Il divorzio congiunto non è rinunciabile da uno solo dei coniugi

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Rilevato che F.P.P. ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso la sentenza del 27 marzo 2017, con cui la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato il gravame da lui interposto avverso la sentenza emessa il 30 luglio 2015 dal Tribunale di Pescara, che aveva dichiarato improcedibile la domanda congiunta di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dal ricorrente con R.G.A., rilevando che all’udienza di comparizione dei coniugi la donna aveva revocato il consenso precedentemente prestato;
che la R.G. non ha svolto attività difensiva;
che il Collegio ha deliberato, ai sensi del decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016, che la motivazione dell’ordinanza sia redatta in forma semplificata.
Considerato che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto ammissibile la revoca unilaterale del consenso alla domanda congiunta di divorzio, senza considerare che, a differenza di quanto accade nella separazione consensuale, la stessa non impedisce l’accertamento della sussistenza dei presupposti per la pronuncia di scioglimento del matrimonio e non comporta il venir meno degli accordi patrimoniali intervenuti tra i coniugi, a meno che la domanda non costituisce il frutto di errore, violenza o dolo;
che, in tema di divorzio a domanda congiunta, questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’accordo sotteso alla relativa domanda riveste natura meramente ricognitiva con riferimento ai presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale, la cui sussistenza è soggetta a verifica da parte del tribunale, avente pieni poteri decisionali al riguardo, mentre ha valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti economici, nel cui merito il tribunale non deve entrare, a meno che le condizioni pattuite non si pongano in contrasto con l’interesse dei figli minori;
che la revoca del consenso da parte di uno dei coniugi, mentre risulta irrilevante sotto il primo profilo, in quanto il ritiro della dichiarazione ricognitiva non preclude al tribunale il riscontro dei presupposti necessari per la pronuncia del divorzio, è inammissibile sotto il secondo, dal momento che la natura negoziale e processuale dell’accordo intervenuto tra le parti in ordine alle condizioni del divorzio ed alla scelta dell’iter processuale esclude la possibilità di ripensamenti unilaterali, configurandosi la fattispecie non già come somma di distinte domande di divorzio o come adesione di una delle parti alla domanda dell’altra, ma come iniziativa comune e paritetica, rinunciabile soltanto da parte di entrambi i coniugi (cfr. Cass., Sez. 6^, 13/02/2018, n. 10463; Cass., Sez. 1^, 8/07/1998, n. 6664);
che non può quindi condividersi l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui, analogamente a quanto accade nel procedimento di separazione consensuale, la revoca del consenso da parte di uno dei coniugi comporta il venir meno del requisito indispensabile per l’accoglimento della domanda, rappresentato dall’intesa tra le parti, configurandosi la stessa come un atto unitario ed essenzialmente negoziale, espressione della capacità dei coniugi di autodeterminarsi responsabilmente, rispetto al quale la pronunzia del tribunale è rivolta unicamente ad attribuire efficacia dall’esterno all’accordo stipulato dai coniugi;
che la prospettata analogia tra la separazione consensuale ed il divorzio a domanda congiunta si pone d’altronde in contrasto con le profonde differenze riscontrabili tra le relative discipline, una delle quali (come riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata) individua il presupposto sostanziale della fattispecie nell’accordo tra i coniugi, al quale il tribunale è chiamato ad attribuire efficacia dall’esterno, mediante un’attività di controllo che non può mai tradursi in un’integrazione o una sostituzione del consenso delle parti, mentre l’altra, pur muovendo da un ricorso congiunto, richiede una pronuncia costitutiva, fondata sull’accertamento dei presupposti richiesti dalla L. n. 898 del 1970, art. 3, con la conseguenza che mentre il primo procedimento è annoverabile tra quelli di giurisdizione volontaria, il secondo costituisce espressione di giurisdizione contenziosa;
che le predette differenze trovano conferma anche nella diversa disciplina dettata per l’ipotesi in cui le condizioni relative all’affidamento ed al mantenimento dei figli appaiano in contrasto con il loro interesse, dal momento che per la separazione l’art. 158 c.c., comma 2, consente al tribunale di suggerire le necessarie modificazioni e, in caso d’inidonea soluzione, di rifiutare allo stato l’omologazione, mentre la L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, prevede l’adozione dei provvedimenti temporanei ed urgenti e la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose;
