Illegittima la consegna dei gameti criooconservati alla vedova

Trib.di Modena, sent. 8 maggio 2020
TRIBUNALE DI MODENA
PRIMA SEZIONE CIVILE
nella persona del Giudice dott. Umberto Castagnini ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5574/2018 promossa da:
X (C.F. ***), con il patrocinio dell’avv. BERGAMINI SUSANNA elettivamente domiciliato presso il difensore avv. BERGAMINI SUSANNA
ATTORE
contro
AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA POLICLINICO DI MODENA (C.F. ***)
CONVENUTO
CONCLUSIONI
Parte attrice:
“Piaccia all’Onorevole Tribunale adito, disporre il rilascio, alla sig.ra X degli spermatozoi crioconservati già di apparternenza del defunto marito, sig. T., anzichè la loro distruzione, considerata pure, l’espressa volontà in tal senso del coniuge defunto, volontà prestata e non revocata prima della sua morte”. Vinte le spese, competenze ed onorari del giudizio”.
RAGIONI DI FATTO
E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. X ha convenuto in giudizio l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Modena affinché sia disposto il trasferimento intrauterino degli embrioni crioconservati e custoditi nel centro di procreazione medicalmente assistita del Policlinico di Modena per portare a termine il procedimento di PMA intrapreso congiuntamente al marito T. , deceduto il 18 agosto 2017; in via subordinata ha chiesto che sia ordinato all’Azienda Ospedaliera di rilasciare in favore dell’attrice i gameti crioconservati del defunto marito, depositati presso tale Centro.
A fondamento della domanda ha dedotto:
– che, seppure nel modulo prestampato sottoscritto dal marito, avente ad oggetto il consenso informato al congelamento dei propri spermatozoi, era previsto che “in caso di decesso del sottoscrittore” i gameti sarebbero stati distrutti, tale disposizione non rispecchiava affatto la volontà del T. che “considerava l’embrione fecondato come già fosse un proprio figlio, massima espressione del profondo amore che lo legava alla moglie”;
– che ella ha rinvenuto un documento sottoscritto di pugno dal marito, datato 6.12.2016, con cui lo stesso revocava il consenso alla distruzione degli spermatozoi in caso di decesso disponendo testualmente che “in caso di eventuale mio decesso dispongo che non siano eliminati i miei spermatozoi congelati dovendo questi servire per la procreazione futura e fortemente voluta di un figlio con la mia amata X. Essendo questo da entrambi voluto”;
– che il rifiuto da parte dell’Azienda Ospedaliera di continuare il processo di fecondazione assistita si pone in contrasto con il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU) e viola il diritto a diventare genitori.
La convenuta, ritualmente citata in giudizio, è rimasta contumace.
Nel corso del procedimento sono state acquisite informazioni exart. 213 c.p.c dal centro di riproduzione in ordine allo stato del percorso di PMA atteso che dalla documentazione prodotta e dalle allegazioni non emergeva chiaramente se fosse stata effettuata la fecondazione in vitro e prodotti embrioni o se il ciclo si era invece arrestato nella prima fase.
L’Azienda Ospedaliera, con nota del 21.08.2019. a firma del Direttore Sanitario, ha comunicato che presso il centro di Medicina della Riproduzione sono depositati unicamente “spermatozoi crioconservati del sig. T. , perché la coppia non ha mai eseguito il ciclo di Procreazione Medicalmente Assistita di II livello (fecondazione in vitro con tecnica ICSI) e quindi non sono mai stati prodotti embrioni”.
All’udienza del 26 settembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni in epigrafe trascritte con rinuncia da parte dell’attrice alla domanda avanzata in via principale.
2. L’azione proposta si colloca nell’ambito della tematica, particolarmente dibattuta, della procreazione medicalmente assistita e -in particolare-della fecondazione post mortemche rappresenta quello che è stato definito l’ultimo capitolo della “rivoluzione procreativa”.
Nel nostro ordinamento la fecondazione post mortemdeve ritenersi, in linea generale, vietata.
