Prevale la previsione della sentenza romena in materia di divorzio anche se in Italia non si è ancora conclusa la separazione.

Sentenza Corte Ue causa 386-17 del 16 gennaio 2019.
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
16 gennaio 2019 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia civile – Competenza giurisdizionale,
riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari – Regolamento (CE)
n. 44/2001 – Articolo 5, punto 2 – Articolo 27 – Articolo 35, paragrafo 3 – Competenza,
riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità
genitoriale – Regolamento (CE) n. 2201/2003 – Articolo 19 – Litispendenza – Articolo 22, lettera a) –
Articolo 23, lettera a) – Non riconoscimento delle decisioni in caso di contrarietà manifesta all’ordine
pubblico – Articolo 24 – Divieto di procedere al riesame della competenza giurisdizionale dell’autorità
giurisdizionale d’origine – Motivo di non riconoscimento fondato su una violazione delle norme sulla
litispendenza – Insussistenza»
Nella causa C‑386/17,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo
267 TFUE, dalla Corte suprema di cassazione (Italia), con ordinanza del 26 ottobre 2016, pervenuta in
cancelleria il 27 giugno 2017, nel procedimento
Stefano Liberato
contro
Luminita Luisa Grigorescu
LA CORTE (Prima Sezione),
composta da R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, facente funzione di presidente della Prima Sezione,
J.-C. Bonichot, A. Arabadjiev, E. Regan e C.G. Fernlund (relatore), giudici,
avvocato generale: Y. Bot
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per S. Liberato, da F. Ongaro e A. Castellani, avvocati;
– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da P. Pucciariello, avvocato
dello Stato;
– per il governo ceco, da M. Smolek, J. Vláčil e A. Kasalická, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da E. Montaguti e M. Wilderspin, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 settembre 2018,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
(omissis)
(omissis)
(omissis)
(omissis)
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione del regolamento (CE) n. 2201/2003
del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle
decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento
(CE) n. 1347/2000 (GU 2003, L 338, pag. 1, e rettifica in GU 2015, L 88, pag. 19).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Stefano Liberato e la
sig.ra Luminita Luisa Grigorescu in merito a una domanda di riconoscimento in Italia di una decisione
in materia matrimoniale, di responsabilità genitoriale e di obbligazioni alimentari pronunciata in
Romania.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Regolamento n. 2201/2003
3 I considerando 11 e 21 del regolamento n. 2201/2003 così recitano:
«(11) Le obbligazioni alimentari sono escluse dal campo di applicazione del presente regolamento in
quanto sono già disciplinate dal regolamento [(CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre
2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni
in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1)]. I giudici competenti ai sensi del
presente regolamento saranno in genere competenti a statuire in materia di obbligazioni
alimentari in applicazione dell’articolo 5, [punto] 2, del regolamento [n. 44/2001].
(…)
(21) Il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni rese in uno Stato membro dovrebbero fondarsi
sul principio della fiducia reciproca e i motivi di non riconoscimento dovrebbero essere limitati al
minimo indispensabile».
4 L’articolo 12 del regolamento n. 2201/2003, rubricato «Proroga della competenza», al paragrafo 1, così
recita:
«Le autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui viene esercitata, ai sensi dell’articolo 3, la
competenza a decidere sulle domande di divorzio, separazione personale dei coniugi o annullamento
del matrimonio sono competenti per le domande relative alla responsabilità dei genitori che si
ricollegano a tali domande se:
a) almeno uno dei coniugi esercita la responsabilità genitoriale sul figlio;
e
b) la competenza giurisdizionale di tali autorità giurisdizionali è stata accettata espressamente o in
qualsiasi altro modo univoco dai coniugi e dai titolari della responsabilità genitoriale alla data in
cui le autorità giurisdizionali sono adite, ed è conforme all’interesse superiore del minore».
5 L’articolo 17 di detto regolamento, rubricato «Verifica della competenza», così dispone:
«L’autorità giurisdizionale di uno Stato membro, investita di una controversia per la quale il presente
regolamento non prevede la sua competenza e per la quale, in base al presente regolamento, è
competente un’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro, dichiara d’ufficio la propria
incompetenza».
6 L’articolo 19 di detto regolamento prevede quanto segue:
«1. Qualora dinanzi a autorità giurisdizionali di Stati membri divers[i] e tra le stesse parti siano state
proposte domande di divorzio, separazione personale dei coniugi e annullamento del matrimonio,
(omissis)
(omissis)
l’autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d’ufficio il procedimento finché non sia stata
accertata la competenza dall’autorità giurisdizionale preventivamente adita.
2. Qualora dinanzi a autorità giurisdizionali di Stati membri diversi siano state proposte domande
sulla responsabilità genitoriale su uno stesso minore, aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo,
l’autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d’ufficio il procedimento finché non sia stata
accertata la competenza dell’autorità giurisdizionale preventivamente adita.
3. Quando la competenza dell’autorità giurisdizionale preventivamente adita è stata accertata,
l’autorità giurisdizionale successivamente adita dichiara la propria incompetenza a favore dell’autorità
giurisdizionale preventivamente adita. In tal caso la parte che ha proposto la domanda davanti
all’autorità giurisdizionale successivamente adita può promuovere l’azione dinanzi all’autorità
giurisdizionale preventivamente adita».
7 L’articolo 22 del regolamento n. 2201/2003, rubricato «Motivi di non riconoscimento delle decisioni di
divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio», così dispone:
«La decisione di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio non è riconosciuta nei
casi seguenti:
a) se il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto;
(…)
c) se la decisione è incompatibile con una decisione resa in un procedimento tra le medesime parti
nello Stato membro richiesto; (…)
(…)».
8 L’articolo 23 di detto regolamento, rubricato «Motivi di non riconoscimento delle decisioni relative
alla responsabilità genitoriale», è formulato nei seguenti termini:
«Le decisioni relative alla responsabilità genitoriale non sono riconosciute nei casi seguenti:
a) se, tenuto conto dell’interesse superiore del minore, il riconoscimento è manifestamente contrario
all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto;
(…)
e) se la decisione è incompatibile con una decisione successiva sulla responsabilità genitoriale
emessa nello Stato membro richiesto;
(…)».
9 L’articolo 24 di detto regolamento, rubricato «Divieto di riesame della competenza giurisdizionale
dell’autorità giurisdizionale d’origine», così recita:
«Non si può procedere al riesame della competenza giurisdizionale del giudice dello Stato membro
d’origine. Il criterio dell’ordine pubblico di cui agli articoli 22, lettera a), e 23, lettera a), non può essere
applicato alle norme sulla competenza di cui agli articoli da 3 a 14».
Regolamento n. 44/2001
10 L’articolo 5 del regolamento n. 44/2001 così dispone:
«La persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato
membro:
(…)
2) in materia di obbligazioni alimentari, davanti al giudice del luogo in cui il creditore di alimenti ha
il domicilio o la residenza abituale o, qualora si tratti di una domanda accessoria ad un’azione
relativa allo stato delle persone, davanti al giudice competente a conoscere quest’ultima secondo
la legge nazionale, salvo che tale competenza si fondi unicamente sulla cittadinanza di una delle
parti;
(…)».
11 L’articolo 27 di detto regolamento è così formulato:
«1. Qualora davanti a giudici di Stati membri differenti e tra le stesse parti siano state proposte
domande aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospende
d’ufficio il procedimento finché sia stata accertata la competenza del giudice adito in precedenza.
2. Se la competenza del giudice precedentemente adito è stata accertata, il giudice successivamente
adito dichiara la propria incompetenza a favore del primo».
12 L’articolo 34 del medesimo regolamento prevede quanto segue:
«Le decisioni non sono riconosciute:
1) se il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto;
(…)
3) se sono in contrasto con una decisione emessa tra le medesime parti nello Stato membro richiesto;
4) se sono in contrasto con una decisione emessa precedentemente tra le medesime parti in un altro
Stato membro o in un paese terzo, in una controversia avente il medesimo oggetto e il medesimo
titolo, allorché tale decisione presenta le condizioni necessarie per essere riconosciuta nello Stato
membro richiesto».
13 L’articolo 35 del regolamento n. 44/2001 così recita:
«1. Parimenti, le decisioni non sono riconosciute se le disposizioni delle sezioni 3, 4, e 6 del capo II
sono state violate, oltreché nel caso contemplato dall’articolo 72.
2. Nell’accertamento delle competenze di cui al paragrafo 1, l’autorità richiesta è vincolata dalle
constatazioni di fatto sulle quali il giudice dello Stato membro d’origine ha fondato la propria
competenza.
3. Salva l’applicazione delle disposizioni del paragrafo 1, non si può procedere al controllo della
competenza dei giudici dello Stato membro d’origine. Le norme sulla competenza non riguardano
l’ordine pubblico contemplato dall’articolo 34, punto 1».
Diritto italiano
14 L’articolo 150 del codice civile, rubricato «Separazione personale», così dispone:
«È ammessa la separazione personale dei coniugi.
La separazione può essere giudiziale o consensuale.
Il diritto di chiedere la separazione giudiziale o la omologazione di quella consensuale spetta
esclusivamente ai coniugi».
15 L’articolo 151 del codice civile, rubricato «Separazione giudiziale», prevede quanto segue:
«La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno
o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare
grave pregiudizio alla educazione della prole.
Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a
quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai
doveri che derivano dal matrimonio».
16 Il giudice del rinvio precisa che la responsabilità genitoriale e l’obbligo di mantenimento del figlio
minore sono regolati in modo identico nella separazione e nel divorzio dagli articoli da 337 bis a 337
octies del codice civile.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
17 Il sig. Liberato e la sig.ra Grigorescu hanno contratto matrimonio a Roma (Italia) il 22 ottobre 2005 e
hanno convissuto in tale Stato membro fino alla nascita del loro figlio, avvenuta il 20 febbraio 2006.
Poiché il vincolo coniugale si era man mano deteriorato, la madre ha portato con sé il figlio minore in
Romania e, da allora, non è più tornata in Italia.
18 Con ricorso del 22 maggio 2007 al Tribunale di Teramo (Italia), il sig. Liberato ha chiesto la
separazione personale e l’affidamento del figlio. La sig.ra Grigorescu, costituitasi dinanzi a tale
Tribunale, ha chiesto il rigetto nel merito di tale domanda e ha presentato una domanda riconvenzionale
diretta a obbligare il sig. Liberato a versarle un contributo per il mantenimento del figlio. Con sentenza
del 19 gennaio 2012 detto Tribunale ha pronunciato la separazione personale dei coniugi, addebitandola
alla sig.ra Grigorescu e, con separata ordinanza, ha rimesso la causa in istruttoria per decidere sulle
contrapposte domande delle parti concernenti l’esercizio della responsabilità genitoriale.
19 Il 30 settembre 2009, in pendenza del giudizio sulla responsabilità genitoriale instaurato dinanzi al
Tribunale di Teramo, la sig.ra Grigorescu ha adito la Judecătoria București (Tribunale di primo grado di
Bucarest, Romania) chiedendo il divorzio, l’affidamento esclusivo del figlio e un contributo al
mantenimento del figlio a carico del padre.
20 Il sig. Liberato si è costituito dinanzi a tale Tribunale e ha sollevato un’eccezione di litispendenza,
sostenendo di aver già avviato in Italia un procedimento di separazione personale e sulla responsabilità
genitoriale. Nondimeno, con sentenza del 31 maggio 2010, detto Tribunale ha pronunciato il divorzio
dei coniugi, ha affidato il figlio alla madre, ha disciplinato il diritto di visita del padre e fissato l’importo
dell’assegno di mantenimento che quest’ultimo doveva corrispondere a favore del figlio.
21 Tale sentenza è passata in giudicato a seguito di una sentenza della Curtea de Apel București (Corte
d’appello di Bucarest, Romania) del 12 giugno 2013, che ha confermato la pronuncia del Tribunalul
București (Tribunale superiore di Bucarest, Romania) del 3 dicembre 2012 con cui tale Tribunale aveva
respinto l’impugnazione proposta dal sig. Liberato avverso la sentenza del 31 maggio 2010.
22 La causa di separazione in Italia si è nel frattempo conclusa con una sentenza dell’8 luglio 2013 del
Tribunale di Teramo. Tale Tribunale ha affidato in modo esclusivo al padre il figlio minore e ne ha
ordinato l’immediato rientro in Italia. Detto Tribunale ha altresì disciplinato le modalità di esercizio del
diritto di visita della madre in Italia e ha imposto a quest’ultima un contributo per il mantenimento del
figlio.
23 In particolare, il Tribunale di Teramo ha respinto la domanda della sig.ra Grigorescu volta al
riconoscimento in Italia, in via incidentale, della sentenza di divorzio del Tribunalul București
(Tribunale superiore di Bucarest) del 3 dicembre 2012, ai sensi del regolamento n. 2201/2003. Il
Tribunale di Teramo ha rilevato, infatti, che il procedimento di divorzio era stato instaurato in Romania
successivamente all’avvio in Italia del procedimento di separazione personale e che, pertanto, gli organi
giurisdizionali rumeni avevano violato l’articolo 19 del regolamento n. 2201/2003, omettendo di
sospendere il giudizio.
24 La sig.ra Grigorescu ha proposto appello avverso tale sentenza, chiedendo preliminarmente il
riconoscimento in via incidentale della sentenza della Curtea de Apel București (Corte d’appello di
(omissis) (omissis)
Bucarest) del 12 giugno 2013, che aveva respinto l’eccezione di litispendenza con la motivazione che
tra i due giudizi non sussisteva identità di oggetto alla luce del diritto processuale rumeno.
25 Con sentenza del 31 marzo 2014 la Corte d’appello di L’Aquila (Italia) ha riformato la sentenza del
Tribunale di Teramo dell’8 luglio 2013 e ha accolto l’eccezione relativa al giudicato formatosi sulla
pronuncia di divorzio dei giudici rumeni, avente ad oggetto anche l’affidamento del figlio e il
contributo al suo mantenimento. Tale Corte d’appello ha osservato che la violazione della disciplina
della litispendenza nel diritto dell’Unione da parte degli organi giudiziari dello Stato membro
successivamente aditi, nel caso di specie la Romania, non rilevava ai fini dell’esame dei requisiti per il
riconoscimento dei provvedimenti definitivi assunti da tale Stato e che non sussisteva alcun motivo, in
particolare di ordine pubblico, ostativo al riconoscimento della decisione rumena.
26 Avverso tale sentenza della Corte d’appello di L’Aquila il sig. Liberato ha proposto ricorso per
cassazione.
27 Il giudice del rinvio rileva che la pronuncia emessa in Romania ha deciso unitariamente sia sul vincolo
matrimoniale, sia sulla responsabilità genitoriale, sia sull’obbligo di mantenimento del minore. Nel
giudizio di separazione personale promosso in Italia erano state proposte le medesime domande, salva
la non identità della domanda relativa al vincolo matrimoniale, poiché ai sensi dell’ordinamento
giuridico italiano il divorzio dev’essere preceduto dall’accertamento delle condizioni stabilite dalla
legge per la separazione personale tra i coniugi.
28 Tale giudice rileva che non ricorre alcun motivo ai sensi degli articoli 22, lettera c), del regolamento
n. 2201/2003, dell’articolo 23, lettera e), di tale regolamento, e dell’articolo 34, paragrafo 4, del
regolamento n. 44/2001, ostativo al riconoscimento della decisione rumena per quanto riguarda,
rispettivamente, lo status coniugale, la responsabilità genitoriale e le obbligazioni alimentari.
29 Secondo detto giudice, occorre tuttavia esaminare se una violazione, a suo avviso manifesta, delle
disposizioni relative alla litispendenza in diritto dell’Unione, previste dall’articolo 19 del regolamento
