DIRITTO SOSTANZIALE E PROCESSO IN TEMA DI SEPARAZIONE GIUDIZIALE E DIVORZIO

Di ANDREA PROTO PISANI

1 – Il diritto sostanziale della famiglia, per quanto riguarda questo scritto limitato alla separazione giudiziale e al divorzio, ha avuto una particolare accelerazione dal 1970, fino a quasi ieri e oggi.
Parafrasando il titolo della prolusione napoletana di Virgilio Andrioli Progresso del diritto e stasi del processo, 1958, (in Scritti giuridici, I 61 ss.), si potrebbe parlare di progresso (o evoluzione) del diritto sostanziale e stasi del processo, salvo dovere riconoscere a quest’ultimo due grossi e determinanti recuperi (sul versante della accelerazione delle decisioni sullo status), veri e propri colpi d’ala, rappresentati dalle leggi 74/1987, in tema di sentenza non definitiva immediata sullo status, di decisione dell’appello in camera di consiglio (e di domanda congiunta di divorzio), e 132/2014 in tema di negoziazione assistita davanti agli avvocati (tema, quest’ultimo, che esula dall’oggetto limitato di questo scritto).
2 – Ma procediamo con ordine, sia pure al massimo della sinteticità.
Fino al 1975, la separazione giudiziale (cioè nel dissenso o nelle ripicche di un coniuge) era possibile solo per colpa (le cui ipotesi erano tassativamente individuate nell’art. 151 c.c. oltre che nell’adulterio della moglie e in quello del marito (ma solo, in tale ipotesi, in caso di ingiuria grave), nel volontario abbandono, negli eccessi, minacce e ingiurie gravi).
Lo svolgimento del giudizio di separazione, salvo la fase urgente dei provvedimenti presidenziali ex art. 708 c.p.c. nell’interesse dei coniugi e della prole, era sostanzialmente quella del processo ordinario di cognizione, processo i cui tempi erano pressoché tutti nelle mani delle parti, stante la assenza di preclusioni quanto alla richiesta di prove.
In particolare il coniuge in colpa non aveva alcun diritto sostanziale alla separazione (salvo l’art. 189 disp. att. che, in caso di estinzione del processo, affermava – e tuttora afferma – la ultrattività dei provvedimenti presidenziali ex art. 708 fino a che non fossero stati sostituiti da altro provvedimento emanato in un successivo processo di separazione).
3 – Con la l. 898 /1970 si introdusse in Italia il c.d. divorzio, il quale poteva (per quanto qui interessa) essere richiesto da entrambi i coniugi decorsi cinque anni dalla data della comparizione davanti al presidente del tribunale nel giudizio di separazione giudiziale (per colpa, perché riguardo alla separazione giudiziale nulla era mutato), purché la sentenza di separazione fosse passata in giudicato.
Ciò significava che, anche dopo l’introduzione del divorzio, il coniuge in colpa vedesse il suo potere di risposarsi (ove l’altro coniuge non fosse disposto alla separazione consensuale), esposto al potere dilatorio dell’altro coniuge il quale aveva tutta la possibilità di fare durare il giudizio di separazione prima e di divorzio poi (da decidere entrambi con sentenza passata in giudicato) anni e anni o anche decenni.
(Salvo la disciplina transitoria) la legge 898/1970 introduceva modifiche pertanto molto limitate per il coniuge in colpa che aspirasse a risposarsi.
4 – La situazione sarebbe cominciata ad evolvere (“cominciato”, e solo sul piano del diritto sostanziale, non su quello del processo) con la riforma del diritto di famiglia (l. 151) del 1975.
Con essa si soppresse la separazione giudiziale unicamente per colpa, e si introdusse, come regola generale che la separazione potesse “essere richiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o entrambi i coniugi, fatti tali (anche quindi per volontà unilaterale del coniuge adultero) da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da arrecare grave pregiudizio alla educazione della prole”.
