Di Gianfranco Dosi
I La ratio dell’articolo 12-bis della legge sul divorzio
L’articolo 12-bis della legge sul divorzio (legge 1° dicembre 1970, n. 898) inserito dall’articolo 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74, prevede che “il coniuge nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non pas¬sato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza”. “Tale percentuale – chiarisce poi il secondo comma – è pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”.
Mentre non sono comprensibili i motivi della fissazione al 40% della percentuale di trattamento di fine rapporto (e non ad altre percentuali), è condivisa l’opinione secondo cui il legislatore ha inse¬rito questa disposizione a titolo di riconoscimento solidaristico all’ex coniuge di una entità econo¬mica maturata nel corso del rapporto di lavoro durante il matrimonio e che al coniuge percipiente viene corrisposta al termine dell’attività lavorativa.
Alla base della disposizione normativa si rinvengono sia profili assistenzialistici, evidenziati dal fatto che la disposizione stessa presuppone la spettanza dell’assegno divorzile, sia, soprattutto, criteri di carattere compensativo, rapportati al contributo personale ed economico dato dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune. La finalità è quella di attuare una partecipazione, seppure posticipata, alle fortune economiche costruite insieme dai coniugi finché il matrimonio è durato. Invero, se l’indennità di fine rapporto di lavoro corrisponde ad una quota del trattamento economico maturata in costanza del matrimonio, è logico che il coniuge, il quale durante il matrimonio abbia contribuito alla formazione di tale trattamento, sia legittimato a fruirne per una quota parte.
Questi spunti ricostruttivi della ratio della norma compaiono in tutte le principali decisioni di legit¬timità in argomento (Cass. civ. Sez. VI – 1, 22 marzo 2018, n. 7239; Cass. Civ. Sez. VI, I, 2 22 maggio 2017, n. 12882; Cass. civ. Sez. VI – 1, 9 settembre 2016, n. 17883; Cass. civ. Sez. I, 7 marzo 2006, n. 4867; Cass. civ. Sez. I, 30 dicembre 2005, n. 28874; Cass. civ. Sez. I, 29 settembre 2005, n. 19046; Cass. civ. Sez. I, 10 gennaio 2005, n. 285; Cass., sez. I, 25 giugno 2003, n. 10075).
Poiché profili solidaristici sono anche presenti nel corso del matrimonio e nella vita da separati, ci si potrebbe legittimamente chiedere come mai il diritto ad una quota percentuale del trattamento di fine rapporto non sia stato previsto dal legislatore anche per il corso della vita matrimoniale e per il periodo della separazione. L’unica risposta ragionevole è che il legislatore ha voluto salva¬guardare l’ex coniuge non percipiente nel momento di maggior disagio economico coincidente con la condizione di divorziato (collegando strettamente, appunto, il diritto alla quota di TFR al diritto all’assegno divorzile) mentre per la vita matrimoniale anche da separati già esistono nel diritto di famiglia forme di compartecipazione di un coniuge ai redditi dell’altro (il diritto all’assistenza materiale, i regimi patrimoniali, la comunione de residuo, l’assegno di separazione, la possibilità di richiedere la modifica delle condizioni economiche della separazione).
II La domanda di divorzio come momento a partire dal quale sorge il diritto alla quota di indennità di fine rapporto percepito dall’altro coniuge
Strettamente collegato all’individuazione della ratio della disposizione è il problema dell’interpre¬tazione del testo della norma nella parte in cui e, come si è sopra visto, prevede espressamente che il diritto di un coniuge alla percentuale di TFR percepito dall’altro coniuge è riconosciuto “anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza”. Ci si è chiesti quale sia il significato di questa disposizione.
All’indomani della riforma del 1987 che introdusse nella legge sul divorzio l’articolo 12-bis due decisioni della Cassazione sostennero – dando una interpretazione letterale – che “il diritto di un coniuge ad una quota del trattamento di fine rapporto lavorativo percepito dall’altro coniuge, può essere attribuito pure nel caso in cui l’indennità sia maturata “prima di detta sentenza”, senza altro limite che non fosse quello della maturazione in un momento anteriore all’entrata in vigore della legge n.74 del 1987 ” (Cass. civ. Sez. I, 27 giugno 1995 n. 7249; Cass. civ. Sez. I, 29 maggio 1993 n 6047).
Fu una successiva sentenza a precisare meglio questo orientamento chiarendo che “Il dispo¬sto dell’articolo 12-bis della legge sul divorzio – nella parte in cui attribuisce al coniuge titolare dell’assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze, il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto dell’altro coniuge “anche quando tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio” – va interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto se l’indennità spettante all’altro coniuge venga a maturare dopo la proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio – in tal senso dovendosi intendere l’espressione “anche prima della sentenza di divorzio” e non anche quando essa sia maturata e sia stata percepita in data anteriore alla domanda di divorzio, eventualmente in pendenza del precedente giudizio di separazione” (Cass. civ. Sez. I, 7 giugno 1999, n. 5553).
Nella motivazione della sentenza – che si occupava di una vicenda in cui l’indennità attribuita era stata percepita in pendenza del giudizio di separazione – si affermava autorevolmente che tutte le disposizioni di carattere patrimoniale, non esclusa quella di cui all’art. 12-bis, contenute nella legge sul divorzio sono dirette a regolare i rapporti fra gli ex coniugi per il periodo successivo allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, prendendo in considerazione la situazione esistente al momento della pronuncia di divorzio. Per il periodo di separazione operano le disposizioni contenute nell’articolo 156 del codice civile, nonché, in caso di successione, quelle di cui all’articolo 548, mentre, per il periodo di costanza di matrimonio, i rapporti sono regolati dalle disposizioni che regolano il regime del rapporto di coniugio. Tra i coniugi separati, giudizialmente o consensualmente, nonché tra i coniugi prima della pronuncia di separazione, operano rispetti¬vamente, quindi, i regimi patrimoniali propri di tali istituti, che non prevedono in alcun modo la partecipazione diretta di un coniuge all’indennità di fine rapporto percepito dall’altro. Gli incre¬menti patrimoniali, realizzati in precedenza, in tanto rilevano in quanto sussistano al momento della pronuncia: ciò, del resto, trova applicazione in tema di scioglimento della comunione legale – ove su questa base sia regolato il regime patrimoniale della famiglia – parlandosi in proposito di comunione de residuo.
Si deve considerare – si legge nella sentenza – che il tribunale, in base all’articolo 4, comma 10, della legge sul divorzio, può disporre che l’obbligo di corrispondere l’assegno produca effetti fin dal momento della domanda. Il legislatore della riforma del 1987 ha previsto, quindi, una pos¬sibile anticipazione degli effetti del divorzio al momento della domanda, con riguardo agli effetti patrimoniali. Ciò consente di interpretare l’articolo 12-bis nel senso che il diritto alla quota del TFR (trattamento di fine rapporto) sorge anche se l’indennità matura prima della sentenza di divorzio, ma la maturazione deve avvenire in un momento in cui tale sentenza può produrre i suoi effetti e cioè quanto meno dal momento della proposizione della domanda, con la conseguenza che se l’indennità è maturata anteriormente a tale momento, la stessa non dà diritto ad alcuna quota, perché vengono in rilievo i diversi principi che regolano i rapporti economici tra coniugi.
A questa decisione si è conformata da allora tutta la giurisprudenza successiva (Cass. civ. Sez. VI – 1, 22 marzo 2018, n. 7239; Cass. civ. Sez. VI, 20 giugno 2014, n. 14129; Cass. civ. Sez. I, 23 ottobre 2001, n. 12995; Cass. civ. Sez. I, 18 marzo 2003, n. 3962; Cass. civ. Sez. I, 17 dicembre 2003, n. 19309; Cass. civ. Sez. I, 18 dicembre 2003, n. 19427; Cass. civ. Sez. I, 29 luglio 2004, n. 14459; Cass. civ. Sez. I, 29 settembre 2005, n. 19046; Cass. civ. Sez. I, 10 novembre 2006, n. 24057; Cass. civ. Sez. I, 16 dicembre 2010, n. 25520; Cass. civ. Sez. I, 06/06/2011, n. 12175).
L’interpretazione è stata fatta propria anche da tutta la giurisprudenza di merito (Tribunale Ge¬nova Sez. IV, 25 agosto 2017; Corte d’Appello Lecce, 19 ottobre 2015; Tribunale Bari, 28 luglio 2014; App. Roma, 5 ottobre 2011, Trib. Ivrea, 6 maggio 2010; Trib. Cassino, 19 febbraio 2010; Trib. Roma, Sez. I, 20 febbraio 2009; Trib. Novara, 8 ottobre 2008; App. Roma, 9 aprile 2008; Trib. Monza, Sez. IV, 16 ottobre 2007; Trib. Monza, Sez. IV, 8 maggio 2007; App. Napoli, Sez. I, 27 febbraio 2007; Trib. Perugia, 13 febbraio 2007; Trib. Monza, Sez. IV, 1 dicembre 2005; App. Napoli, 22 dicembre 2003; Trib. Napoli, 17 febbraio 2003).
La costituzionalità dell’articolo 12-bis della legge sul divorzio è stata confermata dalla Corte Costitu¬zionale fin da subito (Corte cost., 24 gennaio 1991, n. 23 dichiarò infondato il dubbio di illegit¬timità costituzionale della disposizione nella parte in cui attribuisce al divorziato una percentuale in misura fissa dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, rapportandola alla durata legale del matrimonio) mentre altre successive pronun¬ce hanno più volte dichiarato inammissibili identiche questioni di costituzionalità sollevate (Corte cost. 1 luglio 1993, n. 300; Corte cost. 26 maggio 1994, n. 199; Corte cost. 23 dicembre 1997, n. 437; Corte cost. 19 novembre 2002, n. 463).
III Che si intende per “indennità di fine rapporto”?
a) La tesi restrittiva della giurisprudenza
Secondo la tesi restrittiva seguita dalla giurisprudenza meno recente la quota di indennità di fine rapporto spettante, ai sensi della normativa sul divorzio, al coniuge titolare di assegno divorzile e non passato a nuove nozze, riguarderebbe unicamente quell’indennità comunque denominata, che, maturando alla cessazione del rapporto lavorativo, è determinata in proporzione alla durata del rapporto stesso ed all’entità della retribuzione corrisposta: non spetterebbe pertanto al coniu¬ge divorziato una parte di altri eventuali importi erogati, in occasione del venir meno del rapporto lavorativo, all’ex coniuge ad altro titolo come per esempio l’incentivo all’anticipato collocamento in quiescenza (Cass. civ. Sez. I, 17 aprile 1997, n. 3294).
Quindi l’indennità di fine rapporto comprende, secondo questo primo orientamento, tutti i tratta¬menti di fine rapporto – derivanti sia da lavoro subordinato, sia da lavoro parasubordinato – co¬munque denominati, che siano configurabili come quota differita della retribuzione, condizionata sospensivamente nella riscossione dalla risoluzione del rapporto di lavoro (Cass. civ. Sez. I, 17 dicembre 2003, n. 19309). Si deve aver riguardo, quindi, a quella parte della retribuzione, destinata al sostegno del nucleo durante la convivenza dei coniugi, percepita in forma differita e non può pertanto estendersi ad istituti di diversa natura, preminentemente previdenziale ed assi¬curativa, aventi origine in regimi professionali di natura privata, come l’indennità di cessazione dal servizio corrisposta ai notai (Cass. civ. Sez. I, 11 aprile 2003, n. 5720).
Pertanto, il diritto alla quota della indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, previsto dall’art. 12 bis della l. n. 898 del 1970 a favore del coniuge divorziato che sia titolare di assegno e che non sia passato a nuove nozze, sussiste con riferimento agli emolumenti collegati alla ces¬sazione di un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato che si correlino al lavoro dell’ex coniuge (Cass. civ. Sez. VI – 1, 9 settembre 2016, n. 17883 che, in relazione all’indennità spettante all’agente generale di un’agenzia di assicurazioni, ha ritenuto che tale diritto spetta uni¬camente ove l’attività dell’agente si risolva in una prestazione di opera continuativa e coordinata prevalentemente personale e non sia svolta attraverso una struttura organizzata, anche a livello embrionale, con ampi margini di autonomia, riguardo alla scelta dei tempi e dei modi di esercizio, e con assunzione di rischio a proprio carico).
b) I dubbi sull’inclusione dell’incentivo all’esodo nell’espressione “indennità di fine rapporto”
Nel 2013 due sentenze della Sezione Tributaria della Cassazione hanno ritenuto che le somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente (cosiddetti incentivi all’esodo) non hanno natura liberale né eccezionale, ma costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sol¬lecitare e rimunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto (Cass. civ. Sez. V, 31 maggio 2013, n. 13777 e Cass. civ. Sez. V, 24 luglio 2013, n. 17986 secondo cui la causa di siffatte prestazioni, pertanto, presupponendo una pattuizione, esclude che dette somme possano essere esentate dall’imposta, quali “sussidi occasionali” che, a differenza degli incentivi programmati, sono concessi estempora¬neamente e graziosamente, in coincidenza con rilevanti esigenze personali e familiari del lavorato¬re; tali somme, pertanto, saranno assoggettate alla tassazione separata di cui all’art. 16, comma primo, lettera a), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non rientrando nell’esenzione di cui all’art. 48, comma secondo, del medesimo D.P.R.).