Ciò si desume chiaramente dall’art. 5, comma 1 della L.40/2004 il quale dispone che “possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi” e dall’art. 12, comma 2 il quale prevede che “chiunque, a qualsiasi titolo, in violazione dell’articolo 5 applica tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie i cui componenti non siano entrambi viventi…è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 200.000 a 400.000 euro”; il comma 9 prevede altresì per tale ipotesi “la sospensione da uno a tre anni dall’esercizio professionale nei confronti dell’esercente una professione sanitaria”.
Il divieto di fecondazione post mortemviene giustificato sulla base del rilievo per cui, così facendo, si darebbe vita a famiglie mono-genitoriali, privando i nascituri ab origine ed in maniera preordinata della possibilità di godere del sostegno e dell’affetto dell’altro genitore; ciò, diversamente dall’ipotesi in cui la perdita o l’allontanamento di uno dei due avvenga per cause naturali dopo il concepimento o la nascita
Secondo una parte degli interpreti tale tecnica si porrebbe in contrasto con gli artt. 29 e 30 Cost. che implicano il diritto del figlio ad essere istruito, educato e mantenuto da entrambi i genitori.
In ogni caso, anche a non voler ritenere la scelta del nostro legislatore costituzionalmente obbligata, tenuto conto che -entro certi limiti-tale tecnica è consentita in altri ordinamenti europei (ad esempio in Spagna, entro l’anno dal decesso), la scelta perseguita non può comunque ritenersi irragionevole, né in contrasto con il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU).
In questo senso, sia pure in una fattispecie diversa, si è pronunciata la Consulta chiarendo che”la materia tocca, al tempo stesso, “temi eticamente sensibili” (sentenza n. 162 del 2014), in relazione ai quali l’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio fra le contrapposte esigenze, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene “primariamente alla valutazione del legislatore” (sentenza n. 347 del 1998). La linea di composizione tra i diversi interessi in gioco si colloca, in specie, nell’”area degli interventi, con cui il legislatore, quale interprete della volontà della collettività, è chiamato a tradurre, sul piano normativo, il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale” (sentenza n. 84 del 2016). Ciò ferma restando la sindacabilità delle scelte operate, al fine di verificare se con esse sia stato realizzato un bilanciamento non irragionevole (sentenza n. 162 del 2014).
Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato, d’altra parte, in più occasioni, che nella materia della PMA, la quale solleva delicate questioni di ordine etico e morale, gli Stati conservano–segnatamente quanto ai temi sui quali non si registri un generale consenso –un ampio margine di apprezzamento (tra le altre, sentenze 28 agosto 2012, Costa e Pavan contro Italia; Grande Camera, 3 novembre 2011, S. H. e altri contro Austria)”.
In particolare, decidendo in relazione alle limitazioni soggettive all’accesso alla PMA, la Corte Costituzionale ha affermato che “non può considerarsi irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato. In questa prospettiva, l’idea, sottesa alla disciplina in esame, che una famiglia ad instar naturae –due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile –rappresenti, in linea di principio, il <> più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato non può essere considerata, a sua volta, di per sé arbitraria o irrazionale”. (Corte Costituzionale, 23 ottobre 2019, n. 221).
3.Tenuto conto del generale divieto di fecondazione post mortem vigente nel nostro ordinamento, si è posto il problema di individuare fino a quale momento entrambi i membri della coppia devono essere viventi per poter completare il procedimento di PMA.
Tale interrogativo è sorto perché la legge consente non solo la crioconservazione dei gameti (exart. 14, comma 8 L. 40/2004) ma anche degli embrioni (in seguito a Corte Costituzionale 8 maggio 2009, n. 151) per cui il decesso di uno dei membri della coppia può intervenire prima o dopo la fecondazione.
La giurisprudenza di merito si è orientata nel distinguere tali ipotesi consentendo alla donna di ottenere l’impianto dell’embrione già formato al momento della morte dell’altro membro della coppia (cfr. Tribunale di Palermo, 8 gennaio 1999; Tribunale di Bologna, 16 gennaio 2015), escludendo invece la possibilità di fecondazione in vitro post mortem (cfr. Tribunale di Bologna, 31 maggio 2012 n. 1522 in Foro it, 2012, I, 3349 conf. App. BO 11 dicembre 2013, n. 2203).
Tale distinzione è condivisibile poiché coerente con l’articolato normativo posto dalla L. 40/2004 e tiene conto della diversità ontologica tra gamete ed embrione.
