Delibera di ripartizione delle spese condominiali e successiva delibera modificativa della precedente

Cassazione civile, sez. II, 21 Novembre 2019, n. 30479. Pres. Orilia. Est. Milena Falaschi.

SENTENZA sul ricorso 14954-2015 proposto da:
CONDOMINIO DI FERRARA, in persona dell’amministratore Angelica i, rappresentato e difeso dall’avv. ed elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell’avvocato F ; – ricorrente –
contro ROBERTO, rappresentato e difeso dagli avv.ti F ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo sito in Roma, v ; – controricorrente –
avverso la sentenza n. 1418 del Tribunale di Ferrara depositata 1’11.12.2014; udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 6 maggio 2019 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio Capasso, che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi l’Avv.to con delega dell’Avv.to M ), per parte ricorrente, e l’Avv.to con delega dell’Avv.to ), per parte resistente.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 983/2013 il Giudice di Pace di Ferrara, in accoglimento del ricorso proposto ex art. 1137 c.c. da Roberto nei confronti del Condominio sito in Ferrara, annullava la delibera condominiale del 30.09.2011 nella parte in cui imponeva al la partecipazione pro quota alle spese di manutenzione della canna fumaria condominiale pari a complessivi C 957,00. A fondamento della decisione il giudice di prime cure poneva la considerazione secondo cui, previa delibera autorizzativa dell’assemblea condominiale datata 26.5.2010, il si era dotato di canna fumaria indipendente e pertanto, non utilizzando più la canna fumaria condominiale, non era tenuto a partecipare alle spese di manutenzione straordinaria della stessa, di cui alla successiva delibera del 30.09.2011. In virtù di rituale appello interposto dal Condominio, il Tribunale di Ferrara, con sentenza n. 1418/2014, rigettava il gravame, confermando la sentenza di primo grado, seppure con diversa motivazione. 7 Il Tribunale, a sostegno della decisione, rilevava che, sebbene l’istallazione di un’autonoma canna fumaria da parte del non comportasse il venir meno dell’obbligo di partecipare alla spese di manutenzione rispetto a quella condominiale ex art. 1118 c.c., tuttavia le spese oggetto della delibera del 30.9.2011 si riferivano a lavori già approvati dai condomini C con la delibera del 24.11.2009, per i quali questi ultimi avevano stabilito di sostenerne integralmente la spesa, escludendo dall’obbligo di pagamento il stante la sua opposizione. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Condominio Ferrara, sulla base di cinque motivi, cui ha resistito Roberto con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 4 e n. 5, c.p.c., la nullità della sentenza per mancanza di motivazione. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale avrebbe annullato la delibera condominiale del 30.09.2011 senza fare riferimento ad alcuno dei motivi di annullamento previsti dall’art. 1137, comma secondo, c.c.. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1135 n. 4 e 1137, comma secondo, c.c. per avere il giudice di appello annullato la delibera del 30.09.2011 sul presupposto che le spese del 2009 non fossero state preventivate e deliberate dai condomini. A detta del ricorrente, non vi sarebbe alcuna norma che imporrebbe al Condominio di deliberare preventivamente le spese, ben potendo l’assemblea approvare anche spese non preventivate. Peraltro, la circostanza che i condomini avessero, in una precedente delibera, deciso di accollarsi le spese di manutenzione straordinaria della canna fumaria condominiale non precludeva la possibilità per l’assemblea di deliberare nuovamente sulla ripartizione delle stesse, ex art. 1135, n. 4, c.c.. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di 3 9 discussione tra le parti, per avere il Tribunale ritenuto che le spese del 2009 non fossero state preventivate e deliberate dai condomini, nonostante l’avviso di convocazione dell’assemblea straordinaria del 30.9.2011, prodotto in atti e inviato al contenesse l’indicazione dell’intervento di spesa e delle modalità esecutive di detto intervento. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., per avere il giudice di merito errato nell’interpretazione della delibera del 24.11.2009. A detta del ricorrente, con la predetta delibera i condomini e si sarebbero accollati unicamente le spese afferenti ai lavori eseguiti nei loro appartamenti, ma non anche quelle relative alla parte condominiale della canna fumaria, testualmente escluse dall’accollo. Con il quinto motivo (per mero errore materiale indicato come quarta censura) il ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1117, 1118, comma secondo, e 1123, comma primo, c.c., per avere il giudice di appello errato ad annullare la delibera del 30.09.2011. A detta del ricorrente, avendo la canna fumaria natura di bene comune, i condomini con tale delibera avrebbero legittimamente deciso di ripartire, pro quota millesimale, la spesa di C 957,00 anche a carico del I motivi – che nella loro complessività attengono alle generali questioni del riparto delle spese condominiali ed in particolare alla legittimità di modificare con una successiva delibera il riparto delle spese per la manutenzione di un bene condominiale comune già deliberato in precedenza, per la evidente conseguenzialità argomentativa -vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati. Risulta dalla sentenza impugnata che la delibera del 24.11.2009 e quella del 30.9.2011 avevano ad oggetto le medesime spese relative alla manutenzione straordinaria della canna fumaria condominiale. Occorrerà, dunque, in primo luogo, chiarire quali siano i condomini chiamati a sostenere le spese per la manutenzione straordinaria della 4 canna fumaria e, in particolare, se il condomino che si sia distaccato dall’impianto centralizzato di riscaldamento, dotandosi di canna fumaria indipendente, possa sottrarsi al contributo per dette spese. A tal riguardo si osserva che la canna fumaria è soggetta alla presunzione di comunione di cui all’art. 1117, n. 3, c.c., pertanto – salvo diversa previsione di destinazione contenuta nel titolo – deve ritenersi bene comune (Cass. n. 9231 del 1991). Se, dunque, la rinuncia di un condomino all’uso dell’impianto centralizzato di riscaldamento legittima il conseguente esonero dello stesso dall’obbligo di sostenere le spese per l’uso del servizio centralizzato, in applicazione del principio contenuto nell’art. 1123, secondo comma, c.c., egli è comunque tenuto a pagare le spese di conservazione dell’impianto di cui la canna fumaria è parte integrante (Cass. n. 11970 del 2017). Ciò chiarito, nella specie il dotatosi di canna fumaria autonoma, era stato dapprima, con la delibera del 24.11.2009, esonerato dal pagamento delle spese per la manutenzione della canna fumaria condominiale e successivamente, con la delibera del 30.9.2011, il Condominio è tornato a deliberare sulla medesima spesa, con approvazione di un piano di riparto che ha posto tali spese pro quota anche a carico del condomino che si era distaccato. Per definire la questione controversa si rendono necessarie ulteriori due puntualizzazioni in diritto. La delibera del 24.11.2009, esonerando il condomino distaccante dal pagamento delle spese per la conservazione della canna fumaria condominiale, potrebbe addirittura presentare profili di illegittimità. Invero, tale delibera può ritenersi valida solo ove interpretata nel senso che essa si limita ad esonerare il condomino distaccante a concorrere alle spese per l’uso del servizio centralizzato, al contrario il rinunziante all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento deve concorrere alle spese per la manutenzione straordinaria o per la conservazione dell’impianto stesso, essendo le stesse previste da una norma imperativa – l’art. 1118 c.c. – non derogabile nemmeno con accordo unanime di tutti i condomini, in forza del vincolo pubblicistico di distribuzione degli oneri 5 (“”/ condominiali dettato dall’esigenza dell’uso razionale delle risorse energetiche e del miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale (Cass. n. 28051 del 2018 e Cass. n. 12580 del 2017). In secondo luogo, le spese per la manutenzione straordinaria della canna fumaria condominiale, previste dalla delibera del 24.11.2009, non necessitavano di alcuna preventiva deliberazione da parte dei condomini. Come, infatti, recentemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 454 del 2017), nel condominio di edifici l’erogazione delle spese di manutenzione ordinaria e di quelle relative ai servizi comuni essenziali non richiede la preventiva approvazione dell’assemblea, trattandosi di esborsi cui l’amministratore provvede in base ai suoi poteri e non come esecutore delle delibere dell’assemblea; la loro approvazione è, invece, richiesta in sede di consuntivo, giacché solo con questo si accertano le spese e si approva lo stato di ripartizione definitivo, che legittima l’amministratore ad agire contro i condomini morosi per il recupero delle quote poste a loro carico. Orbene, non vi è dubbio che le spese per la canna fumaria condominiale siano relative all’essenziale servizio comune del riscaldamento (Cass. n. 5068 del 1986) e pertanto possano essere approvate anche solo in sede di consuntivo. In punto di diritto va, inoltre, esaminata la circostanza fattuale circa la efficacia di una delibera condominiale approvata a maggioranza in epoca successiva ad altra con la quale era stato già definito il riparto delle spese per la manutenzione della canna fumaria condominiale, derogandovi. Al riguardo va precisato che si ha sostituzione nel caso in cui la nuova delibera regoli il medesimo oggetto in termini incompatibili con quelli ipotizzati nella precedente assemblea. Tanto chiarito, rileva il Collegio che la delibera del 30.9.2011, ripartendo le medesime spese di manutenzione della canna fumaria condominiale fra tutti i condomini per la parte pertinente alla conservazione della parte comune del bene, ha tecnicamente sostituito la delibera del 24.11.2009 che le aveva accollate per l’intero ai soli condomini e . 6 Nel libro III, titolo VII, capo II del codice civile, dedicato alla regolazione “Del condominio negli edifici”, non si rinviene alcuna disciplina al riguardo. A fronte di tale lacuna normativa, per giurisprudenza consolidata e risalente di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità, condividendola, trova applicazione, per identità di ratio, la disposizione dell’art. 2377 ultimo comma c.c., secondo cui una deliberazione dell’assemblea dei soci delle società per azioni può essere sostituita con altra presa in conformità della legge (v. Cass. n. 1561 del 1976; Cass. n. 8622 del 1998 e ribadito da Cass. n. 8515 del 2018). Trattasi di disposizione che, benché dettata con riferimento alle società per azioni, ha carattere generale ed è perciò applicabile a fattispecie similari, quali le assemblee dei condomini edilizi (Cass. n. 3159 del 1993). Il giudice ha, dunque, errato nel ritenere applicabile per il riparto delle spese condominiali la delibera del 2009, dovendosi ritenere tale regolamento superato da quello contenuto nella delibera del 2011. Conclusivamente, il ricorso va accolto, con cassazione della decisione impugnata e con rinvio, per un rinnovato esame della vicenda alla luce dei principi sopra illustrati, dinanzi ad altro giudice di merito, che si designa in un magistrato del Tribunale di Ferrara diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata, il quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio al Tribunale di Ferrara, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di Cassazione, il 6 maggio 2019.