A seguito di queste precisazioni Cass. civ. Sez. VI – 1, 12 luglio 2016, n. 14171 ha chiarito – richiamando le due precedenti sentenze della sezione tributaria – che in caso di divorzio, sono assoggettate alla disciplina di cui all’art. 12 bis della legge sul divorzio le somme corrisposte dal datore di lavoro come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente (cosiddetti incentivi all’e¬sodo), atteso che dette somme non hanno natura liberale né eccezionale ma costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sollecitare e remunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto.
Di contrario avviso, però, è stata una successiva sentenza del Tribunale di Milano secondo cui il diritto dell’ex coniuge a una quota del TFR percepito dall’altro, ai sensi dell’art. 12-bis della legge sul divorzio, non compete con riguardo a quelle somme che siano erogate a titolo di incentivo all’esodo (Tribunale Milano, 18 maggio 2017 dove si afferma che l’incentivo all’esodo ha natura sostanzialmente risarcitoria: erogato nell’ambito di una trattativa tra lavoratore e datore di lavoro finalizzata allo scioglimento del rapporto di lavoro, che mira a sostituire mancati guadagni futuri e che a differenza del TFR, non è costituito da somme accantonate durante il pregresso periodo lavorativo “coincidente con il matrimonio”, bensì va a sostituire un (mancato) reddito lavorativo futuro, ed al momento della sua erogazione in alcun modo è “riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”.
IV Il concetto di durata del matrimonio nell’art. 12-bis della legge sul divorzio
Si è detto che l’articolo 12-bis della legge sul divorzio prevede al secondo comma che l’indennità a cui ha diritto l’ex coniuge titolare di assegno non passato a nuove nozze è pari al quaranta per cen¬to dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro “è coinciso con il matrimonio”.
Con questa espressione si intende la “durata legale” del matrimonio (dalle nozze al giudicato sullo status).
Su questo aspetto la giurisprudenza non ha mai avuto dubbi ed ha sempre sostenuto che ai sensi dell’articolo 12-bis della legge sul divorzio ai fini della determinazione della quota dell’indennità di fine rapporto spettante all’ex coniuge, il legislatore si è ancorato ad un dato giuridicamente certo ed irreversibile quale la durata legale del matrimonio, anziché ad un elemento incerto e precario come la cessazione della convivenza, la quale non implica in modo automatico il totale venire meno della comunione di vita tra i coniugi, escludendo, pertanto, anche qualsiasi rilevanza della convivenza di fatto che abbia preceduto le nuove nozze del coniuge divorziato titolare del trattamento di fine rapporto (Cass. civ. Sez. I, 31 gennaio 2012, n. 1348; Cass. civ. Sez. I, 31 gennaio 2012, n. 1348; Cass. civ. Sez. I, 7 marzo 2006, n. 4867; Cass. civ. Sez. I, 6 luglio 2007, n. 15299; implicitamente anche Cass. civ. Sez. I, 3 settembre 1997, n. 8477).
Un’altra decisione (Cass., sez. I, 25 giugno 2003, n. 10075) ha richiamato l’attenzione sulla circostanza che nella concreta disciplina delle misure in favore del coniuge più debole previste dalla legge sul divorzio la durata del matrimonio costituisce parametro di rilievo centrale e corri¬sponde ad un criterio generale inteso non solo ad assicurare la certezza dei rapporti, ma anche, e soprattutto, a valorizzare la solidarietà economica che lega i coniugi durante il matrimonio, anco¬rando il periodo di riferimento ad un dato giuridicamente certo ed irreversibile, quale la durata del matrimonio, piuttosto che ad uno incerto e precario come la cessazione della convivenza.
In senso analogo anche la giurisprudenza di merito. Per esempio App. Catania, 17 maggio 2005 secondo cui la quota di TFR è rapportabile non agli anni di effettiva convivenza, bensì alla durata legale del rapporto matrimoniale in quanto il rapporto matrimoniale, non viene meno con la cessa¬zione della convivenza e con l’instaurarsi dello stato di separazione di fatto o legale, ma permane fino alla cessazione degli effetti civili.
V Che significa che l’ex coniuge deve essere titolare dell’assegno divorzile?
La formula usata dal legislatore nell’art. 12-bis, è analoga a quella usata dall’articolo 9, il quale subordina il diritto alla pensione di reversibilità, ovvero ad una quota di essa, alla circostanza che il coniuge superstite divorziato sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5 della medesima legge, cioè “all’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del tribunale”.
Ne discende, per ragioni d’ordine logico-sistematico (non potendosi dare, nell’ambito del me¬desimo testo legislativo e senza alcuna ragione, una diversa interpretazione a norme di uguale tenore), che il sorgere del diritto alla quota dell’indennità di fine rapporto non presuppone la mera titolarità in astratto di un assegno di divorzio (cioè la possibilità di beneficiarne) e neppure la per¬cezione, in concreto, di un assegno di mantenimento in base a convenzioni intercorse tra le parti, ma presuppone che l’assegno sia stato liquidato dal giudice nel giudizio di divorzio ai sensi dell’art. 5 citato ovvero successivamente quando si verifichino le condizioni per la sua attribuzione (Cass. civ. Sez. I, 1 agosto 2008, n. 21002).
Analogamente Trib. Milano Sez. X, 22 luglio 2011 che ha precisato che il diritto alla quota dell’indennità di fine rapporto da parte del’ex coniuge presuppone che l’assegno sia stato liquidato dal giudice nel giudizio di divorzio. L’orientamento era stato già precisato da Trib. Milano Sez. IX 18 giugno 2009 secondo cui il sorgere del diritto del coniuge divorziato a percepire una quota dell’indennità di fine rapporto non presuppone la mera debenza in astratto di un assegno divorzile ma presuppone che l’indennità di fine rapporto sia percepita dopo che una sentenza abbia liquida¬to un assegno ex articolo 5 della n. 898/70 ovvero dopo la proposizione del giudizio nel quale sia stato successivamente liquidato l’assegno di divorzio. L’orientamento è del tutto ragionevole anche se bisogna osservare che la disposizione di cui all’ar¬ticolo 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263 (“Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 9 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che per titolarità dell’assegno ai sensi dell’articolo 5 deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’as¬segno medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto articolo 5 della citata legge n. 898 del 1970”) sono state espressamente – e incomprensibilmente – previste solo per la norma sulla pensione di reversibilità (appunto l’articolo 9 della legge sul divorzio) e non anche per l’articolo 12-bis della medesima legge. Evidentemente il legislatore ha ritenuto di doversi più preoccupare del carico per il sistema previdenziale pensionistico del dubbio interpretativo che in giurisprudenza si era creato sul significato dell’espressione contenuta nell’articolo 9.
VI Quando è esigibile la quota di indennità di fine rapporto?
Ancorché il diritto all’attribuzione sorga dopo la domanda di divorzio esso sarà esigibile solo dopo la decisione passata in giudicato sull’assegno, essendo l’assegno divorzile il presupposto per l’at¬tribuzione (Cass. civ. Sez. I, 6 giugno 2011, n. 12175).
Pertanto il diritto riconosciuto dall’articolo 12-bis della legge sul divorzio e diretto ad ottenere la quota dell’indennità di fine rapporto diviene attuale e, dunque, azionabile in giudizio, nel momento in cui sorge per l’ex coniuge, con la cessazione del rapporto di lavoro, il diritto al relativo trattamento, sempre che il richiedente sia, allora, titolare di assegno di divorzio e non sia passato a nuove nozze (App. Roma, 17 dicembre 2008).
Secondo Trib. Milano, 19 marzo 2014 è inammissibile la domanda di riconoscimento del diritto alla quota di tale indennità prima che l’altro coniuge abbia maturato, con la cessazione del rappor¬to di lavoro, il diritto alla relativa percezione.
Molto opportunamente è stato anche detto, quindi, che la sussistenza delle condizioni previste dal¬la legge va verificata al momento in cui matura per l’altro ex coniuge il diritto alla corresponsione del trattamento di fine rapporto stesso, con la conseguenza che il diritto ad una quota di esso non sorge, ad esempio, a favore dell’ex coniuge passato a nuove nozze o che non sia più titolare di assegno di divorzio (Cass. civ. Sez. I, 10 febbraio 2004, n. 2466).
VII Come avviene il computo dell’indennità dovuta?
La giurisprudenza non ha mi preso posizione sul tema del perché il legislatore abbia fissato al 40% (e non ad una diversa quota) la percentuale dell’indennità di fine rapporto alla quale ha diritto l’ex coniuge titolare di assegno divorzile e non passato a nuove nozze.
Viceversa una decisione della Cassazione ha chiarito molto bene in che modo deve avvenire il cal¬colo della quota di indennità dovuta all’ex coniuge (Cass. civ. Sez. I, 6 luglio 2007, n. 15299).
La base su cui calcolare la percentuale ex art.12-bis primo comma della legge n.898 del 1970 è costituita dall’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro. Ne deriva, in base al coordinamento tra il primo ed il secondo comma dell’ar¬ticolo citato, che l’indennità dovuta deve computarsi calcolando il 40 per cento, (percentuale pre¬vista dal comma 2), dell’indennità totale percepita alla fine del rapporto di lavoro, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro coincise con il rapporto matrimoniale; risultato che si ottiene dividendo l’indennità percepita per il numero degli anni di durata del rapporto di lavoro, moltipli¬cando il risultato per il numero degli anni in cui il rapporto di lavoro sia coinciso con il rapporto matrimoniale e calcolando il 40 per cento su tale importo.
VIII Il problema se la quota di indennità possa essere richiesta nel giudizio di divorzio
Alla domanda se la quota dell’indennità di fine rapporto possa essere chiesta nel giudizio di di¬vorzio la giurisprudenza ha risposto in modo incerto, ma la giurisprudenza più recente appare largamente favorevole.
In passato la giurisprudenza si era dichiarata contraria al cumulo facendo notare che il presupposto per l’attribuzione della quota di fine rapporto è costituito dal giudicato sull’assegno divorzile e che quindi la condanna dovrebbe essere una specie di condanna condizionata al giudicato (Cass. civ. Sez. I, 23 agosto 2006, n. 18367 secondo cui non vi sarebbe spazio per una sentenza di condan¬na condizionata prima che l’altro coniuge abbia maturato, con la cessazione del rapporto di lavoro, il diritto alla relativa percezione, atteso che la titolarità in concreto dell’assegno post-matrimoniale e il mancato passaggio a nuove nozze rappresentano, non semplici condizioni di erogabilità del benefi¬cio in relazione ad un diritto già sorto, ma veri e propri elementi costitutivi, l’uno in positivo e l’altro in negativo, del diritto alla detta percentuale, i quali devono sussistere e vanno accertati allorché, con la cessazione del rapporto di lavoro dell’”ex” coniuge, quel diritto si attualizza).
Si era anche in precedenza dichiarata contraria Cass. civ. Sez. I, 23 marzo 2004, n. 5719 ritenendo inammissibile, per difetto di interesse, nell’ambito del giudizio di divorzio la domanda proposta da un coniuge contro l’altro diretta a ottenere una pronuncia – di mero accertamento – dichiarativa dell’esistenza e della titolarità del diritto a una quota dell’indennità di fine rapporto allorché questi cesserà la propria attività lavorativa, atteso che in caso di azione di accertamento l’interesse ad agire sussiste unicamente qualora vi sia l’esigenza di rimuovere una oggettiva e pre¬giudizievole situazione di incertezza dipendente da atti o fatti concreti e non da mere supposizioni.
Più di recente si sono, invece, pronunciate in senso favorevole Cass. civ. Sez. I, 14 novembre 2008, n. 27233 e Cass. civ. Sez. I, 10 aprile 2012, n. 5654 in quanto l’evidente connessione tra la domanda di attribuzione di una quota di TFR, fondata sull’ articolo 12-bis della legge sul divorzio e la domanda di assegno divorzile, il cui riconoscimento condiziona l’accoglimento della prima domanda, giustifica la proposizione di questa nell’ambito del procedimento di divorzio, risul¬tando contrario al principio di economia processuale esigere che, nel caso di liquidazione dell’in¬dennità di fine rapporto durante detto procedimento, la domanda di attribuzione di una sua quota sia proposta attraverso l’instaurazione di un giudizio separato tra le medesime parti; pertanto, diventando il relativo diritto attuale, quindi azionabile, nel momento in cui, cessato il rapporto di lavoro dell’ex coniuge, questi percepisce detta indennità, deve considerarsi ammissibile la doman¬da anche nel corso della causa di divorzio.
