La notifica a mezzo pec

di Valeria Zeppilli
La notifica in proprio da parte degli avvocati, già regolamentata limitatamente all’utilizzo del sistema postale dalla l. n. 53/1994, è possibile a mezzo pec grazie alla legge di stabilità2013 e al d.l. n. 90/2014.

Notifica a mezzo pec: chi può farla
Per poter procedere alla notifica di un atto giudiziario a mezzo p.e.c., l’avvocato non deve ottenere una specifica abilitazione o approvazione.
I requisiti per fare ricorso a tale facoltà sono esclusivamente il possesso di un dispositivo valido di firma digitale, una procura speciale alle liti previa o contestuale e la necessità che sia il notificante che il notificato siano in possesso di un indirizzo p.e.c. risultante dai pubblici registri.
Quali atti possono essere notificati a mezzo pec
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Gli atti che possono essere notificati a mezzo p.e.c. sono sia i documenti informatici, creati direttamente in forma elettronica o estratti dai fascicoli telematici, che le copie informatiche scansionate di atti cartacei.
In quest’ultimo caso, tuttavia, è indispensabile che gli stessi siano previamente asseverati come conformi agli originali.
Notifica a mezzo pec: la relata

La relata di notifica va generata separatamente e direttamente in via informatica e firmata digitalmente.

Essa deve indicare:

nome e cognome (o denominazione e ragione sociale) e codice fiscale dell’avvocato notificante, della parte che ha conferito la procura alle liti e del destinatario;
indirizzo p.e.c. a cui viene notificato l’atto e elenco dal quale è stato estratto;
in caso di notifica in corso di causa, nome del giudice e dell’ufficio giudiziario dinanzi al quale è pendente il giudizio.

Quando si perfeziona la notifica a mezzo pec

L’invio dei documenti a mezzo della casella p.e.c. avviene senza particolari formalità relative al messaggio di accompagnamento, se non per il fatto che esso deve necessariamente indicare come oggetto: “Notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994”.
Il perfezionamento della notifica si ha con la ricevuta di avvenuta consegna, nella quale sono riportate tutte le indicazioni ad essa relative, ma per la prova della regolarità sono necessari anche i file informatici del messaggio inviato e la ricevuta di accettazione.
Nel caso in cui sia necessario produrre in forma cartacea la prova della notifica, per ciascun documento deve essere attestata, da parte dell’avvocato in veste di pubblico ufficiale, la conformità degli atti stampati ai documenti informatici da cui sono tratti.

Facsimile relata di notifica a mezzo pec

Ecco alcuni facsimile che possono essere utilizzati per redigere la relata di notifica a mezzo pec:
Facsimile notifica di atto estratto da fascicolo informatico
Io sottoscritto Avv. _________________, iscritto all’Albo degli Avvocati dell’Ordine di _______ (c.f.: _____________________), difensore di ___________________ nato a _____________________ il _____________ e residente in _____________ via ___________ n. __ (c.f.: _____________________) in forza di procura alle liti _____________, ai sensi della legge n. 53/1994

notifico

il seguente atto _________________, relativo al procedimento presso il Tribunale di _________ (R.G.N. _____), a _____________________, residente in ____________ via ____________ n. ___ (codice fiscale: _____________________), trasmettendolo al seguente indirizzo di posta elettronica certificata estratto in data corrispondente a quella di notifica dall’Indice Nazionale degli Indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti: _____________________;

dichiaro

che la presente notifica viene effettuata con riferimento al procedimento presso il Tribunale di _________ (R.G.N. _____), promosso da _____________________ nei confronti di _____________________ ;

attesto

ai sensi e per gli effetti dell’art. 16-bis, co. 9-bis del D.L. 179/2012, che le copie informatiche dell’atto ________________, estratte dal fascicolo informatico del Tribunale di _________, R.G.N. _______, sono conformi ai corrispondenti atti contenuti nel fascicolo informatico medesimo.

