Addebito al marito se abbandona la casa coniugale per assistere la madre malata

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 23 gennaio 2020, n. 1448
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23278-2018 proposto da:
D.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della
CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NUNZIATA TORRE,
ANTONINO LI CAUSI;
– ricorrente –
contro
C.A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della
CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CARMELA CURRO’;
– controricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO la CORTE di CASSAZIONE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 17/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 16/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/11/2019 dal
Presidente Relatore Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 16/1/2018, la Corte di Appello di Messina ha confermato la decisione con cui il
Tribunale di quella Città aveva pronunciato la separazione personale dei coniugi D.P.A. ed C.A.G.,
con addebito al marito e rigetto la domanda di addebito a carico della moglie, ha confermato,
inoltre, la spettanza e l’ammontare dell’assegno in favore della stessa e l’ammontare dell’assegno di
mantenimento in favore delle figlie D.R. e D.E..
Avverso la succitata sentenza, che ha condannato il D. al pagamento delle spese processuali, lo
stesso propone ricorso per cassazione, con cinque motivi, successivamente illustrati da memoria, ai
quali C.A.G. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Coi primi due motivi, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 151
c.c., degli artt. 113 e 116 c.p.c., nonchè “motivazione per relationem” addebitando alla sentenza,
rispettivamente, di non aver riconosciuto l’addebito della separazione a carico della moglie e di
averlo riconosciuto a suo carico.
1.2. I motivi, che vanno congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono in parte infondati
ed in parte inammissibili.
1.3. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, al quale lo stesso ricorrente fa riferimento,
la sentenza di appello motivata per relationem a quella di primo grado va considerata nulla, quando
essa si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna
valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, e cioè quando la laconicità della motivazione
non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia
pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass. n.
20883 del 2019; n. 22022 del 2017; n. 20648 del 2015; n. 2268 del 2006). Il caso non ricorre nella
specie, in quanto la Corte messinese non si è limitata a condividere la valutazione del Tribunale, ma
ha specificamente argomentato che la prosecuzione della convivenza era ascrivibile alla condotta
del marito e non anche a quella della moglie, evidenziando che l’allontanamento dal domicilio
coniugale, da lui posto in essere, non era giustificato dall’esigenza di accudire la madre, nè da
precedenti motivi di incompatibilità, e ritenendo insussistenti violazioni dei doveri coniugali da
parte della moglie, e del pari insussistente la prova del nesso etiologico tra la frattura del rapporto
matrimoniale e la depressione della stessa.
1.4. Se la violazione dell’art. 113 c.p.c. che pone al giudice l’obbligo di decidere secondo diritto non
è ulteriormente sviluppata, le censure riferite alla violazione dell’art. 116 c.p.c. sono all’evidenza
volte al riesame del materiale probatorio (incidenza dell’asserita ipocondria, depressione e smisurata
gelosia della moglie nel menage familiare, e, per converso, necessità di trasferimento del marito
nella casa della madre malata, assenza di prova circa il nesso etiologico tra tale condotta e
l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza).
1.5. Le doglianze invocano cioè un’indagine di merito, com’è evidente laddove, pure in seno alla
memoria, si imputa ai giudici d’appello per un verso di non aver considerato alcuni elementi e si
contesta, per l’altro, l’esistenza della prova, indagini che, com’è noto, attengono al giudizio di fatto,
dovendo aggiungersi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 18892 del 2016 e
massime ivi richiamate), la deduzione in sede di ricorso per cassazione della violazione dell’art. 116
c.p.c. – a mente del quale cui il giudice deve valutare le prove secondo prudente apprezzamento, a
meno che la legge non disponga altrimenti – è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una
determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede
uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di
attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa
risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara
di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così
falsamente applicando e, quindi, violando, la norma in discorso.
2. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 156 c.c.; degli artt. 113 e 116
c.p.c., motivazione per relationem e l’omesso esame di un fatto decisivo (contratto di locazione
registrato e relative ricevute), in relazione al capo con cui è stato riconosciuto l’assegno in favore
della moglie. 2.1. Anche questo motivo va disatteso per i principi sopra espressi ai par. 1.3 e 1.4 e
tenuto, in ispecie, conto che nel confermare la spettanza dell’assegno, e nell’individuarne
correttamente i presupposti non già nella mancanza, in astratto, di redditi adeguati come sembra
ipotizzare il ricorrente, ma in funzione del tendenziale mantenimento del tenore di vita goduto in
costanza di convivenza, la Corte ha, comunque, affermato sussistere un’indubbia disparità
economica tra i coniugi ed ha modulato l’assegno (in Euro 100,00), in considerazione del godimento
della casa familiare da parte della donna, elemento a torto ritenuto non considerato.
2.2. La circostanza relativa al pagamento di un canone di locazione in favore della sorella che, come
sostiene il ricorrente, modificherebbe a suo svantaggio la situazione reddituale non appare infine
decisiva, tenuto conto che il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la
cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti può esser utilmente dedotto laddove abbia carattere decisivo, vale a dire che,
se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; pertanto, l’omesso esame di
elementi istruttori (in tesi il contratto di locazione e le ricevute) non integra, di per sè, il vizio di
omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (nella specie la
differenza di reddito tra le parti), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè
la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. n. 27415 del 2018).
3. Col quarto motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 337-ter c.c.,
degli artt. 113 e 116 c.p.c., in riferimento al contributo in favore delle figlie pari ad Euro 650,00,
oltre a spese straordinarie In particolare, afferma il ricorrente, la figlia D.E. ha raggiunto
l’indipendenza economica ed è andata a vivere a (OMISSIS).
3.1. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile, dovendo darsi seguito al principio
affermato da questa Corte secondo cui “l’obbligo del genitore separato di concorrere al
mantenimento del figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età da
parte di quest’ultimo, ma perdura finchè il genitore interessato non dia prova che il figlio ha
raggiunto l’indipendenza economica; il raggiungimento di detta indipendenza economica non è
dimostrato dal mero conseguimento di una borsa di studio (nella specie, di Euro 800 mensili)
correlata ad un dottorato di ricerca, sia per la sua temporaneità, sia per la modestia dell’introito in
rapporto alle incrementate, presumibili necessità, anche scientifiche, del beneficiario” (Cass. n.
2171 del 2012). Le questioni relative al trasferimento della figlia ed alla vendita di un immobile
attingono a fatti sopravvenuti, non deducibili in questa sede.
4. Il quinto motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione dell’art. 91 c.p.c. in riferimento alla
statuizione sulle spese è infondato: il ricorrente è risultato infatti soccombente in merito alle
domande di addebito e di assegno, conclusione che non resta modifica dall’asserito comportamento
reticente della moglie.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità che si liquidano in Euro 3.100,00, di cui Euro 100,00 per spese. Ai sensi del D.P.R. n.
115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara
che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto per il ricorso, a norma dello stesso
art. 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati
identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020