Analogamente ha deciso il tribunale di Milano (Trib. Milano Sez. IX, 2 febbraio 2010).
Il cumulo tra domanda per l’attribuzione del TFR e domanda sull’assegno è stato anche ammesso nel procedimento di revisione delle condizioni di divorzio (Cass. civ. Sez. I, 12 marzo 2012, n. 3924).
IX È possibile per l’ex coniuge agire direttamente nei confronti del terzo erogatore dell’indennità?
A questa domanda il tribunale di Torino ha dato risposta positiva sostenendo che “se è pur vero che l’articolo 12-bis non prevede espressamente, per l’adempimento in executivis dell’obbligo di corri-spondere la quota d’indennità di fine rapporto, le stesse opportunità concesse all’avente diritto, a determinate condizioni, nei confronti dei terzi debitori dell’obbligato, per l’adempimento degli oneri relativi al mantenimento dei figli (articolo 148, co. 2, c.c.), al mantenimento ed agli alimenti per il coniuge separato (articolo 156, co. 6, c.c.), all’assegno di divorzio ed al contributo per il manteni¬mento dei figli in regime di divorzio dei genitori è pur vero che l’azione diretta nei confronti dell’ex datore di lavoro del ex coniuge, che peraltro non è esclusa dalla lettera dell’art. 12-bis, risponde alla ratio della legge sul divorzio volta a tutelare il coniuge più debole” (Trib. Torino Sez. lavoro, 29 ottobre 2009).
D’altro lato la stessa Corte costituzionale (Corte cost. 6 luglio 2001, n. 237) dopo aver dichia¬rato non fondato – in riferimento all’articolo 3 della Costituzione – il dubbio di illegittimità costitu¬zionale dell’articolo 12-bis nella parte in cui non prevede che il coniuge, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di divorzio, possa ottenere direttamente dal datore di lavoro dell’ex coniuge la quota dell’indennità di fine rapporto prevista nella stessa disposizione, ha poi espressamente dichiarato la manifesta infondatezza della medesima questione sostenendo che “da un lato, le concrete modalità di attribuzione della provvidenza economica non sono coperte dalla garanzia costituzionale e rappresentano una scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore; e dall’altro, il giudice rimettente, non sussistendo allo stato un diritto vivente in argomento, ben avrebbe potuto fornire una lettura diversa della norma impugnata”.
Quindi la Corte costituzionale lascia intravedere una opzione interpretativa che consentirebbe uno spazio di azione esecutiva nei confronti direttamente del terzo erogatore della indennità.
X Che succede se il coniuge percettore dell’indennità ha goduto di anticipazioni del TFR?
L’articolo 2120 del codice civile (modificato dalla legge 29 maggio 1982, n. 297) consente al la¬voratore a certe condizioni, tipicamente individuate, di chiedere e ottenere anticipazioni del TFR fino al 70% del trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del lavoro al momento della richiesta.
Ove queste anticipazioni siano state godute è evidente che l’indennità che verrà percepita alla cessazione del lavoro sarà inferiore a quella spettante ove le anticipazioni non vi fossero state.
Ebbene, l’articolo 12-bis della legge sul divorzio non prende in considerazione questa ipotesi (no¬nostante che sia stato inserito nella legge sul divorzio nel 1987 e quindi dopo le modifiche intro¬dotte all’articolo 2120 del codice civile) ma parla di “indennità percepita all’atto della cessazione del rapporto di lavoro” lasciando intendere che il diritto dell’ex coniuge possa essere preteso nei confronti dell’indennità “percepita” effettivamente e non quella che “sarebbe stata percepita” ove non vi fossero state le anticipazioni.
Favorevole a questa soluzione è la giurisprudenza.
Così per esempio Cass. civ. Sez. VI, 29 ottobre 2013, n. 24421 e Cass. civ. Sez. I, 18 dicembre 2003, n. 19427 hanno affermato che deve essere cassata la pronuncia del giudice del merito che, ai fini della quantificazione di tale quota, abbiano preso in considerazione l’intera indennità percepita, senza dare alcun rilievo al momento in cui erano state versate varie antici¬pazioni, atteso che l’anticipo, una volta accordato dal datore di lavoro e riscosso dal lavoratore, entra nel suo patrimonio e non può essere revocato, così determinandosi la definitiva acquisizione del relativo diritto. Analogamente ha deciso App. Napoli, 27 luglio 2004 affermando che la percentuale dell’inden¬nità va computata non sull’indennità totale percepita, ma sulla sola porzione di essa maturata a seguito degli specifici accantonamenti realizzati durante il matrimonio, con esclusione quindi della parte accantonata dopo la sentenza di divorzio.
XI L’articolo 12-bis della legge sul divorzio si applica anche in caso di morte del coniuge lavoratore?
È pacifica in giurisprudenza l’applicabilità dell’articolo 12-bis della legge sul divorzio anche in caso di morte dell’ex coniuge lavoratore.
Ai sensi dell’art. 12 bis legge divorzio, l’ex-coniuge titolare di assegno ai sensi dell’art. 5 legge cit. ha diritto, se non passato a nuove nozze, a una percentuale dell’indennità di fine rapporto dell’altro coniuge, non rilevando che la stessa maturi per morte di questi o per altra causa (Cass. civ. Sez. I, 20 settembre 2000, n. 12426; Cass. civ. Sez. I, 10 gennaio 2005, n. 285) e quindi “a seguito della morte del divorziato che abbia contratto un nuovo matrimonio, l’ex coniuge (titolare dell’assegno divorzile) ha diritto, in concorso con il coniuge superstite, non solo ad una quota della pensione di reversibilità, ma anche a una quota della indennità di fine rapporto” (Cass. civ. Sez. I, 4 febbraio 2000, n. 1222; Cass. civ. Sez. I, 19 settembre 2008, n. 23880).
XII Che succede se l’ex coniuge utilizza il TFR per la previdenza integrativa?
La normativa previdenziale complementare introdotta in Italia nel 1993 (decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124) prevedeva la possibilità di erogazione di prestazioni pensionistiche ulteriori e complementari rispetto al sistema obbligatorio pubblico, mediante l’istituzione di Fondi pensione gestiti da enti appositi e finanziati da contributi volontari di natura previdenziale versati al fondo dagli iscritti i quali potevano anche dirottare nel Fondo, tutto o parte del loro TFR.
Per i dipendenti privati il sistema della previdenza complementare ha avuto poi una fortunata rifor¬ma con la legge 243/2004 e con il successivo decreto legislativo 252/2005 che dal 2007 prevede che i lavoratori devono scegliere se far confluire tutto il loro TFR maturando, nel fondo pensione complementare (con scelta irrevocabile) o lasciarlo in azienda (con scelta sempre revocabile) per l’acquisizione del trattamento di fine rapporto con le modalità tradizionali.
In relazione a questo meccanismo ci si deve chiedere se l’accantonamento del TFR in un fondo pensione possa successivamente all’attribuzione pensionistica o al momento dell’eventuale riscat¬to determinare per l’ex coniuge il diritto ad una percentuale di tale trattamento (ex art. 12-bis legge divorzio), posto che quel trattamento è stato realizzato anche con accantonamenti del TFR.
A questa domanda ha dato risposta affermativa una recente giurisprudenza.
In particolare Cass. Civ. Sez. VI, I, 22 maggio 2017, n. 12882 dopo aver premesso che il di¬ritto all’attribuzione di una quota della indennità di fine rapporto che sia stata percepita dall’altro coniuge, previsto nell’art. 12-bis della legge sul divorzio a favore del coniuge divorziato che sia titolare di assegno e che non sia passato a nuove nozze, sussiste con riferimento agli emolumenti collegati alla cessazione di un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato che si correlino al lavoro dell’ex coniuge, ha precisato che le quote di fondi previdenziali derivanti dall’accantonamento di parte della retribuzione non sarebbero assimilabili a prestazioni corrisposte in dipendenza di un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione, e non sono quindi qualificabili, neppure in via analogica, come redditi di capitale (e qui la sentenza richiama i principi analoghi già affermati da Cass. civ. Sez. V, 2 aprile 2007, n. 8200 e Cass. civ. Sez. V, 24 febbraio 2010, n. 4425) ma, “in quanto destinate, secondo le intenzioni, ad essere corrisposte dopo la cessazione del rapporto di lavoro, trovano in quest’ultimo la loro fonte giustificatrice, ed essendo volte a compensare la perdita di redditi futuri hanno natura di retribuzione differita e funzione previdenziale, tale da giustificare l’applicazione in via analogica del regime fiscale previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16, 18 e 48, per il T.F.R. e le altre indennità ad esso equiparabili”.
Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. VI – 1, 22 marzo 2018, n. 7239 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’espressione, contenuta nella L. 10 dicembre 1970, n. 898, art. 12-bis, secondo cui il coniuge ha diritto alla quota del trattamento di fine rapporto anche se questo “viene a maturare dopo la sentenza” implica che tale diritto deve ritenersi attribuibile anche ove il trattamento di fine rapporto sia maturato prima della sentenza di divorzio, ma dopo la proposizione della relativa domanda, quando invero ancora non possono esservi soggetti titolari dell’assegno divorzile, divenendo essi tali dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio ovvero di quella, ancora successiva, che lo abbia liquidato; infatti, poichè la “ratio” della norma è quella di correlare il diritto alla quota di indennità, non ancora percepita dal coniuge cui essa spetti, all’assegno divorzile, che in astratto sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, ancorchè di regola venga costituito e divenga esigibile solo con il passaggio in giudicato della sentenza che lo liquidi, ne derivi che, indipendentemente dalla decorrenza dell’assegno di divorzio, ove l’indennità sia percepita dall’avente diritto dopo la domanda di divorzio, al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell’assegno è riconnessa l’attribuzione del diritto alla quota di T.F.R. (Nel caso di specie la Corte d’appello ha correttamente applicato la norma, l’art. 12-bis, oggetto di censura, avendo individuato nella data di cessazione del rapporto di lavoro, a seguito di licen¬ziamento, quella nella quale è sorto il diritto del D.Q. al TFR ed avendo negato, conformemente all’orientamento di codesta Corte sopra richiamato, il diritto per l’odierna ricorrente a riceverne una quota, quale ex coniuge, essendo stato proposto il ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio in un arco cronologico suc¬cessivo alla maturazione del diritto dl TRF in capo al marito).
L’art. 12-bis della l. n. 898 del 1970 – nella parte in cui stabilisce, in favore del coniuge titolare dell’assegno divorzile, il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, “anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza”, deve essere interpretato nel senso che tale diritto può sorgere anche prima della sentenza di divorzio, ma dopo la proposizione della relativa domanda, coerentemente con la natura costi¬tutiva della sentenza sullo “status” e con la possibilità, ai sensi dell’art. 4 della l. n. 898 del 1970, di stabilire la retroattività degli effetti patrimoniali della sentenza a partire dalla data della domanda.
Tribunale Genova Sez. IV, 25 agosto 2017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La disposizione di cui all’art. 12 bis della legge n. 898 del 1970 (Divorzio), nella parte in cui attribuisce al coniu¬ge, non passato a nuove nozze, cui sia stato riconosciuto l’assegno divorzile, il diritto ad una quota dell’inden¬nità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza, deve essere interpretata nel senso che il diritto alla quota sorge quando l’indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio, ma non già prima della domanda.
Cass. Civ. Sez. VI, I, 22 maggio 2017, n. 12882 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto all’attribuzione di una quota della indennità di fine rapporto che sia stata percepita dall’altro coniuge, che è previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 12 bis, a favore del coniuge divorziato che sia titolare di assegno e che non sia passato a nuove nozze, sussiste con riferimento agli emolumenti collegati alla cessazione di un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato che si correlino al lavoro dell’ex coniuge. In materia di quote di fondi previdenziali derivanti dall’accantonamento di parte della retribuzione vanno anche ricordate le sentenze (Cass. civ. sez. 5, n. 4425 del 24 febbraio 2010 e Cass. civ. sez. 5, n. 8200 del 2 aprile 2007) secondo cui “le quote del Fondo di previdenza aziendale dell’Isveimer corrisposte agli iscritti, ai sensi del D.L. 24 settembre 1996, n. 497, art. 4, convertito in L. 19 novembre 1996, n. 588, a seguito della messa in liquidazione del pre¬detto ente, non sono assimilabili a prestazioni corrisposte in dipendenza di un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione, e non sono quindi qualificabili, neppure in via analogica, come redditi di capitale” e, “in quanto destinate, secondo le intenzioni, ad essere corrisposte dopo la cessazione del rapporto di lavoro, trovano in quest’ultimo la loro fonte giustificatrice, ed essendo volte a compensare la perdita di redditi futuri hanno natu¬ra di retribuzione differita e funzione previdenziale, tale da giustificare l’applicazione in via analogica del regime fiscale previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16, 18 e 48, per il T.F.R. e le altre indennità ad esso equiparabili”.