n. 2201/2003 e dall’articolo 27 del regolamento n. 44/2001, da parte dei giudici che hanno emesso la
decisione di cui si chiede il riconoscimento, possa essere considerata un motivo ostativo al
riconoscimento di tale decisione per contrarietà all’ordine pubblico.
30 Alla luce di quanto precede, la Corte suprema di Cassazione (Italia) ha deciso di sospendere il giudizio
e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la violazione delle regole sulla litispendenza, contenute nei paragrafi 2 e 3 dell’art. 19 del
Regolamento n. 2201 del 2003, incida esclusivamente sulla determinazione della competenza
giurisdizionale, con conseguente applicazione dell’art. 24 del regolamento CE n. 2201 del 2003,
o, al contrario, possa costituire motivo ostativo al riconoscimento nello Stato membro, la cui
autorità giurisdizionale sia stata preventivamente adita, della pronuncia assunta nello Stato
membro, la cui autorità giurisdizionale sia stata successivamente adita, sotto il profilo dell’ordine
pubblico processuale, tenuto conto che l’art. 24 del regolamento CE n. 2201 del 2003 richiama
soltanto le regole determinative della competenza giurisdizionale contenute negli artt. da 3 a 14, e
non il successivo art. 19.
2) Se l’interpretazione dell’art. 19 del Regolamento n. 2201 del 2003, inteso solo come criterio
determinativo della competenza giurisdizionale, contrasti con la nozione [di diritto dell’Unione
europea] della litispendenza nonché con la funzione e con la finalità della norma, volta a dettare
un insieme di regole inderogabili, di ordine pubblico processuale, a garanzia della creazione di
uno spazio comune caratterizzato dalla fiducia e dalla lealtà processuale reciproca tra gli Stati
membri, all’interno del quale possa operare il riconoscimento automatico e la libera circolazione
di decisioni».
Sulle questioni pregiudiziali
31 Occorre rilevare, in via preliminare, che le questioni sollevate dal giudice del rinvio riguardano
l’interpretazione del solo regolamento n. 2201/2003. Tuttavia, mentre, come dispone il considerando 11
(omissis) di tale regolamento, le obbligazioni alimentari non sono contemplate da detto regolamento, ma dal regolamento n. 44/2001, emerge dall’ordinanza di rinvio che il procedimento principale verte sul
riconoscimento di una decisione adottata non solo in materia matrimoniale e di responsabilità
genitoriale, ma altresì in materia di obbligazioni alimentari. Pertanto, si deve rispondere alle questioni
sollevate alla luce dei regolamenti n. 2201/2003 e n. 44/2001.
32 Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza,
se le norme sulla litispendenza contenute nell’articolo 27 del regolamento n. 44/2001 e nell’articolo 19
del regolamento n. 2201/2003 debbano essere interpretate nel senso che, qualora, nell’ambito di una
controversia in materia matrimoniale, di responsabilità genitoriale o di obbligazioni alimentari,
l’autorità giurisdizionale successivamente adita abbia adottato, in violazione di tali norme, una
decisione poi divenuta definitiva, le autorità giurisdizionali dello Stato membro cui appartiene l’autorità
giurisdizionale preventivamente adita possono negare il riconoscimento di tale decisione a motivo della
sua manifesta contrarietà all’ordine pubblico.
33 A tal riguardo, occorre rammentare che il 30 settembre 2009 la sig.ra Grigorescu ha presentato a
un’autorità giurisdizionale rumena una domanda di divorzio tra lei e il sig. Liberato, una domanda
vertente sull’affidamento del figlio e una domanda di contributo al mantenimento di quest’ultimo,
anche se prima di tale data un’autorità giurisdizionale italiana era stata adita con una domanda di
separazione personale tra i coniugi e una domanda di affidamento del figlio, presentate dal
sig. Liberato, e con una domanda riconvenzionale di contributo al mantenimento del minore, proposta
dalla sig.ra Grigorescu.
34 Basandosi sulla differenza di oggetto tra le domande in materia matrimoniale, una riguardante il
divorzio e l’altra la separazione personale, l’autorità giurisdizionale rumena ha considerato che non
sussistesse litispendenza ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 2201/2003 e si è ritenuta
competente a pronunciarsi sul ricorso presentato dalla sig.ra Grigorescu.
35 Orbene, come già statuito dalla Corte, se è vero che in materia matrimoniale, ai sensi dell’articolo 19,
paragrafo 1, del regolamento n. 2201/2003, le domande devono riguardare le stesse parti, esse possono
avere oggetto distinto, purché vertano sulla separazione personale, sul divorzio o sull’annullamento del
matrimonio. La Corte ne ha dedotto che può esservi una situazione di litispendenza o di connessione, ai
sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 2201/2003, quando dinanzi a due autorità giurisdizionali di
Stati membri diversi sono instaurati un procedimento di separazione personale dinanzi a una di esse e
un procedimento di divorzio dinanzi all’altra. In siffatte circostanze e in caso d’identità delle parti,
l’autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d’ufficio il procedimento finché non sia stata
accertata la competenza dall’autorità giurisdizionale preventivamente adita (sentenza del 6 ottobre
2015, A, C‑489/14, EU:C:2015:654, punti 33 e 34).
36 Inoltre, e come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 56 e 57 delle sue conclusioni, se, nel corso
del procedimento relativo al vincolo matrimoniale, vengono proposte domande concernenti la
responsabilità genitoriale, si applicano le norme sulla litispendenza relative alla separazione. Lo stesso
vale in materia di alimenti quando le domande sono accessorie all’azione relativa allo stato delle
persone, conformemente all’articolo 5, punto 2, del regolamento n. 44/2001. Ne consegue che le prime
domande rientrano nell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 2201/2003, mentre le seconde sono
disciplinate dall’articolo 27 del regolamento n. 44/2001.
37 Nel caso di specie, l’autorità giurisdizionale preventivamente adita con una domanda di separazione
personale si è ritenuta competente sulla base dell’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento
n. 2201/2003 a decidere sulle domande in materia di responsabilità genitoriale e di obbligazioni
alimentari nei confronti del figlio, con la motivazione che la sig.ra Grigorescu si era costituita nel
procedimento dinanzi ad essa pendente e aveva quindi accettato la competenza di tale autorità
giurisdizionale.
38 Ne risulta che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, l’autorità
giurisdizionale successivamente adita con una domanda di divorzio nonché con domande in materia di
responsabilità genitoriale e di obbligazioni alimentari che rifiuti di sospendere il procedimento e si
(omissis) ritenga competente a conoscere di tali domande viola le disposizioni dell’articolo 19 del regolamento n. 2201/2003 e quelle dell’articolo 27 del regolamento n. 44/2001.
39 Al fine di rispondere alle questioni sollevate dal giudice del rinvio, occorre rilevare che l’articolo 19
del regolamento n. 2201/2003 è redatto in termini analoghi a quelli utilizzati nell’articolo 27 del
regolamento n. 44/2001 e istituisce un meccanismo equivalente a quello previsto in tale ultimo articolo
per trattare casi di litispendenza. Si deve, di conseguenza, tener conto delle considerazioni della Corte
relative a tale ultimo regolamento per l’interpretazione del regolamento n. 2201/2003 (v., in tal senso,
sentenza del 6 ottobre 2015, A, C‑489/14, EU:C:2015:654, punto 27).
40 Occorre poi richiamare le caratteristiche del meccanismo istituito dal regolamento n. 2201/2003.
41 Tale regolamento si fonda sulla cooperazione e sulla fiducia reciproca tra le autorità giurisdizionali che
devono condurre al reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, fondamento per la creazione di
un autentico spazio giudiziario (sentenza del 15 febbraio 2017, W e V, C‑499/15, EU:C:2017:118,
punto 50 e giurisprudenza ivi citata).
42 In tale contesto, le norme sulla litispendenza svolgono un ruolo importante.
43 Come ha già giudicato la Corte, tali norme mirano, nell’interesse di una buona amministrazione della
giustizia in seno all’Unione, a evitare procedimenti paralleli dinanzi alle autorità giurisdizionali di Stati
membri diversi e il contrasto di decisioni che potrebbe risultarne. A tal fine, il legislatore dell’Unione
ha inteso attuare un meccanismo chiaro ed efficace per risolvere le ipotesi di litispendenza, basato
sull’ordine cronologico in cui tali autorità giurisdizionali sono state adite (v., in tal senso, sentenza del 6
ottobre 2015, A, C‑489/14, EU:C:2015:654, punti 29 e 30 nonché giurisprudenza ivi citata, e, per
analogia, per quanto riguarda il regolamento n. 44/2001, sentenza del 27 febbraio 2014, Cartier
parfums-lunettes e Axa Corporate Solutions assurances, C‑1/13, EU:C:2014:109, punto 40).
44 Per garantire l’attuazione effettiva del regolamento n. 2201/2003 e conformemente al principio della
fiducia reciproca su cui esso si fonda, occorre sottolineare, in primo luogo, come rilevato dall’avvocato
generale al paragrafo 59 delle sue conclusioni, che spetta a ciascuna autorità giurisdizionale,
conformemente all’articolo 17 di tale regolamento, verificare la propria competenza (v., in tal senso,
sentenze del 15 luglio 2010, Purrucker, C‑256/09, EU:C:2010:437, punto 73, del 12 novembre 2014, L,
C‑656/13, EU:C:2014:2364, punto 58, nonché del 15 febbraio 2017, W e V, C‑499/15,
EU:C:2017:118, punto 54).
45 In secondo luogo, come risulta dall’articolo 24 del regolamento n. 2201/2003 non si può procedere al
riesame della competenza giurisdizionale del giudice dello Stato membro d’origine (sentenza del 9
novembre 2010, Purrucker, C‑296/10, EU:C:2010:665, punto 85). Lo stesso vale ai sensi del
regolamento n. 44/2001, conformemente all’articolo 35, paragrafo 3, di quest’ultimo.
46 In terzo luogo, conformemente al considerando 21 del regolamento n. 2201/2003, quest’ultimo è
basato sul concetto secondo cui il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni rese in uno Stato
membro dovrebbero fondarsi sul principio della fiducia reciproca e i motivi di non riconoscimento
dovrebbero essere limitati al minimo indispensabile (sentenza del 19 novembre 2015, P,
C‑455/15 PPU, EU:C:2015:763, punto 35).
47 È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare se la circostanza che una decisione divenuta
definitiva sia stata adottata in violazione delle norme sulla litispendenza previste dall’articolo 27 del
regolamento n. 44/2001 e dall’articolo 19 del regolamento n. 2201/2003 costituisca un motivo di ordine
pubblico che osta, sulla base dell’articolo 34 del regolamento n. 44/2001 nonché dell’articolo 22, lettera
a), e dell’articolo 23, lettera a), del regolamento n. 2201/2003 a che tale decisione possa essere
riconosciuta dalle autorità giurisdizionali dello Stato membro cui appartiene l’autorità giurisdizionale
preventivamente adita.
48 A tal riguardo, occorre rilevare che, secondo il tenore letterale stesso dell’articolo 24 del regolamento
n. 2201/2003, il criterio dell’ordine pubblico di cui agli articoli 22, lettera a), e 23, lettera a), di tale regolamento non può essere applicato alle norme sulla competenza di cui agli articoli da 3 a 14 di detto
regolamento.
49 Occorre, pertanto, stabilire se le norme sulla litispendenza costituiscano norme sulla competenza
analogamente a quelle contenute negli articoli da 3 a 14 di tale regolamento.
50 A tal riguardo, se è vero che le norme sulla litispendenza di cui all’articolo 19 del regolamento
n. 2201/2003 non rientrano nelle norme sulla competenza espressamente richiamate dall’articolo 24 di
tale regolamento, tale medesimo articolo 19 è contenuto nel capo II di detto regolamento, rubricato
«competenza».
51 Inoltre, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 77 delle sue conclusioni, quando, come nel
procedimento principale, l’autorità giurisdizionale preventivamente adita, statuendo su una domanda
incidentale di riconoscimento, verifica se le norme sulla litispendenza sono state correttamente
applicate dall’autorità giurisdizionale successivamente adita e, di conseguenza, valuta i motivi per cui
quest’ultima non ha declinato la propria competenza, l’autorità giurisdizionale preventivamente adita
effettua così necessariamente il riesame della competenza dell’autorità giurisdizionale successivamente
adita. Orbene, com’è stato rammentato al punto 45 della presente sentenza, l’articolo 24 del
regolamento n. 2201/2003 non l’autorizza a effettuare un siffatto riesame.
52 Pertanto, nonostante il fatto che il divieto sancito dall’articolo 24 di tale regolamento non contenga un
riferimento espresso all’articolo 19 di detto regolamento, un’asserita violazione di quest’ultimo articolo
non consente all’autorità giurisdizionale preventivamente adita, pena incorrere nel riesame della
competenza dell’autorità giurisdizionale successivamente adita, di negare il riconoscimento di una
decisione adottata da quest’ultima in violazione della norma di litispendenza contenuta in tale
disposizione (v., per analogia, per quanto attiene all’articolo 15 del regolamento n. 2201/2003, sentenza
del 19 novembre 2015, P, C‑455/15 PPU, EU:C:2015:763, punto 45).
53 Tali considerazioni si applicano altresì alle norme sulla litispendenza contenute nell’articolo 27 del
regolamento n. 44/2001, in materia di obbligazioni alimentari, dal momento che l’articolo 35, paragrafo
3, di tale regolamento prevede anch’esso che non si possa procedere al controllo della competenza dei
giudici dello Stato membro d’origine.
54 Occorre aggiungere che il giudice dello Stato richiesto non può, salvo mettere in discussione la finalità
dei regolamenti n. 2201/2003 e n. 44/2001, negare il riconoscimento di una decisione promanante da un
altro Stato membro per il solo motivo che esso ritiene che, in tale decisione, il diritto nazionale o il
diritto dell’Unione sia stato male applicato (v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 2015, Diageo Brands,
C‑681/13, EU:C:2015:471, punto 49, e del 19 novembre 2015, P, C‑455/15 PPU, EU:C:2015:763,
punto 46).
55 Tale analisi è corroborata dal fatto che i motivi di non riconoscimento di una decisione per sua
contrarietà manifesta all’ordine pubblico, di cui all’articolo 22, lettera a), e all’articolo 23, lettera a), del
regolamento n. 2201/2003 nonché all’articolo 34 del regolamento n. 44/2001, devono essere interpretati
restrittivamente in quanto costituiscono un ostacolo alla realizzazione di uno degli obiettivi
fondamentali di tali regolamenti, come rammentato al punto 46 della presente sentenza (v., in tal senso,
sentenza del 19 novembre 2015, P, C‑455/15, EU:C:2015:763, punto 36).
56 Di conseguenza, si deve rispondere alle questioni sollevate dichiarando che le norme sulla
litispendenza di cui all’articolo 27 del regolamento n. 44/2001 e all’articolo 19 del regolamento
n. 2201/2003 devono essere interpretate nel senso che, qualora, nell’ambito di una controversia in
materia matrimoniale, di responsabilità genitoriale o di obbligazioni alimentari, l’autorità
giurisdizionale successivamente adita abbia adottato, in violazione di tali norme, una decisione poi
divenuta definitiva, esse ostano a che le autorità giurisdizionali dello Stato membro cui appartiene
l’autorità giurisdizionale preventivamente adita neghino, per questo solo motivo, il riconoscimento di
tale decisione. In particolare, tale violazione non può, di per sé, giustificare il mancato riconoscimento
di detta decisione per sua contrarietà manifesta all’ordine pubblico di tale Stato membro.
Sulle spese
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri
soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
Le norme sulla litispendenza di cui all’articolo 27 del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio,
del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione
delle decisioni in materia civile e commerciale e all’articolo 19 del regolamento (CE) n. 2201/2003
del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione
delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il
regolamento (CE) n. 1347/2000, devono essere interpretate nel senso che, qualora, nell’ambito di
una controversia in materia matrimoniale, di responsabilità genitoriale o di obbligazioni
alimentari, l’autorità giurisdizionale successivamente adita abbia adottato, in violazione di tali
norme, una decisione poi divenuta definitiva, esse ostano a che le autorità giurisdizionali dello
Stato membro cui appartiene l’autorità giurisdizionale preventivamente adita neghino, per
questo solo motivo, il riconoscimento di tale decisione.
In particolare, tale violazione non può, di per sé, giustificare il mancato riconoscimento di detta
decisione per sua contrarietà manifesta all’ordine pubblico di tale Stato membro.