In tal modo anche il coniuge in colpa acquisiva il “diritto” alla separazione giudiziale, ma sempre subordinatamente al decorso dei cinque anni di cui supra 3 e il passaggio in giudicato della sentenza di separazione. Nulla era immutato quanto al processo di divorzio, processo che poteva avere anche esso durata lunghissima, poiché l’emanazione immediata della sentenza di divorzio (sentenza che non richiedeva l’assunzione di alcuna prova, perché fondata su documenti) continuava ad essere subordinata al potere discrezionale e insindacabile del giudice di decidere se emanare la sentenza di divorzio prima o dopo la istruzione delle questioni economiche.
Ma vi era (e continua ad essere) di più. L’art. 145, 2° comma, c.c. (il primo comma è stato pressoché integralmente sostituito come indicato sopra) disponeva (e continua a disporre) che “il giudice, pronunciando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”; (in caso di addebito poi al coniuge economicamente debole l’art. 156, c.c. prevedeva la corresponsione solo degli alimenti, e non del mantenimento). La previsione dell’addebito, sia pure solo su richiesta, è palesemente il frutto di un compromesso che contraddice la regola generale riportata sopra. Sul piano poi del potere del coniuge di risposarsi, la richiesta di addebito era destinata inevitabilmente ad allungare i tempi del processo sia di separazione sia di divorzio (influendo sull’ammontare del trattamento economico) e si prestava pertanto a tattiche dilatorie dovute spesso e quasi sempre a mere ripicche analoghe a quelle indicate supra 3.
Il passo in avanti c’è ma concerneva solo le separazioni nelle quali non fosse richiesto l’addebito.
È infine da notare che nulla era mutato quanto ai processi di separazione e di divorzio.
5 – L’intervento della legge (apparentemente ma non solo) processuale 74/1987, legge espressamente applicabile sia ai giudizi sia di divorzio sia di separazione, è dirompente. E ciò non solo perché riduce a tre i cinque anni minimi che dovevano intercorrere tra comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale per l’emanazione dei provvedimenti presidenziali ex art. 708 c.p.c. e instaurazione del processo di divorzio ma soprattutto perché, è bene sottolinearlo, nel giudizio sia di separazione sia di divorzio la legge sganciava, e tuttora sgancia, del tutto la sentenza sullo status (separazione, divorzio) dalla necessità che il giudizio debba proseguire per le pronunce in tema di affidamento dei figli, di mantenimento del coniuge debole ma anche – e questo mi sembra molto importante sul piano della opportunità – per la esplicita previsione (art. 4, 12° comma legge sul divorzio applicabile e applicato anche al giudizio di separazione) secondo cui – conclusa la fase presidenziale – il giudice, senza che possa esercitare alcun potere in senso contrario “nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno”, emette (deve emettere) sentenza non definitiva relativa (alla separazione o al divorzio), sentenza immediatamente appellabile con appello da decidere in camera di consiglio. Così almeno a mio avviso, e soprattutto ad avviso della giurisprudenza, andava interpretato il comma ora richiamato.
Questa previsione sgancia del tutto la sentenza sullo status da quella (oltre che sull’affidamento dei figli, provvedimenti che dovrebbero essere e sono comunque anteriori in considerazione della loro eccezionalissima urgenza) relativa agli accertamenti del trattamento economico del coniuge debole, accertamenti necessari a risolvere le questioni economiche influenzate dalla (infausta) figura dell’addebito (ove ne sia stata fatta richiesta da uno dei coniugi); e sempre il mitico personaggio del legislatore non provveda finalmente a sopprimere la previsione della possibilità di richiesta di addebito, come sarebbe ragionevole per sgravare i figli e gli stessi coniugi, dal ricordo di circostanze comunque contrarie alla memoria di quel molto o poco di “felicità” che vi è stata in qualsiasi rapporto sentimentale e quindi anche nel rapporto matrimoniale di cui si sta formalizzando la conclusione.
