La revisione dell’assegno divorzile di mantenimento ha effetto dalla data della domanda

Cassazione civile, sez. I, 11 Settembre 2018, n. 22108. Est. Caiazzo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
CHE:
L.F. presentò ricorso per la pronuncia di divorzio nei confronti di I.A. – da cui era già separato consensualmente – chiedendo i provvedimenti in ordine al contributo al mantenimento dei due figli minori, nella stessa misura di cui alla separazione, e alle frequentazioni paterne. Si costituì l’ I. il quale non si oppose alla pronuncia di divorzio, chiedendo a sua volta la modifica delle modalità di frequentazione dei figli e la riduzione del contributo al loro mantenimento.
Il Tribunale di Roma, emessa nel 2014 sentenza parziale sullo status, con successiva sentenza definitiva del 2015 confermò l’affidamento congiunto dei figli minori, il relativo collocamento presso la madre e le frequentazioni paterne per il minore F. (essendo nel frattempo divenuto maggiorenne l’altro figlio) – come stabilito in sede di separazione – e determinò il contributo dell’ I., con decorrenza da giugno 2015, in Euro 800,00 mensili, oltre al 60% delle spese straordinarie da concordarsi preventivamente.
La L. propose appello; si costituì l’appellato il quale propose a sua volta appello incidentale chiedendo che fosse revocato, con decorrenza dalla domanda di primo grado, il contributo al mantenimento, ferma restando la disciplina delle spese straordinarie.
La Corte d’appello ha respinto l’appello principale e in accoglimento parziale dell’incidentale ha ridotto il contributo al mantenimento dei figli, fissandone la decorrenza dalla data della domanda di primo grado.
L.F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Resiste l’ I. con controricorso, illustrato con memoria.
CHE:
Con il primo motivo del ricorso è stata denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 337ter c.c. e della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 13, lamentando che la Corte d’appello aveva fissato la decorrenza del contributo al mantenimento dei due figli dalla data della domanda di primo grado in violazione del principio generale di non retroattività degli effetti della sentenza divorzile (e del conseguente principio dell’irripetibilità delle somme versate a titolo di mantenimento).
Al riguardo, la ricorrente ha invocato le due suddette norme a sostegno della tesi dell’eccezionalità della retrodatazione degli effetti della sentenza di divorzio, atteso che, in particolare, la L. n. 898, art. 4, comma 13, attribuisce al giudice il potere discrezionale di far retroagire la decorrenza dell’assegno con adeguata motivazione. Nel caso concreto, la ricorrente si duole che il giudice abbia fissato la retrodatazione dell’assegno di mantenimento dei figli pur non essendo stati addotti in giudizio modifiche della situazione in corso di causa, laddove invece le norme invocate richiedevano che il giudice motivasse adeguatamente in positivo sugli elementi giustificativi del provvedimento.
Con il secondo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 708 c.p.c. e art. 189 disp. att. c.p.c., adducendo – come anche a sostegno del precedente motivo – che la Corte d’appello avrebbe dovuto indicare gli elementi in positivo per fissare la retrodatazione degli effetti del contributo al mantenimento.
Con il terzo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, avendo la Corte di merito adottato una motivazione apparente e perplessa per modificare la sentenza di primo grado in ordine alla retrodatazione degli effetti del contributo al mantenimento.
Con il quarto motivo è stata dedotta la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 342 c.p.c., avendo il giudice dell’impugnazione omesso di rilevare il difetto di specificità del motivo afferente alla modifica della decorrenza degli effetti del contributo al mantenimento. Al riguardo, la ricorrente ha altresì ritenuto di escludere che il giudice di secondo grado potesse d’ufficio modificare il provvedimento impugnato in ordine alla suddetta decorrenza.
Il ricorso è infondato.
Preliminarmente, va esaminato il quarto motivo del ricorso per il suo carattere dirimente, in quanto il ricorrente ha dedotto la nullità della sentenza impugnata per il difetto di specificità del motivo d’appello avente ad oggetto la modifica della decisione sul contributo al mantenimento dei figli – che ne avrebbe precluso l’esame perchè inammissibile – eccependo altresì l’insussistenza dei presupposti per pronunciare d’ufficio attesa la formazione del giudicato interno sulla questione.
Il motivo non ha pregio in quanto l’ I. aveva richiesto alla Corte d’appello di accertare che nulla era dovuto alla L., “quale contributo al mantenimento ordinario dei figli a far data dalla domanda come formulata in primo grado”. Ora, non può ritenersi che tale motivo d’impugnazione non fosse specifico perchè non fondato sull’espressa istanza di retrodatazione del contributo al mantenimento, in quanto l’ I. aveva comunque chiesto di accertare l’insussistenza dell’obbligazione dalla domanda di primo grado, sicchè il motivo era sufficientemente specifico, mentre il giudice d’appello ha accolto parzialmente il motivo riducendo l’assegno di mantenimento.
Ne consegue che alcun giudicato interno può dirsi formato in ordine alla questione della decorrenza dell’assegno di mantenimento.
Premesso ciò, i primi due motivi, da esaminare congiuntamente poichè tra loro connessi, sono infondati. La ricorrente ha lamentato che la Corte d’appello aveva modificato la sentenza di primo grado circa la decorrenza del contributo al mantenimento dei figli, fissata al giugno del 2015, retrodatandola alla data della domanda di primo grado.
La Corte ha affermato che tale contributo deve decorrere dalla data della domanda di primo grado, “non essendo stati addotti dal Tribunale nè risultando in atti elementi, quali modifiche della situazione generale intervenute in corso di causa, per dover ritenere di derogare al principio generale”.
Secondo la giurisprudenza della Corte, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza anticipata al momento dell’accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione (Cass., n. 16173/15).
Inoltre, è stato affermato che, mentre l’assegno di divorzio, nella sua originaria quantificazione, decorre dal momento della formazione del titolo in forza del quale è dovuto, cioè dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, la variazione dell’ammontare dell’assegno medesimo, disposta successivamente in esito a procedimento di revisione ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 deve decorrere dalla data della domanda di revisione, non da quella della decisione su di essa, in applicazione del principio generale secondo il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio (Cass. n. 4415 del 1986; n. 3080 del 1985; n. 19057/06).
Analogamente, è stato affermato in altre pronunce che in tema di separazione o divorzio e nella ipotesi in cui uno dei coniugi abbia chiesto un assegno di mantenimento per i figli, la domanda, se ritenuta fondata, deve essere accolta, in mancanza di espresse limitazioni, dalla data della sua proposizione, e non da quella della sentenza, atteso che i diritti ed i doveri dei genitori verso la prole, salve le implicazioni dei provvedimenti relativi all’affidamento, non subiscono alcuna variazione a seguito della pronuncia di separazione o divorzio, rimanendo identico l’obbligo di ciascuno dei coniugi di contribuire, in proporzione delle sue capacità, all’assistenza ed al mantenimento dei figli (Cass., n. 21087/04; n. 10119/06).
Pertanto, i primi due motivi non appaiono fondati, poichè il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, emergendo dal richiamato orientamento di questa Corte che la decorrenza dalla domanda delle modifiche del contributo al mantenimento costituisce un principio di carattere generale, contrariamente a quanto argomentato dalla ricorrente.
Il terzo motivo è infondato, data la motivazione chiara, sebbene succinta ma non apparente.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 3000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi e la maggiorazione del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.