Nel giudizio di divorzio la valutazione delle capacità economiche del coniuge obbligato va operata sul reddito netto (e non lordo)

Cass. civ. Sez. I, 14 gennaio 2019, n. 651
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23890/2015 proposto da:
S.A.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via A. Ammanato n.19, presso lo studio dell’avvocato Attenni Celeste, rappresentato e difeso dall’avvocato Garofalo Laura, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
C.G.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via Monte Zebio n.9, presso lo studio dell’avvocato De Arcangelis Giorgio, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Catania;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1117/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 30/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2018 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 1117/2015, pronunciata nel giudizio avente ad oggetto la declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, celebrato, nel 1994, tra C.G. e S.A.F., ha, in parziale accoglimento del gravame della C., riformato la decisione di primo grado, ponendo a carico dello S. un assegno divorzile, in favore della ex moglie, di Euro 200,00 mensili (confermando le altre statuizioni concernenti il mantenimento dei figli minori), comparate le condizioni economiche dei due ex coniugi. In particolare, la Corte territoriale ha rilevato che, dalla documentazione prodotta, emergeva la disparità di condizioni economiche degli ex coniugi, avendo la C. subito, dall’aprile 2013, più riduzioni delle ore lavorative, con riduzione dello stipendio in precedenza goduto (non essendo stata dimostrata dallo S. la copertura della riduzione stipendiale con gli ammortizzatori sociali “che in ogni caso non arrivano a coprire l’intero stipendio percepito in precedenza ed hanno durata limitata nel tempo”), mentre l’ex marito godeva di una situazione “più stabile e florida”, avendo dichiarato, nel 2013, un reddito lordo di circa Euro 49.000,00 ed avendo potuto acquistare (grazie anche ad un mutuo), dopo la separazione personale dei coniugi, un immobile in cui vive.
Avverso la suddetta sentenza, lo S. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti della C. (che resiste con controricorso). Le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione
1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo ed il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, exart. 360 c.p.c., n. 3, dellaL. n. 898 del 1970,art.5, comma 6e art. 2697 c.c., avendo la Corte territoriale fondato il proprio convincimento in merito alla disparità reddituale tra i coniugi su circostanze di fatto non vere, smentite dagli atti prodotti (in particolare, un verbale di intesta istituzionale dal quale non emergerebbe alcun decremento stipendiale per la C.), comparando il reddito “lordo” percepito dal marito, in luogo di quello netto, svalutando la posta passiva rappresentata dalla rata mensile di mutuo per l’abitazione ove lo stesso vive dopo la separazione, con un reddito della moglie, percepito nel 2012, in una misura inferiore a quello dichiarato (1.600,00 e non 1.500,00) ovvero addossando sullo S. l’onere di dimostrare che la riduzione stipendiale dell’ex coniuge fosse stata coperta dall’applicazione della C.G.I., invertendo la regola generale dell’onere della prova, che imponeva alla C. (la quale non aveva neppure prodotto la dichiarazione relativa ai redditi percepiti nel 2013) di dimostrare di avere subito anche una riduzione stipendiale in misura tale da renderla priva di mezzi adeguati a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; con il terzo motivo, l’omesso esame, exart. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dall’incidenza, sulla situazione complessiva economica dello S. dell’assegno dal medesimo corrisposto, dal 2012, per il mantenimento dei due figli (di “Euro 1.081,74”) e della trattenuta mensile subita per l’utilizzo di autovettura aziendale (pari, dal luglio 2014, ad Euro 155,00).
2. Le prime due censure sono fondate, nei sensi di cui in motivazione.
Questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287/2018, ha chiarito che: 1) “il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dellaL. n. 898 del 1970,art.5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto”; 2) “all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”; 3) “la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.
Ora, premesso che la decisione impugnata ha incentrato il giudizio, ai fini della fissazione dell’assegno divorzile, in assenza di una valutazione sul tenore di vita coniugale, sul solo dato rappresentato dalla disparità economica tra i due coniugi, evidenziandola sulla base dell’esame delle risultanze documentali, le censure sono fondate con riguardo alla non omogeneità dei dati messi in comparazione a fine di valutare la situazione economico-patrimoniale dei due coniugi.
Invero, come già chiarito da questa Corte (Cass.n. 9719/2010; Cass. 13954/2018), sia pure in tema di separazione fra i coniugi, “la valutazione in ordine alle capacità economiche del coniuge obbligato ai fini del riconoscimento e della determinazione dell’assegno di mantenimento a favore dell’altro coniuge non può che essere operata sul reddito netto e non già su quello lordo, poiché in costanza di matrimonio, la famiglia fa affidamento sul reddito netto ed ad esso rapporta ogni possibilità di spesa”.
Nella specie, mentre per quanto riguarda il reddito della C. si è fatto riferimento a quello netto, il reddito esaminato dello S. è espressamente quello lordo.
La Corte d’appello, inoltre, dopo aver dato atto che l’ex marito si era accollato la rata del mutuo contratto (per Euro 120.000,00) per l’acquisto dell’appartamento ove è andato ad abitare dopo la separazione, non ha tenuto conto di tale onere, affermando però che l’acquisto dell’immobile denotava una sua capacità di spesa maggiore di quella della ex moglie.
Quanto alle altre doglianze, inerenti l’erronea valutazione della documentazione prodotta in ordine sia al reddito goduto dalla C. sia alla incidenza della CGI sulla riduzione stipendiale disposta dal datore di lavoro, le stesse risultano assorbite.
3. Anche il terzo motivo, implicante vizio motivazionale, è fondato, atteso che, nel porre a confronto le due diverse posizioni reddituali dei coniugi, la Corte territoriale ha totalmente omesso di considerare che lo S. corrisponde, dal 2012, un assegno per il mantenimento dei due figli, di Euro 1.000,00 con rivalutazione Istat; risulta pertanto omessa la doverosa valutazione dell’incidenza di tale esborso – non esiguo rispetto allo stipendio percepito dallo S. sulla complessiva situazione economica del ricorrente, da porre a raffronto con quella della C., solo all’esito della quale potrà stabilirsi se, ed in quale misura, quest’ultima abbia diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento.
4.Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, nei sensi di cui in motivazione, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione. Il i giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2019

La trascrizione della rinuncia all’eredità è priva di effetti atteso che il chiamato alla successione non acquista, per effetto della mera delazione, alcun diritto reale sui beni facenti parte dell’asse ereditario