Luogo, data
Avv. _____________
Facsimile notifica di atto cartaceo
Io sottoscritto Avv. _________________, iscritto all’Albo degli Avvocati dell’Ordine di _______ (c.f.: _____________________), difensore di ___________________ nato a _____________________ il _____________ e residente in _____________ via ___________ n. __ (c.f.: _____________________) in forza di procura alle liti _____________, ai sensi della legge n. 53/1994

notifico

l’allegato ____________________ , a _____________________, residente in ____________ via ____________ n. ___ (codice fiscale: _____________________), trasmettendolo al seguente indirizzo di posta elettronica certificata estratto in data corrispondente a quella di notifica dall’Indice Nazionale degli Indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti: _____________________;

dichiaro

che la presente notifica viene effettuata con riferimento al procedimento presso il Tribunale di _________ (R.G.N. _____), promosso da _____________________ nei confronti di _____________________ ;

attesto

ai sensi e per gli effetti dell’art. 16-bis, co. 9-bis del D.L. 179/2012, che l’atto ________________ che viene notificato con modalità informatiche è copia fotoriprodotta conforme all’originale dalla quale è stata estratta.

Luogo, data
Avv. _____________
Facsimile notifica di atto nativo digitale

Io sottoscritto Avv. _________________, iscritto all’Albo degli Avvocati dell’Ordine di _______ (c.f.: _____________________), difensore di ___________________ nato a _____________________ il _____________ e residente in _____________ via ___________ n. __ (c.f.: _____________________) in forza di procura alle liti _____________, ai sensi della legge n. 53/1994,

notifico

l’allegato atto_______ da me digitalmente sottoscritto a _____________________, residente in ____________ via ____________ n. ___ (codice fiscale: _____________________), trasmettendolo al seguente indirizzo di posta elettronica certificata estratto in data corrispondente a quella di notifica dall’Indice Nazionale degli Indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti: _____________________.

Luogo, data
Avv. _____________

Forma scritta dell’accordo tra avvocato e cliente sull’entità del compenso professionale ex art. 2233 c.c