che, in applicazione dei richiamati principi, deve escludersi che nella specie la revoca del consenso da parte dell’intimata comportasse l’arresto del procedimento, dovendo il tribunale provvedere ugualmente all’accertamento dei presupposti per la pronuncia del divorzio, per poi passare, in caso di esito positivo della verifica, all’esame delle condizioni concordate dai coniugi, valutandone la conformità a norme inderogabili ed agl’interessi della figlia minore;
che il ricorso va pertanto accolto, restando assorbiti il secondo ed il terzo motivo, con cui il ricorrente ha dedotto l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e la violazione degli artt. 112 e 136 cod. proc., censurando la sentenza impugnata per essersi limitata a dare atto della revoca del consenso da parte dell’intimata, senza esaminare il contenuto della relativa dichiarazione, nonchè per aver omesso di pronunciare sul merito della domanda, nonostante la sussistenza dei presupposti per lo scioglimento del vincolo coniugale e l’insussistenza di diritti indisponibili dell’intimata o di pattuizioni contrastanti con l’interesse dell’unica figlia ancora minorenne;
che la causa va conseguentemente rinviata alla Corte d’Appello di L’Aquila, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

All’ex coniuge che abbia percepito l’assegno di divorzio in un’unica soluzione non spetta alcun diritto alla pensione di reversibilità

Cass. civ. Sez. Unite, 24 settembre 2018, n. 22434
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21830-2014 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso lo STUDIO LEGALE PROIA & PARTNERS, rappresentata e difesa dagli avvocati SIMONE PIETRO EMILIANI e STEFANO GIUBBONI;
– ricorrente –
contro
P.M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TUCCIMEI 1, presso lo studio dell’avvocato CARMEN TRIMARCHI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE CICCIARI;
– controricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO MANGIAPANE, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
e contro
CASSA NAZIONALE PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 3/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 11/03/2014.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/12/2017 dal Consigliere Dott. GIACINTO BISOGNI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto dei primi quattro motivi del ricorso, manifestamente infondata la questione di costituzionalità del quinto motivo;
uditi gli avvocati Simone Pietro Emiliani, Giuseppe Cicciari e Filippo Mangiapane.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Rilevato che:
1. La Corte di appello di Messina, confermando la decisione di primo grado, ha negato il diritto di C.A. a percepire una quota della pensione di reversibilità dell’ex coniuge B.C. ritenendo ostativa la circostanza dell’avvenuto percepimento in unica soluzione dell’assegno divorzile.
2. In base alla disposizione di cui allaL. 1 dicembre 1970, n. 898,art.9, comma 3, (come sostituito dallaL. 6 marzo 1987, n. 74,art.13), al coniuge nei confronti del quale sia stata pronunciata la sentenza di scioglimento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili e che sia titolare dell’assegno di cui allaL. n. 898 del 1970,art.5spetta il concorso sulla pensione di reversibilità, tenuto conto della durata del rapporto. La Corte di appello ha ritenuto che il requisito della titolarità dell’assegno deve essere attuale e cioè che al momento del sorgere del diritto alla pensione di reversibilità deve essere in atto una prestazione periodica in favore dell’ex coniuge.
3. C.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di appello di Messina affidato a cinque motivi con i quali ha dedotto la violazione da parte della sentenza impugnata dellaL. n. 898 del 1970,artt.5,9e9 bisper avere disatteso la natura previdenziale del suo diritto a una quota della pensione di reversibilità e ha eccepito l’incostituzionalità dellaL. n. 898 del 1970,art.9se interpretata alla stregua della decisione impugnata.
4. A sostegno di questa qualificazione del diritto a una quota della pensione di reversibilità da parte dell’ex coniuge la ricorrente ha invocato la sentenza n. 159 del 12 gennaio 1998 delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione in cui venne rimarcata la variazione del regime giuridico preesistente alla novella del 1987 (L. n. 74 del 1987,art.13) e specificamente l’esclusione del potere discrezionale del giudice in ordine all’an debeatur. Per effetto dell’intervento del legislatore del 1987 l’attribuzione al coniuge divorziato del diritto a una quota della pensione di reversibilità era divenuta ormai automatica essendo condizionata esclusivamente dal verificarsi di una fattispecie legale sottratta alla discrezionalità del giudice e all’accertamento in concreto di una situazione di bisogno trattandosi di una prestazione di natura previdenziale.