Cass. civ. Sez. II, 10 dicembre 2018, n. 31861
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11647/2014 R.G. proposto da:
D.A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Gaetano Scannamea, con domicilio eletto in Roma, Viale Mazzini n. 125, presso lo studio dell’avv. Francesco Franceschi;
– ricorrente –
contro
S.N., rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Norscia, con domicilio eletto in Roma, alla Via Gregorio VII n. 474, presso lo studio dell’avv. Vittorio Mezzina;
– ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 413/2013, depositata il 15.5.2013;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21.6.2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Del Core Sergio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale;
uditi gli Avv. Lello Spolentini, per delega dell’avv. Gaetano Scannamea, e l’avv. Antonio Norscia.
Svolgimento del processo
D.A.A. ha convenuto in giudizio S.N. dinanzi al Tribunale di Trani, esponendo di esser comproprietario al 50% dell’immobile sito in (OMISSIS), in catasto alla partita (OMISSIS), acquistato in virtù di successione legittima da D.F.; che l’ulteriore quota del 50% era stata devoluta alla moglie del de cuius, C.M.C.A., ed era stata successivamente trasferita alla resistente con decreto del Giudice delegato del Tribunale di Trani del 24.5.1993; che quest’ultima occupava il bene per l’intero, ledendo i diritti dell’attore.
Ha chiesto di accertare la comproprietà dell’immobile e di disporre la divisione, con condanna della resistente al rilascio della quota illegittimamente posseduta.
La S. ha eccepito che il D. aveva rinunciato all’eredità paterna in data 12.5.1988 e che, pertanto, C.M.C. era unica erede di D.F., per cui l’immobile, facente parete dell’asse ereditario, era stato legittimamente acquistato dalla ricorrente in piena proprietà in forza del decreto di trasferimento del 24.5.1993.
Il Tribunale – con sentenza parziale n. 255/2009 – ha accolto la domanda ed ha dichiarato il ricorrente comproprietario dell’immobile, ma la pronuncia è stata integralmente riformata in appello.
La Corte distrettuale di Bari ha ritenuto anzitutto ammissibile la produzione del verbale di inventario dell’eredità redatto dal D., effettuata nel terzo terminedell’art. 183 c.p.c., nel testo all’epoca vigente.
Ha rilevato che il ricorrente, pur avendo acquisito la qualità di erede per effetto dell’accettazione con beneficio di inventario del 24.10.1979, aveva trascritto una successiva rinuncia ed ha stabilito che “a prescindere dalla inefficacia in sé della dichiarazione di rinuncia, non può non aversi riguardo all’efficacia dell’atto verso i terzi, e nella specie della S., che, sulla scorta della continuità delle trascrizioni, ha appurato l’intervenuta rinuncia all’eredità da parte del D., rinuncia che ha comportato l’accrescimento della quota ereditaria della madre, che quindi, già proprietaria pro quota, è divenuta proprietaria dell’intero immobile. Né il D. si era mai premurato di provvedere alla cancellazione della trascrizione della rinuncia. Pertanto come previstodall’art. 2666 c.c.la trascrizione, da chiunque effettuata, giova a tutti coloro che vi hanno interesse”.
Per la cassazione di questa sentenza D.A. ha proposto ricorso in quattro motivi, illustrati con memoria, cui S.N. ha resistito con controricorso e ricorso incidentale condizionato in due motivi.
Il ricorrente ha presentato istanza per la riunione del presente giudizio ad altri due procedimenti pendenti tra altre parti.
Motivi della decisione
1. Non sussistono i presupposti per la riunione del presente giudizio a quelli aventi i nn. 16742/2016 e 16252/2015, trattandosi di cause connesse solo per l’identità delle questioni, ma riguardanti parti ed immobili diversi.
2. Il primo motivo censura la violazione e falsa applicazione degliartt. 112, 342 e 346 c.p.c.eart. 2666 c.c., in relazioneall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver la sentenza ritenuto decisiva la trascrizione della rinuncia all’eredità effettuata al ricorrente, benché la violazionedell’art. 2666 c.c.non fosse stata dedotta con i motivi di appello, per cui la questione, essendo oggetto di un’eccezione non riproposta in secondo grado, doveva ritenersi rinunciata ai sensidell’art. 346 c.p.c.e non poteva essere esaminata d’ufficio.
Il motivo è infondato.
Il D. ha agito in giudizio per ottenere il riconoscimento della comproprietà, per la quota del 50%, dell’immobile acquistato dalla resistente con decreto di trasferimento del giudice delegato emesso il 24.5.1993. Il Tribunale ha dichiarato la comproprietà dell’immobile, ritenendo inefficace la rinuncia del 12.5.1998, in quanto compiuta dopo che il D. aveva già accettato l’eredità con beneficio di inventario.
Di conseguenza, le questioni concernenti l’avvenuto acquisto della qualità di erede da parte del ricorrente, gli effetti della rinuncia all’eredità e della sua successiva trascrizione, erano state oggetto di dibattito in primo grado (cfr. sentenza pag. 4) e investivano il punto decisivo della causa, suscettibile di esser riesaminato in appello in quanto inscindibilmente connesso con le ragioni di contestazione sollevate dall’appellante, dirette a sostenere che il D. avesse validamente rinunciato all’eredità paterna.
Difatti, ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico.
Ne consegue che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (Cass. 16.5.2017, n. 12202; Cass. 4.2.2016, n. 2217).
3. Il secondo motivo censura la violazione e falsa applicazione degliartt. 519 e 674 c.c., in relazioneall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza riconosciuto efficacia sanante alla trascrizione della rinuncia all’eredità, ritenendo erroneamente che la quota ereditaria spettante del D. si fosse accresciuta a vantaggio della C., non considerando che il ricorrente aveva accettato l’eredità senza potervi più rinunciare ed era quindi divenuto comproprietario dell’immobile.
Il terzo motivo censura la violazione e falsa applicazione degliartt. 2644 e 2666 c.c., in relazioneall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza trascurato che la trascrizione era idonea esclusivamente a produrre l’opponibilità della rinuncia nei confronti dei terzi ma non a sanare l’acquisto a non domino da parte della resistente, non potendo invocarsi la continuità delle trascrizioni, posto che sia l’accettazione dell’eredità che la successiva rinuncia effettuate dal ricorrente erano state trascritte.
Il quarto motivo censura l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensidell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte di merito ritenuto efficace la rinuncia all’eredità effettuata dal ricorrente, pur avendo considerato che essa era stata compiuta dopo l’accettazione dell’eredità.
I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
3.1. Il D. aveva accettato l’eredità in data 24.10.1979, allorquando era ancora minorenne, e l’inventario è stato redatto il 25.10.1979.
Su tali premesse la Corte di merito ha correttamente escluso che il ricorrente fosse incorso nella decadenza sancitadall’art. 485 c.c.per non aver eseguito l’inventario nel termine di tre mesi, poiché, a normadell’art. 489 c.c., poteva provvedervi entro un anno dal raggiungimento della maggiore età (Cass. 9648/2000; Cass.8832/1999; Cass. 9142/1995). La sentenza impugnata ha però conferito indebito rilievo alla trascrizione della successiva rinuncia, ritenendola idonea a determinare l’accrescimento della quota in favore della C. e a consolidare l’acquisto dell’intero immobile da parte della resistente sulla scorta della continuità delle trascrizioni, incorrendo nell’errore denunciato in ricorso.
Occorre considerare che, mentre nel regime anteriore all’entrata in vigore del codice civile, la trascrizione della rinuncia era contemplata dal R.D. 30 dicembre 1933, n. 3272, art. 19, lett. c), (il quale – ai soli fini della imposta ipotecaria – sottoponeva alla trascrizione le sentenze dalle quali risultasse la qualità di erede o di legatario di beni immobili, l’accettazione o la rinuncia alla eredità, sia legittima, sia testamentaria),l’art. 2643 c.c., comma 1, n. 5 si limita a prevedere che devono rendersi pubblici con il mezzo della trascrizione gli atti tra vivi di rinuncia ai diritti immobiliari.
Parimenti,l’art. 2645 c.c.statuisce che deve rendersi pubblico – agli effetti previstidall’art. 2644 c.c.- ogni altro atto che produca, in relazione a beni o diritti immobiliari, taluni degli effetti dei contratti menzionatinell’art. 2643 c.c., salvo che dalla legge risulti che la trascrizione non è richiesta o è richiesta ad altri fini.
Come osservato in dottrina, le citate disposizioni ricollegano gli effetti previsti dagliartt. 2644 e 2650 c.c.alla trascrizione dei soli atti con cui un soggetto, già titolare di un diritto immobiliare, dichiari successivamente di volervi rinunciare.
Tale condizione non si riscontra nella rinuncia all’eredità poiché il chiamato alla successione non acquisisce, per effetto della mera delazione, alcun diritto sui beni facenti parte dell’asse ereditario ma acquista la sola facoltà di accettare o di esercitare un rifiuto impeditivo di qualsivoglia acquisto iure successionis, dato che, come previstodall’art. 521 c.c., comma 1, chi rinuncia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato. Si spiega in tal modo che, anche qualora l’acquisto per causa di morte si colleghi alla rinuncia di uno dei chiamati, non è necessaria la trascrizione della rinuncia, occorrendo solo presentare il documento che la comprovi e menzionarlo nella nota (art. 2662 c.c.).
3.2. Nel caso in esame, il ricorrente aveva accettato l’eredità ed aveva compiuto l’inventario nel termine di cuiall’art. 489 c.c., per cui la successiva rinuncia del 12.5.1988 doveva considerarsi priva di effetto.
Nessun accrescimento della quota poteva determinarsi in favore della C., non potendo la trascrizione sanare l’inefficacia della rinuncia (Cass. 23127/2016; Cass. 2162/2005; Cass. 970/1967), né comportare il consolidamento dell’acquisto dell’intero immobile da parte della S. in baseall’art. 2650 c.c., avendo la trascrizione solo effetti di mera pubblicità-notizia.
Occorreva semmai considerare che, mentre il D. aveva ricevuto la quota per successione paterna ed aveva trascritto l’accettazione dell’eredità, la resistente aveva acquistato successivamente la medesima quota nell’ambito della procedura di concordato preventivo aperta a carico della C., dovendosi risolvere il conflitto tra l’erede accettante ed il terzo acquirente in base al regime di opponibilità disciplinatodall’art. 2919 c.c., comma 1 (cfr. Cass. 5888/1992) ovvero in base alle previsioni in tema di acquisto dall’erede apparente (per effetto delle quali, risultando la trascrizione dell’acquisto dell’eredità da parte del D. anteriore all’acquisto della S., quest’ultima sarebbe del pari risultata soccombente, come appunto esplicitato dalla previsione di cuiall’art. 534 c.c., u.c. specificamente dettato in tema di acquisti immobiliari).
4. Il primo motivo del ricorso incidentale censura la violazionedell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3, sostenendo che il D. aveva depositato tardivamente, solo nella pendenza del termine di cuiall’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3, il verbale di inventario dell’eredità e la consulenza tecnica per la stima dei beni redatta nella procedura di concordato preventivo, senza dedurre nei precedenti atti difensivi di aver provveduto all’accettazione beneficiata. Il deposito dell’inventario doveva aver luogo nel terminedell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, poiché la resistente aveva prodotto la propria documentazione già all’atto di costituzione in giudizio, senza articolare successivamente alcuna ulteriore richiesta istruttoria.
Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza.
Si evince dalla sentenza impugnata che la resistente aveva eccepito l’intervenuta decadenza dall’accettazione beneficiata per non aver il D. effettuato l’inventario nel termine di cuiall’art. 485 c.c.(cfr. sentenza pag. 4). La circostanza che il D. avesse però redatto l’inventario in data 9.9.1980, decorsi più di tre mesi dalla dichiarazione di accettazione (effettuata in data 25.10.1979), non impediva di considerare ormai perfezionato l’acquisto della qualità di erede, poiché tale adempimento poteva esser compiuto entro un anno dal raggiungimento della maggiore età del chiamato, in applicazione del dispostodell’art. 489 c.c., così come è appunto avvenuto nel caso in esame (cfr. sentenza pagg. 4 e 5).
Non rileva quindi stabilire se la Corte di merito, ritenendo tempestiva la produzione dell’inventario effettuata nel terzo terminedell’art. 183 c.p.c.(nel testo all’epoca vigente) sia incorsa nella violazione denunciata, restando comunque impregiudicati l’acquisto della quota ereditaria da parte del ricorrente e la correttezza della pronuncia nel punto in cui ha stabilito che questi aveva validamente accettato l’eredità paterna ed aveva acquisito la qualità di erede (cfr. sentenza pag. 5).
5. Il secondo motivo del ricorso incidentale censura la violazione degliartt. 91 e 92 c.p.c.in relazioneall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza disposto la compensazione delle spese di lite benché non sussistessero le gravi ed eccezionali ragioni richieste dalla norma, avendo la Corte di merito conferito indebito rilievo alla peculiarità della fattispecie concreta, non tenendo conto dell’integrale rigetto della domanda proposta dal ricorrente.
Il motivo è assorbito poiché la statuizione sulle spese è travolta dall’accoglimento del ricorso e competerà – quindi – al giudice del rinvio provvedere ad una nuova regolazione delle spese in base all’esito finale del giudizio.
Seguono rigetto del primo motivo del ricorso principale, accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo, rigetto del primo motivo del ricorso incidentale ed assorbimento del secondo.
La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Bari che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente in via incidentale è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art.13, comma 1quater.
P.Q.M.
rigetta il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Bari anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Si dà atto che la ricorrente in via incidentale è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art.13, comma 1quater.
Così deciso in Roma, il 21 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2018

La circostanza che il giudice civile dinanzi al quale pende il giudizio di divorzio non abbia ritenuto di accogliere l’istanza istruttoria di parte ricorrente non rileva ai fini dell’ammissibilità di un giudizio di accesso agli atti amministrativi, essendo esso soggetto a diversi e suoi propri requisiti di ammissibilità

T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, 10 gennaio 2019, n. 366
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8999 del 2018, proposto da:
F.M., rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Giovanna Ruo, Davide Piazzoni, Guido Piazzoni, con domicilio eletto presso lo studio Maria Giovanna Ruo in Roma, via Trionfale 6551;
contro
Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale Lazio, Agenzia delle Entrate non costituiti in giudizio;
nei confronti
C.P., rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Ruffini, Martina Silvestrini, con domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Ruffini in Giustizia, Pec Registri;
per l’annullamento
1. Del provvedimento tacito di diniego opposto dalle amministrazioni resistenti all’istanza di accesso agli ex. artt.22 e ss.dellaL. n. 241 del 1990in data 14 giugno 2018;
2. Del provvedimento espresso tardivo di diniego all’accesso agli atti notificato il 02.07.2018 dall’Agenzia delle Entrate – Direzione regionale del Lazio.
Nonché per l’accertamento
Del diritto di accesso di F.M., nato a V. il (…), a prendere visione, per fini di giustizia, delle dichiarazioni dei redditi di tutte le comunicazioni inviate da tutti gli operatori finanziari all’anagrafe tributaria – sezione archivio dei rapporti finanziari – relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria ed ai rapporti di qualsiasi genere, riconducibili alla sig.ra C.P., anche in qualità di delegato, relative al periodo intercorrente tra il giugno 2013 e il 25 maggio 2018
E per la condanna
Dell’amministrazione resistente all’ostensione dei documenti richiesti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di C.P.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2018 la dott.ssa Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con il ricorso in epigrafe, parte ricorrente agisce per ottenere l’accesso ai documenti di cui alla istanza presentata in data 14 giugno 2018 all’Agenzia delle entrate.
Espone di avere in corso un processo per lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio con la controinteressata e riferisce che, in una sentenza della Corte di appello del 2017, erano emerse strane movimentazioni sui conti intestati alla moglie.
Chiede quindi accesso alle dichiarazioni dei redditi della moglie e alle comunicazioni inviate da tutti gli operatori finanziari all’anagrafe tributaria – sezione archivio dei rapporti finanziari – relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria ed ai rapporti di qualsiasi genere, riconducibili alla moglie, anche in qualità di delegato, relative al periodo intercorrente tra il giugno 2013 e il 25 maggio 2018.
Dichiara di corrispondere 800 Euro al mese alla moglie per il mantenimento dei due figli e specifica che il suo interesse poggia sulla esigenza di rivedere le condizioni economiche della separazione.
L’Agenzia delle entrate ha, con provvedimento notificato il 02.07.2018, respinto l’istanza di accesso con riferimento alla sezione archivio dei rapporti finanziari, citando un precedente del Consiglio di Stato (3461/2017), secondo cui, in questi casi, ci si dovrebbe rivolgere unicamente al giudice civile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 492 bis c.p.c. e 155 quinques e 155 sexies disp. att. c.p.c.
Nell’atto di ricorso, parte ricorrente, dopo aver argomentato circa la propria legittimazione, essendo ancora in corso il giudizio di cessazione degli effetti del matrimonio con la controinteressata, ha dedotto la tardività del diniego impugnato, in quanto notificato oltre il trentesimo giorno dall’istanza, nonché la carenza e l’illogicità della motivazione addotta dalla amministrazione a sostegno del diniego di accesso. Infatti, come già ritenuto anche dal TAR Lazio (cfr. sent. 12289/2017) l’ampliamento dei poteri istruttori del giudice civile non può tradursi in una limitazione dell’ambito di applicazione dellaL. n. 241 del 1990.
La controinteressata si è costituita in giudizio e ha depositato una memoria corredata da ampia documentazione, per chiedere il rigetto del ricorso in quanto infondato. L’accesso al settore Archivio dei rapporti finanziari dell’Anagrafe tributaria, infatti, necessiterebbe della autorizzazione del giudice civile. Nel caso di specie, lo stesso giudice civile, al quale parte ricorrente aveva proposto analoga richiesta, l’ha rigettata, ritenendo superfluo ogni ulteriore accertamento istruttorio. Ne deriverebbe pertanto anche l’assenza di interesse al presente giudizio.
L’agenzia delle entrate si è costituita con mero atto di stile.
All’odierna udienza, la difesa della controinteressata ha sostenuto che non vi sarebbe interesse all’accesso in quanto il procedimento di separazione è pendente in cassazione quello didivorzio è in fase di precisazione delle conclusioni e quindi l’istante non si potrebbero produrre più documenti.
Parte ricorrente ha fatto presente che comunque anche in fase di appello possono prodursi documenti e ha quindi contestato quanto dichiarato dalla controinteressata.
La causa è stata trattenuta in decisione.
Occorre, in primo luogo, esaminare l’eccezione di carenza di interesse prospettata dalla controinteressata. Essa non può essere accolta.
La circostanza che il giudice civile dinanzi al quale pende il giudizio didivorzionon abbia ritenuto di accogliere l’istanza istruttoria di parte ricorrente non rileva ai fini dell’ammissibilità di un giudizio di accesso agli atti amministrativi, essendo esso soggetto a diversi e suoi propri requisiti di ammissibilità.
Il ricorso nel merito è fondato e pertanto esso va accolto.
Come questa Sezione ha già avuto modo di affermare recentemente (cfr. sent. n. 12289/2017 e n. 2161/2017), a proposito della mancanza di autorizzazione del giudice del procedimento di separazione, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155 sexies disposizioni di attuazione c.p.c. e dell’art. 492 bis cod. proc. civ., introdotto dalD.L. 12 settembre 2014, n. 132convertito dallaL. 10 novembre 2014, n. 162, richiamando quanto affermato dal TAR Bologna nella sent. n. 753 del 2016, il combinato disposto degli artt. 492 bis c.p.c. e 155 sexies disp. att. c.p.c., che prevede l’applicabilità delle modalità di ricerca telematica anche quando l’autorità giudiziaria deve adottare provvedimenti in materia di famiglia, costituisce un semplice ampliamento dei poteri istruttori del giudice della cognizione già previsti dal codice di procedura civile ai sensidell’art. 210 cod. proc. civ., ma non rappresenta un’esclusione dal diritto d’accesso dei documenti contenuti nell’Archivio dei rapporti finanziari.
In sostanza, le citate norme non hanno comportato alcuna ipotesi derogatoria alla disciplina in materia di accesso alla documentazione contenuta nelle banche dati della pubblica amministrazione, avendo invece il legislatore voluto ampliare con l’art. 155 sexies disp. att. c.p.c. i poteri istruttori del giudice ordinario nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia.
Le due discipline pertanto sono complementari poiché il giudice che tratta la vicenda matrimoniale può utilizzare i poteri di accesso ai dati della P.A. genericamente previstidall’art. 210 c.p.c.come ampliati dalle nuove norme inserite nel 2014, ma questa rimane una facoltà non un obbligo del giudice.
Il Collegio pertanto, come nel proprio precedente n. 12289/2017, ritiene di non dover aderire al recente precedente del Consiglio di Stato n. 3461 del 2017, citato dalla amministrazione resistente, in quanto esso – affermando in sostanza l’inutilizzabilità dello strumento dell’accesso ai documenti tutte le volte in cui sia pendente un giudizio civile, dovendosi in tal caso fare uso solamente dei poteri istruttori previsti della normativa del codice di procedura civile, finisce con lo svuotare di contenuto il diritto di accesso ai documenti, che le recenti leggi hanno inteso ampliare sempre più nella sua portata e che è espressamente ritenuto dallaL. n. 241 del 1990,art.24, funzionale alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti.
L’adesione al succitato orientamento porterebbe, infatti, alla paradossale conseguenza di poter far ricorso alle norme in materia di diritto di accesso per la tutela dei propri interessi giuridici solo prima della proposizione di un’azione giudiziale mentre lo precluderebbe in pendenza di un procedimento civile, costringendo la parte a fare uso dei soli poteri istruttori previsti dal codice di rito, peraltro subordinati alla valutazione discrezionale del giudice civile.
Deve pertanto conservarsi la possibilità per il privato di ricorrere agli ordinari strumenti offerti dallaL. n. 241 del 1990per ottenere gli stessi dati che il giudice potrebbe intimare all’Amministrazione di consegnare.
In conclusione deve essere affermato il diritto della ricorrente ad ottenere l’accesso delle comunicazioni inviate da tutti gli operatori finanziari all’anagrafe tributaria – sezione archivio dei rapporti finanziari – relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria ed ai rapporti di qualsiasi genere, riconducibili alla moglie, anche in qualità di delegato, relative al periodo intercorrente tra il giugno 2013 e il 25 maggio 2018, nelle forme della sola visione, senza estrazione di copie, come statuito dalla citata sentenza del Consiglio di Stato della sentenza n. 2472/2014.
Nel caso di specie, infatti, le esigenze di tutela degli interessi economici e dell’assetto familiare prevalgono o quantomeno devono essere contemperate con il diritto alla riservatezza previsto dalla normativa vigente in materia di accesso a tali documenti “sensibili” del coniuge.
Ininfluente invece è la circostanza che il diniego espresso impugnato sia intervenuto dopo il termine di 30 giorni dalla istanza di accesso.
Il ricorso, in questi termini va accolto, con annullamento del provvedimento di diniego di accesso impugnato.
Le spese possono essere compensate, sussistendo giusti motivi attesa il recente precedente giurisprudenziale di segno contrario invocato dall’amministrazione resistente.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui alla motivazione.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