Tribunale Milano, 18 maggio 2017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto dell’ex coniuge a una quota del TFR dell’ex congiunto, ai sensi dell’art. 12-bis della L. n. 898/1970, non compete con riguardo a quelle somme che siano erogate a titolo di incentivo all’esodo. Questo istituto, infatti, ha natura sostanzialmente risarcitoria: erogato nell’ambito di una trattativa tra lavoratore e datore di lavoro finalizzata allo scioglimento del rapporto di lavoro, mira a sostituire mancati guadagni futuri (lucro cessante). A differenza del TFR, dunque, l’incentivo all’esodo non è costituito da somme accantonate durante il pregresso periodo lavorativo “coincidente con il matrimonio”, bensì va a sostituire un (mancato) reddito lavorativo futuro, ed al momento della sua erogazione in alcun modo è “riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”.
Cass. civ. Sez. VI – 1, 9 settembre 2016, n. 17883 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto ad una quota della indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, previsto dall’art. 12 bis della l. n. 898 del 1970 a favore del coniuge divorziato che sia titolare di assegno e che non sia passato a nuove nozze, sussiste con riferimento agli emolumenti collegati alla cessazione di un rapporto di lavoro subordinato o parasu¬bordinato che si correlino al lavoro dell’ex coniuge, sicché, nel caso di indennità spettante all’agente generale di un’agenzia di assicurazioni, tale diritto spetta unicamente ove l’attività dell’agente si risolva in una prestazione di opera continuativa e coordinata prevalentemente personale e non sia svolta attraverso una struttura orga¬nizzata, anche a livello embrionale, con ampi margini di autonomia, riguardo alla scelta dei tempi e dei modi di esercizio, e con assunzione di rischio a proprio carico.
La legge n. 898 del 1970, art. 12 bis, nel riconoscere al coniuge divorziato titolare di assegno che non sia pas¬sato a nuove nozze il diritto ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, mira a realizzare una forma di partecipazione, sia pure posticipata, alle fortune economiche costruite insieme dai coniugi finchè il matrimonio è durato, ovvero ad imporre la ripartizio¬ne tra i coniugi di un’entità economica maturata nel corso del rapporto di lavoro e del matrimonio, in tal modo soddisfacendo esigenze di natura non solo assistenziale (evidenziate dal richiamo alla spettanza dell’assegno di divorzio), ma anche compensativa, rapportate cioè al contributo personale ed economico fornito dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune: si è pertanto escluso che con la locuzione inden¬nità di fine rapporto il legislatore abbia inteso riferirsi specificamente all’istituto previsto dallo art. 2120 c.c., per i lavoratori subordinati privati, osservandosi che la norma in esame non menziona neppure il rapporto di lavoro subordinato, e concludendosi che essa rinvia ad una nozione più generica, comprensiva anche degli emolumenti collegati alla cessazione di rapporti di lavoro parasubordinato, tra i quali va inclusa l’indennità dovuta in caso di risoluzione del rapporto di agenzia (cfr. Cass., Sez. 130 dicembre 2005, n. 28874).
Cass. civ. Sez. VI – 1, 12 luglio 2016, n. 14171 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In caso di divorzio, sono assoggettate alla disciplina di cui all’art. 12 bis della l. n. 898 del 1970 le somme cor-risposte dal datore di lavoro come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente (cd. incentivi all’esodo), atteso che dette somme non hanno natura liberale né eccezionale ma costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sollecitare e remunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto.
Le somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle di¬missioni anticipate del dipendente (cosiddetti “incentivi all’esodo”) non hanno natura liberale né eccezionale, ma costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sollecitare e remunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto. (Nel caso di specie, nessuna specifica ragione era stata addotta dal ricorrente a sostegno del ricorso se non quella di non aver ritenuto fondata la sua tesi interpretativa secondo cui il contributo all’acquisto dell’immobile in favore dell’ex moglie e dei figli avrebbe dovuto esentarlo dal versare la quota di pertinenza dell’ex coniuge dell’incentivo all’esodo percepito dal datore di lavoro).
Corte d’Appello Lecce, 19 ottobre 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di separazione, l’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970, attribuisce al coniuge titolare dell’assegno divorzile, che non sia passato a nuove nozze, il diritto ad una quota del trattamento di fine rapporto dell’altro coniuge. Per la liquidazione di tale quota occorre avere riguardo a quanto percepito da quest’ultimo, per detta causale, solo dopo l’instaurazione del giudizio divorzile, escludendosi, quindi, eventuali somme riscosse durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale.
Tribunale Bari, 28 luglio 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di diritto della (ex) moglie a una quota del trattamento di fine rapporto del (l’ex) marito, ai sensi dell’art. 12-bis della legge n. 898/1970, il diritto alla quota del TFR viene costituito e diviene esigibile solo con il passaggio in giudicato della sentenza che liquidi l’assegno di divorzio; da ciò consegue, quindi, che, anche in¬dipendentemente dalla decorrenza dell’assegno di divorzio, ove l’indennità sia percepita dall’avente diritto dopo la domanda di divorzio, l’attribuzione del diritto alla quota di T.F.R. dovrà pur sempre essere subordinata al defi¬nitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell’assegno. Detto in altri termini, l’art. 12-bis citato condiziona il diritto alla percentuale del trattamento di fine rapporto in questione al diritto all’assegno di divorzio e quindi, prima che tale diritto sia accertato con sentenza passata in giudicato, la domanda di attribuzione di detta percentuale non può essere accolta.
Cass. civ. Sez. VI, 20 giugno 2014, n. 14129 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di divorzio, l’art. 12 bis della legge 10 dicembre 1970, n. 898 – secondo il quale il coniuge nei cui con¬fronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno divorzile, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza – va interpretato nel senso che il diritto alla predetta quota sorge anche se l’indennità spettante all’altro coniuge sia maturata nel corso della procedura di divorzio.
Trib. Milano, 19 marzo 2014 (Famiglia e Diritto, 2014, 7, 710)
In tema di conseguenze patrimoniali dello scioglimento del matrimonio, con riferimento alla percentuale dell’in¬dennità di fine rapporto, di cui all’art. 12 bis legge divorzio, è inammissibile la domanda di riconoscimento del diritto alla quota di tale indennità prima che l’altro coniuge abbia maturato, con la cessazione del rapporto di lavoro, il diritto alla relativa percezione.
Cass. civ. Sez. VI, 29 ottobre 2013, n. 24421 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 12 bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898, laddove attribuisce al coniuge titolare dell’assegno di cui al precedente art. 5, che non sia passato a nuove nozze, il diritto ad una quota del trattamento di fine rapporto dell’altro coniuge, va interpretato nel senso che per la liquidazione di tale quota occorre avere riguardo a quanto percepito da quest’ultimo, per detta causale, dopo l’instaurazione del giudizio divorzile, escludendosi, quindi, eventuali anticipazioni riscosse durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale, essendo le stes¬se definitivamente entrate nell’esclusiva disponibilità dell’avente diritto.
La quota del trattamento di fine rapporto dell’altro coniuge, riconosciuta dall’art. 12 bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898, a quello titolare dell’assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze, deve liquidarsi sulla base di quanto dal primo riscosso, per tale causale, al netto delle imposte, altrimenti trovandosi lo stesso a doverla corrispondere in relazione ad un importo da lui non percepito siccome gravato dal carico fiscale.
Cass. civ. Sez. V, 24 luglio 2013, n. 17986 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Le somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle di¬missioni anticipate del dipendente (cosiddetti incentivi all’esodo) non hanno natura liberale né eccezionale, ma costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sollecitare e rimunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto. La cau¬sa di siffatte prestazioni, pertanto, presupponendo una pattuizione, esclude che dette somme possano essere esentate dall’imposta, quali “sussidi occasionali” che, a differenza degli incentivi programmati, sono concessi estemporaneamente e graziosamente, in coincidenza con rilevanti esigenze personali e familiari del lavoratore. Tali somme, pertanto, saranno assoggettate alla tassazione separata di cui all’art. 16, comma primo, lettera a), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non rientrando nell’esenzione di cui all’art. 48, comma secondo, del medesimo d.P.R.
Cass. civ. Sez. V, 31 maggio 2013, n. 13777 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di IRPEF le somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente, costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo prede¬terminate al fine di rimunerare il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto, in funzione del ristoro di un lucro cessante; le stesse sono assoggettate alla tassazione separata alla stregua delle “altre inden¬nità e somme” di cui all’art. 16, primo comma, lettera a), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo “ratione temporis” vigente), percepite “una tantum” in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro; inoltre, ai sensi del successivo art. 17, secondo comma, l’aliquota applicabile alla base imponibile, determinata unicamente in relazione all’ammontare netto delle dette indennità, è sempre quella calcolata in sede di tassazione del trat¬tamento di fine rapporto, a prescindere dalla circostanza che le stesse siano erogate dal datore di lavoro oppure da soggetti diversi da quest’ultimo. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Venezia, 15/03/2006)
Cass. civ. Sez. I, 10 aprile 2012, n. 5654 (Famiglia e Diritto, 2012, 12, 1114 nota di NUNIN)
L’evidente connessione tra la domanda di attribuzione di una quota del trattamento di fine rapporto e quella di assegno divorzile giustifica la proposizione della prima nell’ambito del procedimento di divorzio, risultando contrario al principio di economia processuale esigere che, nel caso di liquidazione dell’indennità, la domanda di attribuzione della quota debba proporsi mediante un giudizio autonomo tra le stesse parti.
Cass. civ. Sez. I, 12 marzo 2012, n. 3924 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La domanda di revisione dell’assegno di divorzio e quella riconvenzionale di riconoscimento di una quota di t.f.r. sono oggettivamente connesse ai sensi dell’art. 36 cod. proc. civ., perché il diritto all’assegno, di cui si discute nel giudizio di revisione, è il presupposto di entrambe, non rilevando, inoltre, se il diritto alla quota del t.f.r. maturi successivamente alla sentenza di divorzio; pertanto, l’art. 40 cod. proc. civ. ne consente il cumulo nello stesso processo, sebbene si tratti di azioni di per sé soggette a riti diversi.
Cass. civ. Sez. I, 31 gennaio 2012, n. 1348 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La quota di TFR spettante al coniuge divorziato, ai sensi dell’art. 12 legge n. 898/1970, va calcolata tenendo conto unicamente del criterio della durata del matrimonio. (Nella specie, la Corte ha infatti precisato che è irri¬levante il periodo della convive
Cass. civ. Sez. I, 31 gennaio 2012, n. 1348 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini della determinazione della quota dell’indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell’art. 12-bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (introdotto dall’art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74), all’ex coniuge, il legislatore si è ancorato ad un dato giuridicamente certo ed irreversibile quale la durata del matrimonio, piuttosto che ad un elemento incerto e precario come la cessazione della convivenza, la quale non implica in modo automatico il totale venire meno della comunione di vita tra i coniugi, escludendo, pertanto, anche qualsiasi rilevanza della convivenza di fatto che abbia preceduto le nuove nozze del coniuge divorziato titolare del trattamento di fine rapporto.
App. Roma, 5 ottobre 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’articolo 12-bis della legge 898 del 1970 va interpretato nel senso che il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge sorge solo quando l’indennità sia maturata al momento o dopo la pro¬posizione della domanda di divorzio e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio, implicando ogni diversa interpretazione profili di incostituzionalità della norma.
Trib. Milano, Sez. IX, 22 luglio 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto alla quota dell’indennità di fine rapporto da parte del’ex coniuge non presuppone la mera debenza in astratto di un assegno di divorzio e neppure la percezione, in concreto, di un assegno di mantenimento, frutto di convenzioni ed accordi tra le parti, richiedendo, invece, che l’assegno sia stato liquidato dal giudice nel giudizio di divorzio.