5. In particolare con il primo motivo di ricorso la ricorrente afferma che il presupposto erroneo da cui è partita la Corte di appello è l’assimilazione della funzione dei due istituti (assegno divorzile e diritto dell’ex coniuge alla pensione di reversibilità). Infatti l’assegno divorzile ha una natura esclusivamente assistenziale fondata sulla solidarietà post-coniugale e intesa a garantire mezzi adeguati all’ex coniuge al fine di consentirgli una tendenziale conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (sentenze delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione n. 11490 e 11492 del 29 novembre 1990). La pensione di reversibilità ha invece natura e funzione diversa, come è stato chiarito dalle Sezioni Unite civili con la citata sentenza n. 159/1998 che, partendo dalla radicale diversità del disposto originario dellaL. n. 898 del 1970,art.9, comma 3rispetto a quello novellato dallaL. n. 74 del 1987, ha evidenziato la natura previdenziale dell’assegno di reversibilità, la sua non assimilabilità all’assegno di divorzio, di cui non costituisce la continuazione, la sostanziale diversità nei criteri di attribuzione e di determinazione.
6. Con lo stesso motivo e per le stesse ragioni la ricorrente critica la giurisprudenza lavoristica che, secondo il suo giudizio, enfatizza la diversità dell’assetto di interessi realizzato con la corresponsione periodica e con la corresponsione in unica soluzione dell’assegno di divorzio valorizzando il carattere definitivo e non modificabile della corresponsione una tantum. Mentre la corresponsione di un assegno periodico pone in essere una definizione dei rapporti fra gli ex coniugi rebus sic stantibus e quindi modificabile per circostanze sopravvenute.
7. In questa prospettiva però, secondo la ricorrente, non solo si confonde la natura delle due prestazioni (che è assistenziale per l’assegno di divorzio e previdenziale per l’assegno di reversibilità) ma si finisce anche per considerare, erroneamente, riaperto e modificato, dall’attribuzione al coniuge divorziato del diritto alla pensione di reversibilità, l’assetto degli interessi realizzato con a corresponsione una tantum. Con quest’ultima si è adempiuto a una prestazione dipendente dal riconoscimento della titolarità del diritto all’assegno mentre l’attribuzione del diritto alla pensione di reversibilità è sì una conseguenza di tale riconoscimento ma non una modifica, non consentita, delle condizioni del divorzio. Né può dirsi che l’attribuzione della pensione di reversibilità all’ex coniuge presuppone una situazione attuale di dipendenza economica. Sulla basedell’art. 38 Cost., che prevede l’attribuzione dei trattamenti previdenziali secondo una valutazione generale e astratta dello stato di bisogno, deve ritenersi che il requisito della titolarità dell’assegno altro non è se non l’attestazione della qualità di coniuge economicamente debole, vissuta nel matrimonio ormai sciolto, con la conseguenza che negare il riconoscimento al concorso sulla pensione di reversibilità significa negare al coniuge divorziato economicamente debole i suoi diritti previdenziali. Secondo la ricorrente, la titolarità dell’assegno di cui allaL. n. 898 del 1970,art.9, comma 3, va intesa come accertamento del diritto all’assegno a prescindere dalle modalità della sua corresponsione che ben possono consistere in una dazione in unica soluzione o periodica. La disposizione di cui allaL. n. 898 del 1970,art.5, comma 9, secondo cui la corresponsione in una unica soluzione dell’assegno preclude la proponibilità di ogni successiva domanda di contenuto economico, non si riferisce alla pensione di reversibilità, prestazione che grava sull’ente previdenziale e non costituisce affatto una continuazione dell’assegno divorzile di cui non condivide affatto la natura assistenziale.
8. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente contesta la motivazione della Corte di appello laddove ha operato una equazione fra attualità e titolarità dell’assegno. La ricorrente riconosce che la Corte Costituzionale ha ricollegato la estensione, da parte del legislatore, dei beneficiari del trattamento di reversibilità all’esistenza di uno stato di bisogno (Corte Costituzionale n. 7 del 25 gennaio 1980 secondo cui “il trattamento di riversibilità realizza una garanzia di continuità del sostentamento al superstite”), dipendente dalla morte del lavoratore che provvede al mantenimento della famiglia (Corte Costituzionale n. 123 del 28 giugno 1963 secondo cui “la riversibilità della pensione della previdenza sociale ai familiari superstiti trova la sua causa e la sua ragion d’essere nella circostanza che, quando viene a mancare il lavoratore che provvedeva al sostentamento della famiglia, alcuni componenti del nucleo familiare rimangono privi dei mezzi atti a soddisfare bisogni essenziali di vita e di sostentamento, prima forniti dal lavoratore stesso”): una condizione che accomuna anche il coniuge divorziato ancora a carico dell’ex coniuge. Tuttavia la stessa Corte Costituzionale (con la sentenza n. 777 del 22 giugno 1988) ha rilevato che, dopo la novella del 1987, l’attribuzione al coniuge divorziato del diritto a fruire dell’assegno di reversibilità ha acquistato carattere di automaticità e non è più subordinata alla condizione dell’esistenza effettiva di uno stato di bisogno precedentemente rimesso all’apprezzamento del giudice. Successivamente con la sentenza n. 87 dell’8 marzo 1995 la Corte Costituzionale ha anche chiarito che il diritto dell’ex coniuge superstite alla pensione di riversibilità non è la continuazione, mutato debitore, del diritto all’assegno di divorzio precedentemente percepito dal coniuge defunto, ma è un diritto nuovo di natura previdenziale, collegato a una fattispecie legale i cui elementi (titolarità di pensione diretta da parte del coniuge defunto in virtù di un rapporto anteriore alla sentenza di divorzio, titolarità da parte del coniuge superstite di assegno divorzile disposto dal giudice ai sensi dell’art. 5) non richiedono alcuna valutazione da parte del giudice. Secondo la ricorrente quindi, mentre per gli altri beneficiari, escluso ovviamente il coniuge superstite, il presupposto del riconoscimento del diritto al trattamento di reversibilità si fonda su uno stato di bisogno sia pure configurato in termini generali e astratti, per il coniuge divorziato lo stesso presupposto consiste nella pregressa vita in comune e nel contributo alla formazione del patrimonio familiare e dell’ex coniuge deceduto, contributo che il legislatore riconosce automaticamente come effetto della descritta fattispecie legale.
9. Con il terzo motivo di ricorso si ribadisce l’argomento a contrario suggerito dallaL. n. 898 del 1970,art.9 bis, che subordina l’attribuzione di un assegno periodico a carico dell’eredità al “riconoscimento del diritto a una corresponsione periodica di somme di denaro a norma dellaL. n. 898 del 1970,art.5”. Secondo la ricorrente il legislatore ha specificamente identificato nella corresponsione periodica dell’assegno divorzile una condizione per l’attribuzione di un assegno a carico dell’eredità, a differenza di quanto previsto nell’art. 9 relativamente alla pensione di reversibilità che non a caso richiede solo la titolarità dell’assegno divorzile e non la corresponsione in corso di un assegno periodico.
10. Con il quarto motivo si contesta la motivazione della Corte di appello che ha ritenuto applicabile anche alla pensione di reversibilità la disposizione dellaL. n. 898 del 1970,art.5, comma 8, secondo cui la corresponsione dell’assegno divorzile in unica soluzione esclude la proponibilità di qualsiasi successiva domanda di contenuto economico. Secondo la ricorrente l’interpretazione della Corte di appello si basa sull’erronea qualificazione del diritto del coniuge divorziato a una quota della pensione di reversibilità come diritto nei confronti del coniuge superstite e non nei confronti dell’ente previdenziale. L’assegno di reversibilità non può considerarsi una prestazione aggiuntiva rispetto alla corresponsione in unica soluzione dell’assegno di divorzio per la eterogeneità della natura delle due prestazioni e per la diversità dei soggetti obbligati.
11. Con il quinto motivo si ripropone, subordinatamente all’ipotesi di rigetto dei precedenti motivi, la questione di costituzionalità delle disposizioni che regolano l’accesso del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità, in relazione agliartt. 3 e 27 Cost., (rectius 37) eart. 38 Cost..Ritiene la ricorrente che la discriminazione fra corresponsione periodica e in unica soluzione dell’assegno divorzile costituisce una irragionevole e arbitraria esclusione, in danno del coniuge che opti per la seconda modalità, del diritto a fruire di una prestazione di natura esclusivamente previdenziale che costituisce attuazione della garanzia di cuiall’art. 38 Cost.e prescinde del tutto dalla regolazione degli interessi propria dell’assegno divorzile.