In materia di separazione anche nel giudizio di impugnazione si applica il rito camerale. Per il principio di conservazione degli atti anche l’appello della sentenza di separazione introdotto con citazione sarà ammissibile solo se notificato ed iscritto nei termini perentori di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c.

Cass. civ. Sez. VI – 1, 10 gennaio 2019, n. 403
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29149-2017 proposto da:
B.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIALOJA 3, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO GRASSO, rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELE NICOLIN;
– ricorrente –
contro
G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO CIULLINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2382/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 30 ottobre 2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13 novembre 2018 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO VALITUTTI.
Svolgimento del processo
che:
B.L. ha proposto ricorso per cassazione – affidato a due motivi – avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 2382 del 2017, depositata il 30 ottobre 2017, con la quale l’appello dell’odierna ricorrente – avverso la decisione di prime cure che aveva pronunciato la separazione giudiziale dal marito G.G. – veniva dichiarato inammissibile, poiché proposto oltre il termine sei mesi, previstodall’art. 327 c.p.c.;
l’intimato non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
che:
con il primo motivo di ricorso – denunciando la violazione e falsa applicazionedell’art. 327 c.p.c., in relazioneall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale abbia dichiarato inammissibile l’appello avverso la decisione di prime cure, dalla medesima proposto, sebbene il termine di sei mesi dalla pubblicazione della decisione di primo grado fosse stato rispettato, mediante tempestiva notifica dell’atto di appello nel termine di cuiall’art. 327 c.p.c.;
Ritenuto che, in tema di impugnazione della sentenza di separazione personale tra coniugi, la disposizione secondo la quale (“ex lege” n. 74 del 1987) “l’appello è deciso in camera di consiglio” vada interpretata nel senso che essa postula l’applicazione del rito camerale con riferimento all’intero giudizio di impugnazione, con la conseguenza che la proposizione dell’appello si perfeziona con il deposito del relativo ricorso in cancelleria, nel termine perentorio di cui agliartt. 325 e 327 c.p.c., costituendo, per converso, la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza un momento meramente esterno e successivo alla fattispecie processuale introduttiva del giudizio di impugnazione, funzionale soltanto all’instaurazione del contraddittorio;
tuttavia, ove l’appello sia stato introdotto con atto di citazione e non con ricorso, la nullità dell’impugnazione non risulti predicabile, in applicazione del generale principio di conservazione degli atti processuali, sempre che l’atto viziato abbia i requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo, ed il relativo deposito nella cancelleria del giudice adito sia avvenuto entro i termini perentori fissati dalla legge (Cass., 22/07/2004, n. 13660; Cass., 17/11/2006, n. 24502; Cass., 10/08/2007, n. 17645; Cass., 13/10/2011, n. 21161);
Rilevato che, nel caso concreto, la B. risulta avere proposto appello, avverso la decisione di prime cure, pubblicata il 14 ottobre 2016, con atto di citazione notificato a mezzo p.e.c. ai difensori del G. in data 13 aprile 2017, provvedendo, poi, ad iscrivere la causa a ruolo solo il 24 aprile 2017, ossia tardivamente rispetto al termine di legge;
Considerato che, con il secondo motivo di ricorso – denunciando la violazione e falsa applicazione delD.P.R. n. 115 del 2002,art.136, comma 2, nonché del D.P.R., art. 13, comma 1, in relazioneall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’istante si duole del fatto che la Corte territoriale abbia revocato l’ammissione della B., disponendo, altresì, a suo carico, il pagamento del contributo unificato in misura doppia;
Ritenuto che le statuizioni rese, al riguardo, dalla Corte d’appello si palesino del tutto corrette, attesa l’inammissibilità originaria del gravame proposto dall’odierna ricorrente, poiché tardivo, con conseguente sussistenza, sia del presupposto della colpa grave, ai fini della revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio, sia il carattere dilatorio e pretestuoso dell’appello, ai fini del versamento del doppio contributo unificato (Cass., 02/07/2015, n. 13636);
Ritenuto che, per le ragioni esposte, il ricorso debba essere rigettato senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2019

Il coniuge divorziato che forma una nuova famiglia (anche di fatto) perde definitivamente il diritto all’assegno precedentemente riconosciutogli

Cass. civ. Sez. VI – 1, 10 gennaio 2019, n. 406
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 751-2018 proposto da:
B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 10, presso lo studio dell’avvocato ENRICO DANTE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARZIA FABIANI;
– ricorrente –
contro
M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LAURO, rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO PIAZZA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2219/2017 della CORTE D’ APPELLO di TORINO, depositata il 11 ottobre 2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 04 dicembre 2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE.
Svolgimento del processo
Che:
la Corte d’appello di Torino, con sentenza dell’11 ottobre 2017, ha accolto il gravame di M.F. avverso la sentenza impugnata che gli aveva imposto di corrispondere alla ex moglie B.M. l’assegno divorzile, determinato in Euro 400,00 mensili, non più dovuto in considerazione del fatto che la B. conviveva con un altro uomo, come si desumeva dalla testimonianza resa da un investigatore privato, il quale aveva riferito fatti che dimostravano la convivenza stabile e duratura;
la B. ha proposto ricorso per cassazione, illustrato anche da memoria, deducendo con unico motivo omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, contestando l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie, tra le quali il fatto che beneficiava di un contributo di assistenza dal Comune di residenza, che dimostrava indirettamente l’insussistenza della stabile convivenza con il suo compagno;
il M. ha presentato controricorso.

Motivi della decisione

Che:
il giudice di appello si è uniformato al principio secondo il quale l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto resta definitivamente escluso (Cass. n. 6855 del 2015, n. 2466 del 2016);
la ricorrente, dolendosi della mancanza di una “attenta valutazione delle risultanze istruttorie” (in memoria), chiede una impropria rivisitazione di apprezzamenti di fatto censurabili nei ristretti limiti del nuovoart. 360 c.p.c., n. 5;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna la ricorrente alle spese liquidate in Euro 2.500,00, di cui 100,00 per esborsi.
È dovuto il raddoppio del contributo a carico della ricorrente come per legge.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2019

E’ pacifica la revocabilità di atti del debitore avvenuti a titolo gratuito nei confronti dell’ex moglie.

Tribunale di Vicenza sent. del 14 gennaio 2019.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale Ordinario di Vicenza
Il Tribunale Ordinario di Vicenza , SEZIONE STRALCIO in composizione monocratica in persona del magistrato dott. Eloisa Pesenti ha pronunciato la seguente
SENTENZA
definitivamente provvedendo nella causa n.813/2012 promossa con atto di citazione e iscritta a ruolo il GIORNO 8.2.2012 da:
() rappresentata e difesa dall’avv. DORIA PAOLO ( con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in P.TTA S. STEFANO 1 36100 VICENZA giusta procura a margine dell’atto di citazione
attrice
CONTRO
(
, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso come da procura a margine della comparsa di costituzione
(C.F.:
, come da procura a margine della comparsa di costituzione
convenuti
In punto : azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.
Conclusioni delle parti: come da fogli allegati al verbale d’udienza dell’11.10.2018:
CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
(ART.132 C.P.C.)
Con l’atto di citazione in epigrafe indicato parte attrice premesso di essere creditrice nei confronti di , al quale aveva prestato in data 15.6.2004 la somma di € 180.450,00, e che tale credito era stato oggetto del decreto ingiuntivo n. 1285/2010 di questo Tribunale nonché di successivo atto di precetto per euro 92.245,80 (considerato che la restante parte era stata pagata dall’altro ingiunto Miazzo Giovanni), esponeva che in data 14.5.2009 il si era spogliato di tutti i propri beni immobili cedendoli alla moglie nel contesto della separazione personale consensuale, omologata il 7.7.2009.
Ritenendo che tale atto fosse stato compiuto allo scopo di sottrarre i beni alle ragioni creditorie, visto che i coniugi avevano continuato a convivere more uxorio nella villa di C ne chiedeva la revoca ex art.2901 c.c., convenendo in giudizio cedente e cessionaria.
Il convenuto costituitosi, chiedeva il rigetto delle domande attoree ed eccepiva: di non avere mai immaginato di essere personalmente obbligato per un debito assunto da quale legale rappresentante di HOUSE SRL; che la separazione non era simulata ed era avvenuta perché “ il progressivo deterioramento della serenità coniugale non permetteva ai due convenuti di proseguire la convivenza”; che l’atto di trasferimento non era a titolo gratuito ma oneroso visto che era stato previsto in luogo dell’assegno di mantenimento.
La convenuta pure si costituiva e chiedeva il rigetto delle domande attoree, eccependo di non essere mai stata a conoscenza dei rapporti commerciali intrattenuti dal marito, essendosi sempre dedicata solo alla casa e ai figli; negava che la separazione fosse stata simulata e affermava di intrattenere col marito separato “un sereno rapporto interpersonale”.
Nel corso della fase istruttoria si procedeva all’interrogatorio formale e all’assunzione di prove testimoniali, e la causa veniva infine rinviata per la precisazione delle conclusioni tenutasi avanti alla Sezione stralcio.
Vanno preliminarmente rigettate le istanze istruttorie riproposte in sede di precisazione delle conclusioni in quanto inammissibili e irrilevanti per i motivi già ritenuti dal precedente giudice istruttore , che integralmente si richiamano, oltre che superflue alla luce dell’attività istruttoria già espletata.
La sussistenza del credito della nei confronti del è provato dalle due dichiarazioni scritte dallo stesso e relative alla somma di € 175.450 rispettivamente in data 13/11/08 e 16/2/10 (docc. 2-3 attorei), che, in aggiunta alla dichiarazione del 15/6/2004 rilasciata dal figlio “in qualità di amministratore unico” della HOUSE (doc. 1 attoreo), hanno fondato l’emissione del decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo n.1285/2010 R.G. D.Ing. anche nei confronti del personalmente .
Contro tale decreto ingiuntivo il ha proposto opposizione tardiva, che è stata dichiarata inammissibile con sentenza n. 906/2018 di questo Tribunale, attualmente appellata. Parimenti è stata rigettata dal Tribunale di Padova, con sentenza n. 1658/2014, l’opposizione a precetto, con condanna del alla rifusione delle spese di lite e condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.
In ogni caso, per costante giurisprudenza l’ azione revocatoria è data anche a tutela di crediti eventuali o litigiosi, per cui non ricorrono i presupposti per la sospensione del presente processo in attesa della definizione dell’opposizione al decreto ingiuntivo in fase di appello. ( “L’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore.” Sez. 3, Sentenza n. 5619 del 22/03/2016 Sez. 3 – , Sentenza n. 23208 del 15/11/2016).
Sussiste certamente l’eventus damni visto che a seguito del trasferimento il risulta essere nullatente, come da visura in atti.
L’atto di cessione di tutti i beni del debitore alla moglie nel contesto della separazione personale (14.5.2009) è successivo al sorgere del credito 1550 SRL, nella quale egli non riveste ufficialmente alcun ruolo, e che si reca nel rustico costituente unità locale di la propria attività.
Va altresì osservato che nel periodo in cui è stato costantemente seguito dall’Agenzia di investigazioni il non si è mai recato presso la residenza ufficiale di , dove è residente la figlia e dove veniva avvistata la moglie (ad es. doc. 19 p. 7-10: “Ivi giunti (in Via – accertiamo la presenza della vettura Mercedes Classe A…. intestata a moglie del nominato. Non rileviamo invece alcun movimento riconducibile al nominato da segnalare”).
Quanto alla scientia damni da parte della cessionaria, nel caso di specie la cessione appare atto a titolo gratuito perché in sede di separazione non è prevista la liquidazione una tantum come in sede di divorzio, e appare dubbio che tale cessione abbia tenuto luogo del mantenimento della moglie, la quale, avendo dichiarato di essersi sempre dedicata alla casa e ai figli, dovrebbe essere stata nel 2009 , a 59 anni, priva di reddito e di pensione e quindi comunque aiutata dal marito. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte è ammissibile l’azione revocatoria ordinaria del trasferimento di immobile, effettuato da un genitore anche in favore della prole in ottemperanza ai patti assunti in sede di separazione consensuale omologata, “poiché esso trae origine dalla libera determinazione del coniuge e diviene “dovuto” solo in conseguenza dell’impegno assunto in costanza dell’esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, sicché l’accordo separativo costituisce esso stesso parte dell’operazione revocabile e non fonte di obbligo idoneo a giustificare l’applicazione dell’art. 2901, terzo comma, cod. civ.”Sez. 3, Sentenza n. 1144 del 22/01/2015
Sez. 1, Sentenza n. 13087 del 24/06/2015 e Sez. 3, Sentenza n. 11914 del 13/05/2008 ritengono il trasferimento in sede di separazione revocabile e non oneroso ove non abbia la funzione di integrare o sostituire quanto dovuto per il mantenimento suo o dei figli, avuto riguardo anche al contenuto obbligatorio dell’accordo di separazione accordo che “può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della “gratuità”, in ragione dell’eventuale ricorrenza – o meno – nel concreto, dei connotati di una sistemazione “solutorio-compensativa” più ampia e complessiva, di tutta quell’ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale(Cass.Sez. 3, Sentenza n. 5473 del 14/03/2006 )
Nel caso di specie dalla separazione consensuale nulla emerge in tal senso, se non la dicitura “il sig. in ragione del fatto che non verserà alcuna somma per il mantenimento della signora trasferisce contestualmente alla moglie la proprietà della casa coniugale intestata allo stesso, nonchè dei terreni di sua proprietà, così catastalmente identificati….”
Pertanto, richiamata altresì l’inverosimiglianza di un mancato mantenimento alla moglie che, casalinga, non risulta avere propri redditi, il trasferimento di tutti i beni immobili nell’ambito di una siffatta separazione consensuale appare costituire una concessione non equilibrata nell’ambito di una “sistemazione “solutorio-compensativa” più ampia e complessiva”, ossia una ulteriore gratificazione, assimilabile a liberalità.
Ma, quand’anche si volesse diversamente opinare e ritenere il trasferimento atto a titolo oneroso, sussiste certamente la consapevolezza, da parte della moglie, del fatto che la cessione di tutti i beni costituisse pregiudizio per i creditori, visto che la non poteva ignorare che il marito fosse dedito ad attività imprenditoriali ed esposto a debiti. Dalle visure camerali in atti risulta infatti che egli aveva rivestito cariche sociali o avuto partecipazioni in numerose società, di cui alcune fallite, altre in liquidazione, e in alcune delle quali partecipavano anche i figli della coppia (docc. 10-11), sicchè la deve esserne stata a conoscenza, quanto meno indirettamente attraverso la conoscenza delle attività dei figli.
Va infine osservato che le denunce penali contro e le domande risarcitorie per svariati milioni di euro, riguardanti fatti del 2007-2009, successivamente divenute di dominio pubblico essendo state pubblicate nei giornali (docc.18 e 19 attorei), non potevano all’epoca essere ignorate dai familiar,i visti anche i rapporti lavorativi tra gli stessi intercorrenti.
Sussistono, pertanto, tutti gli elementi per l’accoglimento dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., con assorbimento dell’ulteriore domanda relativa alla simulazione.
Il regolamento delle spese di lite segue la soccombenza, e la liquidazione viene effettuata come da dispositivo sulla base del D.M. n. 55/2014 e DM 37/2018, in base alle attività espletate e alla complessità della lite.
PER QUESTI MOTIVI
definitivamente decidendo, disattesa ogni diversa domanda, eccezione o deduzione, il giudice così provvede:
1) dichiara l’inefficacia ex artt. 2901 e segg. c.c., nei confronti della creditrice della cessione dei beni immobili stipulata dai convenuti con verbale di separazione del 14/5/09 omologato il 7/7/09 (Trib. Vicenza n. 1967/09 R.G.) e così catastalmente censiti:
2) condanna i convenuti, in solido tra di loro, a rifondere all’attrice le spese di lite, liquidate in euro 660,00 per anticipazioni ed euro 13.430,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario, CPA e IVA come per legge.
Così deciso in Vicenza il 10.1.2019
Il giudice
Dr. Eloisa Pesenti