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Verona Sezione III Civile Il Tribunale, in persona del Giudice Unico Massimo Vaccari ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 6355/2017 R.G. promossa da: ITALY – SOCIETA’ PER AZIONI (C.F. rappresentata e difesa dall’avv. del foro di con indirizzo di p,e.c riportato in atto di citazione;
ATTRICE-OPPONENTE
contro
(C.F. rappresentato e difeso dall’avv. ANNA del foro di Verona con indirizzo di p.e.c. riportato in comparsa di costituzione e risposta;
CONVENUTO-OPPOSTO CONCLUSIONI PARTE ATTRICE
Come da atto di citazione PARTE CONVENUTA Come da comparsa di costituzione e risposta e da memoria ex art. 183 VI comma n. 2. C.p.c. Firmato Da: VACCARI MASSIMO
MOTIVI DELLA DECISIONE
Italy S.p.A. ha proposto opposizione davanti a questo Tribunale avverso il decreto del 3 maggio 2017 con il quale il G.D. di tale ufficio giudiziario le aveva ingiunto di pagare, a favore dell’avv. a titolo di compenso per l’assistenza che questi aveva reso in favore della attrice in quindici controversie giudiziali, la somma di € 108.679,61 oltre a CPA ed IVA sull’imponibile, e spese della fase monitoria, liquidate in € 2.455,25 per compenso e rimborso forfettario, ed € 406,50 per spese, più CPA ed IVA. A sostegno della domanda di revoca, annullamento o declaratoria di inefficacia del decreto opposto, che si fonda su quindici parcelle opinate dal competente del consiglio dell’ordine, l’attrice ha dedotto i seguenti motivi: – l’importo ingiunto era di molto superiore a quello che era stato concordato tra le parti; – il parere di congruità dell’ordine era stato emesso sul presupposto che le parti non avessero concordato il compenso e che la richiesta delle somme indicate nei progetti di parcella non fosse stata contestata da essa opponente; – il decreto ingiuntivo era stato emesso, per le pratiche principali, per importi superiori rispetto a quelli liquidati dal CdO; – il decreto riguardava anche il compenso per l’assistenza in una controversia patrocinata esclusivamente da un altro avvocato e nella quale l’avv. non era in delega, potendo, tutt’al più, l’attività di raccordo con il predetta professionista da lui svolta, rientrare nell’ambito dell’autonomo incarico continuativo di consulenza legale che avevano concluso le parti; – nella quantificazione della somma ingiunta non si era tenuto conto dei danni che il convenuto aveva arrecato all’attrice abbandonando la sua difensa in alcune cause prima che essa avesse proceduto a sostituirlo; – l’attività svolta, contrariamente a quanto esposto nelle richieste di opinamento, non era stata di straordinaria importanza perchè era consistita per lo più in opposizioni a decreto ingiuntivo in relazione a forniture di materiali mancanti o difettosi. Il convenuto si è costituito in giudizio contestando la fondatezza sia di fatto che di diritto degli assunti avversari con diffuse deduzioni in punto. Ciò detto con riguardo agli assunti delle parti la domanda attorea è manifestamente infondata e va pertanto rigettata. I primi due motivi di opposizione si fondano sull’assunto, contestato dal convenuto, secondo cui dalla lettera dell’11.02.2015 inviata da questi alla attrice, a mezzo raccomandata a.r., e prodotta nella fase monitoria (doc. 17), si evincerebbe l’esistenza di un accordo tra le parti sulla quantificazione del compenso spettante al convenuto per le attività di assistenza giudiziale per cui è causa. Orbene, tale argomento, che era stato inizialmente condiviso da questo giudice che, in virtù della adesione ad esso, aveva accolto solo parzialmente l’istanza di concessione della p.e. del decreto opposto, melius re perpensa va disatteso. Al fine di valutare tale profilo infatti occorre tener presente il disposto dell’art. 2233, ultimo comma, c.c. che richiede il requisito della forma scritta ad susbtantiam per l’accordo tra avvocato e cliente sull’entità del compenso professionale e che nel caso di specie non risulta che le parti abbiano concluso un accordo in tale forma. Infatti nella predetta missiva l’opposto aveva riepilogato tutte le cause che, fino a quel momento, aveva seguito per conto dell’attrice e quantificato i compensi che gli erano dovuti per tali attività e, per un elenco di incarichi identificato con la lettera C, aveva precisato che si trattava di posizioni relative a contenziosi per le quali alla data del 4 dicembre 2013, giorno in cui si era tenuto un incontro presso il suo studio, erano “stati concordati i relativi importi dovuti”. Anche a voler attribuire a tale dichiarazione valenza di confessione stragiudiziale del convenuto essa non sarebbe idonea ad integrare il predetto requisito formale atteso che, secondo il consolidato orientamento della Cassazione: “Quando, per l’esistenza di un determinato contratto, la legge richieda, a pena