 500,00) e il reddito da lui percepito (inferiore
rispetto al reddito attuale), la domanda di regresso formulata da Caia deve essere accolta nella misura assai
più ridotta di Euro 35.000,00, liquidata in via equitativa e già comprensiva delle spese documentate e del
danno da ritardato adempimento.
4) Il danno non patrimoniale lamentato da Caia ha domandato, infine, la condanna al risarcimento del danno
non patrimoniale, nella misura di Euro 80.000,00, rappresentato dall’avere dovuto sempre provveduto in via
esclusiva alla cura della figlia, così rinunciando a perseguire qualunque altro obbiettivo lavorativo e personale
e causando un profondo stato di frustrazione e depressione.
Premesso quanto sopra argomentato con riguardo all’eccezione di prescrizione, in ordine alla fondatezza
della domanda deve ritenersi condivisibile il principio affermato dalla giurisprudenza di merito (in un solo
precedente, Tribunale Roma, Sez. I, 29.02.2016, n. 4169), che ha riconosciuto la sussistenza di un danno
endofamiliare subito dal genitore che abbia provveduto in via esclusiva alle esigenze della figlia, senza poter
condividere con l’altro il ruolo genitoriale, la crescita e l’accudimento della figlia.
Infatti, l’art. 30 della Costituzione (“E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”),
riferendosi ad entrambi i genitori come soggetti obbligati, configura un obbligo reciproco la cui violazione
cagiona non solo al figlio, ma anche al genitore che da solo abbia accudito la prole, un danno non
patrimoniale; in tale condotta, pertanto, può ravvisarsi la violazione di un diritto costituzionalmente garantito
e, come tale, risarcibile secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ..
Deve, quindi, ritenersi che anche il diritto del quale Caia assume la lesione assurga al rango di diritto
fondamentale della persona.
Esula dalle finalità della presente decisione una completa trattazione della profonda evoluzione, in dottrina
e nella giurisprudenza, della relazione tra genitori e figli, che ha conosciuto un graduale allontanamento dalla
nozione di potestà che poneva l’accento sui poteri attribuiti ai genitori, per spostarsi sulla centralità
dell’interesse del minore; evoluzione, anche dettata dall’adeguamento dell’ordinamento interno alle fonti
sovranazionali, che ha condotto, infine, alla riforma della filiazione attuata con la l. n. 219/2012 e con il d.lgs.
n. 154/2013, che ha introdotto, all’art. 316 c.c., la nozione di responsabilità genitoriale, come posizione
soggettiva connessa esclusivamente alla procreazione.
E’ sufficiente osservare come il fondamento della responsabilità genitoriale sia da individuare nell’obbligo
dei genitori di assicurare ai figli un completo percorso educativo, garantendo loro il benessere, la cura,
un’equilibrata crescita spirituale e materiale secondo le possibilità socio- economiche dei genitori stessi.
Sono, pertanto, condivisibili le riflessioni svolte in dottrina in ordine all’intreccio di poteri e doveri che
caratterizza il compito dei genitori e la complessità della loro posizione giuridica soggettiva, tale da indurre a
definire il concetto di responsabilità genitoriale in termini di relazione.
Tale relazione si svolge certamente, ed in primo luogo, tra i genitori e figli, tanto che i doveri dei genitori, che
devono rispettare le inclinazioni naturali, le capacità e le aspirazioni dei figli, si definiscono nel tempo in
parallelo alla maturazione di questi ultimi e, quindi, in un ambito di relazione.
Tuttavia, appare corretto osservare come la responsabilità genitoriale, quale complessa situazione giuridica
soggettiva, si articoli anche su un ulteriore piano, quello attinente alla relazione tra genitori: infatti, si deve
ritenere che l’art. 30 della Costituzione, riferendosi ad entrambi i genitori come soggetti obbligati a
mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio, faccia sorgere un obbligo reciproco,
che, in quanto connesso alla procreazione, è naturalmente, strutturalmente condiviso.