Cass. civ. Sez. I, 6 giugno 2011, n. 12175 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’espressione, contenuta nell’articolo 12-bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898, secondo cui il coniuge ha di¬ritto alla quota del trattamento di fine rapporto anche se questo “viene a maturare dopo la sentenza” implica che tale diritto deve ritenersi attribuibile anche ove il trattamento di fine rapporto sia maturato prima della sentenza di divorzio, ma dopo la proposizione della relativa domanda, quando invero ancora non possono esservi soggetti titolari dell’assegno divorzile, divenendo essi tali dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio ovvero di quella, ancora successiva, che lo abbia liquidato. Poiché la “ratio” della norma è quella di correlare il diritto alla quota di indennità, non ancora percepita dal coniuge cui essa spetti, all’assegno divorzile, che in astratto sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, ancorché di regola venga costituito e divenga esigibile solo con il passaggio in giudicato della sentenza che lo liquidi, ne deriva che, indipendentemente dalla decorrenza dell’assegno di divorzio, ove l’ indennità sia percepita dall’avente diritto dopo la domanda di divor¬zio, al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell’assegno è riconnessa l’attribuzione del diritto alla quota di T.F.R.
Cass. civ. Sez. I, 16 dicembre 2010, n. 25520 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il disposto dell’articolo 12-bis della legge 898/70 – nella parte in cui attribuisce al coniuge titolare dell’assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto dell’altro coniuge “anche quando tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio” – va interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto se l’ indennità spettante all’altro coniuge venga a maturare al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa – in tal senso dovendosi intendere l’espressione “anche prima della sentenza di divorzio”, implicando ogni diversa interpreta¬zione indiscutibili profili di incostituzionalità della norma in parola.
Trib. Ivrea, 6 maggio 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il disposto dell’articolo 12-bis della legge 898/70 – nella parte in cui attribuisce al coniuge titolare dell’assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto dell’altro co¬niuge “anche quando tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio” – va interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto se l’ indennità spettante all’altro coniuge venga a maturare al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa – in tal senso dovendosi intendere l’espressione “anche prima della sentenza di divorzio”, implicando ogni diversa interpreta¬zione indiscutibili profili di incostituzionalità della norma in parola.
Trib. Cassino, 19 febbraio 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di divorzio, è fondata e meritevole di pregio, la domanda in forza della quale il coniuge titolare dell’as¬segno divorzile e che non sia passato a nuove nozze, avanza al fine di veder riconosciuto il proprio diritto alla corresponsione di una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge . Siffatto diritto, riconosciuto ai sensi dell’articolo 12-bis della legge 898/1970, sussiste ogni qualvolta la predetta indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio.
Cass. civ. Sez. V, 24 febbraio 2010, n. 4425 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di IRPEF, le quote del Fondo di previdenza aziendale dell’Isveimer corrisposte agli iscritti, ai sensi dell’art. 4 del decreto-legge 24 settembre 1996, n. 497, convertito in legge 19 novembre 1996, n. 588, a seguito della messa in liquidazione del predetto ente, non sono assimilabili a prestazioni corrisposte in dipen¬denza di un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione, e non sono quindi qualificabili, neppure in via analogica, come redditi di capitale; esse non hanno nemmeno natura risarcitoria, non essendo volte a compensare gli aventi diritto del sacrificio loro imposto o della perdita del trattamento integrativo (il cui ri¬storo, peraltro, sarebbe risultato comunque assoggettabile a tassazione, ai sensi dell’art. 6, comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), ma ad estinguere immediatamente i loro crediti a costi ridotti; esse, in quanto destinate, secondo le intenzioni, ad essere corrisposte dopo la cessazione del rapporto di lavoro, trova¬no in quest’ultimo la loro fonte giustificatrice, ed essendo volte a compensare la perdita di redditi futuri hanno natura di retribuzione differita e funzione previdenziale, tale da giustificare l’applicazione in via analogica del regime fiscale previsto dagli artt. 16, 18 e 48del d.P.R. n. 917 del 1986 per il trattamento di fine rapporto e le altre indennità ad esso equiparabili.
Trib. Milano Sez. IX, 2 febbraio 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di divorzio, l’evidente connessione tra la domanda di attribuzione di una quota di TFR, fondata sull’ar¬ticolo 12-bis della legge 898/1970 e la domanda di assegno divorzile, il cui riconoscimento condiziona l’acco¬glimento della prima domanda, giustifica la proposizione di questa nell’ambito del procedimento di divorzio, risultando contrario al principio di economia processuale esigere che, nel caso di liquidazione dell’indennità di fine rapporto durante detto procedimento, la domanda di attribuzione di una sua quota sia proposta attraverso l’instaurazione di un giudizio separato tra le medesime parti: pertanto, diventando il relativo diritto attuale, quin¬di azionabile, nel momento in cui, cessato il rapporto di lavoro dell’ex coniuge, questi percepisce detta indennità, deve considerarsi tempestiva e non lesiva del diritto al contraddittorio la formulazione della predetta domanda nelle note di replica di cui il giudice istruttore abbia consentito il deposito, fissando un’udienza successiva dove controparte abbia avuto la possibilità di contraddire.
Trib. Torino Sez. lavoro, 29 ottobre 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Se è pur vero che l’articolo 12-bis della legge 898/70 non prevede espressamente, per l’adempimento in executi¬vis dell’obbligo di corrispondere la quota d’indennità di fine rapporto le stesse opportunità concesse all’avente di¬ritto, a determinate condizioni, nei confronti dei terzi debitori dell’obbligato, per l’adempimento degli oneri relativi al mantenimento dei figli (articolo 148, comma 2, codice civile), al mantenimento ed agli alimenti per il coniuge separato (articolo 156, comma 6, codice civile), all’assegno di divorzio ed al contributo per il mantenimento dei figli in regime di divorzio dei genitori (articolo 8 comma 3 legge 898/70, novellato dalla legge n. 74/1987, è pur vero che l’azione diretta nei confronti dell’ex datore di lavoro del ex coniuge, che peraltro non è esclusa dalla lettera dell’art. 12-bis, risponde alla ratio della legge sul divorzio volta a tutelare il coniuge più debole.
Trib. Milano, Sez. IX, 18 giugno 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il sorgere del diritto del coniuge divorziato a percepire una quota dell’indennità di fine rapporto non presuppone la mera debenza in astratto di un assegno divorzile ma presuppone che l’indennità di fine rapporto sia percepita dopo che una sentenza abbia liquidato un assegno ex articolo 5 della n. 898/70 ovvero dopo la proposizione del giudizio nel quale sia stato successivamente liquidato l’assegno di divorzio.
App. Roma, 25 febbraio 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’assegno di divorzio trova fondamentale presupposto per la sua attribuzione nell’esigenza di porre rimedio, in base ad un superiore principio solidaristico, allo stato di disagio economico in cui venga a trovarsi la parte più debole in dipendenza dello scioglimento del vincolo matrimoniale. Il diritto del coniuge titolare di assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze ad una quota dell’ indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge spetta ogni qualvolta tale indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio, infatti, il tenore letterale dell’espressione “anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza” usata dal legislatore nella formulazione dell’art. 12-bis della legge n. 898/70 rende evidente che la previsione di tale ultima ipotesi rappresenta un ampliamento rispetto all’evenienza tipica in cui l’indennità maturi prima di tale momento e quindi all’epoca di proposizione della domanda di divorzio (o successivamente), con la sola eccezione per il caso in cui il beneficio in questione sia maturato prima di detta domanda.
Trib. Roma, Sez. I, 20 febbraio 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 12-bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898, prevede che il diritto del coniuge alla quota d’ indennità del trattamento di fine rapporto sorge quando la stessa indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda giudiziale, quindi anche prima della sentenza di divorzio, implicando ogni diversa interpretazione profili di incostituzionalità della norma.
Cass. civ. Sez. I, 14 novembre 2008, n. 27233 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di divorzio, l’evidente connessione tra la domanda di attribuzione di una quota di TFR, fondata sull’ art. 12-bis della legge 1 dicembre 1970 n. 898, e la domanda di assegno divorzile, il cui riconoscimento condiziona l’accoglimento della prima domanda, giustifica la proposizione di questa nell’ambito del procedimento di divorzio, risultando contrario al principio di economia processuale esigere che, nel caso di liquidazione dell’indennità di fine rapporto durante detto procedimento, la domanda di attribuzione di una sua quota sia proposta attraverso l’instaurazione di un giudizio separato tra le medesime parti; pertanto, diventando il relativo diritto attuale, quindi azionabile, nel momento in cui, cessato il rapporto di lavoro dell’ex coniuge , questi percepisce detta indennità, deve considerarsi tempestiva e non lesiva del diritto al contraddittorio la formulazione della predetta domanda nelle note di replica di cui il giudice istruttore abbia consentito il deposito, fissando un’udienza succes¬siva dove controparte abbia avuto la possibilità di contraddire.
App. Roma, 17 dicembre 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto riconosciuto dall’art. 12-bis della legge n. 898/70 e diretto ad ottenere la quota dell’indennità di fine rapporto diviene attuale e, dunque, azionabile in giudizio, nel momento in cui sorge per l’ex coniuge con la ces¬sazione del rapporto di lavoro, il diritto al relativo trattamento, sempre che il richiedente sia, allora, titolare di assegno di divorzio e non sia passato a nuove nozze.
Trib. Novara, 8 ottobre 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Secondo un orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto sorge solo se l’indennità spettante all’altro coniuge venga a maturare al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa e non quando essa sia maturata e sia stata percepita in data anteriore.
Cass. civ. Sez. I, 19 settembre 2008, n. 23880 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In caso di scioglimento del rapporto di lavoro a causa di morte del dipendente, ai fini della ripartizione della indennità di fine rapporto tra coniuge divorziato e coniuge superstite del defunto, aventi entrambi i requisiti per la relativa attribuzione, va applicato il criterio della durata dei rispettivi matrimoni, di cui all’art. 9, terzo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 13 della legge 1 marzo 1987, n. 74, riferito alla quota legale di spettanza del coniuge superstite, come previamente determinata, anche eventualmente in ragione del concorso con altri superstiti aventi diritto sul medesimo emolumento.
Cass. civ. Sez. I, 1 agosto 2008, n. 21002 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di divorzio, la formula usata dal legislatore nell’art. 12 bis, aggiunto alla legge 1 dicembre 1970, n. 898 dall’art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74, per attribuire al coniuge il diritto ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto è analoga a quella usata dal precedente articolo 9, il quale subordina il diritto alla pensione di reversibilità, ovvero ad una quota di essa, alla circostanza che il coniuge superstite divorziato sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5 della medesima legge, cioè “all’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del tribunale” (art. 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263); ne discende, da ragioni d’ordine logico-sistematico, non potendosi dare, nell’ambito del medesimo testo legislativo e senza alcuna ragione, una diversa interpretazione a norme di uguale tenore, che il sorgere del diritto alla quota dell’ indennità di fine rapporto non presuppone la mera debenza in astratto di un assegno di divorzio e neppure la percezione, in concreto, di un assegno di mantenimento in base a convenzioni intercorse tra le parti, ma presuppone che l’assegno sia stato li¬quidato dal giudice nel giudizio di divorzio ai sensi dell’art. 5 citato ovvero successivamente quando si verifichino le condizioni per la sua attribuzione ai sensi dell’art. 9 citato.
App. Roma, 9 aprile 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto del coniuge titolare di assegno divorzile, che non sia passato a nuove nozze, ad una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, spetta ogni qualvolta tale indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio. Del resto, il tenore letterale dell’espressione “anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza” usata dal legislatore rende evidente che la previsione di tale ultima ipotesi rappresenta un ampliamento rispetto alla evenienza tipica in cui l’indennità maturi prima di tale momento, e quindi all’epoca di proposizione della domanda di divorzio o successivamente, mentre resta ferma l’insussistenza del diritto alla quota in questione quando il TFR sia maturato prima di quest’ultima domanda.
Trib. Monza, Sez. IV, 16 ottobre 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto del coniuge titolare dell’assegno divorzile, che non sia passato a nuove nozze, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto lavorativo, sorge soltanto se l’indennità spettante all’altro coniuge venga a maturare al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa e non anche quando essa sia maturata e sia stata percepita in data anteriore. In tale ipotesi la riscossione dell’indennità può solo incidere sulla situazione economi¬ca del coniuge obbligato e determinare eventualmente una variazione dell’entità dell’assegno di mantenimento.
Cass. civ. Sez. I, 6 luglio 2007, n. 15299 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di determinazione della quota di indennità di buonuscita, cui ha diritto il coniuge, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, se non passato a nuove nozze, la base su cui calcolare la percentuale ex art.12 “bis” primo comma della legge n.898 del 1970 è costituita dall’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro. Ne deriva, in base al coordinamento tra il primo ed il secondo comma dell’articolo citato, che l’indennità dovuta deve computarsi calcolando il 40 per cento, (percentuale prevista dal comma 2), dell’indennità totale percepita alla fine del rapporto di lavoro, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro coincise con il rap¬porto matrimoniale; risultato che si ottiene dividendo l’indennità percepita per il numero degli anni di durata del rapporto di lavoro, moltiplicando il risultato per il numero degli anni in cui il rapporto di lavoro sia coinciso con il rapporto matrimoniale e calcolando il 40 per cento su tale importo.