di nullità, la forma scritta, alla mancata produzione in giudizio del relativo documento non può supplire il deposito di una scrittura contenente la confessione della controparte in ordine alla pregressa stipulazione del contratto “de quo”, nemmeno se da essa risulti che quella stipulazione fu fatta per iscritto” (ex plurimis Cass. sez. II, 21/02/2017, n.4431). Tale principio peraltro non è esattamente attinente al caso di specie atteso che la dichiarazione in esame fa riferimento alla conclusione di un accordo orale e non scritto sul compenso. D’altro canto l’attrice non ha nemmeno dimostrato di aver riscontrato per iscritto la predetta missiva, prima che l’avv. rinunciasse al mandato, cosicchè va esclusa anche l’ipotesi che l’accordo si fosse concluso con le modalità di cui all’art. 1326 c.c. A tali considerazioni consegue che, in difetto di un valido accordo, i compensi spettanti al convenuto vanno determinati sulla base della tariffa o dei parametri vigenti al momento della conclusione dei singoli incarichi. Quanto al rilievo circa la non corrispondenza tra gli importi liquidati dal CdO e gli importi ingiunti esso è fuorviante e pretestuoso poiché, come ha esaurientemente chiarito il convenuto (pagg. 15 e 16 della comparsa), i primi, come è prassi per le istanza di opinamento, erano tutti al netto di rimborso forfetario, spese e accessori non comprendevano, per alcune attività, esauritesi nella vigenza del d.m. 127/2004, i diritti. Anche la contestazione di non spettanza del compenso per l’assistenza prestata dall’avv. nella causa patrocinata da altro legale nei confronti del Ministero della Repubblica Slovacca va disattesa atteso che è pacifico, oltre che documentalmente provato, che tali prestazioni sono state rese ed esse erano funzionali ad assicurare il raccordo tra la cliente e quel professionista straniero. Quanto poi all’eccezione di inadempimento svolta dall’attrice in relazione a due incarichi, relativi alla assistenza in due distinti giudizi di appello, essa è stata drasticamente smentita dal convenuto che ha prodotto ampia documentazione comprovante, nell’ordine, che: – egli aveva preavvertito con congruo anticipo il cliente della sua decisione di rinunciare ai mandati conferitigli a causa del mancato pagamento delle sue competenze (cfr. lettera prodotta sub 18 nella fase monitoria) e già tale risultanza è sufficiente ad evidenziare la pretestuosità della eccezione; – aveva consegnato all’attrice i fascicoli di studio – aveva permesso al difensore subentrante di costituirsi nei due giudizi e di partecipare alle udienze di precisazioni delle conclusioni assicurando così continuità nella assistenza difensiva. Generico e non pertinente risulta infine il rilievo di eccessività della somme richieste rispetto all’attività svolta, che, a ben vedere, non è stata contestata dall’attrice e che comunque stata ampiamente comprovata dalla produzione di copiosa documentazione, costituita dai fascicoli di studio contenenti gli atti redatti in adempimento degli incarichi e la corrispondenza e-mail e postale riferita alle singole vertenze (doc. da 30 a 44 di parte opposta). Da tali risultanze si evince che, contrariamente a quanto sostenuto dall’opponente, l’avv. ha svolto attività davanti ad organi giurisdizionali nazionali civili, penali ed amministrativi, ed anche in gradi di giudizio diversi, nonché davanti ad autorità giudiziarie straniere e per l’adempimento di questi ultimi incarichi ha dovuto esaminare gli atti e documenti avversari, anche in lingua straniera, e le relative traduzioni, impartire istruzioni a domiciliatari stranieri e conferire con loro per telefono. Gli importi liquidati dall’ordine risultano quindi adeguati a tale tipologia di attività e congrui. Venendo alla regolamentazione delle spese di lite esse vanno poste a carico dell’attrice in applicazione del principio della soccombenza. Alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede come in dispositivo sulla base dei valori medi di liquidazione previsti dal d.m. 55/2014 per le quattro fasi in cui si è articolato il giudizio. La somma così risultante di euro 13.430,00 va aumentata del 30 %, ai sensi dell’art. 4, comma 8, d.m. 55/2014, data manifesta infondatezza delle difese di parte attrice e la speculare manifesta fondatezza di quelle del convenuto. Sull’importo riconosciuto a titolo di compenso al convenuto spetta anche il rimborso delle spese generali nella misura massima consentita del 15 % della somma sopra indicata. P.Q.M. Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, rigetta la domande dell’attrice e per l’effetto la condanna a rifondere al convenuto le spese del presente giudizio che liquida nella somma di euro 17.906,00 oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % del compenso, Iva, se dovuta, e Cpa. Verona 5/12/2019