Nel dettato costituzionale, cioè, è ravvisabile la previsione di un sistema, in cui i due genitori debbono
cooperare nella cura e nell’educazione del figlio, nell’interesse di quest’ultimo, ma anche di ciascuno di essi,
poiché l’adempimento del compito intanto è possibile ed è svolto adeguatamente, fisiologicamente, se
sussiste la collaborazione dell’altro.
Un ulteriore argomento di riflessione può trarsi dall’art. 709 ter c.p.c., introdotto dalla citata legge n.
54/2006, secondo il quale, nell’ambito delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della
responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento, in caso di gravi inadempienze o di atti che
comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità
dell’affidamento, il Giudice può, anche congiuntamente: 1) ammonire il genitore inadempiente; 2) disporre
il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; 3) disporre il risarcimento dei
danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro; 4) condannare il genitore inadempiente al
pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 Euro a un massimo di 5.000 Euro
a favore della Cassa delle ammende.
E’ vero che tali misure sono state qualificate come misure di coercizione indiretta, sul modello delle astreintes
del sistema francese, tese a favorire, nell’interesse del minore, l’adempimento di obbligazioni familiari di
carattere non patrimoniale e sul presupposto di un precedente provvedimento diretto a disciplinare le
modalità di affidamento, così da escludere l’applicabilità degli artt. 2043 e 2059 c.c. (nella giurisprudenza di
merito, cfr. Trib. Messina, 8 ottobre 2012; Trib. Novara, 21 luglio 2011); è, altresì, vero che anche la fattispecie
della condanna del genitore inadempiente al risarcimento del danno a favore dell’altro, prevista al n. 3)
dell’art. 709- ter c.p.c, appare tutelare il diritto di ciascun genitore a godere del rapporto con il figlio, piuttosto
che il diritto alla collaborazione nel senso sopra accennato; tuttavia, la norma, qualora le si volesse attribuire
(anche) una funzione reintegrativa, offre argomenti per ritenere che il legislatore, nel complesso e delicato
rapporto di filiazione, abbia inteso attribuire una rilevanza giuridica anche alla relazione tra i genitori.
Sotto altro profilo, si può, altresì, ritenere che il rifiuto di collaborazione abbia leso la dignità della madre per
le modalità con le quali è stato attuato, che nella vicenda in esame sono state particolarmente svilenti.
Sul punto, si può osservare come, in tema di illecito endofamiliare, nella giurisprudenza di legittimità, oltre
alla oramai pacifica risarcibilità del danno da privazione della figura genitoriale subito dal figlio, come sopra
descritta, sia stata affermata la risarcibilità del danno cagionato dalla violazione dell’obbligo di fedeltà,
qualora la condotta si concretizzi nella compromissione di un interesse costituzionalmente protetto;
evenienza che può verificarsi, naturalmente, non in ogni caso di violazione di tale obbligo, ma solo in casi e
contesti del tutto particolari, ove si dimostri che l’infedeltà, per le sue modalità e in relazione alla specificità
della fattispecie, abbia dato luogo (a lesione della salute del coniuge ovvero) ad una lesione della dignità della
persona, bene costituzionalmente protetto (Cass. civ. sez. I, 15/09/2011, n.18853).
Analogamente, nella vicenda in esame, con riguardo alla lesione della dignità della madre, si è fatto cenno
alla causale dei bonifici inviati a Caia (“trasferimento fondi”) ovvero alla consegna di denaro attraverso
intermediari, come l’infermiera dell’Ospedale nel quale lavorava il Sempronio; dalla deposizione testimoniale
della sorella X si può evincere, altresì, l’umiliazione subita dall’attrice quando portò il Sempronio a
conoscenza della gravidanza, ottenendo il rifiuto del riconoscimento; ovvero, come si è già accennato,
quando si rivolse al Sempronio a seguito del grave sinistro stradale subito dalla figlia.
Si tratta di fatti costitutivi che sono stati espressamente dedotti dalla parte attrice, la quale, a prescindere
dalla qualificazione giuridica attribuita, ha inequivocabilmente lamentato la violazione anche della sua
dignità.