Trib. Monza, Sez. IV, 8 maggio 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Deve disattendersi la richiesta di attribuzione di una parte della indennità di fine rapporto erogata all’ex coniu¬ge, atteso che il diritto del coniuge titolare dell’assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze ad una percentuale della indennità di fine rapporto sorge solo quando la stessa venga a maturare al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa e non anche quando sia maturata o percepita, come nella specie, in data anteriore.
Cass. Civ. Sez. V, 2 aprile 2007, n. 8200
In tema di IRPEF, le quote del Fondo di previdenza aziendale dell’Isveimer corrisposte agli iscritti, ai sensi dell’art. 4 del decreto-legge 24 settembre 1996, n. 497, convertito in legge 19 novembre 1996, n. 588, a seguito della messa in liquidazione del predetto ente, non sono assimilabili a prestazioni corrisposte in dipendenza di un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione, e non sono quindi qualificabili, neppure in via ana¬logica, come redditi di capitale; esse non hanno nemmeno natura risarcitoria, non essendo volte a compensare gli aventi diritto del sacrificio loro imposto o della perdita del trattamento integrativo (il cui ristoro, peraltro, sarebbe risultato comunque assoggettabile a tassazione, ai sensi dell’art. 6, comma secondo, del d.P.R. 22 di¬cembre 1986, n. 917), ma ad estinguere immediatamente i loro crediti a costi ridotti; esse, in quanto destinate, secondo le intenzioni, ad essere corrisposte dopo la cessazione del rapporto di lavoro, trovano in quest’ultimo la loro fonte giustificatrice, ed essendo volte a compensare la perdita di redditi futuri hanno natura di retribuzione differita e funzione previdenziale, tale da giustificare l’applicazione in via analogica del regime fiscale previsto dagli artt. 16, 18 e 48del d.P.R. n. 917 del 1986 per il trattamento di fine rapporto e le altre indennità ad esso equiparabili.
App. Napoli, Sez. I, 27 febbraio 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di divorzio, l’art. 12 bis della L. 1 dicembre 1970, n. 898 che attribuisce al coniuge cui sia stato ricono¬sciuto l’assegno ex art. 5 della stessa legge e non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, deve essere interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge se l’ indennità sia già maturata alla data di proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o maturi successivamente ad essa, e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio.
Trib. Perugia, 13 febbraio 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto, previsto dall’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970 in favore del coniuge titolare di assegno divorzile, alla quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, non sorge ove l’indennità sia maturata e percepita dopo la pronuncia di separazione e di determinazione dell’assegno ed anteriormente alla proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio; in tal caso, la riscossione dell’in¬dennità di fine rapporto da parte del coniuge separato può solo incidere sulla situazione economica del coniuge obbligato e legittimare una modifica delle condizioni della separazione.
Cass. civ. Sez. I, 10 novembre 2006, n. 24057 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di divorzio, a norma dell’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970, che attribuisce al coniuge titolare dell’assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota della indennità di fine rapporto dell’altro coniuge, tale diritto spetta ogni qualvolta la indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio.
Trib. Novara, 3 ottobre 2006 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto del coniuge divorziato ad una parte dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, prevista dall’art. 12-bis della legge n. 898/1970, costituisce uno degli effetti patrimoniali del divorzio e richiede, quali presupposti per il suo riconoscimento, che il richiedente non sia passato a nuove nozze e che gli sia riconosciuto un assegno divorziale. Alla base di tale disposizione normativa, con cui si provvede alla ripartizione di un’en¬tità economica maturata nel corso del rapporto di lavoro e del matrimonio grazie anche al contributo dell’altro coniuge, si rinvengono sia profili assistenzialistici, evidenziati dal fatto che la disposizione stessa presuppone la spettanza dell’assegno divorziale, sia, soprattutto, criteri di carattere compensativo, rapportati al contributo personale ed economico dato dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quelle comune. Tale contributo, inoltre, deve essere valutato con riferimento all’intera durata del matrimonio, in quanto esso non cessa col venir meno della convivenza e con l’instaurarsi dello stato di separazione, di fatto o legale che sia, posto che la cessazione della convivenza non comporta automaticamente il totale venir meno della comunione materiale e spirituale di vita fra i coniugi.
Cass. civ. Sez. I, 23 agosto 2006, n. 18367 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
con riferimento alla percentuale dell’indennità di fine rapporto, di cui all’art. 12-bis l. div., non v’è spazio per una sentenza di condanna condizionata prima che l’altro “ex” coniuge abbia maturato, con la cessazione del rapporto di lavoro, il diritto alla relativa percezione, atteso che la titolarità in concreto dell’assegno post-matrimoniale e il mancato passaggio a nuove nozze rappresentano, non semplici condizioni di erogabilità del beneficio in relazione ad un diritto già sorto, ma veri e propri elementi costitutivi (l’uno in positivo e l’altro in negativo) del diritto alla detta percentuale, i quali devono sussistere e vanno accertati allorché, con la cessazione del rapporto di lavoro dell’”ex” coniuge, quel diritto si attualizza.
Cass. civ. Sez. I, 7 marzo 2006, n. 4867 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini della determinazione della quota dell’indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell’art. 12-bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (introdotto dall’art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74), all’ex coniuge, il legisla¬tore si è ancorato ad un dato giuridicamente certo ed irreversibile quale la durata del matrimonio, piuttosto che ad un elemento incerto e precario come la cessazione della convivenza, escludendo, pertanto, anche qualsiasi rilevanza della convivenza di fatto che abbia preceduto le nuove nozze del coniuge divorziato titolare del tratta¬mento di fine rapporto.
L’articolo 12-bis della legge sul divorzio si inserisce nel plesso normativo concernente la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra divorziati, con la previsione della spettanza all’ex coniuge, nell’ambito dei principi soli¬daristici cui si ispira anche la disposizione relativa alla corresponsione allo stesso di una quota della pensione di reversibilità, di una quota parte del trattamento di fine rapporto dovuto all’altro ex coniuge, subordinatamente alla condizione positiva della sussistenza del suo diritto all’assegno divorale ed a quella negativa del mancato passaggio a nuove nozze. Alla base di tale disposizione normativa, con la quale si provvede alla ripartizione di un’entità economica maturata nel corso del rapporto di lavoro e del matrimonio grazie anche al contributo de¬terminante dell’altro coniuge, si rinvengono sia profili assistenzialistici, evidenziati dal fatto che la disposizione stessa presuppone la spettanza dell’assegno divorale, sia, soprattutto, criteri di carattere compensativo, rappor¬tati al contributo personale ed economico dato dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune. Invero, se l’indennità di fine rapporto di lavoro corrisponde ad una quota del trattamento eco¬nomico maturata in costanza di questo, è logico che il coniuge, il quale durante il matrimonio abbia contribuito alla formazione di tale trattamento, sia per questa parte legittimato a fruirne. Infatti l’indennità di fine rapporto assolve anche nei confronti di tale coniuge, per il periodo di coincidenza tra i rapporti di matrimonio e di lavoro, la funzione latamente previdenziale che le è propria.
Non può pertanto dubitarsi della natura patrimoniale dell’obbligo dell’ex coniuge di corrispondere all’altro ex coniuge la quota, spettantegli per legge, del trattamento di fine rapporto percepita all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, con la conseguenza che, in caso di morte del coniuge tenuto alla prestazione, detto obbligo, qualora rimasto inadempiuto, rientra nell’asse ereditario, gravando sugli eredi del de cuius.
Quanto alla determinazione della quota di indennità di fine rapporto spettante all’ex coniuge, le considerazioni che precedono inducono a ritenere che il contributo da questo fornito alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune debba esser valutato con riferimento all’intera durata del matri¬monio, in quanto esso non cessa col venir meno della convivenza e con l’instaurarsi dello stato di separazione, di fatto o legale.
Invero, la cessazione della convivenza non comporta immediatamente e automaticamente il totale venir meno della comunione materiale e spirituale di vita tra i coniugi.
Cass. civ. Sez. I, 7 marzo 2006, n. 4867 (Famiglia e Diritto, 2007, 2, 151 nota di PITTALIS)
E’ lo stesso legislatore che, nel rapportare la quota di trattamento di fine rapporto spettante all’ex coniuge agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio, ha ritenuto opportuno ancorarsi ad un dato giu¬ridicamente certo e irreversibile quale la durata del matrimonio, senza possibilità di ricorso a criteri correttivi, piuttosto che ad un elemento incerto e precario come la cessazione della convivenza, escludendo in tal modo anche qualsiasi rilevanza in tale fattispecie, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, della convivenza di fatto che abbia eventualmente preceduto le nuove nozze del coniuge divorziato, titolare del trattamento di fine rapporto.
Cass. civ. Sez. I, 30 dicembre 2005, n. 28874 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’articolo 12 bis della legge n. 898 del 1970, nel riconoscere all’ex coniuge (non passato a nuove nozze e titolare di assegno divorzile) una quota dell’”indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazio¬ne del rapporto di lavoro”, pari al “ quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”, non menziona esplicitamente il rapporto di lavoro subordinato ma usa una locuzione più generica “rapporto di lavoro” che ben si attaglia ai rapporti di lavoro parasubordinato, quale, nella specie, quello di agenzia.
Essendo la ratio dell’art. 12-bis comunemente individuata nel fine di attuare una partecipazione, seppure posti¬cipata, alle fortune economiche costruite insieme dai coniugi finché il matrimonio è durato, ovvero di realizzare la ripartizione tra i coniugi di un’entità economica maturata nel corso del rapporto di lavoro e del matrimonio, così soddisfacendo esigenze (non solo di natura assistenziale, evidenziate dal richiamo alla spettanza dell’asse¬gno di divorzio ma) anche di natura compensativa, rapportate cioè al contributo personale ed economico dato dall’ ex coniuge alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, non vi è ragione per escludere dall’ambito di applicazione della disposizione le indennità spettanti all’agente di assicurazione, alla cessazione del rapporto di agenzia.
Trib. Monza, Sez. IV, 1 dicembre 2005 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Solo nel momento in cui sopravviene il divorzio sorge l’obbligo di corrispondere all’ex coniuge una quota del trattamento di fine rapporto alle condizioni stabilite dall’art. 12-bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898: tuttavia, tale obbligo, ed il correlativo diritto dell’ex coniuge alla quota di tale indennità, sorge unicamente con riferimen¬to all’indennità maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio, mentre per il periodo precedente continua ad operare il principio della piena disponibilità da parte del destinatario di tale attribuzione patrimoniale.
Cass. civ. Sez. I, 29 settembre 2005, n. 19046 (Guida al Diritto, 2005, 44, 63)
Il diritto alla quota dell’indennità di fine rapporto dell’altro coniuge, anche quando tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio, richiamato dall’articolo 12-bis della legge 898 del 1970, va interpretato nel senso che tale diritto sorge soltanto se il trattamento spettante all’altro coniuge sia maturato successivamente alla proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio, e quindi anche prima della sentenza di di¬vorzio, e non anche se esso sia maturato e sia stato percepito in data anteriore, come in pendenza del giudizio di separazione, potendo in tal caso la riscossione dell’indennità incidere solo sulla situazione economica del coniuge tenuto a corrispondere l’assegno ovvero legittimare una modifica delle condizioni di separazione. Nell’ipotesi in cui l’indennità sia maturata in costanza di matrimonio, la stessa deve ritenersi normalmente utilizzata per i bisogni della famiglia, e nella parte in cui residua al momento della separazione costituisce elemento idoneo a determinare le condizioni economiche del coniuge obbligato e a incidere sulla quantificazione dell’assegno, mentre se matura in pendenza del giudizio di separazione resta operante il principio di piena disponibilità delle attribuzioni patrimoniali da parte del destinatario, nel rispetto delle norme generali fissate dall’ordinamento, salva la necessità di valutazione di tale attribuzione in sede di assetto economico della separazione.
pp. Catania, 17 maggio 2005 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La sola circostanza che uno dei coniugi ha diritto all’assegno divorzile conferma la condizione di essere il coniuge economicamente più debole e, quindi, creditore della quota di indennità di fine rapporto riconosciutogli con la sentenza appellata, secondo la quota fissata dalla legge; peraltro, la quota di TFR è rapportabile non agli anni di effettiva convivenza, bensì alla durata legale del rapporto matrimoniale in quanto esso rapporto, non viene meno con la cessazione della convivenza e con l’instaurarsi dello stato di separazione di fatto o legale, ma permane fino alla cessazione degli effetti civili.