Una volta intervenuto l’inventario (ad opera dei genitori) si perfeziona l’acquisto della qualità di erede in capo al minore

Cass. civ. Sez. II, 16 novembre 2018, n. 29665
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16742/2016 proposto da:
D.B.A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 110 SC: 1, int. 9, presso lo studio dell’avvocato NICOLA D’IPPOLITO, rappresentato e difeso dall’avvocato FERNANDO GRECO giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
P.M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentata e difesa dall’avvocato RUGGERO CORVASCE giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e C.M.C.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 991/2015 della CORTE D’APPELLO d.B., depositata il 26/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/10/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie di parte ricorrente.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. A seguito del decesso di D.B.F. avvenuto in data (OMISSIS), succedevano ex lege il figlio minore D.B.A.A. ed il coniuge C.C.M., la quale accettava per conto del primo l’eredità paterna con beneficio di inventario, giusta autorizzazione del giudice tutelare del 25/10/1979.
Tra i beni caduti in successione vi era anche un complesso immobiliare costituito da capannone industriale con palazzina annessa e piazzali, sito in (OMISSIS) in catasto al foglio (OMISSIS), part. (OMISSIS).
In data 12 maggio 1988 D.B.A.A., a breve distanza dal conseguimento della maggiore età, rinunciava all’eredità, con dichiarazione inserita ai sensidell’art. 519 c.c., eart. 52 disp. att. c.c., nel registro delle successioni tenuto all’epoca presso la Pretura di Barletta.
Nelle more la C., anche dopo il decesso del marito aveva continuato a gestire l’impresa del de cuius, che era entrata in crisi, venendo infine ammessa alla procedura di concordato preventivo, nell’ambito della quale P.M.S. aveva acquistato il detto complesso immobiliare.
Con successivo atto di citazione del 21 marzo 2007, D.B.A.A. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Trami la P. per sentire accertare che era proprietario della metà del complesso immobiliare acquistato dalla convenuta, onde poi pervenire alla divisione del bene, con la condanna della convenuta anche al rendiconto della quota di frutti medio tempore percepiti.
Assumeva l’attore che, avendo accettato l’eredità con beneficio di inventario, non era più possibile una successiva rinuncia, risultando quindi inefficace la rinuncia all’eredità compiuta poco dopo il raggiungimento della maggiore età.
Si costituiva la convenuta che contestava la fondatezza della domanda, ed in via riconvenzionale deduceva di essere divenuta proprietaria dell’intero bene ai sensidell’art. 1159 c.c., chiedendo di essere autorizzata a chiamare in garanzia la C..
Autorizzata la chiamata in causa, si costituiva la C. che deduceva la propria estraneità alla vicenda.
Il Tribunale adito con la sentenza del 17 luglio 2012 riteneva condivisibile la tesi dell’invalidità della rinuncia successiva da parte dell’attore, ma riteneva che la P. fosse divenuta proprietaria esclusiva del bene in virtù di usucapione decennale abbreviata, avendo posseduto in buona fede e sulla base di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento dell’intera proprietà.
Avverso tale sentenza ha proposto appello il D.B., assumendo l’inapplicabilità alla fattispecie della previsione di cuiall’art. 1159 c.c., ed insistendo per l’accoglimento della domanda originaria.
Nella resistenza delle appellate, avendo la P. proposto altresì appello incidentale, la Corte d’Appello di Bari con la sentenza n. 991 del 26/6/2015 accoglieva l’appello incidentale e rigettava la domanda del D.B., con la conseguente condanna al rimborso delle spese del doppio grado.
Ad avviso dei giudici di appello, il minore può accettare l’eredità solo con beneficio di inventario, con la conseguenza che al raggiungimento della maggiore età può alternativamente procedere alla redazione dell’inventario, entro un anno, ovvero lasciarsi decadere dal beneficio non provvedendo a tanto, e divenendo quindi erede, oppure può rinunciare all’eredità.
Ne scaturiva quindi che la rinuncia all’eredità compiuta dall’appellante subito dopo il raggiungimento della maggiore età era perfettamente valida, con la conseguenza che la quota ereditaria della C. si era accresciuta, essendo quindi legittima la vendita in sede di concordato dell’intera proprietà del bene.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.B.A.A., sulla base di due motivi.
P.M.S. ha resistito con controricorso.
C.M.C. non ha svolto difese in questa fase.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degliartt. 475, 484, 489 e 674 c.c..
Si rileva che la sentenza impugnata ha erroneamente applicato le previsioni codicistiche in tema di accettazione con beneficio di inventario da parte del minore, pervenendo quindi erroneamente alla conclusione circa l’accrescimento della quota ereditaria del coniuge del de cuius.
Ed, infatti, poiché all’epoca dell’apertura della successione il ricorrente era minore, questi non poteva che accettare con beneficio di inventario come impostodall’art. 489 c.c..
La norma peraltro accorda un ulteriore vantaggio al minore prevedendo che, anche laddove non abbia in precedenza provveduto a redigere l’inventario, possa comunque predisporre tale atto nel termine di un anno dal raggiungimento della maggiore età, conservando quindi gli effetti e i vantaggi del beneficio.
La mancata redazione dell’inventario fa sì che il minore, pur a fronte della formale accettazione da parte dei suoi rappresentanti legali, conservi la qualità di chiamato, sicché sempre entro l’anno, potrebbe, in alternativa alla redazione dell’inventario ovvero alla sua omissione (il che lo renderebbe erede puro e semplice alla scadenza dell’anno), rinunciare anche all’eredità.
Ciò però presuppone che l’inventario non sia stato in precedenza predisposto, in quanto una volta intervenuto anche tale atto si perfeziona l’acquisto della qualità di erede in capo al minore, il quale è quindi impossibilitato ad una successiva rinuncia per effetto del principio semel heres, semper heres.
Nella fattispecie, emerge invece la prova che l’inventario è stato redatto allorquando il ricorrente era ancora minorenne con la conseguenza che non era più possibile rinunciare all’eredità, palesandosi in tal modo erronea la decisione del giudice di appello.
Il motivo è fondato.
Occorre ricordare che, a seguito dell’elaborazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 11030/2003) si è precisato che nella procedura di accettazione con beneficio di inventario, la mancata redazione dell’inventario non è una causa di decadenza, come pur si era opinato in passato, ma impedisce il perfezionamento della fattispecie a formazione progressiva, essendo il beneficio della limitazione di responsabilità ricollegato al concorso sia dell’accettazione che della tempestiva redazione dell’inventario.
In relazione quindi alle eredità devolute a maggiorenni ed a soggetti capaci si è coerentemente affermato che (Cass. n. 16739/2005) se da un lato la dichiarazione di accettazione con beneficio d’inventario ha una propria immediata efficacia, determinando il definitivo acquisto della qualità di erede da parte del chiamato, che subentra perciò in “universum ius defuncti”, compresi i debiti del “de cuius”, d’altro canto essa non incide sulla limitazione della responsabilità “intra vires”, che è condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell’inventario, in mancanza del quale l’accettante è considerato erede puro e semplice (artt. 485, 487 e 488 c.c.) non perché abbia perduto “ex post” il beneficio, ma per non averlo mai conseguito. Infatti, le norme che impongono il compimento dell’inventario in determinati termini non ricollegano mai all’inutile decorso del termine stesso un effetto di decadenza ma sanciscono sempre come conseguenza che l’erede viene considerato accettante puro e semplice, mentre la decadenza è chiaramente ricollegata solo ed esclusivamente ad alcune altre condotte, che attengono alla fase della liquidazione e sono quindi necessariamente successive alla redazione dell’inventario.
Tale principio subisce evidentemente delle deroghe per le diverse ipotesi in cui sia imposta come obbligatoria e necessitata l’accettazione con beneficio di inventario, come appunto è previsto per i minori e gli incapaci nonché per i soggetti di cuiall’art. 473 c.c..
In tal senso si è ribadito anche di recente che (cfr. Cass. n. 21456/2017)l’art. 471 c.c., disponendo che le eredità devolute ai minori e agli interdetti non si possono accettare se non con il beneficio di inventario, esclude che il rappresentante legale dell’incapace possa accettare l’eredità in modo diverso, sicché l’eventuale accettazione tacita, fatta dal rappresentante con il compimento di uno degli atti previstidall’art. 476 c.c., non produce alcun effetto giuridico nei confronti dell’incapace. Tuttavia, se a seguito dell’inefficace accettazione dell’eredità per suo conto fatta dal legale rappresentante, il soggetto già minore d’età non provvede – ai sensidell’art. 489 c.c.- a conformarsi alle disposizionidell’art. 484 c.c.e segg., entro l’anno dal raggiungimento della maggiore età, rimane ferma con pieni effetti l’accettazione pura e semplice già avvenuta nel suo interesse ed acquistano efficacia anche tutti gli atti inerenti all’eredità accettata posti in essere dal rappresentante legale del minore.
Coerentemente con l’affermazione secondo cui la redazione dell’inventario costituisce uno degli elementi costitutivi della fattispecie a formazione progressiva dell’accettazione con beneficio di inventario, si è altresì precisato che (cfr. Cass. n. 8832/1999) anche qualora il genitore esercente la potestà (ora responsabilità genitoriale) sul figlio minore chiamato all’eredità faccia l’accettazione prescrittadall’art. 471 c.c., da cui deriva l’acquisto da parte del minore della qualità di erede (artt. 470 e 459 c.c.), ma non compia l’inventario necessario per poter usufruire della limitazione della responsabilità – e questo non sia redatto neppure dal minore entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, l’eredità resta acquisita da quest’ultimo, che però è considerato erede puro e semplice (art. 489 c.c.), mentre (cfr. Cass. n. 1267/1986) il mancato perfezionamento della procedura di accettazione beneficiata, mantiene il minore nella qualità di chiamato, sicché una volta divenuto maggiorenne, potrà valutare se conservare o meno il beneficio ovvero rinunciare alla eredità.
Tuttavia, come precisato sempre da questa Corte (cfr. Cass. n. 9142/1993) la disposizionedell’art. 485 c.c., secondo cui il chiamato all’eredità che è qualunque titolo nel possesso dei beni ereditari, è considerato puro e semplice, ove non ottemperi alle disposizioni circa la compilazione dell’inventario nel termine prescritto, non è applicabile nell’ipotesi di eredità devolute ai minori, posto che nei confronti di tali soggetti la decadenza dal beneficio d’inventario non può avvenire, a normadell’art. 489 c.c., se non al compimento di un anno dalla maggiore età, restando però escluso che, una volta che l’inventario sia stato eseguito, sia pure nel mancato rispetto del termine di cui all’art. 485 cit., ma in costanza della minore età del chiamato, questi debba reiterare, per conservare la posizione di erede beneficiario, un inventario già compiuto, entro l’anno dal raggiungimento della maggiore età.
Ne deriva che, una volta che si sia perfezionata, prima del raggiungimento della maggiore età, la procedura di accettazione beneficiata, con il realizzarsi degli elementi costitutivi previsti dalla legge, risulta ormai acquisita la qualità di erede, con la conseguenza che al minore, anche una volta divenuto maggiorenne, è preclusa in virtù del sopra richiamato principio dell’irretrattabilità della accettazione ereditaria, la possibilità di una successiva rinuncia.
A tali principi non risulta essersi conformata la decisione gravata, atteso che parte ricorrente ha puntualmente evidenziato, richiamando il documento prodotto nel corso del giudizio di primo grado, soddisfacendo così gli oneri di localizzazione ed individuazione di cuiall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, che il verbale di inventario era stato redatto dal notaio M. in data 9/12/1980 (documento di cui alla lettera e) della produzione di parte attrice), sottolineando altresì come la stessa convenuta nella comparsa conclusionale avesse contestato la valenza di tale documento, sul presupposto (peraltro erroneo) che non potesse tenersene conto in quanto predisposto oltre tre mesi dall’apertura della successione (senza quindi considerare il peculiare regime apprestato dal legislatore per le eredità devolute ai minori per i quali è preclusa ogni diversa forma di accettazione diversa da quella beneficiata, con evidenti deroghe anche quanto alla scansione cronologica degli adempimenti).
La redazione dell’inventario ha quindi fatto acquisire al ricorrente la qualità di erede, ancor prima del raggiungimento della maggiore età, con la conseguenza che la successiva rinuncia è del tutto priva di efficacia.
La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata con rinvio per nuovo esame dell’appello principale del ricorrente ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bari.
3. Il secondo motivo di ricorso lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dall’accertamento del requisito della buona fede in capo alla convenuta al fine di invocare l’usucapione abbreviata.
Si sostiene che la Corte distrettuale avrebbe ritenuto infondato l’appello principale del ricorrente, volto appunto a contestare l’accoglimento della riconvenzionale della convenuta da parte del Tribunale, ma che ciò sarebbe privo di adeguata motivazione, mancando una qualsivoglia disamina delle ragioni poste a sostegno del gravame principale.
In realtà, ritiene la Corte che, ancorché si faccia riferimento nell’esordio della motivazione della sentenza ad una infondatezza dell’appello principale, le doglianze mosse con l’atto di appello siano rimaste nella sostanza assorbite per effetto dell’accoglimento dell’appello incidentale della P.. Risulta, infatti, conseguenziale che, una volta ritenuto che l’attore avesse validamente rinunciato all’eredità paterna, come appunto ritenuto dalla Corte d’Appello, la quota del coniuge superstite si fosse accresciuta, sino a divenire unica proprietaria del cespite poi alienato alla P., essendo quindi superfluo verificare se ricorressero o meno le condizioni per la maturazione in suo favore dell’usucapione abbreviata, risultando invece evidente, nella logica del giudice di appello, che la stessa avesse validamente acquistato l’intera proprietà (cfr. rigo 20 e ss. della pag. 5 della sentenza gravata).
Ne deriva che, stante l’assorbimento dell’appello principale, il motivo in esame deve reputarsi inammissibile, atteso che la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che (cfr. Cass. n. 22095/2017) in tema di giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza di interesse il motivo di ricorso allorchè proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì a questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite (conf. ex multis Cass. n. 4130/2014; Cass. n. 4472/2016; Cass. n. 134/2017; Cass. n. 574/2016).
4. Al giudice del rinvio è rimessa anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara inammissibile il secondo motivo, e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bari che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