I gameti umani sono cellule riproduttive destinate ad unirsi nel processo della fecondazione per dare origine ad un nuovo individuo. Essi possono inquadrarsi nella eterogenea categoria dei campioni biologici umani che ricomprende i materiali biologici provenienti dal corpo umano sottoposti o destinati ad un particolare trattamento . L’embrione, diversamente, è il frutto della fusione procreativa dei due gameti e presenta una sua sostanziale individualità e diversità dalle cellule che l’anno generato.
Come chiarito dalla Corte Costituzionale,”l’embrione, quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riconducibile a mero materiale biologico. Con la citata sentenza n. 151 del 2009, questa Corte ha già, del resto, riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione, riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.; e l’ha bensì ritenuta suscettibile di “affievolimento” (al pari della tutela del concepito: sentenza n. 27 del 1975), ma solo in caso di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) che, in temine di bilanciamento, risultino, in date situazioni, prevalenti”(Corte Costituzionale, 11/11/2015, n.229).
Inoltre, passando all’articolato normativo posto dalla L. 40/2004, si osserva che l’art. 6 dispone che il consenso è revocabile solo fino alla fecondazione dell’embrione. Tale norma è da leggersi in combinato disposto con l’art. 14, comma 1 che vieta la soppressione di embrioni umani e con il principio affermato dalle linee guida approvate con DM 1 luglio 2015 secondo cui la “donna ha sempre il diritto di ottenere il trasferimento degli embrioni crioconservati”.
Si è pertanto ritenuto che il requisito soggettivo fissato dall’art. 5 della L. 40/2004, ovvero l’esistenza in via di entrambi i partner, debba essere riferito al momento dell’accesso alle tecniche di PMA, che coincide con l’informativa, atteso che il consenso di cui all’art. 6 è revocabile solo fino alla formazione dell’embrione.
Qualora la fecondazione dell’ovulo si verifichi prima della morte del coniuge, il decesso non può quindi ritenersi ostativo all’impianto in quanto non si pone un problema di attualità del consenso essendosi già consumato lo spatium deliberandi dei due membri della coppia. Tale soluzione inoltre risponde all’esigenza di garantire adeguata tutela all’embrione umano secondo lo spirito della L. 40/2004.
4.Nel caso in esame, come risulta dalla documentazione sanitaria acquisita dall’Azienda Ospedaliera, il decesso del sig. T. è tuttavia intervenuto prima della fecondazione dell’ovulo per cui, non essendovi alcun embrione formato, la fattispecie ricade nel divieto normativo di fecondazione post mortem.
X , nella evidente consapevolezza di non poter continuare il procedimento avviato in Italia, alla luce delle informazioni acquisite dall’Azienda Ospedaliera in corso di giudizio, in sede di precisazione delle conclusioni, ha insistito esclusivamente nella richiesta di rilascio degli spermatozoi crioconservati in forza della propria qualità di erede e della volontà espressa dal defunto marito.
Se dunque la domanda di portare a termine il percorso procreativo si pone in evidente contrasto con il divieto previsto dalla L. 40/2004, la richiesta di mera consegna degli spermatozoi crioconservati, formulata in maniera “neutra” pone degli ulteriori interrogativi ed impone di valutare se ed a quali limiti sia ammissibile nel nostro ordinamento la successione mortis causa dei gameti umani crioconservati e che rilevanza abbia la finalità per cui il rilascio viene richiesto.
5.1.Secondo una prima tesi (Tribunale di Roma, sez. II, 28 giugno 2013 n. 14146 in Nuovo Diritto Civile, n. 1, 2016) sarebbe da ritenersi pienamente ammissibile la successione mortis causa, sia testamentaria che legittima, dei gameti umani in quanto gli stessi andrebbero qualificati come beni, sottratti al commercio, ma pur sempre appartenenti ad un titolare e quindi trasmissibili anche agli eredi nei limiti di salvaguardia dell’integrità fisica (art. 5 c.c.) e purché non se ne faccia un uso a scopo di lucro.