La CTU o la perizia resa in altri giudizi fra le stesse od altre parti è una prova atipica

Tribunale Reggio Emilia, 06 Febbraio 2020. Est. Morlini.

Fatto
La presente controversia trae origine dal decesso del signor Giuseppe Sa., avvenuto il 1/3/2014.
La moglie Bo. ed i figli A. ed E. Sa., hanno dedotto che tale decesso è ascrivibile a colpa medica derivante dalla mancata corretta prestazione delle cure e dalla mancata corretta gestione delle complicanze relative alla fase post operatoria di un intervento cardiochirurgico di inserzione di un tubo protesico nell’aorta, effettuato 15 mesi prima, il 3/12/2012, presso la casa di cura Z. dal dottor B. ed in relazione al quale il paziente era stato successivamente visitato dal dottor S..
Sulla base di tale narrativa, i tre attori hanno convenuto in giudizio la casa di cura ed i due medici, per ottenerne la solidale condanna al risarcimento del danno non patrimoniale subìto, iure proprio per la perdita parentale ed iure hereditario per le sofferenze patite dal de cuius, anche a titolo di perdita di chance.
Costituendosi in giudizio, hanno resistito tutti e tre i convenuti, deducendo l’assenza di una propria responsabilità nella causazione dell’evento morte e comunque contestando il quantum delle somme richieste.
I due medici hanno poi richiesto ed ottenuto la chiamata in giudizio delle loro assicurazioni, e cioè ZZ. per il dottor A. e H. per il dottor C., le quali si sono ritualmente costituite contestando sia la responsabilità dei propri assicurati, sia l’operatività della polizza.
La causa è stata ritenuta dal giudice inizialmente procedente matura per la decisione senza bisogno di disporre CTU, essendo stata prodotta la perizia medico-legale disposta dal P.M. nel corso del procedimento penale instaurato nei confronti dei medici per omicidio colposo ed il decreto di archiviazione del GIP emesso su conforme richiesta del P.M.
Rigettata una istanza di revoca ex art. 177 c.p.c. dell’ordinanza che aveva disatteso la richiesta di CTU e fissata udienza di precisazione delle conclusioni, il fascicolo è per la prima volta pervenuto a questo Giudice, nominato nuovo istruttore in data 7/10/2019, all’udienza del 19/12/2019, ed alla successiva udienza del 6/2/2020 è stato deciso, previa concessione dei termini per finali, con la presente sentenza contestuale ex art. 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti e depositata telematicamente.