Cass. civ. Sez. I, 10 gennaio 2005, n. 285 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970, introdotto dall’art. 16 della legge n. 74 del 1987, a norma del quale l’ex coniuge titolare di assegno ai sensi dell’art. 5 della citata legge n. 898 ha diritto, se non passato a nuove nozze, a una percentuale dell’indennità di fine rapporto “percepita” dall’altro coniuge “all’atto della cessazione del rap¬porto di lavoro”, trova applicazione anche nella ipotesi di decesso dell’obbligato in costanza di rapporto, in quanto essa riguarda tutti i casi in cui il t.f.r. sia comunque spettante al lavoratore, anche se non ancora percepito, senza che rilevi in contrario la circostanza che l’art. 2122 cod. civ. non indichi, tra gli aventi diritto alla indennità di fine rapporto (coniuge, figli, e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado), l’ex coniuge. Ed infatti, la citata disposizione codicistica, anteriore alla entrata in vigore della legge sul divorzio, si limita a disciplinare l’attribuzione del t.f.r. in caso di morte del lavoratore, mentre l’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970 si inserisce nel plesso normativo concernente la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra divorziati, con la previsione della spettanza all’ex coniuge, nell’ambito dei principi soli¬daristici cui si ispira anche la disposizione relativa alla corresponsione allo stesso di una quota della pensione di reversibilità, di una quota parte del t.f.r. dovuto all’altro ex coniuge, subordinatamente alla condizione positiva della sussistenza del suo diritto all’assegno divorzile ed a quella negativa del mancato passaggio a nuove nozze. Ne consegue la irragionevolezza di una opzione ermeneutica che escluda il diritto dell’ex coniuge ad una quota della indennità per il servizio già prestato, maturata dall’altro coniuge, per effetto di una circostanza accidentale, quale il decesso di quest’ultimo in costanza del rapporto di lavoro.
Cass. civ. Sez. I, 29 luglio 2004, n. 14459 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto, previsto dall’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970 in favore del coniuge titolare di assegno divorzile, alla quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, non sorge ove l’indennità sia maturata e percepita dopo la pronuncia di separazione e di determinazione dell’assegno ed anteriormente alla proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio; in tal caso, la riscossione dell’in¬dennità di fine rapporto da parte del coniuge separato può solo incidere sulla situazione economica del coniuge obbligato e legittimare una modifica delle condizioni della separazione.
Gli incrementi patrimoniali realizzati precedentemente alla pronuncia di divorzio in tanto rilevano, in quanto sussistono al momento della pronuncia; ne consegue, pertanto, che se l’indennità relativa al trattamento di fine rapporto è maturata in costanza di matrimonio, la stessa è stata già utilizzata per i bisogni della famiglia e, nella parte in cui residua al momento della separazione concorre a determinare le condizioni economiche del coniuge obbligato e incide sulla quantificazione dell’assegno di cui all’articolo 156 del codice civile; mentre, se matura in costanza di giudizio di separazione, colui il quale la riceve può egualmente liberamente disporne, salva la ne¬cessità della valutazione al fine della determinazione delle sue condizioni economiche. Ove, invece, maturi dopo la pronuncia di separazione e di determinazione dell’assegno, essa può solo incidere sulla situazione economica del coniuge obbligato e legittimare una modifica delle condizioni della separazione ai sensi dell’articolo 710 del codice di procedura civile.
App. Napoli, 27 luglio 2004 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
All’ex coniuge divorziato beneficiario di assegno divorzile e non risposato spetta una percentuale dell’indennità di fine rapporto, pari al 40%, spettante all’altro ex coniuge, da computarsi non sull’indennità totale percepita, ma sulla sola porzione di essa maturata a seguito degli specifici accantonamenti realizzati durante il matrimonio, con esclusione quindi della parte accantonata dopo la sentenza di divorzio.
Cass. civ. Sez. I, 23 marzo 2004, n. 5719 (Guida al Diritto, 2004, 19, 50)
Nell’ambito del giudizio di divorzio è inammissibile, per difetto di interesse, la domanda proposta da un coniuge contro l’altro e diretta a ottenere una pronuncia – di mero accertamento – dichiarativa dell’esistenza e della tito¬larità del diritto a una quota dell’indennità di fine rapporto allorché questi cesserà la propria attività lavorativa, atteso che in caso di azione di accertamento l’interesse ad agire sussiste unicamente qualora vi sia l’esigenza di rimuovere una oggettiva e pregiudizievole situazione di incertezza dipendente da atti o fatti concreti e non da mere supposizioni.
Cass. civ. Sez. I, 10 febbraio 2004, n. 2466 (Arch. Civ., 2004, 1469)
Ai fini del riconoscimento della quota dell’indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell’art. 12-bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (introdotto dall’art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74), all’ex coniuge, la sussistenza delle condizioni previste dalla legge va verificata al momento in cui matura per l’altro ex coniuge il diritto alla corresponsione del trattamento di fine rapporto stesso, con la conseguenza che il diritto ad una quota di esso non sorge, ad esempio, a favore dell’ex coniuge passato a nuove nozze o che non sia più titolare di assegno di divorzio.
App. Napoli, 22 dicembre 2003 (Guida al Diritto, 2004, 14, 64)
Il disposto dell’articolo 12-bis della legge 1° dicembre 1970 n. 898 – introdotto dall’articolo 16 della legge 6 mar¬zo 1987 n. 74 – nella parte in cui attribuisce al coniuge, al quale è stato riconosciuto l’assegno ex articolo 5 della stessa legge e che non sia passato a nuove nozze, il diritto a una quota dell’indennità di fine rapporto, anche nel caso in cui tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio, deve essere interpretato, nel rispetto delle intenzioni del legislatore, nel senso che il diritto alla quota sorge solo qualora l’indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda e quindi anche prima della sentenza di divorzio.
Cass. civ. Sez. I, 18 dicembre 2003, n. 19427 (Guida al Diritto, 2004, 7, 69)
L’articolo 12-bis della legge n. 898 del 1970 (introdotto dall’articolo 16 della legge n. 74 del 1987) nella parte in cui attribuisce al coniuge cui è stato riconosciuto l’assegno di divorzio il diritto a una quota dell’indennità di fine rapporto, anche nel caso in cui tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio, deve essere interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge al momento o dopo la proposizione della domanda e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio. Deriva da quanto precede, pertanto, che ove la domanda introduttiva del giudizio di divorzio risulti proposta nel 1990 e che l’indennità in questione è matura nel 1993, anteriormente alla sentenza di divorzio, correttamente il giudice del merito attribuisce, all’altro coniuge il diritto al godimento di una quota di tale indennità.
In tema di attribuzione, al coniuge cui è stato riconosciuto un assegno di divorzio, del diritto a una quota dell’in¬dennità di fine rapporto percepita dall’altro, deve essere cassata la pronuncia del giudice del merito che ai fini della quantificazione di tale quota abbia preso in considerazione la durata del rapporto di lavoro, la corrispon¬dente durata del rapporto matrimoniale nonché l’intera indennità percepita, senza dare alcun rilievo al momento in cui erano state versate varie anticipazioni (momento nella specie pacificamente anteriore, per due di esse, all’entrata in vigore della legge n. 74 del 1987), atteso che l’anticipo, una volta accordato dal datore di lavoro e riscosso dal lavoratore, entra nel suo patrimonio e non può essere revocato, così determinandosi la definitiva acquisizione del relativo diritto, su cui non può incidere l’eventuale mutamento della legislazione in materia.
Cass. civ. Sez. I, 17 dicembre 2003, n. 19309 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di attribuzione di una quota dell’indennità di fine rapporto al coniuge titolare dell’assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze (art. 12-bis della legge n. 898 del 1970), la locuzione indennità di fine rapporto comprende tutti i trattamenti di fine rapporto – derivanti sia da lavoro subordinato, sia da lavoro parasubordinato – comunque denominati, che siano configurabili come quota differita della retribuzione, condizionata sospensiva¬mente nella riscossione dalla risoluzione del rapporto di lavoro; pertanto, l’indennità premio di servizio erogata dall’I.N.A.D.E.L. (al quale è subentrato l’I.N.P.D.A.P.) prevista dall’art. 2 della legge n. 152 del 1968, per i di¬pendenti degli enti locali, già configurata dalla giurisprudenza costituzionale come sostanzialmente equivalente, nella struttura normativa e nella finalità, alla indennità di buonuscita stabilita per i dipendenti statali (sentenze n. 46 del 1983, n. 110 del 1981, n. 115 del 1979), e completamente equiparata a quest’ultima a seguito delle modifiche introdotte dagli artt. 6 e 7 della legge n. 29 del 1979 e art. 22 del D.L. n. 359 del 1987, convertito nella legge n. 440 del 1987, deve essere compresa tra le indennità di fine rapporto previste dall’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970, in quanto costituisce una parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corre¬sponsione è differita alla data di cessazione del rapporto,
In materia di attribuzione di una quota dell’indennità di fine rapporto al coniuge titolare dell’assegno divorale che non sia passato a nuove nozze, l’art. 12 bis, legge n. 898 del 1970, nella parte in cui disciplina il relativo diritto, va interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge se l’indennità spettante all’altro coniuge sia già maturata alla data di proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o maturi successivamente ad essa, in coerenza con la natura costitutiva della sentenza di divorzio e con la possibilità, ai sensi dell’art. 4, decimo comma, legge n. 898 del 1970, di stabilire la retroattività degli effetti patrimoniali della sentenza di cessione degli effetti civili del matrimonio a far data dalla domanda.
Cass. civ. Sez. I, 25 giugno 2003, n. 10075 (Famiglia e Diritto, 2004, 267 nota di PACIA DEPINGUENTE)
La disposizione dell’art. 12 bis L. n. 898 del 1 dicembre 1970 – che regola il diritto del coniuge avente diritto all’assegno di divorzio (e non passato a nuove nozze) di conseguire una quota del trattamento di fine rapporto spettante all’altro coniuge – individua come parametro per la determinazione di detta percentuale la durata del matrimonio e non già quella della effettiva convivenza, valorizzando, con intento la cui piena ragionevolezza è stata riconosciuta anche dalla Corte costituzionale (sent. n. 23 del 1991), il contributo che il coniuge più debole normalmente continua a fornire durante il periodo di separazione, soprattutto nel caso in cui sia affidatario di figli minori, e nel contempo ancorando il periodo di riferimento ad un dato giuridicamente certo ed irreversibile, quale la durata del matrimonio, piuttosto che ad uno incerto e precario come la cessazione della convivenza.
Cass. civ. Sez. I, 11 aprile 2003, n. 5720 (Famiglia e Diritto, 2003, 5, 435 nota di GIULIANO)
La quota “dell’indennità di fine rapporto” spettante, ai sensi dell’art. 12-bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (introdotto dall’art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74), al coniuge titolare dell’assegno divorzile e non passato a nuove nozze ha riguardo a quella parte della retribuzione, destinata al sostegno del nucleo durante la convivenza dei coniugi, percepita in forma differita. Tale previsione, riferita alla retribuzione in senso tecnico, tipica del rapporto di lavoro subordinato, pubblico o privato che sia, non può pertanto essere estesa ad istituti di diversa natura, preminentemente previdenziale ed assicurativa, aventi origine in regimi professionali di natura privata, come l’indennità di cessazione dal servizio corrisposta ai notai, accomunata agli altri trattamenti di fine rapporto solo dalla scadenza al momento della cessazione dell’attività. È pertanto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970 al riguardo sollevata in riferi¬mento all’art. 3 Cost., in quanto a situazioni di fatto diverse ben può il legislatore attribuire regimi diversi, ed in riferimento all’art. 38 Cost., il cui ambito attiene ai compiti dello Stato verso i più deboli e non impone oneri ai coniugi in quanto tali; né è configurabile violazione dell’art. 29 Cost., non venendo in rilievo il principio di parità nel matrimonio.
Cass. civ. Sez. I, 18 marzo 2003, n. 3962 (Guida al Diritto, 2003, 18, 50)
II diritto a una quota del trattamento di fine rapporto, attribuito al coniuge divorziato ai sensi e nei limiti di cui all’articolo 12-bis della legge n. 898 del 1970, sussiste alla duplice condizione temporale che tale indennità ma¬turi contemporaneamente o successivamente alla domanda introduttiva del giudizio di divorzio e comunque dopo l’entrata in vigore della legge n. 1987 del 1974.