Sanzioni ex artt. 709 ter e 614 bis cpc per il genitore che viola sistematicamente l’interesse della figlia.

Tribunale di Genova, decreto 8 novembre 2018
TRIBUNALE DI GENOVA
SEZIONE IV CIVILE
riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati
dott. Francesco Mazza Galanti Presidente
dott. Marina Pugliese Giudice rel.
dott. Manuela Casella Giudice
Nel procedimento N. 3952 / 2018 . V.G.
Promosso da
M___
assistito e difeso dall’avv. ____
elettivamente domiciliato in
nei confronti di
O___
assistito e difeso dall’avv. ___
elettivamente domiciliato in
con l’intervento ex lege del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Genova
Pronuncia il seguente
DECRETO
letti gli atti e i documenti;
sentita la relazione del giudice relatore;
Con ricorso ex art. 709 ter cpc depositato in data 16.5.2018 il signor M___ –
dato atto che il Tribunale di Genova aveva emesso la sentenza di separazione
giudiziale prima e quella di divorzio poi tra il ricorrente e la signora O____,
disciplinando i rapporti tra i coniugi e con la loro figlia minore L____ (nata il
___.2010) – chiedeva che ai sensi dell’art. 709 ter cpc il Tribunale adito
1
adottasse ogni provvedimento ritenuto opportuno a tutela della figlia minore
L__, ammonisse la signora O____ e disponesse il risarcimento del danno
prodotto dalla resistente al ricorrente ed alla loro figlia minore in conseguenza
della intervenuta pubblicazione sul social network Facebook di fotografie
ritraenti la minore senza il consenso del padre e senza quello dei Servizi Sociali
affidatari;
il ricorrente, in particolare, lamentava che dette fotografie fossero state
pubblicate da un amico della resistente (tale V____) in data __.3.2016 e che la
madre, anziché chiedere l’immediata rimozione delle fotografie come
richiestole con numerose diffide dal signor M____, avesse approvato la
pubblicazione dei post apponendovi un “mi piace”, così violando il diritto
all’immagine della figlia minore, in contrasto con l’art. 10 del codice civile,
dell’art. 96 della legge sul diritto di autore (legge 633/1941), il decreto
legislativo 196/2003 in materia di trattamento dei dati personali, l’art. 16 della
Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20.11.1989 ratificata in
Italia con la legge 176/1991;
Con comparsa si costituiva la resistente, chiedendo il rigetto delle domanda
avversaria e lamentando un atteggiamento astioso del signor M___ nei
confronti della signora O____, aggravatosi dopo che la Corte di Appello di
Genova, investita dell’appello avverso la sentenza di divorzio, aveva rigettato
la richiesta di modifica del regime di permanenza della figlia presso i genitori
presentata dal M____, confermando in particolare l’ampliamento della
frequentazione materna stabilito dal giudice del divorzio rispetto a quanto
previsto in sede di separazione;
in particolare, quanto alla domanda del ricorrente, evidenziava la resistente che
non era stata lei a pubblicare le foto della figlia L____ su Facebook ma una
terza persona (come peraltro riconosciuto dallo stesso ricorrente) ed affermava
che si trattava in ogni caso di fotografie di gruppo dove la figura della minore
2
era poco visibile; lamentava che il signor M____ – diversamente da quanto
indicato in ricorso – prima di adire il Tribunale non le avesse affatto richiesto
di intervenire presso il terzo per la rimozione delle foto, perché la madre così
avrebbe senz’altro fatto, come in effetti aveva provveduto a fare dopo aver
ricevuto la notifica del ricorso.
In via riconvenzionale la signora O___ chiedeva che il Tribunale ordinasse al
signor M____ la cessazione di condotte svalutative e denigratorie
sistematicamente tenute nei confronti della O____; lamentava in particolare
che il signor M____ avesse cancellato dal diario, dai libri e dai quaderni della
minore le etichette in cui compariva il cognome completo di L____ “M___
O____” per sostituirlo con altre recanti il solo cognome paterno “M___”,
avesse cancellato dal diario scolastico della figlia l’indirizzo dell’abitazione
materna, avesse cancellato dall’elenco degli adulti delegati al ritiro della figlia
da scuola il nominativo del signor A_____ (attuale marito della signora O____
e con la stessa coabitante) nonostante i Servizi Sociali affidatari avessero
espresso il loro parere favorevole all’inserimento dell’A____ tra quelle da
abilitare al ritiro di L___ da scuola.
Lamentava altresì la resistente che il signor M___ si rifiutasse di consegnare
la figlia L____ alla nonna materna, ovvero al marito della signora O____
signor A___, quando la signora O___ era impossibilitata a recarsi
personalmente presso l’abitazione paterna per riprendere la minore (impedendo
in tal modo alla signora O___ di assolvere i suoi diversi impegni, ad esempio
lavorativi); segnalava infine l’allarmante condotta del signor M____ che in più
circostanze aveva chiesto e ottenuto l’intervento delle Forse dell’Ordine in
occasione del prelievo/accompagnamento di L____ dalla casa della madre,
quando la minore si trovava con signor A____, anziché con la signora O___,
ingenerando malessere e agitazione nella minore.
3
Chiedeva inoltre la resistente una parziale modifica delle modalità e dei tempi
di frequentazione della minore con i genitori (prevedendo che, quantomeno nel
periodo scolastico, il passaggio di L____ da un genitore all’altro avvenisse a
scuola anziché presso le rispettive case).
Chiedeva di ammonire il signor M____ ai sensi dell’art. 709 ter cpc
ordinandogli l’immediata cessazione sia delle condotte svalutative nei
confronti della madre, che dell’adozione unilaterale delle scelte importanti per
la vita della minore e del ricorso strumentale alle Forze dell’Ordine in
presenza della minore. Chiedeva di disporre ex art. 614 bis cpc la condanna
del signor M____ a corrispondere alla signora O_____ la somma di € 150,00
o quella meglio vista, ogni volta in cui il padre avesse omesso di affidare la
figlia L___ alle persone di fiducia espressamente delegate dalla madre, in
caso di impedimento materno a presenziare (in particolare alla madre della
signora O____ ed al marito della signora O___), nonché ogni volta che il
signor M_____ avesse assunto unilateralmente scelte fondamentali per la vita
della figlia, in assenza del consenso del Servizio affidatario e della madre della
minore.
Chiedeva inizialmente anche la revoca del divieto di espatrio per la minore ed
il rilascio del passaporto per la stessa stante il dissenso paterno (domande
successivamente rinunciate all’udienza di comparizione delle parti).
All’udienza del 29.10.2018, fissata per la comparizione personale delle parti,
la signora O____ dava preliminarmente atto di essere intervenuta sull’amico
che aveva pubblicato le foto in cui compariva anche la figlia L____, ottenendo
la rimozione del post contenente le foto di L____; al riguardo le parti trovavano
un accordo secondo cui “ciascuno dei genitori si asterrà dal pubblicare sui
social media fotografie di L____ e nel caso in cui dovesse venire a conoscenza
del fatto che terze persone hanno pubblicato immagini della bambina, si farà
immediatamente parte diligente presso la terza persona (ove si trovi nella sua
4
sfera di competenza) perché rimuova l’immagine di L____, comunicandolo
all’altro genitore. Nel caso in cui la pubblicazione della foto sia dipesa da
persone estranee alla sfera dei genitori, i genitori concorderanno tra loro le
misure ritenute più opportune per ottenere la rimozione delle immagini di
L____”.
Va pertanto rilevata la cessazione della materia del contendere in relazione alla
questione della pubblicazione delle foto di L____ oggetto del ricorso: ai fini
della disciplina delle spese di lite, deve peraltro osservarsi che la domanda
diretta ad ottenere la rimozione della foto era stata erroneamente diretta dal
ricorrente nei confronti della resistente, posto che, secondo quanto premesso
dallo stesso M____, era stata una persona diversa dalla signora O___ a postare
le fotografie di L___ su Facebook e la madre ne era semplicemente venuta
successivamente a conoscenza (avendo espresso al riguardo il suo gradimento
con il “like”). Nessuna ammonizione deve e può pertanto essere fatta al
riguardo alla signora O___, che peraltro, appena ricevuta la notifica del
ricorso, si è fatta parte attiva presso V___ (autore del post non gradito dal
M___) ottenendone la rimozione.
Le parti all’udienza del 29.10.2018 hanno parimenti concordato che, a
modifica delle modalità di visita in atto, i week end di rispettiva competenza
partano dal venerdì (dall’uscita di scuola di L___) anziché dal sabato mattina. I
genitori hanno infine concordato che L____ trascorra con ciascuno dei genitori
quattro settimane di vacanza estiva, di cui almeno due consecutive.
All’udienza il padre non negava affatto di aver più volte chiamato le Forze
dell’Ordine perché intervenissero in occasione dello scambio di L____ da un
genitore, ritenendo di essere questa sua scelta ampiamente giustificata dal fatto
che quando si era recato presso la casa materna a riprendere con sé la figlia
L___, anziché trovare la signora O____, aveva trovato la bambina con il
marito della stessa signor A____. Il signor M___ nemmeno negava di aver
5
cancellato il nominativo del signor A____ dall’elenco delle persone legittimate
al ritiro della minore da scuola, affermando di non essere d’accordo circa la
possibilità che lo stesso venisse autorizzato a farlo, perché ciò avrebbe potuto
ingenerare nell’ambiente scolastico di L___ una situazione di confusione circa
l’effettivo ruolo del signor A____ (che lungi dall’essere il padre di L____, era
solo il marito della madre della bambina).
All’udienza la difesa del ricorrente eccepiva l’incompetenza funzionale del TO
sulla questione del ritiro della bambina da scuola, essendo semmai competente
sulla questione il Giudice Tutelare
Ciò premesso, osserva il Collegio che le condotte del signor M____ lamentate
da parte resistente in comparsa, non sono state nemmeno contestate dal
ricorrente che, anzi, ha affermato il proprio “buon diritto” a tenerle,
manifestando così la totale assenza di consapevolezza circa i possibili effetti
psicologici negativi sulla minore della sua condotta ostruzionistica e non
collaborativa nei confronti della madre della minore e delle figure familiari che
coadiuvano la signora O____ nella gestione della bambina (in particolare del
marito signor A____ con cui la minore L___ ora stabilmente abita nei periodi
di spettanza materna), né sullo stato d’ansia e di agitazione derivabile alla
minore dall’intervento delle Forze dell’Ordine reiteratamente richiesto dal
M____ in presenza della piccola L____ per risolvere problemi riguardanti la
gestione della minore, agevolmente affrontabili con il semplice buon senso.
Si osserva inoltre che il signor M____, a giustificazione della operata
cancellazione del nominativo del signor A____ dall’elenco delle persone
delegate per il ritiro di L____ da scuola, lungi dal preoccuparsi di possibili
disagi per la minore, ha dimostrato di avere a cuore esclusivamente il suo
personale “amor proprio”, intendendo principalmente evitare che presso la
scuola di L___ si potesse ingenerare confusione circa il ruolo del signor
A_____ (marito della O____) rispetto a quello del padre della bambina.
6
In realtà – come evidenziato e documentato da parte resistente – l’inserimento
del nominativo del signor A____ tra i soggetti delegati a ritirare la bambina da
scuola (al pari del nonno e dello zio paterni coabitanti con il signor M___ e
della nonna materna) non risulta in alcun modo nocivo per L____ (la quale
peraltro, come già evidenziato, ormai abita unitamente alla madre O___ a casa
dell’A____), tanto che i Servizi Sociali affidatari hanno espresso il loro parere
favorevole al riguardo (cfr. produzione O____): nel caso in esame la
circostanza che la minore sia tuttora affidata ai Servizi Sociali del Comune di
Genova comporta peraltro che, in caso di contrasto tra i genitori su questioni
come quella in esame, siano i Servizi Sociali affidatari adottare per la minore la
soluzione di maggior interesse per la stessa. Il nominativo del signor A____
(originariamente presente nell’elenco dei soggetti delegati al ritiro della
minore L___ presso l’Istituto Comprensivo Sampierdarena predisposto dai
genitori con l’assenso dei Servizi Sociali affidatari e successivamente
unilateralmente cancellato dal signor M____) andrà pertanto ripristinato,
avendo già ricevuto l’assenso del Servizio affidatario.
Le condotte sopra indicate – lamentate dalla resistente e non contestate dal
resistente- si pongono in evidente contrasto con i diritti della figlia minore
L____ (come delineati dall’art. 315 bis c.c.): il signor M___ va pertanto
ammonito ai sensi dell’art. 709 ter cpc in modo che si astenga dal tenerle in
futuro, al fine di garantire a L___ il diritto ad un rapporto familiare sereno
anche con la madre: in particolare dovrà astenersi dal cancellare dal diario e dal
materiale scolastico di L____ i riferimenti materni (cognome ____, indirizzo
materno); dall’assumere unilateralmente scelte riguardanti la figlia minore
riguardanti la sfera medica, scolastica e religiosa in assenza di previo accordo
con la madre e con i Servizi Sociali del Comune di Genova affidatari della
minore (ivi compresa la cancellazione del nominativo della nonna materna e
del signor A____ dall’elenco delle persone incaricare al ritiro della figlia da
7
scuola); dal rifiutare la necessaria collaborazione con la madre signora O____
nella gestione della figlia ed in particolare di affidare la figlia minore L____ a
persone di fiducia della madre signora O____ da questa a ciò delegate (madre
e marito della signora O____) in caso di indisponibilità della signora O____ a
intervenire personalmente; dal richiedere l’ultroneo intervento delle Forze
dell’Ordine alla presenza della figlia minore L___.
A tutela della minore L____ ritiene inoltre il Collegio di dover prevedere a
carico del signor M___ l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 614 bis cpc
ogni volta in cui il signor M_____ dovesse nuovamente porre in essere le
condotte sopraindicate, ritenute lesive del diritto della minore ad un rapporto
materno sereno e protetto, quantificando la somma dovuta dal signor M____
alla signora O____ per ogni violazione o inosservanza degli obblighi così
delineati in € 50,00.
Le spese di lite del presente procedimento vengono compensate tra le parti per
1/3 in considerazione del parziale accordo cui le parti sono giunte all’udienza
del 29.10.2018 e poste per i restanti 2/3 a carico del signor M____ in
considerazione della sua soccombenza sulle altre questioni.
P.Q.M.
Il Tribunale di Genova, ogni altra domanda ed eccezione rigettata,
definitivamente pronunciando:
-prende atto dell’accordo intervenuto tra le parti all’udienza del 29.10.2018 a
parziale modifica delle condizioni di divorzio in vigore tra le parti in punto
modalità di visita della figlia minore L____ e dispone che i week end di
rispettiva competenza dei genitori partiranno anziché dal sabato mattina, dal
venerdì all’uscita di scuola di L____. Inoltre L____ trascorrerà con ciascuno
dei genitori quattro settimane di vacanza estiva, di cui almeno due consecutive;
8
– prende atto dell’accordo tra le parti secondo cui ciascuno dei genitori si
asterrà dal pubblicare sui social media fotografie di L____ e, nel caso in cui
dovesse venire a conoscenza del fatto che terze persone hanno pubblicato
immagini della bambina, ciascuno dei genitori si farà immediatamente parte
diligente presso la terza persona (ove si trovi nella sua sfera di competenza)
perché rimuova l’immagine di L____, comunicandolo all’altro genitore. Nel
caso in cui la pubblicazione della foto sia dipesa da persone estranee alla sfera
dei genitori, i genitori concorderanno tra loro le misure ritenute più opportune
per ottenere la rimozione delle immagini di L____;
– visto l’art. 709 ter cpc ammonisce il signor M____ affinché: si astenga dal
tenere condotte svalutative della figura materna ed in particolare che si astenga
dal cancellare dal diario e dal materiale scolastico di L___ i riferimenti materni
(cognome O____, indirizzo materno); si astenga dall’assumere unilateralmente
scelte riguardanti la figlia minore relative alla sfera medica, scolastica e
religiosa in assenza di previo accordo con la madre e con i Servizi Sociali del
Comune di Genova affidatari della minore (ivi compresa la cancellazione del
nominativo della nonna materna e/o del signor A___ dall’elenco delle persone
incaricare al ritiro di L____ da scuola); si astenga dal rifiutare la necessaria
collaborazione con la madre signora O____ nella gestione della figlia L____
ed in particolare si astenga dal rifiutare di affidare la minore L____ alla
signora I___ e/o al signor ____ A____ (rispettivamente madre e marito della
signora O____) se a ciò delegati dalla signora O____ in caso di indisponibilità
della stessa a intervenire personalmente nella consegna e/o nella presa in
consegna della figlia; si astenga dal richiedere l’ultroneo intervento delle
Forze dell’Ordine alla presenza della figlia minore L___ per questioni relative
alla gestione della minore stessa.
-visto l’art. 614 bis cpc fissa in € 50,00 la somma che il padre signor M___
dovrà versare alla madre signora O____ per ogni violazione o inosservanza
9
successiva all’emissione del presente provvedimento inerente la figlia L___ ed
in particolare:
– €50,00 ogni volta che il padre depenni e/o cancelli dal diario e/o dal
materiale scolastico di L____ i riferimenti materni (cognome O___, indirizzo
materno);
-€ 50,00 ogni volta che il padre assuma unilateralmente scelte
riguardanti la figlia minore L____ relative alla sua sfera medica, scolastica e
religiosa in assenza di previo accordo con la madre e con i Servizi Sociali del
Comune di Genova affidatari della minore (ivi compresa la cancellazione del
nominativo della nonna materna e/o del signor A____ dall’elenco delle
persone incaricare al ritiro di L___ da scuola);
-€ 50,00 ogni volta che il padre rifiuti di affidare la minore L____
alla signora I____ e/o al signor A____ (rispettivamente madre e marito della
signora O____) se a ciò delegati dalla signora O____, in caso di indisponibilità
della stessa a intervenire personalmente;
-€50,00 ogni volta che il padre richieda l’ultroneo intervento delle
Forze dell’Ordine alla presenza della figlia minore L___ per questioni relative
alla gestione della minore stessa.
Compensa tra le parti le spese processuali del presente procedimento per 1/3 e
pone i restanti 2/3 pari ad € 2000,00, oltre IVA e CPA di legge, a carico del
signor M____ ed a favore della signora O___.
Manda alla Cancelleria per la comunicazione.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio dell’8.11.2018
Il Presidente dott.Francesco Mazza Galanti
10