Diritto
a) Risulta per tabulas che il signor Sa., affetto da aneurisma sacciforme dell’aorta ascendente con severa stenosi coronarica monovasale, in un quadro di notevole rischio cardiovascolare per ipertensione arteriosa, dislipidemia, diabete mellito e pregressa abitudine tabagica, il 3/12/2012 è stato sottoposto ad un complesso ed articolato intervento chirurgico programmato, cd. a cuore aperto, di inserzione di tubo protesico nell’aorta discendente ed arco aortico ed aorta ascendente, con reimpianto di tronchi sovra aortici in arresto di circolo e rivascolarizzazione coronarica discendente anteriore mediana.
Ciò detto, ad avviso degli attori, il decesso del loro congiunto avvenuto quindici mesi dopo, dipende da una non adeguatamente fronteggiata infezione peripotesica che si associò alla fistola aorto-esofagea generatasi dopo l’intervento.
b) Ciò premesso, ritiene il giudice che la causa possa essere decisa sulla base della perizia collegiale disposta dal P.M. nell’ambito del procedimento penale promosso nei confronti dei medici ed affidata al professor T., cardiochirurgo, ed al medico legale P..
Trattasi, in tutta evidenza, di prova atipica che ben può essere posta a fondamento della presente decisione.
Si possono infatti definire prove atipiche quelle che non si trovano ricomprese nel catalogo dei mezzi di prova specificamente regolati dalla legge.
Va in proposito osservato che nell’ordinamento civilistico manca una norma generale, quale quella prevista dall’art. 189 c.p.p. nel processo penale, che legittima espressamente l’ammissibilità delle prove non disciplinate dalla legge. Tuttavia, l’assenza di una norma di chiusura nel senso dell’indicazione del numerus clausus delle prove, l’oggettiva estensibilità contenutistica del concetto di produzione documentale, l’affermazione del diritto alla prova ed il correlativo principio del libero convincimento del Giudice, inducono le ormai da anni consolidate ed unanimi dottrina e giurisprudenza (tra le tante: Cass. n. 10825/2016, Cass. n. 840/2015, Cass. n. 12577/2014, Cass. n. 9099/2012, Cass. n. 5440/2010, Cass. n. 5965/2004, Cass. n. 4666/2003, Cass. n. 1954/2003, Cass. n. 12763/2000, Cass. n. 1223/1990), ad escludere che l’elencazione delle prove nel processo civile sia tassativa, ed a ritenere quindi ammissibili le prove atipiche, le quali trovano ingresso nel processo civile, nel rispetto del contraddittorio, con lo strumento della produzione documentale e nel rispetto delle preclusioni istruttorie (cfr. Cass. n. 5440/2010, Cass. n. 7518/2001, Cass. n. 12422/2000, Cass. n. 2616/1995, Cass. n. 623/1995, Cass. n. 12091/1990, Cass. n. 5792/1990).
Detto quindi che non si dubita dell’ammissibilità delle prove atipiche e della loro parificazione alle prove documentali per l’ingresso nel processo, l’efficacia probatoria di tali prove è stata comunemente indicata come relativa a presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. od argomenti di prova (Cass. n. 4667/1998, Cass. n. 1670/1998, Cass. n. 624/1998, Cass. n. 4925/1987, Cass. n. 4767/1984, Cass. n. 3322/1983).
Non è facile ricondurre concettualmente ad unità tali prove, poiché alcune di esse si caratterizzano per il fatto che l’atipicità dipende dalla circostanza che la prova, pur se astrattamente tipica, è stata raccolta in una sede diversa da quella ove viene adoperata (si pensi alla testimonianza resa in un processo penale ed utilizzata in un processo civile); altre sono connotate dall’utilizzo di mezzi probatori tipici con una finalità diversa da quella che tradizionalmente è loro riservata (si pensi ai chiarimenti resi dalle parti al CTU ed alle informazioni da lui assunte presso i terzi); in altre ancora, l’atipicità dipende dalla stessa fonte probatoria, e cioè dalla modalità con cui la prova viene acquisita al giudizio (si pensi alle dichiarazioni scritte provenienti da persone che potrebbero essere assunte come testi, od alle valutazioni tecniche delle perizie stragiudiziali che potrebbero essere effettuate in sede di CTU).
Nell’alveo delle prove atipiche, sicuramente rientrano anche le perizie e le consulenze espletate in un diverso giudizio tra le stesse od altre parti (Cass. n. 15714/2010, Cass. n. 2904/2009, Cass. n. 28855/2008, Cass. n. 12422/2000, Cass. n. 8585/1999, Cass. n. 16069/2001), e quindi anche la perizia disposta dal P.M., tanto più in un contesto come quello di causa nel quale i due periti sono un docente universitario grande esperto della materia ed un medico legale particolarmente apprezzato nel locale ambiente forense e spesso nominato CTU nelle controversie civilistiche.
c) Tutto ciò premesso, hanno spiegato i periti del P.M., con motivazione convincente e pienamente condivisibile, che ha adeguatamente replicato ai rilievi delle parti civili, dalla quale il Giudicante non ha motivo di discostarsi in quanto frutto di un iter logico ineccepibile e privo di vizi, condotto in modo accurato ed in continua aderenza ai documenti agli atti ed allo stato di fatto analizzato, che nel caso che qui occupa non vi è alcuna colpa medica.