Covid-19: limiti e modalità di svolgimento del diritto di visita dei figli minori.

Tribunale Vasto, 02 aprile 2020
Il Tribunale in composizione collegiale, letta, in particolare, l’istanza depositata il 01.04.2020, con la quale _________ ha chiesto, ai sensi dell’art. 337 quinquies c.c., l’emissione di un provvedimento urgente per disporre la collocazione della figlia minore presso di sé nel periodo compreso tra il 7 ed 14 aprile p.v. o, in alternativa, tra il 13 ed il 26 aprile; rilevato che il ricorrente – rappresentando di non aver potuto trascorrere con la figlia minore i periodi di tempo prestabiliti, a causa dell’attuale situazione di emergenza sanitaria nazionale – ha chiesto di poter tenere con sé la bambina dal 7 al 14 aprile (o, in alternativa, dal 13 al 26 aprile), presso la propria abitazione di Aversa, in modo da recuperare anche i fine settimana in cui si è trovato nell’impossibilità di rispettare la calendarizzazione stabilita, deducendo una perdurante difficoltà di instaurare conversazioni telefoniche con la figlia per le resistenze e l’ostruzionismo della resistente; valutata, preliminarmente, l’ammissibilità dell’adozione di provvedimenti cautelari inaudita altera parte nell’ambito del giudizio di revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, ex art. 337 quinquies c.c., al fine di garantire la piena tutela del minore anche attraverso provvedimenti cautelari, tutte le volte in cui il diritto assistito dal fumus boni iuris sia minacciato dal pericolo di un pregiudizio imminente e irreparabile, che non può essere tutelato nei tempi necessari per farlo valere in via ordinaria; rilevato che l’emissione di provvedimenti provvisori è espressione di una tutela immanente alla salvaguardia dell’interesse del minore, come si evince dall’art. 336 c.c., che legittima il tribunale all’adozione di provvedimenti nell’interesse del figlio anche in assenza di domanda, e dall’art. 337 ter c.c., che consente di adottare ogni provvedimento relativo alla prole, compreso l’affidamento a terzi, “anche d’ufficio”, e ciò in quanto l’instaurazione del contraddittorio differito assicura la necessaria tutela dei diritti di difesa delle parti; considerato che, dalle allegazioni di parte ricorrente, si evince che il _________, proveniente da Milano (luogo in cui attualmente vive e lavora), il 23 marzo u.s. si è spostato ad Aversa, presso l’abitazione di famiglia, dove vorrebbe portare e tenere con sè la figlia per il periodo innanzi indicato; ritenuto che gli incontri dei minori con genitori dimoranti in comune diverso da quello di residenza dei minori stessi non realizzano affatto le condizioni di sicurezza e prudenza di cui al D.P.C.M. 9/3/2020 ed all’ancor più restrittivo D.P.C.M. 11/3/2020, come pure al D.P.C.M. 21/3/2020 e, da ultimo, al D.P.C.M. del 22/3/2020, dal momento che lo scopo primario della normativa che regola la materia è quello di attuare una rigorosa e universale limitazione dei movimenti sul territorio (con il divieto di spostarsi in comuni diversi da quello di dimora), tesa al contenimento del contagio, con conseguente sacrificio di tutti i cittadini ed anche dei minori; ritenuto, quindi, che il diritto-dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi, nell’attuale momento emergenziale, è recessivo sia rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, legalmente stabilite per ragioni sanitarie, ai sensi dell’art. 16 Cost., sia rispetto al diritto alla salute, sancito dall’art. 32 Cost. (cfr., in tal senso, Trib. Bari, ord. 26 marzo 2020); ritenuto, peraltro, che – nel caso di specie – non è verificabile se la minore si esponga a rischio sanitario, tenuto conto: a) che il padre proviene da un luogo ad alto tasso di contagio virale; b) che non è dimostrato che lo stesso abbia rigorosamente rispettato le prescrizioni imposte dalla normativa vigente; c) che non è chiaro se nell’abitazione di destinazione siano presenti altre persone, oltre al ricorrente; ritenuto, alla luce delle considerazioni sin qui espresse, che l’istanza del ricorrente non possa essere accolta, fermo restando che il diritto del padre a mantenere rapporti significativi e costanti con la figlia può essere esercitato attraverso strumenti telematici che consentano conversazioni in videochiamata, con cadenza anche quotidiana; posto che, sotto tale ultimo profilo, le difficoltà dedotte e documentate dal resistente devono essere superate diffidando la resistente a consentire al _________ di avere colloqui telefonici riservati in videochiamata con la figlia, senza la presenza o l’interferenza della madre, tutti i pomeriggi e senza alcuna limitazione di durata delle singole chiamate, nella fascia oraria compresa tra le 14:30 e le 21:30;
Per Questi Motivi:
a) rigetta l’istanza di cui in epigrafe; b) dispone che _________ possa avere colloqui telefonici riservati in videochiamata con la figlia minore _________, senza la presenza o l’interferenza della madre, tutti i pomeriggi e senza alcuna limitazione di durata delle singole chiamate, nella fascia oraria compresa tra le 14:30 e le 21:30; c) diffida _________ a consentire a _________ l’esercizio del diritto di colloquio telefonico con la figlia, come innanzi descritto, astenendosi da condotte impeditive od ostative; d) manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza.