Secondo tale impostazione, ai fini della trasmissibilità per via ereditaria, alcuna rilevanza assumerebbe l’utilizzo che ne verrà fatto e l’eventuale finalità vietata in quanto “il diritto alla restituzione non è impedito dall’obbligo di utilizzare la cosa ereditata per usi non consentiti, che saranno vietati quando e se posti in essere” (In tal caso la domanda era stata formulata dai genitori del figlio deceduto che manifestavano interesse ad ottenere tali campioni biologici quale “reliquia” del figlio).
5.2. Secondo una seconda tesi, che valorizza le peculiarità dei gameti umani e la loro attitudine riproduttiva, tali da distinguerli dalle altre categorie di campioni biologici, la successione mortis causa dei gameti sarebbe inammissibile in quanto in contrasto con il divieto di fecondazione post mortem.
Si è affermato che “l’autorizzazione alla distruzione dei gameti in caso di morte del depositante corrisponde, data la <> dell’oggetto del contratto e il <> ad un obbligo desumibile dalla legge (il divieto di fecondazione post mortem, collegato con i limiti alla disponibilità delle parti del corso di cui all’art. 5 c.c.) e dalle linee guida elaborate sulla base delle indicazioni del comitato nazionale di bioetica”.
“Secondo l’impostazione assunta dal legislatore italiano del 2004 ed alla quale ci si deve attenere, la specifica finalità della crioconservazione è quella di realizzare in conformità con le norme imperative vigenti nel nostro ordinamento, una futura riproduzione medicalmente assistita tra soggetti viventi, aventi in ogni momento la piena consapevolezza dell’atto da compiersi. Il tenore di tale conclusione impone di ritenere, dopo la morte del donatore, che il liquido seminale non possa essere consegnato al coniuge. L’univoca finalità riproduttiva che tale materiale possiede comporta che il profilo giuridico della sua circolazione non possa essere ricondotto sic et simpliciter al paradigma della proprietà, per cui non entra a far parte del patrimonio degli eredi in virtù delle regole proprie della successione mortis causa. Ciò implica il fatto che una eventuale disposizione testamentaria di segno opposto non possa dunque superare il divieto posto dalla legge…” (Tribunale di Roma, ord. 19 novembre 2018, Foro it., 2019, I, 692).
5.3.Secondo una tesi intermedia (Tribunale di Roma, ord. 8 maggio 2019 che ha riformato l’ordinanza del 21 dicembre 2018, in Foro it, 2019, I, 1952) la soluzione adottata nella sentenza del 2013 non sarebbe condivisibile in quanto frutto di una eccessiva semplificazione poiché assimila il gamete umano ad una qualsiasi altra res, senza tener conto delle sue peculiarità e dello speciale statuto giuridico.
In particolare, seppure viene condivisa la qualificazione giuridica dei gameti come “beni extra commercium”, allo stesso tempo ne viene valorizzato il legame che conservano con il corpo dal quale derivano, dopo la separazione, “in quanto portatori di informazioni personali di carattere sanitario, biologico e genetico, riferibili alla persona a cui appartengono” e “capaci di generare una nuova vita avente uno stretto legame biologico con tale persona”.
“Il diritto di proprietà sul corpo e sulle parti staccate perde una parte delle sue caratteristiche tipiche di (virtualmente) illimitata disponibilità e trasmissibilità ed acquista, per converso, una dimensione di inviolabilità (normalmente estranea al diritto di proprietà come tratteggiato nel nostro diritto) che ne esalta la componente di ius alios excludendi attraverso la centralità e l’indisponibilità del consenso informato dell’avente diritto e la sua revocabilità sostanzialmente illimitata”.
Muovendo da tale premesse, il Tribunale Capitolino -nell’ultima pronuncia citata-ritiene che i gameti non possano trasmettersi sulla base degli “automatismi tipici del diritto successorio (come nella successione legittima, nella quale si prescinde totalmente dalla volontà del de cuius in avente contrasto con l’essenzialità del consenso informato)”;tuttavia non potrebbe negarsi in capo al soggetto la “facoltà di disporne liberamente (quindi, anche mortis causa) purché mediante un’espressa manifestazione di volontà che integri gli estremi di una revoca del consenso informato precedentemente espresso” (con cui era stata autorizzata la distruzione in caso di decesso). Secondo tale orientamento sarebbe irrilevante il possibile futuro uso che il soggetto designato potrà fare di tale materiale biologico in quanto i divieti posti dall’ordinamento “potranno entrare in linea di conto se e quando, eventualmente la parte volesse servirsi dei gameti a fini riproduttivi”; ciò anche in considerazione del fatto che, nel caso esaminato, “la volontà testamentaria espressa dal de cuius non era corredata da alcuna motivazione o indicazione di scopo”.