12. Si difende con controricorso P.M.S..
13. La prima sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 11453/2017 del 19 gennaio – 10 maggio 2017, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite. Ha infatti rilevato l’esistenza di un contrasto negli orientamenti della giurisprudenza di legittimità circa la natura giuridica del diritto alla pensione di reversibilità e la interpretazione della norma (L. n. 898 del 1970,art.9, comma 3) che pone come presupposto per il diritto alla pensione di reversibilità la titolarità dell’assegno di cui all’art. 5.
14. In particolare la ordinanza interlocutoria ha fatto riferimento alle sentenze nn. 159 del 12 gennaio 1998 e 12540 del 14 dicembre 1998 delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione che hanno affermato la natura previdenziale del diritto e alle sentenze della Sezione Lavoro (dalla sentenza n. 10458 del 18 luglio 2002 sino alle successive pronunce nn. 3635 dell’8 marzo 2012, 26168 del 30 dicembre 2015 e 9054 del 5 maggio 2016) e della Sezione Prima (sentenza n. 17018 del 12 novembre 2003) che pure riconoscono la natura previdenziale del diritto alla pensione di reversibilità ma escludono il concorso del coniuge divorziato se la corresponsione dell’assegno non sia attuale in quanto è stata convenuta dalle parti in unica soluzione mediante la dazione di un capitale o un trasferimento patrimoniale.
15. L’ordinanza interlocutoria rileva per altro verso che le più recenti sentenze della Sezione Prima (nn. 13108 del 28 maggio 2010 e 16744 del 29 luglio 2011) ritengono che la natura previdenziale del diritto sia decisiva per rendere autonoma l’erogazione (e la funzione) della pensione di reversibilità dalla modalità di adempimento dell’obbligazione di natura solidaristica-assistenziale propria dell’assegno divorzile che pertanto può avvenire sia in maniera periodica che in unica soluzione.
16. La causa è stata discussa davanti alle Sezioni Unite all’udienza del 5 dicembre 2017 in vista della quale i difensori di C.A. e P.M.S. hanno depositato memorie.
Ritenuto che:
17. Il ricorso si basa fondamentalmente sulla sentenza delle Sezioni Unite n. 159 del 12 gennaio 1998. Con questa pronuncia le Sezioni Unite furono chiamate a risolvere tre questioni interpretative che si erano presentate nell’applicazione del nuovo testo del terzo comma dellaL. n. 898 del 1970, art.9e che non concernevano peraltro la questione oggetto della presente controversia.
18. La prima questione era relativa alla identificazione della natura del trattamento di reversibilità riservato al coniuge divorziato: -se costituisse un diritto nei confronti del coniuge superstite e condividesse sostanzialmente la stessa natura dell’assegno divorzile ovvero se consistesse in un diritto autonomo, se pure concorrente con quello del coniuge superstite al trattamento di reversibilità, e quindi presentasse una natura prettamente previdenziale e una riferibilità soggettiva diretta in capo al coniuge divorziato nei confronti dell’ente previdenziale.
19. La seconda questione si riferiva alla individuazione del criterio di determinazione della quota da attribuire al coniuge divorziato e in particolare se tale criterio doveva essere quello matematico e automatico, ancorato alla durata del matrimonio, ovvero temperato da altri elementi di giudizio, specificamente quelli utilizzabili ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile, o, altrimenti, se la durata del matrimonio non fosse altro che uno fra gli altri criteri concorrenti e utilizzabili nella liquidazione dell’assegno divorzile.
20. La terza questione si riferiva infine ai criteri per determinare la durata del rapporto e in particolare se si dovesse prendere a riferimento rigidamente la durata legale del matrimonio ovvero se si dovesse tenere conto della durata effettiva della convivenza tenendo quindi conto di una eventuale convivenza prematrimoniale ed escludendo invece il periodo di separazione precedente al divorzio.
21. La risposta delle Sezioni Unite a queste tre questioni interpretative fu nel senso di considerare il coniuge divorziato titolare di un autonomo diritto al trattamento di reversibilità, potenzialmente all’intero trattamento, ma limitato quantitativamente dall’omologo diritto spettante al coniuge superstite; di escludere la utilizzabilità di criteri diversi da quello della durata del rapporto; di intendere per durata del rapporto la durata legale del matrimonio e pertanto di escludere la rilevanza, in pregiudizio del coniuge divorziato, dell’eventuale cessazione della convivenza matrimoniale prima della pronuncia di divorzio, o, in favore del coniuge superstite dell’eventuale periodo di convivenza more uxorio con l’ex coniuge che abbia preceduto la stipulazione del nuovo matrimonio.
