Ai beni acquistati separatamente dai coniugi nei due anni successivi all’entrata in vigore della legge n. 151 del 1975 si estende il regime della comunione legale

Cass. civ. Sez. II, 22 agosto 2018, n. 20969
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17299/2014 R.G. proposto da:
S.A., S.E.C., rappresentate e difese, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Massimo Gimigliano, con domicilio eletto in Roma, via Taranto 116, presso lo studio dell’avv. Stefano Turchetto;
– ricorrenti –
contro
S.M., S.N., S.C., S.R., SI.Ro. rappresentate e difese, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. Oreste Parisi, con domicilio eletto in Catanzaro, via Pascali 6;
– controricorrenti –
S.G., S.A.R.;
– intimati –
avverso la sentenza della corte d’Appello di Catanzaro n. 673 depositata il 20 maggio 2013.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23 febbraio 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco.
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
S.M., S.N., S.C., S.R., Si.Ro. chiamavano in giudizio avanti al tribunale di Catanzaro S.A., S.E.C., S.G., S.A.R..
Gli attori esponevano che erano figli di Sa.Ro., deceduta il (OMISSIS) e già coniugata con S.V., il quale aveva disposto in favore dei figli, dapprima per donazione (1990) e poi per testamento (1993), di un fondo acquistato in costanza del regime della comunione legale e quindi comune a entrambi i coniugi.
Denunciavano che tali atti di disposizione, nella parte in cui comprendevano la quota dell’altro coniuge, erano nulli, con la conseguenza che il bene, deceduta la Sa., era caduto nella successione di lei, appartenendo quindi agli eredi in misura di 2/3.
Il tribunale accoglieva la domanda.
La corte d’appello confermava la sentenza.
Essa riconosceva il carattere comune dell’acquisto, avvenuto nel corso del regime transitorio previsto dallaL. n. 151 del 1975,art.228e in presenza dei presupposti per l’instaurazione della comunione legale a decorrere dalla entrata in vigore della legge di riforma del diritto di famiglia.
Ne discendeva, secondo la corte di merito, la nullità degli atti di disposizione compiuti dal coniuge.
Per la cassazione della sentenza S.A. e S.E.C. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
S.M., S.N., S.C., S.R., Si.Ro. hanno resistito con controricorso.
Gli altri soggetti cui è stata notificata l’impugnazione sono rimasti intimati.
I ricorrenti hanno depositato memoria decorso il termine di cuiall’art. 380-bis c.p.c., comma 1.
Motivi della decisione
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dellaL. n. 151 del 1975,art.228, art.11disp. gen.,artt. 177 e 179 c.c.(art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Con il motivo non si censura l’identificazione del momento in cui si è verificato l’effetto acquisitivo del bene al patrimonio del coniuge acquirente (è incontestato che ciò è avvenuto in pendenza del regime transitorio della legge di riforma del diritto di famiglia), ma l’interpretazione della norma di diritto transitorio data dalla corte d’appello, là dove si fa risalire l’assoggettamento delle famiglie già costituite al regime legale della comunione dalla data di entrata in vigore della legge.
Secondo i ricorrenti, invece, la comunione legale decorre dalla scadenza del termine che la norma accordava ai coniugi per manifestare la dichiarazione di dissenso.
Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, la comunione legale, in assenza della dichiarazione di dissenso di cui all’art. 228, comma 1, della legge, decorre dal 16 gennaio 1978 ed interessa i beni acquistati dai coniugi separatamente nel primo biennio di applicazione della legge stessa solo se ancora esistenti nel patrimonio del coniuge che li ha acquistati (Cass. n. 4071/1992; n, 2221/1993; 12693/2011).
La sentenza impugnata, nel riconoscere il carattere comune dell’acquisto, è in linea con tali principi.
La corte di merito ha accertato che l’effetto acquisitivo si era verificato in pendenza del regime transitorio, che non c’era stata dichiarazione di dissenso e che il bene, alla scadenza del biennio, era ancora nel patrimonio del coniuge acquirente.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degliartt. 180, 184, 1418 c.c.edell’art. 113 c.p.c..
La corte d’appello avrebbe dovuto considerare che l’atto di disposizione del bene comune da parte di uno dei coniugi non è nullo, ma annullabile ai sensidell’art. 184 c.p.c..
Il motivo è inammissibile.
Al riguardo non possono che condividersi i rilievi del Procuratore Generale, là dove si pone in luce che “le questioni involte dal secondo motivo di ricorso vanno qualificate “nuove”, non avendo formato parte del quid disputandum del grado d’appello”.
Né potrebbe replicarsi che i ricorrenti nell’atto di appello avevano chiesto dichiararsi validi ed efficaci gli atti di disposizione compiuti da S.V..
La richiesta di declaratoria di validità, infatti, rifletteva la supposta proprietà esclusiva del coniuge acquirente in conseguenza della diversa interpretazione della norma transitoria e non la possibile applicazione dell’art. 184 c.p.c., che al contrario implicava il carattere comune dell’acquisto e la soccombenza degli appellanti sulla rivendicazione di proprietà esclusiva.
Pertanto, al fine di introdurre la relativa questione, gli attuali ricorrenti avrebbero dovuto proporre, in via subordinata e condizionale, apposita e specifica ragione di censura.
In conclusione il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228,art.1, comma 17(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art.13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;
dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002,art.13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012,art.1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.