Sulla base di tale orientamento, a fronte di una richiesta di condotta “neutra” -quale è la mera consegna degli spermatozoi crioconservati-in forza di un atto di ultima volontà del de cuius, non si potrebbe indagare l’utilizzo che il soggetto beneficiario farà di tali gameti trattandosi di un posterius irrilevante ai fini della validità dell’atto negoziale. Ciò in quanto l’esclusione di un bene dalla successione non può dipendere dallo scopo con cui si impiegherà il bene medesimo.
6. In assenza di una chiara e specifica previsione normativa, per rispondere agli interrogativi sollevati, il punto da cui occorre prendere le mosse è lo statuto giuridico dei campioni biologici e più in particolare dei gameti umani.
I campioni biologici, quando si staccano dal corpo, assumono dal punto di vista materiale una loro autonomia ontologica e funzionale rispetto al corpo. Allo stesso tempo, mantengono una indissolubile relazione con ilsoggetto, in quanto estrinsecano il suo patrimonio genetico mantenendo così una dimensione identitaria ed informativa.
Nell’ipotesi di gameti umani, tra le due polarità, rese persona, la seconda appare prevalente in quanto i gameti -come le altre categorie di campioni biologici umani-permettono di identificare il soggetto da cui provengono e fornire informazioni genetiche ma hanno anche la peculiarità di poter generare altri individui.
Se dunque la tendenza più fedele e rispettosa del principio personalistico esclude l’applicazione pura e semplice del modello proprietario nei rapporti tra individuo e parti staccate del proprio corpo, ciò vale, a maggior ragione, per i gameti umani tenuto conto delle loro peculiarità biologiche ovvero della loro capacità riproduttiva.
Non vi è uno statuto giuridico unitario per tutti i materiali biologici (organi, sangue, cellule riproduttive etc.), ma, come osservato in dottrina, dalla normativa in materia di trapianti, trasfusioni, sperimentazione, PMA si può osservare come l’intero sistema normativo sia ispirato al principio del consenso informato, al principio di finalità e caratterizzato da una articolata procedimentalizzazione.
In particolare:
a) Il consenso assume un ruolo fondamentale in tutti gli atti dispositivi che riguardano l’identità personale del soggetto e costituisce un “principio fondamentale in materia di tutela della salute” (Corte Cost. 438/2008).
In materia di PMA il consenso è disciplinato dall’art. 6 della L. 40/2004 e in relazione alle cellule riproduttive l’art. 14, comma 8 prevede che la crioconservazione dei gameti maschili e femminili possa avvenire “previo consenso informato e scritto”.
Poiché il consenso dell’interessato è necessario per chiedere la crioconservazione, parimenti appare necessario, per mantenerla, mutarla e farla cessare e per compiere -nei limiti previsti dalla legge-atti dispositivi.
b)Il regime di circolazione dei campioni biologici è inoltre ispirato al principio di finalità.
Trattasi di un corollario del consenso informato, già affermato sul terreno del trattamento dei dati personali e in materia di diritti della personalità (diritto all’immagine). Questo principio implica che il consenso che legittima l’utilizzo e la disposizione dei campioni biologici dispiega un’efficacia limitatamente all’utilizzo del quale il soggetto sia stato reso edotto e per il quale abbia espresso la propria autorizzazione.
In tal senso depongono almeno due disposizioni normative.
La prima è l’art. 22 della Convenzione di Oviedo, il quale prevede che: “Allorquando una parte del corpo umano è stata prelevata nel corso di un intervento, questa non può essere conservata e utilizzata per scopo diverso da quello per cui è stata prelevata in conformità alle procedure di informazione e di consenso appropriate”.