22. La sentenza n. 159/1998 delle Sezioni Unite ha avuto seguito nella giurisprudenza di legittimità per quanto concerne la affermazione della natura previdenziale del trattamento di reversibilità e il riconoscimento della pari dignità del diritto del coniuge divorziato e di quello del coniuge superstite. La giurisprudenza successiva tuttavia ha rivisto la configurazione automatica e predeterminata del diritto e ha superato le risposte date in quella sede dalle Sezioni Unite alla seconda e alla terza questione.
23. Il contrasto giurisprudenziale per ciò che concerne la questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite va quindi correttamente inquadrato rilevando l’inesistenza di una precedente pronuncia delle Sezioni Unite sullo specifico tema oggetto della presente controversia e registrando la attualità solo parziale della citata pronuncia del 1998 sulla natura previdenziale dell’assegno di reversibilità.
24. Per quanto concerne quest’ultimo profilo deve infatti sottolinearsi come la Corte Costituzionale sia stata chiamata, immediatamente dopo la sentenza delle Sezioni Unite del 1998, a pronunciarsi sulla stessa questione dei criteri di determinazione della quota spettante all’ex coniuge.
25. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 419 del 20 ottobre 1999, nel rigettare la sollevata questione di costituzionalità, ha fornito l’interpretazione dellaL. n. 898 del 1970,art.9, comma 3compatibile con le disposizioni di cui agli artt. 3 e 38 della Carta fondamentale. Secondo il giudice delle leggi “la pensione di reversibilità realizza la sua funzione solidaristica in una duplice direzione. Nei confronti del coniuge superstite, come forma di ultrattività della solidarietà coniugale, consentendo la prosecuzione del sostentamento prima assicurato dal reddito del coniuge deceduto. Nei confronti dell’ex coniuge, il quale, avendo diritto a ricevere dal titolare diretto della pensione mezzi necessari per il proprio adeguato sostentamento, vede riconosciuta, per un verso, la continuità di questo sostegno e, per altro verso, la conservazione di un diritto, quello alla reversibilità di un trattamento pensionistico geneticamente collegato al periodo in cui sussisteva il rapporto coniugale. Si tratta, dunque, di un diritto alla pensione di reversibilità, che non è inerente alla semplice qualità di ex coniuge, ma che ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titolarità attuale dell’assegno, la cui attribuzione ha trovato fondamento nell’esigenza di assicurare allo stesso ex coniuge mezzi adeguati (L. n. 898 del 1970,art.5, comma 6)”.
26. Secondo la Corte Costituzionale “in presenza di più aventi diritto alla pensione di reversibilità (il coniuge superstite e l’ex coniuge), la ripartizione del suo ammontare tra di essi non può avvenire escludendo che si possa tenere conto, quale possibile correttivo, delle finalità e dei particolari requisiti che, in questo caso, sono alla base del diritto alla reversibilità. Ciò che il criterio esclusivamente matematico della proporzione con la durata del rapporto matrimoniale non consente di fare. Difatti una volta attribuito rilievo, quale condizione per aver titolo alla pensione di reversibilità, alla titolarità dell’assegno, sarebbe incoerente e non risponderebbe al canone della ragionevolezza, né, per altro verso, alla duplice finalità solidaristica propria di tale trattamento pensionistico, la esclusione della possibilità di attribuire un qualsiasi rilievo alle ragioni di esso perché il tribunale ne possa tenere in qualche modo conto dovendo stabilire la ripartizione della pensione di reversibilità”.
27. La giurisprudenza di legittimità ha fatto costante applicazione, da allora, del criterio enucleato dalla Corte costituzionale in numerose pronunce fra le quali sembra rilevante, in questa sede, richiamare quelle che sottolineano la funzione solidaristica del trattamento di reversibilità, diretta alla continuazione della funzione di sostegno economico, assolta a favore dell’ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell’assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi (Cass. civ. sez. 1, n. 16093 del 21 settembre 2012, n. 26358 del 7 dicembre 2011, n. 10638 del 9 maggio 2007, n. 4868 del 7 marzo 2006, n. 15164 del 10 ottobre 2003).