Infatti, ribadita la particolare ed oggettiva difficoltà tecnica dell’intervento chirurgico, riconosciuta peraltro anche dai consulenti di parte in quanto relativa ad operazione che ha una “significativa percentuale di morbilità/mortalità” (cfr. pag. 23 perizia), nulla si può eccepire, ed invero nulla è stato eccepito, “in merito all’indicazione dell’intervento chirurgico ed alla tecnica operatoria adottata” (pag. 23).
Quanto alle complicanze verificatesi sin dall’immediato post-operatorio in un quadro di sofferenza ischemica cerebrale, trattasi di “complicanze emboliche ampiamente previste in tale tipologia di chirurgia”, per le quali “alcun addebito può essere mosso nei confronti dei chirurghi intervenuti”; e la complicanza neurologica è poi stata “immediatamente rilevata e trattata sin da subito con idonea terapia farmacologica ed altrettanto idonea fisiokinesiterapia” (pag. 23).
Le doglianze dai consulenti degli attori riguardano la gestione di una complicanza legata alla comparsa di una fistola aorto-esofagea generatasi dopo l’intervento, provocata dal decubito della protesi endo-aortica dell’aorta toracica cui era associata un’infezione protesica.
Ciò posto, deve replicarsi che “coerentemente con quanto previsto delle principali linee guida, il paziente è stato sottoposto a profilassi antibiotica” (pag. 24): tale “profilassi antibiotica risultava, nel caso di specie, assolutamente indicata, così come corretta deve intendersi la scelta dell’antibiotico utilizzato”; e “neppure censurabile” è “la somministrazione nel post operatorio di terapia analgesica ed antinfiammatoria, entrambe del tutto adeguate per il trattamento del caso” (pag. 25).
In realtà, diversamente da quanto opinato dai consulenti di parte, né la situazione fattuale all’epoca, né gli elementi successivamente acquisiti “depongono oggi come allora per un’infezione in corso”, ciò che rendeva non necessari “ulteriori approfondimenti rispetto a quelli posti in essere”, e “meno che meno” rendeva necessario “procedere ad un reintervento chirurgico”: infatti, “se effettivamente si fosse impiantata un’infezione nella sede dell’intervento ovvero ci fosse stata un effettiva deiscenza nei punti di sutura, il quadro clinico, biomorale e strumentale, presentato dal paziente, sarebbe dovuto essere ben diverso” (pag. 26).
Concludono quindi i periti del P.M. che la complicanza che ha portato al nuovo ricovero del paziente ed al successivo decesso, deve essere individuata “in una fistola aorto-esofagea sviluppatasi, del tutto verosimilmente, nel corso di un lungo lasso di tempo come lesione da decubito della protesi impiantata, senza che si possa rilevare alcuna criticità in capo agli specialisti che ebbero a predicare l’intervento cardiochirurgico del 3/12/2012.
Tale complicanza, da considerarsi come silente in base alla documentazione esaminata, si è manifestata drammaticamente nel febbraio 2014 con ematemesi, febbre e importante dolore dorsale.
Una volta individuata la patologia sottesa a tale sintomatologia, la antibiotico terapia ad ampio spettro iniziata alla cieca su consulenza infettivologica appare appropriata ed efficace sui germi successivamente isolati. L’agente patogeno in causa per la sepsi è, più verosimilmente, lo streptococco anginosus.
La complicanza fistoloso aorto-esofagea non era comunque suscettibile di guarigione con la antibiotico terapia, ed anche il tentativo di un approccio chirurgico sarebbe stato ad altissimo rischio di morte o di ulteriori complicanze morbose che avrebbero fortemente condizionato il decorso post-operatorio.
La successiva triplice terapia del 26/2/2014… appare giustificata ed efficace rispetto ai potenziali germi in causa ed allo stato di sepsi in un paziente così critico ed esposto ad ulteriori infezioni acquisibili in ospedali da germi multiresistenti.
La prognosi severissima della complicanza fistoloso appare comunque indipendente dal trattamento antibiotico praticato” (pag. 25-26).
Per tali motivi, deve ritenersi che non possano rilevarsi criticità “a carico dei sanitari che, a diverso titolo, si sono occupati del paziente sia per quanto attiene l’intervento chirurgico praticato il 3/12/2012, sia per la monitorizzazione dello stesso nel corso del lungo intervallo di tempo intercorso tra intervento e giorno del decesso dell’uomo il 1/3/2014” (pag. 30).
Tali conclusioni sono state fatte proprie, su conforme richiesta del PM, anche dal GIP del Tribunale di Reggio Emilia, che con decreto 1/6/2018 ha archiviato il procedimento penale, sul presupposto che “la malattia che ha portato alla morte del paziente costituisce una delle più grave complicanze (fistola aorto-esofagea come lesione da decubito della protesi impiantata) che possono insorgere a seguito dell’intervento praticato”.
