Finalità perequative-compensative dell’assegno di divorzio in relazione al caso concreto.

Corte di Cassazione, 16 gennaio 2020 n. 765
Presidente Scaldaferri – Relatore Tricomi
Ritenuto che:
La Corte di appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe indicata, ha confermato la decisione di primo
grado, in giudizio di scioglimento del matrimonio tra I.R. e H.S.I.M. , relativa alle statuizioni economiche
poste a carico di I. , consistenti nell’assegno divorzile riconosciuto in favore di H. nella misura di Euro
350,00= mensili, nell’assegno di mantenimento per il figlio minore R. (n. nel 2000) di Euro 850,00=
mensili e nella partecipazione alle spese straordinarie nella misura del 70%.
I. propone ricorso per cassazione con due mezzi, corroborati da memoria; H. replica con controricorso e
memoria.
È stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380 – bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi
presupposti.
Considerato che:
1. Con il primo motivo I. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5,
comma 6, per avere confermato la Corte territoriale il diritto all’assegno divorzile sul presupposto che
questo rimane una forma di protezione del coniuge economicamente più debole a fronte del
deterioramento delle proprie condizioni personali di vita dipendente dallo scioglimento del matrimonio. Il
ricorrente, in particolare, sostiene che il giudice del gravame, omettendo ogni verifica circa l’an debeatur,
si sarebbe discostato dei principi enunciati in sede di legittimità con la sentenza n. 11504/2017.
Il motivo è infondato.
Premesso che) come questa Corte ha già affermato, “All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve
attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende
direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di
un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza
economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale
adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle
aspettative professionali sacrificate.” (Cass. Sez. U. n. 18287 del 11/07/2018), così puntualizzando i
principi espressi dalla sent. n. 11504/2017, di cui il ricorrente erroneamente invoca l’applicazione al caso
concreto, va osservato che la Corte di appello nel riconoscere il diritto all’assegno divorzile e nel
determinarne l’importo, ha tenuto conto delle risorse economiche e reddituali di entrambe le parti, non
già mirando ad una mera perequazione reddituale, ma valutando le circostanze del caso concreto al fine
di perseguire la finalità assistenziale – perequativa/compensativa attribuita a detto assegno, in linea con i
principi espressi dalle Sezioni Unite.
Segnatamente la Corte territoriale ha riconosciuto il diritto all’assegno divorzile nella misura di Euro
350,00= mensili, non già allo scopo di assicurare il pregresso tenore di vita, ma per mantenere le
condizioni di vita adeguate e consone al progetto familiare e sociale che la cessazione del matrimonio
aveva interrotto (fol. 11 della sent. imp.) e ciò ha fatto dando conto dell’attività lavorativa svolta dalla H.
(reddito lordo annuo di Euro 20.893,81) e dallo I. (reddito lordo annuo d Euro 61.586,00), del fatto che
la stessa aveva lasciato la sua patria (il Perù) nel 1999 per trasferirsi in Italia con il marito, che si era
dedicata alla famiglia nei primi anni di matrimonio in ragione della nascita del figlio e fino al 2008,
quando in occasione della separazione aveva intrapreso un’attività lavorativa ed aveva reperito un
alloggio ove vivere con il figlio minore, non potendo più fruire dell’alloggio di servizio assegnato al
coniuge (militare dell’Arma dei carabinieri), provvedendo a versare prima un canone locatizio di Euro
630,00 mensili e poi, avendo acquistato l’abitazione, una rata di mutuo del medesimo importo, che
provvedeva anche al mantenimento del figlio non economicamente autosufficiente, di guisa che la
decisione risulta immune dal vizio di violazione di legge denunciato.
2. Con il secondo motivo I. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 337 ter c.c., comma 4, e
dell’art. 116 c.p.c., per avere la Corte di appello confermato la ripartizione delle spese straordinarie per il
figlio in relazione alle diverse capacità reddituali senza averle raffrontate.
Il motivo è infondato perché la Corte territoriale contrariamente a quanto assume il ricorrente – ha
operato il raffronto tra i redditi delle parti (fol. 4 della sent. imp), oltre che inammissibile, laddove
1
sollecita un riesame del merito in maniera generica (facendo riferimento a documenti prodotti, di cui non
illustra nemmeno per sommi capi la diretta rilevanza e decisività) e chiede di considerare le dazioni
economiche (nemmeno quantificate) direttamente elargite al figlio, frutto di evidenti ed apprezzabili
liberalità spontanee, che tuttavia non rientrano nel novero della partecipazione alle spese.
3. In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo, atteso che la recente sentenza
Cass. Sez. U. n. 18287/2018 ha puntualizzando i principi espressi dalla sentenza Cass. Sez. U. n.
11504/2017, senza mutare radicalmente il precedente indirizzo giurisprudenziale, contrariamente a
quanto assume il ricorrente (memoria fol. 6), ma precisandone i termini di applicazione, in considerazione
della indiscussa natura assistenziale, oltre che perequativo/compensativa, dell’assegno divorzile.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei
soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai
sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24
dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in
misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n.
23535 del 20/9/2019).
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.800,00=,
oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed
accessori di legge;
– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei
soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52;
– Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi
del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre
2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a
norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.