Non può essere dichiarato efficace in Italia, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento straniero che accerta il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione cittadino italiano.

Commento di Gianfranco Dosi a Cass. Sez. Unite 8 maggio 2019, n. 12193

Il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dall’art. 12, comma 6, della legge 40/2004 qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, c omma 1, lett. d) ella legge 184/1983.
In tema di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta dalla legge 218/1995 dev’essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico
Il rifiuto di procedere alla trascrizione nei registri dello stato civile di un provvedimento giurisdizionale straniero con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero ed un cittadino italiano, se non determinato da vizi formali, dà luogo ad una controversia di stato, da risolversi mediante il procedimento disciplinato dall’art. 67 della legge 218/1995 (e non attraverso il giudizio di rettificazione di cui all’art. 95 dell’Ordinamento di stato civile) in contraddittorio con il Sindaco, in qualità di ufficiale dello stato civile, ed eventualmente con il Ministero dell’interno, legittimato a spiegare intervento nel giudizio, in qualità di titolare della competenza in materia di tenuta dei registri dello stato civile, nonché ad impugnare la relativa decisione. Infatti la funzione della rettificazione resta strettamente collegata con quella pubblicitaria propria dei registri dello stato civile e con la natura meramente dichiarativa delle annotazioni ivi riportate, aventi l’efficacia probatoria privilegiata prevista dall’art. 451 c.c., ma non costitutive dello status cui i fatti da esse risultanti si riferiscono; esula pertanto dal suo ambito applicativo l’ipotesi in cui, come nella specie, il predetto stato emerga dal provvedimento straniero, la cui trascrivibilità nei registri dello stato civile venga contestata non già per un vizio di carattere formale, ma per l’insussistenza dei requisiti di carattere sostanziale cui la legge 218/1995 subordina l’ingresso nel nostro ordinamento.
Nel giudizio avente ad oggetto il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero ed un cittadino italiano, il Pubblico Ministero riveste la qualità di litisconsorte necessario, ai sensi dello art. 70 c.p.c., comma 1, n. 3, ma è privo della legittimazione ad impugnare la relativa decisione, non essendo titolare del potere di azione, neppure ai fini dell’osservanza delle leggi di ordine pubblico
Commento
Due cittadini italiani dello stesso sesso si sposano in Canada nel 2008. Successivamente, nel 2011, uno dei due ottiene in Canada, e trascrive in Italia a Trento, il provvedimento con cui viene riconosciuto padre di due minori nati nel 2010 con la maternità surrogata. Nel 2011 il giudice canadese riconosce (“accertandone il rapporto di genitorialità”) anche l’altro giovane come padre dei due minori. Stavolta però l’ufficiale di stato civile di Trento rifiuta di trascrivere questo provvedimento. I due giovani non presentano opposizione in tribunale secondo quanto previsto nell’ordinamento di stato civile (art. 95 DPR 396/2000) ma chiedono alla Corte d’appello di Trento di dichiarare efficace in Italia quel provvedimento (art. 67 legge 218/1995). La Corte d’appello nel 2017 accoglie l’istanza e dichiara l’efficacia in Italia del provvedimento canadese. Contro questo provvedimento ricorrono per cassazione il Procuratore generale di Trento, il Ministero dell’interno e il Sindaco di Trento quale ufficiale del Governo sostenendo che, in assenza di una relazione biologica tra il giovane ed i minori, il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento emesso dal Giudice canadese si pone in contrasto con l’ordine pubblico e non può essere recepito quindi nell’ordinamento italiano.
La prima sezione della Corte di cassazione ritiene la questione di particolare importanza e rimette il ricorso alle Sezioni Unite che si trovano quindi ad affrontare il problema (mai prima affrontato direttamente nella giurisprudenza di legittimità) se la nascita attraverso una maternità surrogata impedisca o meno il riconoscimento nell’ordinamento italiano di provvedimenti stranieri che la riconoscono.
Le Sezioni Unite ritengono ammissibile il ricorso del Ministero dell’interno e del Sindaco (in quanto la legittimazione a proporre l’impugnazione o a resistervi spetta a chi abbia rivestito formalmente la posizione di parte nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, e dev’essere desunta da quest’ultima, intesa sia nella parte dispositiva che in quella motiva, indipendentemente dalla correttezza di tale individuazione e dalla sua corrispondenza alle risultanze processuali, nonché dalla titolarità (attiva o passiva) del rapporto sostanziale controverso) ma dichiarano inammissibile quello del Procuratore generale in quanto il pubblico ministero pacificamente riveste in tali giudizi la qualità di litisconsorte necessario, ai sensi dello art. 70 c.p.c., comma 1, n. 3, ma è privo della legittimazione ad impugnare la relativa decisione, non essendo titolare del potere di azione, neppure ai fini dell’osservanza delle leggi di ordine pubblico.