Organismo Congressuale Forense: delibera 8.4.2020, misure urgenti in diritto di famiglia

L’Assemblea dell’Organismo Congressuale Forense riunita in modalità telematica il giorno 8 aprile, ha approvato la seguente delibera: – OMISSIS – Iniziative per favorire la ripresa delle attività di assistenza nel periodo di emergenza e altre iniziative in ambito familiare 1) Negoziazione assistita. Deposito e restituzione atti Durante questa prima fase di emergenza e, prevedibilmente, anche nel corso della c.d. “seconda fase”, le attività di assistenza e difesa delle parti coinvolte in controversie sorte in ambito familiare hanno subito una sostanziale contrazione, dovendo retrocedere rispetto alla necessità di tutelare la salute dei cittadini. Le prassi seguite dai diversi Uffici Giudiziari, inoltre, non risultano affatto uniformi, dovendosi osservare – ad esempio – che taluni Tribunali continuano a trattare gli affari “familiari” ed altri provvedono invece al rinvio in blocco di tali tipi di procedimenti. E’ indubbio, tuttavia, che occorre sin da ora assumere iniziative volte a favorire la ripresa, quanto più celere possibile, nel principale interesse delle stesse parti (e degli interessi coinvolti, primi fra tutti quelli dei minori). L’istituto della negoziazione assistita in ambito familiare, più di ogni altro strumento di risoluzione alternativa delle controversie, già prima dell’emergenza, ha dato prova della sua capacità di incidere, con velocità e concretezza, nella definizione dei conflitti familiari, con forte spinta anche in termini di deflazione del carico giudiziario. Appare quindi essenziale – ed urgente – intervenire oggi per favorire ancora di più l’utilizzo di tale istituto, al fine di diminuire ulteriormente il carico giudiziario e la conseguente necessità di comparizione delle parti e dei loro difensori in udienza, essenziale in questo momento per evitare il rischio di contagio da Covid19. Nella attuale fase e, lo si ripete, anche nel prossimo futuro, perlomeno finchè durerà la fase emergenziale, occorre inoltre ridurre ulteriormente ogni accesso dei difensori presso gli Uffici giudiziari, per il compimento di attività non strettamente connesse alla risoluzione delle controversie, bensì collegate ad adempimenti meramente burocratici. A tal fine, la prima proposta che si ritiene di formulare tende a consentire ai difensori delle parti che abbiano attivato il procedimento di negoziazione assistita di poter procedere al deposito degli accordi e degli atti allegati (in formato pdf) mediante l’utilizzo di posta elettronica certificata all’indirizzo dedicato da attivarsi presso le locali Procure delle Repubblica presso i Tribunali, prevedendo quindi che i medesimi Uffici, dopo l’emissione del provvedimento di autorizzazione o nullaosta, provvedano alla restituzione degli stessi ai difensori sempre a mezzo pec. E’ indispensabile a tal fine che tutti gli Uffici delle Procure siano dotati di apposita PEC. Si chiede pertanto al competente Ministero della Giustizia di attivarsi in tal senso. 2) Negoziazione assistita. Interventi di ordine generale. Nella medesima ottica di favorire il ricorso allo strumento della negoziazione assistita in ambito familiare, con riduzione dell’utilizzo dello strumento giudiziario (con ricadute, in questa fase emergenziale, di riduzione anche e soprattutto dei contatti interpersonali) si ritiene di proporre ulteriori interventi legislativi, da assumere con carattere di urgenza – già oggetto di precedenti iniziative da parte dell’Organismo Congressuale Forense – diretti a: – Estendere la possibilità di ricorrere al beneficio del patrocinio a spese dello Stato anche per i procedimenti di negoziazione assistita in ambito familiare; – Estendere l’istituto anche alla risoluzione consensuale delle controversie tra genitori non coniugati o non uniti civilmente, anche per la modifica di precedenti provvedimenti già assunti giudizialmente; – Prevedere la possibilità di inserire negli accordi di divorzio o cessazione degli effetti civili, raggiunti a seguito di negoziazione assistita, il riconoscimento della c.d. “una tantum”, prevista dall’art. 5 comma 8° della legge 898/70 che, ancora oggi, richiede la valutazione di equità da parte del Tribunale. In tal caso la valutazione di equità viene fatta dagli avvocati che assistono le parti e sottoscrivono l’accordo. – Prevedere la possibilità espressa di consentire che, con i medesimi accordi, avvenga l’immediato trasferimento immobiliare di cespiti familiari, quando il trasferimento sia previsto come elemento funzionale ed indispensabile ai fini della risoluzione della crisi. – Prevedere (eventualmente per la sola fase emergenziale) che gli incontri tra le parti ed i difensori per il raggiungimento dell’accordo possa avvenire da remoto, con strumenti di video conferenza e con modalità da inserire nella convenzione e richiamate nel successivo accordo: prevedendo inoltre che tale modalità possa essere estesa anche alle trattative in corso, con integrazione consensuale della originaria convenzione. Si tratta di interventi, come detto, diretti a promuovere il ricorso ai procedimenti di negoziazione assistita, essenziale nel periodo emergenziale. 3) Procedimenti giudiziari consensuali di separazione, divorzio, cessazione degli effetti civili del matrimonio e di affidamento di figli minori nati fuori dal matrimonio. Per la sola fase emergenziale connessa alla necessità di evitare la diffusione del contagio epidemiologico, escludendosi che tale modalità possa essere successivamente adottata anche al termine della crisi, si ritiene di promuovere l’applicazione della prassi – già adottata da taluni uffici giudiziari in accordo con l’Avvocatura – che consente, nei soli casi di procedimenti di natura consensuale in ambito familiare e su richiesta delle parti tramite i difensori, di promuovere la c.d. “trattazione scritta” manifestando (nello stesso ricorso ovvero, nei casi di procedimenti ad oggi instaurati, con successiva istanza congiunta da depositare nel fascicolo telematico) la rinuncia a comparire e la conferma integrale delle condizioni di ricorso, ribadendo la volontà di non riconciliarsi. All’esito della istanza di trattazione scritta il Tribunale provvederà alla emissione del provvedimento definitivo (omologa, sentenza, decreto) provvedendo poi all’acquisizione per via telematica del parere del Pubblico Ministero. 4) Problematiche connesse allo spostamento dei genitori al fine di adempiere alle obbligazioni (o agli accordi) derivanti dall’affidamento dei figli minori. Una delle maggiori problematiche emerse a seguito della emanazione dei provvedimenti, sia governativi che a livello locale, che hanno imposto limitazioni agli spostamenti delle persone, sia all’interno che tra comuni diversi, se non per comprovate ragioni di necessità, salute o urgenza, ha riguardato proprio la tematica degli spostamenti dei genitori per prelevare e riportare figli collocati presso l’altro genitore. Sul punto è intervenuto, dopo la pubblicazione degli iniziali provvedimenti che istituivano le prime “zone rosse”, anche il Ministero dell’Interno offrendo chiarimenti ai cittadini e indicazioni alle autorità preposte ai controlli, specificando che tali spostamenti devono ritenersi consentiti. Tuttavia il problema è stato nuovamente riproposto dopo l’emanazione del d.l. 18/20 che, secondo alcune interpretazioni, avrebbe ulteriormente ristretto il regime degli spostamenti consentiti. Non consta che, all’esito della pubblicazione del citato decreto, il Ministero dell’Interno sia nuovamente intervenuto con note di chiarimenti, dovendosi perciò ritenere che il quadro non sia mutato e che, quindi, gli spostamenti dei genitori per adempiere agli obblighi connessi all’affidamento dei figli minori siano tutt’ora consentiti. Tuttavia appaiono proseguire, seppure in misura più limitata, segnalazioni di criticità al riguardo che suggeriscono un definitivo intervento chiarificatore, seppure a livello di mera circolare ministeriale. Al riguardo va peraltro segnalata un’ulteriore criticità, riguardante situazioni familiari nelle quali possono trovarsi coinvolti e pregiudicati nel diritto di continuare ad avere rapporti con entrambi i genitori, quei minori figli di genitori che non risultino formalmente separati o i quali non abbiano ancora regolamentato davanti all’autorità giudiziaria le modalità di affidamento e visita dei figli, seppure possano avere trovato un accordo soddisfacente per entrambi. Analoga situazione può verificarsi (e spesso si verifica) anche quando i genitori, dopo l’emanazione dei provvedimenti giudiziali, abbiano modificato consensualmente il regime previsto dall’autorità giudiziaria in ragione delle rispettive esigenze, senza però far modificare i provvedimenti già assunti. E’ ovvio che i minori coinvolti in queste situazioni non possano essere pregiudicati da scelte, pur legittime, dei genitori che – per le più diverse ragioni – non abbiano formalmente regolamentato il diritto di visita. Diversamente ragionando si creerebbe una ingiustificata disparità tra minori di genitori formalmente separati o che abbiano già ottenuto provvedimenti giudiziari per la regolamentazione delle visite e minori figli di genitori che non vi abbiano ancora provveduto (o non vogliano provvedervi). Al riguardo, essendo compito dell’Avvocatura segnalare criticità e offrire soluzioni che consentano – con il minor sacrificio – di pervenire ad accordi tra le parti, si segnala la necessità di un intervento anche sulla questione consentendo ai genitori non separati – che abbiano in tale senso già raggiunto una intesa – di formalizzare tale accordo anche con semplice scrittura privata e di inserire tale ulteriore modalità (adempimento di obblighi connessi all’affidamento dei figli minori ovvero di diversi accordi tra genitori) nei modelli di autocertificazione forniti dalla pubblica amministrazione. 5) GESTIONE INCAPACI Preso atto della fase emergenziale e del D.M. innanzi citato che limita la circolazione degli individui, si chiede al Ministero di esplicitare con propria nota o circolare interpretativa la possibilità di svolgere le incombenze necessarie all’assistenza degli interdetti, inabilitati e dei fruitori di amministrazione di sostegno anche da parte di soggetti diversi da quelli incaricati ex officio (curatori, tutori, amministratori di sostegno e pro-tutori) ove questi ultimi siano impediti, mediante la esibizione della sola autocertificazione , stante l’esigenza primaria dell’accudimento e della cura delle fasce deboli della popolazione. Consentire tale favor anche nei confronti dei prossimi congiunti di soggetti non ancora accertati giudizialmente, ma nel medesimo stato certificato da idonea documentazione del medico curante. A cura del gruppo di lavoro Famiglia e Diritti Roma, 8 aprile 2020 Il Segretario Il Coordinatore Avv. Vincenzo Ciraolo Avv. Giovanni Malinconico