6 – Le vicende sostanziali relative al divorzio sono giunte pressoché alla conclusione della parabola con la l. 55/2015 che ha ridotto a 12 il termine minimo intercorrente tra comparizione dei coniugi nel giudizio di separazione giudiziale e l’instaurazione del processo di divorzio.
È però da ricordare che il d. l. 132/2014 (conv. in l. 162/2014) ha semplificato ulteriormente i giudizi in esame, attraverso la specifica utilizzazione della c.d. negoziazione assistita da avvocati in caso di consenso dei coniugi, con la previsione di minimi controlli del magistrato solo in caso di esistenza di figli minori o maggiorenni portatori di handicap.
Ma l’esame di tale istituto, muovendosi tutto sulla base del consenso delle parti, fuoriesce dall’oggetto di questo articolo, che è relativo alle sole ipotesi di esistenza di una controversia fra i coniugi 1
1 Nel corso del 1988 e 1989 la Corte costituzionale ebbe poi a dichiarare l’illegittimità di tutti gli articoli del titolo relativo ai “delitti contro la famiglia” di cui gli art. 556-663 c.p. con la sola eccezione del reato di bigamia (art. 556).
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7 – Conclusa la prima parte di questo scritto dedicato al richiamo, spesso per meri cenni, delle notevolissime modifiche sostanziali introdotte riguardo alla separazione giudiziale e alla
previsione del divorzio, è da passare alla parte – probabilmente più breve, ma ad avviso di chi scrive non meno importante – relativa alle conseguenze che dovrebbero (o almeno potrebbero) essere tratte sul piano del processo (oggi disciplinato dagli articoli 706-711 c. p. c. e dall’art. 189 delle relative disp. att., e dalla l. 898/1970 così come risulta dalle relative modifiche fino alla l. 55/2015).
8 – A mio avviso le conseguenze dovrebbero (e potrebbero) essere notevolissime.
È da ricordare, come evidenziato con la massima chiarezza e rigore logico da Franco Cipriani nell’agile monografia del 1971 Dalla separazione al divorzio, l’istituto della separazione giudiziale per colpa, sopravvissuto fino al 1975, era istituto che trovava la sua unica ragion d’essere nella mancata introduzione in Italia del divorzio (sia pure limitato dalla previsione di una giusta causa o requisiti simili).
Solo questa giustificazione, la ferma volontà del legislatore italiano di non volere consentire al coniuge in colpa di risposarsi, giustificava la disciplina della separazione giudiziale sopravvissuta fino al 1975 anche dopo l’introduzione del divorzio.
E, aggiungerei, la separazione giudiziale ha conservato la sua giustificazione politica o ideologica fino a che, per un verso è stata introdotta l’ibrida figura dell’addebito su richiesta, per altro verso (non tanto perché fosse previsto un ampio termine dilatorio tra giudicato sulla separazione e introduzione del processo di divorzio quanto perché) una delle parti del processo contenzioso di separazione e di divorzio potessero agevolmente muoversi all’interno di questi due processi in modo tale da allungare in maniera notevolissima la durata del tempo necessario per ottenere il giudicato sulla separazione (durata del processo in cui influivano, non solo il tempo necessario alla determinazione del contenuto dell’obbligo di mantenimento o alimenti, ma anche la complessità della prova dei fatti che giustificavano la richiesta di addebito): e quindi allontanare sempre di più il momento in cui il coniuge in “colpa” potesse (se ancora ne avesse avuto ancora voglia) contrarre un secondo (nella sua speranza più pacifico) matrimonio.