28. Deve rimarcarsi che, dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 1999, la giurisprudenza di legittimità ha escluso, in ragione del carattere solidaristico della pensione di reversibilità, che, nella ripartizione dell’assegno, in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, il criterio della durata legale dei rispettivi matrimoni comporti automatismi di qualsiasi tipo, dovendo il giudice del merito tener conto di ulteriori elementi, correlati alle finalità che presiedono al detto trattamento, e, tra questi, in primo luogo, dell’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge (Cass. civ. sez. 1 n. 23379 del 16 dicembre 2004).
29. Deve ritenersi quindi non più invocabile la sentenza n. 159 delle Sezioni Unite del 1998 laddove identifica il fondamento della pensione di reversibilità nell’apporto alla formazione del patrimonio comune e a quello proprio dell’altro coniuge e nelle aspettative formatesi durante e per effetto del matrimonio. Se in particolare l’apporto alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge può considerarsi elemento costitutivo della solidarietà coniugale e post-coniugale, che peraltro non impone necessariamente il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile, il presupposto per l’attribuzione della pensione di reversibilità è, invece, il venir meno di un sostegno economico che veniva apportato in vita dal coniuge o ex coniuge scomparso e la sua finalità è quella di sovvenire a tale perdita economica all’esito di una valutazione effettuata dal giudice in concreto che tenga conto della durata temporale del rapporto, delle condizioni economiche dei coniugi, dell’entità del contributo economico del coniuge deceduto e di qualsiasi altro criterio utilizzabile per la quantificazione dell’assegno di mantenimento. Anche la previsione, nellaL. n. 898 del 1970,art.9della condizione che l’ex coniuge non sia “passato a nuove nozze” conduce, del resto, a correlare il diritto alla pensione di reversibilità all’attualità della corresponsione dell’assegno divorzile.
30. Alla luce di queste constatazioni, che derivano dall’esame della giurisprudenza successiva alla citata pronuncia delle Sezioni Unite del 1998, il problema dell’interpretazione dell’espressione testuale “titolare dell’assegno” di divorzio, di cui allaL. n. 898 del 1970,art.9, comma 3nel testo in vigore, assume quindi una direzione univoca nel senso di valorizzare il significato della titolarità come condizione che vive e si qualifica nell’attualità (non condividendosi pertanto l’opposto indirizzo ermeneutico segnato dalle uniche due decisioni le quali affermano che la titolarità dell’assegno di divorzio non significa necessariamente corresponsione periodica e attuale dell’assegno: Cass. civ. sez. 1 n. 13108 del 28 maggio 2010 e n. 16744 del 29 luglio 2011). Se infatti la finalità del legislatore è quella di sovvenire a una situazione di deficit economico derivante dalla morte dell’avente diritto alla pensione, l’indice per riconoscere l’operatività in concreto di tale finalità è quello della attualità della contribuzione economica venuta a mancare; attualità che si presume per il coniuge superstite e che non può essere attestata che dalla titolarità dell’assegno, intesa come fruizione attuale di una somma periodicamente versata all’ex coniuge come contributo al suo mantenimento. Del resto l’espressione titolarità nell’ambito giuridico presuppone sempre la concreta e attuale fruibilità ed esercitabilità del diritto di cui si è titolari; viceversa, un diritto che è già stato completamente soddisfatto non è più attuale e concretamente fruibile o esercitabile, perchè di esso si è esaurita la titolarità.
31. In questo senso è sicuramente pertinente il riferimento della giurisprudenza lavoristica allaL. n. 898 del 1970,art.5, comma 8. La corresponsione dell’assegno in unica soluzione preclude la proponibilità di qualsiasi successiva domanda di contenuto economico da parte del coniuge beneficiario dell’assegno una tantum senza che ciò equivalga a negare il carattere autonomo e di natura previdenziale del diritto dell’ex coniuge al concorso sulla pensione di reversibilità. Significa invece prendere atto che il diritto all’assegno divorzile è stato definitivamente soddisfatto e che non esiste alla morte dell’ex coniuge una situazione di contribuzione economica periodica e attuale che viene a mancare. Difetta pertanto il requisito funzionale del trattamento di reversibilità che è dato dal presupposto solidaristico finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell’ex coniuge. L’assegno di reversibilità non costituisce la mera continuazione post mortem dell’assegno di divorzio ma si giustifica con le stesse ragioni che giustificavano il sostegno economico all’ex coniuge, mediante la corresponsione dell’assegno divorzile; mentre il quantum, in caso di concorso con il diritto del coniuge superstite, sarà modulato sulla base della verifica giudiziale diretta ad accertare gli elementi che conducono a una ripartizione equa fra gli aventi diritto.