Produzione di nuovi documenti in appello

Appello Milano, 25 Febbraio 2020. Pres., Est. Bonaretti.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI MILANO PRIMA SEZIONE CIVILE composta dai magistrati: – dott. Domenico Bonaretti – presidente relatore – dott.ssa Maria Iole Fontanella – consigliere – dott. Lorenzo Orsenigo – consigliere
SENTENZA nella causa civile promossa in grado d’appello con atto di citazione notificato in data 29.5.2019 e posta in deliberazione sulle conclusioni precisate dalle parti all’udienza del 13.11.2019 T R A nata a , il (c.f.: ), residente in rappresentata e difesa per delega in calce all’atto di appello, dagli Avv.ti Jennifer Brancè (c.f.: e Giacomo Mastrorosa (c.f.: tra loro disgiuntamente, presso i quali è elettivamente domiciliata in Varese. Via E. Morosini, n. 19, APPELLANTE E (C.F.: ) nato a e res. dove è elettivamente domiciliato, APPELLATO OGGETTO: mutuo CONCLUSIONI DELLE PARTI: Per l’appellante: Voglia la Corte D’Appello di Milano, ogni contraria istanza disattesa, in riforma della sentenza n. 88/2019 emessa dal Tribunale di Varese, pubblicata in data 05.02.2019, così giudicare: IN VIA PRINCIPALE E NEL MERITO: previo ogni accertamento opportuno, accertare che il signor è debitore della signora della cifra di € 6.860,00 o della diversa minor o maggior somma che dovesse risultare ad esito del giudizio e per l’effetto condannare il convenuto alla restituzione a favore della signora della somma di € 6.860,00 oltre interessi legali dal dovuto al saldo, o il diverso importo che dovesse risultare ad esito del presente giudizio. IN OGNI CASO, con vittoria di spese diritti ed onorari di entrambi i gradi di giudizio, con condanna al convenuto alla restituzione delle somme ricevute dall’odierna appellante a titolo di spese liquidate nel primo grado di giudizio, nella misura di € 7.054,85 oltre interessi legali dal 22.03.2019 al saldo. In subordine, voglia la Corte d’Appello condannare il convenuto alla restituzione della somma ricevuta in eccesso, dall’odierna appellante a titolo di spese, rispetto a quelle da liquidarsi per il primo grado di giudizio. Con riserva di richiedere la condanna alla restituzione della imposta di registro della sentenza appellata, di cui ad oggi non è stato richiesto il pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
IN VIA ISTRUTTORIA Si chiede di essere ammessi a prova testimoniale sui seguenti capitoli, non ammessi dal Tribunale di Varese, tutti preceduti da “vero che”: 2. Alla fine di dicembre 2010, la signora consegnava il denaro di cui al capitolo 1, alla di lei figlia e al signor a titolo di prestito; 3. I soldi ricevuti in prestito dall’attrice venivano utilizzati, nel dicembre del 2010, dal e dalla per l’acquisto dei mobili e degli elettrodomestici della cucina, e per versare un acconto pari a € 2.000,00 per l’acquisto dei mobili della sala, dell’appartamento sito in dove essi avrebbero dovuto andare a convivere; 4. Agli inizi del 2011, il e la prima ancora di fare ingresso nell’abitazione di , interrompevano la loro relazione e si accordavano affinché il rimanesse a vivere nel citato appartamento, ormai completamente arredato; 7. A fronte del mancato pagamento della prima rata promessa, la signora alla fine di gennaio del 2012, affidava al figlio il compito di ottenere la restituzione del prestito da parte del 8. Tra febbraio e aprile 2012, contattava, sia telefonicamente sia di persona, il chiedendo allo stesso la restituzione del denaro per conto della signora Si indicano quali testimoni residente in Si chiede l’ammissione del doc. n. 7 – Certificato anagrafico, 13.05.2019, per le ragioni dedotte in narrativa. Per l’appellato: L’appellato, previa non accettazione del contradditorio su domande nuove dell’appellante, contestate le avverse argomentazioni e i documenti di controparte, richiamato il contenuto dei propri atti difensivi e documenti versati, in sede di costituzione, nel fascicolo telematico del primo grado di giudizio, precisa come segue le proprie conclusioni: PRELIMINARMENTE: Voglia la Ecc.ma Corte di Appello, contraiis rejectis, respingere, in quanto inammissibile, ex art. 342 c.p.c., per i motivi di cui al punto 1) della narrativa della comparsa di costituzione in appello, l’impugnazione dell’appellante, confermando in toto le statuizioni del giudice di prime cure. Dichiararsi altresì l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., della produzione documentale di cui ai punti 2) e 3 c) della narrativa della comparsa di costituzione in appello, disponendone l’espunzione dal fascicolo. NEL MERITO: Senza che la presente costituisca accettazione del contraddittorio, acquiescenza o rinuncia alcuna alle eccezioni di cui sopra, per i motivi di cui al punto 3) della narrativa della comparsa di costituzione in appello, respingere tutte domande dell’appellante confermando in toto la sentenza di primo grado. IN OGNI CASO: Col favore delle spese e competenze legali; oltre IVA e CPA; con distrazione a favore del sottoscritto difensore avendole in toto anticipate. IN VIA ISTRUTTORIA: Richiamato il contenuto del punto 3b) della narrativa della comparsa di costituzione in appello, nonché della memoria ex art. 183, 6° comma, cpc di primo grado, nella denegata ipotesi in cui si ritenessero comunque ammissibili le prove per testi riarticolate dall’appellante, si chiede di essere ammessi a prova contraria, sui capitoli ammessi di controparte, con la medesima teste indicata in primo grado: Sig.ra FATTO E PROCESSO La sig.ra riferisce di aver consegnato nel dicembre 2010 alla figlia, la sig.ra e all’allora suo fidanzato, il sig. la somma di € 7.060,00 al fine di aiutarli economicamente a sostenere le spese connesse all’arredamento della casa in cui questi desideravano andare a convivere, casa sita in . In particolare, si afferma che la coppia utilizzasse € 5.060,00 per pagare la società relativamente all’acquisto dei mobili e degli elettrodomestici destinati alla cucina, e spendesse i restanti € 2.000,00 per il pagamento dei mobili della sala. Tuttavia, a inizio 2011, il sig. e la sig.ra interrompevano la loro relazione e abbandonavano il progetto di convivere nell’immobile di ; quanto alla casa, i due si accordavano perché essa restasse al sig. Constatato che gli acquisti compiuti con il suo denaro sarebbero andati a esclusivo beneficio dell’ormai ex fidanzato della figlia, la sig.ra procedeva a richiedere al sig. l’intera somma; in particolare, la sig.ra riferisce di aver incaricato la figlia di rapportarsi e trattare con l’ex fidanzato per la restituzione del prestito. Durante uno scambio di mail intervenuto tra il 23 e il 25.2.2011, il sig. affermava ripetutamente di poter «venire contro» all’ex fidanzata e ai suoi restituendo solo € 5.000,00 a rate di € 500,00, a partire da gennaio 2012, causa difficoltà economiche. Tuttavia, constatando la perdurante assenza di pagamenti, a gennaio 2012 la sig.ra incaricava il figlio, il sig. di rapportarsi con il sig. riferisce la sig.ra che in più occasioni quest’ultimo affermava di essere consapevole del proprio debito nei suoi confronti, confermando l’impegno a pagare il dovuto. Tuttavia, all’intervento del sig. il sig. faceva seguire il pagamento di soli € 200,00, tramite 4 bonifici effettuati in favore della sig.ra per € 50,00 ciascuno, in data 14.2.2014, 20.3.2014, 16.4.2014 e 16.5.2014. La causale di tali versamenti era: “primo acconto”; “cucina”; “rata cucina” e ancora “cucina”. Non ottenendo altro, la sig.ra si rivolgeva a due legali, che inviavano, invano, un sollecito di pagamento; successivamente, veniva inviato al sig. un invito a stipulare una convenzione di mediazione assistita, senza però sortire alcuna risposta. Con atto di citazione notificato in data 7.10.2015 la sig.ra conveniva in giudizio il sig. davanti al Tribunale di Varese, chiedendo la restituzione della somma data a titolo di mutuo, pari a € 6.860,00. Si costituiva il sig. contestando le avverse pretese. Ammesse parte delle prove testimoniali richieste da entrambe le parti, in data 21.9.2016 venivano escussi i testimoni. In data 20.10.2016 avveniva una sostituzione del giudice originariamente assegnatario della causa; seguivano tre rinvii d’ufficio dell’udienza «per una migliore organizzazione e razionalizzazione del ruolo», fino al 17.9.2019. Depositata istanza di anticipazione, il 5.2.2019 si teneva l’udienza di precisazione delle conclusioni e la discussione orale ex art. 281 – sexies cpc. All’esito della discussione, il Tribunale di Varese, con sentenza n. 88 del 5.2.2019, riteneva non provata la stipulazione di un mutuo anche a vantaggio del sig. e rigettava le pretese attoree, condannando