9 – Orbene con un semplicissimo accorgimento tecnico la l. 74/1987 (retro 5) col prevedere il dovere del giudice della separazione e del divorzio di emanare la sentenza sugli status, nelle prime o primissime battute dei due processi, anteriormente alla conclusione delle attività istruttorie (relative oltre ai fatti giustificanti l’addebito richiesto, anche all’entità dei patrimoni dei coniugi, all’esistenza davvero di un coniuge economicamente debole, all’entità del suo contributo a fare aumentare il reddito dell’altro coniuge ecc. ecc.), ha quasi del tutto soppresso il tempo necessario per ottenere la pronuncia sugli status di separazione e di divorzio.
Ecco che tutta l’architettura “speciale” dei processi di separazione e divorzio è, in gran parte, venuta meno, e si rivela nella sostanza un inutile doppione.
Di tutto ciò però il nostro legislatore ha mostrato di non avere percezione alcuna (neanche, direi, sul piano sociologico) così come non ha compreso l’importanza della coniugazione tra forme di processi e tutela sommaria, e forme di processi a cognizione piena.
10 – Accennato alle incapacità, soprattutto processuali, del nostro legislatore, si pone la domanda: che è o sarebbe possibile fare?
Sul piano interpretativo poco o pochissimo.
Di iure condendo moltissimo, soprattutto per l’esperienza di istituti ampiamente collaudati, purché si abbia la capacità di chiedere ed ottenere l’attribuzione dell’unico nuovo processo (inglobante quello che oggi si chiamano separazione e poi processo di divorzio) al giudice monocratico, senza che ciò, come si vedrà, costituisca in modo alcuno riduzione delle garanzie.
Nella sostanza si potrebbe prevedere:
A) che dell’attuale giudizio di separazione sopravviva la previsione dei provvedimenti urgenti nell’interesse dei coniugi, dei figli e dei relativi obblighi di mantenimento; procedimenti aventi tutti carattere urgente e cautelare ai quali dovrebbe essere applicata la disciplina del processo cautelare uniforme, con le relative garanzie (soprattutto la loro reclamabilità davanti ad un collegio di tribunale di cui non possa fare parte il giudice che ha emanato i provvedimenti urgenti); nonché con la efficacia propria dei provvedimenti cautelari anticipatori prevista dagli ultimi quattro commi dell’art. 669/octies, (cioè la sopravvivenza della loro efficacia alla stessa instaurazione di un processo ordinario di cognizione ex artt.163 e ss. c.p.c., ove questo sia lasciato estinguere per inattività o rinuncia delle parti), ferma restando la loro modificabilità in ogni tempo, stante la loro strutturale inidoneità al giudicato;
B) che quanto ai provvedimenti sommari (relativi ai figli, al loro mantenimento, all’assegnazione della casa familiare e al mantenimento o alimenti del coniuge debole) esplicita previsione che la loro emanazione non precluda in modo alcuno ai coniugi il diritto di far valere in giudizio – nelle forme e con le garanzie dei processi a cognizione piena con attitudine al giudicato formale e sostanziale – cioè l’instaurazione di un processo ordinario di cognizione ai sensi degli artt. 163 e ss. c.p.c. avente ad oggetto gli stessi diritti (già oggetto dei provvedimenti sommari);
11 – Bozza di articolato da completare redatto sulla base dei rilievi svolti nei paragrafi precedenti, bozza redatta sulla base della scelta della monocraticità del giudice di primo grado.
(Bozza sostitutiva degli attuali processi di separazione giudiziale e di divorzio).
Art. 1 Forma della domanda.
La domanda di separazione giudiziale si propone con ricorso davanti al giudice monocratico del tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio con ricorso che deve contenere l’esposizione dei fatti sui quali la domanda é fondata.
Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero, o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente, e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica.
Il giudice designato, nei cinque giorni successivi alla sua designazione e comunque non oltre dieci giorni dal deposito del ricorso in cancelleria, fissa con decreto la data dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve essere tenuta entro novanta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime tre dichiarazioni dei redditi presentate, nonché l’indicazione del titolo di proprietà, o altri, della casa familiare.
Nel ricorso deve essere indicata l’esistenza di figli di entrambi i coniugi.