Nel merito della questione principale, afferente la contrarietà o meno all’ordine pubblico del provvedimento di cui viene richiesta l’efficacia in Italia, le Sezioni Unite adottano la linea interpretativa ormai consolidata in giurisprudenza (utilizzata per ritenere ammissibile la dichiarazione di efficacia di provvedimenti stranieri sullo status in Cass. civ. Sez. I, 15 giugno 2017, n. 14878 e Cass. civ. Sez. I, 30 settembre 2016, n. 19599, entrambe riferibili a vicende in cui gli interessati avevano fatti ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita) secondo cui la nozione di ordine pubblico non è di carattere “interno” (cioè coincidente con le norme inderogabili del nostro sistema giuridico nazionale: tra le quali l’art. 12, comma 6, della legge 40 del 2004 che vieta e sanziona penalmente il ricorso alle pratiche di maternità surrogata) ma “internazionale” (cioè riferibile al complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma ispirati ad esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e collocati ad un livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria) e caratterizzata, nelle formulazioni più recenti, da un sempre più marcato riferimento ai valori giuridici condivisi dalla comunità internazionale ed alla tutela dei diritti fondamentali, al quale fa inevitabilmente riscontro un affievolimento dell’attenzione verso quei profili della disciplina interna che, pur previsti da norme imperative, non rispondono ai predetti canoni.
Ciononostante affermano che la caratteristica essenziale della nozione di ordine pubblico è la relatività e mutevolezza nel tempo del suo contenuto, soggetto a modificazioni in dipendenza dell’evoluzione dei rapporti politici, economici e sociali, e quindi inevitabilmente destinato ad essere influenzato dalla disciplina ordinaria degli istituti giuridici e dalla sua interpretazione, che di quella evoluzione costituiscono espressione, e che contribuiscono a loro volta a tenere vivi e ad arricchire di significati i principi fondamentali dell’ordinamento.
In applicazione di queste indicazioni di principio le Sezioni Unite rilevano, però, che la vicenda sottoposta al loro vaglio non è riconducibile alle vicende trattate nelle due decisioni sopra richiamate in cui le tecniche di fecondazione utilizzate erano assimilabili alla fecondazione eterologa e non alla surrogazione di maternità (la cui caratteristica è costituita dal fatto che una donna presta il proprio corpo ed eventualmente gli ovuli necessari al concepimento, al solo fine di aiutare un’altra persona o una coppia sterile a realizzare il desiderio di avere un figlio, assumendo l’obbligo di provvedere alla gestazione ed al parto per conto altrui, quindi, ed impegnandosi a consegnare il nascituro). Infatti nella vicenda esaminata da Cass. civ. Sez. I, 30 settembre 2016, n. 19599 l’oggetto era il riconoscimento dell’atto straniero di nascita di un minore generato da due donne, una delle quali aveva fornito l’ovulo necessario al concepimento mediante procreazione medicalmente assistita, mentre l’altra lo aveva partorito, e nella vicenda trattata da Cass. civ. Sez. I, 15 giugno 2017, n. 14878 l’oggetto riguardava la rettifica dell’atto di nascita di un minore, formato all’estero e già trascritto in Italia, a seguito della modifica apportata dall’ufficiale di stato civile straniero, che aveva indicato il nato come figlio non solo della donna che lo aveva partorito, ma anche di un’altra donna, con essa coniugata, con cui il minore non aveva alcun legame biologico (e nell’escludere la contrarietà della rettifica all’ordine pubblico, quest’ultima sentenza ha equiparato la fattispecie alla fecondazione eterologa).
Invece la fattispecie che costituisce oggetto del giudizio davanti alle Sezioni Unite è annoverabile a pieno titolo tra le ipotesi di maternità surrogata, caratterizzandosi proprio per l’accordo intervenuto con una donna estranea alla coppia genitoriale, che ha provveduto alla gestazione ed al parto, rinunciando tuttavia ad ogni diritto nei confronti dei nati. In merito a tale tecnica di procreazione assistita Cass. civ. Sez. I, 11 novembre 2014, n. 24001 (precedente al quale le Sezioni Unite si collegano direttamente) aveva ritenuto contrastante con l’ordine pubblico il riconoscimento dell’efficacia dell’atto di nascita formato all’estero, in cui erano indicati come genitori due coniugi italiani, i quali si erano avvalsi della maternità surrogata senza fornire alcun apporto biologico ed aveva a tal fine ribadito che l’ordine pubblico internazionale è il limite che l’ordinamento nazionale pone all’ingresso di norme e provvedimenti stranieri, a protezione della sua coerenza interna, e dunque non può ridursi ai soli valori condivisi dalla comunità internazionale, ma comprende anche principi e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e (perciò) irrinunciabili. L’art. 12 comma 6 della legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita va certamente considerata di ordine pubblico, perché mette in rilievo la dignità umana – costituzionalmente tutelata – della gestante e l’istituto dell’adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto, perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo delle parti, l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato. Tale divieto non si pone in contrasto con l’interesse superiore del minore, tutelato dall’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, essendo espressione di una scelta non irragionevole, compiuta dal legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità, e volta a far sì che tale interesse si realizzi proprio attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando all’istituto dell’adozione, realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo delle parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico.