la sig.ra al pagamento delle spese di giudizio (liquidate in € 4.835,00, oltre IVA, c.p.a. e rimborso spese generali del 15% ex DM 55/2014). Con atto di citazione in appello notificato in data 29.5.2019, la sig.ra impugnava la sentenza di prime cure, svolgendo i motivi di appello che saranno di seguito partitamente esaminati. In data 23.10.2019 si teneva la prima udienza, all’esito della quale la causa era rinviata per precisazione delle conclusioni all’udienza del 13.11.2019. In tale udienza la causa veniva trattenuta in decisione, con concessione alle parti di giorni 55 per il deposito delle comparse conclusionali e ulteriori giorni 20 per il deposito di eventuali repliche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di appello, la sig.ra lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui, avendo male interpretato le deposizioni testimoniali e le prove documentali, ha ritenuto non dimostrata l’avvenuta dazione di denaro a titolo di mutuo da parte dell’appellante (anche) a favore del sig. (e non solo della figlia, la sig.ra e dunque infondata l’avanzata pretesa restitutoria. Inoltre, l’appellante lamenta che il giudice di prime cure avrebbe posto a base della decisione fatti contrari a circostanze non contestate dall’appellato e che dovevano quindi essere considerate pacifiche, con violazione dell’art. 115 cpc; da ultimo, il giudicante sarebbe caduto in evidente contraddizione, avendo prima affermato che «per stessa ammissione dell’attrice la somma era stata data in favore sia della figlia che del convenuto» (p. 3 sentenza di primo grado), per poi sostenere che le testimonianze avvalorerebbero «la tesi di parte convenuta di un rapporto di dare ed avere tra il Signor e la Signora ma non tra lui e l’odierna attrice» (p. 4 sentenza di primo grado). Al contrario, la difesa dell’appellato osserva di aver confutato i fatti asseritamente non contestati e sostiene che ben avrebbe fatto il Tribunale di Varese a rigettare la domanda della sig.ra in quanto, al più, le risultanze istruttorie avrebbero mostrato un impegno del a pagare € 5.000 (e non € 7.060,00) alla sig.ra e non anche a sua madre, odierna appellante. Oltretutto, la dazione di denaro originaria sarebbe avvenuta a titolo di donazione e non di mutuo, sicché nulla avrebbe da pretendere la sig.ra Il motivo è fondato. Preliminarmente va affrontata la doglianza relativa all’aver il giudicante posto a base della decisione fatti contrari rispetto a circostanze asseritamente non contestate dall’appellato. Al riguardo, il sig. ha negato di aver ricevuto denaro a qualsiasi titolo dalla sig.ra affermando che eventuali rapporti di dare-avere erano sorti esclusivamente con la sig.ra nel contesto dell’auspicata convivenza e ha poi osservato che la dazione di denaro intervenuta tra l’ex fidanzata e la madre si era sostanziata in una donazione (pp. 2-3 comparsa di costituzione e risposta). Rapportando tali affermazioni alle circostanze asseritamente non contestate, così come ricapitolate dall’appellante a p. 10 dell’atto di citazione in appello, la n. 1 (ripetuti contatti telefonici con il figlio della non è effettivamente contestata; le nn. 2, 3 e 4 (dichiarazione del sig. al sig. della consapevolezza di un proprio debito verso la sig.ra affermazione di un pagamento «appena possibile»; affermazione dell’origine di tale debito da un «prestito») sono incompatibili con quanto affermato dall’appellato circa la sola esistenza di rapporti obbligatori con la sig.ra la n. 5 (aver versato solo una minima somma di quanto da lui dovuto) non è effettivamente contestata. Passando ad affrontare il merito della controversia, pare opportuno svolgere le seguenti considerazioni. In tema di azione di restituzione del denaro mutuato, in caso di contestazioni del preteso accipiens, al mutuante spetta l’onere di provare sia la dazione del denaro al soggetto nei cui confronti agisce, sia il titolo di tale dazione (mutuo) 1 . Nel caso di specie, il sig. ha contestato la pretesa restitutoria della sig.ra eccependo la propria carenza di legittimazione passiva (affermando cioè di non aver mai ricevuto nulla dall’appellante e tanto meno a titolo di mutuo), sostenendo che gli unici rapporti debito-credito esistiti erano semmai intercorsi con l’ex fidanzata e affermando che il denaro asseritamente dato a mutuo era stato in realtà donato dalla madre alla figlia. 1 Cass. civ., ord. 30944/2018; Cass. civ. 9541/2010: «La “datio” di una somma di danaro non vale – di per sé – a fondare la richiesta di restituzione, allorquando, ammessane la ricezione, l'”accipiens” non confermi il titolo posto “ex adverso” alla base della pretesa di restituzione e, anzi, ne contesti la legittimità, posto che, potendo una somma di danaro essere consegnata per varie cause, la contestazione, ad opera dell'”accipiens”, della sussistenza di un’obbligazione restitutoria impone all’attore in restituzione di dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, onere questo che si estende alla prova di un titolo giuridico implicante l’obbligo della restituzione, mentre la deduzione di un diverso titolo, ad opera del convenuto, non configurandosi come eccezione in senso sostanziale, non vale ad invertire l’onere della prova. Ne consegue che l’attore che chieda la restituzione di somme date a mutuo è tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, pertanto, non solo l’avvenuta consegna della somma, ma anche il titolo da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione». Cass. civ. 24328/2017: «L’attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo è tenuto, ex art. 2697, comma 1, c.c., a provare gli elementi costitutivi della domanda e, quindi, non solo la consegna, ma anche il titolo da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione; ed infatti l’esistenza di un contratto di mutuo non può desumersi dalla mera consegna di assegni bancari o somme di denaro (che, ben potendo avvenire per svariate ragioni, non vale, di per sé, a fondare una richiesta di restituzione allorquando l'”accipiens” – ammessa la ricezione – non confermi, altresì, il titolo posto dalla controparte a fondamento della propria pretesa, ma ne contesti, anzi, la legittimità), essendo l’attore tenuto a dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, senza che la contestazione del convenuto (il quale, pur riconoscendo di aver ricevuto la somma, ne deduca una diversa ragione) possa tramutarsi in eccezione in senso sostanziale e, come tale, determinare l’inversione dell’onere della prova»; cfr. anche Cass. civ. 17050/2014. Al contrario, la Corte ritiene che in causa risulti sufficientemente provata la dazione di una somma a titolo di mutuo da parte della sig.ra anche al sig. con conseguente fondatezza – nei limiti di cui si darà ragione – della pretesa restitutoria avanzata dalla mutuante verso uno dei due condebitori solidali. L’appellante ha innanzitutto prodotto l’estratto del proprio libretto di risparmio postale, da cui risulta un prelievo di € 13.000,00 in data 21.12.2010. Tale operazione è avvenuta per una somma del tutto compatibile con l’affermata dazione di € 7.060,00 e in un periodo perfettamente coerente con la cronologia dei fatti esposta dall’appellante e non contestata dall’appellato. Né al riguardo giova obiettare, come fa la sentenza impugnata, che il ritiro di denaro è avvenuto per una somma diversa da quella oggetto della pretesa restitutoria, rilevando piuttosto che il prelievo sia avvenuto per una somma almeno pari a quella domandata, come in effetti è successo. In secondo luogo, dalla lettura dello scambio di mail intercorso tra la sig.ra e il sig. tra il 23 e il 25.2.2011 si desume un debito di € 7.000,00 del che non è mai contestato nell’an (il ne propone anzi una riduzione a € 5.000,00) e corrisponde alla somma (in tesi) prestata dalla madre ai due ex fidanzati. In particolare, nella mail del 23.2.2011, ore 7:59, la sig.ra scrive: «cucina € 5.000, da saldare € 1.000. I 5.000 € me li dai con calma ma i 1.000 li paghi tu. Sala e armadio € 2.000, da saldare € 1.000. I 2.000 me li dai con calma […]»; nella mail del 23.2.2011, ore 9:18, il risponde: «tra sala e cucina ti posso dare come totale 5.000€ e non € 7.000» e nella mail delle 9:51 ribadisce: « dei 7.000€ che tu hai anticipato te ne posso dare 5.000 e con pagamento da gennaio 2012…questo è chiaro?». Il Tribunale di Varese ha ritenuto che tale scambio di mail desse prova soltanto di un debito del verso la A parere della Corte, tuttavia, questa lettura non dà ragione del contenuto della mail del 25.2.2011, ove la scrive che «i miei ci hanno rimesso fin troppo in questa storia, il minimo che puoi fare è pagare per quello che ci hanno rimesso […]» e il risponde che «altrimenti sono costretto a non venirti incontro a te e i tuoi», così manifestando consapevolezza della propria posizione debitoria non tanto verso l’ex fidanzata, quanto verso la sig.ra Inoltre, un rilievo preminente deve essere conferito alla produzione degli estratti del conto corrente della sig.ra da cui risultano 4 pagamenti dal sig. in favore di “ per € 50,00 ciascuno e contabilizzati in data 14.2.2014, 20.3.2014, 16.4.2014 e 16.5.2014, con causale “primo acconto”; “cucina”; “rata cucina” e ancora “cucina”. Ebbene, tali versamenti costituiscono un inizio di adempimento dell’obbligazione restitutoria e confermano la natura di mutuo della dazione di danaro; il fatto, poi, che beneficiaria di tali pagamenti sia stata la sig.ra e non la sig.ra dimostra che il prestito era stato fatto anche in favore del sig. non spiegandosi altrimenti un pagamento da questo alla madre dell’ex fidanzata. E certo non si può ragionevolmente sostenere, alla luce del pagamento alla madre, che tali versamenti costituirebbero «modalità di versamento rateale dell’importo di € 