Tutto ciò premesso, non si vogliono sottacere le perplessità che nascono da una sempre più ampia estensione
della responsabilità civile, alcune volte anche a favore di posizioni giuridiche soggettive che potrebbero
essere qualificate, al più, come aspettative.
Tuttavia, nella fattispecie in esame, tale ampliamento appare giustificato dalla configurabilità di una
posizione giuridica complessa, caratterizzata, oltre che da obblighi nei confronti del figlio, anche da diritti nei
confronti dell’altro genitore, la cui condotta non può ritenersi svincolata da un obbligo di solidarietà e di
rispetto della dignità personale.
In conclusione, si deve ritenere che, nello svolgersi del percorso evolutivo in materia di filiazione appena
accennato, il principio della bigenitorialità, introdotto con la legge n. 54/2006 e diretto ad assicurare un pari
ruolo ai genitori (a prescindere dalla sussistenza o meno di un vincolo matrimoniale ovvero dalla eventuale
coabitazione con il figlio), possa consentire di configurare un diritto fondamentale anche del genitore alla
partecipazione attiva, da parte dell’altro genitore, nel progetto educativo, di crescita e di assistenza della
prole.
Così configurato il diritto fondamentale in capo al genitore, si può presumere che l’assenza del padre, negli
anni in cui la condivisione della cura genitoriale è più che mai indispensabile, abbia ingenerato un
peggioramento della qualità della vita e un profondo turbamento non solo nella figlia Tizia, bensì anche in
Caia, la quale ha provato di non avere ricevuto la collaborazione e la solidarietà del padre, con modalità
particolarmente svilenti per la sua dignità, anche in momenti delicati della vita della bambina.
Accertata la sussistenza del danno connesso alla lesione di valori fondamentali della persona, occorre fare
ricorso al parametro della liquidazione equitativa di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c..
A ta1e fine possono essere richiamate, esclusivamente come parametro di riferimento i criteri di liquidazione
del danno connessi al decesso del coniuge o del convivente, sebbene, oltre ai rilievi critici sollevati nel
precedente paragrafo, si deve considerare che la perdita del coniuge o del convivente implichi la perdita
anche di altre forme di collaborazione, quali la coabitazione, il rispetto reciproco, la fede1tà, la reciproca
assistenza morale e materiale; pertanto, considerata la mancanza del solo sostegno derivante della
condivisione della genitorialità, seppure con le modalità sopra descritte, l’ammontare del risarcimento per i
danni non patrimoniali subiti dalla madre per la mancata partecipazione del padre alla crescita della figlia
può essere determinata in Euro 30.000,00.
Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo (scaglione sino ad Euro
260.000,00; tariffa media).
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:
1) condanna Sempronio al pagamento a favore di Tizia della somma di Euro 1.000,00 a titolo di
mantenimento, con decorrenza dal mese di aprile 2017; oltre al 50% delle spese di istruzione e delle
ulteriori spese straordinarie di carattere necessario sostenute nel suo interesse; tale assegno dovrà essere
corrisposto nel domicilio indicato dalla figlia entro il giorno cinque di ogni mese, e dovrà essere adeguato
annualmente in misura pari agli indici Istat di variazione del costo della vita;
2) condanna Sempronio al pagamento a favore di Tizia della somma di Euro 75.000,00, a titolo di
risarcimento dei danni non patrimoniali per la privazione della figura paterna;
3) condanna Sempronio al pagamento a favore di Caia della somma di Euro 35.000,00, liquidata
equitativamente a titolo di regresso per avere provveduto al mantenimento della figlia Tizia;
4) condanna Sempronio al pagamento a favore di Caia della somma di Euro 30.000,00, liquidata
equitativamente a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito per la mancata condivisione
delle cure genitoriali per la figlia Tizia;
5) condanna Sempronio al pagamento a favore delle attrici delle spese processuali, che liquida in Euro
13.430,00, oltre spese esenti, spese generali, IVA e CPA