32. Anche le considerazioni della Corte di appello sulla inesistenza di un argomento a contrario dato dalla previsione normativa di cui allaL. n. 898 del 1970,art.9 bissono condivisibili. L’assegno periodico a carico dell’eredità ha un carattere di continuità strutturale e soggettiva con l’assegno divorzile che il diritto alla pensione di reversibilità non ha per la sua natura di prestazione previdenziale, essendo comunque finalizzato a tutelare il soggetto beneficiario di una situazione di contribuzione economica venuta meno con la morte dell’ex coniuge titolare di pensione. L’assegno a carico dell’eredità presuppone l’accertamento in concreto e la persistenza dello stato di bisogno. L’assegno di reversibilità è una prestazione previdenziale la cui attribuzione dipende dalla ricorrenza di una condizione legale graduata in funzione della persistenza del vincolo di condivisione affettiva ed economica con il lavoratore che beneficiava del trattamento pensionistico. Si tratta di differenze che possono giustificare la diversa dizione normativa senza che quest’ultima sia comunque idonea a configurare un argomento a contrario all’interpretazione dell’espressione “titolare dell’assegno di cui all’art. 5”, intesa come titolarità, allo stato attuale, dell’assegno e non di un diritto che è stato ormai definitivamente soddisfatto.
33. Con riguardo alla questione di legittimità costituzionale prospettata in via subordinata dalla ricorrente, va sottolineato, per rimarcarne la manifesta infondatezza, che, anche nella giurisprudenza costituzionale si ravvisa una sostanziale continuità interpretativa dalla fine degli anni 1990. È infatti ricorrente il riferimento al presupposto solidaristico dell’istituto della reversibilità e alla sua finalità di sovvenire alla situazione di difficoltà economica che deriva dalla morte dell’ex coniuge. Questi, con il suo contributo economico, provvedeva infatti ad eliminare o comunque ad attutire la condizione di dipendenza economica dell’ex coniuge e comunque a soddisfare quell’esigenza di solidarietà post-coniugale che giustifica l’imposizione di un assegno divorzile. Significativo è il richiamo operato di recente dalla sentenza n. 174 del 2016 della Corte Costituzionale al “fondamento solidaristico della pensione di reversibilità, che ne determina la finalità previdenziale”. La sentenza riconferma la validità della “configurazione della pensione di reversibilità come forma di tutela previdenziale e strumento per il perseguimento dell’interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici”. La Corte Costituzionale richiama inoltre la propria giurisprudenza sulla “pensione di reversibilità quale prestazione che mira a tutelare la continuità del sostentamento e a prevenire lo stato di bisogno che può derivare dalla morte del coniuge” (sentenze nn. 18 del 12 febbraio 1998, 926 dell’8 luglio 1988 e 777 del 22 giugno 1988) e sul “perdurare del vincolo di solidarietà coniugale, che proietta la sua forza cogente anche nel tempo successivo alla morte” (sentenze nn. 419 del 27 ottobre 1999 e 70 dell’11 marzo 1999). Una continuità giurisprudenziale, questa, che rende pienamente compatibile con le disposizioni degliartt. 3, 37 e 38 Cost.l’interpretazione che considera la titolarità dell’assegno come titolarità attuale, mediante la concreta corresponsione di una contribuzione periodica sino al momento della morte dell’ex coniuge obbligato.
34. In definitiva il contrasto giurisprudenziale che ha determinato il rinvio della controversia a queste Sezioni Unite deve risolversi con l’affermazione del principio di diritto per cui, ai fini del riconoscimento della pensione di riversibilità, in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dellaL. 1 dicembre 1970, n. 898,art.9nel testo modificato dallaL. 6 marzo 1987, n. 74,art.13la titolarità dell’assegno, di cui all’art. 5 della stessaL. 1 dicembre 1970, n. 898, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile, al momento della morte dell’ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all’assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un’unica soluzione.
35. Il ricorso va respinto con compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione. Dispone omettersi in caso di pubblicazione della presente sentenza ogni riferimento ai nominativi e agli altri elementi identificativi delle parti.
Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002,art.13, comma 1quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.