5.000,00 concordate con l’ex fidanzata» (cfr p. 3 replica per l’appellato). Quanto al ruolo della sig.ra questo si può ricostruire facendo uso delle categorie della rappresentanza o del nuncius, ossia di un soggetto che riferisce la volontà del creditore, che l’ha all’uopo incaricato di richiedere l’intera somma a uno dei debitori, il sig. tale interpretazione pare anche più verosimile se si considera come, più tardi, lo stesso ruolo sia stato ricoperto dal fratello della Con riferimento ai citati pagamenti, la sentenza di prime cure ne ha affermato l’irrilevanza ai fini probatori, in quanto effettuati in favore di soggetto asseritamente diverso (tale “ e a eccessiva distanza rispetto alla consegna del denaro e allo scambio epistolare tra i due ex fidanzati. Tali rilievi vanno disattesi, in quanto è senz’altro la sig.ra come desumibile dalla circostanza che i pagamenti sono stati contabilizzati sul conto a lei intestato e dal fatto che 2 Nè vale osservare, in un tale contesto, che la locuzione “venire incontro” alluderebbe alla volontà di effettuare una liberalità a vantaggio dell’ex fidanzata, sembrando quantomeno bizzarro, per tacer d’altro, che una liberalità venga effettuata chiedendo la concessione di un pagamento a rate. 3 Cfr testimonianza del mail del 25.2.2011, ore 8:48, dove si paventa un intervento del sig. e l’affermazione – non contestata – circa il fatto che quest’ultimo aveva effettuato varie telefonate al è il cognome del marito (lo stesso, infatti, dei figli e inoltre, la riconducibilità di tali versamenti al contratto di mutuo con la sig.ra è dimostrata dalla causale dei bonifici, limitata alla “cucina” perché il debito era stato rinegoziato in € 5.000,00, ossia il prezzo della cucina (senza tralasciare il fatto che ben poteva il sig. voler iniziare a estinguere la parte di debito relativa al finanziamento dei mobili della cucina). Quanto alla distanza temporale, la stessa si spiega per il perdurante rifiuto opposto dal sig. alle richieste prima avanzate per tramite della sig.ra e poi del sig. Il conto corrente su cui sono stati accreditati i bonifici è dunque indiscutibilmente di titolarità della sig.ra il che rende quasi superfluo l’esame del doc. 7 di parte appellante (estratto per riassunto dell’atto di nascita) da cui emerge che ‘ ’ è il secondo nome dell’appellante. D’altro canto, tale produzione deve ritenersi comunque ammissibile in quanto la sua necessità è sorta a seguito del fatto che soltanto il primo giudice e soltanto nella sentenza impugnata tale questione risulta sollevata. Venendo da ultimo alle deposizioni testimoniali, le stesse non possono che rivestire un ruolo subordinato, in quanto trattasi di deposizioni de relato rese da soggetti legati con le parti in causa da vincoli familiari; tuttavia, la deposizione ex parte non è totalmente priva di rilevanza, in quanto può contribuire a fondare il convincimento del giudice se suffragata da ulteriori risultanze probatorie, quali quelle esposte nelle pagine precedenti, che concorrano a confermarne la credibilità4 . Ciò precisato, (figlio dell’appellante e fratello della sig.ra ha affermato di aver sentito dalla madre e dalla sorella che la prima aveva prestato € 7.060,00 alla e al e ha affermato di essere stato incaricato, dopo la sorella, di relazionarsi con il (nuora dell’appellante) ha confermato il racconto, quantificando tale somma in almeno € 5.000,00, ossia la cifra, inferiore al debito iniziale, per cui la sig.ra e il sig. si erano accordati. Quanto alla deposizione della sig.ra 4 Cass. civ. 792/2020; Cass. civ. 18352/2013; Cass. civ. 2815/2006; Cass. civ. 4306/2001; 2325/1999; Cass. civ. 325/1990. (sorella dell’appellato) circa il fatto che il fratello le aveva riferito che la somma, da lei non quantificata, era stata consegnata solo alla sig.ra e, per di più, senza previsione di una sua restituzione «in quanto erano un contributo per la convivenza» 5 , tale affermazione è in contrasto con tutto quanto affermato in precedenza, specie con riguardo ai bonifici effettuati dal e allo scambio di mail (la scrive che «i miei ci hanno rimesso fin troppo in questa storia, il minimo che puoi fare è pagare per quello che ci hanno rimesso […]» e il risponde che «altrimenti sono costretto a non venirti incontro a te e i tuoi», senza contestare il ruolo creditorio dei genitori, né il proprio debito). Pertanto, un’attenta considerazione dell’operazione di prelievo dal libretto postale di € 13.000,00, del contenuto delle mail scambiate, dei bonifici e delle testimonianze porta a far ritenere sufficientemente provata la dazione di denaro a titolo di mutuo da parte della sig.ra anche al sig. non spiegandosi altrimenti un suo debito di tale ammontare in relazione alle spese dell’appartamento, la sua non contestazione del debito e l’inizio dell’esecuzione dell’obbligazione restitutoria proprio alla madre dell’ex fidanzata. Venendo al quantum della pretesa azionata dall’appellante, non pare fondata la richiesta della restituzione della intera somma di € 6.860,00. Infatti, dallo scambio di mail risulta che il si era detto disponibile a pagare soli € 5.000,00 e dalle testimonianze risulta che la sig.ra aveva effettivamente ridotto la propria pretesa restitutoria a € 5.000,00. In particolare, nella mail inviata dal il 23.2.2011 si legge che «tra sala e cucina ti posso dare come totale 5.000€ e non € 7.000», che «dei 7.000€ che tu hai anticipato te ne posso dare 5.000 e con pagamento da gennaio 2012… questo è chiaro?» e che, quanto al carattere impegnativo di tale offerta, «la mia parola vale più di ogni firma […] il mio impegno finisce qui [con la richiesta di poter pagare solo € 5.000,00, n.d.r]». Quanto alla rinuncia della madre ad 5 «mia mamma e mia sorella mi hanno raccontato che è stata prestata la somma di 7.060,00 euro da mia mamma a mia sorella e a per comprare la cucina». «So che [ avrebbe restituito circa 5.000 euro, poco per volta perché era in difficoltà economica. Mia suocera era d’accordo, gli era andata incontro perché capiva la difficoltà». «mio fratello mi ha raccontato che ha consegnato del denaro alla figlia per l’appartamento». azionare per intero il proprio credito, il sig. ha affermato che « si era impegnato a restituire la cifra concordata tra e mia sorella, ovvero di euro 5.000,00 […] e mia mamma era d’accordo» e la sig.ra ha dichiarato che: «so che avrebbe restituito circa 5.000,00 euro […] mia suocera era d’accordo, gli era andata incontro perché capiva la difficoltà». Ne deriva che la domanda di condanna del sig. alla restituzione del denaro mutuato deve essere accolta nei limiti di € 4.800,00, essendo provato che la sig.ra aveva accettato di limitare l’escussione del sig. a € 5.000,00 e avendo il già provveduto a pagare € 200,00. L’impegno del sig. a versare € 5.000,00, in uno con la circostanza che egli è risultato l’esclusivo beneficiario/fruitore del mobilio acquistato con il denaro mutuato, induce invece a ritenere preclusa la possibilità di procedere a un’ulteriore riduzione del quantum debeatur, sul rilievo di una possibile remissione del debito intervenuta tra la sig.ra e la figlia (art. 1301 c.c.). L’accoglimento del primo motivo di appello esime la Corte dall’esaminare il secondo, relativo alla liquidazione delle spese, che risulta dunque assorbito; ugualmente deve ritenersi assorbita la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria, senza trascurare che la stessa: a) non è stata chiesta attraverso uno specifico motivo di impugnazione e con lo svolgimento delle relative ragioni a sostegno; b) che neppure appare di una qualche utilità per il giudizio, considerata la già avvenuta escussione dei testi, la sufficienza del materiale probatorio agli atti e la distanza temporale con i fatti su cui dovrebbero essere rese le deposizioni. Venendo alle spese, le stesse vanno poste per intero a carico dell’appellato soccombente, sig. e, tenuto conto della natura e valore del giudizio, della qualità e della quantità delle questioni trattate e dunque dell’impegno difensivo richiesto e in concreto prestato, nonché dei criteri e dei parametri di legge (D.M. 55/2014 e D.M. 37/2018), pare congruo liquidarle in complessivi € 4.628 ,00 (€ 2.738 per il primo grado ed € 1.890,00 per il secondo), oltre spese generali (15%) e oneri di legge. Deve inoltre essere disposta la condanna dell’avv. , dichiaratosi antistatario nel giudizio di prime cure, alla restituzione alla sig.ra di quanto da quest’ultima versato a titolo di rifusione delle spese legali sopportate dal convenuto nel primo giudizio, oltre interessi legali dal pagamento (22.3.2019) al saldo (cfr Cass. civ., ord. 25247/2017; Cass. civ. 10827/2007; Cass. civ. 13752/2002: « […] il difensore distrattario subisce legittimamente gli effetti della sentenza di appello di condanna alla restituzione delle somme già percepite in esecuzione della sentenza di primo grado, benché non evocato personalmente in giudizio»). P Q M La Corte d’appello di Milano, disattesa o assorbita ogni contraria o ulteriore domanda, istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti sull’appello proposto da avverso la sentenza n. 88/2019 resa in data 5 febbraio 2019 dal Tribunale di Varese, così provvede: – accoglie l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, condanna il sig. al pagamento in favore dell’appellante della somma di € 4.800,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; – condanna il difensore antistatario, avv. , a restituire quanto già ricevuto dalla sig.ra a titolo di spese per il primo grado del giudizio, oltre interessi legali dal 22.3.2019 al saldo; – condanna l’appellato a rifondere alla sig.ra le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, liquidate in complessivi € 4.628,00, oltre spese generali (15%) e oneri di legge.