La seconda è l’art. 5, comma 30, del d.l. n. 3/2006, di attuazione della dir. n. 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche; conformemente a tale disposizione, “la domanda di brevetto relativa ad una invenzione che ha per oggetto o utilizza materiale biologico di origine umana deve essere corredata dell’espresso consenso, libero e informato a tale prelievo e utilizzazione, della persona da cui è stato prelevato tale materiale, in base alla normativa vigente”.
c)Infine, il quadro normativo in materia di campioni biologici è caratterizzato dall’adozione di diversi “procedimenti” che possono implicare requisiti di forma, autorizzazioni preventive, controllo da parte dell’autorità giudiziaria o di altri organi tecnici; la funzione è quella di dare pubblica garanzia della tutela di beni rilevanti (quali la salute di chi dona e di chi riceve), accertare la presenza di tutte le condizioni richieste dalla legge, ivi compresa la “libertà” e la “spontaneità” della determinazione volitiva.
7.1Così ricostruiti i principi informativi della materia si deve quindi escludere, stante la necessità che ogni atto dispositivo sia corredato dal consenso informato dell’interessato, la trasferibilità mortis causa dei gameti crioconservati agli eredi in forza delle norme in materia di successione legittima, in assenza di testamento, poiché così facendo si darebbe esclusivo risalto alla materialità del campione senza tener conto della dimensione personale dei gameti.
7.2.Più complessa è l’ipotesi in cui -come nel caso di specie- vi sia un atto dispositivo mortis causa da parte dell’interessato e quindi l’espressione di un consenso consapevole.
In questo caso, il principio di finalità impone comunque di valutare la ragione per la quale il consenso, libero e consapevole, è stato espresso.
In questo senso, non appare pienamente condivisibile quanto affermato dal Tribunale di Roma nell’ordinanza 8 maggio 2019 sopra richiamata, ovvero che l’utilizzo che sarà fatto dei gameti da parte del beneficiario è questione che non incide sulla validità ed efficacia dell’atto dispositivo e che, qualora vietato dalla legge, esso debba essere oggetto di autonoma sanzione nei confronti degli autori dell’illecito.
Il consenso informato prestato dall’interessato non è infatti un mero consenso all’atto traslativo ma altresì alla destinazione dei gameti e, in quanto tale, ne legittima uno specifico utilizzo (in conformità alle norme imperative in materia).
Una volta che la parte del corpo viene separata dal soggetto, essa è sottoposta ad un regime che ne involge la destinazione fissata; il principio di finalità rappresenta pertanto un limite all’autonomia privata ed alle norme codicistiche in materia di proprietà e successioni in quanto la “finalità” conforma il potere dispositivo e di godimento.
Orbene, nel caso di gameti crioconservati nell’ambito di una procedura di PMA, il consenso espresso a fini procreativi non consente la consegna dei campioni dopo il decesso in quanto il fine della procreazione non è più configurabile dopo la morte dell’interessato, stante il divieto normativo di fecondazione post mortem posto dall’art. 5 L. 40/2004. Né si può ritenere che il soggetto designato possa comunque ottenere il campione per farne un diverso utilizzo (ad es. per destinare i gameti alla ricerca, come “reliquia” del defunto etc), quand’anche lecito, in assenza di un ulteriore e specifico consenso da parte dell’interessato trattandosi di fini diversi da quelli per cui i gameti sono stati crioconservati.
8.1.Venendo al caso di specie, in conclusione, all’attrice non possono essere consegnati i gameti crioconservati del marito defunto in forza della sua qualità di erede universale di Giannece , non essendo ammissibile la successione mortis causa dei gameti in applicazione delle norme codicistiche in materia di successione legittima ab intestato.
8.2.Non è neppure accoglibile la richiesta fondata sull’atto dispositivo con cui il de cuius, revocando il precedente consenso informato alla distruzione dei gameti crioconservati, ha previsto che “in caso di eventuale mio decesso dispongo che non siano eliminati i miei spermatozoi congelati dovendo questi servire per la procreazione futura e fortemente voluta di un figlio con la mia amata X. Essendo questo da entrambi voluto”.
Tale disposizione esprime il consenso dell’interessato ma indica chiaramente la finalità procreativa per cui l’atto è compiuto. Per tale ragione è da ritenersi affetta da nullità per contrarietà a norme imperative stante il divieto di fecondazione post mortem posto dalla legge n. 40 del2004 a cui occorre fare riferimento.