Art. 2 Comparizione personale delle parti e prima udienza davanti al giudice designato.
I coniugi debbono comparire personalmente davanti al giudice designato con l’assistenza del difensore.
Se il coniuge ricorrente non si presenta all’udienza il processo si estingue a meno che il coniuge convenuto sia comparso e faccia istanza di prosecuzione del giudizio di separazione giudiziale.
Se nessuna delle parti si presenta o entrambe rinunciano, la domanda non ha effetto. e il processo si estingue.
Se non si presenta il coniuge convenuto, il giudice può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata.
Art. 3 Tentativo di conciliazione e provvedimenti del giudice designato.
All’udienza di comparizione, il giudice designato deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione o l’accordo sulle condizioni di separazione; se ne sussistono presupposti applica l’art.337 octies, secondo comma cod. civ.
In qualsiasi momento del processo, se i coniugi si conciliano o si accordano sulle condizioni della separazione, il giudice designato fa redigere processo verbale di conciliazione o di accordo, e le parti possono chiedere che il processo si converta in processo di separazione consensuale.
Art. 4 Provvedimenti del giudice.
Se la conciliazione non riesce, il giudice designato dispone senza indugio, nella prima udienza, con ordinanza stesa in calce al ricorso, la separazione giudiziale.
Successivamente, nella stessa udienza o in udienza successiva ravvicinata disposta per completare l’istruzione sommaria o per l’ascolto del minore, dispone con ordinanza:
a) l’affidamento, la collocazione e i tempi di visita dei figli minori o maggiorenni portatori di disabilità;
b) l’assegno di mantenimento dovuto per i figli dal genitore non collocatario;
c) l’assegnazione della casa familiare ai sensi dell’art. 337 sexies cod. civ.
d) l’assegno di mantenimento o di alimenti dovuto al coniuge economicamente debole.
Art. 5 Reclamabilità dei provvedimenti.
I provvedimenti previsti dall’articolo precedente sono reclamabili nel termine di sessanta giorni secondo le forme previste dall’art. 669 terdecies davanti a un collegio del tribunale, collegio di cui non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato.
Art. 6 Revocabilità, modificabilità ed esecuzione.
I provvedimenti di cui agli articoli 4 e 5 sono modificabili, revocabili ed eseguibili nelle forme e secondo le modalità indicate agli articoli 669/decies e duodecies. e 669/duodecies.
Agli stessi provvedimenti si applica la disciplina dei provvedimenti cautelari anticipatori contenuta negli ultimi quattro commi dell’art. 669/octies.
Le spese sono liquidate dal giudice in considerazione delle condizioni economiche dei coniugi e della difficoltà dell’attività difensiva svolta. L’ordinanza sulle spese è anch’essa reclamabile ai sensi dell’art. 669/terdecies.
Art. 7 Clausola finale di salvaguardia.
I provvedimenti di cui al precedente articolo 4 e successivo articolo 9, anche se pronunciati in sede di reclamo, non precludono in alcun modo la proposizione da parte dei coniugi del processo ordinario di cognizione previsto dal II libro del codice di procedura civile nelle forme e con le garanzie – anche nell’eventuale giudizio di appello – dei processi a cognizione piena con attitudine al giudicato formale e sostanziale.
In tal caso il processo a cognizione piena si introduce con ricorso avente ad oggetto istanza di fissazione dell’udienza di cui all’art. 183 codice di procedura civile, ricorso notificato alla controparte trenta giorni prima dell’udienza, anteriormente alla quale il coniuge convenuto ha facoltà di depositare memorie di replica dieci giorni prima dell’udienza.
A seguito dell’udienza ex art. 183 c.p.c. il processo prosegue nelle forme del rito ordinario.
Art. 8 Provvedimenti sullo status di divorzio.