La voltura catastale di un immobile del de cuius non integra incondizionatamente gli estremi dell’accettazione tacita dell’eredità

Cass. civ. Sez. VI – 2, 19 dicembre 2018, n. 32770
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 23252 – 2017 R.G. proposto da:
A.R. – c.f. (OMISSIS) – A.E. – c.f. (OMISSIS) – rappresentate e difese in virtù di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Laura Franci ed elettivamente domiciliate in Roma, alla via Filippo Corridoni, n. 19, presso lo studio dell’avvocato Francesco Pastorello.
– ricorrenti –
contro
S.G. – c.f. (OMISSIS) – rappresentata e difesa in virtù di procura speciale su foglio separato allegato in calce al controricorso dall’avvocato Fabrizio Betti ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Germanico, presso lo studio dell’avvocato Enrico Volpetti.
– Controricorrente –
avverso la sentenza della corte d’appello di Firenze n. 761/2017, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 settembre 2018 dal consigliere dott. Luigi Abete.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto ritualmente notificato A.R. ed A.E. citavano a comparire dinanzi al tribunale di Siena S.G..
Chiedevano che l’adito tribunale le dichiarasse eredi della loro defunta madre, S.A., e conseguentemente condannasse la convenuta a restituir loro la somma di Euro 18.592,45, oltre interessi, dalla medesima convenuta incassata quale presunta erede della de cuius; chiedevano altresì farsi luogo alla divisione dell’immobile sito in (OMISSIS), di proprietà per pari quote della de cuius e di S.G..
Si costituiva S.G..
Instava per il rigetto dell’avversa domanda; in via riconvenzionale chiedeva accertarsi che le attrici avevano rinunciato all’eredità materna con atto pubblico in data 23.6.1997 e che ella convenuta era l’unica erede della sorella, S.A., in virtù di accettazione con beneficio d’inventario con atto dell’11.3.2002.
Con sentenza non definitiva n. 51/2011 l’adito tribunale dichiarava le attrici eredi di S.A., condannava la convenuta alla restituzione della somma di Euro 18.592,45, oltre interessi, e disponeva con separata ordinanza per l’ulteriore corso istruttorio.
Proponeva appello S.G..
Resistevano A.R. ed A.E..
Con sentenza n. 761/2017 la corte d’appello di Firenze accoglieva il gravame e compensava integralmente le spese del doppio grado.
Esplicitava la corte che la dichiarazione di successione e la richiesta di voltura catastale dell’immobile ricompreso pro quota nell’asse ereditario, cui le appellate avevano atteso nel corso dell’anno 1993, in quanto atti da compiere in via obbligatoria, non valevano senz’altro ad integrare gli estremi dell’atto presupponente necessariamente la volontà di accettare l’eredità ai sensidell’art. 476 c.c..
Esplicitava che in ogni caso tale postulato si giustificava alla stregua della valutazione del comportamento complessivo delle appellate; che invero R. ed A.E. si erano limitate alle uniche due surriferite incombenze e per almeno dieci anni mai avevano posseduto o rivendicato beni ereditari e, per giunta, avevano rinunciato espressamente, nel 1997 e nel 2002 – in tale seconda evenienza nell’interesse delle rispettive figlie – all’eredità materna.
Esplicitava quindi che, alla luce della valutazione della condotta complessiva delle chiamate, la volontà di rinunciare all’eredità risultava “prevalente” rispetto all’efficacia exart. 476 c.c.di denuncia di successione e voltura catastale” (così sentenza d’appello, pag. 5).
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso A.R. ed A.E.; ne hanno chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni susseguente statuizione.
S.G. ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.
Le ricorrenti hanno depositato memoria.
Con l’unico motivo le ricorrenti denunciano ai sensidell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degliartt. 476 e 519 c.c..
Deducono che, alla stregua dell’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte di legittimità, la voltura catastale – a differenza della denunzia di successione, atto avente unicamente valenza fiscale – ha senza dubbio valenza civilistica e dunque costituisce atto di accettazione tacita dell’eredità; che del resto, all’epoca dei fatti per cui è controversia, ai fini della volturazione catastale “era necessaria autonoma richiesta ai competenti uffici da parte del chiamato all’eredità” (così ricorso, pag. 8).
Deducono inoltre che, in dipendenza del compimento di un atto valido quale accettazione tacita dell’eredità, “la successiva rinuncia doveva essere considerata assolutamente inefficace in virtù del principio semel heres semper heres” (così ricorso, pagg. 9 – 10).
Il ricorso è infondato e va respinto.
Questa Corte spiega da tempo che l’indagine relativa alla esistenza o meno di un comportamento qualificabile in termini di accettazione tacita, risolvendosi in un accertamento di fatto, va condotta dal giudice di merito caso per caso (in considerazione delle peculiarità di ogni singola fattispecie, e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui quelli della natura e dell’importanza, oltreché della finalità, degli atti di gestione), e non è censurabile in sede di legittimità, purché la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o da errori di diritto (cfr. Cass. 17.11.1999, n. 12753).
Evidentemente, su tale scorta, l’esperito motivo di ricorso si qualifica in rapporto alla previsionedall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Invero occorre tener conto, da un lato, che le ricorrenti sostanzialmente censurano il giudizio “di fatto” cui la corte di merito ha atteso (“l’accettazione tacita dell’eredità può (…) essere desunta dal comportamento complessivo del chiamato all’eredità”: così ricorso, pag. 9; “il giudice di secondo grado (…) sostiene erroneamente che nella valutazione della condotta complessiva delle chiamate debba tenersi conto (…)”: così ricorso, pag. 9); dall’altro, che è propriamente la previsionedell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).
In questi termini l’asserito vizio veicolato dall’azionato mezzo è da vagliare in rapporto della novella formulazionedell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile alla fattispecie ratione temporis (la sentenza della corte di Firenze è stata depositata il 5.4.2017), e nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.
Ebbene, in quest’ottica, si osserva quanto segue.
Per un verso, è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia a sezioni unite testé menzionata (ovvero la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione), possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte toscana ha ancorato il suo dictum.
In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte distrettuale ha – siccome si è premesso – compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo (è opportuno ribadire che la corte d’appello ha specificato che andava “valutata l’indubbia rilevanza presuntiva di denuncia di successione e (soprattutto) voltura catastale, ma alla luce e nell’ambito del complessivo comportamento delle chiamate sig.re A.”: così sentenza d’appello, pag. 5).
Per altro verso, la corte territoriale ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante la res litigiosa, ovvero ha provveduto al riscontro della valenza del complessivo comportamento tenuto dalle “chiamate” R. ed A.E..
In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di merito risulta assolutamente congruo ed esaustivo ed in toto ineccepibile sula piano della correttezza giuridica.
A tal ultimo riguardo si rappresenta, da un canto, che l’elaborazione di questa Corte di legittimità ha puntualizzato che la voltura catastale non integra incondizionatamente gli estremi di un’accettazione tacita dell’eredità efficace ad ampio spettro soggettivo (cfr. Cass. (ord.) 6.4.2017, n. 8980, secondo cui l’accettazione tacita di eredità – pur potendo avvenire attraverso “negotiorum gestio”, cui segua la successiva ratifica del chiamato, o per mezzo del conferimento di una delega o dello svolgimento di attività procuratoria – può tuttavia desumersi soltanto da un comportamento del successibile e non di altri, sicché non ricorre ove solo l’altro chiamato all’eredità, in assenza di elementi dai quali desumere il conferimento di una delega o la successiva ratifica del suo operato, abbia fatto richiesta di voltura catastale di un immobile del “de cuius”); dall’altro, che è indubitabile che la denuncia di successione ed il pagamento della relativa imposta non importano accettazione tacita dell’eredità (cfr. Cass. 28.2.2007, n. 4783).
In dipendenza del rigetto del ricorso le ricorrenti vanno in solido condannate a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità.
La liquidazione segue come da dispositivo.
Si dà atto che il ricorso è datato 28.9.2017. Ai sensi delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art.13, comma 1quater, si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido le ricorrenti, A.R. ed A.E., a rimborsare alla controricorrente, S.G., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002,art.13, comma 1quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del cit. art. 13, comma 1 bis.
Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2018