In ogni caso, anche riconducendo il fine espresso alla categoria dei “motivi” – l’atto dovrebbe comunque considerarsi nullo ex art. 626 c.c rappresentando la fecondazione post mortemil motivo illecito determinante che ha indotto T. a disporre la consegna degli spermatozoi crioconservati alla moglie da parte del Centro che li conserva.
Conseguentemente, stante la nullità della seconda manifestazione volitiva, rimane valido ed efficace il precedente consenso informato rilasciato dall’interessato con il quale disponeva la distruzione degli spermatozoi crioconservati in caso di decesso.
8.3.Il fatto che l’attrice abbia formulato una richiesta di mera consegna degli spermatozoi crioconservati, senza richiedere formalmente di poter continuare il processo procreativo (oggetto della domanda principale, rinunciata) non consente comunque di superare il divieto posto dalla L. 40/2004.
La richiesta di una condotta “neutra” come quella della restituzione dei gameti implica infatti un potere dominicale pieno sui gameti invero insussistente, non essendo assimilabili ad un qualsiasi bene mobile.
In un quadro normativo caratterizzato da un elevato grado di procedimentalizzazione e di controllo, la finalità per cui la consegna dei gameti viene richiesta deve essere esplicitata al fine di valutare il rispetto dei limiti e dei vincoli posti dalle norme imperative e la conformità alla destinazione indicata dall’interessato nell’atto di consenso informato(in questo senso, in merito alla richiesta di consegna di embrioni soprannumerari, cfr. Tribunale di Roma, sez. I, 6 marzo 2016, che ha rigettato la domanda proprio per la mancata esplicitazione del fine a cui era rivolta la richiesta).
In ogni caso, la domanda di consegna per un diverso utilizzo da parte dell’attrice -quand’anche consentito (es. utilizzo a scopo di ricerca) non potrebbe comunque essere accolta in assenza di un consenso informato specifico dell’interessato in ordine a tale utilizzo.
9.Infine, nessun rilievo può assumere il principio affermato da Cassazione civile sez. I, 15/05/2019, n.13000, richiamata negli scritti difensivi finali, secondo cui il nato da pratiche di procreazione medicalmente assistita omologa, con l’utilizzo del seme crioconservato di chi sia deceduto prima della formazione dell’embrione -avendo prestato il consenso a quelle pratiche anche “post mortem”-assume lo stato di figlio matrimoniale di quell’uomo.
Tale principio è stato affermato in un caso di fecondazione post mortem effettuata all’estero per cui non veniva in rilievo la liceità o meno di tale pratica secondo la legislazione italiana, ma la disciplina in tema di filiazione da applicarsi al nato sul territorio nazionale per effetto di una tale -illecita o lecita che sia –pratica.
La Corte ha evidenziato che “la circostanza che si sia fatto ricorso all’estero a P.M.A. non espressamente disciplinata (o addirittura non consentita) nel nostro ordinamento non esclude, ma anzi impone, nel preminente interesse dal nato, l’applicazione di tutte le disposizioni che riguardano lo stato del figlio venuto al mondo all’esito di tale percorso”.
Il riconoscimento dello status filiationis, anche nell’ipotesi in cui le parti abbiano avuto accesso all’estero a tecniche vietate nel nostro ordinamento, rappresenta quindi una tutela apprestata ex post nell’ottica di salvaguardare il superiore interesse del minore, in quanto il bambino che è nato non può comunque subire le conseguenze negative derivanti dall’adozione di modalità procreative non consentite nel nostro ordinamento. Ciò non significa tuttavia che possa essere agevolato ex ante il compimento di atti che -nel nostro ordinamento-rimangono illeciti e/o vietati.
10.Alla stregua delle considerazioni che precedono, la domanda proposta non può trovare accoglimento.
Le spese di lite vanno dichiarate irripetibili in considerazione della mancata costituzione della parte convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente decidendo, così provvede:
– rigettale domande avanzate dall’attrice;
– dichiara irripetibili le spese di lite.
Così deciso il 10 aprile 2020
Il Giudice
dott. Umberto Castagnini
Pubblicazione il 08/05/2020