Rispetto alla vicenda di cui si è occupata Cass. civ. Sez. I, 11 novembre 2014, n. 24001 quella qui esaminata dalle Sezioni Unite si distingue soltanto per il fatto che la surrogazione di maternità non si è realizzata mediante gameti interamente forniti da soggetti estranei alla coppia, ma con il contributo genetico di uno dei componenti della stessa.
E ciò ha convinto la Corte d’appello di Trento a riconoscere l’efficacia in Italia del provvedimento straniero.
Affermano, però, le Sezioni Unite che il ragionamento della Corte d’appello di Trento, nella parte in cui esclude che il divieto della surrogazione di maternità costituisca un principio di ordine pubblico impeditivo della dichiarazione di efficacia, si pone in evidente contrasto con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, che assegna a tale disposizione una funzione essenziale di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, trascurando altresì le indicazioni emergenti dalla giurisprudenza costituzionale, che vi ravvisa il risultato di un bilanciamento d’interessi attuato dallo stesso legislatore.
In effetti la Corte costituzionale da un lato ha riconosciuto che il dato della provenienza genetica non costituisce un requisito imprescindibile della famiglia, ma dall’altro ha tenuto a chiarire che la libertà e la volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia, di sicuro non implica che la libertà in esame possa esplicarsi senza limiti (Corte Cost. 10 giugno 2014, n. 162). Tra questi limiti va indubbiamente annoverato il divieto della surrogazione di maternità, al quale dev’essere riconosciuta una rilevanza del tutto particolare, tenuto conto della speciale considerazione di cui la predetta pratica costituisce oggetto nell’ambito della legge 402014: quest’ultima, infatti, nel consentire il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, distingue nettamente tra le predette tecniche e la surrogazione di maternità, subordinando l’utilizzazione delle prime al concorso di determinate condizioni e vietando in ogni caso il ricorso alla seconda, nonché prevedendo sanzioni di diversa gravità (rispettivamente amministrative e penali) per la violazione delle relative disposizioni.
In un’altra importante decisione (Corte cost. 18 dicembre 2017, n. 272 sul bilanciamento tra interesse del minore e favor veritatis nell’impugnazione del riconoscimento) la Corte costituzionale ha messo in risalto il ruolo svolto dal divieto di surrogazione di maternità ai fini della regolamentazione degli interessi coinvolti nelle tecniche di procreazione medicalmente assistita, affermando che nonostante l’accentuato favor dimostrato dall’ordinamento per la conformità dello status di figlio alla realtà della procreazione, l’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento con gli altri interessi coinvolti, in particolare con l’interesse del minore alla conservazione dello status filiationis. In effetti il legislatore ha attribuito la prevalenza allo status filiationis prescrivendo l’inammissibilità del disconoscimento di paternità nei casi di ricorso alle tecniche di fecondazione assistita eterologa.
Proprio per questo motivo la Corte costituzionale ha rilevato che, a fianco dei casi in cui il bilanciamento è demandato al giudice, vi sono casi nei quali la valutazione comparativa tra gli interessi è fatta direttamente dalla legge, come accade, appunto, con il divieto di disconoscimento a seguito di fecondazione eterologa, mentre in altri casi il legislatore impone, all’opposto, l’imprescindibile presa d’atto della verità biologica con divieti come quello della maternità surrogata, confermando che in quest’ultimo caso l’interesse alla verità biologica riveste natura anche pubblica, in quanto correlato ad una pratica che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, ed essendo pertanto vietata dalla legge.
Non può pertanto condividersi il ragionamento seguito dalla Corte d’appello di Trento – concludono le Sezioni Unite nella parte in cui, pur riconoscendo nella disposizione di cui all’art. 12, comma 6, della legge 40/2014 il punto di equilibrio attualmente raggiunto a livello legislativo nella tutela dei differenti interessi fondamentali che vengono in considerazione nella materia, ha preteso di sostituire la propria valutazione a quella compiuta in via generale dal legislatore, attribuendo la prevalenza all’interesse dei minori alla conservazione dello status filiationis, nonostante la pacifica insussistenza di un rapporto biologico con il genitore intenzionale.
Tale prevalenza, d’altronde, non si traduce necessariamente nella cancellazione dell’interesse del minore, la cui tutela impone di tenere conto della presenza di strumenti legali idonei a consentire la costituzione di un legame giuridico con il genitore intenzionale, che, pur diverso da quello previsto dalla legge 40/2014 (il cui art. 8 prevede che i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime) garantisca al minore una adeguata tutela, come avviene con l’adozione in casi particolari, che, proprio facendo leva sull’interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura, individua nell’art. 44 lett. d) della legge 184/1983 una clausola di chiusura del sistema, volta a consentire il ricorso a tale strumento tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità della relazione affettiva ed educativa, all’unica condizione della “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, da intendersi non già come impossibilità di fatto, derivante da una situazione di abbandono del minore, bensì come impossibilità di diritto di procedere all’affidamento preadottivo (come affermato da Cass. civ. Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12962).
Perciò il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto nel nostro ordinamento giuridico e qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44 comma 1 lett. d) della legge 184/1983.