Decorsi i termini previsti col secondo comma della lettera b) del terzo comma dell’art. 3 della 1. 898/1970, ciascun coniuge può chiedere, con ricorso al giudice monocratico del tribunale che ha pronunciato l’ordinanza di separazione di cui al primo comma del precedente art. 4, la pronuncia del divorzio. Nella prima udienza, il giudice designato, verificata l’esistenza dei presupposti temporali, pronuncia il divorzio con ordinanza stesa in calce al ricorso.
L’ordinanza prevista dal comma precedente è reclamabile nelle forme e nei termini previsti dall’art. 5. Decorso il termine per proporre reclamo l’ordinanza dichiarativa del divorzio diviene efficace a tutti gli effetti.
Art. 9 Provvedimenti economici di carattere urgente.
Con il ricorso con il quale si chiede la pronuncia di divorzio, il coniuge ricorrente o convenuto può chiedere anche, se sussistono motivi di urgenza, che il giudice di cui al primo comma dell’articolo precedente, provveda, con ordinanza, successiva e autonoma da quella che dispone il divorzio, in via sommaria alla revoca o alla modifica dei provvedimenti di cui all’articolo 4. In tal caso il giudice provvede con ordinanza nella forma sommaria prevista dal primo comma dell’art. 669/sexies; l’ordinanza è reclamabile nelle forme e nei termini previsti dal precedente art. 5; ad essa si applica la disciplina dei provvedimenti cautelari anticipatori prevista dagli ultimi quattro commi dell’art. 669/octies.
Art. 10 Applicabilità in ipotesi di figli naturali e di unioni civili.
I precedenti articoli 4, 5 e 7 si applicano anche in caso di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio di cui agli artt. 337 ter e ss. cod. civ.; e gli articoli 8 e 9 in caso di scioglimento di unione civile di cui al comma 24 legge n. 76 del 2016.
12 – A conclusione di questo scritto vorrei svolgere due osservazioni e un rilievo finale.
La prima è relativa alla circostanza che mentre la legislazione sostanziale e processuale effettuavano la grossa apertura alla “libertà” dei coniugi legati da matrimonio, è l’istituto stesso del matrimonio (con assunzione pubblica (o anche religiosa) di fronte alla società della responsabilità dell’inizio della vita in comune), che andava dissolvendosi nelle nuove generazioni; queste infatti sempre più preferiscono, ad un certo punto dello sviluppo del loro rapporto sentimentale, fare il passo del vivere insieme nella stessa abitazione, e spesso conservare la stessa scelta anche quando mettono al mondo figli comuni.
La seconda osservazione è strettamente personale. Io non sono mai stato contrario all’idea stessa del matrimonio, inteso come “formazione sociale” capace di aiutare allo sviluppo della personalità dei due coniugi, in prospettiva di una progressiva acquisizione dei diritti e doveri di solidarietà indispensabili in paesi che, come l’Italia, hanno come valore fondante la dignità della persona.
Per questo io e mia moglie siamo stati particolarmente contenti di festeggiare, alcuni mesi fa, il cinquantesimo anno di matrimonio riuniti, intorno ad un altare prima e ad un tavolo poi, con le nostre figlie, i loro compagni (taluno anche marito) e uno stuolo di nipoti da sei mesi a quattordici anni. Ed ancora una volta ho considerato tutto questo come uno dei tanti doni, talenti che la vita mi ha regalato e dei quali conseguentemente sono chiamato a rispondere in questi anni finali della mia vita.
L’ultimo rilievo è di carattere tecnico giuridico e concerne la grande importanza della tutela sommaria (cioè di una tutela che interviene in prossimità di una crisi di cooperazione) per assicurare una tutela effettiva dei diritti della persona e delle più o meno nuove situazioni di libertà formali e sostanziali.
* Testo destinato agli studi in memoria di Franco Cipriani.
Ringrazio l’avv. Maria Silvia Zampetti per i preziosi suggerimenti, di forma e sostanza, che mi ha dato per la revisione della stesura originaria di questo scritto