Trib. Napoli, 17 febbraio 2003 (Giur. It., 2003, 2286)
Il diritto del coniuge ad una quota della indennità di fine rapporto percepito dall’altro coniuge sorge anche prima della sentenza di divorzio solo qualora l’indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio. Corte cost. 19 novembre 2002, n. 463 (Giur. Costit., 2002, f. 6)
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale. dell’art. 12 bis comma 1 l. dicembre 1970 n. 898, introdotto dall’art. 16 l. 6 marzo 1987 n. 74, censurato, in riferimento agli 3, 29 comma 2 e 38 com¬ma 1 cost., nella parte in cui prevede – secondo l’orientamento giurisprudenziale assunto come diritto vivente – il diritto del coniuge non passato a nuove nozze e titolare di assegno divorzile ad una quota del trattamento di fine rapporto percepito dall’altro coniuge solo qualora detto trattamento non sia maturato prima della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio, in quanto, premesso che lo scioglimento del matrimonio ha caratteristiche ed esigenze di regolamentazione diverse da quelle che informano la disciplina dei rapporti patri¬moniali tra coniugi durante la fase della separazione personale, l’estensione al coniuge separato della misura pa¬trimoniale anzidetta comporterebbe l’emissione di una pronuncia di tipo additivo volta ad introdurre, in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, un istituto diverso da quello cui si riferiscono le proposte censure, con evidente indebita intromissione nella discrezionalità del legislatore.
Corte cost. 6 luglio 2001, n. 237 (Giust. Civ., 2002, I, 20)
Non è fondata – in riferimento all’art. 3 cost.- la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 bis l. 6 marzo 1987 n. 74, nel testo introdotto dall’art. 16 l. 6 marzo 1987 n. 74, nella parte in cui non prevede che il coniuge, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, possa ottenere (se non passato a nuove nozze ed in quanto titolare di assegno divorzile) direttamente dal datore di lavoro dell’ex coniuge la quota dell’indennità di fine rapporto prevista nella stessa disposizione.
E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 bis l. 1 dicembre 1970 n. 898, nel testo introdotto dall’art. 16 l. 6 marzo 1987 n. 74, nella parte in cui non consente che il coniuge titolare di assegno divorzile, possa ottenere direttamente dal datore di lavoro dell’ex coniuge la quota dell’indennità di fine rapporto prevista nella stessa disposizione. Infatti, da un lato, le concrete modalità di attribuzione della provvidenza economica non sono coperte dalla garanzia costituzionale e rappresentano una scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore; e dall’altro, il giudice rimettente, non sussistendo allo stato un diritto vivente in argomento, ben avrebbe potuto fornire una lettura diversa della norma impugnata.
Cass. civ. Sez. I, 23 ottobre 2001, n. 12995 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il disposto dell’art. 12 bis della L. n. 898/70 – nella parte in cui attribuisce al coniuge titolare dell’assegno di-vorzile che non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto dell’altro coniuge “anche quando tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio” – va interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto se l’indennità spettante all’altro coniuge venga a maturare al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa – in tal senso doven¬dosi intendere l’espressione “anche prima della sentenza di divorzio”, implicando ogni diversa interpretazione indiscutibili profili di incostituzionalità della norma in parola – e non anche quando essa sia maturata e sia stata percepita in data anteriore, in pendenza del precedente giudizio di separazione.
Cass. civ. Sez. I, 20 settembre 2000, n. 12426 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi dell’art. 12 bis legge divorzio, l’ex-coniuge titolare di assegno ai sensi dell’art. 5 legge cit. ha diritto, se non passato a nuove nozze, a una percentuale dell’indennità di fine rapporto dell’altro coniuge, non rilevando che la stessa maturi per morte di questi o per altra causa.
Cass. civ. Sez. I, 4 febbraio 2000, n. 1222 (Giust. Civ., 2001, I, 508)
A seguito della morte del divorziato che abbia contratto un nuovo matrimonio, l’ex coniuge (titolare dell’assegno di cui all’art. 5 l. 1 dicembre 1970 n. 898) ha diritto, in concorso con il coniuge superstite, non solo ad una quota della pensione di reversibilità, ma anche a una quota della indennità di fine rapporto.
Cass. civ. Sez. I, 7 giugno 1999, n. 5553 (Giur. It., 2000, 2060 nota di CONTE)
Il disposto dell’art. 12 bis l. n. 898 del 1970 – nella parte in cui attribuisce al coniuge titolare dell’assegno divor¬zile che non sia passato a nuove nozze, il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto dell’altro coniuge “anche quando tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio” – va interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto se l’indennità spettante all’altro coniuge venga a maturare al momento della pro¬posizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa – in tal senso dovendosi intendere l’espressione “anche prima della sentenza di divorzio”, implicando ogni diversa interpretazione possibili profili di incostituzionalità della norma in parola -, e non anche quando essa sia maturata e sia stata percepita in data anteriore, eventualmente in pendenza del precedente giudizio di separazione.
Corte cost. 23 dicembre 1997, n. 437 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 bis l. 1 dicembre 1970 n. 898 (disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), sollevata con riferimento agli art. 3, 29, e 38 cost.
Cass. civ. Sez. I, 3 settembre 1997, n. 8477 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il criterio della durata del matrimonio, pur costituendo il parametro legale previsto dall’art. 9 della l. n. 898 del 1970 (come modificato dall’art. 13 della l. n. 74 del 1987) per la determinazione della quota di pensione spettan¬te all’ex coniuge, per il che – conseguentemente – devesi, in primo luogo, fare riferimento ad esso e non a quello delle possibili convivenze di fatto, ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato ed il coniuge superstite, non esclude certamente – nella mancanza, nella norma, di qualsiasi espresso richiamo al “rapporto matrimoniale” operato invece dal successivo art. 12 bis, comma 2, in tema di ripartizione dell’indennità di fine rapporto – la possibilità di utilizzare, ove congrui, ulteriori elementi di adattamento alle peculiarità del caso concreto. Da ciò consegue che deve ritenersi possibile discostarsi da un rigido criterio basato unicamente sulla durata del matrimonio – comprendente, in quanto tale, anche il periodo successivo alla separazione fino alla sentenza di divorzio – allorché sia notevole lo scarto fra matrimonio e convivenza effettiva, ed a tale scarto corrisponda una concomitante convivenza more uxorio della nuova coppia.
Cass. civ. Sez. I, 17 aprile 1997, n. 3294 (Dir. Famiglia, 1998, 46)
La quota di indennità di fine rapporto spettante, ai sensi della normativa sul divorzio, al coniuge titolare di as¬segno divorzile e non passato a nuove nozze, riguarda unicamente quell’indennità comunque denominata, che, maturando alla cessazione del rapporto lavorativo, è determinata in proporzione alla durata del rapporto stesso ed all’entità della retribuzione corrisposta: non spetta pertanto al coniuge divorziato una parte di altri eventuali importi erogati, in occasione del venir meno del rapporto lavorativo, all’ex coniuge ad altro titolo (nella specie, a titolo di incentivo all’anticipato collocamento in quiescenza).
Cass. civ. Sez. I, 27 giugno 1995, n. 7249 (Giur. It., 1996, I,1, 626)
In tema di divorzio, il diritto di un coniuge ad una quota del trattamento di fine rapporto lavorativo percepito dall’altro coniuge, ai sensi dell’art. 12-bis della l. 1 dicembre 1970 n. 898, introdotto dall’art. 16 della l. 6 marzo 1987 n. 74, può essere attribuito con lo stesso provvedimento attributivo dell’assegno di divorzio, atteso che, se il diritto alla quota permane “anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza” di divorzio, secondo il tenore letterale dell’art. 12-bis, tale diritto deve conseguentemente riconoscersi pure nel caso in cui l’indennità sia maturata prima di detta sentenza, quando ovviamente al coniuge non è stato ancora attribuito in modo de¬finitivo (con sentenza passata in giudicato) l’assegno divorzile.
Il coniuge titolare dell’assegno di divorzio, nel caso in cui il coniuge obbligato abbia conseguito un anticipo del trattamento di fine rapporto lavorativo prima dell’entrata in vigore della legge n. 74 del 1987, non ha diritto di percepire una quota del detto anticipo, stante la definitiva acquisizione del relativo diritto da parte di quest’ulti¬mo su cui non può incidere un’eventuale mutamento della legislazione in materia.
Cass. civ. Sez. I, 27 giugno 1995, n. 7249 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il coniuge titolare dell’assegno di divorzio non ha diritto di conseguire una quota dell’anticipo del trattamento di fine rapporto (lavorativo) spettante all’altro coniuge, ai sensi dell’art. 12 bis legge n. 898 del 1970, quando il coniuge obbligato (al versamento dell’assegno), pur avendo cessato il proprio rapporto lavorativo dopo l’entrata in vigore della legge n. 74 cit., abbia percepito un anticipo sull’indennità prima di tale data: l’anticipo predetto, invero, previsto dall’art. 2120 c.c., nel testo riformulato dall’art. 1 della l. 29 maggio 1982 n. 297, una volta che sia stato accordato dal datore di lavoro e sia stato riscosso dal lavoratore, entra nel suo patrimonio e non può più essere revocato, determinando la definitiva acquisizione del relativo diritto, su cui non può incidere un eventuale mutamento della legislazione in materia.
Corte cost., 26 maggio 1994, n. 199 (Giur. Costit., 1994, 1732)
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 cost., dell’art. 12 bis l. 1 di-cembre 1970 n. 898 (disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), introdotto dall’art. 16 l. 6 marzo 1987 n. 74 (nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio) nella parte in cui esclude dal diritto a fruire della percentuale sull’indennità di fine rapporto l’ex coniuge che non sia titolare di assegno di divorzio.
Corte cost. 1 luglio 1993, n. 300 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
E infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 bis, l. 1° dicembre 1970, n. 898, aggiunto dall’art. 16, l. 6 marzo 1987, n. 74, nella parte in cui attribuisce al divorziato una percentuale in misura fissa dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, non rapportandola alla sola durata della convivenza, in riferimento agli articoli 3 e 38 della costituzione.
Cass. civ. Sez. I, 29 maggio 1993, n. 6047 (Dir. Famiglia, 1994, 853)
La norma dell’art. 12 bis della legge di divorzio – che regola il diritto del coniuge titolare di un assegno di divor¬zio e non passato a nuove nozze, di conseguire una quota del trattamento di fine rapporto lavorativo percepito dall’altro coniuge – non è applicabile qualora il coniuge obbligato all’assegno abbia maturato il diritto alla inden¬nità prima dell’entrata in vigore della legge stessa, poiché il principio dell’applicabilità della norma sostanziale sopravvenuta ai giudizi pendenti non può comportare il travolgimento del limite del rispetto dei diritti quesiti e dei rapporti esauriti sotto il vigore della normativa precedente.
Corte cost. 24 gennaio 1991, n. 23 (Foro It., 1991, I, 3006 nota di QUADRI)
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 bis, l. 1° dicembre 1970, n. 898, aggiunto dall’art. 16, l. 6 marzo 1987, n. 74, nella parte in cui attribuisce al divorziato una percentuale in misura fissa dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, non rapportandola alla sola durata della convivenza, in riferimento agli articoli 3 e 38 della costituzione.
Il legislatore, nell’attribuire all’ex coniuge titolare di assegno divorzile una quota (40%) dell’indennità di fine rapporto di lavoro percepita dall’altro ex coniuge, si è ispirato sia ai criteri assistenzialistici evidenziati dal fatto che essa presuppone la spettanza dell’assegno divorzile; sia, e soprattutto, a criteri di carattere compensativo, rapportati al contributo personale ed economico dato dall’ex-coniuge alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune. A motivo della valorizzazione di tale criterio sta la considerazione della particolare condizione della donna, che deve assumere su di sé oneri rilevanti in ordine all’assolvimento di compiti di natura domestica e familiare in sostituzione o in aggiunta al lavoro extradomestico, e del pregiudizio che ne consegue rispetto a prospettive di autonomia economica e di affermazione professionale. Conseguentemente il contributo dato dall’ex coniuge alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune va va¬lutato in riferimento all’intera durata del matrimonio, in quanto esso non cessa col venir meno della convivenza e con l’istaurarsi dello stato di separazione, di fatto o legale, ciò specie nel caso in cui il coniuge più debole sia quello cui sono affidati i figli. Pertanto è ragionevole che il legislatore abbia preferito ancorarsi ad un dato giu¬ridicamente certo ed irreversibile, quale la durata del matrimonio, piuttosto che ad uno incerto e precario come la cessazione della convivenza.
In caso di convivenza breve (o brevissima) seguita da un lungo periodo di separazione, come la giurisprudenza esclude che l’assegno divorzile possa consistere in una rendita di carattere puramente parassitario, così è ve¬rosimile che in tali situazioni venga a mancare il previsto presupposto (quello appunto della spettanza dell’as¬segno divorzile) per l’attribuzione della percentuale di indennità di fine rapporto di lavoro percepita dall’altro ex coniuge.