E’ possibile contestare gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio per la prima volta in comparsa conclusionale?

Cassazione civile, sez. VI, 29 Gennaio 2020, n. 1990. Pres. Scalisi. Est. Besso Marcheis.
Fatti di causa
1. Nel 2002 S.A. e M.A. convenivano in giudizio P.G. e R. e, premesso di avere acquistato dalle convenute una casa di civile abitazione, lamentavano che le medesime avevano “dolosamente” loro nascosto l’assenza del certificato di abitabilità dell’immobile, così inducendoli ad acquistare l’immobile a un prezzo superiore al suo valore; chiedevano perciò che le convenute fossero condannate al risarcimento del danno corrispondente alla differenza tra l’importo pagato e il reale valore del bene o al risarcimento di tutte le spese da sostenere per la realizzazione delle opere di urbanizzazione in sanatoria.
Il Tribunale di Tivoli, sezione distaccata di Palestrina, con sentenza 30 maggio 2011, n. 234, accoglieva la domanda di risarcimento del danno (danno identificato nelle “spese necessarie a far fronte agli interventi e ai costi per ottenere dal Comune l’abitabilità”) e condannava le convenute a pagare Euro 49.772,45, somma quantificata dal consulente tecnico d’ufficio nella relazione e nella sua successiva integrazione.
2. Avverso la sentenza proponevano appello P.G. e R., facendo valere – per quanto interessa nel presente giudizio – la mancata considerazione da parte del giudice, che si era limitato ad acriticamente recepire le conclusioni del consulente d’ufficio, dei rilievi formulati dalle convenute in sede di comparsa conclusionale e memoria di replica circa la quantificazione del danno operata dal consulente del giudice.
Con sentenza 17 maggio 2017, n. 3258, la Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame.
3. Contro la sentenza ricorrono per cassazione Ba.Ma., B.F. e B.M., in qualità di eredi di P.R., nonchè P.G..
Resistono con controricorso S.M.T., S.G., S.M. e S.G., quali eredi di M.A., nonchè S.A..
I ricorrenti hanno depositato una memoria ex art. 380-bis c.p.c. e un’altra memoria in prossimità della pubblica udienza.
4. La causa, inizialmente assegnata alla trattazione in camera di consiglio della sesta sezione, è stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 8713/2019.
 
Ragioni della decisione
1. Il ricorso è articolato in due motivi, tra loro strettamente connessi.
a) Il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 88,101,189 e190 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, per non avere la Corte d’appello “rilevato l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha tenuto conto delle osservazioni contenute nella comparsa conclusionale”, con cui erano state “analiticamente esposte le ragioni per cui la perizia espletata in primo grado avrebbe dovuto ritenersi inattendibile”.
b) Con il secondo motivo – che lamenta “violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, degli artt. 88,112,277,345 e 346 c.p.c., nonchè di ogni altra norma e principio in tema di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di decadenza da domande ed eccezioni; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” – i ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte d’appello, a fronte della riproposizione da parte delle sorelle P. delle critiche alla relazione del consulente d’ufficio, ha ritenuto implicitamente accettate, data la non tempestiva contestazione, le conclusioni del consulente e pertanto non riproponibili in sede di appello le critiche alle medesime.
I motivi pongono la questione della facoltà per la parte di contestare i risultati della consulenza tecnica d’ufficio per la prima volta in comparsa conclusionale e, in via subordinata, se tali contestazioni, una volta considerate tardive in primo grado, possano essere proposte in appello, sottraendosi, come la consulenza tecnica di parte, alle preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c.. Va precisato che nel caso in esame, in cui non trova applicazione ratione temporis la disciplina introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46 che ha “procedimentalizzato” la formazione della consulenza d’ufficio, nessuna contestazione è stata sollevata prima del deposito della comparsa conclusionale e questo quando, dopo il deposito di una prima relazione, è stato disposto, in udienza, un supplemento di consulenza rispetto al quale il giudice ha fissato un termine per il deposito delle eventuali osservazioni, scaduto il quale, senza che alcuna osservazione fosse stata formulata, si è avuta l’udienza di precisazione delle conclusioni in cui P.G. e R. si sono limitate a richiamare le conclusioni formulate negli atti introduttivi, per poi criticare nella comparsa conclusionale l’operato del consulente in modo radicale (in particolare lamentando la mancanza di supporto documentale delle quantificazioni operate dal consulente e di indicazione circa i criteri utilizzati e, in generale, l’approssimazione dell’operato dell’esperto, v. pp. 15-19 del ricorso), chiedendo al giudice di rimettere la causa sul ruolo per l’espletamento di una nuova consulenza.
2. La questione delle conseguenze della proposizione di rilievi critici alla consulenza tecnica d’ufficio nella comparsa conclusionale, se cioè tali rilievi debbano essere considerati inammissibili perchè tardivi ovvero ammissibili e quindi esaminati dal giudice, non trova una soluzione univoca nella giurisprudenza di questa Corte.
a) Un primo orientamento esprime un principio, definito consolidato (Cass. 4448/2014), per cui “le osservazioni critiche alla consulenza tecnica d’ufficio non possono essere formulate in comparsa conclusionale – e pertanto se ivi contenute non possono essere esaminate dal giudice perchè in tal modo esse rimarrebbero sottratte al contraddittorio e al dibattito processuale” (in tal senso, da ultimo, Cass. 7335/2013 e Cass. 20636/2013, per cui le contestazioni vanno “sollevate nella prima udienza successiva al deposito della relazione, risultando comunque tardiva la loro deduzione svolta soltanto in sede di comparsa conclusionale e non innanzi al collegio, quando è ancora possibile disporre una riconvocazione del consulente tecnico o un supplemento delle indagini peritali”; v. pure Cass. 410/2012, Cass. 19128/2006, Cass. 9517/2002, Cass. 1199/2002). Cass. 16611/2013, a sua volta, osserva che la sola funzione della comparsa conclusionale è quella “di esporre e illustrare le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le conclusioni già precisate davanti al giudice istruttore (..) e identica funzione è attribuita dall’art. 190 c.p.c.alla (eventuale) memoria di replica, pur essa dedicata alla ulteriore illustrazione delle conclusioni già proposte davanti al giudice istruttore, e alla contestazione di quelle della controparte, senza possibilità di ripristinare il contraddittorio con quest’ultima”. Cass. 3330/2016, poi, precisa che “in tema di stima del danno operata dal consulente tecnico d’ufficio, le osservazioni critiche delle parti sono tardive soltanto se formulate, esclusivamente e per la prima volta, in sede di comparsa conclusionale, e non anche quando, tempestivamente proposte avverso la relazione peritale, cui abbia fatto seguito un supplemento di consulenza, la parte, in sede di precisazione delle conclusioni, abbia concluso per l’integrale rigetto della domanda, come integrata a seguito degli accertamenti peritali, reiterando le contestazioni alla quantificazione del danno nella comparsa conclusionale, dovendosi, in tale evenienza, ritenere ammissibile l’appello avverso la decisione che abbia recepito le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e del successivo supplemento”.
Il principio è stato giustificato, oltre che con il rispetto dello svolgimento del diritto di difesa, con la “circostanza che, integrando le contestazioni a una relazione di consulenza tecnica d’ufficio eccezioni rispetto al suo contenuto, esse sono soggette al termine di preclusione di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2, cioè debbono dedursi nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso” (così Cass. 4448/2014, sopra ricordata; v. pure Cass. 19427/2017 e Cass. 29099/2017).
b) Accanto a questo orientamento ve ne è un altro, minoritario, secondo cui, invece, “con la comparsa conclusionale la parte può svolgere nuove ragioni di dissenso e contestazione, avverso le valutazioni e conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, trattandosi di nuovi argomenti su fatti già acquisiti alla causa, che non ampliano l’ambito oggettivo della controversia” (così Cass. 2809/2000, negli stessi termini v. in precedenza Cass. 1666/1977 e successivamente Cass. 14457/2006).
3. L’orientamento dominante, cui ha aderito la sentenza impugnata, è stato di recente sottoposto a revisione critica da una pronuncia ampia e argomentata della prima sezione di questa Corte (Cass., 26 luglio 2016, n. 15418), resa in un caso in cui, dopo aver depositato una consulenza tecnica di parte nel rispetto del termine fissato dal giudice per la presentazione delle osservazioni, era poi stato allegato alla comparsa conclusionale il parere di un esperto.