Tale complicanza, “silente fino ad una settimana prima del decesso”, è stata correttamente trattata con cura antibiotica.
Una diversa e più mirata cura, così come pure un ulteriore intervento chirurgico, “non sarebbero stati idonei e neppure consigliati, visto l’elevatissimo rischio di morte o di ulteriori complicanze morbose, ad impedire l’infausto evento poi verificatosi”: ciò rende “indimostrabile un nesso eziologico tra le condotte ipotizzabili come doverose e l’evento”, e quindi esclude il nesso causale tra la condotta dei medici e la morte del paziente, posto che “qualunque fosse stata la scelta terapeutica intrapresa, l’evento morte non si sarebbe comunque potuto impedire, vista la situazione di estrema gravità e criticità in cui versava il paziente, dovuta anche al fatto che nel corso dei mesi successivi all’intervento tale complicanza è sempre rimasta silente”.
d) Né può essere accolta la richiesta di parte attrice di una rimessione in istruttoria della causa per potere verificare, tramite CTU, se il decesso è avvenuto per una infezione da microbatterio chimera, essendo il signor Sa. sottoposto al medesimo macchinario che, secondo notizie giornalistiche, ha cagionato il decesso di due pazienti per infezione chimera presso Z. Hospital.
Infatti, già sotto il profilo di fatto, la tesi attorea prova troppo, perché nel periodo in esame sono stati operati circa 2000 pazienti, i quali avrebbero tutti dovuto o potuto contrarre l’infezione.
In ogni caso, mai è stata riscontrata la presenza dell’infezione da microbatterio chimera sul signor Sa., non risultando il suddetto patogeno dagli esami colturali e dalla documentazione agli atti: non sono infatti stati riportati i relativi problemi di carattere infettivologico, e gli esami ecocardiografici non hanno mostrato alterazioni, posto che il quadro descritto è quello di un’infezione della protesi aortica da streptococcus arginosus, ed il batterio è un commensale del cavo orale e non può quindi ritenersi un patogeno nosocomiale.
La stessa distanza tra l’intervento e l’esordio dei sintomi, superiore ad un anno, rende improbabile la genesi nosocomiale; e l’infezione da microbatterio chimera, già estremamente rara, è poi ulteriormente esclusa dalla mancata verificazione dei sintomi tipici quali febbre, astenia e dispnea.
Anche poi sotto il profilo più strettamente giuridico, e l’argomento è dirimente, la richiesta di rimessione in istruttoria e di nuova CTU non può essere accolta, per l’assorbente rilievo relativo al fatto che trattasi di una asserita causa del decesso formulata più di due anni dopo l’inizio di causa e completamente diversa e distinta da quella dedotta nell’atto introduttivo: trattasi quindi di domanda radicalmente nuova nella sua causa petendi, che evidenzia un presunto profilo di colpa dell’ospedale (l’omessa manutenzione del macchinario) assolutamente differente da quello azionato dell’atto introduttivo con riferimento ai medici (la non corretta prestazione di cure da parte dei sanitari per una complicanza post operatoria).
Aliis verbis, l’eventuale infezione da microbatterio chimera avrebbe imposto un’istruttoria sulla manutenzione del macchinario da parte dell’ospedale, non già sul comportamento dei medici nel periodo post operatorio, tenendo comunque conto che non esiste una terapia protocollata e mirata per la cura dell’infezione da microbatterio chimera, e che la correlazione tra l’infezione e l’utilizzo del macchinario al momento dei fatti di causa neppure era nota.
e) In ragione di tutto quanto sopra, la domanda attorea va rigettata, rimanendo assorbite tutte le rimanenti questioni.
Nonostante la soccombenza attorea, sussistono le gravi ed eccezionali ragioni di cui all’articolo 92 comma 2 c.p.c., così come rimodulato a seguito della sentenza di Corte Costituzionale n. 77/2018, per compensare integralmente tra tutte le parti le spese di lite, ragioni integrate sia dall’esigenza di non penalizzare oltre la parte debole del rapporto, e cioè una famiglia che ha comunque visto perdere, in un contesto di grande sofferenza, un suo componente ancora in giovane età; sia dall’oggettiva difficoltà tecnica di comprendere le cause mediche di tale decesso.
Ai sensi dell’art. 52 comma 2 D.Lgs. n. 196/2003, si dispone d’ufficio che, in caso di diffusione della sentenza, vengano omesse le generalità e gli altri dati identificativi di tutte le parti.
 
P.Q.M.
il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica
definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti, ogni diversa istanza disattesa
rigetta la domanda;
compensa tra tutte le parti le spese di lite.
Reggio Emilia, 06/02/2020
Il Giudice
Dott. Gianluigi Morlini