La pronuncia, dopo aver ricordato la presenza dei due orientamenti, ha anzitutto richiamato il principio, espresso dalle sezioni unite di questa Corte, secondo cui “una consulenza di parte deve essere considerata un mero atto difensivo, la cui produzione non può ricondursi in alcun modo al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., e la cui allegazione al procedimento deve ritenersi regolata dalle norme che disciplinano tali atti”, in quanto “la natura tecnica del documento non vale infatti ad alterarne la natura, che resta quella di atto difensivo” (Cass., sez. un., 13902/2013); da ciò discenderebbe che i rilievi critici all’operato dell’esperto del giudice non incontrano barriera preclusiva, nè in appello nè in primo grado; l’orientamento che riconduce all’alveo della nullità relativa le contestazioni che concernono l’espletamento della consulenza d’ufficio va quindi limitato alle contestazioni del procedimento, mentre quelle che riguardano il contenuto della consulenza costituiscono mere argomentazioni difensive che la parte può per la prima volta inserire nella comparsa conclusionale; nè si avrebbe in tal modo violazione del principio del contraddittorio, in quanto la controparte ha la possibilità di rispondere alle contestazioni con la memoria di replica; ove poi le contestazioni comportino la necessità di una revisione o di un approfondimento dell’indagine del consulente, con necessità di rimettere la causa sul ruolo istruttorio, il giudice valuterà le ragioni che hanno portato la parte a proporre le osservazioni solo con la comparsa conclusionale e ne trarrà le eventuali conseguenza in sede di liquidazione delle spese di lite.
Il principio espresso dalla pronuncia non è rimasto isolato, ma è stato ripreso, in particolare, dalla sentenza della terza sezione n. 20829/2018 e richiamato da svariate pronunzie (si vedano, ad esempio, Cass. 14446/2017, Cass. 13869/2019 eCass. 2516/2019).
4. La posizione espressa dalla sentenza n. 15418/2016, se si pone in coerenza con l’orientamento delle sezioni unite sopra ricordato in tema di proponibilità in appello della consulenza tecnica di parte, presenta profili problematici:
– anzitutto circa la compatibilità con il meccanismo disegnato nei novellati, ad opera della L. n. 69 del 2009, artt. 191 e 195 c.p.c., ove il legislatore, con l’obiettivo di rendere più celere l’espletamento del mezzo istruttorio (i cui tempi sono stati identificati come una delle cause dell’irragionevole durata del processo), ha previsto che il giudice fissi tre termini (il primo entro cui il consulente deve trasmettere la propria relazione alle parti costituite, il secondo entro cui le parti comunicano al consulente le proprie osservazioni sulla relazione, sollecitandone eventuali integrazioni o chiarimenti, il terzo entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la propria relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse), con una formazione progressiva del mezzo, che vede la collaborazione tra giudice, esperto, parti e loro consulenti; meccanismo che, sia pure imperniato su termini ordinatori, pare difficilmente compatibile con la possibilità di nulla eccepire sino alla comparsa conclusionale (tanto più che è proprio in materia probatoria che questa Corte ha più volte affermato l’impossibilità di compiere l’atto una volta decorso il termine ordinatorio fissato dal giudice per compierlo, v. per l’assunzione delegata della prova Cass. 4448/2013);
– vi è poi la sottrazione del mezzo istruttorio della consulenza d’ufficio, per quanto concerne il merito, a qualsiasi preclusione, quando al contrario i vizi procedimentali sono assoggettati al rigoroso termine di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2 (così il vizio del contraddittorio deve essere eccepito a pena di sanatoria nella prima istanza o difesa successiva, mentre pensiamo al caso in esame – la mancata allegazione di un sufficiente numero di preventivi può essere fatta valere con la comparsa conclusionale), senza contare che la stessa distinzione, su cui è imperniata la sentenza n. 15418/2016, tra contestazione che attiene al procedimento e contestazione relativa al contenuto, non è sempre evidente, essendoci vizi del procedimento che si ripercuotono sul contenuto della consulenza (si pensi all’ipotesi dell’indagine tecnica che si estenda oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente, vizio del procedimento che si riflette sul contenuto della relazione tecnica).
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, ed essendo il panorama delle posizioni mutato rispetto all’ordinanza interlocutoria n. 14769/2012, che aveva precedentemente chiesto la pronuncia di cui all’art. 374 c.p.c., comma 2 il Collegio ritiene opportuno rimettere all’attenzione delle sezioni unite i seguenti profili:
– se le critiche alla consulenza tecnica possano essere sollevate per la prima volta in comparsa conclusionale;
– in caso di risposta positiva, se l’ammissibilità dei rilievi sia subordinata a una valutazione caso per caso del giudice, se la soluzione valga solo per i processi per cui non trovano applicazione i riformati artt. 191 e 195 c.p.c. ovvero anche per i procedimenti instaurati dopo l’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, se vi siano conseguenze per la parte, sotto il profilo dell’attribuzione delle spese del giudizio o sotto altri profili;
– in caso di risposta negativa, se ciò vada ricondotto all’applicazione del disposto di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2 alla generalità dei vizi attinenti la consulenza tecnica, quale categoria comprensiva anche dei vizi che attengono al contenuto dell’atto, ovvero quale conseguenza della mancata partecipazione della parte alla formazione della consulenza, così come stabilito dal giudice con la fissazione dei termini di cui all’art. 195 c.p.c., e, in quest’ultimo caso, se ciò valga solo per i procedimenti cui si applicano i riformati artt. 191 o 195 c.p.c. ovvero anche per i processi ove (come nel caso in esame) il giudice abbia fissato, sulla base dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c., un termine per il deposito di osservazioni; infine, se l’inammissibilità in primo grado comporti o meno l’inammissibilità nel giudizio di appello della (ri)proposizione dei rilievi formulati in comparsa conclusionale.
Trattandosi di “questione di massima di particolare importanza” ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2 sussistono pertanto, ad avviso del Collegio, le condizioni per la rimessione degli atti al Primo Presidente, affinchè valuti l’opportunità di assegnare la trattazione e la decisione del ricorso alle sezioni unite.
 
P.Q.M.
La Corte dispone la trasmissione del procedimento al Primo Presidente, per l’eventuale rimessione alle sezioni unite.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della sezione seconda civile, il 4 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2020.

Emergenza COVID-19 – Art. 83, comma 7, lett. H D.L. 18/020 – Trattazione della causa mediante lo scambio ed il deposito in telematico di note scritte e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento

TRIBUNALE DI LECCE
Il Giudice Letto il ricorso inoltrato telematicamente il 17.3.2020 con cui Giuseppe ha chiesto l’anticipazione dell’udienza fissata per la trattazione del ricorso per sequestro conservativo presentato il 13.1.2020 nella causa fra lo stesso e la soc. “P & c. snc”; rilevato che per la trattazione di tale ricorso per sequestro era stata inizialmente fissata l’udienza del 17.3.2020; che, sopravvenuto il pericolo di contagio da COVID -19, in applicazione del d.l. 8.3.2020 n. 11, l’udienza del 17.3.2020 è stata rinviata al 6.10.2020; che, persistendo il pericolo di contagio da COVID 19, l’art. 83 del d.l. 17.3.2020 n. 18 ha escluso che si possa tenere udienza fino al 15.4.2020, salvo che in una serie di ipotesi tassativamente indicate nonché, “in tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti”; che nella specie non è stato allegato essersi in presenza di un procedimento “la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti” e, del resto, può ragionevolmente escludersi tale situazione di eccezionale urgenza, tenuto conto che in questo periodo – date le limitazioni esistenti alla libera circolazione delle persone – sarebbe assai problematico per la società convenuta alienare l’immobile di cui è stato chiesto il sequestro; che, pertanto, l’udienza può essere anticipata al 16 aprile 2020; e, tuttavia, tenuto conto della non particolare complessità della causa, si reputa sufficiente a consentire il pieno svolgimento del contraddittorio ed a salvaguardare il diritto di difesa delle parti, lo svolgimento dell’udienza “mediante lo scambio ed il deposito in telematico di note scritte….e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice” (ex art. 83, comma 7, lett. H D.L. 18/020); che, pertanto, le parti entro il 16 aprile procederanno allo scambio e deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni; dopodiché, la causa sarà riservata per la decisione, con termine sino al 20.4.2020 per deposito telematico di eventuali memorie illustrative e ulteriore termine sino al 22.4.2020 per brevi eventuali repliche. P.Q.M. Fissa per la trattazione del ricorso per sequestro conservativo presentato il 13.1.2020 da Giuseppe l’udienza del 16.4.2020, che si svolgerà mediante scambio e deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni; dopodiché, la causa sarà riservata per la decisione, con termine sino al 20.4.2020 per deposito telematico di eventuali memorie illustrative e ulteriore termine sino al 22.4.2020 per brevi eventuali repliche. Si comunichi. Lecce, 27.3.2020